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R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
TERZA SEZIONE CIVILE
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA
così composto:
Dott. Francesco Mannino Presidente rel.
Dott. Stefano Cardinali Giudice
Dott. Francesco Remo Scerrato Giudice
riunito in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa iscritta al n.46675 Ruolo generale degli affari contenziosi civili
dell'anno 2014, avente come
Oggetto: Responsabilità di amministratore
promossa da:
FALLIMENTO BENEDETTI DOMUS S.R.L., R.F. N. 36/2014 (C.F. e P.IVA
07105201003) con sede in Pomezia (RM), via del Mare Km 16.800, , in persona
del Curatore Fallimentare, Rag. Pietro Marcantoni, autorizzato all’esercizio della
presente azione con provvedimento del Giudice Delegato, rappresentato e difeso,
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Repert. n. 617/2017 del 13/01/2017
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giusta procura apposta a margine dell’atto di citazione, dall’Avv. Francesco
Aratari e domiciliato presso il suo studio in Roma, via Po n. 28,
Attore
Contro
FRANCESCO VARLOTTA (C.F. VRLFNC54D14H501I), nato a Roma il
14.04.1954 ed ivi residente in Via di Torre S. Anastasia n. 65, cap. 00134,
elettivamente domiciliato in Roma, Via della Ferratella in Laterano n. 33 presso lo
studio dell’Avv. Aurora Spaccatrosi, che lo rappresenta e difende in virtù di
procura rilasciata a margine della comparsa di costituzione e risposta.
Convenuto
All’udienza del 12/7/16 le parti precisavano le conclusioni come da verbale in atti
e la causa veniva posta in decisione, con l’assegnazione dei termini di legge per il
deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, il Fallimento della Benedetti
Domus s.r.l. conveniva in giudizio innanzi a questo Tribunale Francesco Varlotta,
già amministratore unico della predetta società in bonis.
L’attore esponeva
che, in data 1 aprile 2014, il Tribunale Civile di Velletri aveva revocato
l’ammissione alla procedura di concordato preventivo della Benedetti
Domus s.r.l. e ne aveva dichiarato il fallimento;
che dall’esame della documentazione contabile della Società, in
particolare delle voci del libro giornale, risultava che, nel periodo tra il
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Repert. n. 617/2017 del 13/01/2017
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15 marzo 2013 e il 31 dicembre 2013, erano stati effettuati una serie di
giroconti da “cassa ad amministratore c/deposito - deposito cassa
presso l’amm.” e da “cassa” per “compenso Amm.re Soci soc.”, per
l’ammontare complessivo di Euro 175.000, con operazioni di
versamento dalla cassa sociale in favore dell’amministratore unico
della Società, Francesco Varlotta;
che dalla relazione aggiuntiva, depositata dal Commissario Giudiziale
in data 11 febbraio 2014 nel corso della procedura di concordato
preventivo alla quale era stata ammessa la Società, era stato
evidenziato che dall’esame del mastrino dei flussi di cassa emergevano
“prelievi dalla cassa, da parte dell’amministratore, a titolo di
“depositi c/c amministratore” per un totale complessivo, alla data del
31/12/2013, pari ad euro 165.000,00”;
che anche l’asseveratore del “Concordato preventivo di Benedetti
Domus srl” aveva evidenziato che “dall’analisi della scheda contabile
“Cassa” “risultavano dei prelievi a cura dell’Amministratore per un
saldo contabilizzato di € 135.000,00” al 31 agosto 2013 e che detti
importi erano stati “contabilmente riportati nella scheda contabile
presente nella sezione di bilancio “Crediti” alla voce “Depositi c/o
Amministratore” ed aveva precisato che “questo credito vantato dalla
società è stato confermato all’asseveratore dall’amministratore, il
quale dichiarava, anche alla presenza del consulente fiscale Rag.
Marcellini Pierina, che assisteva ai lavori di revisione, che tali importi
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erano a disposizione della procedura per il pagamento della gestione
corrente (si veda pag. 20 dell’asseverazione)” e che le somme erano
state prelevate per evitare “il blocco delle stesse a cura di creditori
sociali sui conti correnti bancari”;
che il Tribunale di Velletri, nel motivare l’apertura della “procedura di
revoca dell’ammissione al concordato preventivo della srl Benedetti
Domus”, aveva evidenziato che
o “somme che avrebbero dovuto essere presenti nella cassa della
società (in particolare, in custodia personale dell’AU)” “erano
in realtà assenti”;
o “alla richiesta di chiarimenti l’amministratore aveva
dichiarato che esse erano state utilizzate per effettuare alcuni
pagamenti di fatture e per alcuni pagamenti nei confronti del
suo compenso”;
o “nel corso dell’adunanza venivano richiesti chiarimenti su tali
punti e l’amministratore forniva risposte non satisfattive”;
o doveva ritenersi “che l’imprenditore avrebbe sottratto parte
dell’attivo (vedi in proposito la nota doc. 13 allegata
sostanzialmente ammissiva da parte del sig. Varlotta)
concordatario, distraendolo al fine di attribuire a se stesso e a
tali creditori il pagamento non giustificato”, “confermato dal
tentativo di giustificare ex post la mancanza della somma
suindicata con documenti e atti inammissibili e non veritieri”;
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lo stesso Varlotta aveva riconosciuto di aver prelevato nel corso del
2013 i sopra indicati importi, fornendo, tuttavia differenti
giustificazioni:
o dapprima, tentando di sostenere di aver effettuato i prelievi
dalla cassa sociale per evitare azioni esecutive da parte dei
creditori sociali;
o nel corso dell’adunanza dei creditori, su domanda del Giudice
delegato, aveva dichiarato che gli importi prelevati avevano
costituito il suo compenso quale amministratore “a seguito di
una deliberazione redatta con la moglie”, in base alla quale si
era stabilito “un compenso per l’amministratore di euro 5.000
mensile” e che gli stessi erano stati “incassati per fabbisogno
personale”;
o in seguito, per il tramite del suo avvocato, aveva riconosciuto
“l’esistenza di somme della Benedetti Domus presso
l’amministratore” e aveva chiesto “di restituire, con pagamento
rateizzato, la somma citata, salvo un importo che il Giudice
Delegato, vorrà determinare, in considerazione delle esigenze
familiari, a titolo di compenso per la carica di amministratore
ricoperta dal 19.2.13”;
o al Commissario Giudiziale aveva dichiarato che:
Euro 60.000 sarebbero stati dallo stesso percepiti a titolo di
compenso quale amministratore della Società;
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Euro 55.691,54 sarebbero stati utilizzati per il pagamento -
mediante n. 58 pagamenti da Euro 950,00, un pagamento da
Euro 500,00 e un pagamento di € 91,56 - delle fatture n. 4 e
n. 11 del 3 agosto 2013 emesse dalla Valerio e Simone
s.n.c., rispettivamente di Euro 29.950 e di Euro 25.741,54;
Euro 20.701,29 sarebbero stati utilizzati per il pagamento
della fattura n. 1/37 del 17 gennaio 2014 emessa dalla
Argento Argenti s.r.l.;
Euro 37.620,00 sarebbero stati versati sul conto corrente n.
16556 acceso presso Banca Unipol;
tutte le giustificazioni fornite apparivano infondate e non trovavano
riscontro nella documentazione acquisita dalla curatela;
pertanto, chiedeva che questo Tribunale volesse accertare la responsabilità del
Sig. Francesco Varlotta, quale amministratore unico della Società Benedetti
Domus S.r.l., ai sensi degli articoli 2043, 2393, 2394, 2394 bis e 2476 c.c. per i
fatti descritti in narrativa, ovvero il suo obbligo a restituire al Fallimento della
Benedetti Domus S.r.l. l’importo per cui è causa, e, conseguentemente,
condannare il medesimo Sig. Francesco Varlotta al risarcimento in favore del
Fallimento della Benedetti Domus S.r.l., e/o al pagamento e/o alla restituzione,
anche eventualmente ai sensi dell’art. 2033 c.c., dell’importo di Euro 175.000,00,
oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data di ogni singolo prelievo dalle
casse sociali, come specificato nel prospetto di cui al punto 2) della narrativa,
sino al soddisfo, o della diversa somma che, alla luce dell’espletanda istruttoria,
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Repert. n. 617/2017 del 13/01/2017
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dovesse risultare di giustizia.
Con vittoria di spese, competenze e onorari.
Ritualmente costituitosi, il Varlotta contestava in fatto ed in diritto quanto
dedotto dalla curatela attrice, evidenziando anche che quest’ultima non era stata
autorizzata dal Giudice delegato ad avanzare domande ex art. 2033 c.c.; pertanto,
chiedeva che questo Tribunale volesse:
rigettare tutte le domande attrice poiché infondate in fatto ed in diritto
e generiche;
dichiarare comunque inammissibile la parte della domanda attrice
relativa alla richiesta di cui all’art. 2033 c.c. per carenza di
legittimazione attiva, per quanto sopra esposto;
con richiesta di condanna della parte attrice al pagamento delle spese
di giudizio, oltre accessori di legge, da distrarsi in favore dell’Avv.
Aurora Spaccatrosi, procuratore antistatario.
Rigettate le richieste istruttorie avanzate con le memorie ex art.183 c.p.c.,
all’udienza del 12 luglio 2016 la causa era posta in decisione con la concessione
dei termini di cui all’art.190 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Come si evince chiaramente dal contenuto e dalle conclusioni dell’atto di
citazione, il fallimento ha esercitato nei confronti di Francesco Varlotta, ex
amministratore della Benedetti Domus s.r.l. in bonis, tanto l’azione sociale di
responsabilità ex art.2476, terzo comma, c.c., quanto quella attribuita dalla legge
ai creditori sociali, conformemente al disposto degli artt. 146 l.f. e 2394 bis c.c..
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Repert. n. 617/2017 del 13/01/2017
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Si deve, poi, evidenziare che l’azione sociale di responsabilità ex art. 2476,
III co., c.c., ha natura contrattuale. Essa, infatti, origina dall’inadempimento dei
doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall'atto costitutivo, ovvero
dall’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza e di intervento preventivo e
successivo; obblighi tutti che vengono a gravare sugli amministratori in forza del
mandato loro conferito e del rapporto che, per effetto della preposizione gestoria e
del susseguente inserimento nell’organizzazione sociale, si instaura con la società.
Quindi, sulla società che agisce grava l'onere di dimostrare la sussistenza delle
violazioni agli obblighi (che costituiscono obbligazioni di mezzi e non di
risultato), i pregiudizi concretamente sofferti ed il nesso eziologico tra
l’inadempimento ed il danno prospettato, invece, sull’amministratore grava l'onere
di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, ovvero di fornire la prova
positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e
dell’adempimento degli obblighi posti a suo carico.
In altri termini, con riferimento all’inadempimento dell’amministratore ai
doveri ed obblighi posti a suo carico opera la presunzione di colpa inferibile dal
generale disposto dell’art. 1218 c.c. onde la società che agisce con il rimedio di
cui all’art. 2476 c.c. non è tenuta ad offrire la prova positiva del cennato elemento
soggettivo, spettando, piuttosto, all’amministratore chiamato in responsabilità
dimostrare di aver adempiuto il proprio compito con diligenza ed in assenza di
conflitto di interessi con la società, ovvero che l’inadempimento è stato
determinato da causa a lui non imputabile ex art. 1218 c.c., ovvero, ancora, che il
danno è dipeso dal caso fortuito o dal fatto di un terzo (cfr., in questo senso,
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Repert. n. 617/2017 del 13/01/2017
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Cassazione civile, sez. I, 24 marzo 1999, n. 2772; Trib. Roma, 8 maggio 2003;
Cassazione civile, sez. I, 22 ottobre 1998, n. 10488).
Posto ciò, nel presente giudizio, sulla base della documentazione contabile
acquisita, la curatela fallimentare deduce che il Varlotta avrebbe distratto,
prelevandola dalla cassa sociale, la complessiva somma di €175.000, effettuando
una serie di giroconti più dettagliatamente indicati nella tabella sottoriportata.
DATA TIPO OPERAZIONE IMPORTO
€
15.3.2013 G/C Cassa ad amministratore – deposito cassa presso
amministratore 20.000,00
15.3.2013 G/C Cassa ad amministratore – deposito cassa presso
amministratore 15.000,00
31.3.2013 G/C Cassa ad amministratore – deposito cassa presso
amministratore 15.000,00
15.4.2013 G/C Cassa ad amministratore – deposito cassa presso
amministratore 15.000,00
30.4.2013 G/C Cassa ad amministratore – deposito cassa presso
amministratore 10.000,00
15.5.2013 G/C Cassa ad amministratore – deposito cassa presso
amministratore 10.000,00
31.5.2013 G/C Cassa ad amministratore – deposito cassa presso
amministratore 15.000,00
30.6.2013 G/C Cassa ad amministratore – deposito cassa presso
amministratore 10.000,00
31.7.2013 G/C Cassa ad amministratore – deposito cassa presso
amministratore 10.000,00
31.8.2013 G/C Cassa ad amministratore – deposito cassa presso
amministratore 15.000,00
17.9.2013 G/C Cassa ad amministratore – deposito cassa presso
amministratore 10.000,00
30.9.2013 G/C Cassa ad amministratore – deposito cassa presso
amministratore 10.000,00
19.10.2013 G/C Cassa ad amministratore – deposito cassa presso
amministratore 5.000,00
28.10.2013 G/C Cassa ad amministratore – deposito cassa presso
amministratore 5.000,00
31.12.2013 Compenso amministratore soci soc. – cassa 10.000,00
Totale
175.000,00
Conseguentemente, ne ha chiesto la condanna al risarcimento, in favore
del Fallimento attore, del danno quantificato nell’importo di Euro 175.000,00,
oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data di ogni singolo prelievo dalle
casse sociali, e/o al pagamento e/o alla restituzione della predetta somma, in
subordine anche ai sensi dell’art. 2033 c.c..
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In relazione alle domande avanzate dall’attore, si deve ritenere la
competenza a statuire di questo Tribunale delle Imprese e non del Tribunale
fallimentare, in considerazione del consolidato orientamento del S.C. (cfr. da
ultimo ord. n.19340/16), secondo cui “l' azione di responsabilità esercitata dal
curatore ex art. 146, comma 2, l. fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli
artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori
sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione
autonoma - quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale
unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali
- implicandone una modifica della legittimazione attiva, ma non dei presupposti,
sicché, dipendendo da rapporti che si trovano già nel patrimonio dell'impresa al
momento dell'apertura della procedura concorsuale a suo carico, e che si
pongono con questa in relazione di mera occasionalità, non riguarda la
formazione dello stato passivo e non è attratta alla competenza funzionale del
tribunale fallimentare ex art. 24 l.fall., restando soggetta a quella del tribunale
delle imprese, ex art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 168 del 2003, propria di tutte le
azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, da chiunque
promosse.”
Appare, poi, infondata l’eccezione di inammissibilità della domanda attrice
relativa alla richiesta di cui all’art. 2033 c.c. per carenza di legittimazione attiva,
sul presupposto che detta domanda non sia stata autorizzata dal Giudice Delegato.
Infatti dalla documentazione in atti emerge che l’autorizzazione a proporre
domanda anche ai sensi del citato art.2033 c.c. era stata autorizzata dal Giudice
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delegato in data 8 aprile 2015. È irrilevante la circostanza che detta autorizzazione
sia sopraggiunta nel corso del giudizio in quanto, per costante giurisprudenza del
S.C. (cfr. sentt. nn.19087/07, 15939/07, 19528/04, 4310/97), la mancanza iniziale
di autorizzazione da parte del giudice delegato al curatore, perché svolga attività
processuale essendo attinente all'efficacia di attività processuale svolta
nell'esclusivo interesse del fallimento procedente, è suscettibile di sanatoria, con
effetto "ex tunc", anche mediante successiva autorizzazione in corso di giudizio,
sempre - però - che l'inefficacia degli atti non sia stata, nel frattempo, già accertata
e sanzionata dal giudice, il che nella fattispecie non è avvenuto
Ciò premesso, si deve rilevare che il convenuto ha negato di avere
compiuto atti di mala gestio ed alcuna distrazione e ha cercato di fornire
giustificazioni relativamente ai predetti prelievi.
In particolare, ha affermato:
1. quanto ad €60.000,00, che detta somma costituiva il compenso per la
sua attività di amministratore unico svolta da febbraio a dicembre
2013, dovendo egli, non avendo altre fonti di reddito, provvedere ai
bisogni suoi e della sua famiglia;
2. quanto ad euro 55.691,54, di avere pagato in contanti, con 58 rate di
euro 950,00 ciascuna, oltre che con un pagamento di euro 500,00 e di
euro 91,56, il saldo di nn. 2 fatture (fatture n. 04/13 e n. 11/13,
rispettivamente di euro 29.950,00 ed euro 25.741,54) emesse dalla
Valerio e Simone s.n.c. relative a forniture di merce rinvenuta ed
inventariata dal curatore nel negozio di via del Mare Km 16,800 c/c
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Sedici Pini – Pomezia, unico punto vendita della Benedetti Domus
S.r.l., specificando che non doveva stupire l’effettuazione dei
pagamenti in contanti, posto che, come evincibile anche dal libro
contabile della società Benedetti Domus S.r.l. e come appurato anche
dal Commissario Giudiziale nel corso della procedura di concordato
preventivo, il contante derivava dai corrispettivi delle vendite
effettuate dal negozio del Centro Commerciale Sedici Pini.
3. quanto ad euro 20.701,29, che si trattava di un pagamento in favore
della società Argento Argenti S.r.l., come da fattura n. 1/37 del
17.01.2014, nella quale sono indicate sia la descrizione che la quantità
della merce fornita, nonché i relativi importi, specificando che detto
importo era stato pagato per mezzo di bonifico bancario, come da
estratto conto della Banca Unipol, prodotto in giudizio;
4. quanto ad euro 37.620,00, che si trattava di una somma in contante
proveniente sempre dalle vendite del negozio, versata dalla Benedetti
Domus sul c/c n. 1656 accesso presso Banca Unipol, come da ricevuta
di versamento (All.8).
Il Tribunale ritiene irrilevanti dette giustificazioni.
In relazione alla somma di cui al punto 1, si osserva che non è stato
neppure dedotto e, comunque, non è stata fornita prova che lo statuto della società
prevedesse la corresponsione di un compenso all’amministratore ed in che misura
né che l’assemblea avesse mai deliberato la corresponsione all’amministratore di
detto compenso ed il suo importo.
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Repert. n. 617/2017 del 13/01/2017
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Quanto ai pagamenti di cui ai punti 2 e 4 che precedono, lo stesso Varlotta
ha affermato che essi sono stati effettuati con denaro contante proveniente dalle
vendite del negozio, così nella sostanza non fornendo alcuna giustificazione sulla
destinazione delle somme prelevate indicate dal fallimento in citazione e sopra
riportate nella tabella che precede.
Infine, in relazione alla somma di cui al punto 3 sopra indicato, sempre il
Varlotta ha specificato che l’importo in questione era stato pagato per mezzo di
bonifico bancario, producendo in giudizio l’estratto conto della Banca Unipol.
Anche in questo caso, tale giustificazione non attiene ai prelievi contestati in
citazione e non chiarisce quale destinazione essi abbiano avuto.
Per le considerazioni sopra esposte, si deve ritenere provata la distrazione
da parte di Francesco Varlotta, ex amministratore della Benedetti Domus s.r.l. in
bonis, della complessiva somma di €175.000 che egli ha prelevato dal conto
corrente della società e ha trattenuto nella sua disponibilità senza fornire alcuna
legittima giustificazione in ordine all’utilizzo per le attività della Benedetti Domus
s.r.l.; pertanto, il predetto convenuto, in accoglimento della domanda di
risarcimento del danno avanzato dalla parte attrice, deve essere condannato alla
restituzione della somma sopra citata in favore del fallimento attore.
Il risarcimento del danno, al quale il convenuto è tenuto, dà luogo ad un
debito di valore, avendo per contenuto la reintegrazione del patrimonio del
danneggiato nella situazione economica preesistente al verificarsi dell’evento
dannoso, con la conseguenza che nella liquidazione del risarcimento deve tenersi
conto della svalutazione monetaria verificatasi tra il momento in cui si è prodotto
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il danno e la data della liquidazione definitiva: ciò, peraltro, vale anche se, al
momento della sua produzione, il danno consista nella perdita di una determinata
somma di denaro, in quanto quest’ultima vale soltanto ad individuare il valore di
cui il patrimonio del danneggiato è stato diminuito e può essere assunta come
elemento di riferimento per la determinazione dell’entità del danno (cfr., in
particolare, Cassazione civile, 27 luglio 1978, n. 3768; Cass., 14 marzo 1985, n.
1981; Trib. Milano, 14 marzo 1991). Per tale motivo, sulla somma sopra indicata
spetta all’attore anche la rivalutazione monetaria, costituendo questa
l’imprescindibile presupposto dell’espressione, in termini di equivalenza
monetaria attuale, del valore che va appunto reintegrato dal debitore e facendo
parte del cd. danno emergente. La somma di €175.000 va maggiorata della
rivalutazione -secondo i noti indici ISTAT- dall’1 aprile 2014 (epoca del
fallimento, che costituisce il momento in cui viene a cristallizzarsi l’ammontare
del danno subito) alla data di pubblicazione della sentenza definitiva.
Nella fattispecie non possono essere riconosciuti gli interessi c.d.
compensativi in aggiunta alla rivalutazione monetaria.
Infatti, l’obbligazione risarcitoria è finalizzata a porre il creditore nella
stessa situazione nella quale si sarebbe trovato, se il pagamento dell’equivalente
monetario del bene perduto fosse stato tempestivo. Conformemente ai principi
generali in materia di risarcimento dei danni, va di sicuro esclusa l’ipotizzabilità
di un danno in re ipsa, che diversamente verrebbe a coincidere con l’evento;
l’evento è invece un elemento del fatto produttivo del danno ed ormai si può
ritenere pacifico (Cass. SU 26972/08) che il danno, ai sensi degli artt. 1223 e 2056
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c.c., deve configurasi pur sempre come un danno-conseguenza e non come danno-
evento; quindi anche il danno da lucro cessante deve essere provato, in base a
conferente allegazione, tanto con riferimento all’entità quanto con riferimento al
nesso causale.
Tradizionalmente, a proposito di detta ulteriore somma di denaro, dovuta
in conseguenza del mancato godimento della somma originaria, liquidata per il
danno emergente, la giurisprudenza parla di interessi compensativi (cfr. Cass.
11718/02; Cass. 2654/05), che vengono così a rappresentare una modalità
liquidatoria, in via equitativa, del danno da ritardo nei debiti di valore (Cass.
4242/03), in mancanza di prova specifica del danno da ritardo.
Se dunque è accolta questa sostanziale equipollenza in ambito di
liquidazione equitativa fra lucro cessante ed interessi compensativi e se è vera la
superiore premessa sul danno-conseguenza, è allora evidente che non è
configurabile alcun automatismo nel riconoscimento di tali interessi in funzione
risarcitoria, con conseguente onere allegatorio e probatorio, anche attraverso
presunzioni, a carico del danneggiato per il loro riconoscimento (cfr. Cass.
12452/03; Cass. 20591/04; Cass. 22347/07).
Questi principi, dettati in ordine all’eventuale risarcibilità di un danno da
ritardo, sono stati ribaditi anche da Cass. 3355/10, che in motivazione così
precisa: “ … va ricordato che nei debiti di valore il riconoscimento di interessi
costituisce una mera modalità liquidatoria del possibile danno da lucro cessante,
cui è consentito al giudice di far ricorso col limite costituito dall'impossibilità di
calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data
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dell'illecito. Non gli è invece inibito di riconoscere interessi anche al tasso legale
su somme progressivamente rivalutate; ovvero sulla somma integralmente
rivalutata, ma da epoca intermedia; ovvero di determinare il tasso di interesse in
misura diversa da quella legale; ovvero, ancora, di non riconoscere affatto gli
interessi se, in relazione ai parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di
svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo
considerato, un danno da lucro cessante debba essere positivamente escluso
(Cass., n. 748/2000, cfr. anche Cass., nn. 490/1999 e 10751/2002). ….”.
Dunque il riconoscimento degli interessi compensativi, dalla data del fatto
o dai singoli esborsi, è possibile solo nel caso di allegazione e prova, da parte del
creditore, su di un eventuale danno da ritardo, ulteriore e maggiore rispetto a
quello risarcito con la rivalutazione (cfr. Cass. 12452/03; Cass. 2654/05 in
motivazione: “ … Gli interessi che vengono qui in considerazione sono interessi
‘compensativi’ … possono …. non riconoscersi affatto se il giudice ritenga che la
rivalutazione abbia interamente coperto il danno da ritardato conseguimento
dell'equivalente monetario (in relazione ai parametri di valutazione costituiti dal
tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel
periodo considerato, come precisato da Cass., n. 4729/2001 e n. 12788/98),
essendo inibito solo il calcolo degli interessi al tasso legale sulle somme
integralmente rivalutate a far data dall'evento dannoso. ….”).
Del resto anche la sentenza Cass. SU 1712/95 richiede la prova e
l’allegazione di detto danno da mancato guadagno, in conseguenza del lamentato
ritardato pagamento della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno
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emergente (cfr. Cass. SU 1712/95 : “ …. Tale prova può essere offerta dalla parte
e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale
l'attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze
obiettive e soggettive del caso. ….”).
In conclusione, solo qualora l’equivalente monetario attuale del danno
dovesse risultare in concreto, in base alle allegazioni e prove del danneggiato, non
sufficiente a tenere indenne costui da tutte le conseguenze pregiudizievoli del fatto
dannoso, a causa del ritardo con il quale la somma gli è stata erogata, il giudice
può liquidare tale danno anche sotto forma di interessi, a condizione che tale
danno sia ritenuto esistente prima del riconoscimento di detti interessi, che -come
detto- costituiscono una mera modalità di liquidazione del danno.
Nel caso di specie nulla risulta allegato e provato da parte del danneggiato,
per cui non possono essere riconosciuti interessi compensativi in aggiunta alla
rivalutazione monetaria.
Dalla data di pubblicazione della sentenza definitiva, invece, saranno
dovuti gli interessi al tasso legale sino al soddisfo.
Avuto riguardo all’esito della controversia, per il principio della
soccombenza, le spese del presente giudizio, sostenute dall’attore, vanno poste a
carico del convenuto soccombente. Dette spese, tenuto conto della natura e del
valore della controversia per il rapporto processuale in questione, della qualità e
quantità delle questioni trattate e dell’attività complessivamente svolta dal
difensore, sulla base dei parametri indicati dal D.M. n.55/14, vanno liquidate in
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complessivi €12.000, oltre €1.550 per spese vive ed oltre accessori come per
legge.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa ed ulteriore domanda ed
eccezione:
condanna Francesco Varlotta al pagamento, in favore del Fallimento della
Benedetti Domus s.r.l., della somma di €175.000, oltre a rivalutazione ed
interessi come in motivazione;
condanna Francesco Varlotta alla rifusione, in favore del fallimento della
Benedetti Domus s.r.l., delle spese processuali, liquidate come in
motivazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile del
Tribunale – Tribunale delle Imprese, in data 7 dicembre 2016.
Il Presidente est.
(dott. Francesco Mannino)
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