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STUDIO LEGALE FERRERI ASSOCIAZIONE PROFESSIONALE
1 0 12 1 Tori no - Vi a E . De Sonna z 1 1 - T e l . + 3 9 01 1 5 16 5 111 R . A . - F a x + 3 9 0 11 56 2 62 38 -
t or in o@ s t u d iof er r er i . i t
0 0 1 86 Roma - Pi a z z a d i Pi e t ra 2 6 - T el . + 3 9 0 6 6 97 97 6 27 R . A . - F a x +3 9 06 69 92 1 34 6 -
r om a @ s t u diof er r er i . i t
www.studi ofe r re r i . i t
P A R T I T A I V A E C O D I C E F I S C A L E 0 2 6 9 7 2 0 0 0 1 8
francesco.gerino@studioferreri.it
Avv. Paolo Emilio FERRERI Socio Onorario
Avv. Giovanni Maria FERRERI
Avv. Assunta CONFENTE
Avv. Renato MARTORELLI
Avv. Marco DURANTE
Avv. Giorgio MARTORELLI
Avv. Antonio D’ADDARIO
Avv. Cristina GIOVANDO
Avv. Marco SCALVINI
Avv. Luca ANTONETTO
Avv. Alessandro BOLLA
Avv. Cristiano FERRO
Avv. Francesco GERINO
Avv. Filippo MOLLEA CEIRANO
Avv. Stefania CREMA
Avv. Gian Luigi BERGALLO
Avv. Luciano SPACCA
Avv. Elena DE BERNARDI
Avv. Samuela FERRERO
Avv. Sara SILENGO
Avv. Elisabetta PICCA
Avv. Giuseppe PAONE
Dottore di ricerca
Avv. Leila INDELLICATI MECHIM
Avv. Paolo Emilio FERRERI
Avv. Ilario RIZZATO
Avv. Anna RECCHIA
Avv. Ludovica VITELLI
Avv. Camilla CRAVETTO
Dott. Claudia GAIDANO
Consulenti
Prof. Silvia FERRERI Sistemi Giuridici Comparati
Università di Torino
Prof. Alessandra ROSSI Diritto Penale Commerciale
Università di Torino
Avv. Maria Teresa ARMOSINO
Dott. Gianluigi PASQUALETTO
Legge 15 dicembre 2014, n. 186 – Collaborazione
volontaria per l’emersione ed il rientro di capitali detenuti
all’estero - Prescrizioni e presidi di cui al d. lgs. 21 novembre
2007, n. 231 in riferimento al ruolo delle fiduciarie
1. Premessa normativa ed inquadramento generale
Ai sensi dell’art. 5 quater, 1 lett. a) l. 186/2015 l’autore
della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’art. 4,
comma 1 della l. 4 agosto 1990, n. 227 commessi fino al 30
settembre 2014 che vuole avvalersi della procedura di
collaborazione volontaria per l’emersione delle attività
finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio
dello Stato deve “indicare spontaneamente
all'Amministrazione finanziaria, mediante la presentazione di
apposita richiesta, tutti gli investimenti e tutte le attività di
natura finanziaria costituiti o detenuti all'estero, anche
indirettamente o per interposta persona, fornendo i relativi
documenti e le informazioni per la determinazione dei redditi
che servirono per costituirli o acquistarli, nonché dei redditi
che derivano dalla loro dismissione o utilizzazione a
qualunque titolo, unitamente ai documenti e alle informazioni
per la determinazione degli eventuali maggiori imponibili agli
effetti delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle
imposte sostitutive, dell'imposta regionale sulle attività
produttive, dei contributi previdenziali, dell'imposta sul valore
aggiunto e delle ritenute, non connessi con le attività'
costituite o detenute all'estero, relativamente a tutti i periodi
d'imposta per i quali, alla data di presentazione della
richiesta, non sono scaduti i termini per l'accertamento o la
contestazione della violazione degli obblighi di dichiarazione di
cui all'articolo 4, comma 1:
Omissis.
3. Entro la data di esecuzione dei versamenti indicati
al comma 1, lettera b), l'Agenzia delle entrate comunica
all'autorità giudiziaria competente la conclusione della
procedura di collaborazione volontaria, per l'utilizzo
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dell'informazione ai fini di quanto stabilito all'articolo 5
quinquies, comma 1, lettere a) e b)”.
L’esito positivo della procedura determina i seguenti effetti:
Art. 5 quinquies (Effetti della procedura di collaborazione
volontaria). - 1. Nei confronti di colui che presta la collaborazione
volontaria ai sensi dell'articolo 5 quater:
a) è esclusa la punibilità per i delitti di cui agli articoli 2, 3, 4,
5, 10 bis e 10 ter del d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74 e succ. mod.;
b) è altresì esclusa la punibilità delle condotte previste dagli
articoli 648 bis e 648 ter c. p., commesse in relazione ai delitti di
cui alla lettera a) del presente comma.
2. Le disposizioni del comma 1 si applicano limitatamente
alle condotte relative agli imponibili, alle imposte e alle ritenute
oggetto della collaborazione volontaria.
3. Limitatamente alle attività oggetto di collaborazione
volontaria, le condotte previste dall'articolo 648 ter 1 c. p. non sono
punibili se commesse in relazione ai delitti di cui al comma 1, lettera
a), del presente articolo sino alla data del 30 settembre 2015, entro
la quale può essere attivata la procedura di collaborazione
volontaria.
I reati di cui al d. lgs. 74/2000 che si giovano della esclusione
di punibilità portano le seguenti rubriche: dichiarazione fraudolenta
mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
(art. 2), dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3),
dichiarazione infedele (art. 4), omessa dichiarazione (art. 5), omesso
versamento di ritenute certificate (art. 10 bis) e omesso versamento di
iva (art. 10 ter). I reati di cui al codice penale che si giovano della
esclusione di punibilità in relazione ai delitti ora elencati sono il
riciclaggio (art. 648 bis) e l’impiego di denaro, beni o utilità di
provenienza illecita (art. 648 ter); l’autoriciclaggio (art. 648 ter 1.) è la
fattispecie di cui è esclusa la punibilità in relazione alle attività
oggetto di collaborazione volontaria con condotta che dovrà essere
realizzata non oltre il 30 settembre 2015.
E’ stato previsto un nuovo reato, collegato alla ‘correttezza’
della procedura, con opportune attestazioni di veridicità poste a carico
dell’autore/soggetto richiedente l’adesione alla procedura di
collaborazione volontaria. Ai sensi dell’art. 5 septies. - (Esibizione di
atti falsi e comunicazione di dati non rispondenti al vero). - 1.
L'autore della violazione di cui all'articolo 4, comma 1, che,
nell'ambito della procedura di collaborazione volontaria di cui
all'art. 5 quater, esibisce o trasmette atti o documenti falsi, in
tutto o in parte, ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al
vero è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.
2. L'autore della violazione di cui all'art. 4, comma 1, deve
rilasciare al professionista che lo assiste nell'ambito della
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procedura di collaborazione volontaria una dichiarazione sostitutiva
di atto di notorietà con la quale attesta che gli atti o documenti
consegnati per l'espletamento dell'incarico non sono falsi e che i
dati e notizie forniti sono rispondenti al vero”.
Le Istruzioni per la compilazione della richiesta di adesione
alla procedura di collaborazione volontaria – Agenzia delle Entrate
(30 gennaio 2015- prot. 2015/13193) evidenziano con precisione in
prima istanza i soggetti che possono presentare la richiesta ed in
seconda battuta specificano in modo analitico le modalità di
presentazione, la struttura del modello di richiesta, le regole per la
corretta compilazione delle diverse schede (scheda richiedente e
scheda attività), nonché la documentazione allegata e la previsione
della relazione di accompagnamento. In particolare, in riferimento alla
scheda richiedente si devono evidenziare, tra il resto e per quanto in
questa sede rilevante e conferente, con trasparenza gli elementi di
identificazione del soggetto, mentre nella scheda attività si devono
riportare, tra il resto e per quanto in questa sede rilevante e conferente,
per ciascun periodo di imposta accertabile le informazioni relative
all’acquisizione dell’attività, alle persone che ne hanno e ne hanno
avuto la disponibilità, alla sua gestione e all’eventuale dismissione e
devono inoltre essere evidenziati i singoli apporti e la relativa
provenienza, nonché i singoli prelevamenti, con la relativa
destinazione.
Circa la natura giuridica della ‘non punibilità’, si ritiene
trattarsi di una ‘causa sopravvenuta di non punibilità’. La ratio si
evidenzia nella scelta statuale di negazione e di esclusione della
opportunità di perseguire il possibile autore o punire il soggetto attivo
di un reato a seguito di valutazioni e ragioni politico-criminali, nel
quadro di bilanciamento di interessi di tipo pubblicistico. La
collaborazione volontaria - con la successiva perfezione della stessa a
livello prima astratto e poi effettivo/concreto - viene ad inquadrarsi in
detta categoria (in riferimento alle ipotesi indicate nell’art. 5 quinquies
l. 186 del 2014.
A livello generale, si intendono cause sopravvenute di non
punibilità quelle disposizioni che possono determinare l’esclusione
dell’accertamento dei fatti di reato in esse richiamati e sui quali esse
risultano normativamente operanti, ovvero possono premiare con
l’impunità chi, avendo posto in essere un comportamento antigiuridico
rapportabile ad un fatto di reato, realizzi, volontariamente,
successivamente una condotta tale o da impedire che la situazione di
pericolo già creata si traduca nella lesione del bene giuridico tutelato
dalla norma penale, ovvero da reintegrare ex post il bene offeso. In
questa concreta situazione, la scelta del ‘ravvedimento’ ed il
conseguente intervento positivo/antagonista del fatto di reato del
soggetto attivo sono imprescindibili. E non è inconferente evidenziare
che cause premiali sopravvenute di non punibilità sono previste nella
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normativa penale italiana, tra l’altro, in relazione a fattispecie di
criminalità organizzata con finalità di eversione politica o di
terrorismo, ad alcuni delitti contro l’amministrazione della giustizia,
alla falsità in monete. Ancora, nella recente legislazione si segnala la
tendenza ad attribuire sempre maggior rilievo, quali cause
sopravvenute di non punibilità, a condotte riparatorie.
Diverse da queste sono le cause di estinzione del reato, le
quali, sempre cause di esclusione della punibilità, costituiscono però
istituti che prendono vita in modo del tutto indipendente da
comportamenti dell’agente o che comunque non si esauriscono in un
comportamento dell’agente, ma sono integrati da accadimenti naturali
(morte del reo, decorso del tempo necessario per la prescrizione) o da
vicende giuridiche (leggi di amnistia, provvedimenti di ammissione
all’oblazione).
La differenza tra l. 186 e d. l. 28 gennaio 2014, n. 4 non
convertito (comunque antecedente storico della normativa qui in
esame ed oggi in vigore) si evidenzia anche in relazione alle ipotesi di
reato oggetto di non punibilità: se nel secondo il Governo nel 2014 si
limitò ad alcune ipotesi fiscali, la l. 186, indica oltre ai reati fiscali
avanti elencati, proprio il riciclaggio e l’impiego di denaro beni o
utilità di provenienza illecita (come noto commissibili per quanto qui
rilevante esclusivamente da soggetti diversi il richiedente la procedura
di collaborazione volontaria e fuori dai casi di concorso con lo stesso
nei reati presupposto di tipo fiscale) e l’autoriciclaggio (commissibile
da colui che aderisce alla procedura autore dei reati fiscali) se
realizzati ‘in connessione’ con le ipotesi fiscali considerate, così
ampliando in maniera importante e del tutto sottoscrivibile il novero
delle ipotesi di reato non punibili perfezionate od in corso di possibile
realizzazione, contestualmente attribuendo maggior logica di rapporti
tra voluntary disclosure e rischi penali, nel caso appunto limitati e
ridimensionati per dato normativo espresso.
2. Obblighi ‘antiriciclaggio’: tipologia e distinzioni;
problemi e prospettive comportamentali
La circolare del 9 gennaio 2015 del MEF in relazione
all’adempimento degli obblighi (presidi e sanzioni) di cui al d. lgs.
231 del 2007 sostiene che “l’approvazione delle norme sulla
cosiddetta collaborazione volontaria non ha alcun impatto
sull’applicazione delle sanzioni e dei presidi previsti dal d. lgs. 21
novembre 2007, n. 231, in materia di contrasto del riciclaggio e di
finanziamento al terrorismo che pone obblighi di collaborazione attiva
strumentali alla prevenzione dei fenomeni di circolazione di capitali di
provenienza illecita. Anche rispetto alle attività volontariamente
dichiarate al fisco, che beneficiano della speciale procedura disegnata
dalla legge in oggetto, resta pertanto immutato l’obbligo di attivare le
procedure di adeguata verifica della clientela, incluso l’obbligo di
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identificazione del titolare effettivo e l’applicazione di misure
rafforzate di adeguata verifica della clientela, nel caso di elevato
rischio di riciclaggio o finanziamento al terrorismo. Omissis. Tali
presidi nell’assolvere, infatti, a una funzione di esaustiva ed
aggiornata acquisizione di dati e informazioni utili ad intercettare e
mitigare il rischio di riciclaggio e di finanziamento al terrorismo,
appaiono pienamente coerenti rispetto alla ratio di effettiva disclosure
sottesa alla procedura di collaborazione volontaria che, per poter
essere correttamente esperita, richiede che siano indicati
all’Amministrazione finanziaria ‘tutti gli investimenti e tutte le attività
di natura finanziaria costituiti o detenuti all’estero, anche
indirettamente o per interposta persona, fornendo i relativi documenti
e le informazioni’. Del pari immutati restano gli obblighi di
registrazione e di segnalazione di eventuali operazioni sospette,
secondo quanto previsto dal d. lgs. 231 del 2007”.
La circolare del 31 gennaio 2014 del MEF (relativa al d. l. 4
del 2014, non convertito) in relazione all’adempimento degli obblighi
(presidi e sanzioni) di cui al d. lgs. 231 del 2007 sosteneva che
“l’approvazione delle norme sulla voluntary disclosure non ha alcun
impatto sull’applicazione delle sanzioni e dei presidi previsti dal d.
lgs. 21 novembre 2007, n. 231, in materia di contrasto del riciclaggio e
di finanziamento al terrorismo. A riguardo, si sottolinea che le
esimenti previste dal decreto legge operano unicamente sul piano
fiscale. Ne consegue che, ai fini di prevenzione del riciclaggio e di
finanziamento al terrorismo, l’applicazione delle predette norme non
vale, in alcun modo, a qualificare di per sé come lecite le risorse o le
attività, oggetto di volontaria emersione, illegalmente detenute o
stabilite all’estero. Anche rispetto alle attività volontariamente
dichiarate al fisco, che beneficiano della speciale procedura disegnata
dalla legge in oggetto, resta pertanto immutato l’obbligo di attivare le
procedure di adeguata verifica della clientela, incluso l’obbligo di
identificazione del titolare effettivo e l’applicazione di misure
rafforzate di adeguata verifica della clientela, nel caso di elevato
rischio di riciclaggio o finanziamento al terrorismo. Omissis. Del pari
immutati restano gli obblighi di registrazione e di segnalazione di
eventuali operazioni sospette, secondo quanto previsto dal d. lgs. 231
del 2007”.
In un contesto di rilevanza e di rischi penali – contesto
differente da quello relativo alla problematica delle prescrizioni
antiriciclaggio, con soggetti diversi quali destinatari della punibilità
per fatti di reato o quali destinatari delle sanzioni per inottemperanza
agli obblighi antiriciclaggio, ma comunque importante in un quadro di
interpretazione sistematica - va rilevato che la Circolare 2015 ha
ripreso sostanzialmente le argomentazioni della precedente del 2014,
senza considerare la diversa scelta del legislatore di ricomprendere tra
i reati oggetto di non punibilità a seguito di collaborazione volontaria
anche le ipotesi di riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di
provenienza illecita ed autoriciclaggio se commessi ‘in connessione’
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con le ipotesi fiscali. Peraltro, la circolare del 2014 evidenziava con
formula espressa che la logica del mantenimento operativo dei presidi
di cui al d. lgs. 231 del 2007 era dovuta alla esclusione di punibilità
solo per le ipotesi fiscali. Oggi la situazione normativa è modificata e
di questo occorre prendere buona nota in riferimento alla sussistenza
proprio della logica del mantenimento operativo dei presidi di cui al d.
lgs. 231 del 2007, non più fondabile sulla non punibilità dei soli reati
fiscali.
Tra le potenzialità della voluntary disclosure, comunque ed a
prescindere dalla non punibilità delle ipotesi espressamente indicate
nella l. 186, non pare azzardato ipotizzare l’annullamento del rischio
di commissione di riciclaggio (nonché di impiego di denaro, beni o
utilità di provenienza illecita o di autoriciclaggio) a livello generale: le
caratteristiche di trasparenza informativa a 360 gradi propria delle
procedura di emersione e di rientro dei capitali detenuti all’estero, così
come voluta dallo Stato italiano ed elaborata dal legislatore,
ontologicamente consentono, per logica prima che per diritto, di
escludere che, se perfezionato il rispetto delle stesse, si possano in
assoluto concretizzare le condotte realizzate da terzi e fuori dai casi di
concorso nel reato a monte di – limitandosi a considerare il delitto di
riciclaggio – ‘sostituzione o trasferimento di denaro, beni o altre utilità
provenienti da delitto non colposo’ o di ‘compimento in relazione ad
essi di altre operazioni, in modo da ostacolare la identificazione della
loro provenienza delittuosa’ appunto previste e punite dall’art. 648 bis
c. p. Come del pari non si può, per logica prima che per diritto,
ritenere astrattamente realizzabile il delitto di autoriciclaggio, fermo
invece il rischio di responsabilità per reati già perpetrati dal soggetto
aderente alla procedura differenti da quelli fiscali elencati nel testo
normativo come non punibili.
Passando al contesto del d. lgs. 231 del 2007, si può prendere
avvio dalla nozione di riciclaggio ivi considerata per verificare se
possano esservi rapporti ed intersezioni tra le caratteristiche del
riciclaggio così come indicate a livello normativo, la prevenzione del
fenomeno attuata attraverso gli adempimenti di cui al d. lgs. 231 del
2007 e la concretizzazione delle operazioni sospette giusto l’art. 41
del d. lgs. 231 del 2007 ed i contenuti delle informazioni
caratterizzanti la procedura di collaborazione volontaria, ovvero se la
appurata completezza delle notizie acquisibili a livello statuale e
relative sia alla figura del richiedente, sia alle attività oggetto di
volontaria regolarizzazione, con esclusione di ogni forma di
anonimato e con la costante presenza dell’Agenzia delle entrate, porti
a limitare fortemente la tipologia dei rapporti e delle intersezioni, con
conseguente intervento (almeno parzialmente) ablativo dell’obbligo
giuridico di ottemperanza agli obblighi di cui è causa ascrivibile alle
società fiduciarie in relazione – è importante nuovamente sottolinearlo
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– alla sola particolare ed eccezionale ipotesi della collaborazione
volontaria.
ARGOMENTAZIONE 1 – assenza di presupposti
L’art. 2, rubricato Definizione di riciclaggio e di finanziamento
del terrorismo e finalità del decreto statuisce che “1. Ai soli fini del
presente decreto le seguenti azioni se commesse intenzionalmente
costituiscono riciclaggio:
a) La conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo
a conoscenza che essi provengono da un’attività criminosa o da una
partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare
l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto
in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie
azioni;
b) L’occultamento o la dissimulazione della reale natura,
provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà di beni o
dei diritti sugli stessi effettuati o essendo a conoscenza che tali beni
intervengono da una attività criminosa o da una partecipazione a tale
attività;
c) L’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni essendo a
conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni
provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale
attività;
d) La partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere
precedenti, l’associazione per commettere tale atto, il tentativo di
perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a
commetterlo o il fatto di agevolarne l’esecuzione.
Omissis
5. Al fine di prevenire l’utilizzo del sistema finanziario e di
quello economico per finalità di riciclaggio o di finanziamento al
terrorismo, il presente decreto detta misure volte a tutelare l’integrità
di tali sistemi e la correttezza dei comportamenti.
Omissis”.
Circa il concetto di riciclaggio ai sensi del d. lgs. 231 del 2007
e di prevenzione dello stesso, che incentra nelle ottemperanze agli
obblighi di cui al d.lgs. 231 del 2007 da parte dei soggetti elencati
nell’art. 11 d.lgs. 231 del 2007 il dovere di collaborare con lo Stato in
tale attività preventiva, proprio l’intercorrente rapporto con lo
Stato/Amministrazione finanziaria appare congruo ad escludere quelle
fraudolente modalità che connotano il comportamento illecito,
enucleabili, a livello generale, nell’occultamento o nella
dissimulazione della provenienza illecita dei beni, della loro
provenienza, ubicazione, disposizione, movimentazione, proprietà o
diritti sugli stessi, o nell’aiutare chi sia coinvolto in tale attività a
sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni. Le più volte
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ricordate completezza ed analiticità delle informazioni oggettive e
soggettive, con non ultima l’esclusone dell’anonimato, nonché la
precisa specificazione normativa degli effetti/conseguenze giuridiche,
anche penali, della procedura di collaborazione volontaria aggiungono
validità all’assunto.
Parallelamente e consequenzialmente, si può pervenire alla
dimostrazione della mancanza (almeno parziale) dei presupposti
normativi che, in relazione alla particolare ed eccezionale procedura di
collaborazione volontaria, individuano il dovere di ottemperanza, per
le società fiduciarie, all’adempimento degli obblighi di cui al d. lgs.
231 del 2007, con conseguente esclusione di responsabilità per omessa
attivazione.
Al riguardo, vanno nuovamente evidenziati l’esclusione
dell’anonimato in riferimento alla figura del soggetto regolarizzatore e
l’ampiezza delle conoscenze oggettive e soggettive che lo
Stato/Amministrazione finanziaria/Agenzia delle entrate vengono ad
acquisire a seguito dell’instaurazione, prima e della conclusione, poi
della procedura di voluntary disclosure.
In tale ipotesi, la funzione di prevenzione del fenomeno del
riciclaggio, che come già rilevato incentra nelle ottemperanze agli
obblighi di cui al d.lgs. 231 del 2007 da parte dei soggetti elencati
nell’art. 11 d.lgs. 231 del 2007 il dovere di collaborare con lo Stato in
tale attività preventiva, si estrinseca già nella presa di cognizione da
parte dell’Agenzia delle entrate di tutte le rilevanti notizie presenti
obbligatoriamente nelle comunicazioni intercorrenti tra l’Agenzia
delle entrate ed i soggetti che spontaneamente aderiscono alla
collaborazione in parola, con conseguente esclusione del dovere di
paritaria informativa nei soggetti di cui all’art. 11, con specifico
riferimento alle società fiduciarie.
Avvalora la presentata considerazione l’analisi di alcuni dei
contenuti della ‘Richiesta di ammissione alla procedura di
collaborazione volontaria’ predisposta dall’Agenzia delle entrate, ove,
ad esempio, con riferimento alla peculiare figura del ‘titolare effettivo’
nel contesto dell’individuazione del collegamento del richiedente la
regolarizzazione e le attività rilevanti, il termine in parola viene
mutuato proprio da quanto indicato nel decreto antiriciclaggio, con
conseguente ottemperanza in parte qua già espletata ‘a monte’.
Va considerata positivamente la mancanza, nel generale
contesto della l. 186, del richiamo al parziale annullamento di
doverosità di segnalazione di operazioni sospette, come invece
avvenne nelle precedenti normazioni del 2001 e del 2009 relative alle
diverse modalità di rientro dei capitali. Infatti, l’attuale procedura
prevede la individuazione del soggetto attivo della voluntary
disclosure, così come presuppone la piena conoscenza, per lo
Stato/Amministrazione finanziaria dei dati e delle notizie oggettivi e
soggettivi, con un conseguente differente ruolo dell’intermediario
finanziario/società fiduciaria. Di tale che, se in precedenza il
legislatore si trovava nella necessità di tutelare l’intermediario,
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espressamente statuendo la legittimazione all’inottemperanza degli
obblighi di cui all’art. 41 d. lgs. 231 del 2007, che in assenza di tale
indicazione sarebbero risultati esistenti, oggi tale necessità non si
prospetta, poiché non sussiste l’obbligo, essendo ben noti allo Stato
sia le ‘generalità’ dei soggetti che optano per la collaborazione
volontaria per la regolarizzazione di capitali non dichiarati e detenuti
all’estero, sia la ‘storia’ di tali attività.
Risulta quindi escluso l’obbligo giuridico di attivazione ‘di
regola’ presente in capo alle società fiduciarie, con la conseguente
esclusione di responsabilità per l’inerzia, non trattandosi appunto di
omissione volontariamente effettuata a fronte di un dovere rilevante di
attivazione. Non ultimo evidenziandosi che nell’ipotesi di reato di
riciclaggio commesso in relazione ai reati fiscali elencati nella l. 186
eventualmente realizzato dal fiduciario, questo non sarebbe punibile.
Ed aggiungendosi che, a prescindere dalla espressa esclusione
normativa, comunque, come già supra posto in chiaro, proprio la
corretta risoluzione della procedura di voluntary disclosure ha la
potenzialità – giova ripeterlo, per logica prima che per diritto – di
escludere la commissione del delitto di riciclaggio quale fatto di reato:
come allora ipotizzare una responsabilità del fiduciario per omessa
ottemperanza agli obblighi di cui al d. lgs. 231 del 2007 in riferimento
alla procedura, quando sarebbe esclusa la responsabilità per il reato?
ARGOMENTAZIONE 2 – assenza di presupposti per la
S.O.S.
Circa gli obblighi di segnalazione di cui al Capo II del d. lgs.
231 del 2007, con specifico riferimento alla Segnalazione di
operazioni sospette di cui all’art. 41, l’adempimento va ottemperato a
condizione che il soggetto obbligato sappia, sospetti o abbia motivi
ragionevoli per sospettare che siano state compiute o tentate
operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
Testualmente affermandosi, a valore definitorio del concetto, che “Il
sospetto è desunto dalle caratteristiche, entità, natura dell’operazione
o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle
funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e
dall’attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi a
disposizione dei segnalanti, acquisiti nell’ambito dell’attività svolta,
ovvero a seguito del conferimento di un incarico. E’ un elemento di
sospetto il ricorso frequente o ingiustificato a operazioni in contante,
anche se non violazione dei limiti di cui all’art. 49, e, in particolare, il
prelievo o il versamento in contante con intermediari finanziari di
importo pari o superiore a euro quindicimila”.
Per quanto riguarda il concetto di operazioni sospette
importanti sono i contenuti del provvedimento recante gli Indicatori di
anomalia per gli intermediari di cui alla delibera della Banca d’Italia
n. 616 del 24 agosto 2010.
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Va posto all’attenzione, in riferimento alla funzione di detti
indicatori, che all’art. 3.2 gli “indicatori di anomalia sono volti a
ridurre i margini di incertezza connessi con valutazioni soggettive o
con comportamenti discrezionali e intendono contribuire al
contenimento degli oneri e al corretto ed omogeneo adempimento
degli obblighi di segnalazione di operazioni sospette”.
Gli indicatori di anomalia connessi al cliente si evidenziano,
sulla base testuale dell’Allegato alla delibera di cui è causa,
allorquando:
il cliente si rifiuta o si mostra riluttante a fornire le
informazioni richieste, ovvero fornisce informazioni false o
contraffatte, ovvero varia ripetutamente senza apparente
modificazione le informazioni fornite;
il cliente, senza fornire alcuna plausibile giustificazione adotta
un comportamento del tutto inusuale rispetto a quello comunemente
tenuto dalla clientela;
il cliente effettua operazioni in contanti di significativo
ammontare ovvero con modalità inusuali quando è noto per essere
stato sottoposto a procedimento penale, a misure di prevenzione o
provvedimenti di sequestro, ovvero quando è notoriamente contiguo
(ad esempio familiare) a soggetti sottoposti a misure della specie
ovvero effettua tali operazioni con controparti note per le medesime
circostanze;
il cliente risiede ovvero opera con controparti situate in Paesi o
territori a rischio ed effettua operazioni di significativo ammontare
con modalità inusuali, in assenza di plausibili ragioni.
Gli indicatori di anomalia connessi alle operazioni o ai
rapporti si caratterizzano per:
operazioni con configurazione illogica, soprattutto se
economicamente o finanziariamente svantaggiose per il cliente che
non risultano in alcun modo giustificate;
operazioni che risultano inusuali rispetto alla prassi corrente di
mercato ovvero sono effettuate con modalità e strumenti
significativamente diversi da quelli utilizzati dagli altri operatori attivi
nello stesso comparto, soprattutto se caratterizzate da elevate
complessità ovvero da trasferimento di soldi di importo significativo,
qualora non siano giustificati da specifiche esigenze;
operazioni che risultano non coerenti - anche per gli strumenti
utilizzati - con l’attività svolta ovvero con il profilo economico,
patrimoniale o finanziario del cliente ovvero, in caso di persona
giuridica, dal relativo gruppo di appartenenza ove non siano
adeguatamente giustificate dal cliente;
operazioni effettuate frequentemente o per importi
significativi da un cliente in nome e in favore di terzi ovvero da terzi
in nome o a favore di un cliente qualora i rapporti personali,
commerciali o finanziari tra le parti non risultino giustificati,
soprattutto se volti a dissimulare il collegamento con altre operazioni.
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Gli indicatori di anomalia connessi ai mezzi e alle modalità di
pagamento si specificano ne:
l’utilizzo ripetuto e ingiustificato di denaro contante, specie se
per importi rilevanti o qualora implichi ricorso a banconote di elevato
taglio;
nel ricorso a tecniche di frazionamento dell’operazione con
presumibili finalità elusive degli obblighi di adeguata verifica di
registrazione, in assenza di giustificate esigenze rappresentate dal
cliente, soprattutto se volte a dissimulare il collegamento con altre
operazioni;
l’ utilizzo di strumenti di pagamento (carte di debito, carte di
credito, carte prepagate, monete elettroniche anche nella loro evidenza
fisica e virtuale) che, per modalità, ricorrenza o rilevanza economica,
non risulta coerente con la normale operatività del cliente ovvero con
l’operatività del distributore o dell’esercente (cosiddetto merchant);
l’utilizzo ripetuto e per importi complessivi rilevanti dei servizi
di pagamento nella forma dell’incasso e del trasferimento fondi
(cosiddetto money transfer), laddove l’operatività risulti incoerente
con le condizioni economiche e finanziarie del cliente e non sia
adeguatamente giustificata.
Gli indicatori di anomalia relativi alle operazioni in strumenti
finanziari e ai contratti assicurativi si evidenziano nelle
operazioni in strumenti finanziari incoerenti con il profilo
economico, finanziario o patrimoniale del cliente, ovvero, nel caso di
persone giuridiche, del gruppo di appartenenza, oppure effettuate con
modalità inusuali o illogiche, soprattutto se di ammontare
complessivamente rilevante, non adeguatamente giustificate da
specifiche esigenze;
operazioni con oggetto strumenti finanziari che si
caratterizzano per l’intestazione a favore di terzi ovvero per
l’intervento di soggetti diversi, qualora non sia in alcun modo
giustificato dal rapporto con le parti;
operazioni frequenti o di importo significativo effettuate su
strumenti finanziari non de materializzati, soprattutto se al portatore,
in assenza di plausibili giustificazioni;
stipula di polizze assicurative vita o di rapporti di
capitalizzazione che risultano incoerenti con il profilo del cliente o che
presentano modalità inusuali, specie se di ammontare rilevante, ove
non giustificate da specifiche esigenze rappresentate dal cliente;
operazioni attinenti polizze assicurative vita o a rapporti di
capitalizzazione effettuate frequentemente o per importi rilevanti dal
contraente in nome o a favore di terzi ovvero da terzi in nome o a
favore del contraente, qualora i rapporti personali, commerciali o
finanziari tra le parti non risultano giustificati;
pagamenti di premi relativi a polizze assicurative vita o a
rapporti di capitalizzazione con modalità inusuali o illogiche, specie di
ingente ammontare non giustificate da specifiche esigenze
rappresentate dal cliente;
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riscatto o liquidazione di polizze assicurative vita o di rapporti
con modalità inusuali o illogiche, non giustificate da specifiche
esigenze rappresentative del cliente.
Per quanto riguarda poi gli indicatori di anomalia relativi al
finanziamento al terrorismo si aggiungono
operazioni che, per il profilo soggettivo di chi le richiede
ovvero per le modalità inusuali della movimentazione, appaiono
riconducibili a fenomeni di finanziamento del terrorismo;
operazioni che per le modalità inusuali della movimentazione
o l’incoerenza con il profilo economico di chi le richiede appaiono
riconducibili all’abuso di organizzazione no profit a scopo di
finanziamento del terrorismo.
In prima istanza, nel caso della procedura di collaborazione
volontaria non pare si evidenzino tipologie comportamentali che si
riconnettano a quanto avanti prospettato.
La lettura combinata dell’indicazione normativa definitoria
delle stesse in punto ‘sospetto’ con gli indicatori di anomalia ad esse
connesse conduce positivamente alla considerazione della mancanza
di tali caratteristiche nella sistematica operativa della procedura di
collaborazione volontaria, permeata da trasparenza informativa e
comportamentale quali linee portanti della regolarizzazione appunto.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Tuttavia ed in subordine, ipotizzando il mantenimento
dell’obbligo per le società fiduciarie dell’ottemperanza ai presidi
antiriciclaggio nel rapporto con il soggetto fiduciante e nel contesto
della voluntary disclosure – comunque fermo e ribadito il dubbio sulla
ratio della sussistenza di esso e sulla ipotetica doverosità delle
prescrizioni in connessione con la voluntary disclosure appunto - la
questione si sviluppa e si incentra sulla estensione degli obblighi,
anche in correlazione alla documentazione in possesso della società
fiduciaria.
In relazione agli adempimenti ribaditi nella circolare MEF
2015, quelli inerenti in generale alla adeguata verifica della clientela
ed alla identificazione del titolare effettivo si possono considerare
pressoché insiti negli adempimenti prescritti quali requisiti per la
compilazione del ‘modello della richiesta di accesso alla procedura di
collaborazione volontaria’.
Invece, diversamente si pone la questione in riferimento
all’obbligo di segnalazioni di operazioni sospette, anche circa
l’individuazione del momento temporale dello stesso. Ciò, proprio per
evitare un eventuale crash normativo tra le previsioni della l. 186 (non
si dimentichi che la voluntary disclosure costituisce una precisa scelta
dello Stato) ed il d. lgs. 231 del 2007.
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Una anomalia comportamentale fondante la segnalazione di
operazione sospetta va senz’altro ravvisata nel riscontro di un
comportamento non allineato alle caratteristiche di trasparenza
richieste.
Tanto prospettato, ne deriva che l’assenza di obbligo di
segnalazione verrebbe a perfezionarsi allorquando, acquisita la
documentazione e riscontrata la completezza delle informazioni
fornite dal fiduciante, la società fiduciaria non si trovi a rilevare
elementi ulteriori e diversi da quelli appunto contenuti nella
documentazione acquisita in relazione alla procedura di emersione.
La completezza dei dati e la trasparenza delle informazioni
escludono infatti che si tratti di operazione che, in quanto operazione
sospetta ai sensi dell’art. 41, possa costituire l’oggetto della doverosa
segnalazione.
Tale contezza, però, si concretizza non nel momento del primo
rapporto con il soggetto (fiduciante), ma solo successivamente, per cui
diviene imprescindibile la sospensione dell’astratto obbligo e la
devoluzione temporale del medesimo allorquando la fiduciaria venga
a conoscenza della falsità delle informazioni ricevute o rese, ovvero
dell’esito negativo della procedura, con la possibile realizzazione da
parte del soggetto ‘infedele’ , in un contesto penale, del reato di cui
all’art. 5 septies.
Ed è importante evidenziare che con tale asserzione si
ribadisce la doverosità dell’ottemperanza della segnalazione in
relazione alle operazioni sospette, evidenziandosi, peraltro, che detta
qualificazione si accerta soltanto in un momento temporalmente
successivo rispetto al primo contatto tra fiduciante e fiduciario.
In sintesi: per addivenire a tale qualificazione è imprescindibile
lo spostamento ‘in avanti’ del termine – ex tunc e non ex nunc – e
quindi del momento in cui si crea l’obbligo giuridico di segnalazione.
Momento che si verifica allorquando la fiduciaria, esaminati i
contenuti dei documenti e valutata la difformità tra quanto ante
indicato dal fiduciante e quanto post verificato, evidenzi appunto il
crearsi del dovere di segnalazione per il verificarsi di un’anomalia
fondante la segnalazione di operazione sospetta, ovvero è quello della
‘negativa’ conclusione della procedura
L’obbligo resta, invece, escluso allorquando, si sia
perfezionato il buon esito della voluntary disclosure e non è stato
quindi realizzato il falso in informazioni.
In questo ambito, di particolare importanza e con non
indifferenti peculiarità cautelative, può presentarsi la redazione e
veritiera compilazione di una ‘scheda di sintesi’ dei dati per la società
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fiduciaria, sottoscritta dal fiduciante sotto la propria responsabilità
penale, ove risultino sinteticamente le generalità del richiedente
l’attivazione della procedura e degli eventuali soggetti collegati, i dati
generali fondanti la procedura (data e richiesta di accesso, protocollo
Agenzia delle Entrate ed ufficio competente, professionista, totale
delle attività oggetto di voluntary disclosure, tipo delle stesse, Paesi di
provenienza) che accompagni copia dei dati forniti dal Fiduciante
all’Amministrazione Finanziaria relativamente ai beni per i quali si
richiede l’instaurazione del rapporto fiduciario e la dichiarazione di
completezza degli stessi e conformità a quanto prodotto
all’Amministrazione.
Per STUDIO LEGALE FERRERI, avv. Giovanni Maria
Ferreri ed avv. Francesco Gerino, con la consulenza della prof.
Alessandra Rossi
5 febbraio 2015
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