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BIBLIOPROF – II Edizione La editoria e la storia: il libro nel corso dei secoli
Terza Lezione – Parte 1
Il libro per imparare, dall’età moderna al secolo dei Lumi.
Tracce per una storia da scrivere
Nel 1508, l’editore Manuzio pubblica a Venezia gli Adagia di Erasmo, una raccolta di
proverbi commentati ad uso dei giovani studenti. Il volume si colloca in una tradizione editoriale
dedicata alla produzione di libri per lo studio, volumi che hanno come obiettivo quello di
raccogliere, selezionare, presentare, commentare alcuni elementi di base dell’eredità classica, per
proporli agli allievi. Corrispettivo delle moderne antologie, i volumi in questione rappresentano il
tentativo di avviare lo studente alla conoscenza dei classici e abituarli anche all’arte del
commento. Il commento dell’autore è, infatti, parte integrante della trattazione e serve ad
abituare l’allievo a riflettere, dopo aver imparato a memoria molti dei passi prescelti. Seguendo
l’esempio del maestro, i discenti sono incoraggiati a commentare a loro volta i passi letti,
utilizzando taccuini o lavorando direttamente sul volume, intervenendo su quegli spazi bianchi che
lo stampatore ha intenzionalmente lasciato tra rigo e rigo, pensando proprio alle note
chirografiche di un eventuale lettore.
Sono questi i primi esempi di testi a stampa pensati per lo studio, ideati e realizzati con lo
scopo di sostenere la didattica, sia essa svolta da un precettore che lavora con un unico allievo,
piuttosto che esercitata nei collegi religiosi e laici. Proseguono, certo, una tradizione già
inaugurata con la produzione manoscritta, ma perfezionano, in qualche modo, la loro funzione
didattica. Accanto all’opera di Erasmo, altri maestri si profondono in questo tipo di scrittura, tra di
essi, Ravisius Textor allestisce una vera e propria raccolta di fatti storici, quasi aneddoti, riuniti
nella sua Officina, con l’intento di offrire allo studente esempi di comportamenti da giudicare e
imitare1.
1 Si veda Anthony Grafton, L’umanista come lettore, in Guglielmo Cavallo e Roger Chartier (a cura di), Storia della
lettura, Laterza, Roma Bari, 1995, pp 199-242
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Il commento, l’interpretazione del testo classico rappresenta la visione del docente
trasferita sulle pagine del libro. Talvolta ci si preoccupa di elaborare sistemi secondo cui lo
studente stesso possa leggere e interpretare i testi della storia. Jean Bodin, ad esempio, con il
volume Methodus ad facilem historiaum cognitionem, esprime il tentativo di istruire lo studente a
costruirsi una propria antologia di testi storici, setacciando quanti più libri sia possibile.
Questi libri di testo hanno un forte impatto, certamente più esteso dell’insegnamento di un
qualunque singolo maestro. Propongono e diffondono per tutta Europa un modo di fare scuola,
diventano, insomma, un modello destinato a durare negli anni, che condiziona profondamente il
modo di concepire lo studio e la didattica.
I libri per lo studio rappresentava, d’altra parte, una delle categorie più richieste dal
pubblico dei lettori e già tra i primi libri stampati a Magonza, assieme alla celebre Bibbia, c’è
proprio la grammatica latina di Elio Donato, la famosa Ars minor per i principianti, uno dei testi
propedeutici più importanti della tradizione medievale. Sembra che Gutenberg ne abbia prodotte
una ventina di tirature, con i suoi proto-caratteri in stile gotico, che presero appunto il nome di
“caratteri del Donato”2.
Se volessimo tentare la ricostruzione della storia del libro per imparare, una storia molto
antica, ancora in parte da scrivere, dovremmo risalire però fino ai tempi della Grecia classica o
dell’antica Roma, poi, scendendo giù attraverso il Medioevo fino all’età umanistica. Nato come
strumento di conservazione della conoscenza, il libro per apprendere trova la sua affermazione
con la diffusione della stampa, prima (sec XV) e con l’istituzione della scuola popolare, poi (sec
XVIII). In Francia si è soliti indicare come primo esemplare di libro scolastico un volume dal titolo
Gasparini pergamensis clarissimi oratoris epistolarum liber, pubblicato nel 1470. Tra i volumi
didattici degli anni seguenti si annovera poi l’Orbis pictus di Comenio, un volume risalente al 1658,
costituito per lo più di illustrazioni.
Prima ancora della stampa, del resto, molti codici manoscritti erano stati realizzati in
maniera tale da favorire l’apprendimento o la memorizzazione di concetti, la conservazione di
conoscenze. E’ implicito nella forma assunta dal libro l’intento didattico: pensiamo ad esempio
2 Si veda Armando Petrucci, I percorsi della stampa da Gutemberg all’”Encyclopédie” in Pietro Rossi (a cura di), La
memoria del sapere, Laterza, Roma Bari 1988
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all’uso degli indici, così diffuso durante tutto il Medioevo, ai capilettera istoriati, veri e propri
sommari anteposti alla trattazione, o, ancora, agli schemi, agli alberi, alle strutture logiche inserite
come tavole all’interno dei testi, elementi funzionali alla memorizzazione e al recupero delle
informazioni3.
Nella tradizione retorica, ricordare diventa sinonimo di “ritenere un testo”, durante
l’Umanesimo, il compito del maestro sarà quello di dar forma al materiale raccolto, una forma
adatta alla memorizzazione del testo. Si tratta di costruire il “manuale perfetto”, dal momento che
preparare il sapere per la memoria è diventato il primo compito dei letterati.
Il secolo XVIII inaugura la stagione del libro di scuola così come lo abbiamo concepito fino
ad oggi. Certo, per poter parlare di manuale scolastico nell’accezione odierna del termine,
dovremo attendere qualche decennio, ma, come Alain Choppin4 ci ha ben spiegato, il manuale è
solo un sottoinsieme della categoria ‘libro di scuola’, una categoria così larga e composita da
sfidare ogni tentativo di classificazione. Sotto il cappello di quello che definiamo ‘libro di scuola’ si
possono annoverare, infatti, forme editoriali le più disparate, che vanno dal libro di lettura per la
gioventù, alla raccolta di fiabe ‘edificanti’, fino al vocabolario, ai libri di abaco o ai trattati di
divulgazione scientifica del secolo XVII. Ci sono poi i volumi che non si caratterizzano come libri di
scuola, ma sono comunque strumenti destinati agli educatori, riflessioni sull’arte di educare,
indicazioni pratiche e teoriche da spendere nel momento in cui ci si accosta a questo difficile
compito.
Quando utilizziamo il termine “manuale”, poniamo l’attenzione soprattutto sulla sua
caratteristica fisica, sul fatto di essere facilmente trasportabile, tenuto in mano e consultato
all’occorrenza proprio grazie a quella «Enchiridii forma» proposta a Venezia da Aldo Manuzio, agli
inizi del 1500, e arrivata fino a noi. Ma i termini utilizzati per indicare questo oggetto sono diversi
3 Si veda Claudio Leonardi, Marcello Morelli e Francesco Santi (a cura di), Fabula in Tabula. Una storia degli indici
dal manoscritto al testo elettronico. Atti del convegno di studio (Firenze 21-22 ottobre 1994), Spoleto 1995
4 Da Alain Choppin, Le manuel scolaire, une fausse evidence historique, INRP, “Histoire de l'éducation”, n° 117,
janvier-mars 2008
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anche tra paese e paese, nelle differenti realtà territoriali d’Europa e del mondo5. Alcuni storici del
libro fanno risalire la comparsa del manuale scolastico ai tempi della Rivoluzione francese quando,
la necessità di diffondere la cultura popolare fa pronunciare a Taillerand, davanti all’Assemblea
Costituente una frase che riassume in breve la funzione principale del libro di testo: «Il faut que
des livres élémentaires, clairs, précis, méthodiques, répandus avec profusion rendent universelles
toutes les vérités et épargnent d’inutiles efforts pour les apprendre»6. Prima di allora, tuttavia, già
esistono altri esempi significativi in questo senso. Potremmo citare, infatti, il caso del granducato
di Sassonia-Weimer, nella prima metà del 1600, dove un’ordinanza impone l’obbligo scolastico e il
duca Ernesto di Sassonia-Gotha chiama, nel 1640, il pedagogo Andreas Reyher a riformare il
sistema scolastico. Ha così inizio una collaborazione tra Reyher e lo stampatore Peter Schmid per
la produzione di libri scolastici, testi ufficiali da utilizzare nelle scuole, composti proprio in virtù di
quanto previsto dall’istituzione7. Si stabilisce una stretta relazione tra programma di studio e libro
di testo che sarà una delle caratteristiche fondamentali negli anni a seguire.
5 “Ce flottement sémantique s'est même manifesté dans le vocabulaire officiel: livres élémentaires ou livres classiques,
mais aussi ouvrages classiques (13), livres de classes (14), livres scolaires (l 5), manuels scolaires (16), etc. Par ailleurs,
le même mot ne recouvre pas toujours la même signification. Ainsi l'épithète « classique», outre son sens étymologique
«( réservé aux classes»), a pris une acception plus restreinte dans les textes législatifs (par opposition à élémentaire) ;
son champ sémantique s'est par la suite considérablement étendu dans l'expression « librairie classique}), jusqu'à
englober les livres de pédagogie, de vulgarisation, les livres de lectures instructives et récréatives pour la jeunesse et ...
les cartes et tableaux muraux! (17). L'expression « manuel scolaire», en plus de sa signification première - ouvrage que
l'on tient à la main ou à portée de la main - s'applique également à « un livre qui expose les notions essentielles d'une
discipline donnée, à un niveau donné» (18) ou bien, « outre les livres destinés explicitement aux classes depuis l'école
élémentaire jusqu'à l'université ... » « ...ce qui a un caractère didactique exclusif, ce qui découpe, explique, résume,
adapte, oriente ... » (Da Alain Choppin, Le manuel scolaire, une fausse evidence historique, INRP,
“Histoire de l'éducation”, n° 117, janvier-mars 2008, p. 19)
Si veda anche Alain Choppin, Dictionnaire encyclopédique de l'éducation et de la formation, Nathan Université, 2ème
éd., Paris 1998
6 Da Alain Choppin, Le manuel scolaire, une fausse evidence historique, INRP, “Histoire de l'éducation”, n° 117,
janvier-mars 2008, pp. 7-56 7 Frédéric Barbier, Storia del libro Dall’antichità al XX secolo, Edizioni Dedalo, Bari 2004, p. 316
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Nel 1776 escono a Milano le Novelle Morali ad uso de’Fanciulli, di Francesco Soave, un
volume proposto come libro di lettura nelle prime classi di scuola. L’autore, incaricato di una
riforma dell’istituzione scolastica in Lombardia, sostiene un nuovo metodo di insegnamento
basato sulla pratica di lezioni collettive da effettuarsi tramite l’uso della “tavola nera”, la lavagna di
ardesia. Sono i primi segnali di un interesse diffuso nei confronti della formazione delle classi
popolari, fra illuministica affermazione dei diritti dell’uomo e rivoluzione industriale, che da quel
momento in poi diverrà centrale, ponendo in maniera decisa anche la questione dei testi di studio.
Dal secolo XVIII in poi, il manuale assolverà diverse funzioni fondamentali: si proporrà
come depositario di un sapere certificato, sarà vettore di una cultura e di un sistema di valori,
diverrà uno strumento fondamentale per l’apprendimento e per l’insegnamento, costituirà un
archivio di risorse selezionate e validate.
Con la proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861, sorge l’esigenza di avviare un processo
di formazione della coscienza nazionale. Il libro di testo assume allora una funzione politica e si
connota di sfaccettature morali, civili e religiose, con l’obiettivo di costruire i valori condivisi della
nuova nazione.
Il libro di testo diverrà poi unico negli anni Trenta del Novecento, quando il fascismo
imporrà testi comuni, strumenti di propaganda, così come gli apparati, i riti proposti a tutte le
scuole del territorio nazionale.
Dopo la guerra, dopo la lenta e difficile ricostruzione, si diffondono in Europa idee
alternative, legate al movimento delle scuole nuove. L’idea di libro di scuola cambia
profondamente, anche grazie all’attività di Célestin Freinet, sostenitore della produzione in
proprio dei manuali di studio.
Il libro, tuttavia, sopravviverà nelle forme e nei modi che sono noti fino ad oggi, fino al
momento in cui l’avvento del digitale innesca una profonda trasformazione nella forma e negli usi
di questo strumento.
Oggi, a distanza di molti anni, il manuale è, prima di tutto, un oggetto didattico, uno
strumento concepito per favorire l’apprendimento degli studenti, ma anche e soprattutto per
sostenere il lavoro dell’insegnante. La sua funzione prevalente è stata, negli anni, quella di
garantire l’attinenza ad un programma di studio definito e di rappresentare, allo stesso tempo, il
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veicolo principale di idee, principi, valori culturali di una società. In quanto oggetto, è sottoposto a
precise regole di produzione, all’interno di un particolare contesto economico e politico. La
legislazione ne regola la produzione e l’uso, all’interno dei diversi sistemi di istruzione. La sua
produzione è altresì soggetta all’evoluzione delle tecniche e delle tecnologie di realizzazione e
diffusione.
In virtù di questo, risulta chiaro come il libro scolastico stia vivendo oggi una nuova fase
della sua storia, che prelude a trasformazioni radicali nelle pratiche didattiche e di studio, con
ripercussioni sulle modalità di produzione e distribuzione. In questo delicato momento di
passaggio, si rende necessaria una riflessione culturale che sostenga l’innovazione, riproponga la
questione del libro di scuola in genere, recuperando l’attenzione alle finalità educative, alle
motivazioni didattiche che hanno indotto, negli anni, a sostenerne l’adozione, facendone uno degli
strumenti privilegiati dei percorsi di formazione. La storia del libro di testo e dei suoi usi, la
sconfessione che di esso si è fatta in anni recenti, sono fondamentali per interrogarsi sul ruolo che
ancora può assumere nella formazione delle giovani generazioni.8
Si tratta di una riflessione che può aiutarci a comprendere appieno i vantaggi e le reali
opportunità che il digitale oggi ci offre, anche per il potenziamento di alcune funzionalità che solo
oggi possono trovare, per la prima volta, una piena applicazione. Si pensi, ad esempio, alle nuove
possibilità di manipolazione del testo e al ruolo che lo studente, il lettore, può più chiaramente
assumere nei confronti del testo o alla ricchezza espressiva, fatta di una commistione di codici, che
oggi l’autore dei ha a disposizione.
Il fondo antiquario di Indire testimonia il valore di un ambito editoriale tutto particolare,
che interessa un arco temporale molto ampio, prima di giungere ad una definizione
più canonizzata. Sfogliare i testi in questione rappresenta l’occasione per comprendere la storia di
un artefatto che sta divenendo qualcosa di nuovo sotto i nostri occhi, dal momento in cui la
diffusione della testualità digitale sta modificando l’approccio alla lettura e soprattutto allo studio
8 Si veda in proposito il lavoro commissionato dal Ministero francese nel 2010, una pubblicazione sul manuale di
scuola che raccoglie interventi di noti studiosi, Le manuel scolaire à l’heure du numérique. Une «nouvelle donne» de la
politique de ressources pour l’enseignement (di: Alain Séré, Alain-Marie Bassy, Catherine Becchetti-Bizot; Gérard
Bonhoure; Yves Cristofari; Jean-Louis Durpaire; Paul Mathias; Michel Pérez; Pascal-Raphaël Ambrogi; Patrice
Bresson; Alain Brunet; Alain Dulot).
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delle discipline. Ricostruire la sua storia, seguirne le tracce per capire il profondo rapporto tra
pratiche di insegnamento e natura dei testi, tra oggetti di studio e discipline rappresenta oggi una
grande opportunità per riflettere in maniera sapiente e consapevole sulla funzione e sulla natura
di un oggetto ancora centrale nelle pratiche didattiche.
Tra i testi presenti, ci si imbatte in volumi destinati a chi educa, nella forma di trattati,
indicazioni rivolte a genitori, alle madri, ad educatori in genere, libri che affrontano il tema
dell’educazione in ambito privato.
Nei volumi del secolo XVI come del XVII si guarda all’educazione del principe o delle classi
nobiliari, mentre tra i volumi del secolo seguente, quelli dell’età dei lumi, compare qualche titolo
espressamente dedicato all’educazione popolare, primo cenno di un interesse per la funzione
sociale che l’istituzione scolastica avrebbe assunto da lì in avanti, per tutti gli anni a seguire.
Ci sono poi grammatiche, volumi di divulgazione scientifica che poco hanno da invidiare ai
nostri contemporanei; testi che introducono ai primi rudimenti delle discipline matematiche,
compendi di geometria o di algebra, manuali nel senso più moderno del termine; antologie di testi
selezionati ad hoc al fine di costruire percorsi dedicati alla formazione sentimentale delle giovani
generazioni, della loro sensibilità o del loro senso civico. Accanto a questo, abachi, testi illustrati,
vocabolari, strumenti per accrescere le conoscenze. I ‘classici per l’infanzia’ completano la serie, in
quanto testi non espressamente scritti per la scuola, ma consacrati a questo uso grazie ai
contenuti ‘edificanti’ in essi trattati.
Al di là del valore storico, di una ricchezza che ci consente di tracciare alcune delle
fondamentali linee di sviluppo di questo straordinario oggetto, i volumi in questione aprono la
strada ad una riflessione più trasversale, che considera una serie di elementi che possono essere
oggetto di attenzione anche per la produzione odierna dei testi di scuola.
Il primo punto su cui vale la pena spendere qualche parola riguarda l’attenzione che, negli
anni, gli estensori dei libri di scuola hanno posto nella selezione dei contenuti trattati e soprattutto
la corrispondenza che si stabilisce tra gli argomenti proposti e l’esperienza, ovvero il nesso tra la
trattazione teorica e le implicazioni pratiche dell’apprendimento. Ce lo rivelano già da un primo
esame i titoli assai parlanti di alcuni volumi sull’apprendimento della Matematica, come ad
esempio il volume di Pietro Cattaneo, Le pratiche delle due prime matematiche di Pietro Cattaneo
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con la aggionta, Libro d'abaco geometria con il pratico e vero modo di misurar la terra, non più
mostro da altri, pubblicato a Venezia nel 1559, presso lo stampatore Giovanni Griffio, oppure la
Pratica di Geometria in carta e campo. Per istruzione della nobile Gioventù, scritta da Sébastien Le
Clere e pubblicata nella Stamperia del Bernabò e Lazzarini, nel 1746 a Roma. Nei volumi in
questione è evidente la stretta connessione tra le nozioni illustrate e la loro applicazione nelle
professioni o comunque nella vita di ogni giorno, lo stretto rapporto che il libro stabilisce con la
realtà.
Il secondo punto riguarda l’attenzione alla forma del testo, a quella che potremmo definire
una tipografia funzionale all’apprendimento. Il libro è spesso strutturato per consentire un rapido
recupero delle informazioni laddove si dota di indici analitici e glossari alfabetici, o si propone di
favorire la fissazione dei concetti, oltre che la memorizzazione della trattazione. L’evoluzione della
forma del libro, intesa in senso lato come insieme di caratteristiche tipografiche e paratestuali,
dalle prime esperienze di stampa fino alle più moderne soluzioni, è legata agli elementi sopra
enunciati; elementi che sono necessariamente collegati all’apprendimento. Il flusso ininterrotto di
parole disseminate nello spazio bianco di una pagina sembra presupporre un apprendimento di
tipo mnemonico, dove ad assumere rilievo è proprio l’aspetto sonoro del testo. Le parole
diventano un discorso tanto fluido quanto lo è quello che si pronuncia ad alta voce e si recita di
fronte ad un maestro. Lo studio condotto in silenzio, la consultazione rapida di un testo alla ricerca
di informazioni prevede, invece, il ricorso a quegli aspetti visivi, capaci di costruire un paratesto
funzionale alla leggibilità e alla comprensione del testo. Informazioni editoriali, formati,
spaziature, suddivisione in capitoli, paragrafi, indici, ma anche elementi tipografici più fini come
capilettera, corsivi, sono gli elementi studiati da una sapiente competenza editoriale per favorire
la lettura individuale e silenziosa di un volume, per trasformare il libro in un mediatore efficace di
contenuti, capace di parlare, di spiegare e di creare le condizioni necessarie per la costruzione
della conoscenza.
Terzo punto, l’uso delle illustrazioni. L’arte di corredare di immagini i libri rivolti all’infanzia
e destinati alla formazione nasce molto presto nella storia dell’editoria. Il già citato Orbis
sensualiuym pictus di Comenio, pubblicato nel 1658, rappresenta in questo senso uno degli
esempi più significativi. L’autore stesso giustifica il ricorso all’uso delle immagini nella premessa al
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testo: “Lucida erit, ac per id firma et solida, si, qui quicquid docetur et discitur, non obscurum sit
aut confusum, sed distinctum, articulatum, tamquam digiti manuum. Huius rei fundamentum est,
ut sensualia recte praesententur sensi bus, capi non possint”. “Dico et alta voce repeto, postremum
hoc reliquorum omnium esse fundamentum: quia nec agere nec loqui sapienter possumus, nisi
proius omnia, quae agenda sunt et de quibus loquendum est, recte intelligamus. In intellectu
autem nihil est, nisi prius fuerit in sensu” (dalla Praefatio ad lectorem).
Il ricorso alle immagini può sostituire l’esperienza diretta e la visione serve a compensare
l’impossibilità di entrare in contatto diretto con alcuni oggetti di studio. Le immagini sono, inoltre,
generalmente gradite ai giovani studenti e contribuiscono a rendere più allettante
l’apprendimento (“Notum enim est, pueros (ab ipsa propemodum infantia) picturis delectari,
oculosque his spectaculis libenter pascere”), sono lo stratagemma attraverso cui si tiene avvinta
l’attenzione di chi apprende e permettono un approccio ludico all’acquisizione delle conoscenze.
L’Orbis raffigura oggetti della vita quotidiana, anche quelli immateriali, in semplici
rappresentazioni, riportate in centinaia di tavole della grandezza di carte da gioco.
L’uso delle immagini (e ora, con il digitale, anche del video o dell’audio) come espediente
per favorire l’apprendimento trova riscontro, prima, nelle edizioni illustrate dei testi scientifici del
1500, così attenti a divulgare quella conoscenza del corpo umano e della natura appresa
attraverso l’osservazione minuziosa degli elementi e la loro rappresentazione visiva e prosegue, in
maniera emblematica, con l’operazione condotta dagli estensori dell’Encyclopédie, consapevoli del
fatto che l’immagine potesse rappresentare una modalità assai funzionale alla trasmissione di
alcune nozioni, della conoscenza anche presso le classi meno colte.
Le conseguenze di questo tentativo di facilitare l’acquisizione delle conoscenze, riducendo
la fatica dell’apprendere, attraverso l’uso delle figure saranno segnalate da Walter Benjamin, che
denuncerà la tendenza ad un uso prevalente dell’immagine sul testo scritto. “Questa opera è uno
dei risultati più grandi e inconsueti nell’ambito del libro pedagogico per l’infanzia, e se ci si pensa
bene appare come l’indizio di uno sviluppo assai gravido di conseguenze e ancora oggi, dopo due
secoli e mezzo, non concluso. Anzi: oggi meno che mai”9. Siamo ai primi del Novecento, ma la
9 Walter Benjamin, Ombre corte, Scritti 1928-1929, Einaudi, Torino 1993, p. 417
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discussione risulta ancora oggi aperta e pone alla nostra attenzione uno dei nuclei fondanti della
riflessione del rapporto tra semplificazione e banalizzazione dei concetti insegnati.
La questione del ricorso, nei nuovi libri di testo, ad elementi visuali, ad una ricchezza di
linguaggi che il supporto digitale consente oggi di assemblare, rappresenta senza dubbio una
questione aperta. In particolare si tratta di riconsiderare il ruolo assegnato al testo scritto, in un
panorama sempre più caratterizzato dall’uso del parlato e delle immagini anche per l’acquisizione
di nozioni e conoscenze. Un ruolo che è stato ribadito più volte, anche in volumi divulgativi di
recente pubblicazione10.
Dall’analisi del fondo antiquario Indire, di fronte alla complessità e alla varietà di un
patrimonio librario che fa dell’attenzione ai contenuti e della ricchezza espressiva uno dei motivi
principali della ricerca di qualità, potremmo trarre qualche suggerimento per l’oggi. Recuperare,
ad esempio, la capacità di trattare i contenuti e la loro forma comunicativa come un tutto unico,
lavorando nella direzione di quella sintesi virtuosa che ancora oggi ci lascia senza parole davanti
alle pagine ingiallite di un libro di cinquecento anni. Potremmo provare a cogliere le specifiche che
rendono singolari le trattazioni in base alle diverse discipline e riescono a trasferire sulla carta di
un volume precise e riconoscibili idee sulla formazione, sui diversi metodi e sugli approcci
didattici. I libri digitali per la scuola, i nuovi testi per imparare, potranno così proseguire sulla
strada di una ricerca avviata molti secoli fa e non ancora conclusa.
10 Roberto Casati, Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere, Laterza, Roma Bari 2013
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BIBLIOGRAFIA
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Choppin Alain, Les Manuels scolaires en France de 1789 à nos jours. Les Manuels d’anglais, INRP
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Choppin Alain, Voyage en Lecture. L'évolution des manuels de lecture, trace de l'évolution de l'École, Savoir Livre, Paris 2002
Epstein Jason, Il futuro di un mestiere. Libri reali e libri virtuali, Sylvestre Bonnard, Milano 2001
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Freinet Célestine, Nascita di una pedagogia popolare, Editori Riuniti, Roma 1973
Leonardi Claudio, Morelli Marcello Santi Francesco (a cura di) Fabula in Tabula. Una storia degli
indici dal manoscritto al testo elettronico. Atti del convegno di studio (Firenze 21-22 ottobre 1994),
Spoleto 1995
BIBLIOPROF – II Edizione La editoria e la storia: il libro nel corso dei secoli
Maragliano Roberto, Didattica del libro, Edizioni Anicia, Roma 1992.
McKenzie Donald F. Bibliografia e sociologia dei testi, Sylvestre Bonnard, Milano 1999
Petrucci Armando, Libri, scrittura e pubblico nel Rinascimento, Universale Laterza, Roma Bari 1979
Richardson Brian, Stampatori autori e lettori nell'Italia del Rinascimento, Sylvestre Bonnard,
Milano 2004
Roberto Casati, Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere, Laterza, Roma
Bari 2013
Rossi Paolo (a cura di), La memoria del sapere, Laterza, Roma Bari 1988
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