694
Il World Class Manufacturing e le relazioni industriali in Fiat Chrysler Automobiles

WCM (World Class Manufacturing)

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: WCM (World Class Manufacturing)

Il World Class Manufacturing e le relazioni industriali in Fiat

Chrysler Automobiles

Page 2: WCM (World Class Manufacturing)

Universi tà della Calabria

Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali

Anno Accademico 2013/2014

Corso di Laurea Magistrale in

Scienze delle Pubbliche Amministrazioni

Tesi di Laurea

Il World Class Manufacturing e le relazioni industriali in Fiat Chrysler Automobiles

Relatore Candidata

Prof. Vincenzo Fortunato Rossana Labonia matricola 158131

Page 3: WCM (World Class Manufacturing)

Indice

INTRODUZIONE ......................................................................................................... 1

CAPITOLO 1

1.1 L’evoluzione dell’organizzazione: dalla produzione artigianale al fordismo … ..... 6

1.2 Il post-fordismo: i pilastri del “modello giapponese”.............................................. 11

1.3 Il processo produttivo nella lean production ........................................................... 23

1.4 La struttura organizzativa della fabbrica integrata .................................................... 28

1.5 Le risorse umane e le relazioni industriali nella lean production .......................... 38

CAPITOLO 2

2.1 Il “World Class Manufacturing” come modo di lavorare ....................................... 53

2.2 Strumenti e metodologie ............................................................................................. 57

2.3 L’implementazione del World Class Manufacturing ................................................ 64

2.4 Il sistema Ergo-Uas ....................................................................................................... 66

CAPITOLO 3

3.1 Dinastia Agnelli .............................................................................................................. 75

3.2 Il nascere della crisi ....................................................................................................... 78

3.3 Le ragioni della crisi ..................................................................................................... 85

3.4 E poi arriva Marchionne............................................................................................. 105

3.5 Nasce Fiat Chrysler Automobiles (FCA) ................................................................. 125

CAPITOLO 4

4.1 Le relazioni industriali in Fiat .................................................................................... 128

4.2 Affare Chrysler e tentativi di acquisizione della Opel............................................ 175

4.3 Le Vertenze di “Pomigliano” e “Mirafiori” ............................................................ 184

4.4 Verso quale direzione sindacale: partecipazione o conflittualità? ........................ 203

Page 4: WCM (World Class Manufacturing)

CAPITOLO 5

5.1 Premessa ........................................................................................................................ 206

5.2 La Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori .............................................................. 208

5.3 L’impatto del World Class Manufacturing in termini di partecipazione sul

sistema aziendale ................................................................................................................ 210

5.4 L’impatto del World Class Manufacturing in termini di partecipazione sulle

relazioni industriali ............................................................................................................. 217

5.5 L’impatto del World Class Manufacturing in termini di partecipazione sui

lavoratori ............................................................................................................................. 225

Intervista Alberto Cipriani (Responsabile Fim-Cisl) .................................................... 232

Intervista Edi Lazzi (Segretario responsabile Fiom-Cgil) ............................................. 249

Intervista Flavia Aiello (Segretaria provinciale Uilm-Uil) ............................................. 268

Intervista Roberto Cortese (Responsabile relazioni industriali FCA-EMEA) .......... 279

Intervista Luciano Massone (Capo del WCM Region & WCM Dev. Center VP ..........

.............................................................................................................................................. 297

Intervista Pino Di Castri (Operaio Mirafiori Carrozzeria) .......................................... 308

Intervista Antonella Palumbo e Giuseppe Buscicchio (Operai Mirafiori

Carrozzeria Montatura e Verniciatura) ............................................................................ 314

Intervista Claudia Di Rosso ( Impiegata struttura centrali) .......................................... 323

Considerazioni conclusive ............................................................................................331

Riferimenti Bibliografici .............................................................................................. 336

Page 5: WCM (World Class Manufacturing)

1

Introduzione

Il lavoro di tesi entra nel merito delle trasformazioni legate

all’introduzione di nuove forme di organizzazione del lavoro e della

produzione, partendo dai temi classici dell’organizzazione scientifica del

lavoro, la fabbrica taylor-fordista, fino ad arrivare all’ultima frontiera dell’

organizzazione del lavoro e della produzione, il “World Class

Manufacturing”.

A partire dal 2006, in un contesto di crisi globale, il manager italo-

canadese Sergio Marchionne, si lancia in una vera e propria crociata per

l'aumento della produttività, adottando all’interno del Gruppo Fiat un

nuovo programma il “World Class Manufacturing”, un nuovo modo

guardare all’organizzazione, un metodologia di miglioramento continuo

delle prestazioni della fabbrica, attraverso cui si riescono ad ottenere

importanti vantaggi di competitività relativi a qualità, costi e tempi di

risposta. L’applicazione del WCM richiede che ognuno collabori alla

gestione dell’azienda, che ogni dipendente sia coinvolto nel

perseguimento rapido e continuo del cambiamento. È importante che i

miglioramenti all’interno dell’azienda siano introdotti con il

coinvolgimento dei lavoratori al fine di attivare una loro prima

mobilitazione intellettuale, attraverso il suggerimento di idee che le

persone stesse ritengono possano migliorare le loro condizioni di lavoro.

Altrettanto importante per un corretto funzionamento del programma

non è tanto quello di costruire un nuovo modello di relazioni industriali

ma quello di dare spessore a forme di partecipazione concrete, di aprire

dei canali di comunicazione e di dialogo costruttivi finalizzati alla ricerca

di compromessi tra l’azienda e il sindacato.

Page 6: WCM (World Class Manufacturing)

2

La tesi è strutturata in cinque capitoli (o parti) tra loro strettamente

collegati e interdipendenti. Nel primo capitolo si affronta il tema

dell’evoluzione delle formule organizzative. L’enfasi è posta sul rapporto

tra i vari modelli organizzativi, i fattori che ne hanno determinato il

superamento e la sostituzione con altri modelli più o meno innovativi

rispondenti alle esigenze del mercato. Per ciascuna tipologia sono state

ricostruite le principali caratteristiche organizzative, l’impatto della nuova

organizzazione e delle tecnologie disponibili sui lavoratori, le strategie

gestionali da parte della direzione. Si partirà dall’organizzazione

scientifica del lavoro, la fabbrica taylor-fordista, fino ad arrivare al

modello giapponese (lean production) che, a partire dagli anni Novanta,

ha rivoluzionato il settore dell’auto e sulla sua recente evoluzione nota

come World Class Manufacturing.

Nel secondo capitolo si entrerà nel dettaglio del World Class

Manufacturing, e in particolare delle tecniche e degli strumenti utilizzati,

delle fasi necessarie per la sua implementazione e un’ approfondimento

del sistema Ergo-Uas, utilizzato per migliorare le condizioni di salute e di

sicurezza dei lavoratori all’interno della nuova organizzazione.

Il terzo capitolo ripercorre la storia della Fiat, tutte le vicende che sono

ormai oggetto di attenzione da parte degli ambienti economici, sociali e

politici del paese, e soprattutto sui numerosi problemi che l’azienda sta

vivendo fino ad arrivare all’ingresso sulla scena, nel 2004, del nuovo

amministratore delegato Sergio Marchionne che ha risollevato le sorti

dell’azienda, la cui attenzione si è concentrata soprattutto sugli Stati Uniti

che è sfociata nel Gennaio 2014 nell’acquisizione di Chrysler, con la

nascita di “Fiat Chrysler Automobiles”, che ha segnato di fatto l’inizio di

un nuovo capitolo per l’azienda italiana.

Page 7: WCM (World Class Manufacturing)

3

Il quarto capitolo focalizza l’attenzione sul tema delle relazioni industriali

in Fiat, abbiamo cercato di offrire un’analisi della contrattazione

collettiva sindacale alla Fiat, partendo dagli anni Ottanta fino ad arrivare

ai giorni nostri, per comprendere appieno i cambiamenti in atto.

Cambiamenti che hanno portato, attraverso l’introduzione del nuovo

paradigma organizzativo del lavoro e della produzione (WCM), a un

modello di contrattazione collettiva che da “normativo” diventa

“partecipativo”.

Il quinto capitolo si riferisce alla ricerca empirica, dopo una breve

descrizione dello stabilimento Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori,

della realtà di fabbrica, e delle condizioni in cui perversa, le numerose

domande su cui si basa la ricerca tentano di ricostruire, a partire dai

luoghi di lavoro e dalle rappresentazioni sociali dei protagonisti, operai,

impiegati, manager e rappresentanti sindacali, le nuove prassi

organizzative e le dinamiche che si instaurano tra i diversi attori.

Obiettivi e ipotesi della ricerca

Particolare enfasi in questo studio sul World Class Manufacturing è posta

sulle relazioni che intercorrono tra azienda, sindacato e lavoratori nello

stabilimento di Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori.

È possibile osservare come l’azienda si stia dirigendo sempre di più verso

l’adozione di una strategia gestionale basata sulla flessibilità, sulla

riduzione dei livelli gerarchici, sul lavoro in team, sulla qualità totale ma

anche e soprattutto sulla partecipazione e formazione dei lavoratori

rispetto alle necessità produttive. Un aspetto particolarmente

interessante, in seguito all’introduzione del WCM, riguarda l’evoluzione

delle relazioni industriali che sembrano orientarsi verso nuovi scenari che

Page 8: WCM (World Class Manufacturing)

4

richiedono non soltanto la partecipazione collettiva sindacale, ma in

qualche modo determina il passaggio ad una forma di “sindacalismo

partecipativo”, vale a dire caratterizzato da un rapporto di forte

integrazione con l’azienda e soprattutto sulla eliminazione di ogni forma

di conflittualità.

A tal riguardo lo scopo della ricerca è quello di capire qual è il

collegamento tra questo nuovo paradigma organizzativo, sperimentato

dal 2006 in poi, e le relazioni industriali.

In particolare, se il WCM, centrato sul coinvolgimento attivo dei

lavoratori, richiede o meno l’intermediazione del sindacato. Quali

caratteristiche questo deve avere, partecipativo o conflittuale.

Qual è il ruolo del sindacato e la sua effettiva partecipazione all’interno

dell’azienda. Qual è il rapporto con l’azienda, se quest’ultima cerca il

rapporto con i sindacati oppure preferisce interagire direttamente con i

lavoratori. Se esistono ancora dei meccanismi di tipo partecipativo,

rappresentato dalle commissioni, se queste funzionano effettivamente o

il coinvolgimento del sindacato è soltanto formale.

Si cercherà dunque di capire quali sono i nuovi equilibri e le nuove

strategie manageriali finalizzate ad acquisire il consenso sui nuovi metodi

di produzione e come questo ha influito in modo determinante

sull’organizzazione e sulle modalità di azione del sindacato.

Considerazioni metodologiche e strumenti

Per quanto riguarda gli aspetti metodologici, la ricerca è stata svolta

attraverso delle interviste in profondità a rappresentanti sindacali, in

particolare al responsabile della Fim-Cisl, Alberto Cipriani, al segretario

della Fiom-Cgil, Edi Lazzi e alla segretaria provinciale della Uilm-Uil,

Page 9: WCM (World Class Manufacturing)

5

Flavia Aiello. Per quanto riguarda il Management Fiat Chrysler

Automobiles, il responsabile delle relazioni industriali FCA – EMEA,

Roberto Cortese, il capo del World Class Manufacturing EMEA Region

& WCM Dev. Center VP, Luciano Massone, e i lavoratori di Mirafiori

Carrozzeria, Pino Di Castri, Antonella Palumbo, Giuseppe Buscicchio e

l’impiegata delle strutture centrali Fiat Chrysler Automobiles, Claudia Di

Rosso.

I principali contenuti delle interviste hanno riguardato le strategie

manageriali legate alla nuova organizzazione del lavoro e della

produzione, le caratteristiche e i problemi legati all’introduzione del

World Class Manufacturing, le relazioni di lavoro, in termini di

coinvolgimento dei lavoratori, l’evoluzione delle relazioni sindacali, i

ruoli delle diverse figure, le forme della rappresentanza, le modalità e le

procedure dell’azione sindacale.

L’osservazione diretta all’interno dello stabilimento Maserati di

Grugliasco, mi ha inoltre permesso di capire come i lavoratori si

inseriscono all’interno della nuova organizzazione e come è cambiato

l’ambiente di fabbrica nel complesso.

Page 10: WCM (World Class Manufacturing)

6

Capitolo 1

Dall’organizzazione scientifica del lavoro (Taylor)

al “sistema produttivo Toyota”

1.1. L’evoluzione dell’organizzazione: dalla produzione

artigianale al fordismo

L’organizzazione di fabbrica, come organizzazione della produzione per

il mercato, nasce nel XVIII secolo. Tuttavia l’ampliamento e il controllo

della produzione da parte dell’imprenditore aveva già conosciuto una

forma che non richiedeva la concentrazione di mezzi di produzione e

persone, si trattava del putting-out system, in cui il lavoro veniva

effettuato da artigiani o braccianti che lavorano a domicilio usando

materie prime e telai di proprietà del mercante-imprenditore.

Il passaggio dal lavoro artigianale al lavoro in fabbrica avviene col

raggruppamento degli artigiani e dei macchinari in un unico complesso,

sotto un’unica direzione, appunto, la fabbrica, per dare più continuità,

precisione e maggiore regolazione al processo di lavoro attraverso la

disciplina del tempo rispetto all’inizio in cui la produzione procedeva a

sbalzi, per interruzioni, seguendo i ritmi di ciascun artigiano.

L’avvento dell’impianto produttivo moderno ebbe un enorme

impatto sociale descritto per la prima volta da Marx1. Venne innanzitutto

meno la possibilità di scegliere quando lavorare, se lavorare e anche se

lavorare di meno, rinunciando ad una parte del proprio reddito,

1 Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società

postmoderna», Roma-Bari, Editori Laterza, 2006, p. 8

Page 11: WCM (World Class Manufacturing)

7

quest’ultima possibilità era consentita nel lavoro a domicilio ma non nella

fabbrica, il cui il tempo era disciplinato da orari di lavoro nella giornata o

nella settimana.

Le ragioni per cui la fabbrica surclassò il lavoro a domicilio non

sono tuttavia solo legate all’innovazione tecnologica, al controllo sul

come l’operaio lavorava o allo sfruttamento da parte del padrone

imprenditore. Mettere tutti i lavoratori sotto lo stesso tetto assicurava

una maggiore possibilità di trasmissione delle informazioni tra gli stessi

operai. La concentrazione in fabbrica serviva quindi a stimolare o

costringere gli operai appartenenti a diversi mestieri a interagire tra loro o

a rendere disponibili le loro conoscenze. Per costoro ovviamente la

fabbrica non rappresentava la sola possibile soluzione al problema, i

sindacati e le associazioni di mestiere (meccanici, macchinisti, tessitori,

fonditori, ecc.) avevano un ruolo importante nello scambio delle

conoscenze.

All’interno della fabbrica vennero quindi introdotte le prime

«macchine universali», che potevano essere adoperate per diverse

operazioni, vi è un rapporto uomo-macchina del tutto peculiare in cui

l’abilità, il mestiere del singolo operaio è ancora preponderante.

L’imprenditore sceglie cosa produrre e assicura le condizioni

generali della produzione, ma l’esecuzione del prodotto è in larga parte

lasciata all’autonomia e all’abilità professionale degli operai, nell’uso delle

macchine, organizzati in squadre. Queste sono composte da operai più

esperti e anziani, da apprendisti più giovani e da molti manovali non

qualificati che eseguivano i lavori più semplici. Gli operai dotati di

professionalità di questa fase, pochi rispetto ai manovali, sono chiamati

operai di mestiere.

Page 12: WCM (World Class Manufacturing)

8

Osservata con gli occhi della fabbrica che si è imposta nei decenni

successivi, essa appare alquanto «disorganizzata». Uno stesso lavoro

poteva richiedere tempi di attuazione differenti a seconda delle squadre,

essere fatto in modi diversi, essere diversamente remunerato a seconda

degli accordi del caposquadra con gli operai che lui stesso assumeva e

così via.

Da queste considerazioni nasce l’idea di introdurre un metodo

nell’organizzazione del lavoro, la proposta più compiuta fu la cosiddetta

organizzazione scientifica del lavoro (Scientific Management), ideata in

America da Frederick W. Taylor.

Taylor partì dall’idea che per acquistare efficienza era necessario

progettare un’organizzazione centralizzata, nella quale fossero

rigidamente divisi i compiti di decisione e pianificazione del lavoro

(spostati alla direzione) da quelli di esecuzione. Il processo complessivo

di lavorazione doveva essere smontato in una serie di operazioni

parcellizzate, ognuna (o una serie limitata) delle quali definisse un posto

di lavoro. Le singole operazioni potevano essere standardizzate,

fissandone tempi e metodi, e tenuto conto dello sforzo necessario,

Taylor propose un incremento del salario fino al 60% circa della paga

giornaliera, per il lavoratore che avesse eseguito fedelmente e nei tempi

unitari previsti i compiti definiti dall’ufficio.

Opportune tecniche di selezione e valutazione avrebbero trovato

«l’uomo giusto al posto giusto», diversamente remunerato a seconda

dell’apporto che dava alla produzione.

Tuttavia tutto ciò non bastò a evitare vivaci reazioni, perché il

nuovo metodo sottraeva ai lavoratori poteri e autonomia. Secondo molti

sociologi industriali e del lavoro la netta separazione tra la fase di

ideazione e la fase di esecuzione, affidata agli operai, segnò la fine di un

Page 13: WCM (World Class Manufacturing)

9

era nell’organizzazione del lavoro, svuotando il lavoro operaio di quei

contenuti intelligenti che erano alla base del «mestiere», sancendo il

passaggio dall’operaio professionale della manifattura al cosiddetto

operaio di massa. Concentrando le aeree vitali della pianificazione e del

design nelle mani della direzione, il taylorismo ha eliminato

un’importante fonte di potere e di conoscenza-controllo del processo

produttivo dalle mani dei lavoratori, generando una forza lavoro

dequalificata e meno costosa.

L’opera di Taylor costituisce tuttavia la base dalla quale riparte un

altro illustre personaggio dell’epoca: Henry Ford. Il grande successo di

Ford sta proprio nell’essere riuscito dove Taylor ha in qualche modo

fallito, vale a dire nell’adattare al lavoro operaio grandi masse

dequalificate (Accornero, 2002).

La nuova divisione tecnica del lavoro è organizzata attraverso la

catena di montaggio (assembly line): «un tipo di organizzazione del

lavoro per cui le diverse operazioni, ridotte alla medesima durata o ad un

multiplo o sottomultiplo semplice di tale durata, vengono eseguite senza

interruzione tra loro e in un ordine costante nel tempo e nello spazio».

Fig. 1.1 Catena di montaggio della Ford (Touraine, 1955)

Page 14: WCM (World Class Manufacturing)

10

La genialità di Ford è stata quella di comprendere ed esaltare gli enormi

vantaggi di un sistema quasi chiuso e massimamente stabile, questo ha

consentito l’enorme aumento della produttività anche grazie all’operare

di due meccanismi: la specializzazione dei compiti e la standardizzazione

dei componenti.

La specializzazione dei compiti richiedeva dai lavoratori una forma

di cooperazione passiva intesa come fedele esecuzione di quanto stabilito

dalle norme organizzative2.

La standardizzazione del prodotto, era quello di scomporlo in un

insieme di pezzi perfettamente intercambiabili e dotati di massima

predisposizione all’incastro, la cui differenziazione era riservata alla sola

fase finale di assemblaggio, il processo veniva quindi semplificato fino ad

arrivare a lavorazioni mono-prodotto a ciclo continuo.

La produzione in grandi quantità di prodotti standardizzati permetteva,

inoltre, di ridurre i costi unitari di produzione sfruttando le cosiddette

economie di scala.

Nascono in questo ambito i sindacati industriali, che organizzano sia gli

operai specializzati sia quelli comuni senza l’esclusione di nessuno. Si

estende come principio per la tutela del lavoro la contrattazione

collettiva, con essa gli operai acquisiscono diritti universali di tutela del

lavoro, quali quello del salario minimo, dell’orario standard massimo di

lavoro (8 ore giornaliere).

Intorno agli anni Settanta il modello fordista inizia ad entrare in

crisi per una molteplicità di motivi, primo fra tutti, la crescente pressione

del movimento operaio al fine di ottenere condizioni di lavoro migliori in

2 Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società

postmoderna», cit., p. 35

Page 15: WCM (World Class Manufacturing)

11

un contesto che è pur sempre quello della fabbrica taylorista, alienante e

gerarchica. Con l’aumento poi dell’individualismo e del senso di identità

attraverso il consumo, le aziende hanno dovuto venire incontro ai nuovi

bisogni fornendo varietà e diversità in moltissimi tipi di prodotti. E

infine lo sviluppo dei paesi emergenti, che ha permesso alle nuove

industrie di produrre e immettere sul mercato esterno gli stessi prodotti

con un costo del lavoro inferiore, soddisfando, allo stesso tempo, la

nuova domanda di beni dei mercati interni.

1.2. Il post-fordismo: il “sistema produttivo Toyota”

La rigidità della fabbrica taylorista viene progressivamente sostituita dal

«sistema produttivo Toyota» o «sistema produttivo giapponese», punto di

riferimento delle grandi imprese internazionali, soprattutto nel settore

automobilistico. Il padre fondatore Taiichi Ohno, nel 1956, facendo un

viaggio in America per visitare gli stabilimenti di General Motor e Ford,

si rese conto che ciò che lo colpì di più erano i supermercati, nei quali

vedeva già realizzate alcune sue idee sul just in time.

“Combinare automobili e supermercati può sembrare una strana idea.

Tuttavia per molto tempo, dopo avere analizzato l’organizzazione di un supermercato

americano, studiammo le analogie tra quell’organizzazione produttiva e la produzione

di automobili per mezzo del just in time. Un supermercato è un luogo dove il cliente

può prendere ciò di cui ha bisogno nel tempo e nelle quantità desiderati”

… “Dal supermercato abbiamo così mutuato l’idea di concepire il processo che

sta ‘a monte’ nella linea produttiva come una sorta di negozio. Il processo che sta ‘a

valle’ (cliente) procede verso quello iniziale (supermercato) per acquistare i pezzi

Page 16: WCM (World Class Manufacturing)

12

necessari (merci) nei tempi e nella quantità desiderati. È allora che il processo iniziale

produce immediatamente la quantità appena prelevata (rifornimento degli scaffali)”

Fig. 1.2 I supermarket americani realizzano in parte il just in time con i cartellini (kanban)

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008

Agli inizi degli anni Novanta è sembrato quindi che la produzione snella

(lean production), potesse dare un volto e una connotazione precisa al

nuovo modo di organizzare il lavoro e la produzione. In tale prospettiva,

il capitale umano, assume nuovi connotati che lo rendono la più

importante risorsa strategica all’interno della fabbrica.

Mentre la produzione di massa, standardizzata, era basata sull’idea

che si sarebbero trovati clienti per tutto ciò che si produceva, nella nuova

situazione si tratta invece di produrre soltanto quello che è già richiesto

dal cliente. Il nuovo modello organizzativo viene definito, da gran parte

della letteratura, come market driven ovvero guidati dal mercato e

dall’andamento della domanda in contrapposizione a una vecchia

Page 17: WCM (World Class Manufacturing)

13

concezione di produzione, quella dell’industria di massa, per cui era la

fabbrica e la sua produzione che guidavano il mercato3.

Nel fordismo le decisioni su cosa e quanto produrre erano fissate dalla

direzione «a monte», i componenti, i prodotti in fabbrica o da fornitori

esterni, affluivano nei magazzini e da qui passano all’assemblaggio lungo

la catena. Se le auto non venivano vendute subito, venivano parcheggiate

nei piazzali in attesa di essere vendute, mentre i componenti prodotti in

eccesso si accumulavano. Rovesciando lo schema organizzativo, con la

lean production, è l’ordinazione di un certo numero di auto pervenuta

agli uffici commerciali che mette in moto lungo la linea produttiva, la

richiesta dei diversi componenti, i quali vengono prodotti solo nella

quantità necessaria. In fabbrica non circola più nessun componente che

già non si sappia a che auto è destinato, è la cosiddetta produzione «just

in time», un principio cardine che regola gli approvvigionamenti di

materiali e componenti, in base al quale ogni attività lavorativa deve

essere alimentata con i componenti richiesti, nel tempo richiesto e nella

quantità esattamente richiesta per l’assemblaggio del prodotto finale. In

questo modo, ciascun componente arriva alle varie postazioni sulla linea

di montaggio nei tempi e nelle quantità designate soltanto quando vi è

una richiesta da parte del cliente, prevenendo la necessità di mantenere

scorte in magazzini o polmoni intermedi.

3 Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società

postmoderna», cit., p. 56

Page 18: WCM (World Class Manufacturing)

14

Fig. 1.3 Eliminare magazzini e polmoni intermedi

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008

Il just in time punta, infatti a ridurre i costi elevati di stoccaggio, tipici

della produzione di massa in grandi serie, attraverso la valorizzazione

solo di quelle operazioni in grado di generare effettivamente valore

aggiunto al prodotto ed eliminando ogni tipo di spreco (in giapponese,

“muda”).

Fig. 1.4 Attività “a valore aggiunto” e “non valore aggiunto”

Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles,

2007

Page 19: WCM (World Class Manufacturing)

15

È spreco tutto ciò che consuma risorse, in termini di costo e tempo,

senza però creare valore per il cliente. Questi vengono classificati in sette

tipologie, tra cui la più grave è la sovrapproduzione, in quanto è

all’origine degli altri tipi di sprechi, in particolare delle scorte, dei difetti e

dei trasporti.

Fig. 1.5 I sette tipi di spreco

Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles, 2007

Page 20: WCM (World Class Manufacturing)

16

Se il just in time rappresenta il pilastro dell’organizzazione del flusso e

del processo di produzione, lo strumento usato nella pratica per rendere

effettivo questo principio è rappresentato dal sistema di comunicazione

interna, “kanban”, che consente di stabilire i volumi produttivi

giornalieri.. È una forma di comunicazione, costituto da un punto di

vista materiale da un foglio di carta contenuto in un involucro di vinile e

recante una serie di informazioni, ma anche da segnali luminosi e sonori

che servono a controllare il rispetto dei tempi di lavoro e di consegna

previsti. In sostanza, il kanban opera come ordine di lavoro, e ciò si

traduce nel fatto che il segmento produttivo precedente deve fabbricare i

pezzi nella quantità indicata dal cartellino, ossia deve produrre

esattamente la quantità di merci prelevata dal processo produttivo

successivo, nel tempo indicato e rispettando i parametri qualitativi

stabiliti. Altra regola fondamentale è, infatti, quella che prescrive di non

consegnare nulla di difettoso alla stazione di lavoro successiva.

Fig. 1.6 Kanban - schema di funzionamento

Fonte: Confindustria Vicenza, Produzione snella. La riduzione degli sprechi nel reparto

produttivo, 2012

Page 21: WCM (World Class Manufacturing)

17

L’uso diffuso del kanban consente quindi di rovesciare l’intero sistema di

programmazione della produzione, si passa infatti da una logica push a

una logica pull.

La logica pull, che in inglese vuol dire “tirare” significa che i materiali

non devono essere spinti verso la produzione, ma è necessario adottare

un sistema che tiri i materiali verso la fabbrica. I materiali escono dai

magazzini e la produzione inizia in un determinato reparto solo quando è

richiesto da una operazione a valle o dalla domanda, cioè quando vi è

una richiesta di mercato. I risultati di tale approccio sono livelli inferiori

di scorte, migliore qualità del prodotto, flusso di produzione più

armonico, maggior coinvolgimento dei lavoratori.

Fig. 1.7 “Logica Pull”

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008

Rispetto alla logica pull, che mantiene code di lavorazioni davanti

ciascuna macchina e cumuli di parti componenti in attesa di lavorazione.

I materiali dovrebbero essere spinti (to push,“spingere”) fuori dai

magazzini o dai reparti produttivi in base a prestabiliti programmi.

Magazzini polmone, tempi di anticipo di sicurezza e altre tattiche sono

Page 22: WCM (World Class Manufacturing)

18

spesso usate per assicurarsi che i materiali siano disponibili non appena

richiesti.

Fig. 1.8 “ Logica Push”

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008

Dal momento che il kanban è la tecnica che consente di realizzare il just

in time, affinchè il sistema possa operare correttamente e in modo

efficiente, i processi produttivi devono essere articolati in modo da

ottenere il miglior livello possibile di continuità del flusso. Per realizzare

questa finalità e consentire la sequenza della produzione, la produzione

snella adotta la disposizione degli impianti ad U (in contrapposizione alle

linee di lavorazione meccanica e di montaggio allungate su di una linea

dritta), la cui caratteristica principale è data dal fatto che le entrate e le

uscite devono trovarsi l’una di fronte all’altra.

A ciascun lavoratore, addetto a più macchine, vengono assegnate un

numero variabile di operazioni. Con la disposizione ad U i lavoratori

possono parlarsi, vedere il prodotto in tutte le fasi e possono scambiarsi

tra di loro. Questa disposizione ha permesso una riduzione dei tempi

d’attesa, di stoccaggio e di trasferimento, e il lavoratore opera nella

Page 23: WCM (World Class Manufacturing)

19

condizione di dovere necessariamente massimizzare il suo tempo

operativo.

Le catene di montaggio moderne non sono né totalmente manuali né

totalmente automatizzate, ma degli “ibridi”, in cui l’uomo serve la

macchina (es. regolarla e controllarla), la macchina serve l’uomo (es.

spostare pesi), l’uomo fa quel che la macchina non sa fare (es. montaggi

interni), la macchina fa, quel che l’uomo non è capace di fare (es.

controllo elettronici).

La vecchia catena

manuale

La nuova catena

come ibrido-uomo

macchina

Page 24: WCM (World Class Manufacturing)

20

Il cambiamento si accompagna a molte altre innovazioni organizzative,

come il principio di «autoattivazione» (Jidoka), un particolare uso delle

macchine e del rapporto uomo-macchina diretto a permettere

all’apparato produttivo di retroagire con l’ambiente, intervenendo

direttamente nel caso si producano difetti del prodotto e auto-

correggendo l’errore in tempo reale, nell’esatto momento e nell’esatto

segmento del ciclo lavorativo in cui il difetto si è generato.4 In caso di

errore, la macchina che sta operando si ferma automaticamente, e allo

stesso modo, in caso di anomalie riscontrate in una fase di lavorazione

manuale, il lavoratore può interrompere la linea, intervenendo

tempestivamente, senza che gli errori si ripetano e si accumulino,

effettuando anche un controllo di qualità che prima veniva svolto solo

alla fine di una linea produttiva.

L’autoattivazione costituisce quindi uno dei principali fattori di flessibilità

del sistema, in grado di garantire il corretto e ininterrotto dispiegarsi di

un processo produttivo che, a differenza di quello fordista, si presenta

privo di “reti di salvataggio” (Bonazzi, 1993). L’autoattivazione si

propone i ovviare due punti di debolezza della produzione di massa, da

una parte la mancata possibilità di arrestare la catena di montaggio, anche

in presenza di difetti gravi, rimandando quindi la possibilità di interventi

correttivi alle fasi successive a valle del processo produttivo, dall’altra la

tendenza dei macchinari, dedicati alla produzione in grandi quantità, a

riprodurre e moltiplicare all’infinito i difetti perché incapaci di bloccarli

alla fonte. Per questo, la fabbrica lean si avvale di macchine autoattivate,

dotate cioè di dispositivi di arresto automatico e di meccanismi di

4 Fortunato V., «Ripensare la Fiat di Melfi. Condizioni di lavoro e relazioni industriali nell’era

del World Class Manufacturing», Roma, Carocci editore, 2008, p. 34

Page 25: WCM (World Class Manufacturing)

21

prevenzione delle difettosità, chiamati poka yoke che, secondo Ohno

conferirebbero alla macchina un tocco di sensibilità umana.

All’interno della fabbrica snella, in cui tutto ciò che è superfluo deve

essere portato alla luce e quindi eliminato, la trasparenza e la

supervisione del processo produttivo è garantita da una serie di

procedure che rientrano nella cosiddetta «direzione con gli occhi» (Ohno

1978), si tratta di rendere visibile ogni evento che può verificarsi nello

svolgimento delle attività lavorative all’interno della fabbrica.

L’andon è un indicatore luminoso il cui funzionamento è simile a quello

del semaforo, la luce verde indica che le attività procedono normalmente,

la luce arancione indica che un lavoratore deve compiere un’operazione

di regolazione sulla linea e necessita di aiuto, la luce rossa indica che la

linea è ferma in seguito a dei problemi. L’andon fornisce, quindi, tutta

una serie di informazioni che sono immediatamente disponibili e visibili

dai lavoratori e dalla direzione aziendale e che permettono al lavoratore e

alla squadra di intervenire immediatamente senza che l’anomalia si

ripercuota sull’intero processo.

Fig. 1.9 “L’andon”

Fonte: Università degli studi di Trieste, Produzione snella e Just in time, gestione della

produzione, 2009

Page 26: WCM (World Class Manufacturing)

22

La fabbrica lean opera inoltre secondo uno spirito improntato al

«miglioramento continuo» (Kaizen) del prodotto e dei processi, sia nel

breve che nel medio e lungo periodo. Il controllo della qualità sulla linea

è un elemento, ma il kaizen costituisce un ulteriore fase che non guarda

solo alla qualità, guarda anche all’innovazione e razionalizzazione dei

processi e dei prodotti, la nuova modalità di funzionamento dell’intera

organizzazione è basata sul trasferimento e la devoluzione delle

responsabilità della gestione a team permanenti interfunzionali o ai

circoli di qualità che operano secondo la logica del problem-solving. Al

lavoratore, che opera all’interno di un team, non viene più chiesto

soltanto di eseguire ripetitivamente una sola mansione, ma anche di

eseguire il controllo della qualità di ciò che produce, gli interventi di

manutenzione preventiva, secondo la logica Total Productive

Maintenance (Tpm).

Entrambi i principi si propongono di superare una serie di limiti

strutturali tipici della produzione di massa, ossia la presenza di ingenti

scorte in magazzino, e quindi, elevati costi di stoccaggio, la scarsa

responsabilizzazione degli operai e la proliferazione di errori di

lavorazione a causa di un’organizzazione della produzione incapace di

intervenire tempestivamente, e trovare, perciò, una soluzione ai difetti di

produzione bloccandoli alla fonte. Entrambi tentano di farlo attraverso

un sostanziale riavvicinamento della funzione umana (del ruolo del

lavoro vivo) al processo lavorativo.

Il sistema Toyota quindi “meno sprecone” e più capace di adattarsi

al mercato, richiede un attento gioco di squadra da parte di tutti, richiede

soprattutto un ambiente sociale assolutamente collaborativo.

Page 27: WCM (World Class Manufacturing)

23

Fig. 1.10 “La casa lean”

Fonte: Immagini internet

1.3. Il processo produttivo nel sistema Toyota

Il perseguimento del tendenziale azzeramento delle scorte, in maniera

tale da ridurre i costi di produzione e, quindi, favorire incrementi di

produttività evitando di fare ricorso alle economie di scala tipiche della

produzione fordista, si esprime strutturalmente nella linearizzazione del

layout di fabbrica.5 Un sistema di fabbricazione a “flusso monopezzo”

5 Caputo P., «Lavorare in team alla Fiat. Da Melfi a Cordoba», ImmaginaNapoli, Pozzuoli,

2004, p. 17

Page 28: WCM (World Class Manufacturing)

24

(Shingo, 1985), orientato e guidato dal principio del just in time.

Quest’ultimo implica la tendenziale realizzazione degli obiettivi zero

scorte e zero difetti, tanto dei componenti provenienti dall’esterno (dai

fornitori), quanto di quelli in processo di lavorazione lungo la linea, così

da mantenere “teso” il flusso produttivo e ridurre i costi determinati dal

capitale circolante.

Secondo tale principio è necessario che, sempre e in tutti i punti della

linea di produzione, le parti vengano prodotte nella quantità di fatto

richiesta dalla successiva fase di lavorazione.

Come si può facilmente constatare, il sistema di produzione Toyota si

muove all’interno di una logica operativa diametralmente opposta

rispetto a quella del sistema fordista, in cui la lavorazione sequenziale di

ogni singolo prodotto era limitata soltanto alle operazioni di

assemblaggio finale, quest’ultima si basava su una produzione a lotti, e

pertanto, sui vantaggi derivanti dalle economie di scala, che favoriva però

riserve di materiali, che si traducevano necessariamente in incrementi nei

costi di produzione.

Il sistema di produzione Toyota invece, punta sullo snellimento

dell’intero processo produttivo, sia per quanto riguarda la struttura

organizzativa interna all’azienda madre sia per quanto concerne i rapporti

con le imprese fornitrici, linearizzando il ciclo di fabbricazione e

operando attraverso l’integrazione sinergica con i fornitori stessi,

generando così un disegno organizzativo più ampio di “fabbrica

integrata”.

Il sistema produttivo così organizzato, tuttavia, presenta un’estrema

fragilità strutturale. Il nuovo apparato produttivo linearizzato, pur

prevedendo e consentendo potenzialmente la massima flessibilità dei

risultati e la minimizzazione del tempo di attraversamento del prodotto

Page 29: WCM (World Class Manufacturing)

25

in formazione (cioè la realizzazione di elevati tassi di produttività),

implica nel contempo un’elevata vulnerabilità, ogni problema imprevisto,

disfunzione, che si verifica in un punto qualsiasi del flusso produttivo

tende a diffondersi sull’intera struttura.

L’ambivalenza intrinseca del processo produttivo linearizzato è stata

raffigurata da Bonazzi (1993) con l’efficace metafora del “tubo di

cristallo”. In effetti, descrivere la nuova organizzazione della produzione

attraverso l’immagine di una forma lineare semplice quale quella del

tubo, significa richiamare alla mente concetti di essenzialità, agilità e

rapidità di attraversamento. Paradossalmente, però, la struttura del tubo

evoca contemporaneamente idee di rigidità e di precisione, infatti, per

perseguire la massima flessibilità dei risultati è indispensabile rispettare

alcune rigidità di processo. Al suo ingresso il tubo è potenzialmente

aperto alla domanda del mercato, inoltre l’ordine in cui disporre il mix

produttivo può essere il più vario possibile, ma poi le pareti del tubo si

presentano rigide. In altri termini, una volta deciso il mix, la sua

sequenzialità deve essere rispettata lungo tutta la linea fino all’uscita dal

tubo. Inoltre, tempi morti, ricircoli di materiale e inversioni d’ordine

sono problemi sistemici da prevenire e, nel caso in cui insorgano,

rimuoverli il più presto possibile.

Le condizioni di fragilità della produzione, derivanti dalla concatenazione

lineare “a flusso teso”, sono state affrontate attraverso la

cellularizzazione del processo produttivo, la flessibilizzazione del lavoro

e puntando su pratiche manageriali di gestione delle risorse umane dirette

a indurre la responsabilizzazione e l’attivazione dei lavoratori nella

realizzazione delle performances assegnate.

A fronte della rigidità del layout linearizzato è stata realizzata la

scomposizione “cellulare” del processo produttivo in “team o lavoro di

Page 30: WCM (World Class Manufacturing)

26

squadra” , che costituisce un’unità di lavoro deputata a portare a termine

in maniera relativamente autonoma, grazie al coordinamento e alla

direzione del proprio team leader, la produzione programmata di

specifici segmenti del processo di fabbricazione.

Fig. 1.11 Un esempio del modello snello di micro-organizzazione del team operaio. Organizzazione

senza team operaio, organizzazione basata su team operaio

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008

L’organizzazione è strutturata in maniera tale da prevedere la presenza

diretta, sulla linea, anche di alcune figure specialistiche (tecnologi,

manutentori, ecc.) che nella fabbrica fordista erano relegate negli uffici.

Fig. 1.12 Le diverse figure specialistiche

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, Wor Class Manufacturing, 2008

Page 31: WCM (World Class Manufacturing)

27

Dal canto loro, gli addetti di linea, oltre a svolgere le tradizionali attività

manuali di fabbricazione, devono effettuare un’ulteriore serie di

operazioni tradizionalmente appartenenti a funzioni di staff, come il

controllo di qualità, la manutenzione ordinaria degli strumenti di lavoro,

la prevenzione di guasti tecnici, il problem-solving.

Gli operai presentano caratteristiche di polivalenza esecutiva in quanto,

per il principio della rotazione, devono essere in grado di operare su

differenti postazioni di lavoro.

Fig. 1.13 Gli operai possono ruotare sulle postazioni

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008

Il prerequisito strutturale di base affinché i lavoratori possano operare in

maniera sinergica risiede nell’evitare di creare “isole isolate”, cioè

postazioni di lavoro reciprocamente separate. “Se i lavoratori sono

troppo lontani l’uno dall’altro, non possono aiutarsi reciprocamente, si

producono disfunzioni e la produttività ne risente negativamente. Ma se

le funzioni lavorative sono combinate attraverso linee multifunzionali e

se la distribuzione del lavoro e delle postazioni sono studiate

correttamente, allora l’organizzazione del lavoro può raggiungere la

Page 32: WCM (World Class Manufacturing)

28

massima efficienza, i lavoratori possono cooperare tra loro e il loro

numero può essere ridotto”(Ohno, 1993).

Fig. 1.14 Le “Isole isolate”

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008

1.4. La struttura organizzativa della Fabbrica Integrata

L’insieme di questi orientamenti, sul flusso di produzione e sulla

partecipazione attiva del lavoro, ha prodotto anche un disegno più ampio

di «fabbrica integrata». Si può dire che nella fabbrica integrata

l’innovazione non riguarda solo l’area della produzione dei beni, ma tutte

Page 33: WCM (World Class Manufacturing)

29

le aree funzionai e il rapporto di fornitura con le altre imprese, si ha il

passaggio “dalla centralità delle funzioni a quella dei processi”.

L’importanza assunta dall’integrazione tra funzioni e unità produttive è

dovuta al nuovo principio per cui la frontiera dell’efficienza operativa

viene raggiunta anche con una riduzione significativa dei tempi di

progettazione e di ingegnerizzazione del nuovo prodotto (time to

market) e di attraversamento dei prodotti (lead time).6 La

differenziazione dei gusti e la conseguente necessità di fornire con

frequenza ai consumatori sempre nuovi modelli fa sì che la riduzione dei

tempi dalla progettazione al lancio sul mercato del nuovo prodotto

risutino fondamentali. Lo stesso fenomeno implica la capacità di dare in

tempi brevi il modello richiesto dal cliente. Di qui l’importanza dei tempi

di attraversamento, fuori e dentro a fabbrica, dei componenti, di sub

prodotti e del prodotto finale senza incorrere in eccessive attese dei

materiali o in fermate per rottura di impianti. Di conseguenza sia il time

to market che i lead time con il flusso teso di produzione e la riduzione

delle scorte richiedono in primo luogo una maggiore integrazione ed una

più stretta collaborazione tra azienda e fornitori. In pratica, nella fabbrica

integrata il management delega ad aziende fornitrici, definite capo filiera,

la produzione, la gestione, e anche la co-progettazione di componenti

complessi, dando loro anche il potere di controllo sulle altre aziende

fornitrici ai livelli più bassi. Secondo questa prassi, definita dalla

letteratura «outsourcing» o «esternalizzazione», i fornitori operano

secondo una logica di partnership con l’azienda e il loro coinvolgimento

incide ormai per il 70% circa sul prodotto finale.

6 Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società

postmoderna», cit., p. 62

Page 34: WCM (World Class Manufacturing)

30

Cambia anche la distinzione delle funzioni tra line e staff, ovvero il

nucleo operativo e la tecnostruttura. Nella fabbrica snella integrazione tra

l’integrazione tra line e staff si ottiene tramite lo slittamento verso il

basso degli staff, il baricentro del nuovo modello organizzativo si sposta

dagli uffici alle officine. Con questo passaggio si realizza un

appiattimento della struttura gerarchica dell’organizzazione aziendale.

I tecnici e gli ingegneri vanno in officina, affiancano gli operai di

produzione quando intervengono anomalie o per migliorare la qualità o

ancora per definire i tempi, i programmi, le priorità di consegna mentre il

prodotto è in produzione. Così come i manutentori si integrano nelle

squadre e per buona parte non risiedono più in reparti separati.

Mentre i precedenti comportamenti legati al modello tayloristico

gerarchico-funzionale prevedevano di portare i problemi operativi su e

giù, lungo la gerarchia dell’organizzazione, strutturata per funzioni. La

nuova logica è quasi opposta: prevede che i problemi siano risolti là dove

si originano e da chi li ha visti crescere e ha la competenza professionale

per risolverli.

Il cuore della Fabbrica Integrata è rappresentato dalla Ute (Unità

tecnologica Elementare) che rimpiazza, nel nuovo modello, i gruppi di

lavoro tradizionali. Queste presentano, così come le Unità Operative,

una struttura cellulare in quanto integrano al loro interno una pluralità di

funzioni interconnesse (fabbricazione, presidio degli impianti, controllo

della qualità, gestione dei materiali e dei componenti in entrata)

necessarie a gestire un “segmento compiuto” del processo produttivo.

All’interno dello stabilimento ci sono 35 Ute suddivise all’interno di

quattro Unità Operative (il risultato dell’evoluzione delle vecchie

Officine) che rappresentano delle strutture indipendenti ed omogenee

dal punto di vista sia tecnico che logistico. La finalità dell’Unità

Page 35: WCM (World Class Manufacturing)

31

Operativa consiste nel garantire la realizzazione del programma di

produzione al minimo costo di trasformazione e ai livelli di qualità e

servizio previsti, di garantire la manutenzione dei mezzi di lavoro e lo

sviluppo di adeguati obiettivi di prevenzione/ miglioramento continuo

del processo / prodotto di competenza.

In base al percorso seguito dalla vettura, dal suo ingresso in fabbrica fino

alla verifica finale nel piazzale, le Unità Operative si dividono in:

Stampaggio, Lastratura, Verniciatura e Montaggio. In particolare

Stampaggio, Lastratura e Verniciatura, sono aree ad alta automazione,

cioè aree in cui prevale la componente tecnologica rispetto al fattore

umano, in contrapposizione al Montaggio che è quasi esclusivamente

caratterizzato dal tocco umano.

L’Unità Operativa include al suo interno due distinte funzioni: la

“Produzione” e “l’Ingegneria di Produzione”.

Dalla prima dipendono direttamente sia la Programmazione e la

Gestione Materiali, con compiti di programmazione della produzione e

controllo del rifornimento del materiale diretto, sia la Gestione

Operativa, che si occupa del presidio delle attività finalizzate alla

realizzazione dei programmi produttivi assegnati e del bilanciamento

delle risorse umane e dei servizi di supporto alla produzione.

L’Ingegneria di Produzione invece ha il compito di garantire la

funzionalità tecnico produttiva globale del sistema, si occupa

dell’avviamento dei nuovi prodotti e delle relative variazioni, del

controllo e del miglioramento dei tempi, dei cicli e dei metodi di

trasformazione e dell’assistenza specialistica alle strutture produttive. In

questo lavoro si avvale dei servizi di Manutenzione, Servizi Tecnici (che

comprendono i Tecnologi di linea e i Tecnologi specialistici), Tecnologia

di prodotto / processo (grosso modo corrispondente al vecchio Ufficio

Page 36: WCM (World Class Manufacturing)

32

Metodi) e Utilizzo Fattori (a grandi linee corrispondente al tradizionale

ufficio Analisi Lavoro).

L’ effetto più vistoso della nuova struttura organizzativa è la riduzione

dei livelli gerarchici che, dai quattordici degli anni Settanta (sette

responsabili più sette vice), passano a cinque. In particolare vengono

eliminati i ruoli di vice-capo Officina e di capo Reparto. Scendendo

lungo l’organigramma dello stabilimento, al cui vertice è posto il

Direttore, troviamo il Capo Unità (uno per ogni Unità Operativa), quindi

il responsabile della Produzione (che si occupa anche della gestione

tecnica dei materiali, oltre che del processo) e, al livello successivo, il

Gestore Operativo. Quest’ultimo rappresenta il livello gerarchico

immediatamente superiore al capo Ute.

Il team della Ute è composto mediamente da un minimo di 12 ad un

massimo di circa 100 lavoratori, senza una netta formalizzazione dei ruoli

tra i vari componenti. La logica prevalente è quella del problem-solving,

dell’auto-attivazione dei lavoratori e dell’apprendimento continuo nello

svolgimento del processo produttivo. Il lavoratore viene addestrato per

compiere diverse attività, per conoscere tutta la sua Ute, e avere un

quadro generale. Si tratta sempre di monitorare dei particolari,

l’operazione di per sé non cambia, però cambiano ogni giorno i

particolari ed il modo di lavorare. Se questo è positivo, perché non

genera stress da ripetizione, dall’altro lato genera una forma di stress che

si potrebbe definire da apprendimento o cambiamento. Le figure più

importanti della Ute sono:

- Il responsabile di Ute (o capo Ute) è il leader del team, deve gestire le

risorse umane ed assicurare il raggiungimento degli obiettivi di

produzione, qualità e costi della Ute di sua competenza. Rientrano nelle

mansioni compiti quali la gestione delle rotazioni sulle postazioni, la

Page 37: WCM (World Class Manufacturing)

33

valutazione delle skills individuali, delle performance dei lavoratori, la

concessione dei permessi, ecc., documentate attraverso la Gestione a

Vista. È importante sottolineare come gran parte del lavoro del

responsabile di Ute avvenga secondo la logica della prevenzione, cioè

operare in modo tale da evitare che il problema si possa verificare. Per

ciascuna Ute ci sono tre responsabili, uno su ogni turno di lavoro.

- Il Conduttore di Processo Integrato (Cpi) è uno dei principali

collaboratori del responsabile Ute. Infatti l’eliminazione del ruolo di capo

reparto ha determinato un ampliamento significativo delle funzioni del

responsabile Ute. Pertanto, sebbene il Cpi non abbia, almeno in teoria,

alcun autorità gerarchica sui lavoratori, egli dovrebbe assorbire parte

della complessità organizzativa che emerge dalla linea di produzione e

ridurre i carichi di lavoro del responsabile di Ute in termini di

coordinamento e attività. I suoi compiti sono l’addestramento dei

lavoratori alle diverse mansioni da svolgere all’interno della Ute, la

prevenzione e il controllo sull’andamento della qualità. Nelle aree ad alta

automazione alla figura del Cpi si sovrappone quella del Conduttore di

Impianto Automizzato (Cia) con compiti di controllo degli impianti e di

verifica della conformità del prodotto.7

- L’addetto di linea è l’operaio, una figura che nella Fabbrica Integrata si

arricchisce di nuovi compiti e nuovi significati. Infatti, il suo ruolo non è

più semplicemente quello di mero esecutore di compiti definiti da altri,

bensì è promotore attivo del miglioramento e della prevenzione.

- Il tecnologo di Ute fa capo all’Ingegneria di Produzione, ma risponde

funzionalmente al responsabile di Ute. Il suo compito è quello di

7 Negrelli S., «Prato verde, prato rosso. Produzione snella e partecipazione dei lavoratori nella Fiat

del duemila», Rubbettino Editore, Catanzaro, 2000, p. 76

Page 38: WCM (World Class Manufacturing)

34

assicurare il mantenimento dell’efficienza tecnica ed economica degli

impianti.

Tra le altre figure organizzative che, pur non facendo direttamente parte

della Produzione, intervengono all’interno della Ute, ci sono:

- Il manutentore, che opera alle dipendenze dell’Ingegneria di

produzione, ha il compito di prevenire l’insorgere di anomalie nel

funzionamento degli impianti e di assicurare il ripristino nel minor tempo

e nel miglior modo possibile. Il manutentore non è posizionato

direttamente sulla linea, ma in apposite aree dedicate al fine di consentire

sempre rapidità di intervento. L’attività di manutenzione avviene, inoltre,

in modo programmato nel tempo che intercorre tra un turno e l’altro.

- il rifornitore di Ute si occupa di tutto ciò che riguarda

l’approvvigionamento dei materiali nel tipo e nelle quantità richieste per

la produzione, secondo la logica del just in time. Il suo ruolo è di

fondamentale importanza per assicurare il corretto e regolare

funzionamento delle attività della Ute.

Un punto di raccordo tra Ute e Unità Operativa è costituito dal team

tecnologico, che rappresenta fondamentalmente un gruppo di problem-

solving, si riunisce nel momento in cui insorgono specifiche emergenze o

problemi tecnici e organizzativi nelle Ute o, più in generale, al fine di

ricercare soluzioni ed innovazioni per miglioramenti complessivi dei

processi.

Tutti gli aspetti poi che riguardano da vicino le attività ed il personale

della Ute (rotazioni sulle postazioni, skills individuali, assenteismo, dati

sulla produzione, ecc.) sono documentati e gestiti attraverso il sistema

della Gestione a Vista (GAV), una tecnica che consiste nel raccogliere e

nel rendere disponibili a tutti i componenti del team (sotto forma di

grafici e tabelle esposte nella Ute) le informazioni relative ai parametri

Page 39: WCM (World Class Manufacturing)

35

fondamentali del processo produttivo in modo da far fronte

tempevistamente, ed in modo flessibile, a qualsiasi evenienza.

Unitamente alla GAV, le Proposte di Miglioramento Continuo (PMQ)

rappresentano lo strumento principale per valorizzare la risorsa umana

creando motivazione e coinvolgimento. In particolare, il sistema delle

PMQ si basa sul contributo attivo dei lavoratori che, a fronte di proposte

di miglioramento della qualità del prodotto, di facilitazione dell’attività

lavorativa, di riduzione dei costi relativi a materiali e/o energia, di

migliore efficienza degli impianti, ricevono un premio in denaro. Le

proposte devono essere presentate al responsabile di Ute che, insieme al

team di Ute, verifica l’effettiva realizzabilità della proposta, sulla base di

criteri economici, tecnico-produttivi, organizzativi e qualitativi.

Nell’ottica del coinvolgimento e della partecipazione dei lavoratori

rientrano anche le cosiddette riunioni del team di Ute, alle quali

partecipano tutti i componenti del team, allo scopo, di affrontare e

discutere i vari problemi che, nel corso di un’attività così complessa e

difficile, si possono presentare e per discutere degli obiettivi (qualità,

costi, produzione) che si devono raggiungere.

L’organizzazione del management all’interno della fabbrica vede al

vertice il direttore dello stabilimento, dal quale dipendono gli Enti di

Staff (Personale e Organizzazione, Amministrazione) e, sullo stesso

livello, i responsabili delle quattro Unità Operative che, insieme,

compongono il team direzionale.

Il responsabile del Personale è impegnato su molti fronti e deve gestire

quotidianamente problemi di diversa natura a livello dell’intero

stabilimento, secondo una logica che non vede più la funzione del

personale come la risultante di funzioni specialistiche tra loro

indipendenti, bensì come attività connesse e coerenti con

Page 40: WCM (World Class Manufacturing)

36

l’organizzazione e le strategie generali dell’impresa. Nello svolgimento

della sua attività, il responsabile del Personale, si avvale di alcuni

collaboratori, innanzitutto il responsabile delle Relazioni Sindacali ed il

responsabile del settore Sviluppo e Organizzazione, con competenze

anche in materia di formazione. Sono inoltre alle sue dipendenze il

responsabile per la sicurezza dello stabilimento, il responsabile per

l’amministrazione del personale e il responsabile della sala medica.

All’interno del quattro Unità Operative, il Personale è rappresentato dalla

figura del Repo, cioè del Responsabile del Personale di Officina. I Repo

dipendono funzionalmente dall’uomo delle Relazioni Sindacali, ma

gerarchicamente dal responsabile del Personale. Il Repo rappresenta il

capo del personale all’interno della sua Unità e, in quanto tale, deve

affrontare tutti i problemi che derivano dalla gestione della risorsa

umana. Egli è inoltre, il referente naturale della Rsu in caso di problemi

con i lavoratori.

Page 41: WCM (World Class Manufacturing)

37

Fig. 1.15 Organizzazione della “Fabbrica Integrata”

Team leader

Team operaio

Fonte: Propria elaborazione

Direzione

Amm. e

controllo

Personale e

Organiz.

Qualità

Sistemi

Utilizzo fattori

Acquisti

Servizi generali

Unità operativa

Ingegneria di

produzione

Produzione

Definizione

Prodotto procedure

Manutenzione

Tecnologia specialistica

Tecnologia di

linea

Gestione operativa

Planning/ gestione materiali

Responsabile UTE

Page 42: WCM (World Class Manufacturing)

38

1.5. Le Risorse umane e le relazioni industriali nella lean

production

Sembra ormai largamente diffusa la convinzione che i nuovi sistemi di

“produzione snella”, che si vanno diffondendo in modo sempre più

esteso anche nelle imprese occidentali dopo aver determinato il successo

del capitalismo giapponese, abbiamo effetti sostanzialmente positivi sul

lavoro e sui lavoratori, sollecitando in quest’ultimi un coinvolgimento

quasi naturale e un senso di maggior lealtà verso le direzioni aziendali.

Il legame stretto tra lean production e partecipazione attiva dei lavoratori

costituisce del resto il fondamento dello “spirito Toyota”.

La convinzione relativa al necessario coinvolgimento del lavoratore nella

lean production è stata rafforzata soprattutto dai risultati di quella che

può essere considerata l’analisi comparata più completa sullo sviluppo

della produzione snella, sintetizzata nel libro di Womack, Jones e Roos,

“The Machine that Changed the World”(1990).

Tale analisi costituisce un contributo fondamentale alla descrizione

dell’evoluzione dei sistemi produttivi e dell’organizzazione del lavoro nel

settore dell’automobile, nelle tre fasi della produzione artigianale, di

massa e snella. La prima, fa ricorso a lavoratori specializzati e a

tecnologie generiche e flessibili, realizza produzioni su scala ridotta,

secondo i desideri del consumatore, si caratterizza per strutture

altamente decentrate e mercati concorrenziali. La seconda tende invece a

sviluppare un’organizzazione del lavoro parcellizzata e utilizza addetti

non qualificati o semi-qualificati, è basata su impianti costosi, dedicati e

progettati per produrre quantità elevate, è realizzata in grandi stabilimenti

che si caratterizzano per la loro struttura verticale, concentrata, e per le

forti economie di scala, si afferma in mercati oligopolistici.

Page 43: WCM (World Class Manufacturing)

39

La produzione snella, introdotta dai produttori auto giapponesi, è in

grado di combinare i vantaggi di entrambe, poiché riduce i costi della

prima e le rigidità della seconda “utilizzando meno di tutto”, meno

risorse, meno ore di progettazione, minor spazio produttivo e minori

investimenti in impianti. Ricorre a lavoratori qualificati e motivati grazie

ad una gestione strategica delle risorse umane e al concetto di azienda-

comunità (Dore, 1987), realizza produzione diversificate e flessibili, che

si adattano alle richieste della nuova domanda e crescita lenta e

personalizzata, grazie ai metodi del just in time e della qualità totale.

Sulla base di tale considerazioni, viene avanzata l’ipotesi centrale nel libro

di Womack e colleghi che non esistano alternative alla produzione snella

per i produttori americani ed europei. È la conferma empirica di uno

scenario mondiale futuro orientato esclusivamente alla lean production.

Va ribadito che lo studio di Womack e colleghi costituisce ormai il testo

fondamentale da cui partire per un’analisi dell’evoluzione e degli scenari

delle strategie e strutture aziendali, oltre che dell’organizzazione del

lavoro e della gestione delle risorse umane nel settore mondiale

dell’automobile. Anche se questo studio tende a ad essere accompagnato

da critiche di determinismo o di edizione aggiornata del taylorismo che

sono state da più parti avanzate (Kochan et al., 1997). In particolare i

maggiori limiti che emergono dallo loro ricostruzione degli scenari futuri

dell’industria dell’automobile derivano dalla adesione forse troppo

ingenua e la non considerazione del peso delle relazioni industriali e dei

rapporti di lavoro collettivi.

Page 44: WCM (World Class Manufacturing)

40

Fig. 1.16 “La macchina che ha cambiato il mondo”

Fonte: S. Negrelli, Prato verde, prato rosso. “Produzione snella” e partecipazione dei lavoratori

nella Fiat del duemila, 2000

Al superamento di entrambi questi limiti tendono i principali risultati di

una seconda importante fase di ricerca comparata dell’International

Motor Vehicle Program (IMVP) del MIT lanciata da Kochan e altri

(1997), dopo quella di Womack e colleghi.

In questa nuova indagine sugli effetti della lean production è stato dato

maggior spazio al ruolo del contesto sociale e istituzionale e alle

interazioni tra questo e le strategie aziendali, si sono osservate meglio le

modalità di sviluppo dei sistemi di lean production che tendono ad

affermarsi nei diversi paesi o modelli di capitalismo.

Globalizzazione dei mercati

Tecnologie automatizzate e

flessibili

Sistemi innovativi di gestione delle risorse umane

Lean Production

Page 45: WCM (World Class Manufacturing)

41

Fig. 1.17 After Lean Production

Fonte: S. Negrelli, Prato verde, prato rosso. “Produzione snella” e partecipazione dei lavoratori

nella Fiat del duemila, 2000

L’oggetto di analisi sono diventate esplicitamente le relazioni industriali e

la gestione delle risorse umane.

Le ipotesi principali di scenario che emergono da questo secondo studio

comparato del settore dell’automobile a livello mondiale riguardano da

un lato la tendenza verso una certa complementarietà tra le pratiche

innovative di gestione di risorse umane e quelle di relazioni industriali, e

dall’altro lato l’evoluzione verso differenti tipi di lean production, e non

di uno solo come sembrava prefigurare l’analisi di Womack e colleghi.

Dallo studio di Kochan e colleghi risulta, ad esempio, che si potrebbero

individuare almeno nove idel-tipi di produzione snella. Accanto a quella

ormai classica “toyotista” largamente conosciuta (Ohno, 1978), vi

sarebbero infatti molti altri tipi che si sono affermati fuori dal Giappone

secondo le diverse combinazioni dell’idea originaria con i sistemi e le

Globalizzazione dei mercati

Tecnologie automatizzate e

flessibili

Contesto sociale e istituzionale

Pratiche

innovative di relazioni

industriali e di gestione delle risorse

umane

Vari tipi di Lean Production

Page 46: WCM (World Class Manufacturing)

42

tradizioni nazionali e locali. La ricerca comparata dell’IMVP consente di

fare un’ulteriore passo avanti nella definizione di modelli evolutivi di

relazioni industriali abbinando all’evoluzione dell’organizzazione della

produzione l’evoluzione dei sistemi di contrattazione collettiva. Se nella

produzione artigianale prevaleva il sindacato di mestiere e la

regolamentazione sindacale unilaterale, con la produzione di massa si

affermano i sindacati industriali, la contrattazione collettiva e la rigida

codificazione delle regole di lavoro. Alla produzione snella sembra

accompagnarsi invece un modello di contrattazione collettiva che da

“normativo” diventa “partecipativo”.8 Ovvero tendono a costituirsi

gruppi di lavoro e comitati paritetici “problem-solving”, la dimensione

individuale dei rapporti di lavoro e le iniziative di gestione strategica delle

risorse umane possono crescere spesso accanto e non solo in alternative

alle relazioni industriali e ai rapporti collettivi.

Il problema delle relazioni industriali e della gestione delle risorse

umane nell’auto, nelle imprese occidentali in questa fase di transizione

della produzione di massa alla lean production sembra dunque essere

soprattutto quello di ricostruire una base di fiducia tra impresa, sindacati

e lavoratori.

Un modello partecipativo di rapporti di lavoro sia da parte dei

lavoratori e si da parte dei sindacati.

Per quanto riguarda i lavoratori, la partecipazione diretta di

quest’ultimi, nei gruppi problem-solving, nei sistemi di qualità totale o

nei team di lavoro, dipende essenzialmente dalla capacità manageriale di

sviluppare adeguate politiche di gestione delle risorse umane, in termini

8 Negrelli S., «Prato verde, prato rosso. Produzione snella e partecipazione dei lavoratori nella Fiat

del duemila», cit., p. 18

Page 47: WCM (World Class Manufacturing)

43

di formazione, sicurezza del posto di lavoro, valorizzazione e ricompense

(Heller et al., 1998; Barton, Delbridge, 2000).

A tal proposito, nelle esperienze occidentali di implementazione del

modello lean production giapponese, l’enfasi è posta sull’adozione delle

strategie comunemente denominate Human Resource Management

(HRM), le cui origini devono essere ricercate negli Stati Uniti, già a

partire dagli anni Settanta, quando il management ha cercato di

sviluppare un nuovo approccio gestionale ed organizzativo delle risorse

umane. L’elemento chiave, assunto, interpretando l’esperienza

giapponese, è stato quello di cercare una “comunicazione diretta” con il

lavoratore con l’intento di stabilire in contratto individuale alle volte

associato ad una strategia di marginalizzazione del sindacato. Alto

elemento chiave è stato il coinvolgimento del management strategico

dell’organizzazione mettendo in luce l’importanza del Hrm e gli aspetti

fondamentali della motivazione, del commitment, della formazione dei

lavoratori per il successo del business dell’impresa.

Non sono state fatte analisi comparative approfondite su questo

aspetto, ma il tentativo di comunicazione diretta con il singolo lavoratore

è avvenuto in modi differenti. Storey (1992) distingue una versione forte

e una versione debole del Hrm.

Mentre la versione forte rappresenta un approccio distintivo nella

gestione del lavoro, la versione debole rappresenta, invece, un termine

diverso per connotare la tradizionale gestionale del personale. Secondo

Storey, all’interno della visione forte possiamo ulteriormente distinguere

una versione hard e una versione soft del Hrm. Nella versione hard

l’enfasi è posta sul lavoro come risorsa al pari degli altri fattori produttivi

da utilizzare in modo razionale. La versione soft, invece, pone l’accento

Page 48: WCM (World Class Manufacturing)

44

sul termine human, cioè sui lavoratori come individui che devono essere

opportunamente stimolati e integrati all’interno della logica aziendale.

Per l’implementazione del HRM sono considerati, inoltre, come

condizioni importanti, la localizzazione in un ambiente green-field, la

presenza di manager esperti, una forza lavoro non sindacalizzata,

attentamente selezionata e priva di cultura industriale, l’incentivo di

trovare una occupazione. Quindi, come evidenziano Bean (1994) e

Storey e Bacon (1996) i valori che sottointendono all’approccio HRM

sono direttamente riconducibili a una visione unilaterale e individualistica

piuttosto che al collettivismo dell’impresa come comunità e come

sistema di relazioni industriali partecipate. Tuttavia esistono importanti

differenze tra la visione statunitense del HRM e le forme adottate in altri

paesi, soprattutto europei. Infatti, mentre negli Stati Uniti l’adozione del

HRM è stata accompagnata dalla marginalizzazione del sindacato, in altri

paesi, ad esempio la Gran Bretagna e l’Italia, si è optato per una visione

neopluralista (Keenoy 1990), sulla quale si sono adottati una serie di

accordi consensuali.

Sicuramente non ci troviamo di fronte ad una nuova era nella gestione

del personale caratterizzata da una “umanizzazione” del lavoro,

dall’autonomia decisionale dei lavoratori, da relazioni di “fiducia”, e così

via, tuttavia, non è sufficiente né corretto trarre la conclusione, che

l’HRM possa essere interpretato soltanto come mera ideologia

manageriale. Il problema, consiste piuttosto nel cogliere i nessi che

legano il controllo sul lavoro e la gestione del personale, ossia la nuova

logica che governa la struttura materiale e organizzativa del processo

produttivo post-fordista nei suoi nessi con la gestione delle risorse

umane e le relazioni industriali. In altre parole, è la natura stessa del

controllo ad essere cambiata, divenendo meno arbitraria e più sistemica.

Page 49: WCM (World Class Manufacturing)

45

La fabbrica snella, richiede conoscenze allargate, capacità di relazione,

disponibilità al lavoro di gruppo, responsabilizzazione e si basa

soprattutto sulla valorizzazione delle competenze e degli skills della forza

lavoro quale “risorsa organizzativa” strategica in grado di generare

competitività all’interno di un sistema lean intrinsecamente fragile, privo

di quelle risorse “cuscinetto” che rappresentavano la difesa migliore

dell’organizzazione fordista tradizionale (scorte, magazzini, ecc.).

Il lavoro, per così dire si “intellettualizza”, si “mentalizza”, pur

rimanendo lavoro vivo faticoso.

Il lavoratore, oltre ad essere saturato in maniera più intensa e razionale

(“integrata”), deve fornire un apporto ulteriore, cioè un contributo attivo

che si esprime in attività quali l’autocontrollo della qualità, la

segnalazione tempestiva di anomalie, i suggerimenti e le proposte di

miglioramento, lo sviluppo e l’approfondimento della cooperazione

produttiva, l’aiuto reciproco. Occorrono quindi “meccanismi” di

motivazione al lavoro e di dominio sul lavoro, orientati a combinare

efficienza e consenso, che generalmente si differenzia a seconda dei

differenti contesti istituzionali, sociali, di strategie aziendali, sindacali.

Per quanto riguarda poi il grado di coinvolgimento delle relazioni

industriali, queste si configurano non in maniera univoca dovunque, ma

si sviluppa in contesti territoriali diversi. Nel caso del Giappone si

manifestano in modo peculiare, cioè sono parti integranti, viene utilizzata

una cooperazione labour-management allo scopo di implementare le

strategie aziendali, nel contesto statunitense vi è un modello di relazioni

industriali di tipo giapponese ma tutto ciò avviene senza un reale

coinvolgimento del sindacato e, soprattutto, senza garanzie

occupazionali, questa versione della lean production enfatizza il ruolo

chiave del management, ma ignora aspetti considerati centrali per i

Page 50: WCM (World Class Manufacturing)

46

lavoratori quali, ad esempio, la sicurezza occupazionale, la crescita dei

salari, le promozioni, la risoluzione delle controversie, la rappresentanza

degli interessi. Nei paesi europei si ha l’adozione di strutture e comitati

paritetici management-sindacato che permettono ai lavoratori di essere

rappresentati ad ogni livello dell’organizzazione aziendale.

Il tema più discusso che permette meglio di definire le differenze

tra i paesi e possibili trend di sviluppo della contrattazione collettiva, è

quello dell’accentramento-decentramento della struttura contrattuale.9

La differenza più evidente è quella che intercorre come abbiamo

già accennato tra i paesi di tradizione anglosassone e anche il Giappone,

maggiormente aperti, sia per condizioni strutturali che culturali al

mercato, e i paesi dell’Europa continentale in cui le relazioni d’impiego

sono maggiormente istituzionalizzate.

Nel primo caso equivale quasi esclusivamente una struttura

decentrata della contrattazione, i contratti si fanno solo a livello

d’impresa, di unità produttiva se non anche a livello di singolo mestiere e

danno luogo ad una variegata e diversificata crescita di norme formali e

informali. La contrattazione decentrata ha gravi limiti di estensione e

istituzionalizzazione. Nei paesi in cui l’unico livello contrattazione delle

condizioni di lavoro è quello d’impresa, i dipendenti di molte aziende, in

cui il sindacato non è presente o non è riconosciuto come agente

negoziatore, sono esclusi dai benefici della contrattazione collettiva. Il

grado di istituzionalizzazione è piuttosto basso, lasciato alle convenzioni

o ai rapporti di forza contrattuali tra le parti. La contrattazione decentrata

segue più di quella centralizzata, la logica della flessibilità rispetto al

9 Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società

postmoderna», cit., p. 161

Page 51: WCM (World Class Manufacturing)

47

mercato. Ciò che il livello decentrato perde in estensione e

istituzionalizzazione, lo guadagna in incisività e in coinvolgimento della

base sindacale. Incisività significa capacità della rappresentanza sindacale

di contrattazione degli incentivi, orari, mobilità, carriere e di tutti quegli

aspetti inerenti le specifiche condizioni di lavoro. Coinvolgimento

significa, invece, elevata partecipazione della base alla contrattazione sia

attraverso i delegati di fabbrica, eletti quasi sempre direttamente dai

lavoratori, sia attraverso rappresentanti delle sezioni sindacali territoriali.

Nel secondo caso, quello dei paesi dell’Europa continentale, il

grado di accentramento è maggiore, prevalgono gli accordi nazionali su

quelli decentrati. La contrattazione risponde principalmente a fattori di

tipo politico solidale, prevalgono dimensioni quali l’estensione della

contrattazione alle condizioni di lavoro e dei sistemi di assistenza sociale

a tutti i lavoratori, l’istituzionalizzazione di regole e procedure che

definiscono in maniera rigorosa e stabile il processo contrattuale

attraverso il legislatore o il contratto collettivo interconfederale o

nazionale. La centralizzazione ha segnato il periodo dell’industria di

massa e della grande impresa grazie alla “contrattazione nazionale di

categoria” che costituisce il perno intorno al quale è costruito, in questo

caso, l’intero sistema di relazioni industriali. I contenuti del contratto

riguardano tutti gli aspetti fondamentali delle relazioni di lavoro, dal

salario minimo alla definizione dell’orario, dalle condizioni di lavoro in

generale ai diritti sindacali. Il contratto ha un estensione che può variare

a seconda del settore e il grado di istituzionalizzazione è piuttosto alto. Il

coinvolgimento della base, delle rappresentanze sui luoghi di lavoro e dei

sindacati locali, rimane parziale, così come l’adattamento alle specifiche

condizioni di lavoro nelle diverse realtà produttive.

Page 52: WCM (World Class Manufacturing)

48

Il livello “interconfederale”o “intersettoriale” da luogo ad una maggiore

centralizzazione rispetto alla contrattazione nazionale di categoria,

riguarda i singoli aspetti della condizioni di lavoro o economico-sociali

che interessano tutti i lavoratori indipendentemente dall’appartenenza ad

uno specifico settore, prevede un’attività negoziale bilaterale, tra le

principali confederazioni sindacali e associazioni imprenditoriali, oppure

trilaterale con il coinvolgimento attivo dello Stato. Complessivamente la

contrattazione interconfederale si caratterizza per un elevata estensione,

centralizzazione e incisività (in quanto gli accordi interconfederali

possono essere trasformati in leggi dello Stato). Al contrario, si ha un

basso livello di coinvolgimento, soprattutto delle strutture decentrate del

sindacato e delle associazioni imprenditoriali, nella definizione e gestione

degli accordi.

Contratto collettivo nazionale di lavoro e accordi interconfederali

sono considerati da tempo la migliore espressione di un sistema di

cittadinanza e di gestione paritetica del mondo del lavoro. Lo sono

proprio perché, a differenza della contrattazione decentrata, consentono

la massima estensione nella tutela dei lavoratori e l’istituzionalizzazione

delle relazioni tra sindacati e imprenditori. Il contratto nazionale

definisce le condizioni minime per tutti i lavoratori e il tipo di disciplina

nella regolamentazione dei rapporti di lavoro in ciascun settore. Quello

interconfederale estende all’esterno dei luoghi di lavoro la tutela e la

gestione congiunta di altre condizioni della vita del lavoratore.

Questo modello centralizzato, tuttavia, incontra i propri limiti

nell’adattarsi alle diverse condizioni economiche dei settori e delle

imprese e allo tempo di rappresentare tutti i lavoratori. Con

l’intensificarsi della concorrenza sui mercati, la contrattazione

centralizzata e quella decentrata sono in parte in competizione per la

Page 53: WCM (World Class Manufacturing)

49

capacità di quest’ultima di essere più flessibile e di rispondere meglio ai

cambiamenti. La contrattazione decentrata o d’impresa consente

maggiore flessibilità, si adegua alle variazioni di mercato, permette un

adattamento più facile delle condizioni di lavoro e delle retribuzioni,

favorisce di fatto la forza lavoro delle imprese e dei settori più forti sul

mercato. Tale rilievo assunto dal decentramento si accompagna a

crescenti difficoltà di tutela generale della contrattazione centralizzata.

Essa non riesce a tutelare tutti i lavoratori per la dispersione della

struttura industriale in piccole imprese, per la nascita di un’economia dei

servizi, per la crescita del lavoro precario e per il parziale declino del

capitalismo organizzato e dell’intervento dello Stato.

Il tema del decentramento viene letto da diversi punti di vista,

Locke, Kochan e Piore (1995), ad esempio sottolineano l’importanza

delle strategie competitive poste in essere dal management che guida i

cambiamenti in atto nelle imprese. Non è più il sindacato dei diritti a

condurre il gioco, ma sono le imprese. Di fatto, il decentramento è

interpretato come un ribaltamento del successo del sindacato nell’usare la

contrattazione centralizzata quale strumento per tenere i salari fuori dalla

competizione tra imprese e di garantire, per quanto possibile, condizioni

di lavoro uguali per tutti. Il decentramento è di fatto intervenuto in aree

forti dell’economia e del mercato del lavoro con la tendenza, di una parte

dei lavoratori, delle rappresentanze sui luoghi di lavoro e dei membri del

sindacato, ad uscire dagli schemi troppo stretti ed egualitari della

contrattazione nazionale.

Katz (1993) individua tre possibili ipotesi per spiegare la tendenza

verso il decentramento. La prima ipotesi considera il decentramento

come risultato dell’aumento del potere manageriale, pertanto è una

lettura basata su un ribilanciamento degli equilibri di poteri interni al

Page 54: WCM (World Class Manufacturing)

50

sistema di relazioni industriali. La seconda ipotesi sottolinea l’importanza

della riorganizzazione del lavoro e delle tecnologie più flessibili che

hanno portato management e organizzazioni sindacali a collaborare per

gestire questo cambiamento. La terza, infine, focalizza l’attenzione

sull’accresciuta diversificazione sia della struttura sia degli interessi dei

lavoratori. La spinta al decentramento è legata alla pressione e

all’incertezza del cotesto economico, al passaggio dai mercati di massa ai

prodotti specializzati, al mutamento delle prestazioni e della natura del

mercato del lavoro. Si tratta, quindi, di un decentramento di natura

strutturale e di lunga durata. Alla luce di tutto ciò si solleva alcuni

importanti interrogativi sullo sviluppo futuro delle relazioni industriali

nel settore dell’automobile a livello mondiale. Attualmente il sindacato

sta vivendo una fase di notevole trasformazione, cioè da organismo di

tipo «conflittuale» a «sindacato partecipativo», e in particolare verso un

«sindacalismo d’impresa».

Per comprendere le trasformazioni in atto bisogna sottolineare come

nella fabbrica lean la direzione aziendale stia utilizzando tecniche più o

meno sofisticate di Human Resource Management (HRM) per

incentivare e motivare adeguatamente la forza. Questi incentivi sono

direttamente collegati alla fragilità della fabbrica lean, poiché la sua

vulnerabilità aumenta qualora i lavoratori non prestano attenzione, e

sono chiamati a risolvere i problemi in prima persona.

La crescita del coinvolgimento individuale ha quindi importanti

conseguenze in merito ai mutamenti nelle forme di resistenza dei

lavoratori. In particolare, viene meno la logica della contrapposizione

espressa tradizionalmente dallo sciopero, pur essendo formalmente

previsto e riconosciuto dalla legge, è percepito dai lavoratori solo come

ultima istanza, si ricorre allo sciopero solo quando tutti gli altri strumenti

Page 55: WCM (World Class Manufacturing)

51

predisposti per la risoluzione delle controversie non abbiamo prodotto

l’esito desiderato. Tendono invece a manifestarsi nuove e più strategiche

forme di resistenza operaia, quali ad esempio, l’inversione del controllo o

della non partecipazione alle attività tipiche di miglioramento continuo.

Tuttavia, se da una parte l’introduzione della lean production pone dei

rischi all’azione sindacale, dall’altro offre nuove potenzialità per la

rappresentanza collettiva dei lavoratori all’interno delle fabbriche. La

logica della prevenzione può accrescere il potere del sindacato, in un

sistema produttivo che si basa sul just in time, il sindacato può facilmente

infliggere seri danni all’azienda attraverso l’azione organizzata e mirata di

fermi delle linee produttive, di scioperi, oppure attraverso la semplice

minaccia dello sciopero per aumentare il proprio potere contrattuale.

Un ulteriore spazio per il sindacato deriva dal fatto che, anche a fronte di

relazioni dirette tra management e lavoratori, sul fronte della

contrattazione collettiva, possono cercare di ottenere salari più alti e

maggiori benefici per i lavoratori della categoria, miglioramento delle

condizioni di lavoro, con particolare attenzione alla salute ed alla

sicurezza sul luogo di lavoro, alla gestione dei tempi e degli straordinari e

allo stress psico-fisico legato all’intensificazione dei ritmi di lavoro.

Il successo del sindacato è notevole proprio in virtù della stretta

connessione esistente nella lean production tra performance economica

aziendale e condizione (fisica e morale) del lavoratore.

Quali tipi di sindacato e di relazioni industriali tenderanno ad

affermarsi in Europa e negli Stati Uniti? Dal momento che ormai si ci sta

dirigendo in modo irreversibile verso il decentramento della

contrattazione collettiva e delle relazioni industriali (Katz, 1993) e verso

la sempre maggior valorizzazione della gestione individuale delle risorse

umane (Negrelli, Treu, 1995), quanto decentramento sono in grado di

Page 56: WCM (World Class Manufacturing)

52

sopportare i sistemi dell’Europa continentale, tradizionalmente più

centralizzati di quelli anglo-sassoni? Qual è sarà il livello di

complementarietà che tenderà a prevalere tra le relazioni industriali e la

gestione delle risorse umane?

Nelle imprese occidentali, flessibilità del lavoro, nuove forme di

motivazione e di incentivazione, paghe legate ai risultati di qualità,

produttività e redditività stanno portando a tipi differenti di

combinazione tra rapporti collettivi e rapporti individuali di lavoro, che

in alcune realtà sembrano orientate alla complementarietà mentre in altre

più verso la competizione oppure l’antagonismo (Negrelli, 1995).

Page 57: WCM (World Class Manufacturing)

53

Capitolo 2

Il World Class Manufacturing come modo di

lavorare

2.1. La nuova metodologia organizzativa: il “World Class

Manufacturing”

«World Class Manufacturing significa realizzare prodotti:

più rapidamente…..

meglio….

in modo più economico…. insieme»

Sono molte le case automobilistiche che possono vantare modelli che

sono più avanzati sul piano strettamente tecnologico, che dispongono di

motorizzazioni più performanti, che vantano un’immagine più ricercata,

che presentano tratti stilistici più sofisticati. Tuttavia non esiste alcuna

casa automobilistica che abbia conseguito nel tempo i risultati della

Toyota, sia in termini di espansione nelle quote di mercato che sotto il

profilo economico-finanziario. Il fulcro su cui Toyota ha fatto e continua

a far leva, per costruire la sua invidiabile posizione nell’arena competitiva

dell’industria automobilistica, è rappresentato dall’attività di

manufacturing. I suoi prodotti infatti sono realizzati con un altissimo

livello di produttività e affidabilità, e nessuna casa automobilistica vanta

un grado di soddisfazione della clientela paragonabile a quello della

Toyota.

Page 58: WCM (World Class Manufacturing)

54

Per reggere la sfida competitiva non basta produrre automobili dalle linee

accattivanti e di elevate prestazioni, bisogna essere in grado di assicurare

alla clientela un rapporto qualità/prezzo, quello che in inglese viene

indicato come money for value, migliore dei propri concorrenti.10

In questo panorama sempre più competitivo la Fiat Chrysler

Automobiles si è posta l’obiettivo di costruire un “Fiat Production

System” (FAPS), vale a dire un modello integrato, costituito da

un’insieme di metodologie e strumenti la cui applicazione consente il

miglioramento radicale delle prestazioni del sistema produttivo. Ciò

permette di consegnare il prodotto al cliente nei tempi e nella qualità

richiesti e di eliminare contemporaneamente le attività a non valore

aggiunto e qualunque altro tipo di perdita di persone, impianti, materiali

ed energia. Quest’ultimo deve conseguire i rigorosi standard

internazionali, gli standard codificati dal “World Class Manufacturing”,

che riguarda la competitività, questo nei diversi paesi in cui viene

applicato, prende nomi diversi, dalla Lean Production (produzione

snella), Value Management, Qualità totale. È una metodologia di

organizzazione e di miglioramento continuo delle prestazioni della

fabbrica, attraverso cui si riescono ad ottenere importanti vantaggi di

competitività relativi a qualità, costi e tempi di risposta. L’aspetto più

importante di questa impostazione è che il raggiungimento della qualità e

dell’efficienza nascono dall’utilizzo di tecniche quali il Just in time, la

Qualità totale e soprattutto dai suggerimenti migliorativi del personale

che lavora nella fabbrica.

10 Volpato G., «Fiat Group Automobiles. Un’Araba Fenice nell’industria automobilistica

internazionale», Bologna, il Mulino, p. 168

Page 59: WCM (World Class Manufacturing)

55

Entriamo del merito di queste tecniche, il Just in time significa fornire un

servizio quando è effettivamente necessario, né prima, né dopo. Ciò

richiede notevoli sforzi da parte di dipendenti, macchinari e materiali che

devono essere perfetti e capaci di garantire i migliori risultati, per questo

sono stati realizzati una serie di strumenti, quali ad esempio il Kanban,

un sistema di controllo visibile, Jidoka, un processo per connettere ai

macchinari sistemi a basso consumo, di avvio/spegnimento e di

segnalazione, l’Andon, un sistema di preallarme, e così via.

La vera essenza del Jit consiste nell’individuazione degli sprechi, e

quindi nella loro eliminazione completa, in alternativa in una loro

riduzione significativa. Il 90% degli sprechi aziendali complessivi sono

attribuibili ai sistemi, ai metodi e ai processi che il management aziendale

impone ai dipendenti. Tutto ciò implica quindi un cambio di mentalità in

chi dirige l’azienda, occorre che i manager si rendano conto di essere non

solo i responsabili delle possibili soluzioni, ma spesso anche la causa dei

problemi.

Per quanto riguarda la Qualità totale, la “International Standard

Organisation”, ha introdotto una serie di standard qualitativi, il più

recente nel 2000, genericamente chiamati ISO 9000. Tali standard sono

costituiti da una serie di punti riguardanti gli elementi fondamentali di un

sistema di base, questo ha avuto un impatto significativo e positivo

sull’industria, anche se tuttavia non sono mancati gli aspetti negativi. Gli

standard richiedono che un impresa nomini un manager o comunque un

responsabile della qualità. Ciò ha comportato che la questione della

qualità all’interno di un’azienda avesse una figura specifica, preposta a

tale incarico, ma ha avuto anche l’effetto di concentrare la qualità solo in

un determinato settore.

Page 60: WCM (World Class Manufacturing)

56

Il sistema della Qualità Totale (TQM), sviluppa processi produttivi

talmente perfetti da rendere impossibili errori, e si differenzia rispetto ai

precedenti sistemi tradizionali di controllo della qualità, in cui gli errori

venivano riscontrati soltanto dopo che si erano verificati. La qualità non

è quindi una caratteristica che può essere semplicemente aggiunta ad un

prodotto, dopo che è stato realizzato, da un ispettore di qualità. La

qualità viene attribuita ad un prodotto o servizio, soltanto durante le fasi

di lavorazione. Questo processo inizia dal lavoro dei progettisti e

continua lungo tutto il percorso produttivo aziendale, finchè il cliente

finale non riceve il prodotto.

Questa consapevolezza della qualità e del modo in cui tutti i dipendenti

sono importantissimi per la qualità di base del prodotto, deve essere

presentata allo staff, da parte di un management impegnato, che si

preoccupa dell’azienda e dei sui clienti. Per l’eliminazione degli sprechi di

un’azienda l’avvalersi di un team per la soluzione dei problemi è un

elemento chiave in un approccio legato al modello World Class

Manufacturing, uno dei mezzi più efficaci usati da questi gruppi di lavoro

è la tecnica del “brainstorming”, che consiste nel riunire il team,

individuando e definendo il problema da risolvere, e cercando di trovare

il maggior numero possibile di idee che possano chiarire la questione.

Nel realizzare i principi del JIT e del TQM importanti sono i

suggerimenti migliorativi del personale, mentre prima si affidava

essenzialmente all’automazione degli impianti la qualità della produzione

motoristica e dell’assemblaggio delle autovetture, la stessa esperienza

della Fiat ha poi mostrato che sia nelle lavorazioni tipicamente

meccaniche, ma anche, nelle fasi di assemblaggio, il contributo del

personale al raggiungimento del risultato è assolutamente fondamentale.

Page 61: WCM (World Class Manufacturing)

57

Il Wcm mostra tutta la sua potenzialità quando diventa un “abito

mentale”, quando l’operaio guarda al suo lavoro in modo nuovo e si

interroga su cosa può essere fatto per produrre meglio, con minore

fatica, senza spreco. Esso viene promosso e sostenuto dall’alto, ma la sua

realizzazione segue uno schema tipicamente bottom-up, cioè ogni

problema viene normalmente affrontato dall’addetto che è più a contatto

con la manifestazione del problema. I dipendenti vengono quindi

attivamente coinvolti nell’azienda, questi non devono più soltanto fare

ma anche pensare.

Fig. 2.1 Le tre aree dei metodi del miglioramento continuo

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufaturing, 2008

2.2. Strumenti e metodologie

Il Wcm si basa su una varietà di strumenti, alcuni di questi anche

complessi che richiedono competenze statistiche, ma l’essenza del Wcm

è di procedere sistematicamente alla decomposizione dei problemi in

problemi più semplici e di sviluppare accorgimenti per semplificare ogni

Page 62: WCM (World Class Manufacturing)

58

forma di controllo del funzionamento degli apparati, proprio per mettere

ogni operatore in condizione di affrontare le problematiche del proprio

lavoro. Il primo passo verso un sistema di World Class Manufacturing

consiste nella piccola manutenzione, che inizia proprio dal tenere in

ordine e pulito il proprio posto di lavoro. Sembra un dettaglio

trascurabile, ma non è così, è solo il primo passo verso un addestramento

a cogliere il manifestarsi di comportamenti anomali delle attrezzature e a

studiare come ovviarli. Ad esempio nello stampaggio dei pannelli che

costituiscono la carrozzeria di un automobile se un moscerino si

appoggia al foglio piano di lamiera che sta per essere stampato da una

pressa idraulica che esprime una forza di migliaia di tonnellate,

l’impronta del moscerino, sottilissima, ma percepibile, si trasferirà sulla

portiera o sul cofano di lamiera stampata.

All’interno della Fiat, il FAPS (Fiat Auto Production System) è un

modello integrato che ottimizza tutti i processi di produzione-logistica e

che consente di attuare un miglioramento continuo dei fattori

fondamentali, qualità, produttività, sicurezza, delivery. La sua

applicazione consente al Management di concentrarsi sul miglioramento,

invece di rincorrere i problemi quotidiani. Si pone l’obiettivo di

raggiungere significativi risultati di efficienza e di soddisfazione del

cliente, avendo come riferimento le metodologie applicate dalla migliore

concorrenza, strutturate e definite nel World Class Manufacturing.

Il Wcm realizzato alla Fiat viene quindi presentato come una

matrice nella quale le diverse aree operative dello stabilimento, indicate

come «pilastri», vanno monitorate sistematicamente per migliorare le

prestazioni attraverso l’applicazione di una molteplicità di strumenti11. Vi

11 «Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System», Fiat Group Automobiles, 2007

Page 63: WCM (World Class Manufacturing)

59

sono 10 pilastri tecnici e 10 pilastri manageriali o gestionali. I pilastri

tecnici si riferiscono ad una precisa metodologia, i pilastri manageriali,

sono di supporto ai criteri tecnici di pilastro, necessari per

un’applicazione ottimale del sistema di produzione. Sono azioni che

deve svolgere il coordinatore centrale del Team WCM (il WCM leader o

il direttore di stabilimento), finalizzate a favorire l'impegno e l'auto-

responsabilità dei vari preposti ai singoli pilastri di attività. Responsabilità

che, applicando tecniche e metodi di gestione per obiettivi, consiste nel

realizzare piani e progetti attraverso la diffusione di Know-How. Questi

riguardano il “commitment”, cioè l’impegno, la motivazione

coinvolgimento totale, vi è poi la cultura orientata al dettaglio.

Fig. 2.2 I pilastri tecnici e manageriali

Fonte: L. Massone, World Class Mnufaturing. Il percorso verso l’eccellenza

Il percorso di evoluzione di ogni pillastro tecnico è vincolato a 7 steps.

Prendiamo in considerazione, per motivi di semplificazione, il solo

pilastro “Sicurezza”.

Page 64: WCM (World Class Manufacturing)

60

Fig. 2.3 Pilastro “Safety” (Sicurezza)

Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles, 2007

Safety Sicurezza

Perché si fa

Per soddisfare le esigenze degli addetti, assicurando il miglioramento continuo della sicurezza sul posto di lavoro.

A che cosa serve

• a ridurre drasticamente il numero degli incidenti • a sviluppare la cultura della prevenzione per quanto riguarda la sicurezza • a migliorare continuamente l’ergonomia del posto di lavoro • a sviluppare le competenze professionali specifiche

Principali attività

• audit interni periodici sulla sicurezza degli impianti • identificazione e valutazione dei rischi • analisi sistematica degli incidenti avvenuti • miglioramenti tecnici sulle macchine e sul posto di lavoro • formazione, addestramento e controllo

Page 65: WCM (World Class Manufacturing)

61

Fig. 2.4 I sette step del pilastro “Safety” (Sicurezza)

Piena implementazione del sistema sicurezza

Standard autonomi

Ispezione autonoma (contromisure contro i

potenziali problemi)

Ispezione generale per la sicurezza (addestramento

e formazione delle persone)

Standard iniziali di sicurezza (lista di tutti i problemi)

Contromisure ed estensione sulle aree simili

Analisi degli infortuni e delle cause di infortunio

Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles, 2007

All’interno di ciascun pilastro possono essere utilizzati alcuni strumenti.

Step 1

step 2

Step 3

Step 4

Step 5

Step 6

Step 7

Sette step della Safety

Page 66: WCM (World Class Manufacturing)

62

Fig. 2.5 Gli strumenti del World Class Manufacturing

Fonte: Propria elaborazione

Vi sono poi continue verifiche interne ("audit"), che costituiscono uno

degli elementi per valutare, guidare e supportare l’applicazione di Fiat

Auto Production System seguendo il percorso verso il World Class

Manufacturing. Ha lo scopo di verificare l’avanzamento dei risultati e di

indirizzare il management ad una applicazione corretta dei metodi del

Sistema di Produzione, tramite i KPI (Key Performance Indicator) sulle

seguenti aree tematiche:

• Cost (costi)

• Quality (qualità)

4M Techinque (machine-material-method-man)

5 “S”: separare, ordinare, pulire, standardizzare, sostenere e migliorare

5W e 1H: Who (chi), What (che cosa), Where (dove), When (quando), Why (perché), How (come)

5 WHYS (5 perché)

AM Tag (Cartellino AM)

Equipment ABC Prioritization (Classificazione ABC delle macchine)

FMEA – Failure Mode ancd Effect Analysis (Analisi dei guasti e dei loro effetti

Kanban (Cartellino) NVVA – Not Value Added Activity (Attività a non valore aggiunto)

OPL – One Point Lesson (lezione su un punto)

Poka Yoke (evitare l’errore)

QA Matrix (la matrice assicurazione qualità)

QM Matrix (la matrice manutenzione per la qualità)

Six Sigma (sei sigma)

Value Stream Map (mappa del flusso del valore)

X Matrix (la matrice x

SMED - Single Minute Exchange of Die (Attrezzaggio in un tempo inferiore ai 10 minuti)

Page 67: WCM (World Class Manufacturing)

63

• Productivity (produttività)

• Safety (sicurezza

• Human Resource (risorse umane)

• Production System (sistema produttivo)

• Delivery (livello di servizio)

• Stock (scorte)

A tal fine sono previsti sia autovalutazioni periodiche, realizzate dal

management di stabilimento per il monitoraggio dell’avanzamento delle

attività dei pilastri, sia valutazioni esterne, a cura di manager

indipendenti, per la certificazione dei livelli raggiunti.

Lo stabilimento viene valutato per ogni metodologia con un punteggio

che varia da 0 a 5. La valutazione complessiva dello stabilimento viene

riassunta in un indicatore chiamato Indice di Implementazione

Metodologie (IIM), che può essere applicato anche a livello di Unità

Operativa e di Ute. L’IIM si ottiene come somma di tutti i livelli

raggiunti nell’implementazione di ciascuna metodologia.

La valutazione, una volta verificata da parte di esperti esterni, porta lo

Stabilimento all’assegnazione di specifici riconoscimenti (Bronzo 50

punti, Argento 65 punti, Oro 80 punti).

Fig. 2.6 Il “sistema audit”

Fonte: L. Massone, World Class Manufaturing. Il percorso verso l’eccellenza

Page 68: WCM (World Class Manufacturing)

64

2.3. L’implementazione del World Class Manufacturing

Il modello del World Class Manufacturing, costituisce, un nuovo modo

di guardare all’organizzazione, la sua implementazione è sempre un

elemento cruciale. Il vantaggio del WCM è dato dal modo in cui lo si

introduce in azienda e dai benefici che permette di ricavare. Mostreremo

di seguito i 5 passi attraverso cui applicare un programma World Class:

1) Diagnostica dell’impresa

È una verifica di tutti i settori chiave dell’impresa, il vantaggio di questa

fase è l’individuazione delle priorità d’intervento all’interno

dell’organizzazione, problemi che devono essere risolti rapidamente, ed è

proprio già in questa fase che si hanno indicazioni concrete su come

risolvere il problema. Al fine di ottenere migliori risultati , questa fase di

diagnosi dovrebbe essere condotta da un consulente esterno, libero da

pregiudizi, cioè da esperienze aziendali quotidiane o da preconcetti

consolidati dall’operare da lungo tempo in impresa.

2) Consapevolezza e autovalutazione

I programmi del WCM sono in genere guidati dalla direzione, questa

deve avere una chiara visione di quello che implica il WCM, in modo da

poterlo trasmettere al resto dell’impresa. I dipendenti devono

comprendere a pieno i principi del WCM in modo da contribuire a

migliorare il loro modo di operare in azienda. Una volta che tutta

l’impresa è giunta ad una cognizione esatta dei principi di base del

modello, potrà confrontare i risultati della fase diagnostica con il modello

Page 69: WCM (World Class Manufacturing)

65

WCM ed effettuare una sorta di autovalutazione che costituirà, poi, la

base per il piano di miglioramento.

3) Programma d’implementazione

La combinazione delle due fasi precedenti permette all’impresa di

mettersi all’opera per creare un piano di implementazione per

concretizzare i presupposti teorici. Un programma d’attuazione che deve

essere pratico e flessibile, soprattutto nella fase di pianificazione, dal

momento che man mano che si sviluppa il processo si avranno maggiori

possibilità di utilizzare al meglio le idee che proverranno dall’interno

dall’interno dello staff, sia ai livelli manageriali, sia ai livelli operativi.

4) Il cambiamento

L’azienda ha recepito il modello World Class Manufacturing e lo ha

interpretato in base alla propria situazione specifica, ed è giunto il

momento di attuare i cambiamenti. Questa rappresenta sia una fase

stimolante dal momento che i dipendenti assistono ai maggiori

cambiamenti in termini di miglioramento, ma anche una fase rischiosa,

poiché attraverso la trasformazione, le reazioni e le impressioni dello

staff devono essere gestite di conseguenza, e quindi è proprio in questo

punto che emerge l’importanza di aver svolto con efficacia le fasi

precedenti. 12

12 Keegan R., «Introduzione al World Class Manufacturing. Casi di studio ed applicazioni pratiche

di produzione snella, qualità totale ed innovazion», Milano, Franco Angeli, 2003, p. 20

Page 70: WCM (World Class Manufacturing)

66

5) Miglioramento costante

Le fasi iniziali di un programma WCM condurranno a dei miglioramenti

immediati nel sistema operativo generale dell’azienda, tuttavia

quest’ultima deve continuare a tendere il processo di miglioramento

anche in futuro.

Il sistema del WCM è stato applicato a tutti gli stabilimenti Fiat, da parte

dell’ Ad Sergio Marchionne, nel 2005 a Mirafiori, Cassino, Melfi

estendendolo infine a tutte le aziende del gruppo.

In Italia tra il 2006 e il 2009, la Fiat ha dichiarato un risparmio di 730

milioni di euro con il Wcm, incassando riconoscimenti internazionali. La

medaglia d'oro assegnata allo stabilimento di Tychy, in Polonia, e a

quello di Pomigliano, e allo stabilimento di Mirafiori la medaglia

d’argento.

2.4. Il sistema Ergo-Uas

Nel quadro del Wcm, è stato poi inserito un sistema specifico, chiamato

Ergo-Uas che, con lo stesso obiettivo di eliminare perdite e sprechi per

massimizzare il “valore aggiunto interno”, interviene sulle postazioni di

lavoro con innovazioni incrementali derivate da analisi ergonomiche,

consentendo di eliminare tutto ciò che nei movimenti dei lavoratori è

considerato uno spreco e con ciò aumentare la produttività.

Vediamo nel dettaglio in che cosa consiste questa nuova metrica, vi è

inanzittutto la presenza di due sigle nella denominazione Ergo-Uas,

dovuta al fatto che la nuova metrica è la fusione di due tecniche di

misura, una tecnica di misura dell’ergonomia basata sul sistema Eaws

Page 71: WCM (World Class Manufacturing)

67

(European Assembly Work-Sheet), è un metodo di misura dei tempi

basato sul sistema tabellare Uas (Universal Analysing System).

Uas (universal analisys system) è un sistema MTM13 (method time

measurement) che, per definire “tempi e metodi di lavoro”, descrive la

sequenza di operazioni di uno specifico compito lavorativo attraverso

l’aggregazione dei movimenti elementari effettuati dal lavoratore (ad es. i

movimenti elementari “raggiungere, afferrare, muovere, ruotare,

posizionare, rilasciare ecc.” vengono aggregati nelle operazioni “prendere

e piazzare”). Per rendere più chiara la comprensione di Ergo-Uas è utile

una descrizione sintetica dei sistemi di misurazione della prestazione

lavorativa ed, in particolare, di quello MTM.

MTM rientra nella categoria dei cosiddetti sistemi a tempi predeterminati

(PTS, predetermined time system), si tratta di sistemi che suddividono i

compiti lavorativi nei movimenti degli arti, e del corpo, ed assegnano ad

ognuno di essi un determinato valore in termini di tempo; si

propongono, cioè, di definire i tempi ed il ritmo standard di una

prestazione lavorativa. Il sistema MTM, uno dei PTS più utilizzati a

livello internazionale, scompone qualsiasi operazione manuale nei

movimenti elementari (nel senso che non sono ulteriormente

suddivisibili) necessari per eseguirla ed assegna ad ognuno di essi, sulla

base della natura del movimento e delle condizioni in cui viene

effettuato, un tempo standard predeterminato. L'operazione “prendere e

posizionare un oggetto”, ad esempio, viene suddivisa nei movimenti

elementari “raggiungere, afferrare, muovere, ruotare, posizionare,

rilasciare ecc.”. Sulla base di analisi statistiche sono state definite delle

tabelle, la cui validità scientifica è relativa e discutibile, che assegnano i

tempi standard per i movimenti elementari degli arti, è stato definito, ad

13 Tuccino F., «World Class Manufacturing e sistema Ergo-Uas», Roma, 2010, p.5

Page 72: WCM (World Class Manufacturing)

68

esempio, che il tempo necessario per raggiungere un oggetto a distanza

di 20 centimetri è di 10,5 TMU (l'unità di misura più utilizzata da MTM;

27,8 TMU corrispondono ad 1 secondo).

Tutti i sistemi MTM si basano sulle tabelle originarie, la differenza

tra MTM1 e gli altri MTM consiste essenzialmente nella tendenza ad

assemblare i movimenti elementari in azioni più complesse.

MTM-UAS, ad esempio, invece delle azioni (raggiungere,

afferrare, muovere, ruotare, posizionare, rilasciare) considera solo "

prendere e posizionare ".

Per definire i ritmi di lavoro in un'azienda, l’analista “tempi e

metodi”, sulla base dei tempi predeterminati delle tabelle MTM , osserva

un lavoratore “con un rendimento medio” ed assegna i valori del tempo

“base” per uno specifico compito lavorativo, considerando, ad esempio,

100 il valore dei tempi predeterminati l'analista, sulla base delle

caratteristiche del compito, assegna un valore inferiore (ad esempio 75) o

superiore allo standard (ad esempio 133). Dopo aver definito il tempo

“base”, o normalizzato, l'analista assegna le percentuali di tempo che

derivano dai cosiddetti fattori di “maggiorazione”, si arriva così, infine,

alla definizione di un tempo effettivo per l'esecuzione di uno specifico

compito lavorativo. La specificità di Ergo-UAS, rispetto agli altri sistemi

di misurazione del lavoro, risiede proprio nella metodologia utilizzata per

definire il fattore di “maggiorazione” (o fattore di “riposo”) del tempo

relativo ad uno specifico compito.

I sistemi “tradizionali” si focalizzano prevalentemente sui fattori di

“maggiorazione” di tipo tecnico-organizzativo, rientrano tra queste le

cosiddette operazioni “extra”(ad esempio quelle dovute ad imprevisti,

rifornimenti ecc.) che i fattori di riposo fisiologico.

Page 73: WCM (World Class Manufacturing)

69

Ergo-Uas, invece, si propone un’analisi articolata anche dei fattori di

rischio ergonomico. La particolarità di Ergo-Uas , rispetto ai sistemi

“tradizionali”, consiste essenzialmente nel tentativo di definire i fattori di

riposo, non in modo generico, ma sulla base di una metodologia per

l'analisi del carico bio-meccanico sia statico (l’assunzione ed il

mantenimento di posture a rischio) che dinamico (la frequenza dei

movimenti degli arti superiori), questa metodologia è la checklist Eaws.

Eaws, la parte Ergo del sistema Ergo-Uas, è una checklist (lista di

controllo) che, in quanto tale, si propone di effettuare una prima e veloce

“mappatura” del rischio ergonomico, sia nelle fasi di progettazione delle

postazioni di lavoro che su quelle già esistenti.

La checklist è suddivisa in 5 sezioni ognuna delle quali si occupa di

uno specifico fattore potenziale di rischio ergonomico:

• Postura: la tipologia di posture statiche assunte durante lavoro,

• Forza: il livello di applicazione di forza,

• Movimentazione manuale dei carichi,

• Fattori “extra”, presenza di vibrazioni, utilizzo di martelli ecc.,

• Movimenti ripetitivi degli arti superiori

Sulla base del confronto tra le caratteristiche di una postazione di

lavoro e le tabelle di riferimento della checklist vengono assegnati dei

valori per ognuna delle sezioni; i valori delle prime quattro sezioni (a-b-c-

d) si sommano per ottenere un indice di rischio ergonomico relativo al

“corpo intero” (whole body), i valori della sezione E (movimenti

ripetitivi), invece, vengono considerati a parte.

L'indice di rischio finale della checklist deriva dalla scelta del

valore più elevato tra quello ottenuto dalla somma dei valori delle sezioni

A-D (whole body) e quello della sezione E, relativa agli arti superiori; il

Page 74: WCM (World Class Manufacturing)

70

rischio viene classificato “verde” (assente- lieve) per valori tra 0-25,

giallo (rischio medio) tra 26-50, rosso (rischio elevato) per valori oltre 50.

Dopo la compilazione della checklist si passa alla fase

d’integrazione tra Eaws (la parte Ergo) ed Uas (la parte relativa alla

metrica del lavoro) per la definizione del fattore di maggiorazione

ergonomico (F.ergo), il valore del F.ergo viene infine sommato a quello

del fattore di maggiorazione “tecnico-organizzativo” (F.to). Si ottiene,

così, il fattore di maggiorazione complessivo del tempo di ciclo di una

postazione lavorativa ( o della cadenza di una linea di montaggio), fattore

che corrisponde al cosiddetto tempo passivo, o d’insaturazione,

dell'attività del lavoratore.

Nel sistema Ergo-Uas è stata definita una tabella per la

conversione dei valori dell’indice di rischio ergonomico, ricavati da

Eaws, nelle percentuali di maggiorazione di tempo da assegnare ad uno

specifico compito lavorativo, per valori EAWS tra 0-25, ad esempio, non

si assegna nessuna maggiorazione, tra 25-30 si ha una maggiorazione del

1,5% del tempo di ciclo, tra i 50-55 si ha una maggiorazione del 21%, per

valori oltre 80 si assegna una maggiorazione del 51%.

I dati ottenuti con la checklist Eaws, oltre alla definizione dei fattori di

maggiorazione del tempo di ciclo, possono essere utilizzati anche per

individuare delle misure di prevenzione possibili per ridurre il rischio

ergonomico, già nella fase di progettazione delle postazioni di lavoro.

Page 75: WCM (World Class Manufacturing)

71

Fig. 2.7 Il Sistema “Ergo-Uas”

Page 76: WCM (World Class Manufacturing)

72

Fig. 2.8 Prima e dopo l’introduzione del World Class Manufacturing

Page 77: WCM (World Class Manufacturing)

73

Page 78: WCM (World Class Manufacturing)

74

Fonte: L. Massone, World Class manufacturing. Il percorso verso l’eccellenza

Page 79: WCM (World Class Manufacturing)

75

Capitolo 3

La Fiat: tra crisi e rinnovamento

3.1. Dinastia Agnelli

La Fiat (sigla di Fabbrica Italiana Automobili Torino) fu fondata a

Torino l’11 Luglio 1899 da Giovanni Agnelli e altri soci.

Il primo nome Fia della neonata società (Fabbrica Italiana di

Automobili) decise ben presto di cambiare nome in Fiat (Fabbrica

Italiana Automobili Torino).

La FIAT iniziò la costruzione del famoso stabilimento produttivo

denominato Lingotto nel 1916 e lo fece entrare in funzione nel 1923.

Dopo un primo periodo di difficile sviluppo, segnato da diverse

ricapitalizzazioni e da modifiche nella composizione del capitale

azionario, non sempre in maniera pacifica ma anche sfociate in processi

clamorosi per l'epoca, la proprietà della casa automobilistica viene

assunta quasi integralmente da Giovanni Agnelli, che

diventerà senatore durante il Fascismo e resterà a capo dell'azienda sino

al termine della seconda guerra mondiale.

In questo periodo la Fiat adottò una politica di diversificazione delle

attività, rispetto a quella principale di produzione di automobili, iniziò dal

1903 la produzione di autocarri e di motori diesel e dal 1908 quella di

motori di aviazione, nel 1929 si estese nei settori dell’ingegneria civile e

dei trattori agricoli e alla fine del 1970 in settori quali l’energia e le

telecomunicazioni. Il suo ruolo nei processi di industrializzazione e di

motorizzazione della società è stato primario, privilegiando la strategia

Page 80: WCM (World Class Manufacturing)

76

della produzione di vetture utilitarie (nel 1932 la Ballila 508 e nel 1936 la

500 Topolino).

Dopo aver rischiato tuttavia di perdere la proprietà dell'azienda per la

propria compromissione con il regime fascista, Giovanni Agnelli passa il

comando a Vittorio Valletta, dal momento che l'unico figlio maschio,

Edoardo, morì in un incidente aereo. Valletta rese possibile la più ampia

diffusione dell’automobile grazie all’affermazione della produzione su

larga scala basata sulla progressiva automazione degli impianti e la

standardizzazione dei processi produttivi. La posizione di quasi

monopolio nel mercato automobilistico italiano e di grande rilievo in

quello internazionale è stata raggiunta attraverso la progressiva

incorporazione di altre società del settore, le Ferriere piemontesi nel

1917, le società Ligure piemontese automobili, Aeronautica d’Italia e

Anonima metalli nel 1947, la OM e l’Autobianchi nel 1967, la Lancia nel

1969, l’Alfa Romeo nel 1987, la Ferrari nel 1988, la Maserati nel 1993. La

FIAT ha inoltre rafforzato la dimensione internazionale, e non solo nel

settore automobilistico, attraverso una strategia di accordi e alleanze

volte al consolidamento del gruppo, soprattutto a partire dall’accordo

con l’URSS (1966), che portò alla realizzazione in quel paese di impianti

per la produzione della Fiat 124 e di una nuova città denominata

Togliattigrad.

Valletta riuscì non solo a risollevare le sorti dell’azienda ma

contemporaneamente fornì l'opportuna preparazione al ruolo che

appena possibile avrebbe dovuto assumere il giovane discendente "primo

in linea dinastica".

Gianni Agnelli, l'erede, nonché nipote del senatore Giovanni Agnelli

divenne presidente della Fiat nel 1966 e lo rimase fino al compimento del

75º compleanno, quando le norme statutarie lo obbligarono a cedere la

Page 81: WCM (World Class Manufacturing)

77

presidenza. La carica viene assunta prima (1996) dall'ex amministratore

delegato Cesare Romiti e poi (1998) da un dirigente genovese che per

molti anni lavorò alla General Electric negli USA, Paolo Fresco.

La trasformazione della Fiat in un gruppo polisettoriale e multinazionale

è stato frutto di un processo di completa riorganizzazione avviato alla

fine degli anni ’60, che ha portato alla scomposizione della struttura

rigidamente accentrata e pur sempre a spiccata vocazione

automobilistica.

L’azienda opera con i marchi Fiat Spa, composto dalle attività

concernenti, le autovetture (Fga, Maserati e Ferrari), la sezione di Fiat

Powertrain Technolgies, dedicata a motori e trasmissioni per autovetture,

la componentistica e i sistemi di produzione (Magneti Marelli, Teksid e

Comau), le altre attività fra le quali quelle editoriali (La stampa) e un

secondo gruppo denominato Fiat Industrial Spa con controllo su Iveco,

Cnh e la sezione di Fiat Powertrain Techologies concernenti i veicoli

industriali e i motori marini. Attraverso il centro di ricerche Fiat e le

società Elais, Isvor Fiat, il gruppo svolge attività di ricerca nei campi

dell’ingegneria automobilistica, dei processi produttivi e delle

metodologie tecnico-gestionali.

Altri settori d’interesse, considerati non più strategici sono stati via via

dismessi nel corso degli anni ’90 e nei primi anni del 2000, nel quadro di

un progetto di ristrutturazione e di rilancio aziendale.

Tra questi, costruzioni ferroviarie (Fiat Ferroviaria), costruzioni aeroplani

e componenti per veivoli (Fiat Avio), energia (Italenergia), servizi

finanziari (Toro Assicurazioni e Fidis Retail Italia).

Il ritardo nel lancio e il poco successo di alcuni modelli, tuttavia, hanno

portato la Fiat, dal 2000 al 2003, sull’orlo di una grave crisi. Una crisi che

Page 82: WCM (World Class Manufacturing)

78

porta il fratello Umberto alla presidenza nel 2003 e dopo la morte di

Umberto nel 2004 è la volta di Luca Cordero di Montezemolo.

L'erede designato dalla famiglia Agnelli, John Elkann, è stato

nominato vice presidente all'età di 28 anni e altri membri della famiglia

fanno parte del consiglio di amministrazione. L'Amministratore

Delegato, Giuseppe Morchio, dimissionario, viene sostituito da Sergio

Marchionne, dal 1 giugno 2004, che risolleva le sorti dell’azienda con una

netta riconquista di quote di mercato. I principali poli di attività all’estero

sono costituiti dai paesi dell’UE, dal Sudamerica (Brasile e Argentina) e

da alcuni paesi dell’Est europeo. Nel 2009 la società ha stabilito un

alleanza strategica globale con la statunitense Chrysler, acquisendo il 20%

e aumentando progressivamente la sua partecipazione fino a portarla nel

2011 al 53,5% e a raggiungere la completa acquisizione nel 2014.

3.2. Il nascere della crisi

Da molti anni, le vicende Fiat sono oggetto di attenzione da parte degli

ambienti economici, sociali e politici del paese, ed è proprio questo ad

indicare l’importanza che il gruppo riveste nel contesto italiano.14 Oggi,

tuttavia, a far discutere con crescente preoccupazione sono soprattutto i

numerosi problemi che l’azienda sta vivendo. Non si tratta certo della

prima crisi con cui essa ha avuto a che fare, già nel 1907, solo dopo otto

anni dalla sua nascita, l’azienda vive un momento di difficoltà. Qui ci

soffermeremo, tuttavia, solo sulle vicende più recenti e in particolare su

14 Comito V., «L’ultima crisi. La Fiat tra mercato e finanza», l’Ancora, 2005, Napoli, p. 5

Page 83: WCM (World Class Manufacturing)

79

quella manifestatasi in modo eclatante nel 2002, già iniziata in modo

strisciante nel decennio precedente.

Negli anni di forte sviluppo economico successivi alla seconda guerra

mondiale Fiat Auto aveva attraversato una fase caratterizzata

sostanzialmente dagli elementi propri del modello fordista. Fase nella

quale, aveva lanciato delle piccole vetture a costi assai contenuti, grazie

anche alle forti economie di scala consentite da standardizzazione e di

meccanizzazione dei processi produttivi.

Questa evoluzione era favorita anche dal fatto di manifestarsi in un

periodo nella quale la concorrenza internazionale risultava ancora assai

modesta per effetto delle marcate barriere tariffarie all’import-export

allora presenti, che in Europa cadranno nel luglio del 1968 con la

costituzione del Mercato comune europeo dell’automobile. Questa

strategia competitiva, basata su aspetti caratteristici del modello fordista e

sulla volontà di mantenere l’interlocutore sindacale in posizione

subordinata, si mostrò negli anni ’60 sempre meno adeguata, ponendo in

discussione sia la governante dell’impresa, sia il suo assetto organizzativo

e le relazioni sindacali. La crisi scoppiò nell’autunno del 1969 (“autunno

caldo”) con una contestazione sindacale che impose l’inizio di un lungo

processo di riorganizzazione che, sul piano dell’assetto aziendale, diede

inizio alla strutturazione della Fiat per settori industriali,

precedentemente organizzata su rigidi criteri di natura funzionale.

La crisi alla Fiat, apertasi con l’autunno caldo, si protrasse a lungo anche

per il cumularsi del primo shock petrolifero del 1973, le cui ripercussioni

furono particolarmente gravi in Italia e successivamente per il

deteriorarsi delle relazioni sindacali e il manifestarsi di una grave deriva

politica rappresentata dal terrorismo (Brigate Rosse). Nel 1980 l’azienda

riuscì a riprendere l’iniziativa sia sul piano sindacale che su quello politico

Page 84: WCM (World Class Manufacturing)

80

e nel 1983 si aprì una stagione di forte ripresa economica dell’intero

gruppo Fiat, e di Fiat Auto in particolare, a seguito del lancio della Uno,

una piccola vettura che presentava forti elementi innovativi rispetto

all’offerta concorrente. A questo modello seguiranno altri prodotti di

successo come la Fiat Croma, la Fiat Tipo e la Lancia Thema. Nel 1987

la Fiat aveva da poco acquisito la società Alfa Romeo, superando

l’offerta della Ford. Venne così costituita la cosiddetta Alfa-Lancia

Industriale ai quali furono assegnati obiettivi particolarmente ambiziosi.

La seconda metà degli anni ’80 premiò questa impostazione, anche se gli

obiettivi di crescita dei marchi Alfa Romeo e Lancia risultarono di gran

lunga inferiori a quelli ipotizzati, Fiat Auto concluse il decennio con

risultati decisamente brillanti.

Per mantenere anche nel decennio successivo il livello di competitività

raggiunto alla fine degli anni ’80, è necessario sottolineare che erano in

atto profonde trasformazioni tanto sul versante della domanda

automobilistica, in quanto nelle fasi di crisi e di espansione i marchi

controllati dalla Fiat partivano da una posizione quasi monopolistica, per

effetto della crescita della motorizzazione, la domanda automobilistica

italiana si stava progressivamente orientando verso una preferenza per la

varietà, che portava a dilatare la quota delle vetture appartenenti ai

mercati di nicchia nella quale la Fiat risultava poco presente, e sia nella

riorganizzazione dell’offerta automobilistica, in quanto l’intensificarsi

della multimotorizzazione, da inizio ad un processo di segmentazione del

mercato in comparti e nicchie sempre più ristrette, con lo scopo di

realizzare offerte mirate su specifici consumatori. Questa evoluzione

aveva impattato significativamente sugli spazi di manovra di Fiat Auto

che forzata da una normativa fiscale italiana particolarmente penalizzante

Page 85: WCM (World Class Manufacturing)

81

nei confronti delle vetture di grossa cilindrata. E infine la pressione dei

concorrenti giapponesi che si stava facendo sempre più importante.

Già alla fine degli anni ’80 era quindi evidente che si sarebbe profilata

una stagione caratterizzata da una forte accentuazione del confronto

competitivo in Europa, soprattutto per marchi collocati nella parte

inferiore della gamma di segmenti, come nel caso di Fiat Auto che, pur

avendo goduto di un periodo favorevole fino al 1989, avrebbe comunque

dovuto realizzare profonde trasformazioni per mantenere inalterate le

proprie chance di successo. In particolare gli obiettivi da realizzare erano

quello di raggiungere un maggior equilibrio delle vendite nelle diverse

aree commerciali, alla fine degli anni ’80 la distribuzione geografica delle

vendite del gruppo era troppo sbilanciata sul mercato domestico e su

quello dell’Europa occidentale, era quindi necessario impostare una

nuova e più incisiva politica di internalizzazione. Una più chiara

definizione del posizionamento dei marchi, era necessario trovare una

corretta collocazione ai tre marchi (Fiat, Alfa Romeo, Lancia) cercando

di realizzare economie con la condivisione di parti componenti e di

piattaforme, ma stando attenti a non sovrapporre i ruoli dei marchi e

soprattutto a mantenere l’individualità dei modelli per quanto riguarda le

caratteristiche delle motorizzazioni, prestazioni, ecc. inoltre vi era

l’obiettivo di riposizionare i marchi del gruppo, e quello della Fiat in

primo luogo, verso la parte superiore dei segmenti della propria offerta.

L’innalzamento complessivo della qualità, la fiat in questo campo aveva

maturato scarse competenze soprattutto per il fatto di poter contare per

decenni su un mercato interno in forte crescita, ma alla fine degli anni ’80

era evidente che i produttori giapponesi avevano ormai stabilito dei

nuovi standard di affidabilità ai quali nessuno poteva più sottrarsi.

Page 86: WCM (World Class Manufacturing)

82

Purtroppo i cambiamenti avvenuti al vertice di Fiat Auto nel 1989

risultarono gravemente inadeguati alla sfida competitiva che doveva

essere affrontata, soprattutto per l’inadeguatezza del nuovo top

management che, anche nei casi in cui si mosse nella direzione richiesta

dallo scenario competitivo in via di formazione, lo fece con una gestione

contraddistinta da ritardi ed errori.

L’aspetto più rilevante è che se le carenze strategiche furono di non poco

conto, anche la gestione operativa risultò gravemente carente. Cesare

Romiti divenuto Ad di Fiat Auto alla fine del 1988, era innanzitutto

ansioso di ridurre il peso del settore auto, all’interno del gruppo. Ciò si

tradusse in uno spostamento dei profitti generati dal settore aut

automobilistico verso altri settori, facendo così crescere le attività

diversificate. Per quanto riguarda il rinnovo dei modelli vi fu indubbio un

rallentamento, si diede l’avvio a un programma di «Qualità Totale»

mirante ad innalzare la qualità delle autovetture e la loro affidabilità.

Tuttavia questo processo imitativo delle pratiche giapponesi basate sui

circoli di qualità, sulla sollecitazione di suggerimenti migliorativi da parte

dei dipendenti, pur ottenendo risultati inizialmente incoraggianti, si

dimostrarono non duraturi. Il risultato fu una netta contrazione delle

quote di mercato tanto in Italia che in Europa occidentale. Questo

risultato non mancò di allarmare Gianni Agnelli che indusse Romiti a

cedere nel dicembre del 1990 la posizione di amministratore delegato di

Fiat Auto a Paolo Cantarella.

L’ingegnere Cantarella, diede l’impressione di poter ridare impulso al

gruppo automobilistico procedendo al rinnovo della gamma. Nel 1993 si

ebbe l’importante successo rappresentato dal lancio del modello Punto,

che sostituiva il modello Uno, a cui seguì l’ampliamento della gamma

Fiat e Alfa Romeo. Tuttavia, anche forse per l’attivismo seguito alla stasi

Page 87: WCM (World Class Manufacturing)

83

nel lancio di novità dal 1989 al 1992, non tutti i modelli apparvero

all’altezza del compito loro assegnato, soprattutto dal punto di vista

qualitativo. Per alcuni ci furono rilevanti problemi di affidabilità, mentre

altre vetture risultarono stilisticamente inadeguate. Sia la stampa sia la

clientela furono concordi nel bocciare la nuova gamma di modelli e le

vendite complessive si ridussero drasticamente.

Nel 1995, con il lancio dei modelli abbinati Fiat Bravo/Brava si sarebbe

dovuta ottenere una svolta, ma fin dall’inizio si manifestarono dei

problemi di qualità che minarono alla base le notevoli possibilità del

modello Bravo, mentre le vendite della Brava non decollarono mai.

Nel febbraio del 1996 Giovanni Agnelli assunse la posizione di

presidente onorario e la sua precedente posizione venne assegnata a

Cesare Romiti. Nel marzo successivo si ebbe il passaggio dall’Ingegner

Cantarella alla posizione di amministratore delegato del gruppo Fiat ed il

subentro nella sua precedente posizione dell’ingegner Roberto Testore.

In nuovo assetto manageriale non ottenne i risultati sperati ed anzi la

situazione si fece sempre più difficile. La necessità di investire nelle

attività prevalenti del Gruppo Fiat spinse Gianni Agnelli a cedere

numerose imprese del gruppo e ad inserire nel Consiglio di

amministrazione di Fiat Spa una persona in grado di negoziare accordi

internazionali, Paolo Fresco, che vantava una lunga esperienza nella

General Elettric. Nel 1998 la posizione di Romiti, venne presa da Paolo

Fresco e Paolo Cantarella venne riconfermato Ad del Gruppo Fiat.

Nel biennio 1998-2000 il Gruppo Fiat effettuò importanti acquisizioni

fra le quali la società americana Case, per il consolidamento delle attività

del settore Macchine per il movimento terra e la Progressive tools &

Industries Co. (Pico), per il consolidamento della società Comau,

specializzata nei sistemi di produzione.

Page 88: WCM (World Class Manufacturing)

84

Queste acquisizioni, effettuate a prezzi particolarmente elevati, ebbero

un effetto rilevante nell’accentuare il fabbisogno finanziario dell’intero

Gruppo Fiat. Il prolungarsi della crisi, e la continua perdita di quote di

mercato nei principali mercati di riferimento avrebbe dovuto imporre un

pronto rinnovo del top management al quale invece la famiglia Agnelli, e

l’avvocato in prima persona, rinnovarono la fiducia.

Il progressivo accentuarsi della crisi di fiat Auto cominciò ad innescare

un circolo vizioso nel quale la situazione di deficit derivante dalla

gestione industriale spingeva verso un maggior indebitamento e una

contemporanea riduzione delle risorse interne in termini di occupazione,

investimenti industriali, ecc.

La massa di capitali da reperire allo scopo di attuare il progetto di

globalizzazione della Fiat, soprattutto per l’acquisizione della società

Case (macchine movimento terra) e Pico (sistemi di produzione), era

così rilevante che il suo autofinanziamento sarebbe risultato

inevitabilmente insufficiente e si sarebbe dovuto far ricorso in misura

rilevante al mercato internazionale dei capitali. Era quindi necessario che

la Fiat potesse presentarsi di fronte alla comunità internazionale come un

società guidata dagli stessi canoni propri di questa comunità.

Consisteva nel riuscire a mantenere livelli qualitativi e di affidabilità del

prodotto su standard comparabili a quelli della concorrenza, ma con una

struttura snella, e quindi meno costosa.

Il gioco tuttavia non riuscì, sia perché le scelte stilistiche dei modelli non

risultarono felici, sia perché la qualità percepita dal cliente del complesso

dei modelli costitutivi dei tre marchi del gruppo non apparvero allineati a

quelli della concorrenza.

La situazione di crisi del gruppo torinese si manifestò in maniera

eclatante nel dicembre del 2001 con le dimissioni di Roberto Testore, Ad

Page 89: WCM (World Class Manufacturing)

85

di Fiat Auto, mentre Paolo Cantarella restava al suo posto di presidente

di Fiat Auto e Ad del gruppo Fiat.

A Testore succedette Giancarlo Boschetti, data la sua formazione

tipicamente commerciale egli comprese subito che il punto più critico

della situazione era rappresentato dal rapporto con la clientela finale, che

si era gravemente deteriorato nel tempo. Un altro passo importante

dell’azione di Boschetti fu lo sviluppo di una nuova versione della Panda

e la riorganizzazione delle responsabilità gestionali dei tre marchi: Fiat,

Alfa Romeo e Lancia.

Di fatto però la sua azione si configurò come una gestione-ponte dal

momento che egli era ormai prossimo alla pensione e lasciò il gruppo a

metà 2003.

Il 2003 è l’anno in cui viene a mancare l’avvocato Agnelli il cui posto

venne preso dal fratello Umberto a sua volta mancato nel maggio del

2004. La casa automobilistica, oltre che l’intero Gruppo Fiat, si trovò

quindi in una fase di continui cambi di governante che hanno certamente

reso più difficile l’azione di risanamento.

3.3. Le ragioni della crisi

Le spiegazioni che si possono offrire per cercare di capire le ragioni di un

tale disastro sono di varia natura, alcune di esse sono esterne, altre

interne al mondo delle imprese.15

Per quanto riguarda le ragioni esterne, si può far riferimento alla

progressiva apertura dei mercati internazionali, alle crisi petrolifere, alla

ormai raggiunta maturità delle economie occidentali, all’emergere di

15 Comito V., «L’ultima crisi. La Fiat tra mercato e finanza», l’Ancora, 2005, Napoli, p. 15

Page 90: WCM (World Class Manufacturing)

86

nuovi paesi che si sviluppano fortemente le loro attività economiche, ma

questi sono fattori con cui hanno dovuto fare i conti, e da tempo, anche

le grandi imprese delle altre nazioni.

Nel caso specifico dell’Italia, il carattere dell’intervento pubblico verso le

nostre imprese ha avuto un peso rilevante nello sviluppo della crisi, non

tanto per la quantità delle risorse messe a disposizione dal mondo

politico, che spesso si sono rilevate sin troppo abbondanti, quanto per la

loro scarsa qualità. L’intervento pubblico si è concentrato, in genere,

soprattutto sul piano delle erogazioni finanziarie, e meno, invece, su

quello della politica economica e industriale qualificata. Le risorse sono

state poi stanziate prevalentemente in maniera casuale o attraverso criteri

politici, senza guardare agli interessi di lungo termine del paese e delle

stesse imprese. Non si sono saputi difendere i settori maturi, né,

peraltro, incoraggiare quelli innovativi e l’innovazione in generale. Così,

per esempio, per quanto riguarda la politica di alleanze con l’estero, che

in particolare il settore pubblico avrebbe dovuto perseguire, si è

proceduto per molto tempo in maniera del tutto casuale o distorta

(Gallino, 2003).

Per quanto riguarda le responsabilità del mondo imprenditoriale, le cause

che si possono citare sono molte.

Innanzitutto, a livello gestionale vi è, nell’impresa italiana, una spiccata

tendenza alla diversificazione, non appena si raggiungono solidi risultati

nel proprio core business, si manifesta una irrefrenabile spinta a deviare

l’attenzione verso settori diversificati, trascurando spesso i business

primari.

Il sistema imprenditoriale italiano ha poi tendenzialmente trascurato tutte

quelle attività portatrici i risultati nel lungo periodo, quali la ricerca,

l’innovazione, la formazione. In particolare, per quanto riguarda la

Page 91: WCM (World Class Manufacturing)

87

ricerca, è noto come l’Italia sia tra i paesi occidentali a spendere di meno

per questa funzione, e ciò da attribuirsi soprattutto alle imprese. Le

nostre imprese si sono sempre più spesso orientate all’innovazione di

processo, in particolare alla ricerca esasperata di metodologie finalizzate

all’abbattimento del costo del lavoro in fabbrica e molto meno, invece,

verso l’innovazione di prodotto, le esigenze di mercato, i movimenti

della concorrenza. (Gallino, 2003).

Dopo questa premessa di carattere generale sulle possibili crisi del

sistema delle imprese passiamo ad analizzare nel dettaglio la situazione

della Fiat, che sul fronte della finanza si presenta cruciale sin dai primi

anni della sua vita. Così quando nel 1907 si manifesta la prima e lunga

serie di crisi d’azienda, una delle banche principali, l’allora Credito

Italiano, interviene decisamente per salvare la situazione.

Il reperimento delle fonti di finanziamento è stata sempre una questione

molto tormentata, in relazione sia alla grande carenza di mezzi propri

delle imprese, sia alla struttura del sistema bancario e all’assenza della

borsa dall’Unità d’Italia ad oggi.

Bisogna ricordare che sino al 1968, la Fiat riusciva ad autofinanziare gran

parte delle necessità derivanti dalla gestione operativa e dallo stesso

sviluppo. Questa situazione era da collegare anche al fatto che i singoli

mercati nazionali erano, in quel periodo, in forte crescita, essi erano,

inoltre, sostanzialmente chiusi, nonché dominati da uno o pochissimi

produttori locali. Ma la grave crisi industriale italiana dei primi anni

Settanta, con la riduzione dei livelli di crescita del mercato, l’apertura

progressiva delle frontiere, la contestazione operaia, l’inflazione in forte

salita, la prima crisi petrolifera, pone dei problemi molto rilevanti.

A questi problemi si rispose ricorrendo nuovamente all’assistenza di

Mediobanca. La situazione economica e finanziaria della Fiat migliora

Page 92: WCM (World Class Manufacturing)

88

per quasi tutti gli anni ‘80, in relazione al notevole incremento dei

risultati produttivi e di mercato.

Negli anni ’90, a seguito dei contrasti tra la famiglia Agnelli e Enrico

Cuccia si verifica la rottura tra la Fiat e Mediobanca, mentre la stessa

banca d’affari nel mutato contesto dei mercati finanziari ormai aperti,

appare in sempre maggiori difficoltà. Si pone, così, fine al meccanismo

delle relazioni privilegiate. La Fiat non ha più un ancoraggio stabile dal

punto di vista finanziario.

Negli ultimi anni, l’azienda ha, in parte, cercato di rimediare alla perdita

del legame privilegiato con Mediobanca, creando un rapporto abbastanza

stretto con quattro grandi banche nazionali (Capitalia, IntesaBci,

SanPaolo Imi, Unicredit).

Al manifestarsi e all’intensificarsi di risultati economici negativi e

parallelamente alla riduzione di mezzi propri, il livello dell’indebitamento

è di recente notevolmente cresciuto, collocandosi anche sull’onda

dell’accettazione dei nuovi paradigmi che, in campo finanziario, sono

venuti, nell’ultimo periodo, dagli Stati Uniti.

Bisogna sottolineare come l’origine della crisi della società non sia solo di

tipo finanziario ma vada fatta risalire alle decisioni errate che sono state,

prese, a livello operativo, dalla famiglia e dal management. La Fiat ha

speso somme molto rilevanti per un forte sviluppo dei processi di

diversificazione e per la cancellazione di alcuni titoli del gruppo dal

listino (Fidis, Magneti Marelli, Toro, Comau).

Le vicende mostrano come la famiglia Agnelli, e in particolare, Gianni,

non siano riusciti ad esercitare un adeguato ruolo di guida, e non siano

stati in grado, più in generale, di risolvere in modo soddisfacente i

numerosi conflitti di potere che, nel tempo, si sono scatenati all’interno

del gruppo.

Page 93: WCM (World Class Manufacturing)

89

Per quanto riguarda la politica delle acquisizioni, la Fiat ha cercato di

muoversi in molte direzioni, senza mai ottenere i risultati sperati. Furono

numerosi i tentativi della famiglia Agnelli e di alcuni suoi dirigenti di dare

al settore dell’auto una dimensione più rilevante, giudicando che, da sola,

l’azienda non ce l’avrebbe fatta.

A parte gli sfortunati episodi dell’acquisizione temporanea della Citroën,

un progetto che non si realizzò per l’opposizione degli altri produttori

francesi, e della cessione della Seat negli anni ’60, un altro tentativo,

molto rilevante, fu l’ipotesi di fusione con la Ford Europa nel 1985,

un’opportunità poi sfumata anche per l’opposizione di Romiti.

Negli anni ’90, ci furono poi tentativi di acquisizione di Volvo, di

Chrysler, Bmw e, più recentemente, di Daewoo, ma anche di Renault e

quello più limitato con la Mitsubishi.

Risale ormai a diversi anni fa l’intesa, limitata ai veicoli commerciali e alle

monovolume, con Peugeot. Si perfezionò un accordo con la Suzuki per

la realizzazione di fuoristrada. È ovviamente, riuscito, a suo tempo, il

tentativo di acquisire l’Alfa Romeo.

Tutti questi casi indicano come la Fiat, da una parte, mostra molto

timore a lanciarsi veramente in un’avventura impegnativa, forse

conoscendo i propri limiti in termini di risorse umane e finanziarie,

dall’altra, bisogna registrare la grande diffidenza che, a livello finanziario

e politico, circonda spesso, all’estero, le imprese italiane, di frequente

escluse dalle possibili contese per la conquista di qualche preda ambita.

L’internalizzazione preconizzata dall’Avvocato Agnelli prese invece

corpo nella seconda metà degli anni ’90 con un diverso schema di

internalizzazione, basato sulla costruzione di un world car orientata ai

mercati di prima motorizzazione e denominato Progetto 178. Si trattava

di realizzare una famiglia di vetture a partire dallo stesso pianale da

Page 94: WCM (World Class Manufacturing)

90

produrre in un pluralità di paesi, ma in modo rigorosamente

standardizzato.

La globalizzazione della vettura era mirata ai paesi in fase di prima

motorizzazione come il Brasile, l’Argentina, la Polonia, la Turchia,

l’India, la Cina. L’obiettivo era quello di arrivare verso il 2003 a cumulare

una produzione complessiva di circa un milione di unità da produrre in

una dozzina di paesi. L’idea aveva del buono anche se la crisi finanziaria

internazionale del 1998 portò a un forte rallentamento del progetto.

L’accordo di Fiat con la General Motors realizzato nel 2000 può essere

considerato un nuovo sviluppo del progetto di internalizzazione che la

casa torinese intendeva realizzare.

Il modello seguito poi nell’attività di produzione della Fiat, per quanto

riguarda i rapporti con i fornitori esterni, è quello della fabbrica integrata.

Una scelta dettata, per la Fiat, da uno stato di necessità, poiché

mancavano, all’epoca, da una parte imprese esterne in grado di produrre

materie prime, componenti, dall’altro era invece da attribuire a scelte

originate da considerazioni di tipo economico, sociale e politico.

Questo modello iniziale subì nel tempo delle modifiche, quando nel

periodo dell’autunno caldo, per uscire dalla crisi, la Fiat iniziò a dislocare

verso l’esterno alcune lavorazioni importanti, affidandole di frequente a

dirigenti o ex dirigenti del gruppo. Si mirava così a ridurre i costi e ad

acquisire flessibilità nei rapporti con la manodopera.

Dai primi anni ’90, invece, ci troviamo di fronte a un nuovo ciclo che

tocca tutti i settori e tutti i paesi, la cosiddetta fase di outsourcing, che

comporta oltre a un aumento dei livelli di esternalizzazione, anche

rapporti più stretti e di lungo periodo tra imprese e fornitori.

Page 95: WCM (World Class Manufacturing)

91

Si colgono i segni di una più generale tendenza al passaggio dall’impresa

organica, altamente integrata, all’impresa a rete, o comunque a

organizzazioni molto più agili e flessibili che nel passato.

Questa tendenza si traduce, qua e là, anche nel fatto che i produttori di

auto si liberano delle aziende da loro controllate nel settore della

componentistica.

La tendenza all’esternalizzazione non è spinta solo dalla necessità di

ridurre i costi e l’intensità di capitale delle proprie attività, ma anche

dall’esigenza di assicurarsi capacità di progettazione e di

ingegnerizzazione. Viene cioè richiesto ai fornitori di assumersi crescenti

responsabilità nella progettazione e nel miglioramento dei prodotti loro

assegnati.

Queste trasformazioni hanno creato problemi a tutte le imprese

automobilistiche e nello specifico, per la Fiat.

L’introduzione della fabbrica integrata e poi della fabbrica modulare

porta a una nuova selezione dei fornitori, che riflette il passaggio

dall’acquisto di singoli particolari a quello di sistemi e moduli.

Gli stessi piccoli fornitori legati tradizionalmente alla Fiat, a seguito di

tale mutamenti, oltre che per le pressioni verso una riduzione dei costi e

per le ricorrenti crisi del gruppo, tendono a diversificare gli sbocchi e a

cercare di dipendere meno di prima dalla società di Torino.

Una specificità del gruppo è rappresentata dal fatto che, mentre le altre

società dell’auto si allontano sempre di più dalla componentistica (il caso

della General Motors e della Ford), la Fiat investe somme ingenti, che in

parte sottrae al settore dell’auto. Magneti Marelli, Comau, Teksid

rappresentano delle imprese tecnologicamente avanzate, che hanno

bisogno di rilevanti investimenti ma che non danno grandi redditi.

Page 96: WCM (World Class Manufacturing)

92

Nell’ultimo periodo, la Fiat ha tentato di ridurre la dipendenza di tali

società dal gruppo, aprendole maggiormente al mercato esterno.

L’azienda inoltre nei primissimi anni del nuovo millennio, presenta,

rispetto agli altri concorrenti, maggiori difficoltà a ridurre i tempi di

introduzione sul mercato dei nuovi modelli, e questo in relazione ad

almeno tre fattori, da una parte, essa ha investito poco nella ricerca e

nell’innovazione, dall’altra, ha continuato a mostrare a lungo una

preoccupante lentezza di reazione agli eventi, in relazione ad una

struttura organizzativa molto pesante e molto lenta a reagire e infine ha

scontato una mancanza di risorse finanziarie adeguate.

L’esternalizzazione spinta praticata dalla Fiat nell’ultimo periodo ha

comportato in positivo un risparmio di risorse finanziarie, ma forse,

anche, la perdita di competenze rilevanti. Per alcuni autori, il

decentramento del gruppo si è accompagnato a un impoverimento

strutturale del ciclo industriale, svuotando l’impresa di alcune

competenze fondamentali.

Può essere questo a questo punto importante fornire anche alcune breve

indicazioni per quanto riguarda l’evoluzione della struttura di fabbrica.

La tradizionale organizzazione del settore vedeva al centro del sistema, la

catena di montaggio, classico esempio di lavoro ripetitivo, di ambiente di

lavoro nocivo, di concentrazione in un unico luogo di grandi masse di

persone, di rigidità di comportamento e grande reazione ai mutamenti

dell’ambiente. È noto a quali resistenze questo tipo di organizzazione

abbia comportato, in particolare nei grandi stabilimenti come Mirafiori,

con la sua lata concentrazione di lavoro operaio. A partire dagli anni ’70,

la Fiat ha cercato di intervenire in modo massiccio su questo tema e la

situazione, nel tempo si è evoluta. Il problema è stato affrontato dal

management con vari strumenti, quali ad esempio la riduzione delle

Page 97: WCM (World Class Manufacturing)

93

dimensioni degli stabilimenti, anche attraverso il ricorso massiccio

all’esternalizzazione, lo spostamento di una parte delle produzioni al Sud,

l’aumento della produttività grazie anche all’automazione di molte

lavorazioni.

Dietro tutti questi mutamenti è tuttavia rimasta, da parte della dirigenza

Fiat, una visione di fondo della fabbrica come un luogo in cui controllare

strettamente e con metodi fortemente autoritari il comportamento e le

prestazioni della forza lavoro. Le agitazioni operaie, mostrano come la

Fiat continui a trascurare largamente il fattore umano, imponendo

condizioni di lavoro alla lunga insostenibili, nonché salari molto bassi.

Non si può comprendere forse molto della situazione e dei problemi

della Fiat se non si coglie il senso dell’evoluzione dei suoi rapporti con i

poteri pubblici e con la società civile. Nelle difficoltà, ma anche nei

periodi di prosperità, la Fiat è stata a più riprese aiutata dal governo.

Sicuramente i rapporti fra la dirigenza dell’azienda e i decisori pubblici

non hanno avuto un andamento costante è indubbio che tutti i governi

hanno dovuto tener conto delle richieste della Fiat e, più in generale, del

suo potere d’influenza.

Dalla fine degli anni ’80 agli inizi degli anni ’90 lo Stato ha continuato ad

intervenire frequentemente in favore dell’azienda torinese con vari

strumenti (protezionismo, incentivi di diverso genere), a partire dagli

anni ’90 fino ai giorni nostri, il sostegno pubblico alla Fiat si è

progressivamente ridotto come conseguenza della intensificazione del

processo di europeizzazione.

La Fiat ha avanzato richieste ai decisori pubblici che non hanno lesinato

l’aiuto quando riscontravano comunanza di interessi con la dirigenza

dell’azienda, mentre lo hanno negato quando le loro priorità erano

diverse da quelle dalla Fiat.

Page 98: WCM (World Class Manufacturing)

94

Gli aiuti concessi dallo Stato italiano alla Fiat sono stati di varia natura,

quelli più consistenti sono certamente stati quelli volti ad incentivare gli

investimenti del Gruppo Fiat nel Mezzogiorno d’Italia, vi sono stati poi

incentivi per le attività di ricerca e sviluppo (R&S), sostegni per

ristrutturazione degli impianti meridionali e innovazione, sgravi fiscali,

barriere alle importazioni e barriere fiscali, gli ammortizzatori sociali

utilizzati per attenuare gli effetti negativi, in termini di stabilità sociale,

derivanti dalla crisi delle aziende. Le tre forme più usate di

ammortizzatori sociali sono il «prepensionamento», con il quale viene

concessa ai lavoratori in esubero la possibilità di fruire anticipatamente

delle prestazioni pensionistiche, la messa in «mobilità», che permette di

dislocare i lavoratori in eccedenza presso altre unità produttive carenti di

personale. La «cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria» (Cig

e Cigs) che consistono nell’erogazione di un trattamento salariale

integrativo o sostitutivo per quei lavoratori sospesi dall’attività lavorativa

o costretti a ridurre il proprio orario di lavoro, a causa di momentanee

difficoltà dell’azienda.

L’analisi fin qui svolta ci permette ora di individuare delle conclusioni

plausibili sui vari aspetti della gestione aziendale della Fiat.

Si può innanzitutto, trarre la convinzione che nel gruppo di Torino,

dopo la conclusione del suo periodo d’oro alla fine degli anni Ottanta,

fosse maturata, a torto o a ragione, l’idea che esistessero rilevanti

difficoltà, in Europa, a competere da soli nel business dell’auto o,

comunque, che non fosse possibile individuare significative potenzialità

di crescita di tale area. La Fiat valutava, a maggior ragione, di non essere

in grado di entrare in maniera significativa nel mercato delle altre aree

sviluppate, come Stati Uniti e Giappone. Questa convinzione si intreccia

contemporaneamente con una crisi istituzionale al vertice della società e

Page 99: WCM (World Class Manufacturing)

95

l’uscita dal gruppo degli specialisti che avevano fatto, almeno per un

certo periodo, la fortuna dell’auto e della stessa Fiat.

I risultati negativi ottenuti sul fronte economico e finanziario si

sommano agli inizi del nuovo millennio, alla situazione generale del

gruppo, aggravata in Italia anche dalla perdita progressiva di una serie di

punti di forza nel campo della finanza, della gestione dei fornitori, di

egemonia sulla Confindustria, nella politica e nell’opinione pubblica. Gli

anni che vanno dal 2000 al 2005 portano l’azienda in un’impasse

rilevante, dalla quale cerca di premunirsi, almeno in parte, predisponendo

un possibile vendita del settore auto alla General Motors.

Così, per gli Agnelli del 2000, la Gm restava il partner più forte del

mondo, il migliore possibile per assicurare la continuità del prodotto

Fiat, in un campo in cui sembrava ormai improbabile fare da soli.

Agnelli diceva di aver preferito diventare socio della Gm piuttosto che

vendere ad altri. Tale infatti era l’alternativa reale, se la Fiat non avesse

scelto il partner americano avrebbe dovuto accettare l’altra offerta,

secondo molti interessante, che le era stata avanzata dalla

DaimlerChrysler e che prevedeva la cessione del settore auto.

La fiducia risposta nella Gm consisteva in due elementi distinti ma

convergenti, il primo era di sicuro rappresentato dalla certezza di Agnelli

circa la superiorità del modello americano, secondo la visione che gli era

stata trasmessa dal nonno, il secondo, determinante, stava nella gradualità

con cui gli americani intendevano la propria egemonia sul settore e la

amministravano.

Si trattava di operare uno scambio azionario che avrebbe sancito la

cooperazione nel campo della produzione di motori e delle piattaforme,

proiettando l’eventualità di un’incorporazione in un futuro non ben

definito. Era quanto bastava a salvare, almeno nel breve periodo,

Page 100: WCM (World Class Manufacturing)

96

l’autonomia della Fiat e a far dire che gli Agnelli non avevano rinunciato

alla produzione automobilistica, dismettendo la missione industriale che

era stata del fondatore.

Difendendo il valore della put option, destinata a diventare la pietra dello

scandalo nelle pratiche di divorzio tra la Fiat e la Gm, insisteva sul fatto

che essa rappresentava una clausola di salvaguardia, in un certo senso

estrema, di ultima istanza.

Fatto sta che la famiglia Agnelli, per bocca del suo capofila, escluse nel

2000 un’uscita dal settore automobilistico, quanto meno nell’immediato e

negli anni a venire.

Per la Fiat, il teatro della globalizzazione possedeva un’innegabile

impronta americana, che bisognava rispettare.

Le speranze che nel marzo del 2000 la Fiat aveva riposte nella Gm,

scorgendo in essa il porto sicuro in cui trovare riparo alle insidie della

concorrenza su scala globale, dovevano rivelarsi illusorie. 16La Gm non

era più il titano industriale che Gianni Agnelli aveva evocato quando si

era soffermato sui vantaggi dell’alleanza. Dopo d’allora, infatti, doveva

incominciare la stagione più difficile per quello che era, sì, il colosso di

Detroit, ma un colosso dai piedi d’argilla, per di più con incrinature

evidenti. Dal 2000 la quota di Gm sul mercato statunitense scende

rapidamente. La reazione sarà affidata a politiche di promozione

commerciale spericolate, gli sconti concessi ai dipendenti verranno estesi

a tutta la clientela e, pur di vendere, la Gm parrà disposta a incentivi mai

così vantaggiosi per i consumatori americani.

La Gm ansima poi sotto i colpi di una concorrente spietata e

inarrestabile, una tendenza che doveva far parlare, negli Stati Uniti, della

16 Berta G., «La Fiat dopo la Fiat. Storia di una crisi, 2000-2005», Milano, Mondadori, 2006,

p. 57

Page 101: WCM (World Class Manufacturing)

97

«fine di Detroit», a causa di un offensiva giapponese che ha eroso la

storica supremazia che le grandi case americane detenevano da sempre

nel settore.

A impressionare e sconcertare più di tutto è stata l’ascesa inarrestabile

della Toyota, legittimatasi come il modello industriale di maggior

successo, oggi inattaccabile dai produttori occidentali per

organizzazione, qualità, performance.

Insomma, l’egemonia dell’Asia nel sistema mondiale dell’auto agli inizi

del XXI secolo è fuori discussione, questa è divenuta la scacchiera che

simboleggia il mutamento degli assi produttivi sui quali si disloca il

sistema dell’auto. La Cina e l’India, dopo il Giappone e la Corea,

completano l’immagine di un settore radicalmente trasformatosi nel

corso dei primi anni di questo secolo.

Questa è la cornice in cui è affiorata e si è inasprita la crisi della Fiat.

Il profilo di una Fiat che individuava fuori dall’Italia i suoi assi di

sviluppo e che induceva d’altronde disaffezione e rafforzava le spinte

all’opposizione frontale all’interno dello schieramento sindacale. La

punta radicale del sindacato, la Fiom-Cgil, si spingeva addirittura a

parlare di una «strategia dell’abbandono».

Il patto del 2000 non potè essere risolutivo. Servì soltanto a dare a

l’avvio a una procedura che tutti comunque pensavano incamminata a

segnare la fine, in un arco medio di tempo, della storia dell’automobile

italiana. Dello scatto d’orgoglio dell’azionista, che si proclamava poco

disposto a liquidare per un cumulo di marchi o di dollari una tradizione

industriale centenaria. E può anche darsi che gli Agnelli temessero di

incappare nelle resistenze del governo e del sistema politico, restii ad

accettare il passaggio integrale della produzione d’auto sotto il controllo

straniero, con tutti i prevedibili interrogativi sul mantenimento degli

Page 102: WCM (World Class Manufacturing)

98

impianti in Italia e sui volumi dell’occupazione che un tale cambiamento

poteva implicare. È altresì vero che per l’azionista di riferimento della

Fiat si sarebbe aperta la possibilità di presentare quella cessione non

come una ritirata, bensì come un’ascesa internazionale senza precedenti

per un gruppo italiano.

Era poi evidente, in quell’inizio del 2000, che Torino stava smarrendo

autorevolezza e presa anche nel mondo imprenditoriale. Trascorsi i

festeggiamenti del centenario, la Fiat veniva a scoprire che il suo peso

specifico, anche sul terreno politico che le era più prossimo, quello

dell’associazione industriale, era in rapida contrazione. Subito dopo

l’intesa con la Gm ci fu il rinnovo della presidenza della Confindustria,

contrariamente alle previsioni ufficiali, il candidato lanciato da Torino, il

suo ex manager Carlo Callieri, uno fra gli uomini Fiat di spicco, venne

clamorosamente battuto ai voti a vantaggio di una candidatura

alternativa, quella dell’industriale napoletano Antonio D’Amato.

Con Callieri risultò sconfitta una politica e, forse di più, uno stile di

condotta, della rappresentanza degli interessi imprenditoriali, sia per il

processo di erosione interna che avevano subito nel periodo della

concertazione sia per la sbrigativa avventatezza con cui la sua

candidatura era stata sostenuta proprio nell’ambiente dal quale aveva

tratto origine. Di sicuro, per la Fiat suonò a quel punto un campanello

d’allarme che non era possibile non ascoltare. Liquidata la svolta della

Confindustria con la battuta piena di disappunto di Gianni Agnelli, da

allora iniziarono a mutare i toni con cui la Fiat si inseriva negli schemi del

gioco politico italiano. La Fiat modificava in maniera percettibile la

propria dislocazione politica, avendo cura soprattutto di non apparire

iscritta in via di principio fra gli oppositori del blocco del centrodestra,

com’era avvenuto invece dal 1994 in avanti. Tentava insomma di ridurre

Page 103: WCM (World Class Manufacturing)

99

il solco che la separava da Berlusconi, di cui preconizzava il successo.

Agiva comunque nei modi che erano più congeniali a se stessa e al suo

leader, per esempio favorendo l’ingresso di personalità di prestigio

nell’esecutivo che si sta per formare, Renato Ruggiero, che della Fiat era

stato vicepresidente, poteva essere raccomandato come un eccellente

ministro degli Esteri. Su una scala minore, veniva eletto a Torino per

Forza Italia il direttore della Fondazione Agnelli, Marcello Pacini, un

cattolico vicino un tempo a Umberto Agnelli.

Come volevano far intendere i molti che alludevano all’urgenza per la

Fiat di ricorrere all’appoggio, o quanto meno al consenso, del governo in

vista delle scadenze, in Italia e all’estero, che incombevano.

Sebbene non si osasse parlarne apertamente, l’aria di Torino s’era fatta

brutta. Fra il gennaio e il maggio 2002, l’azienda visse una delle

congiunture più precarie, che la davano sull’orlo del collasso, sotto la

pressione delle banche creditrici, a cui si aggiungeva il clima ostile del

sindacato.

Giovanni Agnelli è lontano da Torino, la malattia lo tiene a New York,

togliendolo dall’arena dove la Fiat gioca la sua partita. Al lingotto non

esiste chi possa assicurare un ruolo politico minimamente paragonabile al

suo e sia in grado di parlare all’opinione pubblica, alle istituzioni

nazionali e locali, ai sindacati.

Nel 2002, la Fiat sigla un’intesa con le banche creditrici per un prestito

convertendo di 3 miliardi di euro, che ha lo scopo di far fronte alla sua

emergenza finanziaria.

La Fiat elabora poi un «piano industriale» che altro non è se non una

radicale razionalizzazione e revisione delle strutture di costo, in modo da

far corrispondere la capacità produttiva alle possibilità di assorbimento

della produzione automobilistica da parte del mercato.

Page 104: WCM (World Class Manufacturing)

100

Il piano della Fiat è accolto male sin da principio, prevede la sospensione

totale delle attività a Termini Imerese, l’impianto che la Fiat possiede in

Sicilia, uno dei primi ad aver concretato la svolta verso gli investimenti

nel Mezzogiorno negli anni Settanta. Per tutto il resto dell’anno, Termini

Imerese diverrà perciò il simbolo degli effetti sociali della crisi Fiat e dei

suoi costi umani. L’urgenza di arginare le falle che si aprono nel sistema

dell’occupazione spiana la strada all’ingresso della politica sulla scena

della crisi industriale, con un ruolo di primo attore che fino ad allora non

aveva conquistato. Il piano della Fiat, con l’instabilità sociale che

immediatamente determina, è l’antefatto dell’incontro di Arcore fra

Silvio Berlusconi e il vertice Fiat, in cui vengono fissate nuove gerarchie

fra l’autorità politica e il ceto dirigente dell’industria. Dopo la riunione

nella residenza di Berlusconi diverrà chiaro a tutti che il tempo in cui era

Torino a mediare per la legittimazione del centrodestra è tramontato,

tocca adesso al potere politico far circolare ipotesi sul futuro dell’auto

italiana.

Stretta fra la pressione delle banche creditrici, che enfatizzano le tappe

del risanamento finanziario, e i tentativi della Gm di segnare le distanze

dal partner italiano, la Fiat non è riuscita a convincere di star seguendo

un proprio senso di marcia.

Il problema e che i tre attori principali della vicenda Fiat (l’azionista

storico, le banche creditrici maggiori e la Gm) si condizionano tutte e tre

a vicenda, contribuendo a determinare una situazione per molti aspetti

paralizzata.

All’azionista, cioè alla famiglia Agnelli, le banche chiedono di fare fino in

fondo la propria parte. È ben difficile immaginare che essa possa resister

alla richiesta degli istituti di credito di mettere in vendita quelli che

appaiono i gioielli residui del gruppo Fiat. Un rifiuto, a questo punto

Page 105: WCM (World Class Manufacturing)

101

sarebbe impossibile, perché potrebbe voler dire delegare ad altri il

tentativo di risanamento. Un’ipotesi che certo la famiglia Agnelli non

può sottoscrivere. Le banche recitano la parte di chi deve esigere i propri

crediti e non è disposto a con concedere altri prestiti a un interlocutore

verso il quale ci si è già esposti troppo in passato e in cui perciò non si è

autorizzati a riporre fiducia ulteriore. Per un tratto non breve, le banche

saranno inclini a pensare che, prima o poi, la Fiat possa accedere alla

famosa opzione put nei confronti della Gm, liberandosi dell’impaccio

dell’Auto.

Quanto al terzo attore, la Gm vede nell’opzione put una minaccia alla

stabilità dei propri conti aziendali, già messi in pericolo dalla falla record

creata dal suo fondo pensionistico. La Gm intende mantenere la

collaborazione industriale con la Fiat senza addentrarsi in alcuna nuova e

pericolosa alchimia societaria. Coltiva semmai per un po’ il progetto di

appropriarsi delle attività della Fiat in Brasile, l’unica ragione che

potrebbe giustificare dal suo punto di vista una trattativa con Torino,

grazie alla posizione di forza che la Fiat mantiene su un mercato

promettente. Ma per la Fiat, al contrario, ciò equivarrebbe a rinunciare a

un autentico centro dinamico del suo sistema e al tassello migliore della

strategia di globalizzazione che aveva tentato di attuare.

Lo sbocco finale dipende, in ultima analisi, dall’intervento del quarto

attore, su cui grava il peso del rilancio aziendale della Fiat, assente per

tutto il 2002 e nel primo scorcio del 2003, il management. La crisi Fiat,

infatti, si è radicalizzata a causa di un vuoto di guida imprenditoriale.

Tutto questo passa direttamente in eredità alla nuova gestione, che

dichiara di porsi una scadenza ravvicinata per rendere conto del proprio

progetto strategico. Il piano di rilancio diffuso il 26 giugno 2003

dovrebbe, prima di tutto negli intenti dell’azienda, il punto di vista della

Page 106: WCM (World Class Manufacturing)

102

crisi Fiat. Vuole simboleggiare la fine prolungata fase di incertezze

gestionali che hanno dato luogo ad un grave dissesto aziendale.

Il 27 ottobre la Fiat comunica di aver deciso di posticipare di un anno

l’esercizio dell’opzione put con la Gm. In pratica, era una realistica presa

d’atto circa il venir meno sia degli scenari tratteggiati all’atto della grande

alleanza del 2000 sia delle possibilità di perseguire l’intesa con gli

americani sul piano finanziario. La Fiat mostra così di credere di non

poterla spuntare con la Gm, risoluta a ricorrere alle vie legali pur di

impedire una cessione che incontra a Detroit un’opposizione

intransigente, alimentata dall’insostenibilità dei costi di un’eventuale

incorporazione della società automobilistica del Lingotto. Anche in

questo caso, la Fiat farà buon viso a cattiva sorte, sottoscrivendo quella

che è di fatto una rinegoziazione dell’accordo, perché consapevole del

rischio di una contesa legale con la Gm, affidata al giudizio di un

tribunale americano, come prevede il complesso protocollo d’intesa.

L’ultimo scorcio del 2003 riserba alla fiat qualche elemento di

soddisfazione, benché i conti aziendali inducano a posticipare le

aspettative di un vero turnaround. La nuova Panda riceve il premio come

«auto dell’anno» da parte della stampa specializzata europea, quel che

basta per legittimare la tendenza a un certo apprezzamento per la politica

di rinnovamento del prodotto.

Il risanamento, tuttavia, procede con passo più lento e, soprattutto, più

incerto, alla politica delle dismissioni (nel febbraio 2004 vengono cedute

la quota di maggioranza della Fiat Engineering pari al valore di 54 milioni

di euro e azioni Edison per un valore di 65 milioni) non si accompagna

una razionalizzazione interna incisiva.

Uno degli effetti indesiderati era quello poi di attribuire centralità, e

dunque potere contrattuale, ai 5000 dipendenti di Melfi. Nei primi mesi

Page 107: WCM (World Class Manufacturing)

103

del 2004 quella centralità era evidente al punto che i dipendenti non

accettavano più di essere, contrattualmente parlando, la serie B del

pianeta Fiat in Italia. Iniziano così una serie di scioperi contro la

cosiddetta «doppia battuta», un sistema di organizzazione del lavoro che

finisce per costringere i dipendenti a svolgere per due settimane

consecutive lo stesso turno di lavoro. La conseguenza immediata è che,

in questo caso, il turno di notte dura per dodici giorni consecutivi. Un

ritmo di vita insopportabile per chi alle otto ore di lavoro notturno ne

deve sommare tre o quattro di trasferimento della casa alla fabbrica e

viceversa. A questo si aggiunge la differenza di trattamento salariale, lo

stesso lavoro a Mirafiori viene pagato 1550 euro lordi annui in più

rispetto a quanto non sia pagato a Melfi. Nella prima fase a organizzare

gli scioperi è principalmente la Fiom, seguita dai Cobas. Tuttavia la

situazione precipita quando di fronte ai cancelli la polizia interviene con

durezza contro gli scioperanti. Cariche e manganellate finiscono per

costringere anche i sindacati moderati a unirsi agli scioperanti nei giorni

successivi.

Sotto la minaccia dello sciopero ad oltranza del suo stabilimento più

redditizio, il Lingotto concede sia l’abolizione del sistema della «doppia

battuta» sia il sostanziale adeguamento della busta paga dei dipendenti di

Melfi a quella degli altri dipendenti del Gruppo. L’accordo sarà unitario,

uno degli ultimi firmati a livello aziendale in Fiat.

La vicenda della rivolta di Melfi è la dimostrazione che, quando entrano

in sciopero i lavoratori di uno stabilimento nevralgico, dove la

produttività è alta e il prodotto è decisivo per le sorti dell’azienda, il

Lingotto è costretto al compromesso. Dalla rivolta del 2004 in poi la Fiat

sarà particolarmente attenta a non favorire il prevalere in fabbrica della

linea della Fiom e, in generale, dei sindacati meno moderati. E non

Page 108: WCM (World Class Manufacturing)

104

cesserà di tentare di sterilizzare gli effetti della contrattazione pregressa

cercando di ripartire da zero.

La morte di Umberto Agnelli non arriva imprevista, perché da settimane

circolavano voci allarmanti sul suo stato di salute, non di meno,

costituisce un evento traumatico perché riapre immediatamente i travagli

nel gruppo dirigente della Fiat, proprio quando l’azienda è nel momento

più grave e problematico della sua storia centenaria. Il suo decesso mette

a rischio il cammino del risanamento aziendale che appariva avviato.

La candidatura di Montezemolo, annunciata ufficialmente nel gennaio

del 2004, si propone come un ponte gettato a riunire tutte le anime

dell’industria italiana, la sua collocazione e suoi legami personali con gli

Agnelli ne facevano un uomo dell’establishment, ma la posizione nella

Ferrari lo distingueva anche come alfiere del made in Italy e dei successi

italiani nel mondo, accentuandone la capacità di parlare nel nome di tutti.

D’altronde, Montezemolo non poteva neppure essere catalogato a priori

fra gli avversari di Berlusconi, giacchè era stato proprio lui a offrirgli una

carica nel suo governo all’indomani della vittoria nelle elezioni politiche

del 2001.

Con Montezemolo la Confindustria sembra essere riuscita nell’intento di

recuperare non soltanto ruolo e visibilità nel sistema politico italiano ma

anche nelle relazioni industriali, terreno cui, da subito, Montezemolo ha

mandato i primi messaggi di distensione. È improbabile che il desiderio

di rivalutare l’esperienza della concertazione si possa tradurre in una

prassi conseguente. Anzitutto, perché la concertazione necessita di un

contesto politico favorevole e di un ruolo attivo da parte del governo.

Qui si è ormai in un ambito che non è più quello della concertazione, se

qualcosa vi è da concertare ciò riguarda la decisione di ridisegnare

l’ordinamento della contrattazione collettiva, un’ipotesi che ha trovato

Page 109: WCM (World Class Manufacturing)

105

nella Cgil un interlocutore assolutamente indisponibile. L’apertura

iniziale di Montezemolo alla Cgil ha prodotto la conseguenza di

restaurare un’unità minimale fra i tre sindacati metalmeccanici. Per la

Fiom, la stagione delle trattative separate è finita e non c’è più margine se

non per accordi che vedevano assieme tutte e tre le sigle sindacali.

Rimarrà l’auspicio che il sindacato ritrovi una linea unitaria e realistica in

materia di relazioni industriali per evitare che si interrompa il dialogo con

la Confindustria. Proprio quest’ultima invocherà un corso improntato

alla collaborazione nel negoziato coi sindacati.

3.4. E poi arriva Marchionne

Persone, persone, persone!

Non più forza lavoro. Non più manodopera. Non più dipendenti. E nemmeno risorse

umane. Ma soltanto persone. E collaboratori.

« Le aziende trovano la loro forza nei collaboratori capaci e motivati».

«Abbiamo bisogno di persone competenti, determinate, coinvolte».

«All’impresa non servono lavoratori usa e getta».

Il 1° giugno 2004, Sergio Marchionne diventa amministratore delegato di

una Fiat che possiede dimensioni ridotte rispetto a quelle che l’avevano

caratterizzata in passato. 17

Nel primo semestre della sua nuova carica, Marchionne vuole giocare la

partita intorno all’opzione put dell’accordo con la Gm.

17 Berta G., «La Fiat dopo la Fiat. Storia di una crisi, 2000-2005», Milano, Mondadori, 2006,

p. 147

Page 110: WCM (World Class Manufacturing)

106

Quanto più si ci avvicina alla data in cui la Fiat potrà esercitare il suo

diritto di vendita, tanto più Marchionne ostenta sicurezza nelle buone

ragioni dell’azienda. Nessuno può immaginare che la Gm, che procede

ad azzerare in bilancio il valore della sua partecipazione nella Fiat Auto,

sia davvero disposta a gravarsi di un simile peso. La casa americana fa

circolare voci di un’offerta molto bassa al partner italiano per lo

scioglimento dell’alleanza, inizialmente si parla di una somma di 200

milioni di dollari. In passato, la Gm s’era disposta a negoziare l’opzione

put, ma a costi che sarebbero stati altissimi per la Fiat, come la cessione

delle attività automobilistiche in Brasile, la realtà più attrattiva grazie al

primato detenuto sul mercato.

Il gioco sta tutto nelle mani di Marchionne, il quale nelle poche

dichiarazioni che fa pervenire dà prova di un’inattaccabile sicurezza. Fin

dalle prime battute della trattativa, i manager della Gm capiscono che

l’interlocutore con cui devono vedersela è «uno di loro», un dirigente di

scuola nordamericana, e lo stesso Marchionne che dichiarerà di pensare e

di fare i conti in inglese. A metà febbraio, dopo mesi di trattative incerte,

la contrattazione si chiude con un accordo che permette di sventare una

soluzione per via giudiziaria, troppo rischiosa per entrambi per entrambi

i contendenti.

Negli ambienti d’affari italiani, si enfatizzano le doti di negoziatore

dell’amministratore delegato della Fiat, l’essere riuscito a strappare due

miliardi di dollari appare come un successo insperato, dopo l’iniziale

fermezza esibita dalla Gm.

Con la cifra ottenuta dalla Gm, la Fiat può tamponare le perdite

dell’Auto, ma non risolve ancora nessuno dei problemi strutturali che

l’affliggono.

Page 111: WCM (World Class Manufacturing)

107

Sciolto il patto con la Gm, Marchionne ha di fronte a sé due nodi che

condizionano il destino della Fiat, il primo, riguarda il ricambio di alcuni

uomini collocati in posizioni decisionali di rilievo. La pronunciata crisi di

Fiat Auto e poi la scomparsa delle figure di riferimento come Gianni

Agnelli nel gennaio 2003 e Umberto Agnelli nel maggio 2004 aveva

innescato una girandola di cambiamenti nelle posizioni di vertice del

gruppo. Come succede in queste situazioni, il rinnovo dei vertici aveva

marcatamente rallentato l’iniziativa aziendale di dirigenti e quadri che si

venivano a trovare di fronte a scenari mutevoli e senza idee di indirizzo

precise.

Il secondo nodo di tipo finanziario, riguarda il cosiddetto «prestito

convertendo», stipulato con le banche nel 2002.

Marchionne lo prende di petto con analoga determinazione e lo risolve

nello stesso stile reciso in cui era venuto a capo del legame con la Gm.

L’amministratore delegato e il presidente della Fiat incontrano a Milano i

responsabili delle banche che tre anni prima avevano emesso il prestito a

favore della Fiat di 3 miliardi di euro. È un vero incontro di vertice

perché di fronte a Marchionne e Montezemolo siedono i quattro

amministratori delegati di BancaIntesa, Capitalia, SanPaolo-Imi,

Unicredit. Ne uscirà un comunicato stringatissimo in cui si dichiara che

la Fiat ha confermato tutti gli obiettivi annunciati per il 2005, 2006, 2007,

mentre le banche hanno ribadito la loro volontà di supportare i vertici

del gruppo impegnati nel conseguimento degli obiettivi dei prossimi tre

anni. La storia della Fiat volta pagina perché, con la trasformazione dei

crediti in azioni, la quota del capitale detenuta dalle banche sarà superiore

a quella in possesso della famiglia Agnelli.

È evidente che l’ingresso di Marchionne nella nuova compagine

aziendale comportò inevitabilmente una forte ventata di cambiamento.

Page 112: WCM (World Class Manufacturing)

108

Infatti se si comparano i programmi di Fiat Auto successivi all’ingresso

di Marchionne con quelli precedenti all’entrata non si avvertono grandi

differenze. La differenza sta però nel fatto che con Marchionne la Fiat ha

fatto quello che veniva dichiarato, mentre in precedenza le dichiarazioni

e gli obiettivi del piano assumevano un ruolo di «proclama» da usare

soprattutto nei confronti della stampa, ma senza un effettivo impegno,

che avrebbe dovuto essere sistematico e generalizzato a tutti i livelli per

la loro traduzione in fatti.

Marchionne ha inciso profondamente nella struttura troppo burocratica

e routinaria della Fiat, con iniziative che possono essere definite

management by stress.

Il problema prioritario di Marchionne consisteva nell’individuare,

soprattutto all’interno dell’azienda, le persone che per formazione,

attitudine e capacità di coinvolgimento personale potevano far parte

dell’avanguardia necessaria a dare uno scossone alla struttura aziendale

lanciando il rinnovamento della cultura manageriale, tante volte decretato

in passato ma mai effettivamente attuato. Naturalmente non c’era tempo

da perdere, non bastava seguire le nuove linee occorreva farlo a passo di

carica, dal momento che si trattava di recuperare terreno nei confronti

della concorrenza e delle opportunità perdute. Ognuno doveva prendersi

le proprie responsabilità, impegnandosi al raggiungimento degli obiettivi,

ma in tempi estremamente rapidi.

Con riferimento quindi ai contenuti della gestione manageriale la Fiat

prima di Marchionne viaggiava su due livelli. Da un lato vi era il grande

corpo aziendale dei quadri e dei dirigenti di medio livello che avrebbero

dovuto ispirare la loro azione ai criteri di efficacia e di efficienza e ai quali

si richiedeva di applicare le competenze manageriali più avanzate.

Dall’altro vi era un top management che, pur dichiarando di affidarsi agli

Page 113: WCM (World Class Manufacturing)

109

stessi principi di cultura e competenza manageriale, in realtà trasgrediva

liberamente a tutti questi principi, in quanto applicava un modello

decisionale e manageriale altamente accentrato e i massimi livelli

dirigenziali pretendevano dai loro collaboratori assoluta fedeltà e acritica

accettazione degli obiettivi e delle strategie verticisticamente definite.

Il fatto che, negli anni precedenti, in Fiat vi fosse questa radicale discrasia

tra i modelli manageriali insegnati ai quadri e ai dirigenti e quelli

quotidianamente applicati dal top management dà ampiamente conto di

come la cultura manageriale non si sia mai potuta radicare in modo

profondo nell’impresa torinese. Termini come meritocrazia e

responsabilità assumevano un significato del tutto peculiare nell’azienda

che era da tempo la più importante impresa privata italiana, ma che nei

suoi gangli più importanti si uniformava alla logica della gerarchia e

dell’attuazione dei principi di tipo burocratico.

Sul piano più propriamente organizzativo Marchionne decide di attivare

una struttura operativa decisamente piatta, basata su un elevato numero

di dirigenti di primo livello che interagiscono direttamente con il Ceo e

sul principio di una organizzazione matriciale nella quale si cerca di

esaltare lo sforzo di collaborazione fra le diverse funzioni.

La sfida che deve vincere Fiat Auto è quella di fare di più con meno

dotazioni di risorse umane, tecniche e finanziarie.

Naturalmente le strutture organizzative sono importanti ma ancora più

importante il commitment con il quale persone svolgono i propri

compiti, un commitment fatto di cura e di passione. Il compito di

trasferire dai vertici verso i livelli operativi sottostanti l’impegno a

svolgere professionalmente il proprio lavoro esercitandosi a crescere

nella capacità di esercitare una leadership nei confronti dei collaboratori è

stato affidato al programma «avanti & veloci». Le finalità da raggiungere

Page 114: WCM (World Class Manufacturing)

110

sono state espresse con riferimento a due macro aree denominate leading

change e leading people.

La macro area leading change si focalizza su una consapevolezza della

necessità di rompere i vecchi schemi comportamentali avendo il coraggio

di introdurre e di gestire forme di cambiamento.18

Quella della leading people si concentra nello sviluppo, da parte di ogni

manager, delle attitudini necessarie a guidare e sostenere il lavoro dei

propri collaboratori aiutandoli a sviluppare le loro capacità sia tecnico-

professionali che relazionali. Con questo strumento, Marchionne ha

veramente iniziato ad incidere sulle strutture e sui comportamenti.

Dal punto di vista strategico la più grave carenza di Fiat Auto era

rappresentata dal forte prevalere della cultura ingegneristica rispetto alle

altre funzioni aziendali e da una scarsa sensibilità alle istanze espresse dal

mercato. Bisogna aver presente il fatto che la validità di un prodotto si

misura sempre in termini di adeguatezza alle esigenze della clientela. Un

prodotto ha o non ha successo nella misura in cui risponde alle esigenze

espresse o latenti della clientela.

Le preferenze della clientela da un prodotto ad un altro mutano di segno

e di intensità. L’affidabilità del prodotto è un requisito necessario per

competere. Se un produttore non ha un produttore affidabile viene

estromesso dal mercato molto rapidamente, ma l’affidabilità non è più un

fattore di supremazia sulla concorrenza. Anche il prezzo assume un

significato completamente diverso, non vince chi ha il prezzo più basso,

ma chi è in grado di offrire un rapporto più conveniente e convincente

tra il valore percepito dal cliente e il prezzo da pagare.

18 Volpato G., «Fiat Group Automobiles. Un’Araba Fenice nell’industria automobilistica

internazionale», Bologna, il Mulino, 2008, p. 71

Page 115: WCM (World Class Manufacturing)

111

Fare in modo che la voce della clientela potesse giungere nel modo più

diretto possibile ad un elevato livello decisionale era effettivamente la

cosa più urgente. Si doveva fare in modo che la customer satisfaction e,

più in generale, la customer care venissero poste al centro delle strategie

di rilancio del gruppo automobilistico. Si è iniziato così un marcato

irrobustimento del call center dal quale dipende il flusso di

comunicazioni con la clientela. La possibilità di monitorare il tempo reale

il sorgere delle richieste di aiuto da parte della clientela e il ritmo

mantenuto nell’evasione delle richieste stesse ha impresso una forte

accelerazione alla risposta assicurata dall’azienda.

La direzione custode ha quindi attivato una serie di strumenti che vanno

dall’assistenza virtuale, un programma software attivabile dal cliente

attraverso il portale web dei marchi della casa, al programma di

generazione di segnalazioni ai concessionari con la trasmissione del

nominativo del potenziale cliente.

Dal punto di vista dei concetti manageriali, il passo successivo allo

sviluppo di un una nuova sensibilità nel contatto con la clientela, per far

in modo che le sue esigenze trovino immediato riscontro nelle scelte

strategiche dell’impresa, è rappresentato dalla definizione dei programmi

di sviluppo dei nuovi prodotti. Questo passo prende la veste in tutte le

case automobilistiche dello sviluppo e del continuo aggiornamento del

Piano Gamma/Prodotto (Pgp). La fissazione del Pgp significa vincolare

il futuro di una impresa a scelte di investimento elevatissime, che una

volta iniziate risulta quasi impossibile annullare e molto onerose da

rivedere anche solo parzialmente. In altre parole la definizione del Pgp

può essere considerato il cuore della strategia competitiva di una casa

automobilistica.

Page 116: WCM (World Class Manufacturing)

112

La critica principale che può essere rivolta ai Pgp precedenti alla scolta

impressa da Marchionne è che l’impostazione del piano rifletteva molto

più le esigenze della produzione e della progettazione che non quelle del

mercato. Tempi e modalità di sviluppo del piano erano pensati

soprattutto in modo da massimizzare le esigenze degli stabilimenti di

produzione più che le esigenze segnalate dal mercato. Inutile sottolineare

che questo prevalere della dimensione tecnica ha portato a squilibri non

indifferenti e a investimenti che non si sono ripagati, in qualche caso in

modo davvero eclatante.

L’esempio più evidente di lancio di un prodotto assolutamente

sconsigliabile, alla luce delle prospettive di marketing dei marchi

dell’azienda, è rappresentato dal modello Lancia Thesis. Un modello per

il quale si sono effettuati investimenti superiori ai 500 milioni di euro, ma

che non ha nemmeno lontanamente avvicinato l’obiettivo di vendita

fissato dalla casa. Senza dubbio il segmento in cui si colloca il modello

considerato è assai difficile, in esso si trovano le punte di diamante dei

marchi tedeschi: Mercedes, Bmw e Audi, ma quello che stupisce è

proprio il posizionamento del modello della Lancia. Si è scelto di

posizionare il modello verso la parte premium del segmento, per di più in

presenza di un ciclo di vita negativo del modello Lancia Lybra, lanciato

nel 1999 e radiato nel 2005, ma già in netta difficoltà nel 2002.

Il rilancio dell’immagine Fiat e dei suoi prodotti è iniziato con la nuova

Panda, piccola vettura, prodotta in Polonia, che ha meritato il titolo di

«Auto dell’anno 2004», che ha consentito significativi margini di

guadagno, sia per la casa automobilistica sia per la rete distributiva. A

questo modello sono seguiti con risultati significativi il lancio della nuova

Croma nel primo trimestre del 2005, quello dell’Alfa Romeo 159 nel

primo trimestre del 2006, dell’Alfa Romeo Brera nel 3° trimestre e quello

Page 117: WCM (World Class Manufacturing)

113

della Bravo nel primo trimestre 2007, la linea nel 2° trimestre e la 500 nel

3° trimestre.

Tra i modelli sviluppati sotto la gestione Marchionne sono due quelli di

particolare importanza: la Bravo e la 500. Nel primo caso si tratta di un

modello appartenente al segmento C, il più importante in Europa nel

quale primeggiano modelli come la Volkswagen Golf, l’Opel Astra, la

Peugeout 307. Si tratta di un modello di grande importanza per il rilancio

della Fiat, che ha consolidato la sua immagine aziendale, dove in passato

l’azienda ha sofferto l’insuccesso di un modello come la Stilo.

La 500 rappresenta un chiaro esempio del nuovo approccio sviluppato

dalla Fiat verso il segmento della clientela più giovane. Come è noto gli

automobilisti più giovani sono particolarmente sensibili ai fenomeni di

trend e di moda. Le difficoltà incontrate dall’azienda negli anni scorsi

hanno avuto l’effetto di allontanare molti potenziali acquirenti delle fasce

di età più basse dai prodotti dei marchi del gruppo. L’invecchiamento

della clientela dei marchi Fiat rappresentava quindi una minaccia per il

futuro che si doveva cercare di recuperare, dal momento che tutte le case

automobilistiche cercano di fidelizzare la propria clientela.

Per il marchio Lancia vi è già grande attesa per il lancio del modello

Delta, che dovrebbe dare un forte impulso alle immatricolazioni del

marchio che in questo momento può fare affidamento soprattutto sul

modello Ypsilon e sul minivan Musa, entrambi recentemente rinfrescati.

Invece per quanto riguarda il Piano Gamma/Prodotto dell’Alfa Romeo

le novità più interessanti riguardano il lancio del nuovo modello Mito,

appartenente al segmento B, un segmento prima non servito dal marchio

e che anche in questo caso punta a servire soprattutto una clientela

giovane.

Page 118: WCM (World Class Manufacturing)

114

Con la progressiva maturazione del mercato automobilistico,

Marchionne ha voluto quindi puntare sulle politiche di innovazione del

prodotto, non si trattava di puntare alla costruzione di nuove mission,

quanto a dimostrarsi coerenti con quelle che erano le tradizioni dei

marchi, innalzando però i contenuti tecnici dei prodotti e il livello di

immagine e di modernità. Bisogna ridefinire il posizionamento dei

marchi Fiat, Alfa Romeo e Lancia, cercando di creare delle mission fra

loro distinte e in sintonia con le opportunità offerte dal mercato.

Il problema era che l’azienda non era stata in grado di esprimere le

iniziative necessarie per concretizzare queste mission. Che esse fossero,

in estrema sintesi, quelle di produrre vetture per un pubblico popolare

nel caso della Fiat, vetture dal tono spiccatamente sportivo nel caso

dell’Alfa Romeo, vetture di marcato signorilità e comfort nel caso della

Lancia. Il problema è che l’azienda aveva prodotto modelli che non

rispettavano la missione e che quindi disaffezionavano la clientela.

Le iniziative di posizionamento del prodotto attuate dalla Fiat sembrano

aver colto nel segno. Sia nella fase a monte del lancio del nuovo modello,

che si estrinseca nella definizione delle specifiche di prodotto, che nella

fase a valle nella quale il prodotto è disponibile e tocca alle campagne di

comunicazione riuscire a creare nella mente del consumatore il

posizionamento che si ritiene migliore per il successo commerciale.

La Fiat aveva bisogno, così, di un ambiente che nella delicatissima fase di

attuazione del piano di riorganizzazione del 2004 e di lancio dei nuovi

modelli riscuotesse simpatia e partecipazione. Marchionne

evidentemente si rendeva conto che bisognava cercare di voltare pagina,

che occorreva disegnare una posizione della Fiat che fosse tutta

all’interno dei valori di un capitalismo responsabile non solo verso gli

azionisti, ma anche la società civile e improntata da relazioni industriali

Page 119: WCM (World Class Manufacturing)

115

nelle quali il momento del confronto e del negoziato con le

organizzazioni sindacali non precludesse momenti di partecipazione

rivolti agli interessi delle due parti, ma in primo luogo agli interessi dei

lavoratori sia nei luoghi di lavoro che nelle attività ad esse collegate.

Questo intersecarsi di posizioni e interessi, tante volte ripetuto nelle crisi

precedenti, non aveva mancato di manifestarsi anche alla fine del 2002 in

occasione del negoziato dell’azienda con il governo e i sindacati per

l’approvazione del piano di risanamento che chiedeva la cassa

integrazione straordinaria per 8100 lavoratori. Alla fine anche in questa

occasione ne uscì un accordo al ribasso che faceva perdere credibilità a

tutte le parti, ma soprattutto alla Fiat. Anche perché il piano andava a

colpire Termini Imerese, lo stabilimento siciliano che per la Sicilia

rappresentava la più importante realtà industriale.

In sostanza, il sindacato, pur con gli inevitabili distinguo,

complessivamente percepisce un senso di maggior apertura (tra il

management aziendale non c’è più la visione del sindacalista

rompiscatole), ma gli spazi obiettivi di confronto e di costruzione

assieme delle questioni che più direttamente coinvolgono il personale

sono ancora marginali. Probabilmente si è realizzato di più nelle

occasioni di lavoro congiunto tra azienda e sindacato sui temi della

sicurezza del lavoro, dell’ergonomia e della salute, dove questi ultimi due

temi solo di recente sono entrati tra le questioni da affrontare insieme.

Anche l’iniziativa di ristrutturare le mense del personale è un iniziativa

direttamente voluta da Marchionne. Nei primi 40 giorni della sua presa di

contatto con le diverse sedi aziendali l’Amministratore delegato aveva

rilevato che si trattava di ambienti assai poco confortevoli. Così è nato il

Progetto Benessere che prevede varie innovazioni fra le quali: il restyling

dei locali della palazzina di Mirafiori, che sono state riarredate con i

Page 120: WCM (World Class Manufacturing)

116

simboli del marchio di appartenenza: Fiat, Alfa Romeo, Lancia e Fiat

Professional, l’organizzazione dell’asilo nido per le mamme che lavorano

a Mirafiori. Al momento quello che si può dire è che sono iniziate delle

prove di dialogo, vi è un cambiamento significativo anche nel modo di

guardare all’azienda, accettando ad esempio il significato di meritocrazia,

che in passato era invece apertamente osteggiata. Ed è attraverso le

forme di partecipazione che si diffondono e si cementano il senso di

condivisione delle sorti dell’azienda e lo spirito di collaborazione, che

sono ingredienti necessari non per delle buone relazioni industriali, ma

anche per il nuovo modello di lavoro nelle fabbriche orientato al World

Class Manufacturing.

Data l’esigenza che ha Fiat Group Automobiles di crescere rapidamente,

e soprattutto nei mercati esteri, Sergio Marchionne punta

sull’internalizzazione, ossia stabilire accordi di collaborazione che

riducessero la massa di investimenti da finanziare e mettessero in

comune competenze sui nuovi mercati.

Quella delle fusioni-acquisizioni può essere, in molti casi, un passaggio

obbligato per andare avanti nel business e governare le dinamiche del

mercato e le pressioni competitive.

In particolare Fiat Auto e Psa-Peugeot-Citroën hanno realizzato da

tempo un accordo industriale doppio. Nel complesso questa partnership

ha lavorato bene e c’è da auspicarsi che venga allargata anche ad altre

iniziative. Peccato che Psa abbia già realizzato accordi per la

progettazione comune di motori con Ford e con Bmw, opportunità che

sono sfuggite a Fiat Group Automobiles.

Lo sviluppo delle attività di Fiat in Turchia è iniziato nel 1968, attraverso

la costituzione della Tofas e la realizzazione di uno stabilimento,

localizzato a Bursa, per la produzione su licenza di alcuni modelli Fiat. Se

Page 121: WCM (World Class Manufacturing)

117

i programmi di Tofas verranno mantenuti, lo stabilimento turco diverrà

uno dei più importanti stabilimenti europei e potrà dare un consistente

contributo agli obiettivi di vendita che Fga ha fissato nel 2012.

Per quanto riguarda il subcontinente indiano, la Fiat ha fatto il suo

ingresso nel 1999 con la costituzione di Fiat India. L’accordo con Tata

che avverrà nel marzo del 2006 ha consentito di comporre un puzzle

complesso di opportunità. L’accordo assume certamente l’ampiezza di

un accordo strategico, si tratta infatti di un grande gruppo industriale,

operante in vari comparti. Il mercato automobilistico cinese è destinato a

uno sviluppo decisamente accentuato, secondo le dichiarazioni di Sergio

Marchionne la prosecuzione del rapporto con Chery nel 2008 prevede un

programma di importazioni in Cina di nuovi modelli.

Dopo la Cina, la Russia è certamente il mercato più compromettente a

livello globale. Nel 2006 la Fiat siglerà un primo accordo con la Severstal,

che si amplierà l’anno successivo con la realizzazione di uno stabilimento

a Yelabuga. In Polonia, lo stabilimento di Tychy è la sede operativa

dell’accordo tra Fiat e Ford per utilizzare la linea di montaggio della 500.

Va inoltre segnalato che lo stabilimento di Tychy è stato il primo ad

iniziare l’implementazione del World Class Manufacturing e raggiunge

attualmente il miglior livello qualitativo tra gli stabilimenti europei del

gruppo.

Lo stabilimento di Betim costituisce il fiore all’occhiello fra gli

stabilimenti di Fiat Group Automobiles, è il più grande stabilimento del

gruppo e uno dei più grandi al mondo.

Una forte incisività di Fga in questi mercati «giovani» è molto importante

e molto urgente perché i prodotti dell’azienda torinese sono

relativamente poco conosciuti in questi mercati emergenti, a differenza

Page 122: WCM (World Class Manufacturing)

118

dei mercati europei nei quali le vetture italiane si presentano con una

fisionomia ormai consolidata e non troppo favorevole.

Un elemento importante per cercare di rafforzarsi in questi paesi,

caratterizzati da un processo di motorizzazione molto dinamico, è

rappresentato dalla specializzazione dell’azienda italiana nelle

motorizzazioni di piccola cilindrata a benzina e a gasolio e nelle

motorizzazioni di tipo bipower a benzina e a metano. Questi tipi di

motorizzazioni presentano un impatto ambientale assai ridotto e danno

all’azienda torinese una posizione di leva competitiva potenzialmente

determinante.

Nella primavera del 2007 lo scenario competitivo nell’industria

automobilistica internazionale aveva iniziato a mutare in modo

significativo. 19Questo mutamento delle prospettive del settore derivano

dal rincaro del costo dei carburanti. Si apre così una fase ascendente del

prezzo del petrolio greggio e, a ruota, dei carburanti che poi opererà da

innesco della successiva crisi finanziaria internazionale.

Il segnale era molto chiaro, i paesi industrializzati avevano ormai

raggiunto un alto livello di saturazione degli mercati e il comportamento

dei consumatori, di fronte al rincaro dei prezzi del carburante, andava ad

incidere direttamente sul livello delle immatricolazioni di nuove vetture.

Questa evoluzione non ha mancato di incidere sui bilanci dei maggiori

gruppi automobilistici internazionali, prima nelle quotazioni di borsa

della società e quindi nei bilanci annuali. Nel 2007 questo effetto si è

registrato soprattutto tra i cosiddetti Big Three, General Motors, Ford e

Chrysler.

19 Volpato G., «Fiat Group Automobiles. Un’Araba Fenice nell’industria automobilistica

internazionale», cit., p. 237

Page 123: WCM (World Class Manufacturing)

119

La crisi petrolifera ha sicuramente introdotto un fattore di incertezza

nell’industria automobilistica internazionale, ma non ha influenzato

negativamente i risultati ottenuti da Fiat sia nel 2007 e nel 2008. Anzi la

politica di incentivazione del governo alla rottamazione, prorogata alla

fine del 2006 attraverso il cosiddetto «mille proroghe», ha comportato un

effetto favorevole sull’ammontare delle immatricolazioni in Italia che in

quell’anno toccherà il suo massimo storico, e di questo trend ne ha tratto

beneficio la Fiat, che in questo modo ha potuto superare gli obiettivi del

piano 2006-2010 precedentemente fissati.

Così Marchionne nella presentazione consuntiva del 2007, fatta nel

gennaio dell’anno successivo, può manifestare la propria soddisfazione

per una situazione finanziaria dell’intero gruppo Fiat ormai risanata,

grazie al contributo dato dai nuovi modelli, la Grande Punto, presentata

nel 2005, la Bravo, presentata nel 2006, e le novità in assoluto presentate

dalla 500, la nuova croma, la Musa, alle quali si affiancano la Linea e il

Fiorino prodotti in Turchia. Ai quali seguiranno la Junior Alfa Romeo ,

poi commercializzata con il nome di Mito che sarà effettivamente

lanciata nel 2008. Per il 2009 si nomina il modello del segmento C che

dovrà sostituire la 147 che sarà effettivamente lanciata con il nome di

Giulietta, ma con un sensibile ritardo nel 2010.

Tra le iniziative del periodo vi è la separazione di Fiat Spa in due gruppi,

un primo ancora denominato Fiat Spa, composto dalle attività

concernenti, le autovetture (Fga, Maserati e Ferrari), la sezione di Fiat

Powertrain Technolgies, dedicata a motori e trasmissioni per autovetture,

la componentistica e i sistemi di produzione (Magneti Marelli, Teksid e

Comau), le altre attività fra le quali quelle editoriali (La stampa) e un

secondo gruppo denominato Fiat Industrial Spa con controllo su Iveco,

Cnh e la sezione di Fiat Powertrain Techologies concernenti i veicoli

Page 124: WCM (World Class Manufacturing)

120

industriali e i motori marini. Le motivazioni di questo scorporo hanno

natura essenzialmente finanziaria , si sta aprendo una stagione di possibili

fusioni e di accordi di collaborazione che sono più difficili da negoziare

tra l’intero Gruppo Fiat e il partner di turno, soprattutto nel caso che si

rendano necessari degli scambi azionari.

Tuttavia anche il consuntivo del 2007 mostra che la Fiat si trova in una

situazione che potrebbe divenire instabile a breve periodo, dal momento

che questi risultati sono maggiormente il frutto di un favorevole

andamento sul mercato italiano, piuttosto che un consistente e

sostenibile recupero competitivo a livello continentale.

Questo dovuto in parte a un mancato rafforzamento sui modelli di classe

superiore Lancia e Alfa Romeo, in considerazione del fatto che la loro

collocazione di mercato dovrebbe orientarsi verso i prodotti premium.

Un ulteriore punto di debolezza strutturale dell’offerta Fga riguarda la

presenza in tre dei quattro paesi Bric. Salvo il Brasile, dove la posizione è

molto buona, ma vede una progressiva riduzione della quota per effetto

delle strategie aggressive di nuovi entranti come Hyundai, Renault e

Peugeot, negli altri paesi gli accordi di jont venture non hanno ancora

dato risultati apprezzabili. La politica di internalizzazione della Fiat in

questi paesi è iniziata da diversi anni, ma per un molteplicità di ragioni

non si è ancora concretizzata in significativi volumi di vendita, a

differenza degli altri costruttori più importanti che hanno raggiunto

traguardi significativi.

Del resto l’amministratore delegato aveva da sempre espresso forti

perplessità sulla validità di assorbimenti e fusioni tra gruppi industriali a

cause delle molte modifiche di coordinamento e integrazione tra aziende

aventi storie e culture diverse. Tuttavia il mutamento delle prospettive

strategiche del settore devono avergli fatto cambiare idea, infatti,

Page 125: WCM (World Class Manufacturing)

121

secondo Marchionne il nuovo assetto economico prodotto dalla crisi

finanziaria, con i suoi pensanti riflessi sull’ammontare della domanda

automobilistica globale, forza interventi drastici motivati soprattutto dal

fatto che la filiera automobilistica internazionale patisce da tempo un

elevato livello di saturazione degli impianti produttivi e di assemblaggio,

ciò genera un carico di costi fissi che le imprese hanno sempre più

difficoltà a coprire.

Ne deriva la tesi che prevede un grosso processo di fusione finanziaria e

di integrazione/razionalizzazione delle attività dei principali gruppi

automobilistici, accompagnato dalla chiusura degli impianti meno

efficienti per pervenire sostanzialmente ad un solo operatore per

continente.

In effetti tutti gli operatori sono concordi nel segnalare il pesante fardello

rappresentato dall’eccesso di siti produttivi. Tuttavia, le iniziative di

chiusura degli impianti comportano problemi di riallocazione dei

dipendenti, assai difficile da gestire, soprattutto in una fase di crisi come

quella attuale. In pratica questa soluzione trova attuazione solo nelle

imprese per le quali non esiste altra alternativa percorribile, come è

successo nel caso della General Motors e della Chrysler. Negli altri casi è

lo Stato a dover intervenire con iniziative di sostegno allo scopo di

limitare drastiche riduzioni dei livelli occupazionali del settore che si

produrrebbero a cascata per la chiusura di ogni impianto di

assemblaggio. Di fatto il marcato processo ipotizzato da Marchionne

non sì è ancora verificato, da un lato per la forte resistenza delle singole

case automobilistiche dall’altro per l’espletarsi di un intervento pubblico

che ritiene socialmente insostenibile una drastica riduzione dei livelli

occupazionali.

Page 126: WCM (World Class Manufacturing)

122

L’attenzione di Marchionne si è concentra soprattutto sugli Stati Uniti e

quindi sulla Chrysler, per poter sfruttare le forme di complementarietà

che questa soluzione gli avrebbe consentito e per il fatto che la

dimensione di questo gruppo e la sua delicata situazione competitiva

rendeva compatibile l’assunzione da parte della Fiat di un ruolo di guida

di entrambi i gruppi.

Le difficoltà della Chrysler erano così pronunciate che nulla poteva

essere dato per scontato. In sostanza quando toccò al presidente Obama

trovare una soluzione per Chrysler, limitando al massimo l’esborso di

denaro pubblico, egli aveva di fronte ben poche alternative possibili.

Si è così arrivati, all’inizio del 2009, all’investitura ufficiale di Fiat, da

parte del presidente Obama, come «cavaliere bianco» nel salvataggio della

Chrysler. Si è trattata di un’opportunità davvero straordinaria che Sergio

Marchionne ha saputo cogliere al volo. Questa investitura presidenziale

ha avuto una grande importanza nel far percepire la Fiat non come un

colonizzatore di Chrysler, ma come un partner che individuava nel

rilancio della Chrysler una componente essenziale del rilancio della stessa

Fiat in campo internazionale, predisponendo in senso favorevole

l’opinione pubblica americana che, purtroppo, conservava un brutto

ricordo della qualità dei prodotti Fiat.

Il 21 Aprile 2010 Sergio Marchionne e il suo staff presentano il piano del

Gruppo Fiat per il quinquennio 2010-2014, nel quale la parte riguardante

Fga gioca un ruolo di primo piano in quanto in questo periodo si deve

completare il processo di integrazione tra Fga e Chrysler.

Il piano prevede di sfruttare appieno la potenzialità produttiva degli

impianti, senza attuare ulteriori investimenti ma saturandoli, crescere nei

volumi di vendita dei paesi Bric, sfruttare appieno l’accordo con

Chrysler, utilizzando quindi un numero ristretto di piattaforme, scambio

Page 127: WCM (World Class Manufacturing)

123

reciproco delle competenze tecnologiche ed organizzative,

potenziamento reciproco delle reti commerciali, integrare la produzione

della gamma Lancia e Chrysler in Europa ad eccezione della Gran

Bretagna in cui il brand Lancia non è presente e quello Chrysler è più

conosciuto, rafforzare il marchio Alfa Romeo non solo in Europa ma

anche nei mercati del Nord America (Usa, Canada e Messico) utilizzando

il marchio Maserati come produttore affine ad Alfa Romeo per i modelli

più elevati della gamma.

Tutto questo complesso di iniziative dovrà produrre un ampio

riposizionamento del mix dei prodotti Fiat, prodotti che devono riuscire

a dilatare la propria presenza sui segmenti di vetture con taglia maggiore.

Su questo piano si è avuto un intenso dibattito legato al fatto che

Marchionne ha subordinato la realizzabilità del piano all’ottenimento di

alcune modifiche contrattuali.

La Fiat punta decisamente ad arrivare a un nuovo modello di

organizzazione del lavoro basato su un forte impegno da parte delle

maestranze, ricorrendo anche alla costituzione di new company, non

iscritte alla Confindustria e quindi organizzabili secondo modalità che

possono essere difformi da quelle previste dal contratto nazionale del

lavoro per il settore metalmeccanico. Questo programma ha preso corpo

attraverso un nuovo accordo presentato alle diverse rappresentanze

sindacali il 9 giugno 2010 concernente lo stabilimento di Pomigliano

d’Arco. L’accordo è stato accettato da alcune sigle sindacali, Fim-Cisl e

Uilm-Uil e rigettato dalla Fiom-Cgil. Quest’ultima manifesta la propria

contrarietà al nuovo contratto soprattutto per la nuova normativa

concernente l’assenteismo, per la clausola di responsabilità e per le

clausole integrative del contratto individuale di lavoro, che secondo la

Fiom costituirebbero una decisa regressione rispetto agli attuali standard

Page 128: WCM (World Class Manufacturing)

124

contrattuali e che potrebbero configurare delle violazioni al dettato

costituzionale.

Appare criticabile il fatto che Sergio Marchionne abbia proposto il

contratto con la formula «prendere o lasciare». Non si sottolinea

l’importanza di una collaborazione fra impresa e sindacati e di un

coinvolgimento dei lavoratori, ma di un comportamento che di fatto

azzera il ruolo della contrattazione sindacale e appare anche in contrasto

con al politica di dialogo portata avanti da Sergio Marchionne nella fase

precedente.

Lo stesso schema di accordo di Pomigliano d’Arco è stato poi riproposto

per lo stabilimento di Mirafiori.

La critica più importante all’impostazione seguita da Marchionne deriva

dal fatto che nel piano 2010-2014 l’applicazione del World Class

Manufacturing gioca un ruolo essenziale ai fini del successo del piano,

nella difficile sfida di elevare qualità e l’immagine percepite dai

consumatori nei confronti dei marchi Fiat. Come si può pensare di

vincere questa sfida, che postula una forte collaborazione e condivisione

di obiettivi tra direzione e lavoratori , se nel contempo si apre una fase di

conflittualità soprattutto con uno dei maggiori sindacati, la Fiom?

Certamente Marchionne ha ragione di chiedere l’eliminazione di

comportamenti lavorativi che impediscono il corretto funzionamento

delle fabbriche, ma questo va fatto puntando innanzitutto ad una

collaborazione con tutto lo schieramento sindacale e negoziando una

soluzione che non appaia come un gioco a somma zero risolto in modo

negativo per il lavoratori e per il sindacato, bensì come un gioco a

somma positiva in cui entrambe le parti contribuiscono a un

miglioramento del comportamento dei lavoratori.

Page 129: WCM (World Class Manufacturing)

125

In sostanza si tratta di un quadro molto complesso e in continua

evoluzione che invece dovrebbe trovare al più presto una propria stabile

definizione.

3.5. Nasce Fiat Chrysler Automobiles (FCA)

Alla fine Fiat e Chrysler hanno ufficializzato la loro intesa. La data da

segnare è il 29 gennaio 2014, quando il Consiglio d’amministrazione di

Fiat Spa, ha approvato la riorganizzazione societaria. L’acquisizione, il

primo gennaio di quest’anno, della quota di minoranza del 41,5 per cento

in Chrysler Group LLC che era detenuta da VEBA, il fondo

pensionistico sanitario del sindacato americano UAW, ha permesso a

Fiat di acquisire il 100 per cento della società di Auburn Hills. Un grande

risultato strategico di tutto il management Fiat frutto di un lungo e duro

lavoro iniziato nel 2009.

La nascita di “Fiat Chrysler Automobiles” segna l’inizio di un nuovo

capitolo per l’azienda italiana. Il viaggio che è iniziato più di dieci anni fa

con la ricerca di soluzioni che assicurassero a Fiat il proprio posto in un

mercato sempre più complesso è culminato nell’unione di due

organizzazioni, ognuna con una grande storia nel panorama

automobilistico ma con caratteristiche e punti di forza geografici

differenti e complementari.

L’obiettivo è quello di costruire un’azienda che, per dimensioni e

capacità di attrazione sui mercati finanziari, sia comparabile ai migliori

concorrenti internazionali, il Consiglio ha deciso di costituire Fiat

Chrysler Automobiles N.V., società di diritto olandese che diventerà la

holding del Gruppo. Le azioni ordinarie di FCA saranno quotate a New

York e a Milano.

Page 130: WCM (World Class Manufacturing)

126

Così l’Amministratore Delegato di Fiat Auto, Sergio Marchionne, ha

raccontato l’inizio nel 2009 dell’avventura con Chrysler che ha portato,

alla nascita di Fiat Chrysler Automobiles:

“La chiami fortuna, istinto, visione, quel che vuole. Resta il fatto che in quel momento

di crisi spaventosa abbiamo visto nei rottami dell’industria americana la possibilità di

far nascere una grande azienda in forma completamente diversa. È l’America ha

creduto nelle nostre idee e ci ha aperto le porte.

Per tante ragioni storiche ed culturali noi europei siamo condizionati dal passato,

l’idea di chiuderlo per nascere una cosa nuova ci spaventa. Da loro no, c’è una

disponibilità quasi naturali verso il cambiamento. Questa operazione ha messo al

riparo Fiat e i suoi lavoratori dalla tempesta della crisi italiana ed europea, che non è

affatto finita. Ora potrà ripartire con basi, dimensioni e reti più forti. L’Alfa è

centrale nella nostra nuova strategia. Come Jeep è venduta in tutto il mondo, ma è

americana fino al modello, così il dna Alfa dev’essere tutto italiano. Fiat andrà nella

parte alta del mass market, con le famiglia Panda e Cinquecento. Lancia diventerà

un marchio del mercato italiano. La vera scommessa è il nuovo sviluppo dell’Alfa”.20

20 D’Amico C., “ FCA, Fiat Chrysler Automobiles. Nasce un gruppo mondiale”, 2014, p. 5

Page 131: WCM (World Class Manufacturing)

127

Page 132: WCM (World Class Manufacturing)

128

Capitolo 4

Storia delle relazioni industriali in Fiat: dall’autunno

caldo ai giorni nostri

4.1. Le relazioni industriali in Fiat

Alla Fiat, la contrattazione sindacale ha assunto modalità e formulazioni

specifiche. Osservando la storia della Fiat si resta colpiti dalla radicalità

dei conflitti sociali e sindacali, sembra mancare quell’insieme di processi

e di regole che attenuano i conflitti, che impediscono l’eccessivo

accumularsi di problemi e contraddizioni.

In altre parole, nella storia delle relazioni sindacali alla Fiat sono

sempre mancate le «valvole di sicurezza» che consentissero la riduzione

programmata della «pressione», al dunque ogni grande conflitto si risolve

con la negazione della controparte, della legittimità degli interessi che

rappresenta, creando nuovi squilibri e nuove tensioni.

Cercheremo adesso di offrire un’analisi della contrattazione

sindacale alla Fiat, partendo dagli anni Ottanta fino ad arrivare ai giorni

nostri, per comprendere appieno i cambiamenti in atto.

Gli anni Ottanta si aprono in una fase in cui le relazioni sindacali

avevano già operato una brusca conversione in senso negativo.21

La situazione del mercato dell’auto denunciava un peggioramento

generalizzato in tutto il mondo, ma la situazione si presentava ancora più

grave per la Fiat che scontava gravi errori di previsione e un ritardo nel

21 Damiano C., Pessa P., «Dopo lunghe e cordiali discussioni. La storia della contrattazione

sindacale alla Fiat in 600 accordi dal 1921 al 2003», Ediesse, Roma, 2003, p. 211

Page 133: WCM (World Class Manufacturing)

129

rinnovo dei modelli, perdendo conseguentemente quote di mercato sul

territorio nazionale, a questo peggioramento si aggiunge inoltre una

situazione di squilibrio dei conti aziendali.

La perdita di quote di mercato e l’aggravamento dei conti aziendali

favorirono le posizioni aziendali più oltranziste nei confronti del

sindacato e rafforzarono l’ipotesi di arrivare a uno scontro risolutivo che

rovesciasse definitivamente le relazioni in azienda.

Le incertezze e gli errori di gestione economica e industriale

accumulati dalla Fiat nel corso degli anni Settanta hanno

progressivamente portato all’esigenza di un rapido recupero di

produttività, mentre i limiti e le debolezze della strategia sindacale hanno

convinto il management Fiat che la strada della rottura delle relazioni

sociali fosse il percorso più agevole.

La sensazione di un aggravarsi della situazione economica e di

mercato della Fiat, portò il sindacato a rivendicare al governo e al

Parlamento un «piano nazionale dell’auto», che avrebbe comportato

sostanziali contributi statali alla Fiat, soprattutto nel campo della ricerca e

dell’innovazione del prodotto. Ciò sembrò detestare qualche interesse da

parte Fiat, che però, per bocca dello stesso Giovanni Agnelli, restava

dubbiosa sull’effettiva tempestività del governo nell’intervenire in

relazione ai tempi della crisi.

In ogni modo lo stesso incalzare della crisi e le scelte della Fiat

finiranno per accantonare la piattaforma rivendicativa.

L’azienda, anzi, annuncia il ricorso massiccio alla cassa

integrazione e alla mobilità esterna per migliaia di lavoratori, che

prevedeva la possibilità di riassunzione presso altre aziende dei lavoratori

in Cigs, ma in assenza di tale possibilità prevedeva in ogni caso il

licenziamento del lavoratore dopo un certo periodo.

Page 134: WCM (World Class Manufacturing)

130

La risposta sindacale è negativa, contemporaneamente viene

chiesto l’intervento del governo. Da parte sua il governo Cossiga si

mosse chiedendo alla Fiat di non procedere ai licenziamenti, ma non

ottenne risposte positive e Umberto Agnelli rassegnò le dimissioni dalla

carica di amministratore delegato del gruppo. La mossa fu interpretata

come un defilarsi di un rappresentante della famiglia Agnelli da

un’operazione rischiosa e impopolare, che comportava evidenti problemi

di immagine pubblica. I poteri furono affidati a Cesare Romiti, un

manager assunto nel 1974 in Fiat, che governerà l’impresa fino al 1998.

La strategia aziendale, secondo le interpretazioni sindacali, non

riguardava solamente l’esigenza di un riequilibrio economico, ma si

proponeva anche di riacquistare mano libera nel campo della gestione

della forza lavoro e assestare un colpo mortale al sindacato.

Come si seppe in seguito, la strategia aziendale venne decisa con

una parte importante del capitalismo italiano, vale a dire quella di

Mediobanca di Cuccia che preparava il rilancio finanziario della Fiat,

subordinandolo però al ridimensionamento del sindacato in azienda.

In un incontro tra Fiat e governo, l’azienda ribadirà la sua

intenzione di licenziare, o quanto meno di porre i lavoratori in mobilità

esterna, argomentando che la situazione del mercato del lavoro torinese

consentiva il riassorbimento dei lavoratori eccedenti. Contrario a ciò il

sindacato che invece proponeva la cassa integrazione a rotazione, il

blocco del turn-over, le dimissioni incentivate e corsi di riqualificazione

professionale. Ma la scelta aziendale non prevedeva mediazioni con il

sindacato, nei fatti la trattativa si interruppe, e la Fiat annunciò l’avvio

della procedura per il licenziamento di 14.469 lavoratori tra il settore

Auto e Teksid.

Page 135: WCM (World Class Manufacturing)

131

Nel frattempo, la preoccupazione da parte sindacale, riguardava le forme

di lotta e il rischio di uno sciopero a oltranza, che era considerato un

elemento di debolezza a fronte di uno scontro che si preannunciava di

non breve durata.

Il segretario generale del Pci, Enrico Berlinguer, portò solidarietà e

l’appoggio del partito ai lavoratori in lotta, cosa che darà l’avvio a un

fiume di polemiche poiché alcuni passi del discorso di Berlinguer

verranno interpretati come un avallo all’ipotesi sindacale di occupare la

Fiat. Le parole «incriminate» furono: «le forme della lotta dovranno

essere decise dai lavoratori nelle assemblee con i dirigenti del sindacato.

Se queste decisioni riguarderanno anche forme di occupazione, il nostro

partito darà il suo pieno appoggio e la sua solidarietà».

Nei fatti all’inizio della vertenza vi fu un ampio e crescente

movimento di solidarietà politica nei confronti della lotta dei lavoratori

Fiat da parte dell’insieme del movimento sindacale, di associazioni e

forze politiche.

Il 27 settembre cade il governo Cossiga e viene meno

l’interlocutore istituzionale della vertenza, l’azienda coglie l’occasione per

sospendere i licenziamenti e mettere in cassa integrazione 24.000

lavoratori per tre mesi dal 6 ottobre.

A fronte della revoca dei licenziamenti il sindacato decise di

sospendere lo sciopero generale di tutte le categorie a sostegno della

vertenza Fiat, indetto per il 2 ottobre, ciò generò polemiche nei confronti

delle confederazioni sindacali da parte dei delegati sindacali di Torino,

che vedevano in questa decisione un segno di minor convinzione

sindacale.

Il 29 settembre la Fiat annuncia che è disponibile a prendere in

esame soluzione alternative ai licenziamenti, ma il 30 settembre rende

Page 136: WCM (World Class Manufacturing)

132

pubbliche le liste dei lavoratori posti in cassa integrazione, esposte ai

cancelli della Fiat.

La decisone unilaterale della Fiat viene interpretata dall’assemblea

dei delegati come uno schiaffo al sindacato, poiché tutti comprendono

che con questa scelta vengono selezionati i lavoratori da escludere e la

discussione può avvenire solamente sui criteri scelti dall’azienda.

Pur respingendo l’ipotesi, presentata dalla parte più radicale dei

delegati, di occupare la fabbrica, l’assemblea dei delegati decise il presidio

dei cancelli e lo sciopero ad oltranza.

Il 10 ottobre fu attuato lo sciopero generale che ebbe una grande

adesione, con manifestazioni in molte città italiane e in particolare a

Torino, dove la manifestazione si tenne a Mirafiori. Un corteo di capi e

lavoratori Fiat, con la partecipazione di altre persone, sfila per Torino in

una manifestazione antisindacale, è la cosiddetta «marcia dei

quarantamila».

La precipitosa conclusione della vertenza, con l’approvazione

dell’accordo, e la mancanza di tempo adeguato per un confronto

sull’accordo finale viene indicato come uno dei principali elementi

negativi che determinarono la «sindrome della sconfitta».

Spesso è stata utilizzata polemicamente la categoria del

«tradimento» da parte dei vertici sindacali e del Pci per spiegare l’esito

della vertenza.

Si può quindi sostenere che la radicalità della vertenza del 1980

nacque certamente dalla volontà della Fiat di riacquistare mano libera

nella gestione dei processi di ristrutturazione, piegando il sindacato. Ma

da parte del sindacato vi furono certamente errori di gestione, che

nascevano da limiti culturali e contraddizioni irrisolte, sedimentate nel

corso degli anni, che derivavano anche dal non avere avuto la capacità di

Page 137: WCM (World Class Manufacturing)

133

affrontare i problemi della competitività aziendale, e dalla difficoltà a

costruire una rappresentanza complessiva dei lavoratori,

conseguentemente determinava una selezione degli obiettivi rivendicativi

in relazione soprattutto agli interessi di alcune categorie di lavoratori.

L’esito della vertenza dei 35 giorni chiudeva inevitabilmente una

fase delle relazioni industriali in Fiat e nel paese.

I mutati rapporti di forza, le trasformazioni organizzative e sociali

della fabbrica contribuirono a mettere nell’ombra i lavoratori

dell’industria e i loro sindacati, mentre nuove ideologie teorizzavano la

progressiva scomparsa della classe operaia. Per Torino iniziava un

periodo tormentato, contrassegnato da processi di deindustrializzazione

e, secondo molti commentatori, dalla decadenza economica e sociale

della città, in cui i sindacati stentavano a ritrovare un rapporto con i

lavoratori della Fiat.

La restaurazione aziendale dopo il 1980 completò il cambiamento

del sistema di relazioni sindacali in Fiat. Il ripristino della disciplina

aziendale fu accompagnato da licenziamenti di rappresaglia che

contribuirono ad alimentare la paura di perdere il posto di lavoro. La

Fiat, infatti, continuò dopo il 1980 una violenta politica antisindacale,

con l’obiettivo di scompaginare completamente il sindacato in azienda.

In quella fase l’azienda teorizzava che i tempi della contrattazione

sindacale erano incompatibili con la velocità richiesta dai processi di

riorganizzazione produttiva.

Conseguentemente il ruolo dei delegati sindacali doveva essere

ridotto al minimo, mentre il sindacato poteva avere un ruolo solamente

come agente regolatore esterno alla fabbrica per concordare la gestione

dei processi di ristrutturazione, soprattutto nei loro effetti occupazionali.

Page 138: WCM (World Class Manufacturing)

134

In generale vi fu un evidente arretramento della capacità sindacale di

intervenire sull’insieme degli aspetti della condizione di lavoro, mentre

l’azienda riuscì a realizzare un notevole incremento della produttività del

lavoro a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, quando si fece

sentire la ripresa della domanda di mercato.

In gran parte questo incremento fu dovuto ai processi

d’innovazione tecnologica, ma anche al fatto che ormai Fiat applicava

unilateralmente le trasformazioni tecniche e organizzative, senza un

confronto con le rappresentanze sindacali, inoltre la cassa integrazione e

i timori relativamente alla sicurezza del posto di lavoro avevano ridotto

significativamente l’assenteismo per malattia.

L’innovazione tecnologica e soprattutto l’automazione divennero

le linee guida dei processi di ristrutturazione, la stessa immagine che la

Fiat proiettava all’esterno era quella di una fabbrica in cui gli operai erano

scomparsi, sostituiti da tecnici in camice bianco il cui unico lavoro

consisteva nel controllare i computer e pigiare bottoni.

Prevaleva in Fiat una concezione negativa del fattore umano,

considerato come una variabile imprevedibile e sostanzialmente

inaffidabile, da ridurre progressivamente sul piano quantitativo. A

differenza degli anni settanta l’automazione non aveva più l’obiettivo di

migliorare le condizioni di lavoro ma era diretta, in prima istanza, a un

forte recupero di produttività e flessibilità con la costruzione appunto

della fabbrica ad alta automazione.

In sintesi la strategia della Fiat prevedeva l’automazione spinta sul

piano produttivo, mentre sul piano sociale negava la necessità della

contrattazione collettiva nei luoghi di lavoro e affermava il concetto di

un rapporto individuale azienda-lavoratore.

Page 139: WCM (World Class Manufacturing)

135

Nella prima metà degli anni ottanta la maggior parte della

contrattazione sindacale si limitò alla gestione dei processi di

ristrutturazione e delle eccedenze di personale.

L’avvio del nuovo modello, la Uno, consentì alla Fiat di uscire

dalla situazione di crisi economica, inaugurando un periodo che dal 1984

al 1989 garantirà all’azienda alcuni dei migliori risultati economici dei

suoi cent’anni di vita.

Il confronto poi per il rinnovo del Contratto nazionale di lavoro

dei metalmeccanici durò più di un anno, dato che la piattaforma

rivendicativa fu varata il 6 aprile 1982. Le trattative si bloccarono

immediatamente per le pregiudiziali di Federmeccanica e Confindustria.

Il 23 gennaio 1983 fu raggiunta una prima intesa tra Governo,

Confindustria e Federazione Cgil, Cisl e Uil, il cd. «Protocollo Scotti», in

cui vi fu una indubbia espressione del metodo concertativo, avviato già

alla fine degli anni Settanta, periodo in cui, posti di fronte al problema

delle ristrutturazioni aziendali conseguenti all’introduzione di nuove

tecnologie nell’apparato produttivo dell’industria italiana ed alle connesse

modificazioni del mercato del lavoro, i sindacati appartenenti alle tre

confederazioni maggiormente rappresentative (Cgil, Cisl e Uil) decisero

di intraprendere strade di gestione partecipativa dei processi di

riconversione industriale.

La novità è che, il Governo figura non come semplice mediatore

tra le parti, ma come vero e proprio attore di un’intesa triangolare,

imponendo in modo esplicito alle parti sociali i termini dello scambio

politico.

Il passo successivo delle pratiche concertative è dato, dalla rottura

sindacale in occasione della firma di un altro accordo, il Protocollo sul

costo del lavoro del 14 febbraio 1984, il cd. «Protocollo di S. Valentino»,

Page 140: WCM (World Class Manufacturing)

136

con cui si proponeva la rinegoziazione del precedente protocollo

d’intesa. Esso costituì la base della frattura tra Cgil, che si opponeva ai

contenuti dell’accordo, da un lato, e Cisl e Uil, dall’altro, che risulteranno

poi essere le uniche firmatarie del patto.

Ciò fu interpretato come un fatto dirompente nell’assetto delle

relazioni industriali, caratterizzato fino a quel momento da una

concertazione a tre e dall’assenza di atti autoritativi (cioè del Governo) in

materia tradizionalmente di pertinenza sindacale. A ciò fa seguito, nella

seconda metà degli anni Ottanta, un ridimensionamento della

concertazione sociale e degli accordi triangolari, anche se non vi è una

interruzione dei rapporti tra Governo e parti sociali, che vengono

consultate separatamente prima dell’adozione di importanti

provvedimenti di natura politico-economica.

La forte ripresa produttiva e di mercato connessa con

l’affermazione della Uno aprì un periodo molto contradditorio per il

sindacato poiché, già dal 1984, la Fiat iniziò a chiedere la possibilità di

ricorrere allo straordinario al sabato per alcune produzioni, ma

contemporaneamente proseguiva la cassa integrazione settimanale e

molte migliaia di lavoratori erano ancora sospesi a «zero ore» senza una

chiara prospettiva di rientro in azienda. La nuova situazione di tensione

produttiva rischiava quindi di collocare le organizzazioni sindacali in una

situazione difficile. In tal occasione esse posero la questione di

riprendere normali relazioni sindacali dopo una fase di «gelo» che era

durata alcuni anni.

La Fiat diede una risposta parzialmente positiva, la Direzione

aziendale si dichiarava disponibile a riprendere le relazioni sindacali.

Page 141: WCM (World Class Manufacturing)

137

Secondo la Fiat, la contrattazione doveva svilupparsi in base alla

logica dello «scambio», cioè secondo concessioni reciproche che

entrambe le parti dovevano prevedere.

Gli effetti di questa politica furono una serie di accordi alla fine del

1985 e nel 1986. Si aprì così una nuova fase di negoziazione in cui i

rappresentanti sindacali svolgevano un effettivo ruolo contrattuale, anche

se si presentavano situazioni molto diverse tra gli stabilimenti.

Uno degli effetti di questa mutata situazione fu la ripresa del

tesseramento sindacale, che in precedenza aveva subito un crollo

evidente.

Per quanto riguarda quindi la contrattazione aziendale il decennio

si può dividere in due fasi distinte: la prima parte, caratterizzata da una

sorta di «gelo nelle relazioni industriali», dove la contrattazione era

finalizzata quasi completamente a regolare i processi di ristrutturazione

in termini di gestione del personale eccedente.

Nella seconda metà degli anni ottanta, vi fu una ripresa della

contrattazione su molti aspetti attinenti alle prestazioni di lavoro, alla

contrattazione di straordinari, agli incrementi nell’utilizzo degli impianti,

alle assunzioni di giovani, ecc.

Nell’insieme però la Fiat aveva posto alcuni limiti alla

contrattazione a livello di stabilimento, vi era un rifiuto da parte di

quest’ultimo di aprire canali d’informazione preventiva e consultiva sui

processi di cambiamento tecnologico e organizzativo, che

inevitabilmente avrebbero allargato gli strumenti di partecipazione a

disposizione delle rappresentanze sindacali. Il rapporto della Fiat con i

sindacati si poteva definire strumentale, nel senso che l’azienda ricorreva

alla contrattazione collettiva quando ciò era strettamente indispensabile,

in termini di legge o per interessi immediati, come l’acquisizione di un

Page 142: WCM (World Class Manufacturing)

138

consenso sociale più ampio per acquisire strumenti di flessibilità della

forza lavoro, mentre quando ciò non era necessario regolava le relazioni

sociali interne con i rapporti individuali.

Questo è stato possibile anche per l’evidente divisione e le

differenti strategie che proprio su questi aspetti caratterizzavano i

sindacati, infatti su alcuni aspetti delicati come la prestazione di lavoro

mancava una reale capacità di coordinamento delle scelte di politica

contrattuale.

Gli anni novanta si presentano particolarmente ardui per la Fiat

dopo un periodo di prosperità. Il punto critico è rappresentato da Fiat

Auto, che doveva affrontare la progressiva accentuazione della

concorrenza internazionale, alimentata da una sovracapacità produttiva

strutturale e dal nuovo fenomeno dei prodotti giapponesi

particolarmente competitivi. Ormai successi come la Uno erano

improbabili, perché non era più possibile basare il risultato economico su

un modello di vettura, ma era necessaria una presenza articolata su una

moltitudine di segmenti e di nicchie di mercato per competere con una

concorrenza sempre più agguerrita.

La scena del 1990 è occupata dal rinnovo del Contratto nazionale

di lavoro dei metalmeccanici, dopo un faticoso confronto tra Fim, Fiom

e Uilm, le divisioni sindacali comportarono un’incapacità a selezionare le

rivendicazioni, perciò la piattaforma dava la sensazione di essere una

sommatoria delle proposte rivendicative di ciascun sindacato. La

conclusione contrattuale comportò molti strascichi polemici tra i

lavoratori, tra i quali era largamente diffuso un giudizio d’insufficienza

sui risultati conseguiti.

Tuttavia vi sono alcuni accordi significativi che è opportuno

rilevare. L’accordo del 27 aprile 1990 sottoscritto da Fiat Avio e i

Page 143: WCM (World Class Manufacturing)

139

rappresentanti sindacali in azienda, che introduceva una sperimentazione

di scaglionamento delle ferie. Questa è stata probabilmente l’unica intesa

sul tema che ha effettivamente funzionato in Fiat e che tuttora in vigore.

Il positivo funzionamento dell’accordo derivò dalla flessibilità con cui fu

attuato, lasciando ai singoli lavoratori spazi di discrezionalità nel gestire i

propri periodo di ferie.

Una forte innovazione rappresentava invece l’accordo del 18

dicembre 1990, che stabiliva l’insediamento di due nuovi stabilimenti al

Sud, a Pratola Serra (Avellino) per la produzione di propulsori e a Melfi

(Potenza) per quella di vetture, i cui lavori di costruzione inizieranno nel

maggio dell’anno successivo. Questo accordo produsse alcuni contrasti

all’interno delle organizzazioni sindacali poiché era evidente il rischio che

gli elevati volumi produttivi, connessi con il nuovo regime d’orario (18

turni settimanali per la produzione e 21 turni per la manutenzione),

significassero una riduzione delle attività produttive degli stabilimenti

esistenti al Nord, anche se i massimi dirigenti della Fiat si affrettarono a

garantire pubblicamente che i nuovi insediamenti meridionali erano

aggiuntivi e non sostitutivi di quelli già esistenti.

Un ulteriore particolare significativo fu quello connesso agli assetti

sociali dei due stabilimenti, che formalmente non facevano parte di Fiat

Auto, ma costituivano due società a se stanti: Sata (Società

automobilistica tecnologie avanzate) per Melfi e Fma (Fabbrica motori

automobilistici) per Pratola Serra. Tra l’altro ciò serviva a evitare

l’applicazione degli accordi sindacali del Gruppo Fiat in questi nuovi siti

industriali.

Con questi investimenti la Fiat imprimeva un nuovo corso alla

produzione automobilistica con effetti che cambieranno gli assetti

complessivi di Fiat Auto, infatti, i timori dei sindacati erano giustificati,

Page 144: WCM (World Class Manufacturing)

140

poiché Fiat Auto procedette, nel 1992, alla riduzione della capacità

produttiva al Nord, con la chiusura degli stabilimenti di Desio e

Chivasso.

Con l’inizio degli anni novanta furono avviate una serie di

sperimentazioni organizzative, il più famoso dei quali era quello

denominato «fabbrica integrata» e si proponeva di cambiare

l’organizzazione produttiva. Il modello di riferimento era quello dei

produttori giapponesi, come il just in time, la riduzione dei materiali e

delle scorte e di tutte le risorse necessarie per produrre, nonché il

miglioramento continuo del processo e del prodotto, in sostanza gli

aspetti caratteristici della lean production, di cui la Fiat voleva importare

la capacità di gestire gli elementi d’incertezza con risorse ridotte.

La novità fu colta immediatamente anche al di fuori dell’azienda e

del mondo sindacale poiché era evidente anche una sorta di autocritica

sul precedente modello organizzativo. Tuttavia, era anche evidente la

contraddizione tra la partecipazione richiesta ai lavoratori nel

miglioramento del processo produttivo e il fatto che il cambiamento era

gestito senza un rapporto contrattuale con i sindacati. Il realtà il progetto

poteva anche essere considerato una sfida nei confronti dei sindacati,

proprio per l’implicita esigenza aziendale di conquistare il consenso dei

lavoratori necessario alla partecipazione richiesta dal nuovo modello

organizzativo.

Nel corso del tempo emersero una serie di contraddizioni

nell’applicazione del nuovo modello organizzativo, in particolare vi era

un’evidente differenza tra il progetto elaborato dalla Fiat e la sua effettiva

realizzazione. Molte delle nuove modalità organizzative, quelle meno

formali e più sostanziali che attenevano ai comportamenti e ai ruoli,

restarono solo sulla carta o furono realizzate in alcuni reparti, ma non in

Page 145: WCM (World Class Manufacturing)

141

altri. Queste difficoltà e differenze furono attribuite alle resistenze

interne della gerarchia aziendale, nei fatti, anche per quanto riguarda il

rapporto con il sindacato, una parte del management Fiat lasciò trapelare

che era in atto uno scontro di opinioni tra chi pensava di tenere fuori le

rappresentanze sindacali dal nuovo progetto organizzativo e chi invece

riteneva che queste potessero dare un contributo utile all’innovazione

organizzativa e a rimuovere le resistenze della gerarchia aziendale.

Per le organizzazioni sindacali, quindi, il progetto aziendale

d’innovazione organizzativa era visto favorevolmente, sia pure con

sfumature diverse derivanti dalla diversa concezione del rapporto

contrattuale, era considerato un’occasione per un ruolo più definito delle

relazioni sindacali in azienda, date le istanze di partecipazione dei

lavoratori che erano alla base del progetto. Diversa però era la situazione

tra i rappresentanti sindacali in azienda, le cui posizioni erano molto

articolate, se da una parte vi era chi riteneva che il nuovo modello

organizzativo fosse un’occasione per un ruolo più incisivo del

rappresentante sindacale, all’estremo opposto vi era chi lo riteneva un

cambiamento limitato che in realtà non avrebbe cambiato nulla o,

peggio, un disegno per «fregare» i lavoratori. Ovviamente queste diversità

determinavano atteggiamenti diversi nei vari stabilimenti e gli stessi

comportamenti della gerarchia aziendale giustificavano sia l’una sia l’altra

posizione.

In ogni modo, alla prova dei fatti, il rapporto azienda-sindacati

non andò molto oltre l’informazione sullo sviluppo dell’innovazione

organizzativa, che restava ancorata a regole unilaterali. Mentre la

contrattazione rimaneva sostanzialmente legata a logiche di

centralizzazione, anche quando furono definite alcune sperimentazioni di

stabilimento su un sistema di premi individuali che incentivava le

Page 146: WCM (World Class Manufacturing)

142

proposte di miglioramento della qualità da parte dei lavoratori. In

definitiva mentre il management Fiat sembrava che fosse ancorato alla

visione tradizionale del sistema di relazioni sindacali, i sindacati, anche

per le loro divisioni, non furono in grado di proporsi un’impostazione

comune che allargasse gli spazi d’intervento sull’organizzazione

produttiva.

Il periodo che va dal 1991 al 1995 vede dal un punto di vista della

contrattazione, la ripresa della concertazione sociale nella forma degli

accordi triangolari, data l’esigenza dei Governi di rientrare nei vincoli

posti dal Trattato di Maastricht del 1991.

Vi furono un’alternanza di accordi che gestirono gli aspetti di

ristrutturazione, dai licenziamenti collettivi (la cosiddetta «mobilità») per

250 lavoratori ad una riduzione della capacità produttiva al Nord

attraverso la chiusura dello stabilimento di Desio e quello della Lancia di

Chivasso.

La stessa azienda si impegnò nell’attivare una serie di iniziative

industriali che avevano un duplice scopo, da una parte assorbire una

quota dei lavoratori, dall’altra costruire un indotto qualificato in relazione

ai nuovi criteri organizzativi basati sul just in time. Per i lavoratori furono

utilizzati gli strumenti tradizionali come la Cigs, i prepensionamenti e le

dimissioni incentivate, ma alla fine tutti trovarono una collocazione, in

parte nelle nuove attività produttive, in parte con trasferimenti in altri

stabilimenti Fiat.

La complessità delle trattative era anche determinata dalle divisioni

sindacali in merito alla conduzione delle trattative, dove la Fiom insisteva

molto sugli aspetti della verifica democratica con i lavoratori, prima di

firmare definitivamente gli accordi, mentre le altre organizzazioni lo

consideravano un aspetto secondario. La questione fu particolarmente

Page 147: WCM (World Class Manufacturing)

143

evidente nella trattativa per lo stabilimento di Chivasso, dove la Fiom

decise, da sola e con successo, di dichiarare due ore di sciopero per

effettuare l’assemblea con i lavoratori alla conclusione della trattativa.

Dal punto di vista dell’assetto complessivo di Fiat Auto i due

accordi smentivano i precedenti impegni della Fiat, accentuando

fortemente la tendenza alla riduzione delle capacità produttive e

dell’occupazione al Nord, contribuendo a spostare il baricentro

produttivo nel Mezzogiorno. Però nel merito della ristrutturazione non

furono utilizzate contro il sindacato ma comportarono un certo grado di

cooperazione. Del resto sarebbe stato controproducente per la Fiat una

politica antisindacale, per gli effetti negativi in termini d’immagine e

perché ciò avrebbe contrastato con le scelte di politica organizzativa e di

relazioni industriali ampiamente pubblicizzate.

Nello stesso periodo furono sottoscritti una serie di accordi che

sembravano affermare una politica di partecipazione nelle relazioni

industriali, con l’introduzione di nuovi organicismi congiunti che

avevano obiettivi consultivi o informativi come il «Comitato di

consultazione» a livello nazionale, o le «Commissioni di partecipazione»,

con il compito di monitorare l’introduzione di un nuovo istituto

premiante legato alle «Proposte di miglioramento qualità», un premio

destinato a favorire il coinvolgimento dei lavoratori, incentivando coloro

che presentavano proposte che miglioravano la qualità del processo

produttivo e del prodotto, in un’ottica molto giapponese.

L’accordo non indicava l’entità del premio, prevedeva in ogni caso

che il premio fosse limitato agli operai e intermedi, mentre erano esclusi

gli operai. La sua diffusione non fu omogenea tra i diversi reparti e

stabilimenti. In realtà si constatò che influivano molto i comportamenti

della line aziendale, che in alcuni casi favoriva il processo, in altri lo

Page 148: WCM (World Class Manufacturing)

144

osteggiava, in altri ancora lo utilizzava a favore di alcuni lavoratori in una

logica di scambio reciproco di favori. Dall’altra parte anche

l’atteggiamento dei rappresentanti sindacali aveva un’influenza rilevante

nel promuovere ed osteggiare la diffusione delle proposte a fronte una

certa diffidenza da parte dei lavoratori.

Questo sistema premiante è ancora in vigore, ma negli ultimi anni

sembra abbia perso interesse per la Direzione aziendale, che non ne

promuove più la diffusione, pur continuando a stabilire un budget di

spesa annua.

Il 1993 è stato l’anno peggiore per la Fiat, poiché al pessimo

andamento delle vendite si aggiunse il coinvolgimento dei dirigenti

aziendali e dell’amministratore delegato nelle inchieste connesse con

«tangentopoli» accomunando alle perdite economiche anche una caduta

dell’immagine pubblica.

La Fiat avviò così dei processi di ristrutturazione delle società i cui

conti economici erano negativi, come la Comau, la Teksid, l’Iveco, la Fiat

Avio, alcune società della componentistica, oltre Fiat Auto. Quasi tutti

questi accordi prevedevano una riduzione del personale attraverso la

procedura di mobilità e l’adozione dei criteri già visti per Fiat Auto

(mobilità incentivata con «aggancio» alla pensione).

Procedere poi al licenziamento dei propri quadri era un fatto

assolutamente nuovo, mai successo nella storia della Fiat, per il

particolare significato che avevano sempre rivestito queste figure nelle

filosofie aziendali, inoltre era evidente che con la loro estromissione la

Fiat rinunciava a competenze professionali non facilmente rimpiazzabili.

In effetti, durante il conflitto del 1980 la Fiat aveva fatto ricorso ai

quadri per piegare il sindacato, sancendo una sorta di «alleanza» sociale,

perciò la cosa ebbe immediatamente una risonanza nazionale.

Page 149: WCM (World Class Manufacturing)

145

La Fiat motivò questa scelta con l’esigenza di alleggerire la

struttura dei costi che era diventata troppo «pesante», soprattutto sul

versante degli impiegati, perciò propose di licenziare i quadri e gli

impiegati che avevano superato un certo limite di età, per dare loro la

possibilità di andare in pensione al termine della mobilità.

Fu richiesto da parte del sindacato l’intervento del governo. La

vertenza durò alcuni mesi e vide la straordinaria mobilitazione degli

interessati in accordo con i sindacati. I contrasti maggiori si

determinarono soprattutto sul piano industriale di rilancio della Fiat e

sulla tipologia di strumenti da utilizzare per ridurre le eccedenze, tra i

quali la Fiat insisteva sulla procedura di mobilità, mentre i sindacati si

proponevano di utilizzare soprattutto manovre di riduzione temporanea

dell’orario di lavoro con il ricorso ai contratti di solidarietà. Su

quest’ultimo punto la Fiat aveva espresso sempre viva contrarietà,

facendone un punto di principio, ma alla fine dovette parzialmente

cedere. Furono così raggiunti una serie di accordi che misero fine alla

vertenza di Gruppo.

La grave crisi economica e produttiva dei primi anni novanta,che

portò il paese sull’orlo della bancarotta, impose la necessità di nuove

regole nel sistema di relazioni industriali, che mettesse fine a un più che

decennale contenzioso sul costo del lavoro, individuando anche un

sistema di relazioni e di concertazione che avrebbe aiutato il risanamento

dell’economia.

La crisi fu superata con il Protocollo del 23 luglio 1993 sulla

politica dei redditi, sottoscritto dalla confederazioni sindacali, da quelle

degli imprenditori e dal governo. Quest’ultimo accordo rappresentò un

punto fermo e un’ancora di salvezza per il paese rispetto alla grave crisi

economica e politica della prima metà degli anni novanta, poiché stabilì i

Page 150: WCM (World Class Manufacturing)

146

cardini della politica di concertazione sociale e definì un ruolo forte per il

sindacato confederale, con un sistema di relazioni industriali basato su

due livelli di contrattazione.

Il Protocollo rappresenta uno spartiacque nell’evoluzione delle

relazioni industriali, formalizzando quindi il metodo della concertazione

sociale, sottoscritto unitariamente dalle Confederazioni (Cgil, Cisl e Uil),

attraverso un accordo triangolare (Governo, organizzazioni sindacali e

datoriali).22 Esso individua due differenti livelli di contrattazione (un

primo livello, nazionale di categoria, e un secondo livello di

contrattazione, aziendale o territoriale). È il contratto nazionale di

categoria a determinare le competenze del secondo livello mediante

clausole di rinvio. Di fatto, però, la competenza della contrattazione

decentrata è risultata abbastanza circoscritta, in quanto le materie e gli

istituti ivi regolamentati devono essere diversi rispetto a quelli retributivi

propri del contratto nazionale di categoria.

È quindi prevalsa una netta ripartizione delle competenze tra

contratto collettivo nazionale e contrattazione di secondo livello che

consente di evitare possibili conflitti tra i diversi livelli di negoziazione. Il

principio invalso nella pratica contrattuale per lungo tempo è quello del

«ne bis idem», esso fa sì che la contrattazione di secondo livello debba

esplicarsi su materie ed istituti che non siano già stati negoziati in altri

livelli di contrattazione.

Sul fronte delle relazioni tra il management e il sindacato,

l’accordo ha introdotto un meccanismo di consultazione bilaterale tra le

parti su una vasta gamma di temi e diversi livelli (azienda, stabilimento,

unità operativa). Attraverso delle «commissioni congiunte», composte da

22 Del Giudice F., Mariani F., «Compendio di diritto sindacale», Simone, Napoli, 2012, p. 144

Page 151: WCM (World Class Manufacturing)

147

responsabili aziendali e da rappresentanti delle organizzazioni sindacali

(Rsu) firmatarie degli accordi. Le commissioni affrontano argomenti

diversi, prevenzione e risoluzione del conflitto, monitoraggio del premio

di competitività, formazione, pari opportunità, sicurezza sul lavoro, ecc.

Il Protocollo ha permesso il raggiungimento di importanti obiettivi

per il nostro Paese (come l’accesso alla moneta unica europea) ed ha

svolto una incontestabile funzione regolatoria delle relazioni industriali

durata oltre 15 anni, cioè, alla stipulazione nel 2009 del nuovo Accordo

Interconfederale sugli assetti contrattuali.

A completare quanto stabilito da detto Protocollo fu sottoscritto

un accordo interconfederale, il 20 dicembre 1993, che regolamentava le

elezioni della rappresentanza sindacale in azienda, che sarebbe stata

denominata «Rappresentanza sindacale unitaria» e avrebbe detenuto

specifiche competenze contrattuali.

Nel successivo rinnovo contrattuale del 5 luglio 1994 furono

recepite le norme del Protocollo del 23 luglio 1993, stabilendo precisi

diritti di contrattazione a livello aziendale. Tra le altre cose furono

stabilite normative più precise sull’utilizzo delle riduzioni d’orario e sul

trattamento di malattia, fu concordato un nuovo sistema di previdenza

integrativa finanziato mediante quote di Tfr, infine, un aumento medio

mensile dei minimi retributivi.

Tra la fine del 1995 e l’inizio del 1996 il rinnovo del vertice

aziendale indica che la fase più acuta di crisi della Fiat è ormai passata.

Per i sindacati il miglioramento delle condizioni economiche dell’azienda,

consentirono alla Fiat la riapertura di una vertenza di Gruppo.

Furono formulate una serie di proposte, tra le quali quella di

raggruppare in un’unica vertenza l’insieme delle società del Gruppo Fiat,

compresa la Magneti Marelli, che in precedenza aveva proceduto

Page 152: WCM (World Class Manufacturing)

148

autonomamente. Tuttavia questa ipotesi resse solamente in parte, poiché

le rappresentanze sindacali della Sata e della Fma rivendicarono

l’autonomia contrattuale e pretesero di condurre una trattativa parallela a

quella della restante parte del Gruppo.

Nella fase finale della trattativa la proposta della Fiat sul premio di

risultato determinò una spaccatura tra le organizzazioni sindacali, in

merito alla risposta da dare, secondo la Fiom il meccanismo premiante

proposto dalla Fiat era molto distante dalle rivendicazioni presentate, era

legato ad indicatori estremamente aleatori per il lavoratori ed era basato

su previsioni di sviluppo poco credibili, mentre per le altre

organizzazioni poteva essere un terreno possibile d’intesa. In realtà la

Fiat aveva formulato una proposta ultimativa, un «prendere o lasciare»,

avendo compreso la divisione e la conseguente debolezza sindacale. Alla

fine la Fiom, dopo aver chiesto inutilmente la riunione del

Coordinamento nazionale Fiat, ricorse al regolamento unitario per

chiedere la riunione delle Rsu e un voto esplicito sulla proposta Fiat. Le

Rsu a maggioranza votarono a favore dell’accordo e la Fiom dichiarò di

accettare il voto delle Rsu, aderendo all’intesa ma mantenendo il

«giudizio negativo sulla proposta salariale della Fiat». Un supplemento di

trattativa servì ad includere il premio di risultato nella base del calcolo del

Tfr.

Un’ulteriore valutazione, su cui la Fiom è stata più cauta nei

giudizi attendendo di vederne gli sviluppi concreti, era quella relativa alla

parte sulle relazioni sindacali. Il fatto che la conclusione dell’accordo Fiat

sia avvenuta senza scioperi ha contribuito ad alimentare la tesi che questo

accordo abbia rappresentato una svolta sul terreno della partecipazione.

In particolare, da parte dei mezzi d’informazione era stato messo in

evidenza come una fase di passaggio e un cambiamento di mentalità nei

Page 153: WCM (World Class Manufacturing)

149

rapporti tra azienda e lavoratori richiedevano una reciproca fiducia e una

reciproca assunzione di responsabilità a tutti i livelli, ciò in conseguenza

del fatto che nelle moderne teorie organizzative il fattore umano

assumeva importanza prioritaria rispetto alle tecnologie, proprio perché

la competizione globale costringeva le aziende ad affrontare sfide difficili

per mantenere o rafforzare le proprie posizioni di mercato. In tal senso

un sistema di relazioni sindacali partecipative rappresentava un elemento

di grande potenzialità.

Nell’insieme, il sistema individuato dell’accordo del 18 marzo 1996

presenta troppe ambiguità per affermare che la Fiat abbia avuto una reale

intenzione di attuare la scelta della partecipazione con le organizzazioni

sindacali, mentre quest’ultime erano segnate dalle divisioni interne che

non consentivano un ruolo efficace nell’incalzare l’azienda su questo

terreno.

Il periodo successivo è stato caratterizzato dalla gestione dei

processi di ristrutturazione e anche da una certa ripresa produttiva e di

mercato, come dimostrano molti accordi su assunzioni, straordinari e

introduzione di terzi turni. Un accordo importante fu quello sottoscritto

il 28 giugno 1996, partito con divisioni da parte sindacale, alimentate da

preoccupazioni relative agli stabilimenti di Torino, Arese e Pomigliano,

che erano generate dalle crescenti attenzioni manifestate dalla Fiat per gli

investimenti all’estero e dai nuovi insediamenti produttivi al Sud.

L’accordo faceva il punto della situazione sul piano industriale e

delle allocazioni produttive, con i relativi effetti occupazionali, in

particolare sui risultati degli strumenti individuati per risolvere il

problema degli esuberi del personale.

Si trattava di un impegno rilevantissimo, resosi necessario per

recuperare la caduta di competitività del prodotto Fiat Auto e per

Page 154: WCM (World Class Manufacturing)

150

favorire il continuo rinnovo della gamma del prodotto. Nel confronto

era coinvolto il governo, non solamente per gli aspetti relativi agli

ammortizzatori sociali ma anche per la necessità di individuare politiche

di sostegno a favore del settore automobilistico che dessero prospettive

all’insieme degli stabilimenti esistenti.

Questi accordi si potevano considerare come una gestione

concordata del processo di rilancio della Fiat che portarono al successivo

provvedimento legislativo del governo Prodi in favore della cosiddetta

«rottamazione» delle autovetture nel 1997. Si trattava di un

provvedimento già adottato d altri paesi europei che consisteva

nell’assegnare una cospicua incentivazione fiscale a coloro che

decidevano di rottamare la propria vettura, con almeno dieci anni di

anzianità, e acquistarne una nuova. In favore del provvedimento si

spesero anche i sindacati per gli effetti positivi che implicava in termini di

stabilizzazione occupazionale, anche per favorire la conclusione della

vertenza per il rinnovo del biennio economico del Contratto nazionale di

lavoro che avverrà l’8 giugno 1999, dopo sette mesi di trattative e 36 ore

di sciopero. Oltre ad adeguare i minimo contrattuali ai tassi d’inflazione,

l’accordo prevede alcune significative innovazioni sul versante dell’orario

di lavoro, affrontando il delicato tema della flessibilità d’orario e

trasformare gli straordinari in riposi compensativi.

Oltre ai tradizionali processi di ristrutturazione, si faceva strada

una nuova modalità di riorganizzazione aziendale basata sui processi di

outsourcing , consistente nella cessione a società specifiche, di proprietà

Fiat o di terzi, di parti importanti della propria struttura produttiva.

L’obiettivo era di procedere a una razionalizzazione di queste

attività e di realizzare una presenza organizzata in un mercato, quello dei

servizi, che si prospettava particolarmente promettente.

Page 155: WCM (World Class Manufacturing)

151

Tutto ciò comporta problemi nuovi per la Fiat, poiché la

frammentazione dei lavoratori e delle responsabilità tra proprietà diverse

rappresenta concretamente una tendenza inversa all’integrazione

propugnata dal progetto «fabbrica integrata», in tal senso l’outsourcing

strategico presenta modalità organizzative e aspetti di conflitto-

collaborazione interna del tutto nuovi, che rimettono in discussione

alcuni assunti organizzativi degli anni precedenti. Dal punto di vista

sindacale le conseguenze dell’outsourcing generano una certa

frammentazione delle Rsu e una maggiore difficoltà ad organizzare la

rappresentanza dei lavoratori, il che comporta maggiori ostacoli nella

gestione dei problemi e richiede probabilmente l’individuazione di nuovi

strumenti contrattuali.

In alcune trattative con società del Gruppo Fiat, relative alla

cessione del ramo d’azienda, sono emersi tentativi aziendali di applicare

ai lavoratori «terziarizzati», una normativa contrattuale diversa da quella

del Contratto nazionale dei metalmeccanici. La proposta è stata respinta

da parte del sindacato, che pur non opponendosi ai processi di

outsourcing, ritiene indispensabile evitare una frammentazione della

normativa contrattuale all’interno della stessa azienda, perché ciò

implicherebbe strutture sindacali di diverse categorie che rappresentano

lavoratori all’interno dello stesso stabilimento, con un’evidente perdita di

controllo sulle possibilità di tutela dei lavoratori e anche con rischi di

conflitti interni.

Il Contratto nazionale di lavoro scadeva il 31 dicembre 1998, ma il

rinnovo fu particolarmente difficile per la complessità degli argomenti

posti nella piattaforma rivendicativa. L’accordo fu raggiunto l’8 giugno

1999 e prevedeva alcune significative innovazioni sul versante dell’orario

di lavoro. È il periodo in cui viene sancita la definitiva

Page 156: WCM (World Class Manufacturing)

152

istituzionalizzazione della concertazione sociale, che da prassi negoziale

diviene «metodo di condivisione di obiettivi» vincolante per tutte le parti

coinvolte, il Governo, i sindacati e le organizzazioni datoriali.

Gli anni novanta sono stati un decennio di relazioni sindacali e di

contrattazione molto contradditori, segnati dalla speranza di avviare un

nuovo e più stabile sistema di relazioni sindacali, che alla fine viene

puntualmente delusa. Gli stessi radicali processi di ristrutturazione e

riorganizzazione aziendale, che hanno modificato gli assetti produttivi e

organizzativi della Fiat, hanno contribuito ad alimentare questa speranza,

proprio perché i sistemi di partecipazione sono comunemente

considerati come più adeguati alle nuove logiche organizzative. In effetti,

alcuni momenti di «contrattazione collaborativa» si sono sviluppati, alla

metà degli anni novanta, attorno alla conduzione dei processi di

ristrutturazione, anche con la gestione concordata di tutti gli strumenti

consentiti dalla legislazione per il contenimento delle eccedenze di

personale (mobilità incentivata con accompagnamento alla pensione, Cig,

ecc.), ma ciò non ha comportato un avanzamento sostanziale del sistema

di relazioni industriali.

L’efficacia della contrattazione è stata alquanto limitata anche se,

rispetto agli anni ottanta, sono progressivamente aumentati gli argomenti

che sono stati oggetto di confronto. Una particolare incisività si è

manifestata sul governo dei processi di ristrutturazione, mentre i

sindacati hanno saputo farsi carico di incrementare la competitività

dell’azienda regolando la flessibilità, come dimostrano i molti accordi su

turni, straordinari e cassa integrazione.

Il principale successo della contrattazione è stato quello di

affrontare le ristrutturazioni e le conseguenti crisi occupazionali senza

utilizzare i metodi tipici di alcune multinazionali statunitensi, consistenti

Page 157: WCM (World Class Manufacturing)

153

nel licenziamento di migliaia di lavoratori al di fuori di qualsiasi

regolazione attuata attraverso gli accordi sindacali e gli ammortizzatori

sociali, ciò anche per effetto delle tutele legislative tipiche

dell’ordinamento italiano e dell’esistenza della cassa integrazione.

Tuttavia è indubbio che le relazioni sindacali in Fiat si basano su

un equilibrio precario, dovuto all’unione tra un sistema di contrattazione

centralizzato e un sistema di partecipazione «debole».

In realtà la Fiat continua ad affermare e praticare un sistema di

relazioni sindacali basato sulla centralizzazione dei rapporti e sulla

limitazione della contrattazione nei luoghi di lavoro, proprio per favorire

le prerogative manageriali nella gestione delle risorse umane. In tal

contesto si è determinato un andamento altalenante dei rapporti tra

azienda e organizzazioni sindacali, mentre negli ultimi anni si ravvisa una

marcata tendenza al peggioramento.

È anche opportuno rilevare la contraddittorietà di alcune posizioni

sindacali, da una parte Fim, Uilm e Fismic sembrano maggiormente

inserite nella logica di relazioni proposta dalla Fiat, cui chiedono la

legittimazione e il riconoscimento come agenti contrattuali, dall’altra

parte la Fiom si divideva tra un’impostazione più «conflittuale» e una più

disponibile a misurarsi con gli strumenti della partecipazione. Tuttavia

entrambe le posizioni hanno dimostrato molte incertezze nell’articolare

una strategia rivendicativa adeguata, in particolare non sono state

sufficientemente chiarite le impostazioni sul ruolo e sulle competenze

delle Rsu, sull’equilibrio di poteri e competenze tra strutture sindacali e

rappresentanti sindacali interni. Con qualche approssimazione si può

affermare che lo schieramento sindacale andava da chi era

ideologicamente contro la partecipazione e quindi non operava

certamente per una sua affermazione, a chi era ideologicamente a favore

Page 158: WCM (World Class Manufacturing)

154

ma non traduceva questa posizione in iniziative concrete. Ovviamente

tra questi due estremi vi erano molte posizioni intermedie, con quadri

sindacali che tentavano pragmaticamente di avviare un processo

negoziale, ma senza un coordinamento e una strategia comune, quindi

non erano in grado di sviluppare una sufficiente «massa critica» di

contrattazione.

Le incertezze nel campo delle relazioni sindacali hanno trovato

conferma anche per effetto degli accordi separati di Cassino, non

sottoscritti dalla Fiom. Il primo è quello del 15 marzo 2001 che, oltre a

tracciare un programma per l’avvio del nuovo modello della «Stilo»,

introduce la stessa metrica del lavoro di Melfi (il Tmc2) e la stessa

procedura di reclamo in caso di contestazione da parte del lavoratore che

comporta un’evidente intensificazione della prestazione lavorativa. Per

questo motivo non è stato sottoscritto dalla Fiom.

Il secondo accordo separato, del 30 luglio 2001, riguardava

l’introduzione di un regime d’orario a 20 turni (4 squadre che si alternano

sui 7 giorni della settimana) per 80 lavoratori delle manutenzioni dello

stabilimento di Cassino. L’accentuarsi delle divisioni sindacali è anche un

effetto indotto dall’accordo «separato», sottoscritto solamente da Fim e

Uilm, per il rinnovo del biennio economico dei metalmeccanici il 3 luglio

2001, con la logica conseguenza che la Fiom ha continuato con le

iniziative di mobilitazione dei lavoratori. In questo clima è anche

maturata la scelta della Fiom di dichiarare due ore di sciopero alla Fiat, il

12 ottobre 2001, per il rilancio della vertenza aziendale, tuttavia senza

esiti apprezzabili. Un risultato indiretto di questa situazione d’incertezza

e di disagio nelle relazioni sindacali si è anche misurata nella tendenza a

una generale crescita dell’assenteismo per malattia, che negli stabilimenti

più «vecchi», come Mirafiori, è arrivato a dati a due cifre, con valori che

Page 159: WCM (World Class Manufacturing)

155

erano considerati normali negli anni settanta. È logico dedurre che i

rilevanti e continui cambiamenti produttivi e occupazionali, che

caratterizzano gli attuali sistemi di produzione, generano forti elementi di

disagio tra i lavoratori. In definitiva questi aspetti continuano a segnalare

una situazione di incertezza e deterioramento delle relazioni sindacali.

Nel corso degli anni novanta si sono ulteriormente accentuati i

fattori di competizione per le imprese, con un incremento delle variabili

e quindi delle incertezze per chi opera sui mercati internazionali.

In alcuni settori la politica di globalizzazione ha consentito la

realizzazione di grandi gruppi, come la Cnh Global, che hanno occupato

posizioni di rilevo nel mercato mondiale, il rafforzamento della New

Holland e della Comau con l’acquisizione, nel 1999, di importanti

società quali la Case (macchine agricole), la Pico e la Renault Automation

(sistemi di produzione), che consentono alle due società del gruppo di

diventare leader mondiali nei rispettivi settori. Una serie di allenze

produttive (Magneti Marelli con Bosch, Teksid con Eaton, Iveco con

Renault sui bus) completano il quadro degli anni novanta.

Negli ultimi anni però non ci sono state solo acquisizioni, ma

anche rilevanti cessioni di imprese importanti, come la Fiat Ferroviaria la

cui quota di maggioranza è stata ceduta al gruppo francese Alstom, la

vendita di alcune unità produttive che compongono la Magneti Marelli.

Ovviamente le cessioni dovevano consentire anche di avere le

risorse finanziarie per coprire una parte dei rilevanti debiti generati dalle

operazioni di acquisizione. Si devono però aggiungere anche gli

insuccessi, infatti, nonostante i reiterati tentativi, dopo l’acquisizione

dell’Alfa Romeo nel 1987 la Fiat non è più riuscita ad acquisire altri

marchi di produttori internazionali di autoveicoli, come dimostra anche il

tentativo compiuto con la Volvo, che alla fine è stata acquisita dalla Ford.

Page 160: WCM (World Class Manufacturing)

156

In sintesi si può affermare che la Fiat, nel corso degli anni novanta,

accentua il tentativo di diversificare le proprie attività, cercando di

diminuire il peso specifico del settore degli autoveicoli.

Il risultato negativo di Fiat Auto è avvenuto quindi per effetto di

un mercato notevolmente cambiato nella sua composizione e

nell’accentuarsi della competizione. Inoltre si devono tener presente la

maggiore debolezza del prodotto Fiat sui segmenti di mercato medio-alti,

che sono quelli più difficili da conquistare ma che garantiscono i margini

più elevati, la riduzione dell’occupazione derivante in parte dai processi

di outsourcing, ma anche le riduzioni di personale attuate nell’ultimo

decennio. L’insufficienza dei risultati economici arriva dopo un decennio

in cui sono state investite notevoli risorse finanziarie, soprattutto nella

prima metà degli anni novanta, ma evidentemente non sono state

utilizzate in modo adeguato o con sufficiente coerenza.

L’annuncio così di una nuova fase di ristrutturazione, deciso dal

consiglio di amministrazione della Fiat del 10 dicembre 2001, non giunge

inaspettato a coloro che seguono da vicino le vicende del Gruppo e

conferma la gravità della crisi aziendale, che ha al proprio centro il

settore auto. Il piano di ristrutturazione presentato dall’azienda

prevedeva la chiusura di 18 stabilimenti (2 in Italia e 16 nel resto del

mondo) nel periodo 2002-2004, con una riduzione dell’organico di 6000

lavoratori, tutti impiegati in stabilimenti esteri, una riorganizzazione di

Fiat Auto in quattro business unit (Fiat Lancia, Alfa, Sviluppi

internazionali, Servizi per i clienti), dismissioni per circa due miliardi di

euro nel 2002, tra queste quella della Magneti Marelli, della Teksid, della

Comau, delle produzioni militari e altre ancora.

Nell’insieme si tratta di una serie di interventi che confermano la

gravità della situazione aziendale, che si dimostra ancora peggiore della

Page 161: WCM (World Class Manufacturing)

157

crisi del 1993, soprattutto per l’entità del debito che proporzionalmente

risultava superiore e per il contesto di mercato che presenta aspetti di

competitività molto più accentuati.

Un fattore importante riguarda il rapporto con i sindacati, che non

sono stati coinvolti in una trattativa sindacale preventiva sulla crisi e sui

modi per risolverla, gli stessi organismi di partecipazione, istituiti con

l’accordo del 18 marzo 1996, non sono stati attivati nei tempi e con le

modalità preventive che la gravità della situazione avrebbe richiesto. Ciò

evidenzia il fallimento del modello partecipativo aziendale che, alla prova

dei fatti, ha dimostrato la propria inconsistenza.

Nei fatti, l’azienda ha avviato il confronto sul piano di

ristrutturazione solamente nella primavera del 2002, in concomitanza

con l’apertura della procedura di riduzione del personale, mentre la

gravità della crisi era già evidente nel corso del 2001 ed era stata oggetto

di più richieste di chiarimento da parte sindacale a cui l’azienda aveva

sempre dato risposte che minimizzavano la criticità della situazione,

evidentemente per escludere un confronto reale sui problemi aziendali.

In ogni caso la trattativa ha generato una differenza di valutazione

tra i sindacati, a cui sono seguiti accordi separati. Con l’entrata in scena di

una nuova maggioranza di Governo, si assiste al progressivo abbandono

del «metodo concertativo», fondato sugli accordi triangolari (Governo,

organizzazioni sindacali e datoriali), che avevano contraddistinto per più

di un decennio il sistema di relazioni sindacali. Con la concertazione

sociale, le parti sociali non si limitano ad un ruolo di mera negoziazione

delle proprie istanze, bensì partecipano attivamente alla definizione delle

politiche economiche e sociali dell’Esecutivo. Si apre così la strada ad un

nuovo metodo che va sotto il nome di «dialogo sociale», in cui la

partecipazione delle parti sociali alla determinazione delle politiche del

Page 162: WCM (World Class Manufacturing)

158

Governo viene confinata nell’ambito di pareri e raccomandazioni cui

quest’ultimo può decidere o meno di dare seguito. Inoltre,

differentemente dalla concertazione sociale che è dotata di una portata

generale, occupandosi sostanzialmente di tutti i principali aspetti delle

politiche economiche e sociali del Governo, il dialogo sociale è settoriale

e specifico. Inoltre quest’ultimo sostituisce «alla regola della unanimità,

che era seguita sempre in passato, la regola della maggioranza, aprendo

così la strada alla conclusione di accordi tra Governo e parti sociali

“separati”».

La tecnica sostitutiva del dialogo sociale ha trovato attuazione nel

recente «Patto per l’Italia», siglato il 5 Luglio 2002 e sottoscritto dalle sole

Cisl e Uil senza la Cgil. 23

L’elemento qualificante del Patto, su cui peraltro si è prodotta la

rottura con la Cgil, è stato rappresentato dalla proposta di

modifica/sospensione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori in materia

di licenziamenti individuali, che però veniva vista dalla Cgil come una

radicale abolizione di un istituto di tutela dei lavoratori. Si può rilevare

come il rapporto tra l’azienda e l’insieme dei sindacati abbia toccato uno

dei punti più bassi nella storia degli ultimi anni.

La crisi del sistema di relazioni sindacali si evidenzia

nell’insofferenza della Fiat per le regole del confronto sindacale e

conferma la minor attenzione aziendale al tema dei rapporti sociali.

Nei fatti, l’azienda ha proceduto modificando i piani di

ristrutturazione con un accordo diretto con il governo senza un reale

confronto sindacale, ha previsto la continuazione del confronto sindacale

solamente a livello di stabilimento per gestire gli effetti occupazionali.

23 Del Giudice F., Mariani F., «Compendio di diritto sindacale», cit., p. 148

Page 163: WCM (World Class Manufacturing)

159

Ciò ha il significato di mantenere al minimo il confronto sindacale,

quello previsto dalle normative legislative per la gestione del personale

esuberante, mentre non è più previsto un tavolo nazionale di confronto e

quindi la possibilità di ridiscutere il piano industriale complessivo.

La situazione sembra successivamente aggravarsi poiché a Melfi si

stanno per preparare giorni molto difficili per la Fiat, con una situazione

sociale così tesa da indurre una ripresa delle forme radicali del conflitto

industriale, quelle di cui sembrava essersi persa la memoria, che risale a

un periodo che appartiene alla storia, invece che all’attualità, come quello

del sindacalismo militante.

Nel gennaio del 2004 si decide di concentrare la produzione della

Punto (che resta il modello più venduto e importante della gamma Fiat) a

Melfi, ma è un atto destinato ad aprire questioni più gravi di quante ne

risolva. Intanto perché la decisione aziendale getta un’ombra profonda

sulla sorte dello stabilimento di Mirafiori, contribuendo a irrobustire le

resistenze sindacali e a corroborare nelle sue posizioni la Fiom, sempre

più persuasa che il futuro di Torino finirà coll’assomigliare a una foresta

pietrificata dell’industria, con spazi enormi desertificati e abbandonati a

loro stessi da un sistema manifatturiero in rapida ritirata.

Melfi, a mezzo del decennio Novanta, era stata presentata come la

realtà che incorporava la capacità della Fiat di progettare insieme lavoro e

organizzazione. Melfi era il green-field industriale che si sostituiva ai

luoghi dell’industria dove la Fiat era cresciuta, era l’immagine del nuovo

Mezzogiorno dinamico, dove lo sviluppo industriale significava non

soltanto quantità ma anche qualità, qualità sociale per giunta.24

Tuttavia il ristagno e poi il vero e proprio declino del sistema aziendale

avevano finito col tradire le promesse di Melfi o almeno col

24 Berta G., “La Fiat dopo la Fiat, storia di una crisi. 2000-2005”, cit., p. 102

Page 164: WCM (World Class Manufacturing)

160

disattenderle, lasciando che si scavasse un divario fra i programmi

dichiarati e una condizione di fatto, in cui naufragavano le aspettative di

mobilità sociale nutrite dal modello della fabbrica integrata. Invece di una

sede di sperimentazione nella quale ibridare e mettere alla prova i

principi giapponesi della responsabilità sul lavoro, per fare di Melfi la

versione italiana di Toyota City, la routine gestionale l’avevano semmai

assimilata a Torino, ma a una Torino più povera, con salari, norme e

garanzie inferiori a quelli vigenti nel bacino storico della Fiat.

Preparata da un’azione rivendicativa che investe l’intero

comprensorio Fiat, a cominciare dalle fabbriche di componenti, il 19

aprile 2004 gli impianti lucani della Fiat si bloccano totalmente e così, a

cascata, dopo l’arresto dello stabilimento che costituisce il cuore

dell’auto, si fermerà tutta la produzione in Italia.

A lanciare l’agitazione sono la Fiom e i Cobas, cioè l’anima

radicale del sindacato, in aperto e violento conflitto con le altre

organizzazioni, la Uilm ma soprattutto la Fim-Cisl, che dei sindacati di

categoria è quello che si è speso di più per accreditare la strategia della

partecipazione. Ma la Fiom sa che la protesta trova un terreno fertile

nello scontento diffuso tra i lavoratori per le condizioni retributive e i

turni lavorativi. A Melfi si lavora di più che altrove nel sistema Fiat ed è

oneroso il meccanismo della «doppia battuta», che non intervalla

abbastanza le turnazioni più faticose, dal momento che molti lavoratori

giungono in fabbrica da lontano, dopo ore trascorse sui mezzi di

trasporto.

Nel 2004, la Fiom aveva quindi mosso il proprio attacco alla Fiat

con un’azione vasta e ben articolata. Fra il 16 e il 17 aprile aveva

sostenuto uno sciopero presso i fornitori della Fiat che aveva provocato

un arresto della produzione nello stabilimento Sata, imponendo, come si

Page 165: WCM (World Class Manufacturing)

161

dice nel gergo di fabbrica, la «messa in liberta» dei lavoratori. La mossa

seguente era stata il blocco totale della Sata e del suo comprensorio fra il

19 e il 29, mediante un picchettaggio duro ai cancelli che non s’era più

visto alla Fiat dall’ottobre dell’80. L’azione era sfociata in una progressiva

mancanza di componenti che aveva finito col paralizzare l’intera branca

italiana della Fiat Auto. Sotto l’urgenza di uno scontro che aveva effetti

dilaceranti, in un incontro a Roma con Fim, Uilm e Fismic, la Fiat aveva

accettato di andare verso il superamento della «doppia battuta». Ma

l’intesa sottoscritta il 24 aprile senza la Fiom sortì l’esito opposto a quello

sperato, acutizzò infatti la protesta della Fiom, esacerbando la

contrapposizione con le altre componenti sindacali, la Fim in primo

luogo. I picchetti si fecero ancora più duri, con lanci di sassi verso i

pullman che cercavano di portare i lavoratori in fabbrica e con scambi

d’accuse e minacce che spinsero i rappresentanti della Fim a denunciare

quelli della Fiom. La presenza della polizia, che si produsse in una carica

ai manifestanti, sembrò un salto all’indietro, in un clima antisindacale che

non sussisteva in Italia da decenni. Per la rimozione dei blocchi si

dovette attendere la fine del mese, di preciso la giornata del 29, senza

però che si interrompessero gli scioperi. La ripresa della produzione

avvenne gradualmente il 3 e il 4 maggio, mentre la trattativa si riaprì a

Roma il 5, alla presenza delle segreterie nazionali dei tre sindacati

metalmeccanici, per concludersi con la stipula di un accordo il 9.

La Fiat in un primo momento oscilla nei suoi atteggiamenti, per

qualche giorno sembra volersi tenere a una linea di intransigenza, ma in

seguito, si dirà su pressione delle banche creditrici che temono quella

sovraesposizione mediatica così negativa, sceglierà la via della soluzione

negoziale, in cui il meccanismo della «doppia battuta» veniva

ufficialmente revocato, con l’introduzione di una nuova distribuzione

Page 166: WCM (World Class Manufacturing)

162

delle ore di lavoro che permetteva turni non così stringenti come quelli

che erano stati all’origine della protesta e una congrua rivalutazione delle

paghe, che in prospettiva doveva portare al loro allineamento a quelle in

vigore presso gli stabilimenti più importanti, come Mirafiori.

Al termine della vertenza, sarà chiaro che non ci sarebbe poi

voluto molto per riuscire a evitarla. Sarebbe bastata una politica di

fabbrica meno burocratica e routinaria, più attenta, in modo da evitare

che si condensasse un denso involucro di malessere, sedimentato da un

eccessivo accorpamento di lavoratori tutti inquadrati allo stesso modo e

accomunati dai medesimi problemi.

Il ricordo dell’agitazione della primavera del 2004 che si è

depositata a Melfi, non si è affatto sopito e i contrasti precedenti non

appaiono metabolizzati dall’organizzazione di fabbrica né dalle

rappresentanze sindacali.

Il 18 settembre 2005, alle 22, era previsto nello stabilimento Sata,

l’avvio del turno aggiuntivo (il diciottesimo) sulla linea di produzione

della Grande Punto. Ma a Melfi quella sera, la linea non entra in funzione

e accadrà lo stesso nelle due domeniche successive, il 25 settembre e il 2

ottobre, quando uno sciopero organizzato unitariamente dalle tre

maggiori sigle sindacali, e appoggiato anche dalle altre, impedirà che si

attui il diciottesimo turno presentato in origine dal piano produttivo della

Fiat. Attorno alla questione dei diciotto turni riprende così un confronto

fra la direzione aziendale e i sindacati, che ripete un copione tanto

ricorrente da apparire scontato, da un lato, l’impresa ha l’intenzione di

assicurarsi la possibilità di effettuare quel turno (secondo lo schema dei

tre turni per sei giorni lavorativi) che, oltre a poter soddisfare una

domanda di mercato in crescita, garantirebbe l’economicità di gestione

dell’impianto. Dall’altro, la pressione per il turno della domenica sera si

Page 167: WCM (World Class Manufacturing)

163

scontra con una resistenza sindacale che è unitaria di facciata, ma

modulata nella sostanza, Fim, Uilm e Fismic (il sindacato di matrice

aziendale) sarebbero disposte a venire incontro all’azienda, permettendo

l’esecuzione del turno fino alla primavera, la Fiom, fedele alla sua linea di

intransigenza, parrebbe incline tutt’al più a lasciarlo effettuare fino a

gennaio.

L’episodio non rivestirebbe in sé un significato particolare, se non

si innestasse sul lungo stallo delle relazioni industriali. A Melfi il sistema

delle relazioni che lega l’impresa ai sindacati e ai lavoratori ha subito una

lacerazione che non sarà facile ricomporre. Difficile dire, infatti, chi

uscisse vincitore da quella prova di forza, le elezioni per le

rappresentanze sindacali doveva, sì, porre in evidenza un certo recupero

della Fiom, ma ottenuto a scapito dei Cobas, che perdevano oltre il 2 per

cento. L’organizzazione più penalizzata era in definitiva la Fim, quella

che aveva investito di più sia su un rapporto di concorrenza con la Fiom

sia sulla possibilità di dare un’impronta partecipativa alle relazioni

industriali. Per il resto, le variazioni non erano molte, la più rilevante era

costituita dall’incremento dell’1,5 per cento che era andato al sindacato di

destra, Ugl, sempre pronto a cavalcare la protesta sociale, specie nel

Mezzogiorno. Ma certo a perdere più di tutti era stata la Fiat, che aveva

assistito alla crisi del suo modello industriale proprio nella fabbrica

progettata, alla metà degli anni novanta, come una soluzione

organizzativa di tipo nuovo, capace di andare al di là delle vecchie

logiche di autorità del fordismo che avevano imperato a Mirafiori.

Quando anche i giorni della lotta saranno trascorsi, a Melfi

permarrà un indicatore, inquietante, del malessere che vi serpeggia, il

tasso di assenteismo più alto che negli altri stabilimenti italiani della Fiat

(imparagonabile, poi, a quello dell’impianto polacco), perfino più elevato

Page 168: WCM (World Class Manufacturing)

164

che a Pomigliano d’Arco, di cui a Torino ci si era più lamentati in

passato, perché considerata una fabbrica ostica dal punto di vista sociale.

Il fatto è che a Melfi si è fatta strada la delusione, delusi per primi i

lavoratori, o almeno quella parte di loro che ha giudicato tradite le

promesse di mobilità sociale diffuse al momento della nascita della Sata,

nei primi anni Novanta, quando si era compiuta una meticolosa selezione

del personale, poi inviato a Torino per un periodo di formazione presso

l’Isvor, la scuola interna della Fiat. Allora, l’idea dell’Unità tecnologica

elementare, Ute, era stata associata a un’immagine nuova e vincente del

lavoro industriale al Sud, come strumento, al contempo, di coesione

produttiva, di crescita professionale e di identità sociale. Una

rappresentazione che per funzionare avrebbe avuto bisogno di una

coerente e ininterrotta politica aziendale, volta a tener in vita l’obiettivo

della creazione di un’èlite industriale nel Mezzogiorno. Ma, il declino

della Fiat aveva comportato un progressivo oscuramento della qualità

della nuova forza-lavoro di Melfi, che si è trovata invece ad essere

livellata in una massa piuttosto grigia e omogenea, ben diversa da quel

nucleo industriale che avrebbe dovuto formare il punto di forza della

«fabbrica integrata» post-fordista. Una massa, per di più, che si è sentita

penalizzata, oltre che sotto il profilo retributivo e professionale, anche da

una disagevole condizione lavorativa, per la cattiva distribuzione dei

turni, per la distanza che spesso separa i lavoratori dalla localizzazione

dell’impianto e, infine, perché non piace a nessuno dover andare in

fabbrica la domenica sera, spezzando la pausa estiva.

Per giunta, lo sfasamento della vita interna della fabbrica, ormai

punteggiata da episodi di disaffezione, era stato fronteggiato per via

amministrativa, con la somministrazione di multe e provvedimenti

disciplinari che erano serviti soltanto ad acutizzare il malcontento.

Page 169: WCM (World Class Manufacturing)

165

È naturale che questa delusione o disaffezione si sia riversata sulla

componente sindacale che aveva creduto alla scommessa della «fabbrica

integrata» e aveva tentato di immedesimarsi, delineando una strategia

contrattuale non più centrata sul conflitto, ma tesa alla ricerca di spazi di

partecipazione. La Fim-Cisl, pur con incertezze e oscillazioni, aveva

impersonato quest’ultima più della Uilm o il Fismic, portatrici di un

sindacalismo moderato, piuttosto che per una convinzione maturata in

autonomia. Semmai, è proprio la Fiom a non rimanere delusa

dell’andamento di Melfi, perché vi ha trovato la riprova della via del

conflitto e di un rilancio dell’azione sindacale che faccia perno sul

ribaltamento dei rapporti di forza, invece che su un atteggiamento di

problem-solving dinanzi ai contrasti che si dischiudono continuamente

nella vita di fabbrica.

I dati di fonte aziendale ci dicono che il numero degli iscritti a un

sindacato è pari al 36,7 per cento del totale di operai, impiegati e quadri

attivi nelle strutture italiane del gruppo Fiat. Un lavoratore su tre,

dunque, esprime il proprio consenso a una forma di rappresentanza

sindacale attraverso la delega concessa all’azienda affinchè essa prelevi

dalla sua busta paga la quota mensile che verrà versata all’organizzazione

cui ha scelto di appartenere.

Non si sta più nel sindacato sull’onda di un entusiasmo collettivo

come quello che s’era divulgato nelle fabbriche al termine degli anni

Settanta. Ci si sta, magari per routine e senza una convinzione molto

salda, perché il sindacato resta uno strumento di tutela di cui è meglio

disporre, o perché, bene o male, offre pur sempre un servizio.

L’ipotesi di costruire nei decenni precedenti un sistema di relazioni

industriali in cui la fase negoziale e quella partecipativa si equilibrassero e

si compensassero non è andata in porto. Nessuna delle due parti aveva

Page 170: WCM (World Class Manufacturing)

166

saputo mettersi in gioco veramente. L’azienda e il sindacato avrebbero

dovuto rischiare di più, ma il timore era stato più forte della volontà di

trasformazione. Per avere vera partecipazione sono necessarie due

condizioni di base, un sindacato che nel suo insieme vi scommetta e

un’azienda che, dal responsabile delle relazioni industriali fino al

capofficina, ci creda. Entrambi questi presupposti sono mancati.

La Fiat ha sempre preferito avere un «sindacato subalterno», che

magari ogni tanto proclami uno sciopero ma che non entri mai nella

gestione dell’azienda e nelle sue scelte. E questo è proprio il contrario di

ciò che richiede la partecipazione.

Tuttavia, in una delle sue rarissime sortite pubbliche, l’ultimo

amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, dirà nell’ottobre

2005: «Apprezzo i leader sindacali».25 E per rincarare il valore delle sue

parole citerà esplicitamente i nomi dei segretari di Cgil, Cisl e Uil, stimati

per aver «condiviso con noi della Fiat strategie importanti».

«Considero il sindacato un nostro partner nello sviluppo del

gruppo, e non lo dico per avere la loro simpatia, ho lavorato soprattutto

all’estero, e in Francia o Germania un dialogo così aperto e intelligente

con le parti sociali se lo sognano».

L’estate del 2004 verrà così ricordata da molti dirigenti intermedi

Fiat come quella della grande epurazione. Marchionne, il nuovo

amministratore delegato di Fiat auto, porta una diversa idea di

organizzazione del lavoro e implementa i principi della fabbrica snella,

che portano ad un appiattimento della piramide del comando.

Appiattire la piramide significa ridurre la distanza tra chi decide e

chi produce. E in fabbriche gigantesche come Mirafiori quella distanza

25 Berta G., «La Fiat dopo la Fiat, storia di una crisi. 2000-2005», cit., p. 138

Page 171: WCM (World Class Manufacturing)

167

era spesso abissale. Si procede così ad uno sfoltimento di capi e figure

intermedie, contemporaneamente Marchionne cerca di rendere meno

grigi gli stabilimenti, c’è una logica ferrea in questa strategia, ridurre al

minimo il numero degli improduttivi e valorizzare chi lavora in linea e

dunque produce. Tuttavia, all’inizio del 2005 la qualità del lavoro nella

grande fabbrica non doveva essere migliorata in modo significativo, se il

70 per cento degli operai di Mirafiori, rispondendo a un questionario

della Fim, dichiara che non consiglierebbe al proprio figlio di lavorare in

Fiat.

Dopo il «divorzio consensuale» tra Fiat e Gm, le due aziende

sciolgono le joint venture ma continueranno a mantenere la

collaborazione industriale, almeno per un certo periodo.

Il divorzio di San Valentino, galvanizza il mondo Fiat. Non solo e

non tanto per il miliardo e mezzo di euro che entra nelle casse

dissanguate del Lingotto quanto per quella libertà e quell’orgoglio

ritrovati che Montezemolo sintetizza nella frase: “Da oggi la Fiat è tutta

italiana”.

Le organizzazioni sindacali aveva seguito le vicende della trattativa

con lo stato d’animo di chi sa che una vendita forzata con l’arrivo di Gm

avrebbe potuto significare la catastrofe. Dopo il divorzio dalla Gm e

liberata dal gioco delle banche convertendo, nell’autunno del 2005, la

Fiat deve dimostrare di saper fare da sola. I timori sulla chiusura di

Termini Imerese e di Mirafiori non si erano mai del tutto sopiti, mentre

su Termini Imerese i rischi sono legati ai problemi logistici dello

stabilimento siciliano, troppo piccolo per giustificare gli investimenti

necessari a produrre nuovi modelli, Mirafiori soffre della malattia

opposta, il gigantismo.

Page 172: WCM (World Class Manufacturing)

168

Nel 2006, il clima di collaborazione tra le parti produce i maggiori effetti

proprio a Torino, luogo storico del conflitto sociale del Novecento. Fin

dall’anno precedente è chiaro che per avere diritto a un futuro a Mirafiori

non può basarsi solo sulla produzione delle monovolume e dei modelli di

gamma alta. Ad aprile 2005 il Lingotto annuncia un paino di cassa

integrazione dovuta ai cali di mercato che coinvolge sia 5000 operai della

carrozzeria sia 1500 impiegati.

Tra i sindacati e gli osservatori si fa strada l’idea che senza grandi

volumi produttivi la fabbrica è destinata a una inesorabile agonia. Quel

che preoccupa Fiom, Fim, Uilm è che l’assenza di una produzione di

massa finisca per avere conseguenze negative anche sull’indotto,

costituito da medie e piccole aziende che nel Torinese lavorano per il

Lingotto.

Il primo passo per rendere competitiva Mirafiori è ridurla di

dimensioni. Il secondo è quello di portare una produzione di grandi

volumi. È su questi due punti che inizia una trattativa a tre, istituzioni

locali, Fiat, sindacati.

L’accordo viene firmato il 23 dicembre 2005 nella sede della

regione Piemonte, prevede appunto che gli enti locali torinesi

costituiscano, insieme alla Fiat una società per rilevare e gestire una fetta

di 300 000 metri quadri della fabbrica da utilizzare per insediare altre

aziende. Gli enti locali torinesi spendono circa 70 milioni di euro, in

cambio la Fiat promette di attrezzare una delle linee per produrre circa

80 000 Grande Punto all’anno che siano aggiuntive a quelle realizzate

nello stabilimento di Melfi. La festa per l’inizio della produzione della

Grande Punto a Mirafiori è uno dei momenti in cui il clima di

collaborazione tra Fiat e sindacati è più evidente.

Page 173: WCM (World Class Manufacturing)

169

La Fiat ha l’occasione di voltare davvero pagina quando l’amministratore

delegato incontra a Palazzo Chigi i rappresentanti di governo e sindacati.

Marchionne porta con sé un dossier di venticinque pagine contenente il

piano industriale 2007-2010.

Per la prima volta il piano mette nero su bianco i problemi di

Termini Imerese. La fabbrica che eredita Marchionne intorno al 2005

risente già del ridimensionamento decretato gli anni precedenti.

Nel 2005 le aziende dell’indotto vengono pesantemente ridotte e si

stabilisce che le parti per assemblare la Ypsilon, il modello Lancia

prodotto nello stabilimento siciliano, arriveranno dal polo della fornitura

della piana di San Nicola, l’area industriale che circonda lo stabilimento

lucano di Melfi. Si deve aggiungere a questo particolare il fatto che a

Termini non c’è mai stato un reparto presse. Tutto congiura, insomma,

verso la chiusura. Le pari della Ypsilon, compresi i pezzi di lamiera già

stampati, arrivano dalla Basilicata e dagli altri stabilimenti italiani della

fornitura. Raggiungono Termini, vengono assemblati, diventano

automobile e in grandissima parte ripartono dalla Sicilia verso i

concessionari sparsi lungo lo Stivale. Un viaggio di andata e ritorno che

influisce pesantemente sui costi di produzione. Se si aggiunge che quei

costi si distribuiscono un numero limitato di automobili, meno di 100

000 all’anno, è difficile dar torto a chi ritiene che quella sia una realtà

industriale economicamente insostenibile.

Avendo promesso che «nessuno stabilimento italiano verrà

chiuso», Marchionne deve ora trovare una soluzione per rendere

economica la produzione in Sicilia.

Gli incontri tra azienda, sindacati e istituzioni iniziano in giugno a

Palermo e proseguono fino a novembre. Si segue un principio base, per

vivere, Termini deve diventare più grande, perché solo con i grandi

Page 174: WCM (World Class Manufacturing)

170

volumi produttivi si giustificherà il ritorno nell’isola delle aziende della

fornitura, che non sopravvivono su piccole commesse. Poi si tratterà di

realizzare un reparto presse.

Il 25 gennaio, a Siena, Luca Cordero di Montezemolo interviene

come presidente di Confindustria a un convegno di imprenditori, e dice

che quel che gran parte dell’Italia pensa: «Mentre gli imprenditori siciliani

combattono contro il pizzo, il governatore della Sicilia viene condannato

a cinque anni di reclusione e decide di restare al suo posto». Salvatore

Cuffaro era stato condannato per rivelazione di segreto d’ufficio e

favoreggiamento nei confronti di alcuni esponenti di famiglie mafiose.

Il giorno dopo la dura dichiarazione di Montezemolo, Cuffaro si

dimette non senza essersi rifiutato di approvare il provvedimento che

avrebbe sbloccato i finanziamenti per Termini. Qualcuno vede in questo

gesto una ritorsione per le dichiarazioni del presidente della Fiat.

Si chiude così di fatto la possibilità di rilanciare lo stabilimento di

Termini Imerese che sembra oramai nei piani della Fiat, aver perso il

treno. Il lancio della 500 segna l’ultima tappa della rinascita del Lingotto

a cui si somma quella della nuova Bravo.

È l’anno 2007, quando, nonostante un ripresa del metodo

concertativo (il Protocollo su «previdenza, lavoro e competitività» segna

la ripresa insoddisfacente del metodo concertativo.26 La nuova

compagine governativa di centro-sinistra dichiara, nel proprio

programma elettorale, la volontà di far riprendere corso alla

concertazione per acquisire il consenso sociale indispensabile per la

realizzazione degli obiettivi urgenti e difficili. In realtà i primi passi della

nuova concertazione sono avvenuti su un terreno alquanto accidentato,

26 Del Giudice F., Mariani F. «Compendio di diritto sindacale», cit., p. 149

Page 175: WCM (World Class Manufacturing)

171

non essendo stata agevole la mediazione tra sindacati e parte

imprenditoriale, ed hanno messo in evidenza il permanere delle

problematiche che sin dalle origini hanno riguardato il metodo

concertativo, quest’ultimo presuppone che la parte sindacale che firma

sia forte e radicale, in modo da non veder poi ripudiato quanto da essa

convenuto), l’amministratore delegato spiega che tra le ragioni che

avevano consentito alla Fiat una ripresa così rapida era la difesa di un

modello di relazioni sindacali basate sul dialogo e sul confronto. Questo,

del resto era stato uno degli ingredienti che a Torino aveva consentito la

sopravvivenza di uno stabilimento come Mirafiori. Marchionne teorizza

pubblicamente quel modello: «In Fiat abbiamo ottenuto risultati

importanti sulla via del dialogo. Dopo dieci anni, e senza un’ora di

sciopero che è caso più unico che raro in Italia, è stato rinnovato il

contratto integrativo aziendale. Dopo dieci anni sono stati assunti in

fabbrica i primi giovani, in cambio di turni straordinari di lavoro.

Abbiamo siglato un importante accordo con le istituzioni locali per la

riqualificazione di Mirafiori. I risultati raggiunti da Fiat dimostrano che

trasformazioni simili sono possibili anche in un paese con una forte

coscienza sindacale e con quello che la maggior parte dei commentatori

anglosassoni chiamerebbe “struttura del lavoro poco flessibile”.

In seguito al resoconto fatto da Marchionne sullo stato di salute

della Fiat, il 4 dicembre 2007, il Lingotto annuncia l’avvio dell’operazione

Pomigliano. La fabbrica napoletana che produce i modelli dell’Alfa

Romeo non è evidentemente in grado di tenere il ritmo degli altri

stabilimenti italiani e anche i finanziamenti pubblici per

l’ammodernamento concessi negli anni precedenti non sembrano aver

sortito l’effetto sperato, o comunque non sembrano essere stati utilizzati

in maniera in modo efficace per raggiungere l’obiettivo. Il problema non

Page 176: WCM (World Class Manufacturing)

172

dichiarato da nessuno, ma da tutte le parti sussurrato con certezza, è che

la fabbrica napoletana fosse in parte fuori controllo. O, se si preferisce,

in parte influenzata dai poteri delle stesse organizzazioni criminali che

spadroneggiano nel territorio circostante. Il Lingotto annuncia così la

chiusura dello stabilimento per due mesi, dal 7 gennaio al 2 marzo 2008,

decide l’investimento di 70 milioni per «riorganizzare il processo

produttivo secondo i principi del World Class Manufacturing» e

promette un vasto piano di formazione per tutti i dipendenti.

Il piano prevedeva che oltre ai modelli dell’Alfa venisse realizzata

anche la Bravo, una produzione trasferita da Cassino, dove intanto

venivano preparate le linee della nuova Lancia Delta. «In prospettiva,

dice Marchionne, Pomigliano e Cassino diventeranno un unico polo

produttivo».

L’annuncio del piano di ristrutturazione viene accolto con favore

dai sindacati. «Una proposta innovativa, una sfida per tutti» commenta il

leader della Cisl, Raffaele Bonanni. Si dice soddisfatto il segretario della

Uil, Luigi Angeletti. Ma soprattutto è buono il giudizio di Gianni

Rinaldini, segretario generale della Fiom «Il piano è una sfida positiva

che, in quanto tale, deve coinvolgere le strutture sindacali». L’unica

eccezione è rappresentata dai Cobas, che indicono due ore di sciopero

contro la «serrata toyotista» di Marchionne. Le posizioni dei sindacati in

questa fase sono importanti perché è proprio nella gestione

dell’operazione Pomigliano del 2008 che cominciano a intravedersi i

germi del futuro scontro sull’accordo del 2010. È evidente infatti che

l’operazione di restyling della fabbrica presenta problemi a livello locale

sia per i sindacati sia per la Fiat.

Page 177: WCM (World Class Manufacturing)

173

I problemi sindacali sono legati a una presenza dei Cobas

particolarmente combattiva, che mette la Cgil nella condizione di dover

far da cuscinetto tra gli altri sindacati confederali.

La sera del 3 dicembre, prima dell’annuncio pubblico, Sergio

Marchionne aveva illustrato il piano per Pomigliano a Guglielmo Epifani,

Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, i tre segretari generali di Cgil, Cisl e

Uil. Un passaggio necessario ma anche un segno di rispetto dell’Ad del

Lingotto nei confronti dei sindacati. La questione, di cui non è certo

responsabile Marchionne ma che è nei fatti, è che, come si vedrà,

Epifani, a differenza dei suoi colleghi, non ha la forza di imporre ai suoi

metalmeccanici una linea diversa da quella scelta dalla Fiom. E questa

difficoltà sarà all’origine degli scontri successivi a Pomigliano.

Il rovescio della medaglia è in casa Fiat dove si manifestano, per la

prima volta, segnali di un evidente conflitto tra vecchio e nuovo che

esploderanno anch’essi nello scontro del 2010. Perché un conto è far

nascere «la nuova Fiat» negli spot pubblicitari, un altro è applicarla nella

realtà delle fabbriche, dove gran parte dei capi intermedi oppone

resistenza passiva perché più a suo agio nella vecchia logica dello scontro

che nella nuova della collaborazione.

Così, all’inizio di gennaio, i corsi di formazione partono sotto i

peggiori auspici. In fabbrica si presenta un buon numero di sorveglianti

che controlla lo svolgimento delle lezioni. Questo fatto, in evidente

violazione degli accordi, diventa l’occasione per una serie di scioperi e

cortei interni che, di fatto, bloccano i corsi. La Fiat reagisce con sette

lettere di licenziamento. Tutti i sindacati le giudicano una «inaccettabile

forzatura». Da Torino arriva l’ordine di evitare lo scontro, il 17 febbraio

la Fiat incontra i sindacati all’Unione industriale di Napoli e annuncia il

ritiro delle lettere di licenziamento. I sette lavoratori verranno retribuiti

Page 178: WCM (World Class Manufacturing)

174

anche per i giorni che hanno trascorso fuori dallo stabilimento in seguito

ai provvedimenti di sospensione.

La tempesta si placa perché nessuno dei protagonisti ha interesse,

nel momento più delicato della riconversione di Pomigliano, a forzare i

toni. E forse perché ciascuno vuole provare a credere fino in fondo alla

possibilità che la ristrutturazione dello stabilimento coincida con il

superamento delle vecchie logiche dello scontro di fabbrica. Che,

insomma, la «nuova Fiat» possa davvero esistere anche sul piano delle

relazioni sindacali. Ma per ambedue i fronti il conflitto è solo rimandato

di due anni.

Il piano di sviluppo 2007-2010 si fondava su una domanda

tendenzialmente in crescita in cui la Fiat riusciva a consolidare e

migliorare la sua quota del 30 per cento del mercato italiano e tentava di

avvicinarsi al 10 per cento di quello europeo. Il crollo dei consumi

tuttavia toglie la sedia su cui poggiava questo progetto e torna a mettere a

rischio l’occupazione degli stabilimenti italiani. Per il momento la

risposta della Fiat è un massiccio ricorso alla cassa integrazione che, a

cavallo delle vacanze di Natale, coinvolge circa 48 000 dipendenti italiani

lasciandoli a casa per un mese. Quel che sarebbe necessario, dicono i

sindacati durante uno sciopero, è un intervento del governo italiano a

sostegno del settore.

Il governo italiano, invece, non particolarmente incline ad

accogliere le istanze di Torino, sceglie la strada dell’astensione

trincerandosi dietro i sacri principi del liberismo che francesi e tedeschi

stanno calpestando per salvare le loro industrie nazionali.

Bloccata quindi la strada di un piano europeo per l’auto che metta

tutti sullo stesso piano, la Fiat tenta di far fronte alla crisi agendo su due

fronti. Quello interno dell’organizzazione del lavoro e quello esterno

Page 179: WCM (World Class Manufacturing)

175

delle alleanze. I due aspetti sono strettamente legati, all’inizio di dicembre

Marchionne dichiara che «in futuro rimarranno solo cinque, sei

costruttori e per far fronte alla crisi è necessario allearsi, perché

l’indipendenza non è più sostenibile». Ma se l’alleanza non è possibile

realizzarla nell’Europa del welfare, evidentemente occorre cercarla fuori

dal vecchio continente, dove le regole della competizione e

dell’organizzazione del lavoro sono diverse.

4.2. Affare Chrysler e tentativi di acquisizione della Opel

È il novembre del 2008 quando sull’altra sponda dell’Atlantico la crisi si

stava mangiando il mercato dell’Auto colpendo particolarmente i

costruttori americani. Le tre case di Detroit (Chrysler, Gm e Ford)

chiedono all’amministrazione Obama 25 miliardi di dollari per non

morire27. La crisi divampa in un momento delicato. Il presidente eletto,

Barack Obama, non è ancora in carica mentre il suo predecessore,

George Bush, lascerà il comando il 31 dicembre. Si verifica così negli

ultimi giorni del 2008 un autentico paradosso della storia. Dopo

settimane di braccio di ferro, con il Senato che rifiuta di approvare il

piano da 25 miliardi chiesto dalle case americane, tocca proprio al

repubblicano George Bush autorizzare il prestito ponte di denaro

pubblico che dà a Chrysler e Gm il respiro necessario per salvarsi. Ford

ha già fatto orgogliosamente sapere che non ha bisogno di aiuti pubblici.

Il prestito concesso da Bush e approvato da Obama non è a costo

zero, le due case automobilistiche si impegnano entro il 30 marzo a

presentare un piano di rientro e di ritorno alla profittabilità. Dunque

27 Griseri P. «La Fiat di Marchionne. Da Torino a Detroit», Einadi, Torino, 2012, p. 137

Page 180: WCM (World Class Manufacturing)

176

Chrysler ha ora tre mesi di tempo per trovare una soluzione che le

consenta di uscire dalla strada stretta che conduce al fallimento. E per

dare un futuro alle decine di migliaia di dipendenti che lavorano negli

stabilimenti di Detroit e dintorni, dove la chiusura significa la

disoccupazione immediata.

Nel primo pomeriggio del 20 gennaio, il Lingotto diffonde un

comunicato intitolato «Fiat Group, Chrysler Llc e Cerberus Capital

management Lp» annunciando un’alleanza strategica globale. È la

conferma alle voci che circolavano da qualche settimana

sull’interessamento di Torino per la moribonda casa automobilistica

americana. Cerberus è il fondo di investimento che nel 2007 ha rilevato il

pacchetto di azioni Chrysler precedentemente posseduto dai Tedeschi di

Daimler-Mercedes.

La lettera prevede che la Fiat dia a Chrysler l’accesso alle

piattaforme e alle tecnologie in grado di realizzare automobili a basso

impatto ambientale e a integrare la gamma dei prodotti della casa

americana. Inoltre gli italiani concedono a Chrysler di utilizzare la loro

rete di concessionari, soprattutto in Sudamerica e in Europa dove e più

capillare il loro insediamento. In cambio Fiat otterrebbe il 35 per cento

delle azioni Chrysler senza alcun esborso economico.

In realtà i primi contatti tra Fiat e Chrysler risalivano all’estate del

2008. Nei primi sette mesi dell’anno la piccola di Detroit cominciava ad

avvertire gli effetti della grave crisi del mercato. Si provò a ricorrere ai

ripari intervenendo su due fronti, quelle delle alleanze industriali per

integrare la gamma con modelli medio piccoli a basso consumo e quello

dei tagli di organico. Sul piano delle alleanze era stato costruito un solido

rapporto con la Nissan. In questa logica erano nati i primi contatti anche

con Torino, perché uno degli obiettivi di Marchionne era quello di

Page 181: WCM (World Class Manufacturing)

177

valorizzare il marchio Alfa riportandolo sul mercato americano dopo

decenni di assenza.

Tuttavia, più trascorrono i mesi più l’aggravarsi della crisi rende

urgenti misure drastiche. In due anni Chrysler ha già tagliato 33 000 posti

di lavoro su 100 000, entro un mese dovevano lasciare gli uffici 5000

impiegati. I vertici ella società studiano possibili fusioni. Si ipotizza

addirittura la nascita di un unico gruppo con Gm. Una scelta che avrebbe

conseguenze sociali catastrofiche per le evidenti sovrapposizioni tra le

due società, si brucerebbero istantaneamente 400 000 posti di lavoro.

È in questo quadro drammatico che nasce l’idea dell’alleanza

globale fra Torino e Detroit. Agli occhi della Chrysler la Fiat ha le

caratteristiche non dissimili dai Giapponesi della Nissan, già da tempo

alleati con i Francesi della Renault.

L’idea dell’alleanza con gli Italiani incontra incoraggiamenti e

diffidenze oltreoceano. Ma la situazione è talmente grave da rendere

superfluo il dibattito tutto ideologico sull’opportunità di mettere

un’azienda americana in mani straniere. I veri ostacoli verranno semmai

da un trattativa dura tra la Fiat, il Tesoro Usa e i sindacati americani. E

sovente saranno proprio i sindacati a trovarsi nell’angolo. Nasce in quei

giorni l’idea che per ristrutturare, per tornare all’utile, è necessario

smantellare buon parte delle conquiste sindacali degli anni precedenti.

Una scelta giustificata in Chrysler con il rischio di fallimento ma che

verrà riproposta da Marchionne in Italia successivamente. Alcuni punti

significativi dell’accordo che verrà stretto all’inizio del 2009 con il

sindacato Usa si ritroveranno dodici mesi dopo nella contestata

accordistica che in Italia andrà sotto il nome di «contratto di

Pomigliano».

Page 182: WCM (World Class Manufacturing)

178

Si passa così «dalla cultura dei diritti a quella della povertà», fin dal 2007

c’era un accordo che istituiva il doppio salario, i nuovi assunti venivano

pagati 14 dollari l’ora, esattamente la metà dei 28 dollari della paga base

prevista dagli accordi. Per evitare che i 14 dollari diventassero la nuova

paga per tutti, l’accordo prevedeva che il salario dimezzato fosse

corrisposto a non più del 12 per cento dei dipendenti. In questo modo

man mano che andavano in pensione i più anziani, i più giovani li

sostituivano nella paga piena. In sindacato concede a Marchionne di

alzare la percentuale di lavoratori con la paga dimezzata. Ma questa

misura non è considerata sufficiente dal manager di Torino, che chiede al

sindacato altri sacrifici per ridurre ulteriormente il costo del lavoro. La

trattativa entra in una fase di stallo al punto che si pensa alla cessione di

Chrysler alla Gm con le inevitabili conseguenze sociali , un taglio di 40

000 posti di lavoro. Tocca agli uomini di Obama avanzare la proposta

che porterà all’accordo con Marchionne e che farà discutere anche in

Italia, il sindacato si impegna a non chiedere aumenti delle paghe per due

anni, fino a tutto il 2011 e, soprattutto, a non scioperare fino a tutto il

2015. Al termine degli incontri, l’accordo viene firmato e il

capodelegazione della fiat si alza sul tavolo porgendo la mano al

capodelegazione del Uaw che non fa altrettanto e rifiuta la stretta.

Diventerà d’attualità anche in Italia la frase del negoziatore di Obama alla

Fiat «Avete appena cancellato un secolo di contrattazione collettiva»,

punti dell’accordo di Detroit che, dodici mesi dopo, la Fiat inizierà a

imporre in Italia a partire da Pomigliano.

La trattativa di Marchionne non finisce con l’accordo in Usa,

perché Chrysler possiede stabilimenti anche in Canada. Qui però il

manager di Torino gioca in casa, avendo vissuto a Toronto

dell’adolescenza fino agli anni Duemila. L’accordo si trova sulla stessa

Page 183: WCM (World Class Manufacturing)

179

falsariga di quello americano. Al termine della trattativa Obama elogia il

sacrificio dei lavoratori che hanno accettato di ridurre la propria

retribuzione. In quel momento Torino avrà così conquistato il 51 per

cento della casa di Detroit.

Non si sono ancora spenti i riflettori sulla nuova alleanza

americana che Marchionne procede con l’operazione Opel, un sogno che

nemmeno Marchionne sulla cresta dell’onda del 2009 riuscirà a

trasformare in realtà. In Germania i sindacati vedono con diffidenza

l’arrivo di Marchionne perché temono tagli e chiusure di stabilimenti.

Nonostante le rassicurazioni dell’Ad, si capirà soltanto nelle settimane

successive che nei piani di Marchionne c’è la chiusura dello stabilimento

berga di Anversa.

La Germania, a differenza di quanto farà l’Italia nei mesi successivi,

condiziona l’assenso del governo e vincola le scelte di Marchionne a

precisi parametri per difendere gli interessi dei lavoratori tedeschi.

Il manager del Lingotto rispetta i vincoli imposti dal governo di Berlino e

chiede in cambio un finanziamento pubblico di 5-7 miliardi a garanzia

dei debiti ereditati dalla precedente gestione di Opel. Indiscrezioni

lasciano capire che, al termine della trattativa, Fiat sarebbe disposta a

mettere sul piatto un miliardo di euro.

I sindacati tedeschi alzano invece un fuoco di sbarramento, il piano di

Marchionne creerebbe grandi problemi alla Fiat. Secondo un sindacalista

tedesco la Fiat non poteva entrare nella Opel solo per risolvere i suoi

problemi usufruendo delle garanzie statali.

Improvvisamente nella trattativa in cui si discute di un’azienda tedesca

sull’orlo del fallimento la discussione vira sui problemi della Fiat, come

se fossero i Tedeschi a fare un favore agli acquirenti italiani.

Page 184: WCM (World Class Manufacturing)

180

«Non ci può essere nessun tentennamento, noi difenderemo tutti gli

stabilimenti italiani», risponde il leader della Cgil, Guglielmo Epifani. «la

Fiat sta meglio di Chrysler e Opel, non si vede perché debba essere

sacrificata», replica il leader della Uilm, Luigi Angeletti.

Preoccupazioni e timori che perderanno presto di attualità perché nella

notte tra il 28 e 29 maggio Sergio Marchionne si conclude

traumaticamente.

In sostanza Berlino aveva chiesto a Torino un finanziamento immediato

al buio per tamponare la falla dei disastrosi bilanci della Opel, senza che

si conoscesse la reale entità del deficit. Nel frattempo il governo tedesco

avrebbe studiato un prestito ponte da concedere alla stessa Opel per

evitare il fallimento in attesa dell’arrivo di una nuova proprietà. A queste

condizioni Marchionne preferisce lasciare. La lezione tedesca per

Marchionne è stata dura. Ha insegnato al manager di Torino che non è

facile trattare quando si ha di fronte un governo che mette al primo

posto la difesa degli insediamenti produttivi e dei posti di lavoro,

variabile indipendente negli Stati Uniti ma non nella vecchia Europa di

tradizione socialdemocratica. Gli ha anche insegnato che uno non smette

mai di portarsi dietro la propria carta d’identità, «I Tedeschi non mi

hanno dato Opel perché ero italiano», dirà due anni dopo l’Ad.

Lo smacco tedesco rischia di avere ripercussioni di immagini anche in

America, incominciano a chiedersi in quei giorni se la Fiat abbia la

solidità necessaria per salvare la Chrysler, la stessa domanda che era

riecheggiata sulla stampa tedesca riferita alla Opel.

Deluso dalla campagna tedesca, Marchionne troverà soddisfazione nei

risultati americani. Ora la battaglia principale si sposta nuovamente in

Europa e in particolare in Italia.

Page 185: WCM (World Class Manufacturing)

181

Molti, infatti, cominciano a chiedersi quali saranno le sorti degli

stabilimenti italiani. Il «Progetto Fenice», presentato da Marchionne

prevedeva la chiusura di due stabilimenti, uno al Nord e uno al Sud. Il

Lingotto smentisce seccamente ma i sindacati italiani chiedono

chiarimenti. L’incontro tra Marchionne, le parti sociali e il governo si

svolge il 18 giugno 2009. Se anche il «Progetto Fenice», fosse un piano

del tutto inesistente , un fondo di verità lo conterebbe comunque, perché

effettivamente, in fondo alla prima pagina del comunicato ufficiale, il

Lingotto annuncia la chiusura di Termini Imerese il 31 dicembre 2011.

L’idea di realizzare nello stabilimento siciliano produzioni diverse da

quella automobilistica, sembra più un escamotage per addolcire la pillola

che una possibilità reale.

L’annuncio della chiusura provoca scioperi e proteste a Termini, dove

vengono bloccate le linee e viene occupata l’autostrada Messina-Palermo.

Sono i primi giorni di una battaglia che non non raggiungerà l’obiettivo

di far cambiare idea a Marchionne, ma solo di trovare un’alternativa

produttiva, a partire dal 2012, non prova di punti interrogativi.

Quello che l’amministratore delegato del Lingotto presenta a Palazzo

Chigi nel giugno 2009 è un programma-ponte in attesa dell’annuncio dei

progetti per il quinquennio 2010-2014 che verrà fatto nell’aprile del 2010.

Già nel giugno del 2009 Marchionne chiede un rigoroso contenimento

dei costi di struttura e la possibilità di rispondere con tempestività alle

richieste di mercato. Questo non richiede solo il rispetto della normativa

sulla flessibilità ma significa anche essere consapevoli che azioni di

conflitto immotivate portano solo danni perché non fanno altro che

regalare occasioni d’oro alla concorrenza. Passaggio importante alla luce

dello scontro che si scatenerà dodici mesi dopo proprio sulla questione

dello sciopero.

Page 186: WCM (World Class Manufacturing)

182

Per il momento comunque lo scontro sullo sciopero è ancora

un’eventualità lontana. La Fiat cerca di far fronte alla crisi con altri

mezzi. Soprattutto chiedendo al governo italiano e anche all’Europa di

tamponare la situazione con nuovi incentivi all’acquisto di auto.

I sindacati e le forze politiche chiedono di conoscere nell’immediato

quale sarà il futuro degli insediamenti italiani. Ma il Lingotto è restio a

fornire indicazioni mentre ancora si stanno studiando le sinergie

possibili. Dunque, il 22 dicembre 2009, all’incontro di palazzo Chigi con

governo e parti sociali, Marchionne arriva con il progetto produttivo

2010-2011, un antipasto del piano quinquennale che verrà invece

illustrato il 21 aprile successivo. Nel piano di dicembre la Fiat conferma

la chiusura della produzione automobilistica a Termini Imerese al 31

dicembre 2011.

La vera novità del piano di dicembre è la scelta di portare a Pomigliano la

produzione della nuova Panda, questa scelta sembra andare nella

direzione di riequilibrare i paesi tra Italia ed estero, che porteranno ad

una radicale trasformazione delle relazioni sindacali per rinegoziare

l’accordo sia a livello nazionale che locale.

Rimane invece insoluto il problema degli stabilimenti dove si realizzano i

modelli della gamma medio alta. Non tanto Cassino, che con la

produzione di Bravo, Delta, Croma e in un prossimo futuro Giulietta,

sembra comunque aver garantito un pacchetto di modelli in grado di

mantenere l’equilibrio della fabbrica, quanto Mirafiori. La produzione

della Grande Punto, giunta grazie alle pressioni per salvare il futuro dello

stabilimento, è stata una breve fiammata durata alcuni mesi. Poi la linea è

stata utilizzata per produrre la Punto Classic. Nel 2010 il resto della

gamma dello stabilimento è costituito da modelli che stanno per andare

in pensione, la Multipla, la Thesis e l’Alfa 166, le due piccole

Page 187: WCM (World Class Manufacturing)

183

monovolume Idea e Musa. Le aspettative per il futuro sono legate

principalmente alle vendite dell’Alfa Mito, l’ultima arrivata. Ma è difficile

pensare che uno stabilimento di 5000 persone come Mirafiori

Carrozzeria possa reggersi sulla sola produzione della Mito. Per questo i

sindacati sono preoccupati e temono che, rimanendo questo il mix

produttivo, siano a rischio tra i 2000 e 2500 posti nello stabilimento

torinese. Ipotesi che il Lingotto smentisce seccamente con un

comunicato ufficiale.

Il giorno della verità è il 21 aprile 2010, quando al Lingotto Sergio

Marchionne disegna le strategie del gruppo fino a tutto il 2014. Ognuno

dei quattro stabilimenti italiani di produzione automobilistica,

confermata la chiusura di Termini Imerese, raggiungerà secondo il piano

industriale, la sua massima capacità produttiva. A Mirafiori l’arrivo di

nuovi modelli dei segmenti B e C (utilitarie e medie) dovrebbe portare a

un aumento di 100 000 auto all’anno, praticamente il raddoppio della

produzione. A Cassino i volumi produttivi saranno addirittura

quadruplicati rispetto al livello molto basso del 2009. Nello stabilimento

laziale verranno prodotti i modelli del segmento medio alto dei marchi

Lancia, Alfa e Fiat. Pomigliano produrrà 250 000 Panda all’anno mentre

Melfi si confermerà lo stabilimento principale tra quelli italiani. Come si

vede dallo schema, già nel piano di Fabbrica Italia la fabbrica di Mirafiori

è quella che ha la missione meno definita o, se si vuole, più dipendente

dai cambiamenti anche marginali del mercato.

Sul piano della finanza Marchionne annuncia all’Investor Day la

decisione di scindere il business in due diverse società, Fiat Spa, che

continuerà ad occuparsi di automobili e Fiat Industrial dove verranno

concentrate le attività di produzione dei camion (Iveco) e delle macchine

agricole e movimento a terra (Cnh).

Page 188: WCM (World Class Manufacturing)

184

4.3. Le Vertenze di “Pomigliano” e “Mirafiori”

Quando Marchionne parla all’Investor Day, la trattativa sindacale per la

produzione della Panda a Pomigliano è già in corso da tempo28. Si

procede su un sentiero con molte difficoltà. La Fiat chiede una modifica

sostanziale delle regole. Propone diciotto turni di lavoro settimanali, il

mancato pagamento del primo giorno di malattia in caso di assenteismo

elevato, la possibilità per l’azienda di comandare fino a 120 ore annue di

straordinario senza aprire una trattativa e l’impegno dei sindacati a non

proclamare scioperi su materie già regolate dall’accordo. Inoltre l’azienda

chiede la riduzione delle pause da 40 a 30 minuti e lo spostamento a fine

turno della mezz’ora di mensa. Nella prima fase della trattativa si trova il

modo di aggirare il nodo dei 18 turni. Bisogna infatti evitare che chi

inizia a lavorare il sabato notte finisca la domenica e non abbia più

l’intervallo di non-lavoro previsto al contratto per poter riprendere con

un turno diverso nella settimana successiva . Si decide così di spostare il

diciottesimo turno del sabato alla domenica sera. Rimangono invece i

punti più critici, la malattia non pagata e l’impegno dei sindacati a non

scioperare. Questioni sulla quale la Fiat chiede una deroga al contratto

nazionale. Sulla possibilità di derogare al contratto i sindacati si erano già

divisi l’anno precedente. La strada delle deroghe era infatti stata

introdotta con il contratto dei metalmeccanici del 2009, che seguiva di

un solo anno il precedente contratto unitario firmato da tutti nel 2008 e

approvato negli stabilimenti. In base al nuovo regime, la struttura della

contrattazione è articolata su due livelli, il contratto collettivo nazionale,

28 Griseri P., «La Fiat di Marchionne. Da Torino a Detroit», cit., p. 171

Page 189: WCM (World Class Manufacturing)

185

con la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e

normativi per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel

territorio nazionale. In particolare, il contratto collettivo nazionale di

lavoro di categoria definisce le modalità e gli ambiti di applicazione della

contrattazione di secondo livello.

Vi è poi la contrattazione di secondo livello (territoriale o aziendale)

stipulato per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto

nazionale o dalla legge e deve riguardare materie ed istituti che non siano

già stati negoziati in altri livelli di contrattazione. È previsto che la

contrattazione territoriale può anche derogare in via temporanea sui

singoli istituti economici e normativi disciplinati dai contratti nazionali

(cd. clausole di uscita). L’efficacia della deroga è però subordinata ad una

esplicita previsione da parte del contratto collettivo nazionale.

La deroga al contratto è comunque ammessa per far fronte, direttamente

nel territorio o in azienda, a situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo

economico ed occupazionale. L’efficacia delle intese è comunque

subordinata alla preventiva approvazione delle parti stipulanti i contratti

collettivi nazionali di lavoro della categoria interessata.

Uno degli obiettivi dell’accordo è stato proprio quello di valorizzare la

contrattazione collettiva di secondo livello, territoriale o aziendale, quale

strumento di ripresa della crescita della produttività e quindi delle

retribuzioni reali.

La concertazione sociale è ormai fuori scena e le relazioni tra governo e

parti sociali sono improntate a dinamiche diverse che non sembrano

seguire uno schema prestabilito. Non si tratta di un «Protocollo», cioè un

patto triangolare che trova come parti firmatarie Governo e parti sociali

ma di un «vero e proprio accordo interconfederale» il Governo non ha

partecipato alle trattative ma ha sottoscritto l’Accordo unicamente nella

Page 190: WCM (World Class Manufacturing)

186

veste di datore di lavoro pubblico. Costituisce un «accordo separato», dal

momento che è stato sottoscritto dalla Cisl e dalla Uil senza la Cgil. La

mancata sottoscrizione della Cgil incrina definitivamente la prospettiva

dell’unità d’azione sindacale ed apre una difficile fase nel sistema delle

relazioni industriali. Questo quindi rappresenta un fatto di rilievo, oltre

che sul piano delle relazioni sindacali, con la prospettiva di scenari

inquietanti (Accornero) e di una fase di anarchia conflittuale (Mariucci),

ma anche sotto il profilo delle conseguenze di ordine tecnico-giuridico.

Sotto quest’ultimo aspetto, la problematica che si pone è quella di

un’eventuale regolamentazione negoziale non unitaria e, in sostanza,

della sussistenza, in riferimento ad una stessa categoria, di diversi

contratti collettivi.

La Fiom non potendo in ogni caso riconoscere deroghe al contratto del

2008 senza sconfessare la sua scelta di non firmare quello del 2009,

sostiene che «non c’è alcun bisogno di derogare ai contratti, alle leggi e ai

diritti per garantire il massimo utilizzo degli impianti. Come sostiene

Landini «siamo disponibili a cercare con l’azienda tutte le strade per

garantire la necessaria flessibilità senza modificare le regole».

Nella prima parte della vertenza il Lingotto sembra orientato a evitare un

accordo separato a Pomigliano per due motivi, il primo è quello di

evitare di escludere dal governo della fabbrica il sindacato più grande, il

secondo è direttamente legato al primo, l’obiettivo di Marchionne è

quello di far funzionare le linee senza interruzioni legati a

microconflittualità. Per questo la Fiat pretende dai sindacati l’impegno a

non avallare gli scioperi spontanei proclamati dai delegati su questioni

regolate dagli accordi.

Quella che appare una richiesta di buon senso nasconde però una

mancanza di fiducia che sarà all’origine degli scontri successivi. Perché è

Page 191: WCM (World Class Manufacturing)

187

evidente che gli impegni più solidi sono quelli non scritti sulla carta ma

praticati concretamente.

Per questo dunque la Fiat, nella prima fase, non vuole accordi separati,

non solo per non infilarsi negli scontri tra organizzazioni sindacali ma

anche perché sa che, se un grande sindacato sta fuori dall’accordo,

l’obiettivo principale, la pace sindacale sulle linee, è già saltato.

Sul versante opposto, la Fiom pensa che l’Ad del Lingotto non entrerà in

rotta di collisione con il sindacato più rappresentativo del gruppo

scatenando un conflitto interno dagli effetti sicuramente negativi sulla

produzione.

C’è un retroscena che può spiegare l’accelerazione decisa dell’Ad, quando

Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil va sul palcoscenico e

dice «Pomigliano non ha alternative. Servono sviluppo, investimenti e

occupazione». Molti leggono in quel passaggio il segnale di un’apertura

della Cgil rispetto al no secco della Fiom. La Cgil è quindi in clamorosa

rotta di collisione con la Fiom.

La Fiom, quel giorno, ha già rifiutato di firmare l’accordo sottoscritto

dagli altri sindacati e ha sostenuto le ragioni del no pur non dando

un’indicazione di voto esplicita «perché non chiediamo ai lavoratori di

fare gli eroi».

Secondo questa versione, Marchionne si sarebbe deciso ad accettare

l’idea del referendum quando qualcuno del vertice Cgil aveva garantito

che alla fine anche la Fiom avrebbe accettato l’esito della consultazione.

Annunciato il referendum però la stessa Fiom aveva dichiarato che non

lo considerava legittimo «non si può chiedere ai lavoratori di votare con

la pistola puntata alla testa». Deve essere stato dopo questi avvenimenti

che, in una notte di aprile, l’Ad del Lingotto aveva deciso che era venuto

il momento di aprire uno scontro duro con la stessa Fiom.

Page 192: WCM (World Class Manufacturing)

188

Scelta la strada, in quelle settimane tutto si svolge secondo un copione

collaudato. E non per caso in quei giorni si ripetono le stesse scene della

battaglia dell’80 ai cancelli di Mirafiori. Il 19 giugno parte il corteo dei

lavoratori del sì che attraversa Pomigliano chiedendo lavoro. Il

referendum si svolge con i Cobas che accolgono i lavoratori del sì al

grido di «servi del padrone». Il 22 giugno alla consultazione partecipa il

95 per cento dei dipendenti, un livello alto e prevedibile perché non

arrecarsi alle urne significa annunciare all’azienda la propria posizione

non favorevole all’accordo. Ma qual che sorprende è il risultato, in u’aria

socialmente depressa, con una grande fame di lavoro, il sì supera di poco

il 62 per cento e il no raggiunge il 36.

Il voto dice che a Pomigliano più di un terzo dei lavoratori, ben oltre la

somma degli iscritti di Fiom e Cobas, è contrario alla proposta della Fiat

al punto da avversarla nell’urla. Considerando che una parte del sì non è

un voto dettato dalla convinzione ma dalla necessità, Marchionne può

misurare quanto risicata sia l’adesione convinta al suo progetto.

L’amministratore delegato sa che il quadro è tutt’altro che rassicurante.

Dopo il voto di Pomigliano infatti inizierà una vera battaglia tra Fiat e

Fiom destinata a caratterizzare l’estate e i mesi successivi.

Come garantire la governabilità delle fabbriche, cioè come impedire che

la Fiom diventi un ostacolo in azienda quando i metalmeccanici della

Cgil rappresentano il punto di vista di circa un terzo dei dipendenti

rimane un problema non semplice da risolvere.

Il voto di Pomigliano ha dimostrato che, a differenza di quanto accade in

America, il numero di iscritti a un sindacato non coincide con il suo

consenso. Tradizionalmente in Fiat la percentuale dei dipendenti

sindacalizzati è relativamente bassa, ma la capacità dei sindacati di

orientare l’opinione dei dipendenti è molto superiore. Dunque il lavoro

Page 193: WCM (World Class Manufacturing)

189

per eliminare l’ostacolo Fiom è più arduo di quel che appare. Nell’estate

2010 il Lingotto preme su Federmeccanica perché l’associazione degli

industriali metalmeccanici trovi un sistema di deroghe al contratto

nazionale di lavoro che consenta di risolvere il problema. Lavoro lungo

che si rileverà infruttuoso dal momento che non si possono cambiare in

corso d’opera le leggi e anche gli accordi firmati nei decenni tra

Confindustria e Cgil, Cisl e Uil. Questi accordi terranno sempre in

fabbrica la Fiom perché la Cgil è firmataria con Confindustria

dell’accordo interconfederale del 1993 che istituisce i delegati con le

rappresentanze sindacali unitarie. Solo a fine settembre, mentre

Federmeccanica alza le braccia in segno di resa, nasce nei colloqui dal

Lingotto e il Fismic l’idea della newco, se la Fiat crea a Pomigliano una

nuova società che non si associa a Confindustria, quella società non sarà

obbligata a rispettare gli accordi presi dall’associazione degli imprenditori

con i sindacati confederali. In quel caso varranno nella newco solo le

leggi sul lavoro italiane. In particolare varrà l’articolo 19 dello Statuto dei

lavoratori, quella che affida la rappresentanza in azienda ai sindacati

firmatari dei contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva.

Nella versione originaria, quella modificata da un referendum nel giugno

1995, la rappresentanza era garantita anche alle confederazioni

maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Ma quel punto venne

abrogato al termine di una campagna referendaria in cui da sinistra si

voleva ridurre il monopolio della Cgil, Cisl e Uil. Così, per paradosso,

l’abrogazione di un articolo fatta per allargare la rappresentanza in

fabbrica finiva per ridurla ai soli sindacati firmatari di accordi con

l’azienda. Un’arma potentissima in mano agli imprenditori per scegliersi

gli interlocutori sindacali. E anche una mutazione genetica, con quella

modifica i delegati in fabbrica non rappresentano più il punto di vista di

Page 194: WCM (World Class Manufacturing)

190

chi lavora ma l’opinione di chi firma e dunque l’opinione di chi ritiene

ragionevoli o comunque non contrastabili le proposte aziendali.

Dall’estate 2010 in poi, man mano che lo scontro con la Fiom si fa più

duro, il Fismic andrà assumendo un peso sempre maggiore tra i sindacati

del fronte del sì. Per poter applicare alla newco di Pomigliano l’articolo

19 dello Statuto dei lavoratori che esclude la Fiom bisogna però aspettare

il 1 gennaio 2012, perché fino al giorno prima è in vigore il contratto

nazionale dei metalmeccanici firmato anche dalla Fiom nel 2008. Un

ostacolo che si supererà facendo uscire la newco da Confindustria e

firmando nel dicembre 2010 un nuovo contratto tra Fiat e sindacati

favorevoli che ha valenza di contratto nazionale.

La campagna per garantire la governabilità degli stabilimenti coincide con

una serie di provvedimenti disciplinari che colpiscono delegati della

Fiom.

Il caso più clamoroso è quello di Melfi. Nella principale fabbrica italiana

del gruppo Fiat, la notte del 7 luglio 2010 tre operai vengono accusati

dall’azienda di aver bloccato un carrello trasportatore durante uno

sciopero. In questo modo avrebbero impedito di lavorare anche a chi

non aderiva alla fermata, che non aveva più il materiale per proseguire la

produzione. I tre sono iscritti alla Fiom e vengono licenziati dall’azienda

con l’accusa di aver interrotto la produzione. Negli stessi giorni a Torino

un altro delegato della Fiom un impiegato viene licenziato perché

avrebbe spedito con il computer aziendale una mail in cui un sindacato

polacco solidarizzava con i tre licenziati di Melfi.

A Melfi i tre licenziati vincono un primo ricorso di fronte al giudice, che

ordina immediatamente il loro reintegro sul posto di lavoro in base

all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ma quando i tre operai si

presentano all’ingresso della fabbrica, l’azienda si rifiuta di rimetterli a

Page 195: WCM (World Class Manufacturing)

191

lavorare e accompagna i due delegati nella saletta sindacale, non potendo

impedire che svolgano il loro compito di rappresentanti dei lavoratori.

Nei mesi successivi, mentre i tre operai rimangono a casa pagati

dall’azienda, va in scena un drammatico appello di secondo grado. Può

capitare di vedere in aula sindacalisti come il leader del Fismic,

testimoniare contro i lavoratori e a favore dell’azienda. Il secondo

processo si conclude il 25 luglio 2011 con la vittoria della Fiat, il giudice

giudica legittimo il licenziamento. Nel febbraio 2012 però il processo di

appello darà nuovamente torto al Lingotto imponendo il reintegro dei tre

licenziati. La Fiat reagirà con un telegramma in cui annuncia che, pur

pagandoli come impone il giudice, non intende avvalersi della loro

attività lavorativa. Le parti attendono ora il giudizio della Cassazione. La

Fiom ha già annunciato che in caso di annullamento definitivo del

licenziamento chiederà i danni morali.

Lo scontro duro contro la Fiom e soprattutto la vicenda di Melfi

intaccano l’immagine di Marchionne nell’opinione pubblica. Perché se è

normale che azienda e sindacato entrino in rotta di collisione, non è

normale che a farne le spese siano i singoli lavoratori.

Il manager di Torino illustra la sua filosofia «è finito il tempo in cui le

relazioni industriali si devono basare sul conflitto tra operai e padroni».

La nuova occasione per sperimentare quella filosofia è a Mirafiori, fin

dall’estate si rincorrono le voci sulla possibile nascita di una joint venture

tra Fiate Chrysler per la produzione di Suv nello stabilimento torinese.

La joint venture, naturalmente, sarebbe una nuova società e come tale

potrebbe diventare anch’essa una newco con caratteristiche simili a

quella di Pomigliano, fuori da Confindustria e dai contratti nazionali dei

metalmeccanici con un accordo che escluda dalla possibilità di essere

presenti in fabbrica quei sindacati che non firmano l’intesa. Per lunghe

Page 196: WCM (World Class Manufacturing)

192

settimane l’ipotesi rimane tale. Un nuovo referendum a Mirafiori con la

nascita di una newco anche a Torino metterebbe in difficoltà gli stessi

sindacati che hanno detto «sì» a Pomigliano. Impostazione contestata dai

sindacati contrari (Fiom e Cobas), secondo i quali invece ciò che si stava

sperimentando a Pomigliano sarebbe stato successivamente applicato in

tutto l’universo Fiat e avrebbe dunque cambiato in modo radicale le

stesse relazioni industriali italiane. L’idea di un nuovo accordo a Mirafiori

sembra confermare in pieno quest’ultima analisi.

Alla prima riunione tra azienda e sindacati la trattativa viene inaugurata

da un discorso di Marchionne, un intervento che per qualche giorno

lascia immaginare una nuova svolta, un ritorno a relazioni industriali

meno conflittuali. Discorso di ampio respiro dopo le risse di Pomigliano

e Melfi. La partenza è buona, tutti i sindacati, Fiom compresa,

apprezzano. Addirittura l’organizzazione di Landini avanza un’apertura

sulla possibilità di creare una newco per gli impianti di Mirafiori, «non

siamo contro le newco, dice il responsabile auto Giorgio Airaudo, siamo

contro le newco che vengono pensate per ridurre i diritti ed escludere un

sindacato, qualsiasi esso sia». Posizione che, in breve tempo, provocherà

una spaccatura all’interno della Fiom con gli altri esponenti sindacali

della stessa, contrari a contrattare su un argomento come quello della

newco di cui la Fiom ha sempre respinto il modello.

La tregua dura pochi giorni, nella proposta di accordo che la Fiat illustra

alla prima riunione con i sindacati non ci sono sostanziali differenze sui

punti che a Pomigliano avevano creato divisione, per quanto riguarda le

assenze per malattia, diritto di sciopero e pause. C’è una proposta nuova

dell’azienda che prevede la possibilità di turni di 10 ore per quattro giorni

di lavoro su sette. Un’idea che non incontra il favore dei sindacati, anche

dei firmatari dell’accordo di Pomigliano.

Page 197: WCM (World Class Manufacturing)

193

Il 29 novembre, quando la trattativa entra nel vivo, il sindacato di

Landini si presenta con una proposta sul tema più controverso, quella

«clausola di responsabilità» che limita il diritto di sciopero ai soli

argomenti che non siano già stati regolati dal contratto aziendale. «Se il

problema è quello di ridurre la microconflittualità, dice la Fiom, si può

risolvere introducendo una norma per raffreddare i conflitti. Prima di

proclamare uno sciopero sindacato e azienda si impegnano a provare a

risolvere il problema che ha generato lo scontro.

«Siamo disponibili a trattare su tutto, dice il nuovo segretario generale

della Cgil, Susanna Camusso, ma non è possibile accettare deroghe al

contratto nazionale». Anche Cisl e Uil parlano di «una trattativa

incamminata sul binario giusto». L’unica organizzazione che chiede

esplicitamente di riprodurre il contratto fatto in Campania è il Fismic

«chiediamo che a Mirafiori nasca una società identica a quella di

Pomigliano». Le proposte della Fiom vengono rapidamente archiviate.

La delegazione della Fiat non accetta nemmeno di metterle in

discussione e ripropone il suo impianto originario. All’inizio di dicembre

è ormai chiaro che si va verso un nuovo accordo separato e una

sostanziale replica di Pomigliano. Ma per arrivarci bisogna superare

anche le resistenze di Fim e Uilm che non accettano l’idea di un nuovo

stabilimento fuori dal contratto nazionale e da Confindustria. Il manager

del Lingotto si lamenta perché Federmeccanica non accetta tutte le

proposte della Fiat in deroga ai contratti nazionali e minaccia di uscire da

Confindustria, ciò che effettivamente avverrà dodici mesi dopo.

Lo scontro tra Fiat e sindacati su Mirafiori e quello tra Fiat e

Confindustria vanno di pari passo. La notte del 4 dicembre è ancora il

Fismic ad annunciare per primo che senza un accordo su Mirafiori,

l’azienda non fa investimento. Il 10 dicembre l’ultimatum di Sergio

Page 198: WCM (World Class Manufacturing)

194

Marchionne è la puntuale conferma «Vogliamo una società senza il

contratto dei metalmeccanici, altrimenti non investiremo». La Fiom

blocca il paese, la drammatizzazione serve a spingere verso l’accordo

separato, quest’ultimo arriva alla vigilia di Natale.

Il rappresentante della Uilm parla di «accordo importante che garantisce

il lavoro a Mirafiori», quello della Fim fornisce una versione più

problematica «abbiamo accettato di lasciare Mirafiori fuori dal contratto

nazionale ma contiamo di farla rientrare presto». Molto soddisfatto il

Fismic «un accordo storico che modifica le relazioni industriali in Italia».

L’ultimo a pronunciarsi è il rappresentante della Fiom, che non ha

firmato «è stato accettato un accordo vergognoso, costruito per escludere

alla fabbrica il sindacato che più dà fastidio». Per la prima volta dal 1945

la Cgil non avrà rappresentanti nel più grande stabilimento

automobilistico d’Europa. Il clima di tensione fra i sindacati diventa

fortissimo nelle due settimane che precedono il referendum del 14

gennaio 2011 ancora una volta i dipendenti sono costretti a scegliere se

perdere il lavoro o accettare l’accordo voluto dall’azienda. La Fiom si

trova per questo in una situazione difficile avendo giudicato illegittimo il

referendum di Pomigliano, proprio perché i dipendenti non erano liberi

di votare contro senza perdere il lavoro, non può certo giudicare

legittima la consultazione di Torino che ha le medesime caratteristiche.

Ma non può nemmeno stare alla finestra e non partecipare alla battaglia

referendaria. Nascono così in azienda spontanei comitati per il «no»

organizzati dai lavoratori, ai quali il sindacato di Landini dà il suo

appoggio. Nelle giornate e nelle ore che precedono il voto, la tensione

crea non pochi incidenti. Davanti ai cancelli di Mirafiori gruppi di

sostenitori del no bruciano le bandiere della Fim, accusata di aver scelto

di stare con l’azienda.

Page 199: WCM (World Class Manufacturing)

195

All’alba del 15 gennaio il sì prevale per 400 voti. Ma nelle linee, tra gli

operai il sì prevale per 9 voti. La sostanza è che il sì prevale grazie ai

colletti bianchi, cioè quella parte dei dipendenti che non sono toccati

dagli aspetti più controversi dell’accordo, come le pause, la mensa e i

turni di lavoro. Un’analisi mette in evidenzia che il no è più forte là dove

il lavoro è più vincolato al ritmo della catena. Al montaggio il no

raggiunge il 53 per cento e prevale, con una percentuale leggermente

inferiore, anche in lastratura. Il sì vince invece tra gli impiegati, in

verniciatura e tra gli addetti dei turni di notte, un lavoro più faticoso ma

considerato un privilegio, per via della paga più alta, accordato spesso a

chi ha buoni rapporti con le gerarchie aziendali.

Il 70 per cento di coloro che hanno votato sì lo ha fatto perché l’accordo

è necessario e meno del 10 per cento perché lo considera un accordo

positivo. Quasi 80 per cento dei no ha votato contro perché si è sentito

ricattato. Solo il 64 per cento degli iscritti ai sindacati firmatari ha

coerentemente votato sì mentre più dell’80 per cento degli iscritti della

Fiom e ai Cobas ha votato no. Il risultato finale, 54 per cento sì e 46 per

cento no, consegna al Lingotto una fabbrica sostanzialmente spaccata in

due in cui chi dovrebbe sopportare maggiormente il peso del cambio di

regole è contrario. Un quadro sicuramente peggiore di quello uscito dalle

urne di Pomigliano. L’amministratore delegato conferma che in caso di

sconfitta avrebbe rinunciato all’investimento a Mirafiori. E chiarisce

«certo non mi sarei seduto a rinegoziare con il sindacato, perché questo

contratto c’è già a Pomigliano e non si possono avere due sistemi diversi

nella stessa azienda». Marchionne annuncia quindi la volontà di tirare

dritto senza esitazione.

Lo scontro si trasferisce nelle aule di tribunale dove la Fiom ha trascinato

l’azienda di Marchionne per comportamento antisindacale, che in base a

Page 200: WCM (World Class Manufacturing)

196

una interpretazione contestata dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori,

tiene fuori i metalmeccanici della Cgil dalla rappresentanza in fabbrica.

La sentenza sarà la base dei pochi tentativi successivi di trovare una

mediazione al conflitto tra Marchionne e Landini. Contrariamente a

quanto sostenevano i legali della Fiom, infatti il giudice dà ragione alla

Fiat valutando legittimo il contestato accordo di Pomigliano. Ma dà torto

all’azienda sulla interpretazione dell’articolo 19 dello Statuto dei

lavoratori, condannando la Fiat a ripristinare la rappresentanza in

fabbrica della Fiom. Implicito è in questo caso lo scambio, la Fiom

rinunci a contrastare in fabbrica gli accordi che non condivide e che sono

però stati approvati dalla maggioranza dei lavoratori. La Fiat rinunci a

pretendere la firma dell’accordo come requisito per riconoscere la

rappresentanza in fabbrica dei delegati della Fiom.

Per i metalmeccanici della Cgil non è questione solo una questione di

principio. L’esclusione della fabbrica comporta pesanti conseguenze sul

piano pratico ed economico, senza delegati che possano liberamente

svolgere attività tra le postazioni sulle linee, l’organizzazione di Landini

rischia di perdere perso, perché dopo un periodo di adesione militante i

lavoratori si rivolgeranno ai delegati che ci sono e che possono mediare

con i capi, cioè i delegati delle altre organizzazioni. Negli stessi mesi nelle

forze politiche di sinistra c’è chi propone una legge che ripristini la

vecchia formula dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, quella

precedente alla modifica referendaria. In quel modo, essendo la Fiom-

Cgil una delle organizzazioni maggiormente rappresentative sul piano

nazionale, non potrebbe essere espulsa dagli stabilimenti della Fiat. Ma

anche queste proposte rimangono sulla carta. I partiti di centrosinistra

temono infatti che aprire una discussione sulla modifica dell’articolo 18

della stessa legge, quello che impedisce i licenziamenti individuali senza

Page 201: WCM (World Class Manufacturing)

197

una giusta causa. Articolo che le aziende e lo stesso Marchionne

vorrebbero abolire. Va in questa stessa direzione l’articolo 8 della

manovra finanziaria scritto dal ministro Sacconi, che include tra le

materie su cui i sindacati in azienda possono derogare i contratti

nazionali e le leggi dello Stato anche il punto dei licenziamenti.

La disciplina poi in materia di contrattazione collettiva contenuta

nell’Accordo quadro del 2009 è stata integrata, a pochi anni di distanza,

da un successivo accordo che, nuovamente, la partecipazione delle sole

associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro (senza il Governo).

L’accordo interconfederale del 28 Giugno 2011, siglato tra Confindustria,

Cgil, Cisl e Uil, ha la finalità di realizzare un «sistema di relazioni

industriali che crei condizioni di competitività e produttività tali da

rafforzare il sistema produttivo, l’occupazione e le retribuzioni».29

L’Accordo, intervenuto dopo una fase di profonda lacerazione tra le

Confederazioni, vede la sottoscrizione unanime delle stesse (questa volta

siglato anche dalla Cgil) e costituisce un atto di portata «storica»,

considerato che esso non solo pone regole certe con riguardo ai soggetti,

ai livelli, ai tempi e ai contenuti della contrattazione collettiva, ma

perviene anche al risultato impensato di definire le regole in materia di

rappresentatività delle organizzazioni sindacali dei lavoratori.

Il presupposto dell’Accordo è rappresentato:

- da un lato, per le Confederazioni sindacali, dalla necessità di porre

rimedio alle conseguenze delle divisioni interne, che esponevano la

contrattazione collettiva al rischio di accordi separati (la componente

della Cgil, la Fiom, non aveva aderito al rinnovo del Ccnl del settore

29 Del Giudice F., Mariani F., «Compendio di diritto sindacale», cit., p. 152

Page 202: WCM (World Class Manufacturing)

198

metalmeccanico e non aveva sottoscritto alcuni contratti collettivi

aziendali nel medesimo settore).

- dall’altro, per la Confindustria, dall’intento di prevenire il recesso di una

delle sue principali associate, l’azienda Fiat, a seguito dell’incertezza

venutasi a creare dagli accordi separati, aveva manifestato, a giugno 2011,

la volontà di «uscire da Confindustria», cosa di fatto poi avvenuta, la

ragione di una decisione clamorosa è nella scelta di Confindustria, Cgil,

Cisl e Uil di impegnarsi a non applicare quella parte dell’articolo 8 della

manovra Sacconi che consente di derogare alla legge sui licenziamenti.

L’impegno era stato preso il 21 settembre, nel momento in cui la Cgil

aveva formalmente firmato il protocollo di giugno. Questo atto, spiega

Marchionne nella lettera a Marcegaglia «rischia quindi di snaturare

l’impianto previsto dalla nuova legge e di limitare fortemente la

flessibilità gestionale».

L’Accordo interconfederale segna un notevole passo in avanti rispetto

alla possibilità di effettuare, mediante contrattazione decentrata, intese

derogatorie. Il principio fondamentale è, tuttavia, che la possibilità di

deroga da parte del contratto collettivo aziendale deve comunque

esplicarsi nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti

collettivi nazionali di lavoro.

L’accordo definisce, poi, una disciplina transitoria, finalizzata a rendere

possibile la stipulazione delle intese aziendali nell’immediato, cioè anche

prima che il contratto collettivo nazionale definisca i limiti e le procedure

delle stesse. In particolare, potranno essere stipulati accordi in deroga

rispetto alle determinazioni del contratto collettivo nazionale, aventi la

finalità di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti

significativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale

dell’impresa. Le deroghe potranno riguardare la prestazione lavorativa,

Page 203: WCM (World Class Manufacturing)

199

gli orari e l’organizzazione del lavoro. Tale intese avranno efficacia

generale, così si applicheranno a tutto il personale dell’azienda e

vincolano tutte le associazioni sindacali presenti nell’azienda, che

aderiscono alle Confederazioni firmatarie dell’accordo interconfederale

di riforma (sindacati di categoria aderenti a Cgil, Cisl e Uil). L’efficacia

erga omnes del contratto aziendale è limitata, tuttavia, alla sola parte

normativa (comprendente anche gli aspetti economici) e non si estende

anche alla cd. parte obbligatoria, cioè alle disposizioni che disciplinano i

rapporti tra sindacati e datore di lavoro.

A tal proposito, sono stati individuati dei criteri oggettivi per rendere il

contratto collettivo aziendale efficace erga omnes, cioè nei confronti di

tutti i lavoratori dell’impresa. I criteri in questione, differenziati a seconda

della presenza nel contesto aziendale di Rsu o di Rsa, sono i seguenti:

- nel caso in cui a livello aziendale vi siano Rsu, il contratto aziendale

deve essere approvato dalla maggioranza dei componenti della Rsu

presente in azienda. Una volta approvato, esso diviene vincolante per

tutti i lavoratori, anche per quelli non iscritti ai sindacati stipulanti o

comunque dissenzienti.

- nel caso in cui a livello aziendale vi siano Rsa, è necessaria

l’approvazione delle Rsa costituite nell’ambito delle associazioni sindacali

che, singolarmente o insieme ad altre, risultino destinatarie della

maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai

lavoratori dell’azienda nell’anno precedente a quello in cui avviene la

stipulazione. Il contratto collettivo aziendale stipulato dalle Rsa può

essere, poi, sottoposto a referendum. In caso di voto favorevole a

maggioranza semplice, il contratto aziendale è definitivamente

approvato, in caso di voto negativo espresso dalla maggioranza semplice

dei votanti, il testo contrattuale si intende respinto.

Page 204: WCM (World Class Manufacturing)

200

A pochi mesi quindi dal succitato Accordo, la manovra correttiva 2011,

disciplina, all’articolo 8, la «contrattazione di prossimità», con l’effetto di

aumentare notevolmente il potere regolativo e dispositivo della

contrattazione aziendale e territoriale. L’effetto è quello di uno strappo

nelle relazioni tra Governo e parti sociali, che genera nuovi tensioni tra le

Confederazioni Cgil, Cisl e Uil. La disciplina dell’art. 8 della manovra

correttiva si sovrappone infatti a quella dell’accordo interconfederale,

tanto da essere percepita come un’invasione del legislatore politico in

ambito tradizionalmente appannaggio dell’autonomia sindacale (la

contrattazione collettiva e il rapporto tra contratto collettivo nazionale e

contratto decentrato).

Il provvedimento, in effetti, mette al centro del sistema della

negoziazione tra sindacati e controparte datoriale il contratto territoriale

o aziendale, a cui è riconosciuta ampia potestà di regolamentazione, cioè

di concludere intese «alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti

di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, agli

incrementi di competitività e salario, alla gestione delle crisi aziendali e

occupazionali». Tale intese stipulate a livello aziendale possono derogare

anche le disposizioni di legge e le regolamentazioni contenute nei

contratti collettivi nazionali di lavoro, avendo come unico limite il

rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative

comunitarie.

Anche se formalmente si fa riferimento a quanto convenuto nell’accordo

interconfederale del 28 Giugno 2011, i soggetti collettivi che possono

stipulare i contratti di livello aziendale o territoriale possono essere anche

totalmente scollegati dai sindacati firmatari del contratto collettivo

nazionale. Le intese così stipulate hanno carattere vincolante per tutti i

lavoratori interessati se sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario.

Page 205: WCM (World Class Manufacturing)

201

Successivamente le parti firmatarie dell’accordo hanno ratificato

l’accordo stesso dichiarando che le «materie delle relazioni industriali e

della contrattazione collettiva sono affidate alle autonome determinazioni

delle parti». Di conseguenza le parti sociali hanno formalmente assunto

l’impegno che le proprie strutture, a tutti i livelli, si attengono a quanto

concordato nell’accordo stesso.

La predisposizione della legge di riforma determina il definitivo

abbandono del metodo della concertazione sociale.

Infatti, anche se inizialmente le trattative vedono un forte

coinvolgimento delle parti sociali, la difficoltà per il raggiungimento di

una posizione comune e la netta opposizione della Cgil soprattutto sulle

proposte di modifica concernenti i licenziamenti economici, portano il

Governo a dichiarare formalmente concluso il metodo della

concertazione sociale. Il metodo seguito è conforme al modello del

dialogo sociale, che vede come primario e unico interlocutore del

Governo il Parlamento. I sindacati sono informati e consultati, ma il

Governo afferma che «a nessuno è riconosciuto un potere di veto», cioè

di condizionare unilateralmente il risultato finale. Di conseguenza l’esito

delle trattative non è la sottoscrizione di un accordo triangolare, tipico

della concertazione sociale, bensì un verbale in cui si limita a dar conto

delle posizioni delle parti sociali.

Dopo l’Accordo interconfederale, tuttavia, le preoccupazioni della Fiat in

Italia sono di altro genere. Il 29 novembre inizia a Torino la trattativa per

estendere il modello Pomigliano a tutti gli 86 000 dipendenti italiani di

Fiat e Fiat Industrial. Giunge così a compimento il progetto avviato nel

giugno 2010 in Campania. L’inizio della trattativa è caratterizzato da

tensioni all’esterno della sede dell’Unione Industriale. Di conseguenza la

Fiom abbandona il tavolo perché non è stato consentito l’ingresso di una

Page 206: WCM (World Class Manufacturing)

202

parte della sua delegazione. Si riprende nei giorni successivi a ranghi

completi.

L’acursi poi della crisi finanziaria che ha investito l’area dell’euro, a

partire dal 2011, determina il rapido deterioramento della posizione

dell’Italia, il cui debito pubblico raggiunge livelli elevatissimi.

Le trattative per il «decreto Salva Italia», determinano una nuova

divaricazione nell’ambito delle tre Confederazioni sindacali, Cgil, Cisl e

Uil, soprattutto in merito al tema più delicato della tutela conto i

licenziamenti illegittimi. La riforma, mantenendo intatta la tutela contro i

licenziamenti discriminatori ed in parte quelli disciplinari, interviene sui

licenziamenti per motivi economici, sostituendo, la tutela dell’art. 18

dello Statuto dei Lavoratori, cioè la reintegrazione, con un mero

risarcimento economico. A tale riguardo, comunque, prima dell’avvio del

provvedimento per l’ordinario iter parlamentare, si è giunti ad un testo

più equilibrato, con il ripristino della possibilità di reintegro, anche se in

casi limitati (cioè solo quando il giudice accerti la manifesta infondatezza

dei motivi addotti dall’azienda).

La spaccatura avviene proprio sul disegno di riforma dell’art. 18,

giudicato in prima battuta pacatamente dalla Cisl e Uil e, in senso,

diametralmente opposto, come un modo per addivenire a licenziamenti

più facili, dalla Cgil.

Nonostante la difficile situazione in cui si trova l’Italia, le parti hanno

avviato una negoziazione il 6 luglio 2012, volto a rinnovare il contratto

del 2011 per il triennio 2013-15, firmato solo da FIM-CISL e UILM-

UIL.

Page 207: WCM (World Class Manufacturing)

203

4.4. Verso quale direzione sindacale? Conflittualità o

partecipazione?

In una fabbrica governata con il World Class Manufacturing, introdotto

nel 2005, la risorsa più preziosa è il lavoro. I confini delle conoscenze e

delle abilità dei lavoratori sono differenti rispetto alla produzione di

massa o a quella artigianale, rendendo più complessa la rappresentanza

dei lavoratori e, allo stesso tempo, l’organizzazione dell’intera struttura

sindacale. Nonostante i lavori e le mansioni siano strettamente definiti,

nella fabbrica lean i lavoratori si spostano da una mansione all’altra

secondo il principio della rotazione, spesso da un lavoro all’altro,

acquisendo sempre nuove competenze e abilità e lavorando secondo la

logica del problem-solving. In questo modo, l’acquisizione e la diffusione

delle conoscenze tra i lavoratori ricompongono molte delle tradizionali

divisioni, ad esempio, tra i lavoratori addetti alla produzione e lavoratori

specializzati, oppure tra lavoratori, ingegneri e manager. Vi è così sempre

di più la spinta verso forme di «sindacalismo d’impresa», il sindacato

deve essere aziendale e collaborativo. È un modello organizzativo che

per funzionare ha bisogno di un cambio di ruolo dei sindacati, in azienda

entrano solo quelli disponibili a condividere le finalità d’impresa per non

interferire con la partecipazione in via gerarchica dei lavoratori. Essa è

presidiata dalla clausola di responsabilità e dalla limitazione del diritto di

sciopero, perché nei sistemi di produzione integrati imposti dal “just in

time” la lotta anche di un numero piccolo di lavoratori può provocare

gravi blocchi produttivi. Del resto, è esattamente questa la vulnerabilità

del sistema, i sindacati dissenzienti sono esclusi.

All’interno del sindacalismo, sembrano quindi prevalere due

opposte linee d’azione, quella di una linea d’azione partecipativa e

Page 208: WCM (World Class Manufacturing)

204

cooperativa e quella conflittuale. Si può osservare che la linea d’azione

seguita dalla Cisl e Uil è impiantata sulla cooperazione nell’impresa, sul

dialogo con l’azione governativa. Prendendo, invece, ad emblema la

strenua difesa dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, si può dire che la

linea d’azione della Cgil, e soprattutto della sua componente più radicale,

la Fiom, è quella della difesa dei diritti della classe lavoratrice, considerati

un patrimonio acquisito e non negoziabile.

In tale contesto, sembra quindi superata l’idea stessa di un’unità

sindacale in termini di unità di linea d’azione, è stato infatti osservato che

non esiste un modello giusto, in assoluto, ma che invece si debba pensare

alla linea più adeguata in termini dinamici, valutando volta per volta la

strategia da porre in essere in base al comportamento della controparte.

Allo stesso tempo, numerosi sono gli studiosi che, riflettendo sulla

crescente necessità di tutela dei lavoratori nell’epoca della competizione

globale, ritengono ancora proficua la ricerca dell’unità sindacale come

unica strada affinchè il sindacato continui a svolgerla funzione di

promozione dello sviluppo economico e sociale del Paese.

Quale che sia la strada che sarà intrapresa, è certo che la rottura

dell’unità sindacale fa emergere problematiche del tutto nuove,

considerato che la prassi delle relazioni industriali nel nostro Paese è stata

a lungo caratterizzata dall’unità sindacale di fatto.

Page 209: WCM (World Class Manufacturing)

205

Page 210: WCM (World Class Manufacturing)

206

Capitolo 5

L’impatto del World Class Manufacturing in termini

di partecipazione sul sistema aziendale sulle

relazioni industriali e sui lavoratori

5.1 Premessa

Dopo aver esaminato nei capitoli precedenti le trasformazioni legate

all’introduzione di nuove forme di organizzazione del lavoro e della

produzione, partendo dall’organizzazione scientifica del lavoro (Taylor)

fino ad arrivare alla sperimentazione del WCM all’interno del gruppo

Fiat, la nostra attenzione è stata rivolta all’importanza che il gruppo

riveste nel contesto italiano, e in particolare a tutte le vicende che sono

ormai oggetto di attenzione da parte degli ambienti economici, sociali e

politici del paese.

Abbiamo poi cercato di offrire un’analisi della contrattazione collettiva

sindacale alla Fiat, partendo dagli anni Ottanta fino ad arrivare ai giorni

nostri, per comprendere appieno i cambiamenti in atto.

Cambiamenti che hanno portato, attraverso l’introduzione del nuovo

paradigma organizzativo del lavoro e della produzione (WCM), a un

modello di contrattazione collettiva che da “normativo” diventa

“partecipativo”.

Attraverso delle interviste a rappresentanti delle principali sigle sindacali,

manager e lavoratori Fiat, si cercherà nei paragrafi successivi di capire,

dopo una breve ricostruzione del contesto torinese e delle condizioni in

cui perversa, quale impatto ha avuto il World Class Manufacturing in

termini di partecipazione non soltanto a livello più generale del sistema

Page 211: WCM (World Class Manufacturing)

207

aziendale ma anche sul coinvolgimento dei lavoratori e nel

comportamento e sulle strategie degli attori sindacali.

A tal riguardo lo scopo della ricerca è quello di capire qual è il

collegamento tra questo nuovo paradigma organizzativo, sperimentato

dal 2006 in poi, e le relazioni industriali.

In particolare, se il WCM, centrato sul coinvolgimento attivo dei

lavoratori, richiede o meno l’intermediazione del sindacato. Quali

caratteristiche questo deve avere, partecipativo o conflittuale.

Qual è il ruolo del sindacato e la sua effettiva partecipazione all’interno

dell’azienda. Qual è il rapporto con l’azienda, se quest’ultima cerca il

rapporto con i sindacati oppure preferisce interagire direttamente con i

lavoratori. Se esistono ancora dei meccanismi di tipo partecipativo,

rappresentato dalle commissioni, se queste funzionano effettivamente o

il coinvolgimento del sindacato è soltanto formale.

Si cercherà dunque di capire quali sono i nuovi equilibri e le nuove

strategie manageriali finalizzate ad acquisire il consenso sui nuovi metodi

di produzione e come questo ha influito in modo determinante

sull’organizzazione e sulle modalità di azione del sindacato.

Page 212: WCM (World Class Manufacturing)

208

5.2 La Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori

La Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori è uno stabilimento industriale

a Torino, si trova nel quartiere Mirafiori Sud. Fu progettato fin

dal 1936 essendosi ormai rivelato insufficiente il precedente stabilimento,

quello del Lingotto. Nel suo comprensorio lavorano oggi circa 5.400

operai e nel 2012 vi sono state prodotte circa 41.600 autovetture (l'unica

vettura attualmente in produzione è l'Alfa Romeo MiTo).

La Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori ha costituito la realizzazione

maggiore dell'industrialismo italiano. Nessun impianto, nessuna unità

produttiva ha mai eguagliato Mirafiori, che apparve e venne descritta, al

momento della sua costruzione, come una realtà fuor di misura30.

Oltre ad essere stata un luogo emblematico della produzione, è stata e

continua ad essere uno dei teatri principali della nostra vita collettiva. Di

volta in volta, Mirafiori è stata il laboratorio dove sono state messe a

punto e attivate le tecnologie della "mass production" di ispirazione

fordista, lo spazio dove si è sviluppata la conflittualità permanente

cresciuta sull'onda dell'autunno caldo del '69, il grande alveare sociale

nelle cui pieghe si è annidata la minaccia del terrorismo fino al cambio di

ciclo sancito dalla marcia dei quarantamila dell'ottobre 1980.

E ora? Che cos’è oggi Mirafiori? Realtà decaduta da un luogo simbolo,

insediata da una sorte che non lascia più molto scampo a quella

vocazione manifatturiera di cui la città era andata orgogliosa?

Ora sembra che per il discorso pubblico, Mirafiori sia soltanto un

capitolo in sospeso, un interrogativo aperto. Di quella che ancora resta

«la più grande fabbrica d'Italia», si discute solo per misurarne le chance di

sopravvivenza nel tempo. Oggi in tutta Europa si parla dei luoghi della

30 Berta G., «I 70 anni di Mirafiori e le sfide del gigantismo», Il sole 24 ore, 2009.

Page 213: WCM (World Class Manufacturing)

209

produzione automobilistica soltanto allo scopo di valutare in quale

misura riusciranno a sussistere dopo i tagli della capacità produttiva che

potrà imporre la crisi globale. Nessuno o quasi si sofferma sull'atipicità di

una fabbrica che, tra continuità e mutamenti, è ancora in funzione

quando complessi analoghi e comparabili per storia, importanza e

ampiezza sono stati dismessi da tempo. La possibilità di durare e di

adattarsi ai nuovi cicli produttivi di una fabbrica dipende da tanti fattori.

Alcuni sono legati ai suoi criteri progettuali, alla sua attitudine a ospitare

processi differenziati, ad adeguarsi a cambiamenti connessi anche ai

paradigmi organizzativi. È chiaro che a nessun produttore verrebbe più

in mente di costruire grandi fabbriche quale fu Mirafiori negli anni della

sua massima estensione, quando costituiva il fulcro del sistema dell'auto

Fiat. Eppure, la sua storia non si è conclusa con quella della produzione

di massa e Mirafiori si è così trasformata in un soggetto della

metamorfosi di Torino, grazie a un processo di riassetto degli spazi

urbani che ha mescolato i luoghi dell'industria con quelli delle altre

attività. Il suo futuro non dipende perciò dalla capacità di prevedere e

calcolare i volumi produttivi di domani, ma dalle funzioni che essa potrà

assolvere entro il distretto torinese dell'auto. E dipende anche dal fatto

che si consideri la fabbrica non come un'entità residuale, ma un

organismo sottoposto a un cambiamento continuo. Dove si

sperimentano metodi e forme di lavoro che mantengono un valore di

punto di riferimento per far avanzare e progredire la frontiera

dell'organizzazione. Un terreno, questo, fondamentale per un sindacato

industriale intenzionato a misurarsi sull'evoluzione dell'impresa.

Page 214: WCM (World Class Manufacturing)

210

5.3 L’impatto del World Class Manufacturing in termini

di partecipazione sul sistema aziendale

Il World Class Manufacturing è un sistema di produzione adottato da

molti tra i più importanti costruttori mondiali e finalizzato a migliorare

l’organizzazione della fabbrica nel suo complesso. Abbiamo incontrato il

Dott. Luciano Massone, responsabile del World Class Manufacturing e

tra i principali artefici dell’autentica rivoluzione che sta interessando la

multinazionale torinese a livello produttivo e il Dott. Roberto Cortese,

responsabile delle relazioni industriali, per avere maggiori dettagli sulla

concreta applicazione del programma e ottenere un quadro complessivo

dei rapporti con il sindacato e i lavoratori.

In questa direzione va osservato che il WCM non significa soltanto

implementare metodi e sistemi tecnici ma l’azienda deve sostenere

l’operatività delle persone attraverso l’introduzione di un sistema sociale

coerente, capace di coinvolgere l’intera organizzazione e di fare in modo

che tutte le persone si sentano impegnate a contribuire per il

miglioramento continuo delle performance dello stabilimento, come

afferma Luciano Massone, responsabile del WCM “normalmente i sistemi che

si vedono in giro sono molto focalizzati sulla tecnica, noi ci siamo concentrati su un

sistema che si nutre del coinvolgimento delle persone, si nutre della diffusione della

conoscenza, si è nutrito di quella parte manageriale di cui non si sono potuti nutrire

gli altri sistemi. È un sistema ricco di knowledge, che fa dialogare tutti usando un

linguaggio comune, un sistema che è riuscito a coinvolgere oggi il 100% delle persone in

Fiat, puoi intervistare l’ultimo operaio che ti dice che la settimana scorsa ha fatto

quattro suggestions e ha partecipato a tre o quattro major kaizen”31 .

31 Intervista Luciano Massone, capo del World Class Manufacturing EMEA Region & WCM

Dev. Center VP, 2014

Page 215: WCM (World Class Manufacturing)

211

Diverse sono state le motivazioni che hanno portato ad adottare il WCM

a partire dal 2004, in un contesto di crisi in cui era necessario dare una

svolta all’interno dell’azienda, come afferma Luciano Massone,

responsabile del WCM “sono state la non competitività del sistema manifatturiero

che nel 2004 con uno spietato benchmarck fece fare il Dott. Marchionne sbattendoci

in faccia i risultati, quando abbiamo visto che rispetto ai nostri competitors eravamo

molto indietro si è deciso di avviare un programma di rottura”.

Così come molteplici sono state le difficoltà incontrate nella sua

implementazione, dal momento che un possibile processo di imitazione

delle imprese giapponesi da parte delle aziende occidentali è stato reso

complicato non tanto per la superiorità competitiva delle prime ma

riconducibili a fattori esterni (culturali, istituzionali), replica Luciano

Massone, responsabile del WCM “il Giappone ha dalla sua un sistema-paese,

dal momento che ho vissuto lì e mi sono formato lì, il Giappone produce un sistema

scolastico meritocratico e selettivo, non si può scegliere che cosa fare da grande e nel

percorso scolastico che una persona viene indirizzata a fare un mestiere piuttosto che

un altro. Gli investimenti nel mondo scolastico li fa l’impresa, lavorare lì è fantastico,

non bisogna convincere qualcuno a fare qualcosa, con i sindacati si dialoga benissimo,

il sindacato gioca la stessa partita dell’azienda. In Italia abbiamo dovuto investire

dieci anni per creare una cultura rispetto che in Giappone. In Italia vi è stata una

scarsa comprensione di quella che era la filosofia del miglioramento continuo che

proponeva questo modello, difficoltà legate alla gestione con il sindacato, abbiamo

quindi dovuto creare tutto il sistema”.

Delle difficoltà che derivano quindi secondo Roberto Cortese,

responsabile delle relazioni industriali “da un punto di vista culturale, vi è una

diffidenza al cambiamento, qui in Italia. La propensione al cambiamento rispetto

Page 216: WCM (World Class Manufacturing)

212

abbiamo sempre fatto così, è stato uno di quei muri da abbattere o di quelle reti un pò

da strappare che hanno probabilmente teso a rallentare questo progetto” 32.

In tutti gli stabilimenti Fiat Chrysler Automobiles, il lancio e

l’implementazione del programma WCM sono stati accompagnati da un

massiccio miglioramento delle condizioni di lavoro attraverso un

rinnovamento dell’ambiente, introducendo i più avanzati criteri

ergonomici, come afferma Luciano Massone, responsabile del WCM

“Siamo partiti da lì, prima ancora di affrontare gli aspetti più complessi e tecnici,

abbiamo affrontato la sicurezza, l’ambiente del posto di lavoro, la pulizia, l’ordine.

Abbiamo fatto grossissimi investimenti sull’ergonomia di processo, abbiamo finanziato

una cattedra all’università di Torino, lo abbiamo alimentato con contributi e

consulenze delle più prestigiose università presenti al mondo e oggi ci alimentiamo dei

dottorandi che escono da quel percorso per rivedere il nostro processo per arricchirlo nei

contenuti”.

Il commitment quindi da parte del management, per realizzare un

ambiente di fabbrica favorevole che tocchi i diversi aspetti, è essenziale

per il successo del nuovo sistema di produzione basato sui principi del

WCM, come afferma Roberto Cortese, responsabile delle relazioni

industriali “l’azienda deve mettere nelle migliori condizioni le persone per lavorare

bene e in sicurezza, è uno dei compiti del datore di lavoro, se si lavora in una fabbrica

confusa, sporca, buia, rumorosa, i risultati non possono venire. Se c’è luminosità nelle

fabbriche, se ci sono postazioni di lavoro ergonomicamente standard, se il prodotto è

stato studiato per quelle postazioni di lavoro, chi ci lavora è messo nelle condizioni di

poter fare bene il suo lavoro e non esistono possibilità per avere degli errori”.

È importante che i miglioramenti all’interno dell’azienda siano introdotti

con il coinvolgimento dei lavoratori al fine di attivare una loro prima

32 Intervista Roberto Cortese, responsabile Relazioni Industriali FCA EMEA, 2014

Page 217: WCM (World Class Manufacturing)

213

mobilitazione intellettuale, attraverso il suggerimento di idee che le

persone stesse ritengono possano migliorare le loro condizioni di lavoro.

L’applicazione del WCM richiede che ognuno collabori alla gestione

dell’azienda, che ogni dipendente sia coinvolto nel perseguimento rapido

e continuo del cambiamento. Il WCM deve essere uno stile di vita, come

afferma Roberto Cortese, responsabile delle relazioni industriali “la

riuscita del progetto dipende dal commitment che viene dato al progetto, lo si deve

vivere e praticare quotidianamente, dall’altro vi deve essere l’entusiasmo, la capacità o

anche la voglia di guardare in maniera diversa il modo di lavorare, in ambienti dove

c’è una curiosità culturale, una vivacità data chiaramente dall’età delle persone

all’interno dello stabilimento, questo è molto più facile. La partecipazione delle

persone secondo me è straordinaria da questo punto di vista, le persone se sono messe

nelle condizioni di dare un contributo, e questo significa che qualcuno glielo chiede, non

si tirano mai indietro, e se si tirano indietro bisogna indagare che cosa porta le persone

a non interessarsi del posto in cui passa molte ore della loro vita”.

Senza quindi la piena adesione al programma da parte delle persone e

senza l’impegno concreto di ciascuno nell’applicazione del nuovo sistema

di produzione nessun progresso verso il livello Worl Class è pensabile, i

lavoratori giocano un ruolo importantissimo e in merito al grado di

coinvolgimento, Luciano Massone, responsabile del WCM, afferma“il

rapporto con il lavoratore è diverso rispetto a quello di ieri, abbiamo ricevuto un

milione e mezzo di proposte, l’indicatore di assenteismo è un terzo o un quarto rispetto

a quando siamo partiti in questa nuova avventura e nelle fabbriche più evolute, quelle

gold per intenderci, come Gian Battista Vico, gli indicatori di partecipazione sono

rilevanti, poi la partecipazione dipende molto dagli stabilimenti in cui vi è una

maggiore maturità e quelli in cui c’è una minore maturità, però, non ci sono oggi degli

stabilimenti che sono rimasti fuori dal programma e anche quelli con una minore

maturità hanno delle medie di partecipazione che sono al di sopra delle medie di

Page 218: WCM (World Class Manufacturing)

214

mercato”. E come afferma Roberto Cortese, responsabile delle relazioni

industriali “la partecipazione delle persone è diversa in base alle condizioni in cui si

trovano sia come località geografica, cioè in cui si trova lo stabilimento, e sia come

modo di operare all’interno dello stabilimento. La parte geografica è nei fatti e non si

può quindi spostare uno stabilimento per cambiare la cultura delle persone, bisogna

saper prendere coscienza di una diversità culturale, lavorarci sopra, poi è chiaro che le

proposte devono essere inserite in un programma ben specifico, dove tutti possono dare

il loro contributo altrimenti sono proposte che rischiano, se non c’è un grande

commitment, rischiano di perdersi e le persone non sono invogliate a dare un loro

contributo”.

La diffusione del World Class Manufacturing all’interno di Fiat Chrysler

Automobiles, che ha richiesto un forte livello di partecipazione e

coinvolgimento individuale, introduce anche grandi trasformazioni nelle

rappresentanza collettiva dei lavoratori. Il sindacato, infatti, sta vivendo

oggi più che mai una fase di notevole trasformazione rispetto alle

esperienze precedenti assumendo delle caratteristiche strutturali nuove,

da organismo di tipo tradizionalmente “conflittuale” a “sindacato

partecipativo”, caratterizzato da forme più accentuate di cooperazione

con il management aziendale, come afferma Roberto Cortese,

responsabile delle relazioni industriali “il rapporto sicuramente è diverso, io

ritengo importante, da parte di tutte e due deve esserci un cambio di passo, nel senso

che non deve essere visto più come un rapporto tipicamente conflittuale

azienda/padrone e sindacato. Il sistema di partecipazione in Fiat è abbastanza

radicato già a partire dagli anni Ottanta, adesso si è evoluto, si è finalizzato ed è

diventato molto più creativo, operativo, nel senso che si discute e si lavora sui problemi

della fabbrica, questo comporta un approccio biunivoco, da parte dell’azienda io credo

che debba essere fatto uno sforzo importante per mettere a fattor comune aspetti della

Page 219: WCM (World Class Manufacturing)

215

vita di fabbrica che servano ad avere un livello di condivisione e di linguaggio comune

con i propri interlocutori sindacali”.

Alla domanda se l’azienda quindi stia spingendo verso un “sindacato

partecipativo”, Roberto Cortese, risponde così “è una scelta obbligata, io non

credo molto in chi dice che la Fiat con il WCM vuole bypassare il sindacato e avere

un rapporto diretto con i lavoratori, semplicemente perché il rapporto diretto con i

lavoratori non può non esserci nel senso che l’azienda paga dei lavoratori e si aspetta

che facciano un certo tipo di mestiere, poi con il WCM, c’è stato l’interesse reciproco a

mettere le persone nelle condizioni di poter lavorare meglio, è un modo di lavorare

tende ad abbassare i rapporti gerarchici ed avere il direttore che oltre a vestirsi come le

persone che lavorano sulle linee, la direzione è molto più presente in fabbrica. Questo

dal sindacato che vuole essere parte di un progetto, è un salto culturale importante”.

Sembrerebbe, pertanto, che la logica del nuovo metodo spinga nella

direzione di un modello d’impresa della rappresentanza dei lavoratori

proprio per la natura delle sue caratteristiche produttive e proprio perché

si presta meglio ad organizzare delle conoscenze specifiche.

Conoscenze che il sindacato dovrebbe approfondire, come afferma

Roberto Cortese “da parte del sindacato deve essere fatto uno sforzo culturale di

crescita e di apprendimento, un rappresentante sindacale deve sapere che cos è il

WCM, deve sapere quali sono i problemi all’interno della fabbrica, la pluralità poi

dei sindacati non aiuta, questi molto spesso vedono il problema in maniera diversa a

seconda della convenienza o della volontà di tutelare in maniera diversa un lavoratore

piuttosto che un altro, se un problema esiste è un problema e non ha colore”.

Per poter cambiare culturalmente bisogna avere gli elementi giusti,

Luciano Massone da questo punto di vista da delle soluzione pratiche

“occorre training, formazione. Negli Stati Uniti il sindacato ha fatto un Accademy

proprio per formare le sue persone, per renderli dei partecipanti attivi, operano con un

programma di formazione che li rende degli interlocutori credibili. Questi grandi

Page 220: WCM (World Class Manufacturing)

216

cambiamenti sul piano sindacale non si realizzano poi se non vi è grande commitment,

e commitment per il sindacato sono le segreterie generali, sono i capi intermedi, cioè la

stessa struttura dell’azienda se vogliamo, ma il taglio di strutture che è stato fatto in

azienda non è stato fatto parimenti nel sindacato, è ancora molto gerarchico, io credo

che anche lui potrebbe fare una sana riforma per essere più efficace e per interloquire

territorialmente e per stabilimento al fine di generare la stessa condizione di

partecipazione.

Page 221: WCM (World Class Manufacturing)

217

5.4 L’impatto del World Class Manufacturing in termini

di partecipazione sulle relazioni industriali

In questa fase di sperimentazione del World Class Manufacturing, la

questione aperta è quella di come operare affinchè si possa riattivare un

gioco interattivo in un contesto in cui le identità dei soggetti partecipanti

(azienda, sindacato e lavoratori) cercano di ritrovare una loro dimensione

e un loro equilibrio. Questa situazione di metamorfosi che sta vivendo la

Fiat Chrysler Automobiles e in particolare Mirafiori mette in discussione

il ruolo delle relazioni industriali, come infatti afferma il responsabile

della Fim-Cisl, Alberto Cipriani “Per molti anni il sindacato è stato abituato a

fare le cose sempre in uno stesso modo, questi cambiamenti organizzativi mettono un

pò in gioco le regole di sempre e allora spingono a modificare le strutture stesse della

contrattazione, i cambiamenti sono sempre ricchi di problemi ma anche di opportunità.

Per ora l’impatto che ha avuto il WCM sulle relazioni industriali è abbastanza

residuale, è tutto un pò in divenire. Sono convinto però che nei prossimi mesi e anni ci

sarà più contaminazione tra il modo di lavorare nelle fabbriche e le relazioni

industriali” 33.

Un cambiamento che mette quindi radicalmente in discussione assetti

consolidati e certezze, ma che assieme al loro carico di trasformazione e

di distruzione, può anche liberare un grande potenziale di rinnovamento

e un ampliamento delle prospettive. Come afferma la segretaria

provinciale della Uilm-Uil, Flavia Aiello “Come tutte le cose nuove, quindi per

il problema che non si conoscono, spaventano. Poi ci deve essere la volontà di

migliorare, non ho detto che ci siamo riusciti e che ci riusciremo ma c’è uno spirito di

miglioramento. E’ un percorso difficile che bisogna iniziare, altrimenti siamo morti. In

Italia siamo partiti in ritardo rispetto agli altri paesi, come la Germania o l’America,

33 Intervista Alberto Cipriani, responsabile FIM-CISL, 2014

Page 222: WCM (World Class Manufacturing)

218

ma è un grande obiettivo da raggiungere in futuro, io ritengo che se mai si parte mai si

arriva” 34.

Il progetto aziendale d’innovazione organizzativa viene visto dalle tre

sigle sindacali (Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil) nel complesso

favorevolmente, sia pur con sfumature diverse derivanti dalla diversa

concezione del rapporto con l’azienda. Il responsabile della Fim-Cisl,

Alberto Cipriani, afferma “Il WCM è un metodo organizzativo che va a

modificare in profondità tutti i sistemi gestionali e produttivi all’interno di un sistema

aziendale. Il fatto che ci sia un attacco agli sprechi la vedo come una cosa positiva,

soprattutto nella nostra società. Sono due le cose che mi colpiscono particolarmente la

sicurezza, senza la quale non si può fare un processo di eccellenza e la partecipazione

delle persone, le persone messe al centro del processo produttivo e in particolare gli

operai che vengono visti normalmente come quelli che non devono pensare, partecipare,

ma solo obbedire. Queste sono in sintesi le cose che mi colpiscono, bisogna poi vedere

come vengono implementate, tra la teoria e la pratica c’è uno scarto importante, spesso

viene gestito male e quindi di conseguenza le persone lo subiscono al posto di viverlo da

protagonisti e quindi questo può produrre delle conseguenze negative”.

La segretaria provinciale della Uilm-Uil, Flavia Aiello, afferma“ È un

ottimo sistema di lavoro, bisogna avere una grande volontà di partecipazione di

entrambi, nel senso che è orientato rispetto a quello che è il lavorare meglio e con

attenzione, nel senso facciamo i pezzi e li mandiamo avanti questo sistema qui, lo

boccia da subito. Il lavorare attentamente è un salto avanti in quella che è l’attività

produttiva in azienda”.

Il segretario responsabile della Fiom-Cgil, Edi Lazzi, afferma“È una

metodologia di organizzazione del lavoro, banalmente, secondo me ha delle buone

caratteristiche, c’è un idea un po’ più concettuale che riguarda l’organizzazione del

lavoro nel complesso. Una cosa che il sindacato ha detto da un sacco di anni, piuttosto

34 Intervista Flavia Aiello, segretaria provinciale UILM-UIL, 2014

Page 223: WCM (World Class Manufacturing)

219

che insistere sul lavoratore bisogna guardare un pò il tutto. È evidente che se la mia

postazione è pulita, intanto io lavoratore starò meglio, se i pezzi che devo montare

sull’autovettura sono già sequenziali è meglio, perché vuol dire che farò meno fatica a

cercarli. Il WCM è di per se una cosa positiva, dovrebbe essere applicato correttamente

tenendo conto dell’aspetto e dell’idea che hanno i lavoratori, bisognerebbe ritornare ad

una contrattazione tra i lavoratori tramite le loro rappresentanze sindacali e

aziendali, cosa che al momento non c’è, è la cosa negativa è che fa peggiorare le

condizioni lavorative delle persone. Un altro aspetto è che il WCM non parla mai del

sindacato, il WCM parla dell’azienda e del lavoratore, quindi se dobbiamo andare a

vedere che cosa è effettivamente il ruolo del sindacato nel WCM, e nell’intervenire sul

WCM, nel rappresentare i lavoratori dentro il WCM e dentro la Fiat è nullo” 35.

Nell’ambito del WCM, l’innovazione impatta quindi su vari fronti, sulla

sicurezza, sulle modalità di lavoro derivanti da analisi ergonomiche, sulla

creazione di un ambiente idoneo per le esigenze del lavoratore. Il WCM

implica quindi un vero e proprio mutamento paradigmatico nel modo di

intendere il lavoro, è inoltre richiesto un contributo armonico di tutti i

dipendenti aziendali. L’operaio deve guardare al suo lavoro in modo

nuovo e si deve interrogare su cosa può essere fatto per produrre meglio

con minore fatica, senza spreco. I dipendenti vengono quindi coinvolti

nell’azienda, questi non devono più soltanto fare ma anche pensare.

Per alcune sigle sindacali come Fim-Cisl e Uilm-Uil, il WCM, ha inciso in

maniera positiva maggiormente su alcuni aspetti, come l’impegno di

intelligenza e l’ergonomia del posto di lavoro con l’introduzione del

sistema Ergo-Uas, come afferma Alberto Cipriani: “I lavoratori dicono che

per certi versi aumenta l’impegno d’intelligenza, anche se lo dicono molto di più le

realtà dove il WCM è in una fase più avanzata e molto meno dove non lo è.

Contemporaneamente, dicono anche che la fatica c’è, non diminuisce, riconoscono che è

35 Intervista Edi Lazzi, segretario responsabile FIOM-CGIL, 2014

Page 224: WCM (World Class Manufacturing)

220

aumentata moltissimo la sicurezza e la salute, alla ricerca delle soluzioni migliori da

un punto di vista ergonomico partecipano anche gli stessi lavoratori, questa è un pò

una novità, nel senso mentre prima la progettazione era ad esclusivo appannaggio dei

progettisti, ingegneri, oggi viene chiesto agli stessi addetti di linea o team leader, che

sanno come avvengono i movimenti, le varie lavorazioni, come sarebbe meglio fare”.

Critica invece per quanto riguarda questi due aspetti è la posizione della

Fiom-Cgil, Edi Lazzi, afferma:

“Più intelligente in assoluto no, anche questa cosa qua che si vuole dipingere il fatto

che l’operaio mette del suo, mette l’intelligenza, sono tutte balle! È propaganda,

assolutamente, anzi possibilmente per l’azienda più sei uomo scimmia e meglio è!

Quando sento parlare gli altri sindacalisti che fanno da apoteosi, cioè ho prendono in

giro se stessi e sono proprio convinti che si stanno prendendo in giro, oppure a chi la

raccontano. Non c’è un elemento in più di intelligenza che i lavoratori mettono sul

lavoro in catena di montaggio, non lo vuole neanche l’azienda. Non è vero che

l’azienda vuole gente più colta, più preparata, si magari la vuole un pò più colta

perché così non deve stare lì troppo dietro a rompersi le scatole a spiegargli una

semplice operazione, però colta fin a un certo punto perché se poi sei troppo colto e

inizi a rompermi le scatole non vai più bene.

Per quanto riguarda il miglioramento delle condizioni di salute e di sicurezza, l’Ergo-

Uas è una metodologia come le altre. La cosa che in Fiat è stata ed è devastante è il

fatto che nel passato c’erano degli accordi che intervenivano direttamente sulle

condizioni di lavoro e sulla metrica del lavoro, accordi che permettevano di stare meglio

e di avere la possibilità tramite l’organizzazione sindacale di intervenire quando

qualcosa non andava, mentre prima il lavoratore non poteva essere saturato più

dell’87% del suo tempo, ora dal momento che la Fiat ha disdetto quelli accordi che le

altre organizzazioni hanno condiviso, il lavoratore può essere saturato fino al 99% del

suo tempo. Oppure prima c’erano 40 minuti di pausa, hanno tagliato le pause di 10

Page 225: WCM (World Class Manufacturing)

221

montaggio sono fondamentali, importantissimi, vuol dire 10 minuti in meno di

lavoro”.

La Fiat Chrysler Automobiles punta ad arrivare a un modello di

organizzazione del lavoro basato su una forte partecipazione dei

lavoratori. Una partecipazione che per le sigle sindacali resta ancora

molto debole, come afferma il responsabile della Fim-Cisl, Alberto

Cipriani “Il modello partecipativo ancora non si è realizzato, siamo ancora in una

fase che si sta sviluppando, se si fa riferimento ai lavoratori nel processo di

miglioramento continuo, ci sono delle punte avanzate in alcuni stabilimenti dove si è

riusciti ad arrivare ad un buon livello di partecipazione e di coinvolgimento ma sono

ancora abbastanza poche in Europa, quattro in tutto, gli altri sono decisamente più

indietro”.

La segretaria della Uilm-Uil, Flavia Aiello, afferma “E’ debole, ma io lo

attribuisco al fatto che non ci sia il lavoro, stiamo vivendo un periodo di cassa

integrazione, degli investimenti che per mille ragioni, hanno tardato. C’è stato un

rallentamento del programma, se poi uno la teoria non la mette nella pratica, è tutto

da rivedere”. Il segretario responsabile della Fiom-Cgil, Edi Lazzi, afferma

“Oggi c’è il WCM, la qualità totale degli anni Ottanta, di che cosa stiamo parlando?

La qualità totale è di nuovo la campagna della Fiat sulla qualità totale, zero difetti,

il coinvolgimento, non è mai stato coinvolto nessuno. Ripeto il WCM è una cosa

positiva sulla carta ma il suo concretizzarsi non tiene conto dei lavoratori come

portatori di una istanza che a volte può essere differente”.

È indubbio poi, da decenni, che le relazioni sindacali in Fiat Chrysler

Automobiles si basino su un equilibrio precario, dovuto a un sistema di

partecipazione debole della rappresentanza sindacale, come afferma il

responsabile della Fim-Cisl, Alberto Cipriani “Le relazioni industriali sono

un po’ indietro, sarebbe necessario fare di più, utilizzare questo sistema per misurare

in modo più trasparente, equo i vari risultati e le cose che avvengono all’interno della

Page 226: WCM (World Class Manufacturing)

222

fabbrica. Non ha senso che le cose che avvengono in un azienda non vengano trattate

dalle relazioni sindacali, l’unica cosa che fino ad ora abbiamo fatto ed è stato trattato

nella contrattazione, è un riconoscimento economico a fronte di un risultato dello

stabilimento nel suo insieme, che porta ad assegnare delle medaglie, oro, argento,

bronzo fino ad arrivare al World Class. Alle medaglie viene associato un premio

economico per ciascun lavoratore dello stabilimento, questo è quello che abbiamo fatto

fino ad adesso, l’intenzione è approfondire e andare oltre”.

La crisi del sistema di relazioni sindacali si evidenzia nell’insofferenza

della Fiat Chrysler Automobiles per le regole del confronto sindacale e

conferma la minor attenzione aziendale al tema dei rapporti sociali. Le

tre sigle sindacali ritengono che l’azienda tenda a gestire le cose in

maniera unilaterale e a individualizzare in qualche modo il rapporto con

il lavoratore, come afferma la segreteria provinciale della Uilm-Uil, Flavia

Aiello“L’azienda come tutte le aziende, tendono a fare i propri interessi, dicendo che

solo io ho la verità in tasca, solo io so come fare. L’azienda tende il più delle volte a

comunicare piuttosto che a dialogare. Su questo non andiamo molto d’accordo, non ci

possono essere solo le difficoltà dell’azienda, che capiamo, ma ci sono anche i

lavoratori, su questo facciamo fatica a farlo comprendere”. L’azienda dovrebbe

così riuscire a cambiare radicalmente mentalità, cioè dovrebbe accettare il

sindacato come suo interlocutore, come accompagnatore dei processi,

come afferma il segretario responsabile della Fiom-Cgil, Edi Lazzi “sedersi

e guardarsi negli occhi alla stessa altezza, se invece tu Fiat ti siedi dieci metri sopra

non ci potrà mai essere quella forma di partecipazione vera, ma sarà sempre finta,

sarà una partecipazione sulla carta, semplicemente dettata dalle mode del momento”.

Il conflitto positivo non può essere visto quindi come una

contrapposizione pura, se due persone si siedono di fronte a un tavolo, e

sullo stesso argomento vi sono due punti di vista differenti, ci deve

essere la capacità di trovare due punti di mediazione. Il dialogo è utile se

Page 227: WCM (World Class Manufacturing)

223

ci sono dei soggetti che si ci ascoltano e che riescono a trovare dei giusti

compromessi. Il sindacato dovrebbe essere visto quindi dall’azienda

come un formidabile strumento da utilizzare, soprattutto per ciò che

attiene alla partecipazione, ovvero la gestione quotidiana delle

problematiche del rapporto tra azienda e rappresentanti dei lavoratori,

attraverso anche il lavoro delle commissioni, ossia quei luoghi in cui si

cerca di discutere le varie problematiche relative all’organizzazione del

lavoro, ma come afferma il responsabile della Fim-Cisl, Alberto Cipriani

“in alcuni stabilimenti funzionano abbastanza, c’è un buon livello di concretezza, non

sono dei luoghi formali dove si ci scambia qualche informazione, esistono proprio dei

casi che vengono affrontati, risolti. Purtroppo in molte realtà questo non avviene, per

varie ragioni, dipende molte volte dalla cultura sindacale ma anche da quella

manageriale, che a mio avviso non considera questi strumenti come qualcosa di utile

per gestire le problematiche quotidiane, gli stessi manager preferiscono fare da soli

senza coinvolgere i rappresentanti, e questo credo che sia profondamente sbagliato ma

fai conti con una cultura che è quella Fiat, che non ha mai investito in relazioni

sindacali serie, come avviene altrove”.

Ambigua in questo momento per quanto riguarda la gestione del

rapporto con l’azienda è la situazione che sta vivendo la Fiom-Cgil, come

afferma Edi Lazzi “c’è una situazione anomala in questo periodo, nel senso che la

Fiom ha deciso di non firmare un accordo alla Fiat, e quindi noi siamo stati esclusi

dal rapporto con la Fiat. Un rapporto che noi ci siamo conquistati con le sentenze e

giudici dall’altro, rapporti di forza che abbiamo con l’alto. La Fiat non coinvolge la

Fiom per questa ragione. Io per quello che vedo non coinvolge neanche gli altri

sindacati. Non c’è dialogo, le commissioni ci sono ma si riuniscono poco e quando si

riuniscono siamo solo alla comunicazione e non è finalizzato a trovare dei punto di

compromesso”.

Page 228: WCM (World Class Manufacturing)

224

Una Partecipazione concreta della rappresentanza sindacale che in Fiat

ancora non si è realizzata, come sostengono tutti i sindacalisti, Alberto

Cipriani della Fim-Cisl “È tutto da costruire, questo anche per responsabilità del

sindacato, faccio anche un po’ di autocritica, ma soprattutto per responsabilità

dell’azienda”. Flavia Aiello, della Uilm-Uil “Non spinge assolutamente, non ci

stende i tappeti rossi, non ci apre la porta, ci siamo e cerchiamo di parlarci per il bene

dei lavoratori. Per l’azienda se c’è o non c’è il sindacato non gliene importa”.

Edi Lazzi, della Fiom-Cgil “La Fiat sulla carta spinge verso questo sindacato

partecipativo ma in realtà non vuole nessun sindacato. La Fiat il sindacato non l’ha

mai accettato come un soggetto che magari può avere un punto di vista differente, l’idea

è del comando assoluto, mi dispiace dirla così ma è la realtà”.

Page 229: WCM (World Class Manufacturing)

225

5.5 L’impatto del World Class Manufacturing in termini

di partecipazione sui lavoratori

Con l’introduzione del World Class Manufacturing, l’innovazione più

importante è stata quella di mettere il lavoratore al centro del processo

produttivo. Nessun lavoratore può chiudersi in se stesso perché il WCM

produce e richiede maggiore flessibilità, sia funzionale che mentale. Se ne

ha riscontro soprattutto nella richiesta al singolo lavoratore di individuare

gli intoppi e di risolvere i problemi che sorgono, mentre prima gli si

vietava ogni iniziativa, come afferma l’addetto di linea di Mirafiori

Carrozzeria, Antonella Palumbo “il lavoro sicuramente diventa più intelligente.

Non è più come una volta che ti mettevi lì in catena di montaggio, ti facevi le 8 ore e

facevi sempre quello, non eri tenuto a pensare, oggi ci sono delle postazioni in cui puoi

compilare un modulo, puoi fare appunto una proposta di miglioramento continuo” 36.

A fronte di una partecipativa attiva da parte dei lavoratori, molti

ritengono insoddisfacente le ricompense che da l’azienda a seguito dei

suggerimenti che fornisce il lavoratore per migliorare il lavoro, come

afferma Pino Di Castri, l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria “delle

magliette o dei gadget che da l’azienda, noi non ce ne facciamo niente. Il lavoratore

propone delle modifiche dove l’azienda risparmia milioni di euro, il lavoratore ha

bisogno di denaro”. Benchè vi sia libertà di proporre delle soluzioni, anche

innovative, molti ritengono che il cambiamento debba passare attraverso

il vaglio di tutta una serie di livelli gerarchici prima che possa essere

implementato, come affermano gli addetti di linea di Mirafiori

Carrozzeria, Antonella Palumbo e Pino Di Castri “si dovrebbe cercare di

ridurre questa burocrazia, attualmente vi è stata una riduzione dei livelli gerarchici,

perché nello stacco dall’operaio al dirigente, vi erano troppo figure”.

36 Intervista Antonella Palumbo, operaia Mirafiori Carrozzeria – Montatura, 2014

Page 230: WCM (World Class Manufacturing)

226

“All’interno dell’azienda c’è una gerarchia, a volte questa gerarchia interrompe questi

processi perché trovi la persona che non riesce a capire il modo con cui si deve porre al

lavoratore”.

Le novità più cospicue con l’introduzione del WCM, oltre ad essere stata

quella di richiedere al lavoratore una cooperazione intelligente, vale a dire

una “partecipazione diretta”, hanno riguardato l’ambiente di fabbrica nel

suo complesso, dal miglioramento delle condizioni di salute e di

sicurezza, un ambiente di fabbrica luminoso e pulito, come afferma

l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria, Giuseppe Buscicchio “l’aspetto è

globale della cosa, non solo a livello di postazioni di lavoro ma bensì anche di pulizia,

sicurezza, un contenuto a 360 gradi” 37.

Un metodo di organizzazione del lavoro che ha richiesto a imprenditori e

manager un diverso modo di gestire e di intendere l’impresa e la sua

stessa natura, non soltanto da un punto di vista operativo, l’azienda oggi

deve saper "ascoltare", deve "apprendere", il rapporto tende ad essere

così meno piatto ed impersonale, alcuni lavoratori ritengono che il

rapporto con l’azienda sia cambiato rispetto a quello di dieci anni fa,

come afferma, l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria, Antonella

Palumbo “ oggi c’è più competenza, sono materie che bisogna studiare, analizzare, e

quindi è utile confrontarsi con chi come noi si occupa dell’aspetto pratico e chi magari

la guarda dal lato tecnico”. C’è invece chi ritiene che il rapporto con

l’azienda sia ancora soggettivo, come afferma l’addetto di linea, Pino Di

Castri “come tutti gli ambienti di lavoro, c’è la simpatia e no, non dovrebbe esserci

però. Ci deve essere un rapporto umano, rispetto a qualche anno fa è migliorato sotto

alcuni punti di vista, sotto altri è diventato più rigido perché dal momento che siamo

in un periodo di crisi a volte la casta è usata come clava sui lavoratori come ricatto”.

37 Intervista Giuseppe Buscicchio, operaio Mirafiori Carrozzeria – Verniciatura, 2014

Page 231: WCM (World Class Manufacturing)

227

In questo nuovo scenario, in cui l’azienda mostra un maggiore senso di

apertura e a ricercare forme di “individualizzazione”con il lavoratore,

come afferma l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria, Antonella

Palumbo “molte volte si, è normale che l’azienda cerchi di mettere da parte il

sindacato per avere un rapporto direttamente con il lavoratore”, il sindacato resta

tuttavia per i lavoratori uno strumento imprescindibile per la tutela delle

loro condizioni di lavoro, come afferma l’addetto di linea di Mirafiori

Carrozzeria, Antonella Palumbo “è importantissimo il sindacato. Per noi

lavoratori è uno strumento che abbiamo a disposizione, fa da portavoce” o come

afferma l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria, Pino Di Castri “il

sindacato ci vuole, deve crescere, se non ci fosse sarebbe molto peggio” 38.

Alla visione sul sindacato i lavoratori riconoscono che in tempi di crisi ci

sia una disaffezione soprattutto da parte dei giovani, alcuni ritengono che

il sindacato vada riformato al suo interno, arrivando magari alla

formazione di un unico sindacato di categoria, anche se vedono questo

possibile percorso come irrealizzabile, altri invece ritengono che il

sindacato porti avanti una sua linea politica, una propria ideologia che

rende difficile così il dialogo con le altre organizzazioni sindacali.

In conclusione, i lavoratori valutano positivamente l’azienda e

l’introduzione del World Class Manufacturing, ritengono che ci sia

ancora molto da fare in termini di partecipazione, in quanto è un metodo

di lavoro che richiede di essere studiato e praticato quotidianamente e

per questo occorre il tempo necessario, occorre soprattutto un rapporto

elastico tra azienda, sindacati e lavoratori, altrimenti come afferma

l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria, Antonella Palumbo “sono cose

che rimarranno soltanto scritte sulla carta e non si potrà vedere la praticità sul posto

di lavoro”.

38 Intervista Pino Di Castri, operaio Mirafiori Carrozzeria, 2014

Page 232: WCM (World Class Manufacturing)

228

Sul futuro dell’azienda, i lavoratori si dividono tra chi ritiene che

l’acquisizione di Chrysler sia stata una scelta straordinaria, e chi ritiene

invece che sia stata una scelta di sopravvivenza, come afferma l’addetto

di linea di Mirafiori Carrozzeria, Pino Di Castri “dieci anni fa era impensabile

che Fiat potesse acquistare un’azienda, qualsiasi essa sia, soprattutto americana, è

incredibile” o come afferma l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria,

Giuseppe Buscicchio “oggi la Fiat che ha comprato Chrysler è stato il massimo,

oggi ci chiamiamo Fiat-Chrysler. Io non penso che questa sia l’ultima operazione che

farà Marchionne, penso che oggi per stare sul mercato ti devi per forza alleare, come le

altre case, se vuoi rimanere sul mercato. Oggi dire che la Fiat ha comprato Chrysler,

mi sento più sicuro a livello lavorativo, se fosse stata solo Fiat per me oggi poteva

essere pericoloso”, e c’è invece chi ritiene che la scelta fatta da Marchionne

sia stata dettata dal sistema politico e governativo, come afferma

l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria, Antonella Palumbo

“Marchionne ha spostato la parte più importante all’estero, le vetture che fa in

Chrysler le poteva fare anche qui in Italia, e il governo non ha fatto nulla per

mantenere la Fiat qui in Italia, e parliamo del governo Berlusconi”.

Diversa è la situazione per quanto riguarda la mancata implementazione

del World Class Manufacturing tra gli impiegati all’interno della Fiat

Chrysler Automobiles, come afferma l’impiegata delle strutture centrali

di Fiat Chrysler Automobiles, Claudia Di Rosso “il WCM dove sono io non è

entrato, lo conosco perché l’ho un po’ studiato, da me si dovrebbe fare più che altro il

World Class Tecnologies, che poi non è partito tra gli impiegati e non ho capito il

perché” 39. Il modello viene valutato positivamente dall’impiegata,

soprattutto per quanto riguarda l’ergonomia e la sicurezza del posto di

lavoro, tuttavia “potrà rilevarsi un effettivo sistema per ridurre gli sprechi soltanto

39 Intervista Claudia Di Rosso, impiegata strutture centrali Fiat Chrysler Automobiles, 2014

Page 233: WCM (World Class Manufacturing)

229

quando sarà esteso a tutti gli attori, adesso è entrato nelle fabbriche più nuove e a

livello di officina, ma non tocca altre persone che comunque ci lavorano in fabbrica”.

Dall’intervista si percepisce immediatamente la diversità che caratterizza i

due ambienti di lavoro, quello operaio in cui sembra esserci una

maggiore predisposizione al lavoro di gruppo e quello degli impiegati

dove invece prevale una concezione individualista, come afferma

l’impiegata Claudia Di Rosso “c’è un divario culturale causato dalla differenza

culturale, l’impiegato ha una culturale un pò da arrogante, pensa di potersi risolvere il

problema da solo, l’operaio invece cerca di portare i problemi e di farseli risolvere,

l’impiegato non ce l’ha, proprio per la presunzione. Un altro aspetto è che l’operaio fa

squadra, c’è un concetto d’insieme, tra gli impiegati no”.

Alla visione sull’azienda, l’impiegata ritiene che ci sia una parte

dell’azienda con una mentalità molto propositiva, aperta al cambiamento

e al rinnovamento, e una buona parte di Fiat ancora con una mentalità

chiusa. Molto spesso in commissione l’azienda cerca di interpretare le

cose a suo modo non trovando punti di convergenza con il sindacato,

infatti afferma “facciamo l’esempio della commissione assenteismo, l’azienda ti

convoca ma non ti da dei dati, tu non sai se c’è una maggiore concentrazione di

assenteismo in un’aria piuttosto che in un’altra, non ti da gli strumenti per poter

interagire, tende ancora a manipolare e gestirsi la situazione da sola”.

Per quanto riguarda la presenza del sindacato all’interno dell’azienda,

come strumento di tutela delle condizioni di lavoro tra gli impiegati,

afferma “oggi lo schifano abbastanza, ti parlo dei miei impiegati. A me piacerebbe

tanto un sindacato unitario. Io sono per il sindacalista che lavora in azienda con e per

gli altri, un sindacato alla tedesca, sono fuori dagli schemi dei vecchi sindacalisti, ossia

quelli che sono fuori i cancelli, quelli che vogliono solo farsi vedere o fare carriera”.

Sulle prospettive future e dell’acquisizione di Chrysler, ammette che

nonostante l’azienda giochi la sua partita e faccia i suoi interessi gli

Page 234: WCM (World Class Manufacturing)

230

stabilimenti sono stati salvati e tutto ciò che è stato messo a tavolino è

stato fatto, anche se al momento vi è una disaffezione generale delle

persone nel vedere Fiat Chrysler Automobiles non più come un’azienda

italiana ma americana.

Page 235: WCM (World Class Manufacturing)

231

Interviste Rappresentanti Sindacali

Alberto Cipriani (Responsabile FIM-

CISL)

Edi Lazzi (Segretario responsabile

FIOM-CGIL)

Flavia Aiello (Segretaria provinciale

UILM-UIL)

Interviste Rappresentanti Sindacali

Alberto Cipriani

(Responsabile FIM-CISL)

Edi Lazzi

(Segretario responsabile FIOM-CGIL)

Flavia Aiello

(Segretaria provinciale UILM-UIL)

Page 236: WCM (World Class Manufacturing)

232

Intervista Alberto Cipriani

(Responsabile FIM-CISL )

Mi può raccontare la sua esperienza all’interno del Gruppo Fiat oppure del

sindacato? Qual è stato il suo percorso?

Ho iniziato dalla gavetta. Ho fatto il rappresentante sindacale in azienda. Ad un

certo punto ho deciso, anche spinto dai compagni di lavoro, di candidarmi alle

elezioni. Le prime elezioni delle Rsu si svolsero nel ‘95, e da lì iniziai un percorso di

impegno sindacale proprio a partire dalla fabbrica. Tutto è partito da lì e

l’impegno è cresciuto. Io facevo un lavoro interessante, anche da un punto di

vista professionale. Ma cresceva parallelamente sia l’impegno lavorativo e sia

quello sindacale e quindi, ad un certo punto, le due cose insieme non ci stavamo

più, anche in vista del tempo che era necessario dedicare ad entrambe. Mi è stato

chiesto di fare questa esperienza a tempo pieno nel sindacato e ho cominciato ad

essere un operatore sindacale esterno, che coordina l’attività di vari settori . Ho

seguito sia alcune piccole-medie imprese, al di fuori del mondo Fiat, ma

soprattutto realtà che appartengono al gruppo Fiat, che sono di una certa

consistenza numerica. Negli ultimi anni mi sono occupato anche a livello

nazionale delle questioni sull’organizzazione del lavoro e quindi anche del WCM.

1) Che cos’è il World Class Manufacturing?

Il Wcm è sostanzialmente un programma, un metodo organizzativo che va a

modificare in profondità tutti i sistemi gestionali e produttivi all’interno di un

sistema aziendale. E’ quindi un’esperienza di Lean Production che potrebbe

essere applicata a qualsiasi processo non necessariamente produttivo inteso in

senso stretto. Tant’è che viene implementato anche in banche, diverse da quelle

Page 237: WCM (World Class Manufacturing)

233

di natura manifatturiera. È quindi un processo di miglioramento continuo, molto

articolato. Vi è l’idea di abbattere, fino ad azzerare, tutti gli sprechi, le perdite e

generare un processo di eccellenza, con un contenimento molto serio dei costi.

Inoltre, si vorrebbero raggiungere degli obiettivi di qualità, di prodotto e di

processo elevatissimi. Tenere insieme queste cose è uno degli obiettivi in generale

dei processi di miglioramento continuo e nel WCM è implementato in maniera

molto strutturata.

2) Come vede il WCM? Qual è la sua percezione?

Da un punto di vista etico, il fatto che ci sia un attacco agli sprechi, la vedo come

una cosa positiva, soprattutto nella nostra società. Una cosa da evitare. Puntare

poi sulla qualità è un'altra cosa che a me colpisce abbastanza: è il primo pilastro

del WCM. Anche la sicurezza, trovo particolarmente interessante da un punto di

vista sindacale e dei lavoratori, perché senza la sicurezza non si può fare un

processo di eccellenza. Qualcuno magari ritiene che la sicurezza è un costo e che

bisognerebbe evitarla. Viene vista come un investimento. Questa cosa, 10 anni fa,

nessuno l’avrebbe detta in questi termini. Un altro punto è la richiesta di

partecipazione delle persone. C’è uno spazio di partecipazione senza la quale non

si riesce a realizzare un processo di eccellenza. Questo mi sembra, anche da un

punto di vista sindacale, antropologico. L’innovazione più importante sono le

persone che devono essere messe al centro del processo produttivo, in particolare

gli operai che, invece, normalmente, vengono considerati come quelli che non

devono pensare, partecipare ma solo obbedire. Queste sono in sintesi le cose che

mi colpiscono. Bisogna poi vedere come vengono implementate. Tra la teoria e la

pratica c’è uno scarto importante che spesso viene gestito male. Quindi, di

conseguenza, le persone lo subiscono al posto di viverlo da protagonisti e ciò può

produrre delle conseguenze negative.

Page 238: WCM (World Class Manufacturing)

234

3) Il coinvolgimento dei lavoratori è un elemento essenziale data la

vulnerabilità del programma? Che cosa fate per favorire il loro coinvolgimento?

Quali sono i principali strumenti che vengono adottati per motivare/valorizzare

i lavoratori all’interno della nuova organizzazione?

Questo è un terreno da esplorare. Fino ad ora l’azienda ha gestito le cose in modo

unilaterale. Vi sono molte proposte di miglioramento continuo, ma è

impressionante, come tutto sia gestito unilateralmente dall’azienda. Ciò non è

condivisibile per molti versi. Il sindacato sta iniziando ad occuparsene proprio in

questa fase. Fino ad ora l’unica cosa che abbiamo fatto, e che oltre tutto è stato

trattato nella contrattazione, dunque fa parte del contratto, è un riconoscimento

economico a fronte di un risultato dello stabilimento nel suo insieme. In ogni

stabilimento vengono misurate le performance: c’è un indicatore sintetico,

attraverso degli “audit”, e il punteggio sintetico poi produce un premio, una

medaglia che può essere Oro, Argento, Bronzo fino ad arrivare al World Class.

Alle medaglie viene associato un premio economico per ciascun lavoratore dello

stabilimento. Questo è quello che abbiamo fino ad adesso. L’intenzione è

approfondire e andare oltre, ragionare su premi un po’ più organizzati e

strutturati, legati alle idee e ai suggerimenti, da ragionare se a gruppi, a livello di

team, di aree di lavoro o anche a livello individuale. Io non sono propenso ai

premi individuali, anche se capisco che alcune idee possono produrre dei risparmi

molto corposi, ed è giusto che vengono riconosciuti a colui che li ha generati.

Questo, già in alcune aziende tedesche e giapponesi avviene, e si spera di andare

in questa direzione. Di fatto già un po’ è così. L’azienda riconosce delle cifre in

questi casi, però è tutto molto arbitrario, a seconda degli stabilimenti, delle

situazioni, ecc.

4) In seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si è realizzato

concretamente o ancora vi è una partecipazione debole?

Page 239: WCM (World Class Manufacturing)

235

Non si è realizzato. Siamo ancora in una fase che si sta sviluppando. Poi dipende!

Se si fa riferimento ai lavoratori nel processo di miglioramento continuo, ci sono

delle punte avanzate in alcuni stabilimenti dove si è riusciti ad arrivare ad un

buon livello di partecipazione di coinvolgimento. Ma sono ancora abbastanza

poche in Europa. Sono tre gli stabilimenti che hanno ottenuto questi risultati. In

Italia un paio, quattro in tutto, due in Italia, gli altri sono decisamente più

indietro. Abbiamo realizzato una ricerca importante, e questa ricerca dice proprio

questo, ed è emerso quello che dicevo adesso.

5) E da parte del sindacato vi è partecipazione?

Le relazioni sindacali sono un po’ indietro. Sarebbe necessario fare di più!

Bisognerebbe utilizzare questo sistema anche per misurare in modo più

trasparente, equo, più preciso i vari risultati e le cose che avvengono all’interno

della fabbrica, per dare un valore che sia compreso dalle persone, che sia noto a

tutti, meno discrezionale, più oggettivo. Questo farebbe bene anche all’azienda e

noi faremmo il nostro lavoro sindacale; maggiore equità, giustizia e anche per far

tornare ai lavoratori risultati concreti che possono essere in termini economici,

ma anche di altra natura. Quello che è certo è che non ha senso che tutti i

miglioramenti e le cose che avvengono in un’azienda non vengano trattate dalle

relazioni sindacali.

6) Questo proprio perché il sindacato in Italia è istituzionalizzato, quindi vi deve

essere un coinvolgimento?

Si, per anni è stato abituato a fare le cose sempre in uno stesso modo. Questi

cambiamenti organizzativi mettono un po’ in gioco le regole di sempre, e allora

spingono a modificare le strutture stesse della contrattazione. Io lo vedo

interessante! I cambiamenti sono sempre ricchi di problemi e opportunità.

Page 240: WCM (World Class Manufacturing)

236

7) Forme di disaffezione e di protesta, quali la non partecipazione alle attività

di miglioramento continuo della qualità, l’assenteismo, lo sciopero, vengono

praticate? Quali sono i livelli di assenteismo? Ci sono dei dati?

Si, ci sono dei dati che variano a secondo dello stabilimento. Quando si parla di

Mirafiori, si fa riferimento ad un mondo molto ampio: qui ci stanno 18.000

addetti. Lo stabilimento della carrozzeria di Mirafiori conta circa 5.000 addetti,

tutti gli altri sono sparsi in altre realtà. C’è una struttura molto importante di

ingegneria, commerciale, ecc. in cui vi sono circa 6.000 persone. Ci sono le

meccaniche, ci sono le presse. Non è come gli altri stabilimenti. Se si va a Cassino,

lì producono le auto. Nel caso di Mirafiori ci sono anche quelle che producono le

auto: separiamo lo stabilimento, cosiddetto terminale, quello che fa le auto ed

attualmente ne fa molto poche. C’è la Mito che vende relativamente poco. E’

comunque in corso la ristrutturazione dello stabilimento stesso per andare a

produrre modelli di alta gamma. Quindi parlare dell’assenteismo oggi a Mirafiori

bisogna vedere di che cosa si parla; l’assenteismo nella struttura centrale è molto

diverso da uno stabilimento che sta facendo cassa integrazione o delle

meccaniche. È in corso in questi ultimi anni un ulteriore cambiamento

organizzativo, perché un’azienda che si chiamava Bertone è stata acquisita dalla

Fiat. In quello stabilimento che è vicino Mirafiori vengono prodotti attualmente

due modelli di Maserati. Questo sta lavorando tantissimo e, molti degli

stabilimenti Mirafiori carrozzeria, sono stati trasferiti lì. Questi due stabilimenti,

insieme ad uno più piccolo che fa le scocche, in realtà, sono diventati un tutt’uno

e si chiama “polo produttivo Torino”. Quindi la vecchia Mirafiori carrozzeria, non

esiste proprio più; c’è stato un coinvolgimento organizzativo che è in corso e che

ha prodotto questi cambiamenti. Se parliamo, quindi, di produzione di auto,

parliamo, di polo produttivo Torino, se parliamo, invece, di Mirafiori, come

complesso produttivo e organizzativo, è una cosa molto diversa e ampia. Per

quanto riguarda lo sciopero, se c’è qualche elemento di conflitto, può riguardare

lo stabilimento di Maserati perché si lavora molto, e le persone sono stanche e

Page 241: WCM (World Class Manufacturing)

237

vorrebbero avere qualche riconoscimento in più. Lì c’è stato qualche ragione

conflittuale che ha portato anche a piccoli episodi di sciopero. È importante

riuscire a comprendere che ci sono realtà molto diverse. Pomigliano sta

lavorando, però, c’è tanta gente ancora in cassa integrazione, a Cassino simile,

Mirafiori Carozzeria, Melfi sta facendo un salto produttivo di nuovi modelli però

stabilimenti che lavorano a tempo pieno e che fanno straordinario sono davvero

pochi, sono solo la Sevel la Maserati di Grugliasco (ex Bertone).

8) Secondo lei il lavoro diventa più autonomo e intelligente? oppure soltanto

più gravoso, o forse entrambe le cose insieme?

Non ti do il mio giudizio. Ti dico quello che hanno detto i lavoratori nella ricerca. I

lavoratori dicono che per certi versi aumenta l’impegno d’intelligenza, anche se lo

dicono molto di più le realtà dove in WCM è una fase più avanzata e molto meno

dove non lo è. Contemporaneamente, dicono anche che la fatica c’è, non

diminuisce. Riconoscono che è aumentata moltissimo la sicurezza e la salute e

anche la qualità del prodotto, ecc. Però la fatica, lo stress permangono.

9) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza

del posto di lavoro? A tal proposito, nel quadro del WCM, è stato inserito un

sistema specifico chiamato Ergo-Uas, cosa ne pensa? Ha portato ad una

riduzione della fatica dello stress, e delle malattie di tipo muscolo-scheletrico?

Oggettivamente il fatto di progettare e realizzare di conseguenza delle stazioni di

lavoro con criteri ergonomici, ha diminuito il carico biomeccanico che il

lavoratore subisce. La progettazione delle nuove stazioni di lavoro avviene

utilizzando l’innovazione tecnologica migliore rispetto a quella disponibile al

momento. Se tu utilizzi un azzeratore di peso, o degli avvitatori sono molto più

leggeri di quelli di una volta o utilizzare delle pedane che portano ad una certa

altezza; per cui tu non lavori con le braccia sopra le spalle. Sono tutti una serie di

Page 242: WCM (World Class Manufacturing)

238

accorgimenti, di innovazione tecnologiche o organizzative che diminuiscono

oggettivamente la fatica e questo si può misurare attraverso delle checklist. Alla

ricerca delle soluzioni migliori, da un punto di vista ergonomico, partecipano

anche gli stessi lavoratori e questa è un po’ una novità, nel senso che, mentre

prima la progettazione era ad esclusivo appannaggio dei progettisti, ingegneri,

oggi viene chiesto agli stessi addetti di linea o team leader, che sanno come

avvengono i movimenti, le varie lavorazioni, come sarebbe meglio fare. Gli viene

chiesto in un fase preventiva, perché ovviamente progettare delle nuove posizioni

di lavoro quando ancora l’auto è in una fase di disegno, quando ci sono più

prototipi, ha dei costi irrisori pari a zero; invece, modificare delle strutture che già

sono state disegnate in un certo modo è impossibile se non addirittura molto

oneroso, e questo processo di co-design anticipato è anche una delle novità del

WCM. Il WCM non interviene solo sulla fabbrica, così come oggi, ma tutte le

conoscenze, tutto il kow-how che si acquisiscono, oggi servono a progettare la

fabbrica del domani, coinvolgendo i lavoratori stessi. Questo è interessante! Il

sistema Ergo-Uas prova a fare esattamente questo: attraverso un software, cioè

attraverso l’uso del virtuale, computer, le immagini possono aiutare tantissimo a

capire abbastanza da vicino la realtà, per immaginarla e cambiarla meglio in

anticipo, perché se lo fai in anticipo puoi farlo, dopo è difficile farlo. In questo

senso, in ordine all’ergonomia, ci sono stati cambiamenti importanti che,

ovviamente, hanno riguardato gli stabilimenti nuovi. Gli stabilimenti che hanno le

linee già lì da 10 anni non hanno potuto beneficiare di tutti i cambiamenti

tecnologici: può implementare alcune cose, ma altre cose strutturali, se li deve

tenere, e quindi i lavoratori non hanno percepito questo beneficio.

Il sistema Ergo-Uas, dato che ha l’ambizione di misurare in modo oggettivo, se

implementato bene dovrebbe garantire una spalmatura del lavoro e della fatica,

del carico equo. Il problema è che la cosa affinché avvenga, bisogna fare le cose

bene, cioè in termini tecnici si parla di saturazione e queste devono essere

calcolate in modo corretto: il tempo assegnato al lavoratore per svolgere le sue

mansioni e il ciclo di lavoro che si ripete “n” volte. Questa è una sfida con

Page 243: WCM (World Class Manufacturing)

239

qualsiasi sistema. Ergo-Uas ha questi due pregi, uno di avere un’attenzione molto

spiccata sull’ergonomia che tra l’altro, andando a misurarla, produce una

maggiorazione di tempo, un tempo di riposo aggiuntivo se il carico meccanico è

più elevato; l’altra è quella di spalmare la fatica, il lavoro più equo possibile, a

bilanciarlo tra le persone. Altri sistemi lo fanno anche, per come ho visto io, dal

momento che ho visitato le fabbriche in Germania, applicano Ergo-Uas da

tantissimi anni e ha un equità abbastanza garantita. Il problema sono alcune

postazioni che, per loro natura e per come è conformata l’automobile, restano

complicate da modificare e lì si può soltanto intervenire organizzando, magari,

assegnando più tempo, ruotando, ecc.

10) Qual è la situazione attuale all’interno del gruppo rispetto alla

sperimentazione del WCM nei vari stabilimenti? Perché alcuni stabilimenti sono

più avanti e altri no, dipende dalla capacità dei lavoratori, dal management

aziendale?

È una scelta del sistema. Il sistema è strutturato così, anche se la logica in Fiat è

stata quella di un’applicazione top-down. C’è un forte “commitment” della

dirigenza e poi viene esteso a tutta la fabbrica, non però proprio a tutti, ma si va

aree modello, si va per sperimentazioni successive. Prima si sceglie una zona

attraverso dei criteri normalmente, attraverso dei criteri magari la zona più

critica e da quella si procede una volta che le cose funzionano ad estendere in

altre aree e zone fino a convincere tutto il “plant”. E così vale adesso per i vari

“plant”che non sono partiti tutti insieme, ma abbastanza insieme. Qualcuno ha

fatto un po’ da lepre, come si dici in gergo. Il primo a sperimentare il WCM è

stato Mirafiori e gli altri, la Fiat Industrial dopo.

11) Qual è il tasso di sindacalizzazione?

Page 244: WCM (World Class Manufacturing)

240

A livello generale, in Italia sul 30% ovvero, 1/3 dei lavoratori sono iscritti al

sindacato, però l’85% vota all’elezione dei rappresentanti. Per sindacalizzazione si

intende l’iscrizione al sindacato, che va a misurare la rappresentatività. Invece, in

termini di rappresentanza, abbiamo percentuali molto elevate di partecipazione

al voto, il 95%.

12) Che impatto ha avuto il WCM sulle relazioni industriali?

Per ora abbastanza residuale, a parte il tema delle medaglie. E’tutto un po’ in

divenire. Però sono convinto che nei prossimi mesi e anni ci sarà più

contaminazione tra il modo di lavorare nelle fabbriche e le relazioni industriali.

13) Qual è il rapporto con l’azienda? Siete interpellati? Il sindacato ha la

possibilità di discutere o deve sempre scendere a patti con l’azienda? Qual è la

dialettica dei problemi del dialogo con l’azienda?

C’è un sistema partecipativo in essere all’interno della fabbrica. Ci sono delle

commissioni, esistono dei luoghi dove quasi quotidianamente vengono utilizzate

per discutere le varie problematiche relative all’organizzazione del lavoro, della

saturazione; poi ci sono delle commissioni specifiche per la salute e la sicurezza; ci

sono delle commissioni che si occupano di servizi aziendali, mensa, trasporti,

varie problematiche interne. Quindi, il sistema di relazioni, anche quotidiane

all’interno dell’azienda esiste, così come esiste un sistema di relazione con il

territorio a livello nazionale. Tieni conto che in Fiat le relazioni sono gestite a

livello nazionale, soprattutto, c’è una forte centralizzazione nella fase di

contrattazione, per ciò che riguarda la quotidianità, la gestione partecipativa

esistono questi strumenti contrattuali.

Page 245: WCM (World Class Manufacturing)

241

14) Funzionano effettivamente o il coinvolgimento del sindacato è solo

formale? Nel senso che l’azienda riferisce le cose che ha già stabilito, cioè vi è

un predominio dell’azienda sul sindacato?

Più o meno, in alcune stabilimenti funzionano abbastanza. C’è un buon livello di

concretezza per quanto riguarda il lavoro delle commissioni. Non sono dei luoghi

formali dove si ci scambia qualche informazione, cioè dove si ci incontra una

tantum, ma esistono proprio dei casi che vengono affrontati, risolti. Purtroppo, in

molte realtà questo non avviene, per varie ragioni. Ciò dipende molte volte dalla

cultura sindacale, ma anche da quella manageriale che, a mio avviso, non

considera questi strumenti come qualcosa di utile per gestire le problematiche

quotidiane.

Non si considera nell’interlocuzione qualcosa che è utile, per gestire i problemi,

avere degli strumenti. A volte c’è un “gap”, un defict di capacità e conoscenza da

parte dei rappresentanti sindacali che noi paghiamo poi e non è sempre colpa dei

manager; altre volte gli stessi manager preferiscono fare da soli senza

coinvolgere i rappresentanti, e questo, credo sia profondamente sbagliato, ma fai

conti con una cultura che è quella Fiat, che non n’è che abbia mai investito in

relazioni sindacali serie, come avviene altrove.

15) Non c’è mai stato un buon rapporto con il sindacato?

È un rapporto politico, non concreto, non legato al lavoro, legato più ad aspetti di

ordine ideologico.

16) Secondo lei, con l’implementazione del WCM, l’azienda sta cercando di

“individualizzare” sempre di più il rapporto con il lavoratore? Senza

l’intromissione del sindacato?

Page 246: WCM (World Class Manufacturing)

242

Si, cerca di individualizzare, secondo me, una fabbrica senza sindacato produce

molto problemi, ma io sono di parte perché sono un sindacalista.

Parlando di processi di miglioramento continuo, il sindacato è ovviamente un

sindacato partecipativo, potrebbe essere uno formidabile strumento da utilizzare

per l’azienda. Quest’ultima paga dei consulenti esterni per farsi osservare da

qualcuno all’esterno, proprio per andare oltre il conformismo aziendale. Quindi

penso che le relazioni sindacali, proprio nell’ottica dei sistemi di miglioramento

continuo, possano avere un ruolo diverso rispetto al passato, in ruolo

all’organizzazione. Poi questo non sostituisce completamente la contrattazione

perché ci sarà sempre uno spazio di contrattazione che avverrà ogni tanto, in cui

si decide magari anche di litigare, si decide di cambiare alcune regole, però, per

ciò che attiene alla partecipazione, ovvero la gestione quotidiana delle

problematiche del rapporto tra azienda e rappresentanti dei lavoratori, credo che

il sindacato possa avere un ruolo utile all’azienda stessa. Questo in Fiat non c’è

ancora, non c’è questa visione che consente di far fare un salto di qualità alla

partecipazione.

17) Quindi, secondo Lei, non c’è ancora questo “sindacato d’impresa” o

partecipativo?

No, è tutto da costruire. Questo anche per responsabilità del sindacato. Faccio

anche un po’ di autocritica, ma soprattutto per responsabilità dell’azienda.

18) Se questo dovesse avvenire, potrebbe tradursi in un sindacato al servizio

dell’azienda?

Questo è un rischio! In Giappone è un po’ così. Il rischio dell’aziendalismo c’è,

però il problema è che io, da tantissimi anni, sento dire che il sindacato deve

essere più vicino al lavoratore, dove è il luogo di lavoro. Poi, però, magari rischi di

sentirti dire che sei aziendalista. È chiaro che i rischi ci sono, però, in questa fase

Page 247: WCM (World Class Manufacturing)

243

storica un sindacato solo politicizzato, che ha delle istanze che non tengono conto

del contesto lavorativo di quell’azienda, non ha più spazio. Tu sei costretto ad

essere lì e provare a tutelare i lavoratori partendo dalla loro situazione concreta,

sennò tutto il resto rischia di non incidere per niente. Questo penso sia una scelta

obbligata. Il rischio dell’azienda c’è, bisogna adottare qualche contromisura che

venga in aiuto. Io non lo vedo così complesso da gestire.

19) Qual è il suo rapporto con le altre organizzazioni sindacali? Cercate un

dialogo?

Assolutamente si! Uno dei nostri problemi in Italia è quello di avere troppe sigle

sindacali. Si è più preoccupati a litigare con il proprio collega che con l’azienda e

questo è un altro tratto culturale che dovremmo superare. Al lavoratore non

interessa l’organizzazione, a volte neanche lo sa, ma interessa che tu,

sindacalista, sia in grado di risolvere il problema, di tutelarlo, di rappresentarlo.

Poi non è vero che ci sono ancora molti lavoratori che sono ideologicamente

affezionati, perché c’è una visione un po’ politica del sindacato, anche se la

stragrande maggioranza dei lavoratori non la pensa più così. Il fatto che noi

abbiamo più un rapporto conflittuale con le altre organizzazioni che di

collaborazione, non va a favore del sindacato stesso. Io sarei per il superamento

di tutte queste barriere. Troppe sigle sindacali. Rischiamo il modello francese, un

sindacato poco rappresentativo e istituzionale. Io credo che serva di più un

sindacato rappresentativo, che sta lì, conosce i problemi, piuttosto che tanti

sindacati.

20) Il ruolo delle Rsu che hanno potere di contrattazione, alla fine che fanno?

Come si comportano?

Il realtà non hanno grande potere di contrattazione. Nello schema del contratto

Fiat svolgono una “gestione partecipativa”. Magari alcune cose le contrattano

Page 248: WCM (World Class Manufacturing)

244

anche, tipo le ferie, il calendario annuo, ma non è che possono contrattare, in

quanto anche questo è uno schema vecchio. Più che altro devono gestire e perciò

gli vengono affidati degli strumenti. Hanno un impianto partecipativo e devono

farlo funzionare. Esso è un lavoro imponente, però l’idea della contrattazione

continua appartiene al passato. Che tu sei lì ad usare il micro-conflitto per ogni

volta fare qualcosa, nello schema partecipativo questo si chiama gestione

partecipativa. Non è che ogni volta rivedi il contratto, le regole, perché la

contrattazione è questa: le regole le scriviamo per tre anni. Poi sono quelle non è

che ogni giorno ci mettiamo a discutere che regola usiamo, perché questa è

proprio la pecca italiana che facciamo le regole e poi non le rispettiamo, per poi

discuterle non ha senso. Le regole si scrivono, dopo di che ci sono degli strumenti

e delle strutture per farle funzionare, perché servono ad affrontare questa e la

partecipazione.

21) Come avviene la contrattazione? Chi negozia? Che cosa viene negoziato?

La contrattazione avviene soprattutto a livello nazionale. C’è un contratto che

definisce le regole, ovviamente in stretto rapporto con i vari territori, i

rappresentanti di fabbrica; cioè un elaborazione che ciascuna organizzazione fa

al suo interno e che poi vengono messe insieme producendo un documento che si

chiama “piattaforma”, in cui poi si discute con l’azienda. L’azienda ha poi la sua

piattaforma che si confronta con la nostra e si litiga, e si prova trovare una

soluzione che si chiama contratto.

22) Secondo lei, ci stiamo avviando verso il decentramento della contrattazione

collettiva e delle relazioni industriali? Come valutate la scelta di un contratto a

livello aziendale, unico dell’auto?

No, ci possono essere anche degli spazi di contrattazione a livello territoriale,

però tu hai uno schema di contrattazione che prevede varie cose, alcune generali

Page 249: WCM (World Class Manufacturing)

245

altre più dedicate, specifiche. La gestione poi dei problemi si chiama

“partecipazione”. Ma non c’entra la contrattazione. Spesso noi confondiamo le

due cose pensando che siano un'unica cosa. E’ un salto, un cambiamento

culturale che ancora non abbiamo fatto e io ritengo che sia fondamentale.

Chiaro che io mi riferisco ad una grande impresa globale, anzi, addirittura noi

potremmo pensare ad una contrattazione globale e questo si mi piacerebbe: un

contratto mondiale, unico del gruppo Fiat Chrysler e poi alcune cose definite a

livello locale. Ormai siamo nel mondo. Il WCM è un sistema globale. Loro

utilizzano lo stesso linguaggio; ciò che avviene a Mirafiori avviene anche in Cina,

in quanto utilizzano gli stessi termini. Quindi, se noi guardassimo a questi nuovi

sistemi, dovremmo cambiare anche la nostra impostazione e a me piacerebbe

avere uno sguardo più globale che poi scende nel dettaglio. Però capisco che

questo vale per un gruppo, una multinazionale come può essere adesso Fiat

Chrysler. Se pensi ad una piccola media-impresa le cose sono diverse. Lì avrei un

po’ di dubbi se lasciare tutto solo a livello aziendale, in quanto, in una piccola

realtà, il potere che hanno i sindacati territoriali può essere molto relativo e c’è il

rischio di molta frammentazione, allora lì bisogna ragionarci un po’ meglio.

Servono delle regole che preservino un quadro più ampio, generale che potrebbe

essere un contratto dell’industria, e poi scendere a livello nazionale. In Fiat, il più

viene gestito a livello nazionale, però in questo contratto si tiene conto delle varie

realtà. Penso si possano trovare delle forme per venire incontro ad esigenze

diverse. Marchionne ha adottato un contratto specifico perché dice: “Io cosa

c’entro con la siderurgia, informatici, discutiamo di quello che ci interessa”.

Questo, Volkswagen l’ha fatto parecchio tempo fa. Io dico che sarebbe

interessante trovare delle forme più intelligenti per dare delle risposte anche sul

piano locale, però in un contesto contrattuale nazionale.

23) Con le vertenze di Pomigliano e Mirafiori, che cosa è cambiato? Cancellano

diritti e garanzie per i lavoratori?

Page 250: WCM (World Class Manufacturing)

246

No, non cancellano diritti e garanzie per i lavoratori, anzi ne aggiungono

qualcuno, ad esempio, il sistema Ergo-Uas, ovvero il diritto del lavoratore a far

controllare la propria postazione di lavoro, cosa che prima nei contratti Fiat non

c’era. Sono state modificate delle tutele, è stato modificato il regime delle

flessibilità. Per quanto riguarda gli orari di lavoro, però, quello che ti dicevo

prima, la nostra idea è che la contrattazione, intesa come attività quotidiana.

Invece, qui si pensa ad un sistema in cui la contrattazione la fai “una tantum” e

poi usi la partecipazione per la gestione quotidiana.

24) Secondo Lei, la costituzione della New Company ha un fine antisindacale?

Dal momento che quest’ultima non aderendo a Confindustria rende

inapplicabili non solo i contratti nazionali ma anche quelli interconfederali sulla

rappresentanza sindacale?

È un po’ datata, perché non c’era il contesto giuridico e anche contrattuale che

non consentiva alla Fiat e Marchionne di fare alcune operazioni. C’era dentro

Confindustria e ora non è più necessario. Infatti, la “New-co” non esiste più.

25) Negli USA la contrattazione avviene a livello aziendale invece che a livello

nazionale, è possibile secondo Lei un’analoga strada anche in Italia dove vi

sono sindacati che collaborano e altri invece dissenzienti?

Gli Stati Uniti sono una struttura federale, quindi è molto diverso. In Germania

non esistono i contratti nazionali così come li trattiamo noi, perché gli Stati Uniti

sono federali, ma esiste una struttura basata sui “Land”, e quindi è una ragione di

carattere giuridico. Poi ci sono norme sul lavoro molte diverse tra l’Italia, Stati

Uniti e Germania. Io credo che, pensando a Fiat, non vedo nessun problema per

una contrattazione aziendale, perché in realtà per noi è come se fosse un

contratto nazionale, non è cambiato nulla. Si chiama in un altro modo, è un

contratto di fatto nazionale, specifico perché riguarda solo quel gruppo di

Page 251: WCM (World Class Manufacturing)

247

lavoratori ma è un contratto di fatto nazionale perché Fiat ha stabilimenti in tutte

le regioni italiane che riguarda 86.000 persone sparse sul territorio. Pensando al

resto, secondo me, non è che non si può rinunciare al contratto nazionale, l’unica

cosa è che è necessario garantire, pensando com’è la struttura produttiva

italiana con troppe piccole imprese che non avrebbero la forza di fare la

contrattazione. Bisogna garantire comunque un livello di base per tutti e questo è

importante. Se lo fai attraverso un contratto nazionale oppure attraverso dei

contratti di settore o di territorio, non è che mi scandalizzo. Rinunciare al

contratto nazionale e fare solo quello aziendale è una cretinata in Italia, va bene

per Fiat, ma per le piccole-medie imprese, porterebbe ad un impoverimento della

contrattazione e quindi dei lavoratori.

26) Cosa ne pensa dell’acquisizione di Chrysler?

Chrysler è stata un operazione incredibile. La Fiat ha salvato Chrysler e la Chrysler

ha salvato Fiat. Chrysler l’ho visitata nel 2009, era un azienda morta, non

sapevano fare le auto, abbandonati a se stessi. Senza l’operazione la Fiat non ce

l’avrebbe fatta. Non è che adesso ce l ha fatta solo perché si chiama Fiat-Chrylser,

la sfida è aperta, difficile e complicata. Oggi, per competere nel mondo e per

produrre automobili, sono necessarie alcune condizioni: una di queste è quella di

essere grandi, di avere una massa critica importante e spalmare i costi di

un'unica piattaforma su tantissime vetture. L’operazione Fiat-Chrysler ha

consentito di realizzare, almeno in linea teorica, questa massa critica,ma ora

dipende dal mercato. Mel mondo, la Toyota e Volkswagen sono quelli che hanno

ottenuto importanti risultati. Anche se ora nessuno può sentirsi al sicuro, è tutto

in divenire, in quanto chi è più bravo riesce a vincere. È una competizione

continua. Si ha avuto l’opportunità di allargare ad altri mercati. Le Maserati che

vengono prodotte qui a Grugliasco, vengono vendute nella gran parte dagli Stati

Uniti, in Cina. Senza Chrysler non si potrebbero vendere queste Maserati negli

Page 252: WCM (World Class Manufacturing)

248

Stati Uniti, senza la rete commerciale di Chrysler non si farebbero tutte queste

migliaia di auto che costano 80-160 mila euro ciascuna.

Page 253: WCM (World Class Manufacturing)

249

Intervista Edi Lazzi

(Segretario responsabile FIOM-CGIL)

Mi può raccontare la sua esperienza all’interno del Gruppo Fiat oppure del

sindacato? Qual è stato il suo percorso?

Il mio percorso è che semplicemente sono arrivato lì grazie alla FIOM-CGIL. Sono

un funzionario della FIOM e lo facevo già da un po’ di anni. Poi, ogni tanto, noi

ruotiamo nei vari territori, anche perché se stiamo sempre nello stesso posto,

dopo un po’, uno, da tutto per scontato di aver già conosciuto tutti, e quindi ogni

tanto ruotiamo. E nella rotazione io sono arrivato lì a Mirafiori, e per la FIOM

sono arrivato alla carrozzeria che di Mirafiori è il pezzo più grosso e poi

successivamente sono diventato il segretario responsabile di tutto il sito di

Mirafiori.

1) Che cos’è il World Class Manufacturing? Come vede il WCM? Qual è la sua

percezione?

È una metodologia di organizzazione del lavoro. Banalmente, secondo me, ha

delle buone caratteristiche, nel senso che c’è una filosofia di fondo che parte dal

presupposto che più il lavoro è organizzato in maniera strutturata, scientifica, in

maniera che tutto sia al suo posto meglio, è per la produttività. Diciamo che c’è

una logica che spinge molto, non sullo sfruttamento semplicemente del lavoro,

quindi vai più veloce, ma c’è un idea un po’ concettuale che riguarda

l’organizzazione del lavoro. Molte delle cose, e con questo non voglio svilire il

WCM, sono cose di buon senso. Altra cosa che il sindacato ha detto da un sacco

di anni, piuttosto che insistere sul lavoratore bisogna guardare un po’ il tutto. È

evidente che se la mia postazione è pulita, intanto io, lavoratore, starò meglio, se

i pezzi che devo montare sull’autovettura sono già sequenziali, è meglio, perché

vuol dire che farò meno fatica a cercarli. Se nella filosofia aziendale c’è l’idea di

Page 254: WCM (World Class Manufacturing)

250

andare a ricercare gli sprechi, ridurre gli sprechi e per quella via, poter abbassare

il prezzo del prodotto ci da più possibilità di rimanere sul mercato. Quind, sotto

questo punto di vista, il WCM è una cosa positiva. Arriva da lontano, non l ha

inventato la Fiat il WCM, c’era il kaizen, il WCM è una forma di evoluzione e di

adattamento del kaizen giapponese alla realtà Fiat.

2) Come si inseriscono i lavoratori nella nuova organizzazione? Cosa cambia per

loro?

Per loro cambia poco e nulla, perché in realtà c’è una discrepanza. Questo, sono i

lavoratori che c’è lo raccontano, tra ciò che è il WCM, cioè rispetto al manuale del

WCM e poi come viene applicato concretamente in Fiat. La Fiat piano piano sta

cambiando, ma ha, però, un entourage culturale che si porta dietro da un po’ di

anni e che la gerarchia aziendale ha tramandato di generazione in generazione

rispetto ai responsabili delle officine. Che poi alla fine, al di là di quello che viene

detto dall’alto, l’importante è fare i pezzi, quindi traduco: magari i lavoratori

dicono qui c’è un problema, il capo risponde tu non ti preoccupare comunque vai

avanti, che è un contraddizione di termini. Il WCM come principio è: se c’è

qualcosa che non va bisogna segnarla e intervenire nell’immediato. Invece,

troppo spesso ancora adesso, quando ci si trova in difficoltà all’interno

dell’officina, quando il lavoratore fa presente che ci sono delle cose che non

vanno, troppo spesso la risposta da parte del diretto capo è tu non ti preoccupare

comunque vai avanti. C’è questa idea che la produzione deve essere spinta, nel

vero senso della parola, quindi la sua applicazione. Adesso ho fatto un macro

esempio ne potrei fare altri, è ancora zoppicante. La fabbrica è più pulita,

menomale! Santo Dio! Le fabbriche dell’immaginario collettivo, quelle buie, dove

c’erano le scintille non ci sono più. Qualcuna ancora sì, di quelle piccole, ma delle

multinazionali, delle aziende moderne. Non ci sono più queste fabbriche, sono

quasi tutte sufficientemente pulite. Il WCM spinge molto in questa direzione,

infatti, sotto questo punto di vista, c’è sicuramente un miglioramento, c’è un

Page 255: WCM (World Class Manufacturing)

251

miglioramento delle condizioni ambientali. Diciamo che rispetto alle cose che il

WCM dice, la sua applicazione c’è ancora molto strada da fare, anche perché c’è

la mentalità ancora spinta in Fiat. Alla fine, il peso della gerarchia aziendale c’è e

si fa sentire. Un altro esempio, i suggerimenti di miglioramento. Molte volte

questi o, non vengono presi proprio in considerazione e quindi sottovalutati,

oppure sono suggeriti dai capi dell’azienda, che cosa devono scrivere nei

suggerimenti, quanti ne devono mettere e poi magari riescono anche a pilotare

quattro premi che vengono dati. Quindi ci sono due lati della medaglia del WCM,

una che è sicuramente positiva altro che ha sicuramente ancora un aspetto

chiaro-scuro.

3) Il coinvolgimento dei lavoratori è un elemento essenziale data la

vulnerabilità del programma? Che cosa fate per favorire il loro coinvolgimento?

Quali sono i principali strumenti che vengono adottati per motivare/valorizzare

i lavoratori all’interno della nuova organizzazione?

Queste cose ci sono, ma le organizza l’azienda. Rispetto al ruolo del sindacato e

appunto dei lavoratori, no al momento non ci sono. C’è una situazione anomala

in questo periodo, nel senso che la FIOM ha deciso di non firmare un accordo alla

Fiat, e quindi noi siamo stati esclusi dal rapporto con la Fiat. Un rapporto che noi

ci siamo conquistati con le sentenze e giudici dall’altro, rapporti di forza che

abbiamo con l’alto. La Fiat non coinvolge la FIOM, per questa ragione. Io, per

quello che vedo, non coinvolge neanche gli altri sindacati. L’idea della Fiat del

sindacato è una cosa che deve essere funzionale, strumentale al suo interesse. Il

sindacato come accompagnatore dei processi. Nel momento in cui il sindacato

inizia, in qualche modo, a dire alla Fiat anche su cose che dovrebbe la stessa

condividere, come il WCM, e vuole essere davvero protagonista, portatore di un

idea che magari vuole essere anche parzialmente differente da quello che pensa

l’azienda ma che può essere in qualche modo lo specchio di quello che pensano i

lavoratori, la Fiat non lo vuole.

Page 256: WCM (World Class Manufacturing)

252

4) Il sindacato non viene visto quindi come parte integrante?

No! Poi, un altro aspetto è che il WCM non parla mai del sindacato. Il WCM parla

dell’azienda e del lavoratore. Quindi, l’organizzazione sindacale entro questo

meccanismo, in realtà, non c’è neanche. Poi, ovviamente all’azienda e ai

sindacati, che in qualche modo voglio semplicemente accompagnare i processi, fa

comodo darsi una reciproca affidabilità per accreditarsi. Ma se dopo dobbiamo

andare a vedere che cosa è effettivamente il ruolo del sindacato nel WCM, e

nell’intervenire sul WCM, nel rappresentare i lavoratori dentro il WCM e dentro la

Fiat, è nullo.

5) In seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si è realizzato

concretamente o ancora vi è una partecipazione debole? sia da parte del

sindacato che da parte dei lavoratori.

La partecipazione è debole per le cose che dicevo prima. Per arrivare a quello che

ha sulla carta la stessa FIM, di strada bisogna farne tanta. Anzitutto,

bisognerebbe che la Fiat decidesse radicalmente di cambiare mentalità, e che è

quello che dicevo prima, ovvero quello di accettare il sindacato come un tuo

interlocutore, che si siede e ti guarda negli occhi alla stessa altezza. Se invece tu

pensi Fiat, che il sindacato non è un tuo interlocutore e che quando ti siedi, tu

Fiat, sei seduta dieci metri sopra, non ci potrà mai essere quella forma di

partecipazione vera, sarà sempre finta, sarà una partecipazione sulla carta,

semplicemente dettata dalle mode del “momento”. Oggi c’è il WCM, la qualità

totale di qualche anno fa, degli anni ottanta … Ma di che cosa stiamo parlando?

La qualità totale è di nuovo campagna della Fiat sulla qualità totale, zero difetto,

il coinvolgimento, non ne mai stato coinvolto nessuno. Se allora il cambiamento

ci deve essere, questo cambiamento deve essere reale. Ripeto il WCM sulla carta

è una cosa positiva, come dicevo prima, tra l’altro, una cosa che il sindacato ha

Page 257: WCM (World Class Manufacturing)

253

già detto da anni, in Fiat e altrove. Adesso piano piano anche le aziende arrivano,

ma il concretizzarsi di questo WCM non tiene conto del sindacato e dei lavoratori

come portatori di un’istanza che, come dicevo prima, può essere differente.

Occorre un profondo cambio di mentalità. Tra l’altro il conflitto positivo non può

sempre essere visto come contrapposizione pura: se due persone si siedono di

fronte a un tavolo, e sullo stesso argomento hanno due punti di vista differenti,

devono avere la capacità di trovare dei punti di mediazione. Se stiamo parlando

di organizzazione del lavoro, è evidente che a tavolino gli ingegneri che

progettano il lavoro, il WCM, che dalle direttive su come determinate cose

devono essere fatte. Hanno un loro punto di vista. Gli operai, nella catena di

montaggio, ne hanno sicuramente un altro, ma non perché gli uni o gli altri sono

più cattivi, perché fanno due cose differenti: quello che vede l’ingegnere non lo

vede l’operaio e quello che vede l’operaio non lo vede l’ingegnere. Bisognerebbe

avere la capacità di stare intorno a quel tavolo e capire che se l’operaio o il

sindacato che rappresenta gli operai ti stanno dicendo che quella cosa fatta così

non va bene e si potrebbe fare in un altro modo. Bisognerebbe dargli ascolto,

bisognerebbe trovare dei punti di convergenza, cosa che ti assicuro in Fiat non

accade mai!

6) Forme di disaffezione e di protesta quali la non partecipazione alle attività di

miglioramento continuo della qualità, l’assenteismo, lo sciopero, vengono

praticate? Quali sono i livelli di assenteismo? Ci sono dei dati?

I livelli di assenteismo, al momento, credo che siano intorno al 5%, poi bisogna

vedere che cosa si intende per assenteismo. La Fiat dà dei dati che sono

comprensivi delle persone che sono in malattia, anche di quelle che sono in ferie,

in maternità. Teoricamente non si può immischiare. Se parliamo di assenteismo a

livello di malattia abbiamo dati inferiori. Gli operai che si mettono in mutua per

protestare contro l’azienda ci sono, ma sono una minoranza, perché, pensare che

la malattia e la mutua siano usati in maniera impropria dalla stragrande

Page 258: WCM (World Class Manufacturing)

254

maggioranza dei lavoratori, è una sciocchezza. La stragrande maggioranza dei

lavoratori sta in malattia quando sta male e sta in malattia, magari, quando non

sta male, ma in logoro dalle condizioni di lavoro. La fabbrica è pulita e luminosa

ma lavorare in catena di montaggio è dura, fanno operazioni che stanno sotto il

minuto, quindi vuol dire che per ogni minuto della loro vita quei lavoratori

ripetono lo stesso movimento e lo fanno per 8 ore al giorno per 5 giorni la

settimana per 22 giorni al mese per 365 giorni l’anno. Se la si vede da

quest’ottica c’è quasi da impazzire. Quindi, io non mi scandalizzo se un operaio

dopo 3 mesi di lavoro consecutivo, anche se non sta male, va dal medico e dice,

mi sento un po’stanco ed esaurito. Non fa l’ingegnere, non sta seduto dietro una

scrivania. Secondo me è legittimato a chiedere dei giorni, questo però non si può

confondere con il fatto che i lavoratori non hanno voglia di lavorare o che usano

la mutua come protesta nella generalità dei casi. Quindi lì, l’assenteismo è

fisiologico e delegato alle condizioni di lavoro. È normale che un operaio chiede

una mutua più di un ingegnere. Io vorrei vedere il contrario, se un ingegnere lo si

prende e lo si mette in catena di montaggio, improvvisamente, fa più mutua di

quel lavoratore che ha sempre lavorato in catena di montaggio, e allora di che

cosa stiamo parlando?

7) Secondo lei il lavoro diventa più autonomo e intelligente? oppure soltanto

più gravoso, o forse entrambe le cose insieme?

Più gravoso dipende dalla tempistica che viene applicata, quanto tempo tu devi

fare un’operazione. Più intelligente in assoluto no! Anche questa cosa qua si

vuole dipingere il fatto che l’operaio mette del suo, mette l’intelligenza, sono

tutte balle! È propaganda assolutamente, anzi, possibilmente per l’azienda: più

sei uomo scimmia è meglio è! È così! Bisogna raccontarsi le cose come sono.

Quando sento parlare gli altri sindacalisti che fanno da opoteosi, cioè, o

prendono in giro se stessi e sono proprio convinti che si stanno prendendo in giro,

oppure a chi la raccontano. Non c’è un elemento in più di intelligenza che i

Page 259: WCM (World Class Manufacturing)

255

lavoratori mettono sul lavoro in catena i montaggio e non lo vuole neanche

l’azienda. Non è vero che l’azienda vuole gente più colta, più preparata. Sì,

magari la vuole un po’più colta perché così non deve stare lì troppo dietro a

rompersi le scatole a spiegargli una semplice operazione, però colta fino a un

certo punto, perché se poi sei troppo colto e inizi a rompermi le scatole non vai

più bene. Sono delle forzature, e poi di nuovo stiamo parlando di una tipologia di

lavoro in cui oggettivamente, cosa vuoi mettere della tua testa, quando devi fare

la stessa operazione, un po’ di rispetto per delle persone che fanno un lavoro che

è dignitoso ma che, nei contenuti, è quello che è. Valorizzarlo così astrattamente,

io penso che sia anche mancanza di rispetto nei riguardi di chi lo fa veramente.

8) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza

del posto di lavoro? A tal proposito, nel quadro del WCM, è stato inserito un

sistema specifico chiamato Ergo-Uas, cosa ne pensa? Ha portato ad una

riduzione della fatica dello stress, e delle malattie di tipo muscolo-scheletrico?

L’Ergo-Uas è una metodologia come le altre, che ti scompone in tempi preordinati

i movimenti e vengono applicati. Non mi sento di esprimere neanche un giudizio,

è una cosa così tecnica. Ma non per il tecnicismo, da un certo punto in avanti, a

partire dall’organizzazione scientifica del lavoro che si prova a scomporre i

movimenti per dargli un tempo standard. È giusto così! Le aziende devono

produrre, devono avere la redditività, produttività ed è giusto che sappiano

quanto tempo ci vuole, almeno sulla carta, a fare una determinata situazione.

Quindi non mi sento di dare un giudizio nei confronti dell’Ergo-Uas, forse nella

parte ergonomica punta anche a dare degli elementi in più rispetto alla fatica che

il lavoratore fa e quindi gli interventi necessari per evitare, insomma, possa

ammalarsi a livello professionale, il tunnel carpale e quant’altro. La cosa che in

Fiat è stata ed è devastante, è il fatto che nel passato c’erano degli accordi che

intervenivano direttamente sulle condizioni di lavoro e sulla metrica del lavoro.

Accordi che permettevano di stare meglio e di avere la possibilità, tramite

Page 260: WCM (World Class Manufacturing)

256

l’organizzazione sindacale, di avere degli interventi quando qualcosa non andava.

Faccio un esempio: c’erano degli accordi che dicevano, al di là della metrica che

veniva applicata, che comunque tu non potevi essere saturato sulla linea di

montaggio più del 87% del tuo tempo, cioè i movimenti reali che tu facevi, al di là

di quanto tempo ti veniva assegnato, non potevano essere superiori rispetto a

una determinata percentuale della tua presenza all’interno dell’officina.

Ovviamente questo riduceva la tua fatica. Adesso, dato che la Fiat ha dato la

disdetta di quegli accordi che le altre organizzazioni hanno condiviso, il lavoratore

può essere saturato fino al 99% del suo tempo. Quindi vuol dire che lavora minuti

attivi in più, mentre prima le cose le doveva fare in un tempo minore. Non voglio

entrare troppo nel tecnicismo perché sarebbe più articolato, ma se il tempo è

100, prima lavoravo l’87% ora arrivo fino al 99%, quindi c’è un aumento. Tramite

questa via c’è la cosa negativa, che non è riferita al WCM di per sé: la cosa

negativa è che adesso la prestazione si è intensificata, ma perché sono stati

disdetti quegli accordi sindacali, e, di nuovi accordi la Fiat non ne vuole più fare,

perché ha stabilito che il tempo di saturazione è il 99% perché la metodologia

prevede quello, ho capito la metodologia prevede non c’è scritto in nessun libro

sacro che se la metodologia prevede che tu puoi essere saturato al 99% ma il

lavoratore fa fatica, alla fine stabiliamo per accordo che non sarà l’87 ma magari

il 90 o 92%. Oppure prima c’erano 40 minuti di pausa. Hanno tagliato le pause di

10 minuti. Uno può dire va bè 10 minuti … Ma 10 minuti, per chi lavora in catena

di montaggio, sono fondamentali, importantissimi, vuol dire 10 minuti in meno di

lavoro: posso riposare gli arti, rilassarmi. Però, ripeto, non sono seduti dietro una

scrivania. Quello che mi fa arrabbiare di tutta questa vicenda è vedere come

coloro che dovrebbero in qualche modo capire, oggettivamente capire, quel

punto di vista, si rifiutano semplicemente, perché non ci lavorano loro lì, perché

ascoltano troppo poco le persone. Devo dire di nuovo che lo faccia l’azienda ci

può anche stare, anche se sbaglia e in qualche modo che ci siano dei

rappresentanti del lavoro che condividano queste cose un po’ meno. Non può

passare tutto dal fatto che, o si va così o non c’è la produttività, perché la

Page 261: WCM (World Class Manufacturing)

257

produttività deve essere ricercata, non tramite l’intensificazione di quella

prestazione, ma tramite il WCM e la corretta applicazione del WCM, non di fronte

al fatto che poi alla fine mi tagliano le pause, mi fanno saltare la saturazione al

100% e poi con l’applicazione del WCM. Il capo mi dice va bè vai avanti lo stesso.

Non può funzionare in questo modo! Però, al momento, è così! Sotto il punto di

vista dei lavoratori i miglioramenti non ci sono stati.

9) Qual è la situazione attuale all’interno del gruppo rispetto alla

sperimentazione del WCM nei vari stabilimenti? Perché alcuni stabilimenti sono

più avanti e altri no, dipende dalla capacità dei lavoratori, dal management

aziendale?

Perché alcuni stabilimenti sono partiti prima e quindi sono più avanti, rispetto ad

altri, c’è una scansione temporale. Poi la Fiat ha deciso di concentrarsi nei luoghi

dove si lavora di più, dal momento che la maggioranza degli stabilimenti in Italia

sono fermi, lavorano a Pomigliano e la Maserati. Adesso speriamo che ci sia una

ripresa! Sono otto anni che stanno aspettando quei lavoratori, però si spera che

arrivi. Melfi dovrebbe ripartire. La Carrozzeria di Mirafiori, forse, arriva il modello

alla fine del 2015. Quelli che sono più avanti sono quelli partiti prima e dove c’è

lavoro. Su questo, devo dire, che la Fiat si sta impegnando a portare il WCM

dappertutto. Io ripeto, il WCM è di per se una cosa positiva, dovrebbe essere

applicato correttamente tenendo conto dell’aspetto e dell’idea che i lavoratori

hanno. Bisognerebbe ritornare ad una contrattazione tra i lavoratori tramite le

loro rappresentanze sindacali e aziendali, cosa che al momento non c’è, e la cosa

negativa è che fa peggiorare le condizioni lavorative delle persone.

10) Qual è il tasso di sindacalizzazione?

Adesso non te lo so più dire, essendo in questa situazione di conflitto in senso

negativo, anzi di contrapposizione con la Fiat. Non perché lo vogliamo noi, ma è

Page 262: WCM (World Class Manufacturing)

258

la Fiat che lo vuole. Abbiamo perso alcuni dati. Prima li avevamo perché ce li dava

l’azienda, adesso noi sappiamo orientativamente quanti iscritti possiamo avere

della FIOM, però, quanti ne hanno gli altri, non te lo so dire. Siamo

abbondantemente sotto il 50%. Negli anni passati, il tasso di sindacalizzazione

era più alto. Ti dovresti fare delle domande: come mai adesso si è abbassato? Se

tutto va così bene, i lavoratori dovrebbero essere tranquilli e continuare ad

iscriversi al sindacato, se il sindacato avesse un utilità. Ma dal momento che il

sindacato, per i lavoratori, l’utilità dentro la Fiat ce ne ha poco e niente, perché

gli altri sono spariti, perché accompagnano i processi aziendali e perché la FIOM è

stata messa così ai margini dal gruppo Fiat, che facciamo una fatica immane, è

evidente che quel tasso diminuisce, ma non è un seno positivo che la gente sta

meglio, ma perché le persone pensavo che entro la Fiat essere iscritti ad un

organizzazione sindacale non serva a nulla.

11) Qual è il rapporto con l’azienda? Siete interpellati? Il sindacato ha la

possibilità di discutere o deve sempre scendere a patti con l’azienda? Qual è la

dialettica dei problemi del dialogo con l’azienda?

Non c’è un dialogo! Che l’azienda mi chiami al tavolo e mi dia delle comunicazioni

a un sindacato, non serve a niente. Ma non al sindacato di per sè, quando parlo di

sindacato immagino sempre che siano i lavoratori lì di fronte all’azienda. Il

sindacato è strumento di rappresentanza dei lavoratori, dovrebbero avere. Il

fatto che ci sia dialogo con l’azienda è del tutto inutile e quel dialogo non è

finalizzato a trovare dei punti di compromesso. Se io e te parliamo e parli solo tu

e mi dici semplicemente delle cose e mi riempi la testa di dati, concetti e alla fine

io non posso risponderti, che senso ha questo dialogo? Semplicemente un

prendere atto, che può avvenire guardando, leggendo i giornali. Allora il dialogo

è utile e positivo, se finalizzato alla ricerca di compromessi tra due punti di vista

che in alcuni momenti posso essere differenti, altre volte, invece, si ha una

comunanza di punti di vista. La funzione del dialogo deve essere costruttiva se

Page 263: WCM (World Class Manufacturing)

259

l’azienda dice, possiamo anche stare ore e ore intorno ad un tavolo, possiamo

essere chiamati ogni giorno, quel non vuol dire essere coinvolti, essere coinvolti

vuol dire essere incisivo e riesci a migliorare coloro che rappresenti. Che cosa

serve un dialogo se poi, alla fine, nel momento in cui il sindacato fa una proposta,

la tua risposta è sempre no? Francamente, non mi serve a niente, oppure solo su

delle cose minime e, in questo periodo, neanche queste. Allora bisogna capire che

cosa si intende per dialogo. Per me il dialogo è utile se ci sono dei soggetti che si

siedono di fronte in cui parlano entrambi, entrambi si ascoltano e raggiungono

dei compromessi.

12) Per quanto riguarda gli strumenti, cioè meccanismi di tipo partecipativo,

esistono ancora le commissioni paritetiche? Chi ne fa parte? Quali temi

affronta? Funzionano effettivamente o il coinvolgimento del sindacato è solo

formale? Nel senso che l’azienda riferisce le cose che ha già stabilito, cioè vi è

un predominio dell’azienda sul sindacato?

Si ci sono, però si riuniscono poco, e quando si riuniscono siamo solo alla

comunicazione. Un sindacato di rappresentanti di lavoratori servono se possono

essere incisivi e che sia dall’altra parte qualcuno che sia disposto a dargli ascolto.

Se non c’è nessuno disposto a dargli ascolto dovrebbero riuscire a darsi ascoltare

con il conflitto costruttivo. La Fiat, lo sciopero non lo tollera più. Nell’accordo, che

è una delle motivazioni per cui non abbiamo firmato, ci sono comunque delle

clausole che tendono ad inibire lo sciopero, non a proibirlo perché nella

Costituzione Italiana lo sciopero è un diritto del singolo lavoratore, per cui

neanche un contratto può andare contro la costituzione, ma che ci siano dei punti

che inibiscono lo sciopero è fuori dubbio. Vuoi un esempio? Lo sciopero lo

possono dichiarare anche i lavoratori, però solitamente lo dichiara il sindacato.

Gli operai aderiscono allo sciopero che ha dichiarato il sindacato, ma se tu in un

contratto metti che, se tu sindacato, dichiari uno sciopero, sei legato a delle cose

che tu hai già contrattualizzato e, io azienda ti posso sanzionare. Io, come

Page 264: WCM (World Class Manufacturing)

260

sindacato, non ho più nessun interesse, e qui c’è il soggetto sindacato avulso dal

rapporto con i lavoratori a dichiarare quello sciopero, perché se dichiaro lo

sciopero mi togli i permessi, non mi fai le trattenute in busta paga dei miei

tesserati che ovviamente mi servono per sopravvivere. E’quindi evidente che io ti

inibisco la tua possibilità di dichiarare lo sciopero che non può essere confuso con

il fatto che bisogna mettersi delle regole, ma Santo Dio! È vero che io ho

contrattualizzato e che ci sono dei sabati di lavoro straordinario obbligatorio,

però, magari, in quel periodo lì, sto passando un periodo di attrito con l’impresa

per altre ragioni e, una delle mie armi è dire: anche se avevamo stabilito che quel

sabato è obbligatorio, dichiaro lo stesso lo sciopero agli straordinari perché

stiamo litigando su alcune argomenti. Perché devo non poterlo fare? Se eravamo

in un periodo di tranquillità non mi sarei mai sognato di dichiarare lo sciopero

agli straordinari, quindi anche se lo abbiamo contrattualizzato, secondo me, è

giusto che anche se si sta litigando io posso tutelarmi. E’ un’arma che io ho, ma

se mi viene tolta con la scusa che l’abbiamo già contrattualizzata, e non stai

quindi rispettando l’accordo, è una forzatura. Hanno messo delle clausole che

inibiscono lo stesso sindacato. Tanto è vero che da quando c’è quel contratto

chiedi anche alle altre organizzazioni, quanti scioperi hanno organizzato in Fiat,

zero! Eppure in un gruppo così grande non ci sono mai state motivazioni per non

fare uno sciopero? Ma dai, non scherziamo! Impossibile in due lunghi anni,

neanche un problema? Non lo fanno perché hanno l’idea di non rappresentare

più direttamente quelle persone.

13) Potremmo dire un sindacato al servizio dell’azienda?

Sì! Un sindacato aziendale, al servizio dell’azienda forse è un po’ eccessivo, ma

sindacato aziendalista. Adesso c’è un’idea che per me è sbagliata che la

centralità è impresa. L’impresa è quella che deve decidere tutto, perché l’impresa

deve essere competitiva sul mercato, e lo può decidere solo lei come rimanere

competitiva sul mercato. Stiamo facendo un salto indietro, quando nel 1800,

Page 265: WCM (World Class Manufacturing)

261

quando c’era la battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro oppure la battaglia

per impedire il lavoro ai fanciulli, gli imprenditori/padroni spiegavano che se i

fanciulli non potevano andar più a lavorare, loro avrebbe chiuso le fabbriche

perché determinati lavori li potevano fare solo i ragazzini, dicevano questo. Poi,

per fortuna, il lavoro minorile è stato proibito e nessuna fabbrica ha chiuso per

questa ragione. Quando l’orario di lavoro era di 60 ore alla settimana,

spiegavano che, se lo avessero abbassato a 50 ore, sarebbe stata la rovina,

sarebbero fallite tutte, che sarebbero già andate, all’epoca, a produrre all’estero

con la microscopica globalizzazione che c’era. Sono tutte cose che sono state

dette, ma perché sono insite in quel conflitto positivo che c’è il capitale e il lavoro.

Non voglio usare termini del passato ma sono attualissimi, siamo in un sistema

capitalistico, Santo Dio! Prevede chi detiene i mezzi di produzione e chi non li

detiene, va a lavorare per chi c’è li ha. Quindi, tornando a quello che dicevo

prima, se diminuivi l’orario di lavoro era morte per tutte le aziende.

Assolutamente non è vero, perché per l’impresa, giustamente, l’impresa punta ad

avere il massimo profitto, di far lavorare le persone il più possibile. Ma è giusto!

Se io fossi da quella parte, la penserei esattamente in quel modo, ovviamente

l’interesse del lavoratore è di lavorare meno ore possibili e guadagnare il più

possibile. Tramite questi due punti che sono in antitesi, avere la capacità di

trovare i giusti compromessi. In questo periodo questa capacità non c’è più,

anche perché coloro che dovrebbero rappresentare gli interessi di chi lavora,

sempre i più, sono stati catturati cognitivamente, dall’ideologia che l’impresa è al

centro di tutto, che l’impresa deve poter fare quello che vuoi. Il dibattito che c’è

sull’articolo 18 adesso è una follia. L’articolo 18 dice che l’impresa non ti può

licenziare se non c’è una giusta causa, e stanno spiegando che le imprese non

vengono ad investire in Italia, perché c’è l’articolo 18. Una follia, non è così! A

parte che le imprese possono licenziare, anche quando inattivo, perché c’è una

legge che prevede la riduzione del personale. Cos’è che non possono fare le

imprese? Non possono scegliere la riduzione del personale, chi licenziare. Devono

usare de criteri oggettivi, cioè, io ho un reparto in cui devo calare in 5 persone da

Page 266: WCM (World Class Manufacturing)

262

10 che lavorano. Devo tenere i riferimenti che il legislatore ha messo che sono i

carici familiari, la professionalità. Quindi, se uno ha 10 figli e uno non ha figli,

andrà via chi non ha figli. Se uno ha una professionalità più elevata, andrà via chi

ha la professionalità meno elevata. Sono dei criteri oggettivi, ma non si vogliono

più avere questi criteri oggettivi perché l’impresa vuole poter scegliere, perché

vuole avere sempre di più il comando all’interno dell’azienda, togliendo una parte

di dignità delle persone. Però l’ideologia dice, se c’è l’articolo 18, le imprese non

investono, le imprese straniere non vengono perché c’è una burocrazia che fa

schifo, perché c’è la criminalità. Ma sono altri i motivi perché le imprese non

vengono ad investire in Italia.

14) Il WCM che sta sperimentando la Fiat, sta spingendo verso un “sindacato

d’impresa” o partecipativo?

La Fiat, sulla carta, spinge verso questo sindacato partecipativo, ma in realtà non

vuole nessun sindacato. Il sindacato ti deve servire per accompagnare i processi.

Io devo poter dire: sapete che si ci fa così! Se poi riesco, addirittura, a dire ai

lavoratori che è giusto fare così, ancora meglio! Evito di farlo io direttamente,

azienda. A Fiat è sempre stata così e continuare ad essere così. Poi, a seconda dei

periodi, cambia un po’ le sfumature, cambia un po’ la faccia da ferocia, a volte è

un pò più gentile. La Fiat, il sindacato non l ha mai accettato. Al limite l’ha subito,

come negli anni 70, che c’era la forza dei lavoratori, ma non l ha mai accettato

come soggetto portatore di quelle istanze che possono essere differenti dalle tue

ma che ti possono servire per migliorare tutti quanti insieme. L’idea è del

comando assoluto, mi dispiace dirlo così, ma è la realtà.

15) Qual è il suo rapporto con le altre organizzazioni sindacali? Cercate un

dialogo?

Page 267: WCM (World Class Manufacturing)

263

In questo periodo pessimo! Io non personalizzo mai, non ce l’ho con nessuno

però, in quanto organizzazione, non si ci parla neanche, ed è perfetto per la Fiat.

A parte che il sindacato dovrebbe essere un unico sindacato. In Italia questo non

è possibile per ragioni storiche, siamo più sindacati. Bisognerebbe avere un legge

sulla rappresentanza che stabilisce chi è il sindacato maggiormente

rappresentativo, ma la legge sulla rappresentanza non c’è, quindi, sindacati che

hanno punto di vista differenti e litigano tra di loro, perché ognuno pensa di

avere un punto di vista che è migliore dell’altro, è legittimo. Il vero problema è

che litigando le imprese sono più forti e la Fiat, in questo litigio, si ci è infilata in

maniera più che decisa. Talmente decisa che alla fine il risultato è quello che

dentro le sue aziende non esiste più un risultato. Di nuovo, quel sindacato che

contratta e rappresenta i lavoratori, chi è legittimato, i sindacati firmatari non

contrattano più nulla chi non è legittimato come noi in questa fase di crisi , non

abbiamo la forza. E’normale che i lavoratori sono spaventati, sono intimoriti

anche di fare lo sciopero.

16) Il ruolo delle Rsu che hanno potere di contrattazione, alla fine che fanno?

Come si comportano?

Non ce l’hanno più. Una gestione partecipativa dove l’azienda ti dice che va bene.

Non ce l hanno, non ce l hanno! Mi dispiace dire queste cose. Poi mi rendo conto

che quei lavoratori sono stati lasciati soli da tutti, prima dalla politica. Non c’è più

nessun rappresentante in Parlamento. Le leggi che hanno fatto contro il lavoro in

questi anni sono state fatte perché di lavoratori in Parlamento non ce ne sono

più. Prima c’era qualcuno, erano organizzati anche in un partito. Adesso non c’è

più un operaio in Parlamento, non c’è più un partito che li rappresenta in senso

stretto. Sono stati lasciati soli, a livello parlamentare, politico anche a livello

sindacale.

17) Come avviene la contrattazione? Chi negozia? Che cosa viene negoziato?

Page 268: WCM (World Class Manufacturing)

264

Non c’è.

18) Adesso si è fuori dal sistema Confindustriale, il contratto dei

metalmeccanici in fiat non si applica, è meglio o peggio?

È peggio, perché intanto, se parti dal salario, è sempre più legato alle

performance aziendali. Il contratto nazionale e le regole che c‘erano

precedentemente prevedevano che i lavoratori ricevessero un aumento legato

all’inflazione. Quindi, se c’è stato l’1% di inflazione, l’1% di aumento, anche

perché così mantieni costante il tuo livello di acquisto. Se io ho un salario che sta

sotto il tasso d’inflazione e quindi se l’inflazione è del l1% e il mio salario è

cresciuto del 0,5%, io quest’anno sono più povero dell’anno scorso perché in

termini assoluti, il mio potere di acquisto è diminuito. Poi appunto, il contratto

nazionale garantiva di avere degli aumenti legati al tasso d’inflazione. Poi la

contrattazione aziendale, tramite le performance aziendali faceva più

produttività, ti permetteva addirittura di salire con il tuo salire in termini reali,

con un concetto giusto ed equo, se c’è produttività ci sono più soldi e quindi

guadagni di più. E’saltata, nel gruppo Fiat, è stata scardinata completamente,

non c’è nessun meccanismo che ti tiene agganciato perché la Fiat non lo vuole al

tasso inflazione e gli aumenti, quando ci sono, devono essere solo legati alla

performance aziendale. Che lo decide l’azienda quale deve essere, siamo al

paradosso dei paradosso. Quindi non siamo neanche insieme che lo decidiamo

ma è l’azienda che decide quali devono essere i parametri per stabilire che c’è

stata produttività, redditività, e al quel punto redistribuzione tra i lavoratori con

un sistema di questo tipo nei periodi di crisi e non solo nei periodi di crisi perché

anche nei periodi in cui le cose vanno paradossalmente meglio, se tu non hai un

meccanismo, ti tiene agganciato all’inflazione. Tu, rispetto agli altri

metalmeccanici guadagni meno, tanto è vero che adesso nel gruppo Fiat le

persone guadagnano di meno. Su alcune cose che prima erano fisse ora sono

Page 269: WCM (World Class Manufacturing)

265

sempre più variabili e l’ultimo che contratto che stanno discutendo adesso,

stanno già dicendo, non ci sono aumenti dove ci sono, saranno stabilimento per

stabilimento, quindi anche la divisione tra lavoratore che fanno lo stesso lavoro,

lo stesso mestiere che lavorano in stabilimenti differenti si troveranno ad avere

una paga differente. Questo è quello che sta succedendo nel gruppo Fiat che è

stato frutto del CCSL. Io non penso che gli altri sindacati non se ne rendano conto.

Loro sanno che cosa hanno firmato e che cosa hanno deciso di fare, però solo il

tempo e la storia, andando indietro, tireranno le somme sul disastro che è stato

fatto. La cosa peggiore che quel modello che la Fiat sta riuscendo a far passare è

un modello che si estende, prima a Pomigliano poi a Mirafiori e noi dicevamo

quella roba lì rischia di contaminare negativamente anche il resto dei lavoratori,

cosa che sta succedendo. Tanto è vero che molti gruppi hanno dato disdetta da

Confindustria, dall’accordistica interna come ha fatto Fiat per arrivare ad una

finta ricontrattualizzazione.

19) Secondo Lei, la costituzione della New Company ha un fine antisindacale?

Si, perché hanno creato una nuova compagnia e, di conseguenza, piazza pulita di

tutti gli accordi che c’erano precedentemente. Una roba totalmente nuova che ha

permesso la ricontrattualizzazione, ovviamente al ribasso. Però non si può dire i

sacrifici bisogna farli, alcuni dipende quali e quanti, perché se l’idea è se non si fa

così le fabbriche chiudono e tu inizi una corsa senza fine, perché domani ti

spiegheranno che devi lavorare il doppio e guadagnare la metà. Scusa

l’estremizzazione però è esemplificativa, quando c’è la fine, mai! Perché

l’interesse dell’impresa è quello che dicevo prima portato alle estreme

conseguenze: farti lavorare il più possibile e pagarti meno. E’come per l’operaio

lavorare il meno possibile e guadagnare il più possibili.

20) Quindi, secondo Lei, le vertenze di Pomigliano e Mirafiori cancellano diritti

e garanzie per i lavoratori?

Page 270: WCM (World Class Manufacturing)

266

Sì, annientano diritti e garanzie per i lavoratori. Li hanno nei fatti annientati e la

gente sta sempre peggio e starà sempre peggio. Questa storia non finirà. Ogni

anno c’è un pezzettino in più che se ne va. L’azienda stabilisce, ad esempio,

quando farti fare i tuoi permessi individuali che prima potevi scegliere così.

L’azienda agisce unilateralmente.

21) Le prospettive alla luce del nuovo contratto e dell’acquisizione di Chrysler?

Noi abbiamo parlato a lungo della Fiat, ma la Fiat non c’è più. Adesso c’è FCA,

non è più italiana non è più torinese, non lo è più nei fatti, è quotata a New York,

a sede legale in Olanda e paga le tasse in Inghilterra. Di che cosa stiamo

parlando? Anche quando si dice: ma la Fiat è ancora italiana, chi? cosa? dove?

perché?

Le prospettive al momento per l’Italia, sono state negative, nel senso che

purtroppo uno stabilimento, Termini Imerese, è stato chiuso. A Mirafiori ci sono

ancora della carrozzeria. Su 5400, 3500 sono ancora in cassa integrazione, gli

altri sono andati alla Bertone. Menomale che esiste l’ex bertone, ora Maserati,

che lavora! L’unica cosa positiva di questo periodo della Fiat, è che a Melfi sono

ancora praticamente in cassa e stanno riprendendo adesso a Pomgliano non sono

mai rientrati tutti, il 30% dei lavoratori è in cassa, e secondo me non rientreranno

mai. Stanno andando avanti con gli ammortizzatori sociali. Quando arriveranno

al termine dichiareranno gli esuberi, i licenziamenti. Cassino idem. Quindi, al

momento, quelle grosse positività non si sono viste, abbiamo visto, viceversa,

molte produzioni al di là dell’oceano, gli accordi prevedono questo. Il Governo

Statunitense si è comportato correttamente, ha provato a tutelare i lavoratori

della sua nazione convocando Marchionne, pretendendo delle cose chiare da

Marchionne. In cambio, ovviamente, gli ha regalato la Chrysler. Gli ha detto

anche esattamente che cosa doveva fare. Non c’è stato nessun Governo che ha

convocato Marchionne per dire come mai fino al 2007, in questo paese, si

Page 271: WCM (World Class Manufacturing)

267

facevano un milione di autovetture e adesso se ne fanno meno di quattrocento

mila. Nessuno che ha chiesto conto. Quindi, per quanto riguarda questa fusione,

alcuni analisti dicono si sono salvati a vicenda, altrimenti la Fiat sarebbe fallita.

Sì, può darsi! E’ positivo, ma se lo devo guardare a livello generale e fare un

paragone che si vede e che prima si facevano più automobili in Italia, prima c’era

occupazione, adesso hanno chiuso Termini Imerese, Industrial, la Cnh, Iribus di

Valle Ufita. Ci sono stati anche licenziamenti. E poi lavoratori sono in cassa, non li

hanno ancora licenziati perché per fortuna ci sono gli ammortizzatori sociali. Alla

faccia del Governo Renzi che vuole togliere gli ammortizzatori sociali, così

sarebbero stati sbattuti tutti fuori senza un’occupazione. Un prospettiva grigia!

Vedremo! Speriamo che queste produzioni arrivino. A Mirafiori è dal 2008 che i

lavoratori aspettano la produzione che è stata più volte annunciata, ma che non

è mai arrivata. Adesso siamo nel 2015. Uno poi non ci crede più! Adesso un

autovettura a Mirafiori arriverà! Sarà sufficiente a saturare le 3500 persone che

sono ancora in cassa? La risposta è no, non sarà sufficiente. Bisognerà avere

almeno 2/3, poi dipende dalla gamma. Adesso alla Maserati lavorano 2200

persone, producono due autovetture e arriveranno intorno alle trentasette mila

auto vendute. Se tu ne hai tremilacinque in cassa, e fanno auto della stessa

gamma, due auto di gamma alta non ti sono sufficienti. Meglio che arrivi il

modello, almeno uno. Tutto questo ottimismo che sento poi è di volontarismo

non della ragione, poi noi facciamo i conti con la dura realtà.

Page 272: WCM (World Class Manufacturing)

268

Intervista Flavia Aiello

(Segretaria provinciale UILM-UIL)

Mi può raccontare la sua esperienza all’interno del Gruppo Fiat oppure del

sindacato? Cioè come siete entrati.

Ho iniziato da giovanissima. Mi sono avvicinata al sindacato grazie a mio padre

che era un delegato e, per farmi un’esperienza come si faceva quarant’anni fa,

mentre andavo a scuola, mi sono avvicinata al sindacato. Finita la scuola, mi ha

assunto un’azienda e, dà lì, proprio perché avevo fatto questo percorso

all’interno, mi ha affascinato e quindi ho fatto il percorso da delegata e di una

volontà di uscire fuori per intraprendere quello che è all’esterno. Io ho iniziato nei

tessili. Ho fatto il mio percorso lavorativo che è durato fino al 2001. Dopo di che,

dato che sono una persona alla quale piace mettersi in gioco, a un certo punto,

mi hanno proposto il grande mondo dei metalmeccanici che a Torino è il fulcro.

Dopo tre anni, c’è stata questa richiesta di seguire Fiat, una proposta del genere

mi ha spaventato, subito, però, ho accettato.

1) Che cos’è il World Class Manufacturing? Come vede il WCM? Qual è la sua

percezione?

È un ottimo sistema di lavoro. Bisogna avere una grande volontà di

partecipazione di entrambi, nel senso che è orientato, rispetto a quello che è il

lavorare meglio e con attenzione, nel senso facciamo i pezzi e li mandiamo

avanti, questo sistema qui lo boccia da subito. Il lavorare attentamente è un salto

avanti in quella che è l’attività produttiva in azienda, ma io ritengo che sia un

salto che ancora non abbiamo fatto, però ritengo che se mai si perde mai si

arriva. Quindi è un grande obiettivo da raggiungere positivo in futuro. Siamo

partiti in ritardo in Italia rispetto agli altri paesi, la Germania, l’America. In Italia

Page 273: WCM (World Class Manufacturing)

269

dobbiamo cambiare mentalità che ancora molto radicata e qui parlo, sia del

sindacato che l’azienda, ovvero, i capi, i team leader. È un percorso difficile che

bisogna iniziare, altrimenti siamo morti.

2) Come si inseriscono i lavoratori nella nuova organizzazione? Cosa cambia per

loro?

Cosa dovrebbe cambiare, siamo lontani. Quando facciamo riunioni con l’azienda,

diciamo che è un sistema che se c’è, richiede una partecipazione. La mentalità

che c’è in azienda e in Italia, anche questo sindacato che è ancora conflittuale, in

azienda si ci confronta tra il capo che dice fai questo pezzo e lo devi fare, non ti

interessa come e questo fa a cazzotti su quello che è. Il sistema dovrebbe essere

diverso. Il fatto di dire: perché faccio questo pezzo? Perché lo devo fare bene? Il

mio pezzo bene vuol dire che, quello che viene a lavorare dopo di me se si trova il

pezzo che è fatto bene, può continuare e andare avanti. Se il pezzo fatto da me

non viene guardato da quello che sta avanti, il difetto va avanti. Questo

comporta un dialogo più severo e non conflittuale tra chi ha un certo incarico di

portare avanti la linea. In azienda c’è chi sta al montaggio, chi dirige una squadra

chi dirige lo stabilimento, ecc. Se non c’è un dialogo tra queste figure e, dialogo

vuol dire vediamo come poterlo farlo meglio, perché oggi c’è l’ordine e non il

dialogo, oggi c’è fai questo, fai quell’altro, non ti interessa se c’è un problema vai

avanti. Come può scomparire? Con un dialogo più continuo. La filosofia di questo

sistema è che comunque devono uscire i pezzi ben fatti, e se tu lavori in un

ambiente sereno e tranquillo dove tu hai rispettato quello che è la sicurezza.

Parlo anche dell’ambiente di lavoro, se tu lavori in un ambiente brutto, grigio,

diverso è entrare in posto pulito, ad esempio la mensa. Quindi l’ambiente, il modo

di lavorare, la sicurezza a lungo termine, serve un dialogo e non un comando, io ti

dico e tu devi fare senza perché ti interessi quello che devi fare.

Page 274: WCM (World Class Manufacturing)

270

3) Come valuta il rapporto con i lavoratori? Quali sono le loro priorità?

Il rapporto con i lavoratori in questo momento è difficile in un contesto generale.

In questo contesto siamo presenti anche noi come sindacato. Oggi le persone

hanno tutte le ragioni, per la situazione economica, ci stiamo rendendo conto

solo adesso di tutte le ruberie e le furbate. Ognuno, nel suo piccolo, ha contribuito

a questo sistema. E, quindi, è sempre più facile prendersela con gli altri. Ma negli

altri ci siamo anche noi. Io non ritengo che il sindacato abbia sempre agito nella

maniera giusta perché ci sono stati anche degli errori. Io non sono figlia del ’68,

sono nata dopo, quindi a volte sento una nostalgia di quegli anni. Sento dire che

in quegli anni ci sono state delle conquiste, quelle conquiste lì, rispondo io, e

perché c’era un boom economico, un’economia che tira e più facile chiedere e

stato facile per il sindacato, perché quando il sindacato chiede e porta a casa e un

buon sindacato, quando poi prova a portare a casa ma non sempre ci riesce, io

dico che bisogna sempre fare i conti con quella che è la storia e il momento. Al

sindacato vengono attribuite anche delle cose che non sono del sindacato. Io,

quando faccio le assemblee a volte per battuta, dico, ormai è colpa del sindacato

anche quando piove! Perché il governo fa delle leggi ed è colpa dl sindacato. Non

le facciamo noi e ma il sindacato non ha fatto niente, ho capito ma più che fare

degli scioperi non è che c’è molto da fare. Stiamo vivendo oramai da troppi anni

una crisi che sta logorando tutti e c’è un tutto contro tutti.

4) Il coinvolgimento dei lavoratori è un elemento essenziale data la

vulnerabilità del programma? Che cosa fate per favorire il loro coinvolgimento?

Quali sono i principali strumenti che vengono adottati per motivare/valorizzare

i lavoratori all’interno della nuova organizzazione?

Certo, all’interno degli accordi abbiamo chiesto che ci sia un dialogo continuo.

Questo passa attraverso quelli che sono dei corsi di formazione, a gruppi, a step,

Page 275: WCM (World Class Manufacturing)

271

proprio per spiegare, prima in maniera teorica e poi pratica, anche se non è

facile.

5) In seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si è realizzato

concretamente o ancora vi è una partecipazione debole? sia da parte del

sindacato che da parte dei lavoratori?

È debole, ma io lo attribuisco al fatto che non ci sia il lavoro. Stiamo vivendo un

periodo di cassa integrazione e di investimenti che, per mille ragioni, hanno

tardato, uno stabilimento vecchio che stanno ristrutturato. Io, per quanto seguo

Fiat, quando si discuteva di uno stabilimento vecchio, per quanto potessi

immaginare, soltanto vedendo dentro, mi sono resa conto. C’è stato un

rallentamento del programma. Se poi uno, la teoria non la mette nella pratica, ci

sono delle società il cui il WCM è andato avanti. È tutto ancora una teoria.

6) Forme di disaffezione e di protesta quali la non partecipazione alle attività di

miglioramento continuo della qualità, l’assenteismo, lo sciopero, vengono

praticate? Quali sono i livelli di assenteismo?

Nell’ultimo contratto abbiamo cercato di mettere dei paletti, cioè bisogna fare

attenzione. Per quanto riguarda l’assenteismo abbiamo cercato di tutelare quello

che è l’assenteista che sta male, e questo non si può in alcun modo toccare. C’è

poi una forma di assenteismo denunciata dall’azienda dove alcune persone

allungavano il weekend, tipo il lunedì o il venerdì, oppure l’allungamento di un

ponte o di una festività, che devo dire anche lì può succedere, ma se questo

diventa sistematico, come abbiamo potuto vedere dai dati forniti, ci si è cercato

di intervenire. Valutare l’assenteismo adesso con la cassa integrazione, potrebbe

essere per protesta.

Page 276: WCM (World Class Manufacturing)

272

7) Secondo lei il lavoro diventa più autonomo e intelligente? oppure soltanto

più gravoso, o forse entrambe le cose insieme?

L’auspicio è quello che dovrebbe essere più intelligente. Io ritengo che, a partire

dall’usciere fino al capo del personale, devono contribuire tutti per fare un buon

prodotto, per poterlo vendere, non solo per farlo, perché se questo si vende vuol

dire che ci sono i soldi non solo per pagare i dipendenti ma ci sono anche delle

possibilità per l’azienda per fare avere più soldi ai lavoratori.

8) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza

del posto di lavoro? A tal proposito, nel quadro del WCM, è stato inserito un

sistema specifico chiamato Ergo-Uas, cosa ne pensa? Ha portato ad una

riduzione della fatica dello stress, e delle malattie di tipo muscolo-scheletrico?

Questo sicuramente! C’erano delle postazioni dove la gente dove lavorava

piegandosi, curvandosi e l’azienda ha fatto degli investimenti per poter

migliorare la salute.

9) Qual è la situazione attuale all’interno del gruppo rispetto alla

sperimentazione del WCM nei vari stabilimenti? Perché alcuni stabilimenti sono

più avanti e altri no, dipende dalla capacità dei lavoratori, dal management

aziendale?

Dipende dagli investimenti che ha messo in pratica l’azienda. Decide l’azienda

anche rispetto al prodotto. In Maserati ci sono linee nuove, improntante in quel

che deve essere proprio un modo di lavorare, anche se c’è una sperimentazione.

Poi siamo sempre in un contesto di crisi.

Page 277: WCM (World Class Manufacturing)

273

10) Qual è il tasso di sindacalizzazione? Ci sono dei dati?

Credo che sia, tra tutti, complessivamente il 40%.

11) Che impatto ha avuto il WCM sulle relazioni industriali?

Come tutte le cose nuove, quindi per il problema che non si conosco, spaventano.

Poi vi deve essere la volontà di migliorare. Non ho detto che ci siamo riusciti e che

ci riusciremo, ma c’è quello che è uno spirito di miglioramento.

12) Qual è il rapporto con l’azienda? Siete interpellati? Il sindacato ha la

possibilità di discutere o deve sempre scendere a patti con l’azienda? Qual è la

dialettica dei problemi del dialogo con l’azienda?

L’azienda, come tutte le aziende, tende a fare l’azienda, dicendo che solo io ho la

verità in tasca e so come fare. L’azienda tende il più delle volte a comunicare

piuttosto che a dialogare. Su questo non andiamo molto d’accordo. Non ci

possono essere solo le difficoltà dell’azienda che capiamo, ma ci sono anche dei

lavoratori. L’azienda riuscirà a fare delle macchine belle se tiene conto quelli che

sono i lavoratori e su questo facciamo un po’ fatica a farlo comprendere.

L’azienda dice, sappiamo noi come dobbiamo fare, ma è giusto che ci sia un

dialogo.

13) Per quanto riguarda gli strumenti, cioè meccanismi di tipo partecipativo,

esistono ancora le commissioni paritetiche? Chi ne fa parte? Quali temi

affronta? Funzionano effettivamente o il coinvolgimento del sindacato è solo

formale? Nel senso che l’azienda riferisce le cose che ha già stabilito, cioè vi è

un predominio dell’azienda sul sindacato?

Page 278: WCM (World Class Manufacturing)

274

Certo, nelle commissioni si discute. L’azienda dà le notizie, ma diverse sono le

informazioni da quello che deve essere. Ci sono vari commissioni che si riuniscono

sia che lo chiede l’azienda e sia se lo chiediamo noi sindacato. Per noi non deve

essere solo un’informazione ma una discussione.

14) Secondo lei, con l’implementazione del WCM, l’azienda sta cercando di

“individualizzare” sempre di più il rapporto con il lavoratore? Senza

l’intromissione del sindacato?

Non lo credo! Sono convinta che, fin tanto che ci sono i lavoratori, c’è bisogno del

sindacato e questo è un modo diverso di rapportarsi. In Italia facciamo fatica,

mentre in Germania c’è un sindacato dentro il Consiglio di Amministrazione,

quindi decide insieme all’azienda. In America il sindacato sostiene l’azienda,

anche economicamente, attraverso dei fondi pensioni. In Italia vi è un sindacato

conflittuale. Dobbiamo cambiare entrambi il modo di rapportarci.

15) Il WCM che sta sperimentando la Fiat, sta spingendo verso un “sindacato

d’impresa” o partecipativo sul modello di quello giapponese? Questa scelta

potrebbe tradursi in un sindacato al servizio dell’azienda?

All’azienda, c’è o non c’è il sindacato, non gli importa. Ci siamo e quindi è giusto

parlarci, ma non spinge assolutamente, non ci stende i tappeti rossi, non ci apre

la porta. Ci siamo e cerchiamo di parlarci per il bene dei lavoratori. Già da un po’

di anni l’azienda sta cercando un sindacato più vicino a loro. La marcia dei

quarantamila la dice lunga. Negli anni ’80, quando i capi sono scesi, hanno

formato poi un’associazione capi e quadri.

16) Qual è il suo rapporto con le altre organizzazioni sindacali? Cercate un

dialogo?

Page 279: WCM (World Class Manufacturing)

275

Io cerco sempre il dialogo con chiunque, nel rispetto delle proprie idee. In Italia ci

sono più sindacati. Se io faccio parte di questo sindacato è perché evidentemente

non la penso come gli altri.

17) Il ruolo delle Rsu che hanno potere di contrattazione, alla fine che fanno?

Come si comportano?

Le rsa sono tutelate dalla legge 300, quindi hanno tutti i poteri. C’è una differenza

tra rsu e rsa. Le rsu sono votate per legge dai lavoratori e passato per più di un

decennio che, essendo votate dai lavoratori, io devo rispondere ai lavoratori,

quindi anche magari andando contro l’organizzazione. La rsa è nominata

dall’organizzazione, anche se poi viene votata dai lavoratori. La pecca delle rsu è

quello di chiedere ai lavoratori i loro desideri. Anche a me sarebbe piaciuto, ma

purtroppo non sempre è possibile.

18) Come avviene la contrattazione? Chi negozia? Che cosa viene negoziato?

Il contratto nazionale serve per tutelare le aziende piccole dove non c’è una tutela

sindacale per avere un minimo tabellare. Lo dico per tutelare i lavoratori ma

anche per evitare la concorrenza tra le aziende. Fiat è uscito da Federmeccanica.

E’ un semplice contratto Fiat, quindi non viene più tutelato il contratto di primo

livello, perché è un azienda unica e non c’è concorrenza con le altre imprese. Si ci

sta orientando sempre più verso un contratto di secondo livello rispetto a quello

che è l’azienda. Non siamo ancora pronti.

19) Adesso si è fuori dal sistema Confindustriale, il contratto dei

metalmeccanici in fiat non si applica, è meglio o peggio?

È meglio! Per i lavoratori non è cambiato nulla, anche se un po’ di guadagno

l’hanno avuto rispetto a Federmeccanica. Confindustria è uscita da

Page 280: WCM (World Class Manufacturing)

276

Federmeccanica, ha fatto un contratto e il lavoratore non ci ha rimesso nulla. Già

Fiat non rispettavano il contratto Federmeccanica perché aveva le maggiorazioni

rispetto allo straordinario, alla mutua, grazie a degli accordi che avevamo fatto

all’interno, quindi aveva già un contratto diverso da Federmeccanica. Quando è

uscita da Confindustria non abbiamo fatto altro che fare un contratto rispetto a

quello che c’era, rispetto a un contratto che già c’era modificato.

20) Come valutate la scelta di un contratto a livello aziendale?

Il contratto aziendale ha un vantaggio, cioè quello di valorizzare i lavoratori,

perché lì si valorizzano i lavoratori.

21) Che cosa è cambiato dopo le vertenze di Pomigliano e Mirafiori? Cancellano

diritti e garanzie per i lavoratori?

Non ci sono diritti cancellati, assolutamente! Quello che è presente in Fiat

continua ad esserci, l’abbiamo riportato. Dicono che non c’è più diritto allo

sciopero. L’azienda dice: se c’è un problema perché non ci chiedete prima di

affrontarlo, poi vediamo di risolvere, poi, soltanto se non lo risolviamo, potete

fare lo sciopero. Mi pare una questione di buon senso. Nel senso che se andiamo

nella logica che l’azienda deve lavorare bene, per ottenere degli utili, ma non per

Marchionne, ma per distribuirli ai lavoratori. La Fiat non è un azienda piccola, in

cui il proprietario vigila su tutto e quindi ci sono dei problemi che non vengono

neanche riportati agli alti dirigenti e allora di fronte al fatto di dire, c’è un

problema, ci chiedete un incontro, noi ve lo diamo entro tre giorni. Ci date il

tempo di risolverlo e se poi non lo risolviamo e siamo liberi di fare lo sciopero o

meno, questo non vuol dire togliere il diritto a fare lo sciopero, vuol dire fare lo

sciopero dopo che ho tastato tutte le possibilità. Abbiamo fatto scioperi rispetto a

delle questioni urgenti. Abbiamo fatto un accordo con l’azienda dicendo che se

c’è un problema vediamo di risolverlo, altrimenti fate uno sciopero. Nel caso in

Page 281: WCM (World Class Manufacturing)

277

cui facciamo lo sciopero, non ci rimette il lavoratore ma il sindacato, a cui

vengono fatte delle penalizzazioni. Quindi, tutta questa roba che era stata

montata volutamente dai giornalisti, ormai neanche la FIOM in assemblea lo

dice.

22) Prospettive alla luce del nuovo contratto e dell’acquisizione Chrysler?

Io sono orgogliosa che un’azienda italiana abbia comprato un’azienda

americana. Poi c’è magari chi dice chi gliel’ha regalata, ma a me non interessa,

per me è stata acquisita. È un orgoglio da italiana. Poi si dice che è un’azienda

sempre di più all’estero. C’è una globalizzazione iniziata parecchio tempo fa.

Marchionne ci ha spiegato già da 9 anni fa, da quando si è insediato, che se la

Fiat non fosse diventata grande, avrebbe fallito. Ha fatto poco il Governo

Italiano. La sede legale è a Londra, ma è solo per un questione economica. Lì si

pagano meno tasse e, quando un’azienda paga meno tasse perché vuole fare

degli investimenti per far lavorare i lavoratori, io non poso dire niente. Per me

avere un’azienda con sede legale in Italia e mi fa lavorare i polacchi, preferisco il

contrario. Questo era un compito del Governo, tenere la Fiat in Italia. Marchionne

non ha chiesto niente al Governo Italiano, ma non voleva neanche buttare i soldi.

Io non credo che diventerà più americana, sarà sempre più multinazionale.

Quello che dobbiamo sfruttare è il made in Italy: chi compra una Ferrari vuole che

sia fatta in Italia.

Page 282: WCM (World Class Manufacturing)

278

Interviste Management Fiat Chrysler Automobiles

Roberto Cortese

(Responsabile Relazioni Industriali FCA – EMEA)

Luciano Massone

(Capo del World Class Manufacturing EMEA

Region & WCM Dev. Center VP)

Page 283: WCM (World Class Manufacturing)

279

Roberto Cortese

(Responsabile Relazioni Industriali FCA - EMEA)

1) Che cos’è il World Class Manufacturing?

Io l’ho sempre definito come il “buon senso applicato”, nel senso è quello che

probabilmente ognuno, a casa propria, dovrebbe fare, cercando di applicare

buon senso ma con metodo, avendo sempre costanza di risultati e costanza di

applicazioni. Questa è una cosa che, sui grandi numeri e le grandi fabbriche, è

chiaro che richiede un metodo più spinto, un’attività dedicata, persone che se ne

occupano. E’ per noi, inteso come italiani, un quadro culturale non indifferente.

2) Come vede il WCM? Qual è la sua percezione?

Sicuramente è un acceleratore di buone pratiche. Penso che spesso si

ripercorrono gli stessi passi, soprattutto nelle grandi organizzazioni si

ripercorrono gli stessi passi per arrivare a risultati se vogliamo molto simili. Per

cui, il fatto di avere un metodo comune è questa, una “crossing education” di

attività tra uno stabilimento e l’altro, quindi uno scambio di esperienze molto più

spinto di quanto fosse in passato. È chiaro che consente di utilizzare queste buone

pratiche e di applicarle in maniera più veloce. È chiaro che questo deve avere alla

base un terreno fertile. Ci vuole un approccio culturale, un approccio sicuramente

tecnico e la differenza poi la fanno le persone che devono essere molto più

portate ad accettare, magari, un buon lavoro fatto da un altro e, in maniera

umile, dire: ok se lui è riuscito a portare a casa questo, posso sicuramente

arrivarci anch’io ed applicarlo. E lì si genera un circolo virtuoso.

Page 284: WCM (World Class Manufacturing)

280

3) Quali sono state le motivazioni che hanno portato ad adottare il WCM? Per

iniziativa di chi?

Per come la vedo io, come osservatore distaccato rispetto alla realtà operativa di

fabbrica, vi era questa necessità di avere un linguaggio comune delle pratiche

comuni; delle possibilità di avere delle basi per poter rilanciare sempre il

miglioramento su cui ovviamente è basata la competizione internazionale del

mondo dell’auto, dove se ti fermi un attimo, chi ti passa davanti, ci mette cinque

minuti. Quindi, la velocità di realizzare un “’improvement” è sicuramente una

delle basi su cui si fonda questo progetto.

4) Quali sono state le difficoltà connesse all’implementazione del WCM,

soprattutto in un’azienda tradizionale come quella di Mirafiori?

Per come la penso io, l’approccio culturale e sicuramente, anche, credo, la

tendenza passata di ogni fabbrica ad essere un ambiente assestante. Quindi la

capacità, la possibilità e la volontà di condividere esperienze è stato quello che

mancava da un punto di vista operativo. Da un punto di vista culturale,

certamente, soprattutto qui in Italia, vi è una diffidenza nei livelli operativi, o

medio-bassi se intendiamo una scala gerarchica, al cambiamento. La

propensione al cambiamento rispetto, “abbiamo sempre fatto così”, è stato uno

di quei muri da abbattere o di quelle reti un po’ da strappare che hanno

probabilmente teso a rallentare questo progetto.

5) Qual è la situazione attuale all’interno del gruppo rispetto alla

sperimentazione del WCM nei vari stabilimenti? Perché alcuni stabilimenti

sono più avanti e altri no? dipende dalla capacità dei lavoratori, dal

management aziendale?

Page 285: WCM (World Class Manufacturing)

281

Io credo che dipenda principalmente dal “commitment” che viene dato al

progetto. Se ci si crede, non solo a parole, ma lo si vive e lo si applica

quotidianamente, diventa anche più facile da un punto di vista della trasmissione

della forza e della spinta che c’è. Quindi questo è un problema che riguarda il

circuito di regolazione, quindi il team direzionale dello stabilimento. Dall’altra è

chiaro che l’entusiasmo o la capacità o anche la voglia di guardare in maniera

diversa il modo di lavorare, lo fanno, evidentemente, anche le persone che

lavorano in uno stabilimento. Noi abbiamo visto chiaramente, in ambienti dove

c’è una curiosità culturale, una vivacità data chiaramente dall’età delle persone

all’interno dello stabilimento e questo è molto più facile. Torna, ma non vuole

essere una ripetizione l’approccio culturale o la “forma mentis” che si trova nei

diversi stabilimenti. In Polonia il modo di operare dei colleghi polacchi è sempre

stato molto più metodico, ha un matrice di natura germanica. Quindi, dove noi

siamo in Polonia, è una regione della Slesia, zone più vicine alla Germania, quindi,

vi è un approccio molto più metodico. Una volta definito lo standard, viene

applicato, e il WCM ha questo come uno delle sue basi di successo. Direi anche le

esperienze precedenti, direi anche che un altro stabilimento che abbia dei buoni

risultati e che sta lavorando molto bene. Lascio un attimo da parte Pomigliano

che è una realtà a sé e, forse, merita un’attenzione diversa. Sono quei

stabilimenti che in passato hanno lavorato in maniera molto spinta su

metodologie di cui il WCM è interconnessione. Tipica è quella del TPM (Total

Productive Maintenance), su cui già aveva un background anche di metodologia

culturale che li ha portati ad essere più facilmente inseriti in questo progetto.

Pomigliano è nata con logiche di WCM. È ’stato molto utile avere una fabbrica

che, di pari passo, cambiava pelle da un punto di vista tecnologico, ma aveva un

percorso di formazione, di costruzione e di addestramento delle persone che lì

sarebbero andate a operare. Quindi, il match tra queste due è evidentemente,

che è stato uno sforzo sia economico che di impegno personale e professionale

delle persone, ha sicuramente avuto un successo straordinario. E questo lo stiamo

vedendo in una fabbrica, come quella della Serbia, che ha recentemente, mi pare

Page 286: WCM (World Class Manufacturing)

282

la scorsa settimana, ottenuto il Bronzo nel WCM. E’ una fabbrica che lavora solo

da due anni e mezzo, un tempo molto limitato, ed è già riuscita a raggiungere dei

punteggi di WCM in un tempo relativamente breve. Parliamo di una fabbrica che

è partita ed ha dovuto, subito, dare una performance produttiva molto

importante. Quindi non ha avuto il tempo di costruirsi radamente, dal momento

che la 500L è una macchina di assoluto successo, ed ha dovuto rispondere alle

richieste di mercato nei suoi primi mesi o anni dall’uscita.

6) Dobbiamo ancora dimostrare di essere come i giapponesi? Nel senso che

dobbiamo ancora migliorare il livello di credibilità e di fiducia in un contesto

sempre più competitivo e concorrenziale?

Su questa necessità di essere e di dimostrare di essere come i giapponesi non

sono particolarmente d’accordo, nel senso che noi non saremo mai giapponesi e i

giapponesi non saranno mai italiani. Secondo me, noi dobbiamo essere capaci,

come sono stati capaci loro, di prendere aspetti positivi delle metodologie

applicate e farli nostri con la capacità italiana di realizzare dei salti di qualità

molto più alti, in maniera veloce. Il pericolo che non dobbiamo cercare di fare è

quello di voler saltare dei passaggi del metodo per cercare di arrivare ai risultati.

Questo è quello che siamo forse portati a fare. Invece, il metodo ci insegna che un

passo dietro altro serve a rafforzare e a rendere solido il percorso che si sta

facendo. La nostra tendenza è quella, ogni tanto, di prendere delle scorciatoie e

questo tende a far dimenticare qualche passaggio importante.

7) La produttività sta migliorando? La qualità del prodotto è migliorata? Vi è

realmente una riduzione degli sprechi?

Si, sono tutti passaggi importanti del WCM anche se non sono gli unici. Questi

sono poi effetti indiretti, perché gli effetti diretti sono quelli di avere fabbriche che

lavorano meglio, in quanto, se le fabbriche lavorano meglio, le persone lavorano

Page 287: WCM (World Class Manufacturing)

283

meglio e di conseguenza gli altri risultati sono una derivata quasi naturale di

questo processo. E’chiaro che, se si lavora in una fabbrica confusa, sporca, buia,

rumorosa o con situazioni interne, anche dal punto di vista del prodotto che si

costruisce non studiate in una logica ergonomica o di WC, i risultati non possono

venire. Se c’è luminosità nelle fabbriche, se ci sono postazioni di lavoro

ergonomicamente standard, se il prodotto è stato studiato per quelle postazioni

di lavoro, chi ci lavora è messo nelle condizioni di poter fare bene il suo lavoro e

non esistono possibilità per avere degli errori che l’oggettivazione che c’è, negli

stabilimenti per migliorare il prodotto, tende a ridurlo.

8) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza

del posto di lavoro? A tal proposito, nel quadro del WCM, è stato inserito un

sistema specifico chiamato Ergo-Uas, mi può spiegare nel dettaglio in che cosa

consiste questa nuova metrica? Consente di eliminare tutto ciò che nei

movimenti dei lavoratori è considerato uno spreco e con ciò di aumentare la

produttività?

Ritengo di sì. Ha portato ad un miglioramento dell’attenzione di tutta l’azienda,

agli aspetti di sicurezza ed ergonomia dei posti di lavoro. Questa è un’altra cosa,

come dicevamo prima a proposito del commitment, che ha doppio senso.

L’azienda deve mettere nelle migliori condizioni le persone per lavorare bene e in

sicurezza. È un compito del datore di lavoro, ma è anche vero che il lavoratore

deve lui stesso mettersi nelle condizioni e usare gli accorgimenti necessari per

lavorare in maniera ergonomicamente efficace e in sicurezza. E ha doppio senso,

in quanto, da un lato, più uno è invogliato a lavorare per cercare di creare un

ambiente sicuro ed ergonomicamente accettabile, tanto più da l’altro diventa

normale utilizzare questi strumenti. Le faccio un esempio: se lei va in una casa

dove tutto è pulito e in ordine, si sente a disagio a mettere in disordine; se entra

in un magazzino dove ci sono ragnatele, polvere, se lei butta un pezzo di carta tra

tante non se ne accorge nessuno. Viceversa, credo che questo sia un

Page 288: WCM (World Class Manufacturing)

284

cambiamento importantissimo nelle nostre fabbriche. Che poi questo, da parte di

qualcuno, sia percepito come un’accelerazione nei confronti del lavoro o una

maggior faticosità, secondo me, è più un fatto ideologico che reale. Se ha avuto

modo di visitare uno stabilimento, fa fatica ad accorgersi delle aree dove si sta

lavorando intensamente o meno intensamente, nel senso che la linea continua ad

andare avanti con una cadenza ben precisa, perché sulla cadenza della linea sono

poi definiti i cicli di lavoro, il tempo e le operazione che vengono fatte, la linea è

talmente ordinata e asservita, avvolta da strutture tecnologiche e strumenti per

organizzare meglio il lavoro che apparentemente lei non si accorge del lavoro che

fanno le persone. O meglio, se si ferma a guardare la persona, la vede lavorare

con tempi e con metodi di lavoro che certamente che se uno pensa alla fabbrica,

il classico pensiero è quello di Charlie Chaplin in tempi moderni. In mezzo alla

ruota si perde. Da noi si dice: si imbarca perché non riesce più ad effettuare le

operazioni, ma questo non avviene più. È un grande salto di qualità. Ognuno fa il

proprio mestiere in un certo posto, in un posto studiato per far quel mestiere e

non un altro, non ostacola il suo collega, non può sbagliare e soprattutto non fa

sbagliare le persone che sono vicine a lui.

9) Come si inseriscono i lavoratori nella nuova organizzazione? Cosa cambia per

loro?

Intanto, cambia l’approccio al lavoro. È richiesta una partecipazione e un

contributo alla produzione o al sistema all’interno della quale sono. Anche in

passato, noi avevamo con alcuni programmi, il TQM, il sistema di suggerimenti o

di proposte di miglioramento continuo. Se, però, queste sono lasciate a se stesse

e non inserite in un programma ben specifico, dove tutto è finalizzato,

migliorato, i diversi pilastri, dove tutti possono dare il loro contributo, rischiano

di essere proposte che dopo un po’, se non c’è un grande “commitment”, si

perdono o le persone non sono invogliate a dare un loro contributo. In un

ambiente che lavora costantemente per migliorare, per fare salti di qualità, è

Page 289: WCM (World Class Manufacturing)

285

chiaro che, se interiorizzata questo miglioramento, diventa un acceleratore. Le

persone nella fabbrica devono, hanno un approccio diverso. La possibilità di

cambiare e la facilità con cui si può lavorare, su questo, dipendono dai fattori che

dicevamo prima, quindi certamente culturale, dal background da cui

provengono, dalla tipologia del prodotto, i lavori e gli sforzi che vengono fatti in

stabilimenti.

10) Come valuta il rapporto con i lavoratori? Questi concorrono alla definizione

degli obiettivi e dei valori aziendali? Quali sono le loro priorità? E quelle

dell’azienda?

Possono essere inizialmente dei punti distanti gli uni dagli altri. Io ritengo che ci

siano due rette che tendono a convergere, con livelli di angolazioni diversi, con

punti di convergenza che possono essere più o meno vicini nel tempo. Tra l’altro,

questo, lo danno i punteggi del WCM. Penso che molto dipende da come si pone

la direzione, da quanto l’azienda si spenda e creda in questo tipo di progetto, in

questa sfida. Le persone, se vedono che quanto si sta facendo porta a dei

miglioramenti, anche da un punto di vista della giornata lavorativa, dello sforzo

fatto, e vedono, soprattutto, che c’è una coerenza fra il detto e l’agito, alla fine

poi seguono. La tendenza è quella di essere diffidenti ai cambiamenti. Questi

sono cambiamenti molto importanti ed epocali, però oramai abbiamo un

numero di anni alle spalle di WCM e una pervasività di questo progetto che

ormai è talmente diffusa che penso faccia parte almeno fino ad un certo livello

della scala gerarchica e livelli di profondità diversi nei diversi stabilimenti per la

storia che hanno o la situazione attuale, che tende sicuramente ad alzarsi.

11) Il coinvolgimento dei lavoratori è un elemento essenziale data la

vulnerabilità del programma? Che cosa fate per favorire il loro coinvolgimento?

Quali sono i principali strumenti che vengono adottati per motivare/valorizzare

i lavoratori all’interno della nuova organizzazione?

Page 290: WCM (World Class Manufacturing)

286

Sicuramente si, è essenziale. Quello che si sta facendo è far diventare il WCM

come una pratica. E’ un modo di lavorare quotidiano rispetto al passato, nel

senso che, rispetto a programmi passati, si andava un po’ per moda. Il WCM ha il

pregio di essere molto legato al metodo e avere la necessità di essere attuato e

agito costantemente e quotidianamente. Io dico che il WCM funzionerà

perfettamente quando diventerà negli stabilimenti un automatismo, come quello

di entrare, bollare, strisciare in badge per la presenza e ristrisciare il badge per

l’uscita. Diventa, non dico un fatto di routine, ma un ambito mentale o un modo

di pensare in fabbrica. È chiaro che se uno entra in fabbrica a qualsiasi livello sia

stacca la testa e passa otto ore lì dentro, sperando che passi il tempo, non è il

miglior modo per arrivare a raggiungere i risultati del WCM.

12) In seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si è realizzato

concretamente o ancora vi è una partecipazione debole? Sia da parte dei

lavoratori che del sindacato

Le persone hanno dato risposte diverse in base alle condizioni in cui si sono

trovate, sia come località geografica in cui si trova lo stabilimento e sia come

modo di operare all’interno dello stabilimento. La parte geografica è nei fatti, e

uno non è come può spostare gli stabilimenti per cambiare la cultura delle

persone. Bisogna saper prendere coscienza di una diversità culturale, lavorarci

sopra, magari, anche toccando dei tasti diversi a secondo del posto in cui si ci

trova. La partecipazione delle persone, secondo me, è straordinaria da questo

punto di vista. Le persone, se sono messe nelle condizioni di dare un contributo

e, quindi, significa che qualcuno glielo chiede, non si tirano mai indietro. Se si

tirano indietro c’è un motivo che bisogna cercare di indagare, e capire cosa porta

le persone a non interessarsi del posto in cui passa molte ore della sua vita e

dove più facile passarci in maniera armonica e più efficace, che non sperando di

uscire. Poi è chiaro: il lavoro è il lavoro, la vacanza è la vacanza. Sul sindacato

Page 291: WCM (World Class Manufacturing)

287

credo che, dopo un momento di diffidenza, esso abbia fatto un salto culturale

importantissimo sul WCM, ma non solo anche sul modo con cui Fiat sta portando

avanti i propri programmi strategici, perché ha capito che la velocità e la

competizione a livello mondiale sul mercato dell’auto, ha cambiato il paradigma

dei rapporti interni. Uso un paradosso su questo: la crisi ha scellerato questo

livello di consapevolezza, soprattutto nella cultura Italiana che quando si ci trova

con l’acqua alla gola, la capacità di reazione è straordinariamente più alta

rispetto ad altri posti. Quindi, questa crisi che ha avvolto, non soltanto il mercato

dell’auto, ma il mondo intero dal 2008 in avanti, paradossalmente è stato uno

stimolo importante per cercare di accelerare e di comprendere che il modo

passato di fare le macchine o di fare sindacato o di agire all’interno delle

fabbriche, non poteva più esistere.

13) Secondo lei il modello adottato consente di superare quelle relazioni

manager-dipendenti di tipo rigidamente gerarchico e di adottare invece un

clima aziendale stimolante e pacificato che consente una sorta di fusione tra gli

obiettivi dell’impresa e i bisogni dei lavoratori?

Questo sì! Nei fatti lo è nella maggior parte degli stabilimenti. Probabilmente

meno in quelli in cui vi è una fase di transizione tra vecchi prodotti, vecchio modo

di lavorare e nuovi prodotti e nuovo contesto di fabbrica. Noi stiamo portando

avanti un piano industriale che vede toccati tutti gli stabilimenti qui in Italia. Fiat

ha fatto delle scelte coraggiose dicendo che vuole mantenere in Fiat una

presenza industriale importante. Sarebbe stato più semplice, meno popolare e

forse più sociale quello che anni passati, negli anni ottanta, a fronte di grandi

crisi, erano state fatte grande ristrutturazione e delle scelte drastiche anche sul

contesto industriale. Questo Fiat non ha ritenuto di farlo. Si è accollata anche

l’onore di mantenere stabilimenti per certi versi con una bassissima produttività.

Per certi periodi, noi abbiamo degli stabilimenti che lavorano ben poco, come

Mirafiori, però la scelta è stata quella di non denunciare eccedenze di personale

Page 292: WCM (World Class Manufacturing)

288

rispetto ad una situazione che gli altri costruttori hanno percorso. Se lei guarda

altri grandi costruttori come la Pegeout, Renault, Opel, Volkswagen, tra gli anni

2008 e 2012, hanno fatto piani di ridimensionamento e di ristrutturazioni

importanti con uscite, esodi, licenziamenti. Noi abbiamo fatto una scelta diversa,

abbiamo e crediamo in un piano industriale molto più ambizioso, legato anche

l’operazione con Chrysler che ha aperto per Fiat un’opportunità e per Chrysler

sicuramente opportunità diverse a livello mondiale, che ci consentiranno di

portare un piano diverso.

14) In questo nuovo modello quanto conta il dialogo con il sindacato? E il suo

coinvolgimento? Importante oppure marginale?

Sicuramente diverso. Io ritengo importante. Da parte di tutte e due deve esserci

un cambio di passo, nel senso che la storia delle relazioni industriali in Italia e in

particolare Fiat, questo perché quando si parla delle relazioni industriali o

sindacali in Italia, l’immagine è quella del rapporto sindacato – Fiat. È normale,

siamo stati per tantissimo tempo un punto di riferimento, non fosse altro per la

nostra dimensione. Fortunatamente lo siamo ancora ora, perché siamo una delle

ultime aziende manifatturiere che hanno scelto e vogliono operare in Italia e

quindi non andarsene altrove, e questo è un punto importantissimo. Deve essere

un rapporto diverso, basato su aspetti diversi, nel senso che alcune cose devono

essere date per scontate. Fortunatamente il WCM, da questo punto di vista lo fa,

nel senso che quello che in passato era una delle attività tipiche del sindacato,

quali la tutela della condizione del lavoro all’interno delle fabbriche, fossero le

nostre o altre, lo sviluppo, e se vuole anche l’ammodernamento e l’evoluzione

che c’è stato nel modo di concepire le fabbriche, le macchine che si costruiscono

all’interno delle fabbriche e il modo di lavorare, credo che possa considerarsi, da

questo punto di vista, un aspetto non più di dibattito tra l’azienda e sindacato,

diverso, perché bisogna probabilmente lavorare sulla spinta che anche il

sindacato può dare, e l’azienda deve metterlo in condizione per accelerare il

Page 293: WCM (World Class Manufacturing)

289

livello di partecipazione delle persone all’interno della fabbrica. Tant’è che su

questo stiamo discutendo con il sindacato del nostro CCSL che l’hanno firmato. E

uno degli aspetti cardine è quello di legare anche gli aspetti economici e

retributivi, non a fenomeni esterni, come può essere l’aumento del costo della

vita, al di là del momento che oggi l’inflazione è a livelli talmente bassi che

probabilmente non si tratta neanche di quello, ma i sistemi di rewarding o

sistemi di partecipazioni da un punto di vista economico, legati alle performance

della fabbrica, customizzati sulla fabbrica, sullo stabilimento, sulle persone.

Quando la persona contribuisce è uno degli aspetti determinanti sulle quali può

essere basata una retribuzione variabile al netto di quello che è un minimo

salariale che ogni contratto può e deve avere. Probabilmente ci deve essere un

bilanciamento e con il sindacato bisognerà trovare un equilibrio.

15) Quando ci sono dei problemi il sindacato ne discute con l’azienda ed

insieme cercate di risolverli? Qual è la dialettica dei problemi del dialogo con il

sindacato? E la tempistica di risposta ai problemi?

Io questo, lo vedo molto spinto negli stabilimenti, soprattutto quando si sta

lavorando su nuovi progetti. Il funzionamento delle commissioni che abbiamo

definito anche nel nuovo contratto, sono più operative e le abbiamo sfrondate di

una serie di orpelli che ci portiamo, perché il sistema della partecipazione in Fiat

è abbastanza radicato. Noi partiamo accordi, della fine degli anni ottanta, già

individuando dei sistemi abbastanza elementari. Però, allora, erano una grande

novità rispetto al rapporto con cui si usciva, che era un rapporto tipicamente

conflittuale: azienda padrone e sindacato. Quindi, questo sistema di

partecipazione si è evoluto, si è finalizzato ed è diventato molto probabilmente

anche più creativo, nel senso c’è un circuito di regolazione con incontri con le

organizzazioni sindacali diciamo più a livello di segreterie nazionali, con la

direzione aziendale, con il top manager aziendale per avere un quadro sul dove si

sta andando a livello di stabilimento. Il dialogo e il lavoro con il sindacato è molto

Page 294: WCM (World Class Manufacturing)

290

più operativo, nel senso si discute e si lavora sui problemi della fabbrica. Questo

che cosa comporta? Come sempre, quando si parla, si è in due, quindi l’approccio

deve essere biunivoco. Da parte dell’azienda, io credo, che debba essere fatto

uno sforzo importante per mettere a fattor comune aspetti della vita di fabbrica

che servano ad avere un livello di condivisione e di linguaggio comune con i

propri interlocutori sindacali. Da parte del sindacato deve essere fatto uno sforzo

culturale di crescita, di apprendimento di quelli che sono i temi della fabbrica. Un

rappresentante sindacale deve conoscere come funziona la fabbrica, deve sapere

cos’è il WCM, deve sapere quali sono i problemi che esistono all’interno della

fabbrica, ma usarli probabilmente, ed è qui lo snodo importante che a volte,

dovuto anche alla pluralità di sindacati che abbiamo in Italia, non aiuta, nel senso

che non può esserci un’interpretazione diversa di un problema. Semplifico: se c’è

una postazione di lavoro che non funziona, non può esistere che se ci sono

cinque organizzazioni sindacali che vedono il problema in maniera diversa o a

seconda della convenienza o della volontà di tutelare in maniera diversa un

lavoratore piuttosto che un altro. Se un problema esiste, è un problema non ha

un colore. Se lo allarghiamo vale anche per l’Italia. Se noi abbiamo un problema

di occupazione, di non capacità di attrarre investimenti o non rendere il nostro

paese allettante per un investitore straniero, non è un problema che se lo guardi

da sinistra o da destra è un problema. Quindi, o si ci concentra sul problema o, se

ci si concentra sul problema, sul bisticciare a chi arriva prima al gioco del

fazzoletto, ad accaparrarsi la genitura del problema, non si va tanto distanti. In

fabbrica le commissioni lavorano, e lavorano molto meglio dove si stanno

costruendo i passi per fare i futuri modelli. Dopodiché, il continuos improvement

nelle fabbriche può probabilmente migliorare ancora grazie all’approccio

culturale di cui parlavo prima.

16) Il WCM che sta sperimentando la Fiat, sta spingendo verso un “sindacato

d’impresa” o partecipativo?

Page 295: WCM (World Class Manufacturing)

291

È una scelta obbligata. Io non credo molto in chi dice che la Fiat con il WCM

vuole bypassare il sindacato e avere un rapporto diretto con i lavoratori,

semplicemente perché il rapporto diretto con i lavoratori non può non esserci,

nel senso che il lavoro che l’azienda fa, lo fa, cioè paga dei lavoratori e si aspetta

che facciano un certo tipo di mestiere. Con il programma WCM c’è un interesse

reciproco a mettere le persone nelle condizioni di poter lavorare meglio e per le

persone lavorare meglio, quindi certamente il modo di lavorare tende ad

abbassare i rapporti gerarchici ed avere il direttore che oltre a vestirsi come le

persone che lavorano sulle linee, la direzione è molto più presente in fabbrica,

perché è un’esigenza reale. Se si crede nel WCM lo si vive quotidianamente e

allora il direttore è lì dove ci sono i problemi. Conosco diversi direttore che non

hanno nessun tipo di problema, anzi, favoriscono e spingono questo rapporto

diretto con le persone, andando là dove c’è un problema per capire qual è il

problema. Questo dal sindacato, che vuole fare un salto evolutivo, essere parte

di un progetto che cambia radicalmente il modo di lavorare in fabbrica in tutti i

sensi, sia del sindacato sia per fare le macchine sia dell’azienda, è un salto

culturale importante anche se ideologico. Uno vuole tenersi nella tasca una

merce di scambio con cui contrattare per avere e dimostrare la sua importanza

piuttosto che la capacità di indirizzare le persone, e allora stiamo perdendo del

tempo. Se, invece, il sindacato capisce e ha ben compreso qual è la finalità del

WCM, probabilmente, diventa interprete delle esigenze dei lavoratori, diverse da

quelle che erano precedentemente. Citavo il fatto che, oramai, le fabbriche si

stanno portando tutte a dei livelli di standard, di vivibilità, assolutamente fuori

dallo stereotipo a cui normalmente è abituato a pensare la persona che non ha

visto i nostri stabilimenti. Probabilmente il sindacato deve essere interprete di

esigenze diverse, contrattare certamente con l’azienda magari diversi sistemi di

remunerazione, ma anche essere un facilitatore di questo cambiamento culturale

che all’interno delle fabbriche, se è spinto da diverse direzioni, probabilmente è

molto più facile che proceda. Il sindacato americano e i colleghi della Chrysler

che hanno visto la loro fabbrica o la loro azienda cadere nel vuoto, negli anni

Page 296: WCM (World Class Manufacturing)

292

2008-2009, quando poi Fiat è intervenuta iniziando un percorso con Chrysler,

hanno compreso che questo è uno strumento straordinario di miglioramento per

tutti, in primo luogo per le persone che lavorano nella fabbrica. Qui da noi non

abbiamo un sindacato unico. Avere una comunità di intenti così spinta o, è una

cosa che deve avvenire e quindi c’è un piano di convergenza, un’unità sindacale

su determinati obiettivi che in parte si è realizzata e in parte continuano ad avere

una costola del sindacato a considerare il modo di lavorare di Fiat e degli altri

sindacati come un modo diverso rispetto all’ideologia di questo sindacato o, se

no è chiaro questa pluralità, tende ad essere un freno.

17) Secondo Lei, cercano un dialogo queste organizzazioni sindacali?

Sì, però a livello di stabilimento deve essere migliorato, nel senso che c’è

probabilmente una maggiore comunità di intenti, a livello medio-alto, a livello

sindacale all’interno degli stabilimenti. Ci sono margini di miglioramento su

questo aspetto. Tende ancora prevalere il personalismo o l’interesse di bottega

che spesso tende a dividere piuttosto che a unire.

18) Il ruolo delle Rsu che hanno potere di contrattazione, alla fine che fanno?

Come si comportano?

Il ruolo delle rsa, secondo me, è uno snodo importante però nel quadro che

cercavo di tratteggiarle prima. È un sindacato che cerca il suo ruolo all’interno

degli stabilimenti. Se il ruolo delle rsa viene vissuto alla maniera tradizionale,

probabilmente non c’è più tempo e quindi il tempo non è sufficiente per la

velocità con cui la competizione sul mercato sta andando avanti. Non si può

decidere in mesi se cambiare dei turni di lavoro o se fare diverse produzioni,

perché nei mesi l’opportunità di vendita l’hai già persa. E’ un retaggio, che

fortunatamente con il nostro contratto nella scelta di Fiat e delle organizzazioni,

accettato. Stanno correndo con noi questa sfida. È stato in parte superato, ma

Page 297: WCM (World Class Manufacturing)

293

può essere ancora migliorato perché da entrambe le parti, nei momenti di

maggior difficoltà, la tendenza è quella di ritirarsi un po’ e usare gli strumenti

vecchi anziché osare e andare sul nuovo. Questa è la sfida dei prossimi anni, nei

rapporti all’interno dei nostri stabilimenti.

19) Come avviene la contrattazione? Chi negozia? Che cosa viene negoziato?

Lo sforzo che è stato fatto rispetto al CCNL metalmeccanico nazionale, ed è uno

dei motivi perché Fiat è uscita dal contesto confindustriale, è che non era

attagliata rispetto al nostro modo di operare e delle fabbrica. Il nostro contratto

è molto più operativo, nel senso che disegna la realtà dei nostri stabilimenti e ne

disciplina gli aspetti importanti: gli orari di lavoro, l’inquadramento delle persone

all’interno degli stabilimenti, o modi per utilizzare l’organizzazione del lavoro e

l’orario, insomma, è disegnato sulle nostre fabbriche. Questo, credo, ha al suo

interno una serie di regole che le parti hanno inteso definire come regole della

vita degli stabilimenti e, una volta che si ci è messi d’accordo su quelle regole, le

regole sono quelle, non si discute più. La contrattazione, per certi versi, è già

avvenuta, nel senso che nello stabilimento le relazioni tra azienda e sindacato

sono già definiti nel contratto. Non è più necessario mettersi d’accordo su delle

cose perché il contratto già le disciplina. Se c’è un problema significa che una

delle due parti, all’interno dello stabilimento, ha fatto qualcosa che non andava

bene. Evidentemente deve fare un passo indietro o deve resettare, perché nel

contratto gli elementi ci sono tutti; in esso è disciplinato come si passa da un

turno ad un altro; è disciplinato come sono gli orari di lavoro, e, all’interno di

questo, ci sono sempre dei rapporti con i rappresentanti sindacali, i quali

vengono preventivamente consultati. Vengono cercate anche soluzioni

eventualmente diverse. Il momento dell’eventuale scontro o conflitto è un

insuccesso del contratto, nel senso che uno delle due parti non lo sta utilizzando,

o lo sta utilizzando male nei confronti dell’altro. Ecco perché ci sono dei

meccanismi di regolazione o di responsabilizzazione delle organizzazioni sindacali

Page 298: WCM (World Class Manufacturing)

294

perché nel momento in cui si sono decise delle cose e il contratto le ha

disciplinate, all’interno di quel contratto stiamo. Il sindacato ha degli strumenti

per chiamare l’azienda nel momento in cui rileva dei problemi che, a suo modo di

vedere, l’azienda non sta operando come, invece, il contratto prevede che lei

faccia. Questa interconnessione di responsabilità del sindacato e dall’altro la

possibilità per il sindacato di chiamare l’azienda con i meccanismi di

raffreddamento, quindi passaggi, se vuole, di progressione, prima di arrivare allo

scontro e, quindi, meccanismi di autoregolazione del sistema che sono a cerchi

concentrici, partono dove c’è il problema e poi, se il problema non si riesce a

risolvere mano mano, allargano il livello di responsabilità fino ad arrivare ad una

discussione tra organizzazioni sindacali esterne allo stabilimento che possono

essere un circuito di regolazione insieme alla direzione di Fiat per risolvere o

interpretare il problema. Su questo stiamo lavorando per migliorare questo

meccanismo di relazione con il sindacato.

20) Come valutate la scelta di un contratto a livello aziendale? Secondo lei, ci

stiamo avviando verso il decentramento della contrattazione collettiva e delle

relazioni industriali?

Questo, in realtà, rispetto a quello che si crede, avviene moltissimo in Italia, nel

senso che moltissime aziende hanno un loro contratto a livello aziendale. Le

Ferrovie dello Stato, la Telecom, noi, l’IBM, hanno dei contratti che disciplinano

la loro vita. Se vuole, la specializzazione e le esigenze di ogni singola azienda

portano necessariamente a questa scelta. Un CCNL che prenda all’interno tutto,

probabilmente non disciplina nulla, perché deve essere talmente la mediazione

di interessi. Prenda il CCNL, disciplina dalla piccola bottega che si occupa di

meccaniche di precisione, alla grande fabbrica come la Fiat, passando anche

all’installazione di impianti, ma poi, magari, da un punto di vista produttivo non è

interessato. All’interno ci sono anche, da un punto di vista dell’inquadramento

contrattuale, le figure più disparate: vanno da chi si occupa dei forni a chi della

Page 299: WCM (World Class Manufacturing)

295

manutenzione, ecc. E’ un contratto utile alla vita di una fabbrica che è

concentrare su altro, su una competizione, con dei concorrenti e deve avere degli

strumenti sicuramente più agili, che le consentano di rispondere alle esigenze di

mercato. Quindi, probabilmente, con il sindacato si deve andare verso questo

tipo di soluzione, cioè avere una sicurezza, anche da un punto di vista salariale

minimo o adeguato rispetto alle esigenze, per garantire un potere di acquisto

delle persone. Però poi la contrattazione avviene all’interno dell’azienda con

contratti specifici, perché probabilmente soltanto così si riesce a disegnare delle

situazioni che sono completamente disparate, infatti, fare automobili è diverso

da fare lavatrici. Sembra banale la cosa, eppure le persone sono all’interno di un

CCNL che disciplina chi monta le ruote di una moto, chi quelle di Maserati ghibli.

Sono cose diverse, non possono coesistere.

21) Che cosa è cambiato dopo le Vertenze di Pomigliano e Mirafiori?

Per il sindacato, che ha fatto una scelta coraggiosa, è cambiato molto. E’

cambiato il modo di rapportarsi, sono cambiati i prodotti, il piano strategico di

Fiat rispetto ai propri stabilimenti in Italia. Non so se non ci fossero state che

cosa Fiat avesse fatto, non voglio pensarci.

22) Prospettive alla luce del nuovo contratto e dell’acquisizione di Chrysler?

Il nuovo contratto va nella direzione che le stavo dicendo, di avere sicuramente

avanti una soluzione nelle aree dove stiamo lavorando in Africa, dei risultati,

dovuti anche alla crisi, non ancora sufficientemente adeguati. EMEA perde soldi,

quindi è chiaro che se un contratto, e un contratto deve riconoscere ai lavoratori

anche i risultati di un’azienda, l’azienda in questo momento fa fatica a trovarli,

quindi certamente deve essere un rinnovo di un contratto che deve essere di

prospettiva. Noi abbiamo presentato a Maggio di quest’anno un piano strategico

che va fino al 2018 che vede in Italia una forte responsabilità, dico io di

Page 300: WCM (World Class Manufacturing)

296

sviluppare e fare una serie di prodotti per il risultato di questo piano. Questi

risultati, che saranno raggiunti, dovranno dare un beneficio per tutti. Noi stiamo

cercando, con le organizzazioni sindacali, il modo e i meccanismi per realizzare

un contratto che abbia questa prospettiva sul piano Fiat, quindi un contratto non

più annuale, come era nato il CCSL, ma un contratto di prospettiva triennale

dove, in questo triennio, viene, da una parte riconosciuta la situazione attuale e

ragionare su un paradigma diverso, cercando di riconoscere gli sforzi e i successi

raggiunti e i miglioramenti fatti all’interno dell’azienda. Un primo embrione, se

vuole, lo abbiamo già avuto, quello del premio sul WCM. Lì ci stiamo

indirizzando. Avevamo definito che il WCM riconoscesse, anche da un punto di

vista economico, il livello raggiunto, quello oro, argento e bronzo, e questo ha

pagato all’interno degli stabilimenti tutti quelli che hanno raggiunto questi

risultati. Portare un’evoluzione a questo meccanismo, calzarlo e calarlo in

maniera più puntuale può essere un ulteriore miglioramento e sicuramente

anche un acceleratore del WCM.

Page 301: WCM (World Class Manufacturing)

297

Luciano Massone

(Capo del World Class Manufacturing EMEA

Region & WCM Dev.Center VP)

1) Che cos’è il World Class Manufacturing? Quali sono state le principali

innovazioni introdotte dal WCM?

È un programma, un sistema di regole e di opzioni, tools, metodologie che nel

complesso agite in un certo modo, perché la parte più importante di questo

programma sono i dieci pilastri manageriali che hanno la stessa dignità dei

pilastri tecnici. E’ l’unico Production System presente al mondo oggi che ha un

bilanciamento importante tra manageriali e tecnici. Normalmente, i sistemi che

si vedono in giro, sono molto focalizzati sulla tecnica. Noi ci siamo concentrati

molto su come far capitare le condizioni che volevamo fossero alla base del

nostro sistema. E’ un sistema che si nutre del coinvolgimento delle persone, si

nutre della conoscenza, quindi, ha dentro un sistema di knowledge management

molto importante e si nutre della diffusione della conoscenza. Noi abbiamo un

internal-facebook dentro l’azienda con la quale connettiamo tutti i paesi del

mondo, tutti gli stabilimenti, che sono 230, dove ognuno può postare un quesito

e viene aiutato dal tutto mondo affinché lui possa risolvere il problema. Un

sistema di common-knowledge, sulle best pratices, sugli standard, anche quello

si nutre di una serie di coordinate, ove puoi farti aiutare direttamente da colui il

quale ha pensato quella cosa perché la porti anche in un altro posto. È un

sistema di misura, di metrica su tutto quello che si fa. Il sistema di misura e di

audit dà anche la qualità di quello che stai facendo. La cosa importante è che in

un sistema, normalmente, per essere un sistema capace, questo deve avere

all’interno una serie di ecosistemi che rendono il sistema capace, con un sistema

di misure, con un sistema di audit e con un sistema anche sanzionatorio. Alla fine

dell’anno mettiamo in graduatoria i nostri plant. I migliori tre o cinque vengono

Page 302: WCM (World Class Manufacturing)

298

premiati, gli altri vengono puniti, nel senso che si rimuovono e si cambiano i

team, si fanno delle correzioni affinché questi possano riprendere a correre

l’anno successivo. È un sistema competitivo e meritocratico che vale per le

persone, per i plant e per i manager.

2) Come vede il WCM? Qual è la sua percezione?

È diventato un sistema maturo, sicuramente tra i più maturi tra quelli che ci sono

in giro, proprio per le connotazioni che abbiamo detto prima. Si è nutrito di tutta

quella parte manageriale di cui non si sono potuti nutrire gli altri sistemi.

È un sistema riconosciuto perché ormai non c’è più discussione, nel senso che sia

gli shareholders i planner manager, la popolazione intera di chi fa industria sa di

che cosa stiamo parlando quando parliamo di WCM. Ha garantito un comune

linguaggio anche da un punto di vista tecnico. Il WCM ha 350 tools, è un sistema

ricco di knowledge, che fa dialogare tutti usando un linguaggio comune e questa

è una altra cosa importante. Per quanto riguarda il coinvolgimento delle persone,

questo sistema è riuscito a coinvolgere oggi, all’interno della Fiat, il 100% delle

persone. Puoi intervistare l’ultimo operaio che ti dice che la settimana scorsa ha

fatto quattro suggestions e ha partecipato a tre o quattro major kaizen.

3) Quali sono state le motivazioni che hanno portato ad adottare il WCM? Per

iniziativa di chi?

Sono state la non competitività del sistema manifatturiero o che nel 2004, con

uno spietato benchmarck, fece fare il dottor Marchionne sbattendoci in faccia

quali sono stati i risultati, parte sempre da una base. Quando nel 2004 arrivò il

nuovo amministratore delegato, il mondo intero ha vomitato numeri. E quando

abbiamo visto che, rispetto ai nostri competitors, eravamo molto indietro, si è

deciso di avviare un programma di rottura. Il WCM, di tutti i sistemi che abbiamo

valutato, abbiamo fatto becnhmarck su metodi, c’era sembrato il sistema più

Page 303: WCM (World Class Manufacturing)

299

adatto, soprattutto per la robustezza della parte manageriale che ci avrebbe poi

consentito di spingere in un certo modo in un paese occidentale. Io sono stato in

Giappone, ho vissuto lì e uno dei collanti di questi sistemi sono la religione, la

cultura, l’appartenenza e, quindi, questa roba qua bisognava realizzarla con un

sistema che facesse “push”.

4) Quali sono state le difficoltà connesse all’implementazione del WCM?

Le difficoltà sono state tante, caratterizzate da una scarsa comprensione di

quella che era la filosofia del miglioramento continuo che proponeva questo

modello. Sono state delle difficoltà legate alla gestione delle relazioni industriali

con il sindacato; vi sono state delle difficoltà anche a livello operativo, farlo

comprendere alle persone, ai nostri capi che si poteva operare in maniera

totalmente differente. Ci sono state delle difficoltà di interpretazione, di quello

che si voleva fare del management. Come al solito, quando c’è un momento di

rottura, le cose che si sono sempre fatte, c’è stato un momento di grande

difficoltà. Le difficoltà bisogna leggerle tutte e quante insieme, come un grande

elefante, poi bisogna affettare l’elefante e mangiare un pezzettino alla volta.

5) Qual è la situazione attuale all’interno del gruppo rispetto alla

sperimentazione del WCM nei vari stabilimenti? Perché alcuni stabilimenti

sono più avanti e altri no? dipende dalla capacità dei lavoratori, dal

management aziendale?

Sicuramente dipende da un molteplicità di fattori. Quelli nei quali sono stati

impattati da grandi livelli di innovazione; sui quali noi abbiamo investito in

formazione, in training, anche nella messa a disposizione dei migliori manager

che avevamo; quelli nei quale è, ovviamente, ancora in corso un processo di

ristrutturazione o addirittura hanno avuto molta discontinuità lavorativa o dove

hanno avuto una continuità con il passato che non è stata mai rotta. Devo dire

Page 304: WCM (World Class Manufacturing)

300

che tutte le company al mondo hanno stabilimenti che sono più avanti e altri che

sono più indietro. Non è facile sopportare una rivoluzione culturale come questa

nell’insieme.

6) Dobbiamo ancora dimostrare di essere come i giapponesi? Nel senso che

dobbiamo ancora migliorare il livello di credibilità e di fiducia in un contesto

sempre più competitivo e concorrenziale?

Il Giappone ha dalla sua un sistema-paese. Quindi, dal momento che ho vissuto lì

e mi sono formato lì, il Giappone produce un sistema scolastico meritocratico e

selettivo. Lì non si può scegliere che cosa fare da grande ed è nel percorso

scolastico che una persona viene indirizzata a fare un mestiere, piuttosto che un

altro. Le sue caratteristiche vengono individuate nel mondo della scuola e viene

indirizzato. Non è la persona che sceglie. Lei decide di mettersi nella barca che è

sul fiume e poi strada facendo. E’ indipendente dalla persona. Se poi si va a

vedere che cosa produce quella scuola, è un elite estremamente raffinata. Non è

un caso che i migliori ingegneri poi nascono da lì. C’è una cura maniacale del

dettaglio. Il sistema scolastico è estremamente ricco, perché gli investimenti nel

mondo scolastico li fa l’impresa. Vengono educati a questo dettaglio a questa

cura, a questa religione del lavoro fin dall’inizio. Lavorare lì è fantastico, non

bisogna convincere qualcuno a fare qualcosa, è un mondo ideale. Con il

sindacato si dialoga benissimo perché le posizioni sono intercambiabili e, quindi,

tutti hanno fatto esperienze sedendo nelle varie parti del tavolo. Il sindacato

gioca la stessa partita che gioca l’azienda, perché è l’azienda che deve vincere sul

mercato, gli avversari sono fuori dall’azienda. Con questa cultura giapponese non

si ci combatte dentro, ma si combatte con quello che è fuori, e questo non è una

roba da niente. Qui, per fare il WCM, abbiamo dovuto investire per dieci anni per

creare questa cultura rispetto che in Giappone. Quando il sistema-paese produce

delle persone con un grado di interpretazione del chanchelled e, con questa

Page 305: WCM (World Class Manufacturing)

301

ferocia e questa determinazione nel voler giocare quella partita lì, devi poi solo

fare il contorno. Quando invece devi creare il sistema, la visione è un po’ diversa.

7) La produttività sta migliorando? La qualità del prodotto è migliorata? Vi è

realmente una riduzione degli sprechi?

La qualità è un altro mondo. La riduzione degli sprechi anche. Il nostro

amministratore delegato ha detto che sprecare è anetical, quindi i guasti, gli

sprechi sono stati classificati come anetical. Oggi, non è più un’azienda che

lavorava sul mettere d’accordo, su mettere le pezze. Le macchine hanno

continuità e un’efficienza. Ci sono degli stabilimenti dove il livello di sicurezza è

invidiabile. Ci sono stabilimenti dove è da cinque anni che non capita un

infortuni. E quindi cambiato l’intero mondo a livello di qualità. La difettosità si è

ridotta a minimi termini, è un sistema che nella sua globalità. Mentre dieci anni

fa il manufacturing era un costo, oggi è un centro di profitto. Qui dentro noi

abbiamo un training consultant. Noi facciamo consulenza esterna per i terzi e

abbiamo un attivo rilevante,. La manifattura non produce solo per Fiat, noi

facciamo automobili per Ford, Peugeout, Citroen, in Canada per Volkswagen. Se

qualcuno ti dà, da fare la sua automobile e tu ne ricavi un beneficio, significa che

sei diventato talmente bravo a fare quella roba che la fai meglio di lui e che ci

ricavi anche dei denari. Ecco, dieci anni fa, questa cosa era impensabile. Oggi è

così! Facciamo motori per noi e ne facciamo di più per darli a terzi. Se c’è

qualcuno che ci compra un motore vuol dire che quel motore è meglio del suo,

quindi la situazione si è ribaltata completamente.

8) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza

del posto di lavoro? A tal proposito, nel quadro del WCM, è stato inserito un

sistema specifico chiamato Ergo-Uas, mi può spiegare nel dettaglio in che cosa

consiste questa nuova metrica? Consente di eliminare tutto ciò che nei

Page 306: WCM (World Class Manufacturing)

302

movimenti dei lavoratori è considerato uno spreco e con ciò di aumentare la

produttività?

Assolutamente sì! Da lì siamo partiti. Il WCM ha affrontato, prima ancora di

affrontare gli aspetti più complessi e tecnici, la sicurezza, l’ambiente del posto di

lavoro. Pulizia, ordine, messa in sicurezza degli impianti e delle persone, formare

le persone sulla sicurezza. Abbiamo fatto un programma che è costato

tantissimo. Abbiamo formato tutte le persone per avere figure professionali, il

capitano della sicurezza per rendere pervasivo ed invasivo l’approccio alla

sicurezza, e oggi le condizioni sono completamente diverse. Abbiamo fatto

grossissimi investimenti sull’ergonomia di processo. Abbiamo finanziato una

cattedra all’università di Torino che non aveva una cattedra di ergonomia di

processo. Oggi esiste grazie a noi, e l’abbiamo alimentato con contributi e

consulenze delle più prestigiose università oggi presenti al mondo. Abbiamo

pagato noi la consulenza affinché venissero professori di altre università e oggi

noi ci stiamo alimentando dei dottorandi che escono da quel percorso per

rivedere il nostro processo, per arricchirlo nei contenuti. Oggi noi abbiamo tutte

le stazioni di lavoro che sono state governate con un approccio ergonomico fin

dal momento in cui sono state pensate. Un tempo si faceva l’impianto, si

sceglievano gli uomini che avrebbe potuto lavorare lì dentro. Oggi si ristruttura il

processo all’origine facendo questo mestiere a monte. E nel momento in cui si

faceva la WPI vengono ad operare anche i lavoratori, gli operai della linea che

danno i loro suggerimenti e i loro contributi, fin dal momento in cui si sta

pensando quel processo produttivo con quel prodotto, e ciò non era mai stato

fatto prima.

9) Come valuta il rapporto con i lavoratori? Questi concorrono alla definizione

degli obiettivi e dei valori aziendali? Quali sono le loro priorità? E quelle

dell’azienda?

Page 307: WCM (World Class Manufacturing)

303

Sicuramente il rapporto con i lavoratori è molto diverso da quello di ieri.

Abbiamo ricevuto un milione e mezzo di proposte, a livello di partecipazione. Se

può essere espresso da un indicatore, abbiamo un indicatore di assenteismo che

è terzo o un quarto rispetto a quando siamo partiti in questa grande avventura e,

nelle fabbriche più evolute, quelle gold per intenderci, come Gian battista Vico,

gli indicatori di partecipazione sono rilevanti, anche sulla parte del sociale

interno abbiamo messo su un’ingegneria all’interno dei pilastri del WCM, che

hanno dato il loro contributo.

10) Il coinvolgimento dei lavoratori è un elemento essenziale data la

vulnerabilità del programma? Che cosa fate per favorire il loro coinvolgimento?

Quali sono i principali strumenti che vengono adottati per motivare/valorizzare

i lavoratori all’interno della nuova organizzazione?

Sì, c’è tutto un sistema di riconoscimento che, ovviamente, dal percorso di

carriera che può fare il lavoratore, se mostra di avere un certo tipo di approccio

al lavoro e un certo numeri di contributi, c’è il riconoscimento sulla base della

suggestion, c’è un riconoscimento sulla base del kaizen che ha proposto,

vengono dati premi tipo gadget vari; se funziona la proposta che ha fatto,

vengono date una tantum; se la proposta è interessante, vengono fatti

partecipare a visite in fabbriche estere per stimolare la vena creativa. Il

lavoratore più capace è quello che ruota su più postazioni e, quello che diventa il

cambista, quello che da il cambio alle persone, può diventare poi team leader e

poi, può diventare capo Ute.

La cosa importante è essere riconosciuto come meritevole di queste attenzioni.

Ci sono una serie di azioni che vengono fatte ove il gruppo riconosce il contributo

distintivo delle persone che poi vengono premiate.

11) Rispetto al pilastro “People Development”, investite nella formazione e

nell’addestramento dei dipendenti dal momento che per produrre beni di alta

Page 308: WCM (World Class Manufacturing)

304

qualità ad un basso costo in tempi brevi è necessaria una forza lavoro

altamente motivata e competente?

È fondamentale! Senza farlo, non si riuscirebbe ad avere questi risultati.

Mediamente, in ogni programma nuovo che variano, c’è una quota

considerevole di training, formazione, di partecipazione a tutte le attività che

vengono fatte attraverso il coaching. Ci sono diversi sistemi di gestione del

training. Noi abbiamo il training in aula per dare il knowledge di base; il training

on the job che è quello che si fa sulle postazioni di lavoro. Ma in mezzo, c’è tutta

una serie di momenti di training fatti in ambienti asettici, non sulla linea, ma

dentro il nuovo mini plant, c’è un training che facciamo nelle accademy, sempre

in un ambiente diverso da quello del lavoro, apprendi in aula determinati

concetti e li sperimenti come un gioco per poi arrivare al training job sulla linea

che è fatta più in condizioni di lavoro che di start-up. Anche l’ingegneria del

training è molto maturata in questi ultimi, per non parlare di tutto il training che

facciamo sul management per creare la condizione culturale a coloro i quali

devono gestire tutto il processo che sono gli ingegneri, i capi Ute, gli ingegneri di

processo.

12) Secondo lei il modello adottato consente di superare quelle relazioni

manager-dipendenti di tipo rigidamente gerarchico e di adottare invece un

clima aziendale stimolante e pacificato che consente una sorta di fusione tra gli

obiettivi dell’impresa e i bisogni dei lavoratori?

Assolutamente sì! Ha abbattuto tutte le barriere della vecchia gerarchia.

Quest’ultima non c’è più, nel senso che la fabbrica è molto più schiacciata, ci

sono gli operai, ci sono i capi Ute, ci sono i team leader, questa è una fabbrica

che aveva sette livelli.

Page 309: WCM (World Class Manufacturing)

305

13) In seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si è realizzato

concretamente o ancora vi è una partecipazione debole?

Al momento si è realizzato completamente. Poi ci sono stabilimenti in cui c’è una

maggiore maturità, e quelli in cui c’è una minore maturità. Però, non ci sono oggi

stabilimenti che sono rimasti fuori dal programma e, anche quelli con una minore

maturità, hanno delle medie di partecipazione che sono sopra le medie di

mercato, e questo anche in Italia è stata una sfida perché le reazioni che

abbiamo avuto inizialmente in Polonia e in Turchia siamo a livello di venti

suggestions per person, bene al di sopra del miglior benchmarck possibile. La

cosa interessante è vedere che siamo al di sopra dei diciassette, diciotto plant in

Italia, siamo sotto i dieci degli stabilimenti che sono un po’ più resistenti.

14) In questo nuovo modello quanto conta il dialogo con il sindacato? E il suo

coinvolgimento?

Il sindacato è sempre parte in causa. Il sindacato vive la fabbrica. I rappresentanti

sindacali vivono all’interno della fabbrica, quindi, non possono essere a lato da

questo punto di vista del processo. Quello che è capitato in tutti questi anni, è

che c’è stata una sana contrapposizione. Non è stato compreso immediatamente

il modello. Oggi c’è una maturità. Riceviamo delle proposte dal sindacato,

lavoriamo all’interno delle commissioni con il sindacato. In fabbrica c’è un clima

completamente diverso da quello rispetto a cui siamo partiti.

15) Quali potrebbero essere le azioni concrete per migliorare il rapporto con il

sindacato?

Sicuramente training, formazione. Per poter cambiare culturalmente bisogna

avere gli elementi che caratterizzano questo cambiamento. L’esperienza che ho

avuto negli Stati Uniti è stato determinante. Quando noi siamo partiti anche loro

Page 310: WCM (World Class Manufacturing)

306

non avevano nessuna conoscenza di sistemi di questa natura. L’hanno scelto

perché, pragmaticamente, hanno visto che era efficace e quindi si sono posti

immediatamente il problema di come far partecipare le persone all’interno della

fabbrica e come renderle partecipanti attivi, come renderli attori e quindi come

gestire e come operare con loro un programma di formazione adeguato che li

rendesse interlocutori credibili, come fare in modo che loro e le loro rispettive

aree di lavoro fossero operativamente messe in condizione di lavorare. In

Americana, noi abbiamo fatto un Accademy. Quest’ultima l’ha voluta il sindacato

prima ancora della Chrysler. L’Accademy degli Stati Uniti di Warren l’ha

finanziata il sindacato. Quest’ultimo ha fatto lavorare l’Accademy anche per

formare le sue persone. C’è stato un grande commitment. Questi grandi

cambiamenti, anche sul piano sindacale, non si realizzano se non c’è

commitment, e il commitment per il sindacato sono le segreterie generali, sono i

capi intermedi, cioè la stessa struttura dell’azienda se vogliamo. Il taglio delle

strutture che è stato fatto in azienda, non è stato fatto, parimenti, nel sindacato.

E’ ancora molto gerarchico il sindacato. Io credo che potrebbe anche lui fare una

sana riforma per essere più efficace e interloquire territorialmente e per

stabilimento, al fine di generare la stessa condizione di partecipazione.

16) Prospettive alla luce del nuovo contratto e dell’acquisizione di Chrysler?

Un’azienda unica, che sia capace di mettere insieme processi trasversali e globali

al punto di realizzare una migliore condizione per il cliente finale dovunque esso

si trovi. Una supply chain capace di governare tutti i processi logistici, una

capacità di gestire il management a livello globale in modo che in ogni angolo del

mondo siano capaci di identificarsi in questa nuova realtà.

Page 311: WCM (World Class Manufacturing)

307

Interviste Lavoratori Fiat Chrysler

Automobiles

Pino Di Castri

(Operaio Mirafiori Carrozzeria)

Antonella Palumbo

(Operaia Miarfiori Carrozzeria – Montatura)

Giuseppe Buscicchio

(Operaio Mirafiori Carrozzeria–Verniciatura)

Claudia Di Rosso

(Impiegata strutture centrali Fiat Chrysler

Automobiles)

Page 312: WCM (World Class Manufacturing)

308

Pino Di Castri

(Operaio Mirafiori Carrozzeria)

1) Che cos’è secondo lei il World Class Manufacturing? Come vede il Wcm? Qual

è la sua percezione?

È un metodo di lavoro che sta applicando Fiat e non solo. Il WCM, per come

l’hanno spiegato, se viene applicato in maniera corretta, può essere un buon

metodo per i lavoratori. Questo fa riferimento alle posture, una riduzione di tutte

quelle malattie patologiche che vengono fuori facendo sempre delle mansioni

ripetitive, soprattutto negli arti superiori.

2) Prima si lavorava in un modo, adesso che cosa è cambiato?

Il lavoratore non lo percepisce. Ci sono, ad esempio, di tutti i materiali a portata

di mano, lo sforzo è minore. Però, c’è uno stress maggiore. È aumentato lo stress

psicologico perché avendo tutto lì a portata di mano, hanno risicato un po’ i

tempi e quindi se, mentre prima facevo due passi, adesso non li faccio. I passi

servivano proprio allo stacco dai movimenti. Non so se è meglio l’uno o l’altro.

3) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza

del posto di lavoro? A tal proposito, cosa ne pensa del sistema Ergo-Uas? Ha

portato ad una riduzione della fatica dello stress, e delle malattie di tipo

muscolo-scheletrico?

Sì, sicuramente. È stato positivo.

Page 313: WCM (World Class Manufacturing)

309

4) In seguito all’introduzione del WCM, quale settore è migliorato

particolarmente? Ambiente/sicurezza/pulizia/ordine/fatica/tempi

Ambiente e sicurezza soprattutto. Pulizia ottima, anche l’ordine.

5) Secondo lei il lavoro diventa più autonomo e intelligente? oppure soltanto

più gravoso, o forse entrambe le cose insieme?

Non diventa autonomo. Noi non siamo autonomi. Però più intelligente sì.

6) Dato il principio di rotazione delle mansioni, è in grado di operare su

differenti postazioni di lavoro? Questo permette di rompere la routine della

ripetizione delle stesse operazioni?

Sicuramente sì. Anche se l’azienda non è in grado di applicarlo come vorrebbe.

7) Il WCM porta realmente ad una riduzione degli sprechi? La qualità del

prodotto è migliorata?

Sì, penso entrambi.

8) Come valuta il rapporto con i superiori (capi UTE e manager)?

È soggettiva la cosa. Come in tutti gli ambienti di lavoro c’è la simpatia e non.

Non dovrebbe esserci, però c’è. Ci deve essere un rapporto umano. Rispetto a

qualche anno fa è migliorato, sotto alcuni punti di vista, sotto altri, è diventato

più rigido perché, dal momento che siamo in un periodo di crisi, a volte la casta è

usata come clava sui lavoratori, come ricatto.

Page 314: WCM (World Class Manufacturing)

310

9) L’azienda si preoccupa dei vostri bisogni?

Direi di no.

10) Fate delle proposte di miglioramento?

Queste non sono una novità, già c’erano. si potrebbe fare di più. Il lavoratore

deve essere molto più coinvolto. Speriamo che questo avvenga. Vediamo se

l’azienda vuole. Poi c’è da dire che l’azienda è fatta di uomini, c’è una gerarchia a

volte, questa gerarchia interrompe questi processi perché trovi la persona che

non riesce a capire il modo con cui si deve porre al lavoratore.

11) È soddisfatto delle ricompense/premi che da l’azienda a seguito dei

suggerimenti che fornite per migliorare il lavoro?

Assolutamente no! Della maglietta o del gadget non ce ne facciamo niente. Il

lavoratore porta delle modifiche dove l’azienda risparmia milioni di euro. Il

lavoratore ha bisogno di denaro.

12) Sebbene vi sia libertà di proporre soluzioni, anche innovative, qualsiasi tipo

di cambiamento deve passare attraverso il vaglio di tutta una serie di livelli

gerarchici aziendali prima che possa essere implementato?

L’azienda deve prendere in considerazione soprattutto proposte di miglioramento

sulla sicurezza. Quando il lavoratore fa una segnalazione, già quella è una

proposta. Ovviamente l’azienda vuole che tutti lavoriamo in sicurezza, perché

qualcuno potrebbe incorrere in qualche denuncia. Se io posso fare una proposta

in cui l’azienda effettivamente dice, si risparmia il minimo, non la prende neanche

in considerazione. Quindi la proposta non è soltanto, io lavoro meglio, deve avere

Page 315: WCM (World Class Manufacturing)

311

anche un abbattimento dei costi. Poi ci sarà la persona che la valuterà, e se è

positiva verrà applicata e viene premiato.

13) Sono i team leader a decidere quali procedure di lavoro possono essere

modificate e in che modo?

Assolutamente no! Il lavoratore la fa, poi sarà il team leader che di fatto la

porterà al capo Ute. Quest’ultimo la porterà alla tecnologia che se ne occuperà, e

la tecnologia valuterà se questa effettivamente è buona oppure no.

14) Secondo Lei, in seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si

è realizzato concretamente o ancora vi è una partecipazione debole?

Attualmente è abbastanza debole.

15) Forme di disaffezione, quali la non partecipazione alle attività di

miglioramento continuo della qualità, l’assenteismo, lo sciopero, vengono

praticate?

Non è più così. Il lavoratore si mette in mutua se ha un problema di salute.

16) È soddisfatto della sua ricompensa economica?

No. Marchionne ha detto che ci avrebbe portato ai livelli dei tedeschi di 2000

euro al mese. Metalmeccanici come me che montano le macchine, il lavoro è

identico.

17) Se dovesse dare un voto all’azienda da una scala da una 1 a 10, quanto gli

darebbe? Questa azienda è un buon posto di lavoro?

Page 316: WCM (World Class Manufacturing)

312

L’azienda, la valuto positivamente, perché è un’azienda che dà lavoro.

Guardandomi in giro chiudono le aziende. E’ vero che abbiamo fatto cassa

integrazione, ma non è stato chiuso niente, a parte Termini Imerese ci potrà

essere qualche sbocco. Alla fine la valuto positivamente perché non ha dismesso

nessun stabilimento.

18) Come vede il rapporto con il sindacato? È necessario per lei la presenza del

sindacato oppure preferisce interagire direttamente, cioè attraverso

un’interlocuzione diretta?

Io potrei anche interagire personalmente, ma non tutti sono in grado di farlo. Il

sindacato ci vuole, deve crescere. È vero che c’è una disaffezione da parte del

sindacato in generale. Poi c’è stata la crisi, che è portata da tante cose, ma se

non ci fosse il sindacato sarebbe molto peggio.

19) Quando ci sono dei problemi il sindacato ne discute con l’azienda ed

insieme cercano di risolverli oppure deve scendere a patti con l’azienda?

Certo, ci sono delle commissioni che sono istituite per fare questo.

20) Secondo lei, con l’implementazione del WCM, l’azienda sta cercando di

“individualizzare” sempre di più il rapporto con il lavoratore? Senza

l’intromissione del sindacato?

Penso di no, anche se vuole escludere il sindacato. Ma non penso che riesca a fare

una cosa del genere.

Page 317: WCM (World Class Manufacturing)

313

21) Qual è il rapporto tra le varie organizzazioni sindacali? Cercano un dialogo

e di collaborare tra di loro?

Pessimo, perché sono in troppi e ci dovrebbe essere soltanto un sindacato di

categoria. Queste divisioni non portano a nulla. Andrebbe riformato, ma è

difficile, non avverrà mai, secondo me.

22) Come vede le RSU ? Vi è una disponibilità immediata delle RSU all’interno

dell’azienda?

Sì di molti sì. Anche lì poi è soggettiva la cosa. C’è la rsa ipocrita che si fa i fatti

suoi e ci sono poi, quelli che si mettono a disposizione dei lavoratori.

23) Cosa ne pensa dell’acquisizione di Chrysler?

Dieci anni fa era impensabile che fiat potesse acquistare un’azienda, qualsiasi

essa sia, soprattutto americana, è incredibile. La General Motors voleva in

qualche modo acquisire la Fiat. È stata pagata una penale per non farci

acquistare e da lì poi ci sono stati tutti una serie di progetti che ci hanno portato

ad acquisire Chrysler. È fantastica la sopravvivenza di entrambe!

Page 318: WCM (World Class Manufacturing)

314

Antonella Palumbo

(Operaia Mirafiori Carrozzeria - Montatura)

Giuseppe Buscicchio

(Operaio Mirafiori Carrozzeria – Verniciatura)

1) Che cos’è secondo voi il World Class Manufacturing?

Entrambi: E’ un modello di gestione aziendale, una tesi che ha lanciato

Marchionne, è una modalità di lavoro.

2) Come vedete il Wcm? Qual è la vostra percezione? Prima si lavorava in un

modo, adesso che cosa è cambiato?

Lei: Sicuramente una cosa positiva. Rispetto a vent’anni fa, quando c’erano le

malattie professionali perché comunque si lavorava con carichi di lavoro diversi,

era diversa la catena di montaggio. Oggi dovrebbe essere positiva perché con la

ASL di mezzo, l’Ergo-Uas è proprio una materia d’ingegneria, bisogna calcolare

leve, posture, ci formule, è quasi matematica. Dovrebbe essere poi attuata nella

maniera giusta proprio per evitare le malattie professionali.

Lui: È migliorato tantissimo l’aspetto lavorativo a livello di postazione di lavoro,

che può aiutare tantissimo la condizione lavorativa del lavoratore.

3) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza

del posto di lavoro? A tal proposito, cosa ne pensate del sistema Ergo-Uas? Ha

portato ad una riduzione della fatica dello stress, e delle malattie di tipo

muscolo-scheletrico?

Page 319: WCM (World Class Manufacturing)

315

Entrambi: Sì, assolutamente sì, molte malattie professionali.

4) In seguito all’introduzione del WCM, quale settore è migliorato

particolarmente? Ambiente/sicurezza/pulizia/ordine/fatica/tempi

Lei: Sicuramente l’ambiente e l’ordine. Anche se la cosa fondamentale del WCM

deve essere la postazione di lavoro. Da noi, sia in montaggio, sia in verniciatura,

c’erano delle postazioni rosse. Quando si faceva un’analisi e si andava ad

analizzare la postazione, questa poteva essere gialla, verde o se era rossa era

tutta da rivedere. Queste sono migliorate. Parliamo, attenzione, di uno

stabilimento dove in questo momento è chiuso, perché carrozzeria sono 3 anni

che non lavoriamo, lavoriamo a step, un tot di giorni al mese e quindi è tutto da

rivedere con la nuova vettura. Per quanto riguarda la vecchia catena di

montaggio, dove comunque le cose sono migliorate.

Lui: L’aspetto è globale della cosa, non solo a livello di postazione di lavoro ma

bensì anche di pulizia, sicurezza. Un contenuto a 360 gradi.

5) Secondo voi il lavoro diventa più autonomo e intelligente? oppure soltanto

più gravoso, o forse entrambe le cose insieme?

Lei: Sicuramente più intelligente, fare delle proposte. Non è più come una volta

che ti mettevi lì in catena di montaggio, ti facevi 8 ore e facevi sempre quello e

non eri tenuto a pensare. Oggi ci sono proprio delle postazioni in cui puoi

compilare un modulo, puoi fare appunto una proposta di miglioramento.

Lui: L’aspetto è molto più positivo. Sei già più qualificato e quantificato, sai già

come che stai facendo. In passato mettevi una vite e non sapevi quello che stavi

facendo, oggi sai il tuo posto di lavoro, e sai quantificare, quel tipo di vite, un tipo

di sigillatura, insomma puoi migliorare il tuo posto di lavoro.

Page 320: WCM (World Class Manufacturing)

316

6) Dato il principio di rotazione delle mansioni, siete in grado di operare su

differenti postazioni di lavoro? Questo permette di rompere la routine della

ripetizione delle stesse operazioni?

Lei: In pratica sì, perché ogni lavoratore, comunque, ha la possibilità. Certo è il

capo che ti inserisce in un certo sistema, di poter lavorare su più postazioni. Non è

il WCM che ti porta a fare più mansioni. Quando fai un corso di formazione hai in

quella settimana la possibilità di apprendimento e da lì puoi fare diverse

mansioni. Con il WCM, puoi lavorare in base al WCM, alla possibilità del

lavoratore.

Lui: Questo metodo di lavoro ha migliorato molto l’aspetto lavorativo, nel senso

che se tu sei una persona idonea, ti può permettere di essere un “jolly”, nel senso

che puoi fare qualsiasi tipo di postazione, ruotare nella giornata nell’arco di otto

postazioni, cosa che prima magari non si faceva. Questo metodo di lavoro

migliora l’aspetto migliorativo.

7) Il WCM porta realmente ad una riduzione degli sprechi? La qualità del

prodotto è migliorata?

Entrambi: Per quanto riguarda la riduzione degli sprechi sì. Per quanto riguarda

la qualità del prodotto bisogna vedere su quale piano la vogliamo mettere,

profilo aziendale, profilo politico, dovrebbe essere così. La qualità deve

migliorare, è fondamentale.

8) Come valutate il rapporto con i superiori (capi UTE e manager)?

Entrambi: L’azienda è cambiata molto su questo rispetto a dieci, quindici anni fa.

C’è anche più competenza. Sono materie dove bisogna studiare, analizzare, tutto

fa il suo percorso, in meglio, c’è la tecnica, la teoria e la pratica. Chi è sul lato

pratico, come noi operai, confrontarci con chi la guarda dal lato tecnico,

Page 321: WCM (World Class Manufacturing)

317

comunque c’è un confronto. Non è detto che quello che è su carta sia giusto e in

pratica vada tutto nel verso giusto, non è così. Bisogna trovare una via di mezzo,

perché sulla carta è molto semplice, nella pratica non è sempre così.

9) L’azienda si preoccupa dei vostri bisogni? Quali sono le vostre priorità? E

quelle dell’azienda?

Entrambi: L’assenza dalle postazioni di lavoro per qualsiasi bisogno privato.

10) Quali strumenti vengono adottati dall’azienda per motivare/valorizzare voi

lavoratori all’interno della nuova organizzazione? Vi sono meccanismi di

incentivazione e di gratificazione?

Entrambi: Prima davano un compenso monetario per la proposta di

miglioramento che era andata a buon fine. Adesso no.

11) Sebbene vi sia libertà di proporre soluzioni, anche innovative, qualsiasi tipo

di cambiamento deve passare attraverso il vaglio di tutta una serie di livelli

gerarchici aziendali prima che possa essere implementato?

Entrambi: Sì, c’è una burocrazia, si dovrebbe cercare di ridurla un pò. Adesso c’è

stata una riduzione dei livelli gerarchici perché nello stacco dall’operaio al

dirigente c’erano troppo figure, e quindi adesso parecchie neanche esistano più.

12) Sono i team leader a decidere quali procedure di lavoro possono essere

modificate e in che modo?

Entrambi: No, c’è il capo Ute e il capo Officina che decidono in quella Ute quale

scelte fare, non ha potere decisionale.

Page 322: WCM (World Class Manufacturing)

318

13) Secondo voi, in seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si

è realizzato concretamente o ancora vi è una partecipazione debole?

Entrambi: Partecipazione debole perché è una materia difficile, occorre tempo.

Non è una materia che si può solo studiare, ma è una materia pratica, bisogna

praticarla sul luogo di lavoro. Bisogna essere molto più partecipativi, molto più

elastici tra azienda, sindacato e chi c’è al lavoro. Altrimenti, sono cose che

rimarranno soltanto scritte e non si potrà vedere la praticità sul posto di lavoro.

14) Forme di disaffezione, quali la non partecipazione alle attività di

miglioramento continuo della qualità, l’assenteismo, lo sciopero, vengono

praticate?

Entrambi: Una volta c’era lo sciopero, è cambiato il sistema, mettiamola così. I

nostri genitori hanno fatto tanto per acquistare diritti che oggi noi abbiamo e li

hanno acquistati con lo sciopero, la marcia dei quarantamila. Poi, se ci sono delle

cose errate, il sistema lo troviamo. Nessuno ha il diritto di calpestare il diritto di

un essere umano, non siamo macchine o robot.

15) Siete soddisfatti della vostra ricompensa economica?

Entrambi: No, si tratta di lavori usuranti, che fa i turni, che si alza alle 4.00 del

mattino tutti i giorni per tutta la vita. Siamo in una catena di montaggio, non è

un lavoro di scrivania. Dovrebbero pagarci di più, oppure ricompensarci in

maniera diversa.

Page 323: WCM (World Class Manufacturing)

319

16) Se dovreste dare un voto all’azienda da una scala da una 1 a 10, quanto gli

dareste? Questa azienda è un buon posto di lavoro?

Entrambi: La sufficienza, c’è ancora da fare. È un buon posto di lavoro, questo sì,

E’ un colosso nazionale. Abbiamo sempre detto un governo dentro un governo.

Non c’è stato un controllo e questo ci ha portati allo sbaraglio. Alcuni nostri

politici, non si sono resi conto che quello che non è stato fatto dalla Fiat ha

lesionato il sistema nazionale e oggi ne stiamo pagando le conseguenze. La Fiat

era l’indotto che c’era intorno, adesso non esiste più e questo dobbiamo

ringraziare i nostri politici.

17) Come vedete il rapporto con il sindacato? È necessario per voi la presenza

del sindacato oppure preferite interagire direttamente, cioè attraverso

un’interlocuzione diretta?

Lei: È importantissimo il sindacato. Per noi lavoratori è uno strumento che

abbiamo a disposizione. Quindi, fare da portavoce all’azienda, il sindacato ci deve

essere, anche se qualcuno cerca di debellarlo, soprattutto i giovani non credono

più nel sindacato, ed è sbagliato perché comunque è il portavoce del cittadino e

del lavoratore.

Lui: Anche perché noi serviamo all’azienda, per gli accordi, andiamo a prendere

atto, anche se non è questo il nostro lavoro, ci stanno dando ancora fiducia.

18) Quando ci sono dei problemi il sindacato ne discute con l’azienda ed

insieme cercano di risolverli oppure deve scendere a patti con l’azienda?

Entrambi: Certo, si cerca di arrivare ad una mediazione, nel senso di risolvere il

problema. Il sindacato non deve scendere a patto con l’azienda.

Page 324: WCM (World Class Manufacturing)

320

19) Per quanto riguarda gli strumenti, cioè meccanismi di tipo partecipativo,

funzionano le commissioni paritetiche?

Entrambi: Sì, funzionano. Ci sono degli incontri.

20) Secondo voi, con l’implementazione del WCM, l’azienda sta cercando di

“individualizzare” sempre di più il rapporto con il lavoratore? Senza

l’intromissione del sindacato?

Entrambi: Purtroppo sì. È normale che l’azienda cerchi di mettere da parte il

sindacato per avere un rapporto direttamente con il lavoratore. A volte sì.

21) Qual è il rapporto tra le varie organizzazioni sindacali? Cercano un dialogo

e di collaborare tra di loro?

Entrambi: A volte sì, a volte no, dipende dalla motivazione, non abbiamo tutti le

stesse idee, il sindacato ha la sua linea politica. Si ci parla se è un problema che

dobbiamo condividere insieme, ma di certo non si va a braccetto.

22) Come vedete le RSA ? Vi è una disponibilità immediata delle RSU all’interno

dell’azienda?

Entrambi: Come lavoratori dovremmo rivolgerci alla nostra rsa, quindi per far

portavoce con l’azienda per problematiche che abbiamo, quindi sì.

23) Che cosa è cambiato dopo le vertenze di Pomigliano e Mirafiori? Si dice che

siano stati cancellati “diritti e garanzie” per i lavoratori

Entrambi: No, non è cambiato niente. Come si lavorava prima si lavora adesso.

Un piccolo inconveniente è che adesso c’è un contratto che ci lega con l’azienda

Page 325: WCM (World Class Manufacturing)

321

che abbiamo firmato. Se prima avevi un esigenza, magari il capo Ute e del

Personale erano più rigidi, adesso sono finite, nel senso che adesso poni il

problema, hai delle tue regole ma anche dei vincoli che abbiamo firmato per

salvare i posti di lavoro. Per quelli che dicono, come la Cgil e la Fiom, che

abbiamo firmato questi accordi, lo abbiamo fatto per firmare i posti di lavoro. Ci

sono degli aspetti migliorativi come ad esempio la postura, l’Ergo-Uas, rispetto

agli anni precedenti.

24) Cosa ne pensate dell’acquisizione di Chrysler?

Lei: La rispondo a livello personale e non come lavoratrice o delegata sindacale:

secondo me Marchionne ha dovuto fare questa scelta per il sistema politico e

governativo che c’era al momento, infatti sono state spostate le sedi legali e ecc.

Marchionne ha spostato la parte più importante all’estero. Le vetture che fa in

Chrysler le potevamo fare anche qui in Italia, però è stata fatta questa scelta. Il

Governo che c’è stato allora non ha fatto nulla per mantenere la fabbrica Fiat qui

in Italia, parliamo del Governo Berlusconi.

Lui: Oggi Fiat, 108 anni di azienda, oggi la Fiat che ha comprato Chrysler è stato il

massimo. Oggi ci chiamiamo Fiat-Chrysler. Io non penso che questa sia l’ultima

operazione che farà Marchionne. Penso che oggi, per stare sul mercato, ti devi

per forza alleare, come le altre case, se vuoi rimanere sul mercato. Oggi dire che

la Fiat ha comprato Chrysler, mi sento più sicuro a livello lavorativo. Se fosse

stato solo Fiat per me, oggi, poteva essere pericoloso. La possono vedere in

diversi modi, come uno spreco di denaro. Quando si faceva sindacato, allora, si

diceva che le macchine piccole danno il lavoro. Oggi il mercato è cambiato,

l’esigenza del cliente è cambiata. Oggi c’è il polo del lusso. Quando facevo la

Panda, nessuno comprava le macchine del segmento C o del segmento B, perché

non attiravano. Oggi c’è il polo del lusso e all’estero questo tipo di macchina è

apprezzata. Quindi quando partirà Mirafiori, potremo fare un lancio come la

Maserati. C’erano dei pregiudizi quando è stata avviata la Ex Bertone, però gli

Page 326: WCM (World Class Manufacturing)

322

esiti sono stati positivi. Firmando il contratto sono stati dati dei posti di lavoro. Mi

sarebbe piaciuto sentire solo il nome Fiat, ma adesso anche se si chiama Fiat-

Chrysler la cosa è indifferente perché ha permesso di salvare posti di lavoro.

Adesso si stanno facendo dei sacrifici, si lavora lì anche il sabato in Maserati, si

vuole fare ciò, anche per garantire un qualcosa per le nuove generazioni.

Non sono io che devo difendere Fiat, perché ha pregi e difetti, io penso che i lavori

lì stiano facendo. Il problema è quando facciamo la macchina, quella è la cosa

importante. Per quanto riguarda i sindacati, quelli della Fiom, un punto

d’incontro non lo vogliono trovare, dicono di no a tutto, poi se le cose vanno male

loro dicono “ma io lo avevo già detto”.

Page 327: WCM (World Class Manufacturing)

323

Claudia Di Rosso

(Impiegata strutture centrali Fiat Chrysler

Automobiles)

1) Che cos’è il World Class Manufacturing?

É un sistema, un nuovo tipo di organizzazione del lavoro che si prefigge

principalmente due fini: la riduzione degli sprechi e una maggiore competitività

nei mercati. Poi ovviamente legato ci sono altre cose, ma se vogliamo sintetizzare

queste sono le due cose più importanti.

2) Come vede il WCM? Qual è la sua percezione?

Devo dire che il WCM, dove sono io, non è entrato. Lo conosco perché l’ho un po’

studiato e conosciuto, però, da me, si dovrebbe fare più che altro il World Class

Tecnologies, che poi non è partito tra gli impiegati e non ho capito il perché.

Come WCM, i nostri colleghi, che studiano le linee di lastratura, applicano delle

cose che sicuramente sono necessarie nelle fabbriche, ma io direttamente non lo

conosco. Secondo me è uno strumento che, se ben impiegato, è molto utile a

raggiungere un livello di competitività con le altre aziende, ma soprattutto a dare

l’innovazione del progresso. Per me è un sistema per raggiungere la cosiddetta

“fabbrica del futuro”. È un buon sistema.

3) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e di

sicurezza del posto di lavoro? A tal proposito, cosa ne pensa del sistema Ergo-

Uas? Ha portato ad una riduzione della fatica dello stress e delle malattie di

tipo muscolo-scheletrico?

Page 328: WCM (World Class Manufacturing)

324

Io lavoro come RLS, rappresentante per la sicurezza dei lavoratori. Sicuramente

ha avuto, soprattutto per quanto riguarda l’ergonomia, dei fattori positivi.

Sicuramente ha portato dei grandi miglioramenti per quanto riguarda la postura

e anche per quanto riguarda la sicurezza a livello generale. Uno dei pilastri del

WCM è il safety.

4) In seguito all’introduzione del WCM, quale settore è migliorato

particolarmente? Ambiente/sicurezza/pulizia/ordine/fatica/tempi

Quello che ho percepito, sempre incrociando gli operai, e che mi ha colpito che

molti parlano di più luminosità, non sono più ambienti bui, sono più puliti. Quello

che io ho percepito da loro e che le postazioni sono più pulite, c’è luminosità, la

postazione di lavoro è migliorata, devono spostarsi di meno, hanno tutto a

portata di mano e questo può evitare malattie che potevano manifestarsi nel

tempo.

5) Secondo lei il lavoro diventa più autonomo e intelligente? oppure soltanto

più gravoso, o forse entrambe le cose insieme?

Se la persona recepisce bene il WCM, la persona assume un ruolo importante nel

migliorare lui stesso, la postazioni di lavoro. C’è valore aggiunto da parte

dell’operaio, con tutta la sua capacità, con tutta la sua esperienza che si è fatto.

Può incidere in questo WCM, può suggerire dei miglioramento affinché tutto

diventi più snello, più veloce, più attento alla sicurezza, con molta riduzione degli

sprechi. E’ un ruolo che l’operaio può giocarsi bene.

6) Il WCM porta realmente ad una riduzione degli sprechi? La qualità del

prodotto è migliorata?

Page 329: WCM (World Class Manufacturing)

325

Sicuramente la riduzione degli sprechi ci sarà stata, ma fino a che il WCM non

verrà esteso a tutti gli attori, è chiaro che una buona riduzione degli sprechi non

è ancora effettiva. A livello di officina, immagino di sì, e lo dicono gli operai.

Dovrebbe ampliarsi, e a quel punto, quando toccherà tutti i poli, tutte le persone

che fanno parte di quel lavoro, potrebbe rilevarsi un effettivo sistema per ridurre

gli sprechi. Adesso è entrato nelle fabbriche più nuove ma non toccate altre

persone che comunque ci lavorano in fabbrica.

7) L’azienda si preoccupa dei vostri bisogni? Quali sono le vostre priorità? E

quelle dell’azienda?

L’azienda in questo momento è attenta al bisogno e alla vita dell’operaio. Non

sono sicura che sia attenta anche alla vita dell’impiegato. Secondo me c’è questo

divario, un po’ causato dalla differenza di culturale. L’impiegato ha una culturale

un po’ da arrogante, pensa di potersi risolvere il problema da solo quindi, il

rapporto che l’operaio ha con la struttura nel cercare di portare i problemi e

farseli risolvere, l’impiegato non ce l’ha, proprio per la presunzione che io posso

risolvere i problemi. Un altro aspetto è che l’operaio fa squadra c’è un concetto

di insieme. Tra gli impiegati non c’è, ed è uno scoglio. Bisognerebbe far fare un

corso di comunicazione a tutti. Qui il corso di comunicazione, non si capisce bene

come viene gestito, ma certo non cade capillarmente su tutti. In questo corso, in

cui io ero l’unica donna in una platea di uomini, ho percepito che lavorare in

team è un ostacolo. Io ho l’impressione che gli operai in squadra lavorino meglio

rispetto agli impiegati in squadra.

8) Quali strumenti vengono adottati dall’azienda per motivare/valorizzare voi

lavoratori all’interno della nuova organizzazione?

Gli aumenti sono fermi in seguito alla crisi. C’è solo un sistema di valutazione tra

gli impiegati che è stata estesa a tutti gli impiegati. In realtà è usata male perché

Page 330: WCM (World Class Manufacturing)

326

diventa uno strumento per incentivare qualcuno al posto di qualcun altro. È utile,

ma viene usato male, ci sono pochi soldi, non ci soldi e quindi viene utilizzato

male.

9) Secondo Lei, in seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si

è realizzato concretamente o ancora vi è una partecipazione debole?

Il sistema partecipativo, penso, sia stato ben iniziato, capito e somatizzato da

alcune sigle sindacali e alcuni delegati. Trova difficoltà a decollare perché è una

società che in questo momento è individualista, c’è arroganza. Dal punto di vista

sindacale, è ancora visto come quello che ti crea problemi, quindi non è

completamente decollato. Io ci credo moltissimo. Io lo sto applicando, infatti

cerco di essere partecipativa, però c’è ancora un grosso passo culturale da fare

che paradossalmente tra gli operai che con gli impiegati, te lo dico da impiegata.

10) È soddisfatto della sua ricompensa economica? Vi sono possibilità di

crescita professionale all’interno dell’azienda?

Io sono inquadrata come assistente, che in Italia non ha ragione di esistere.

Quindi sono una segretaria, e da lì non mi muovo. Io non mi posso aspettare

nulla, però spero che l’azienda posso riqualificarmi per farmi fare altre attività. In

questo ho fiducia.

11) Se dovesse dare un voto all’azienda da una scala da una 1 a 10, quanto gli

darebbe?

C’è una parte dell’azienda che ha una mentalità molto propositiva, culturalmente

già avanzata; e una buona fetta Fiat che ha ancora una mentalità della vecchia

Fiat. Alla ricerca di Alberto Cipriani sul WCM, l’azienda si è messa positivamente,

quindi potrei darle un bel sette o otto. Su altri aspetti la sufficienza. C’è chi crede

Page 331: WCM (World Class Manufacturing)

327

in questo cambiamento e in questo rinnovamento, e c’è, invece, chi tira ancora

indietro.

12) Questa azienda è un buon posto di lavoro?

Sì, lo è. L’azienda gioca sul ruolo. In un periodo in cui le altre aziende hanno

chiuso, questa azienda ha continuato a garantire il posto di lavoro a tutti. Quindi

è ancora un buon posto di lavoro.

13) Come vede il rapporto con il sindacato? È necessario per lei la presenza del

sindacato oppure preferisce interagire direttamente, cioè attraverso

un’interlocuzione diretta?

A me piacerebbe tanto un sindacato unitario. Io sono per un sindacato, dove il

sindacalista lavora in azienda, lavora con gli altri e per gli altri, non per una punta

di voglio farmi vedere, voglio fare carriera. Io sono fuori dagli schemi dei vecchi

sindacalisti. Quello che sento adesso dai miei colleghi, è che sono bacchettati

perché il sindacato vien identificato come quello che non ha voglia di lavorare,

un fancazzista. Io sono invece per la parte attiva, un sindacato alla tedesca,

partecipativo, dove partecipa realmente alla vita dell’azienda. Questo tipo di

sindacato fa bene al lavoratore e permette all’azienda di essere competitiva, non

il sindacato alla vecchia maniera, tutti fuori i cancelli.

14) Quando ci sono dei problemi il sindacato ne discute con l’azienda ed

insieme cercano di risolverli oppure deve scendere a patti con l’azienda?

Io e la FIM, sicuramente cerchiamo il tavolo. Portiamo il problema e delle

possibili soluzioni. Quando mi portano il problema cerco di capire in che misura

è, quanti lavoratori colpisce, ascolto le soluzioni. Io non vedo nell’azienda il boia

cattivo, ma vedo nell’azienda, l’azienda che fa il suo lavoro io il mio e troviamo

Page 332: WCM (World Class Manufacturing)

328

una soluzione, per il bene il tutti. E secondo me è ancora fattibile, solo che

purtroppo, vuoi per un certo sindacato del passato, vuoi perché gli errori sono

stati fatti, la gente oggi lo schifa abbastanza. Ti parlo dei miei impiegati e non dei

quadri, perché è passato l’idea che i quadri sono un sindacato e non è vero, e se

vai dai quadri loro sono amici dell’azienda quindi tu non ti fai nemico con

l’azienda. Quindi già un partenza sbagliata. Ognuno ha bisogno di giocare il

proprio ruolo, ma di parlarci e di confrontarci, e poi se passi dai quadri sei visto di

buon occhio.

15) Per quanto riguarda gli strumenti, cioè meccanismi di tipo partecipativo,

funzionano le commissioni paritetiche?

Abbiamo qualche difficoltà. L’azienda cerca di interpretarla a modo suo, invece

sono degli ottimi strumenti di lavorare. Perché anche qui, se l’azienda si fidasse

del sindacato e viceversa, sarebbe un campo su cui confrontarsi per risolvere i

problemi. Facciamo l’esempio della commissione assenteismo: l’azienda ti

convoca, ti da dei dati, ma tu non sai se c’è una maggiore concentrazione di

assenteismo in un’aria, piuttosto che un'altra. Non ti da gli strumenti per poter

interagire, tende ancora a manipolare e gestirsi la situazione da sola.

16) Secondo lei, con l’implementazione del WCM, l’azienda sta cercando di

“individualizzare” sempre di più il rapporto con il lavoratore? Senza

l’intromissione del sindacato?

C’è una fetta di azienda che lo fa ancora, ma io sono fiduciosa che i rapporti

cambiano. C’è l’altra fetta che ha un’idea di partecipazione.

17) Qual è il rapporto tra le varie organizzazioni sindacali? Cercano un dialogo e

di collaborare tra di loro?

Page 333: WCM (World Class Manufacturing)

329

Io, finora, con i coordinatori delle altre sigle, ho fatto un buon lavoro. Sono

riuscita a metterli insieme. Non so abbia giocato anche il fatto di essere donna e

quindi a portare un po’ l’idea della donna in mezzo agli uomini. Sono riuscita a

farli calmare un attimo, a farli incontrare e capire meglio. Ogni sindacato ha una

sua ideologia. Se fossimo un po’ più a rete sarebbe diverso, e su questo l’azienda

ci gioca.

18) Come vede le RSU ? Vi è una disponibilità immediata delle RSU all’interno

dell’azienda?

Io vedo in certi ambienti che la donna viene ancora limitata, come se non avesse

la competenza di gestire alcune cose. Fa fatica ad imporsi. Oggi ha lo spazio per

muoversi, dipende dalla persona. L’ambiente Fiat è particolare, bisogna acquisire

un certo modo di comportarsi, di dialogare, e, in questo, le rsa della Fim abbiano

capito come muoversi in questo senso partecipativo. Le rls, dovrebbero

ragionare non a livello di sigla ma di sicurezza.

19) Cosa è cambiato dopo le vertenze di Pomigliano e Mirafiori?

Non è cambiato niente. Per la FIOM, noi siamo quelli che stiamo dietro l’azienda.

Io li vedo come un gruppo di persone che non sanno sottostare a certe regole. È

cambiato che adesso lavorano per i fatti loro, ma non vedo risultati. Vedo gli altri

sindacati che cercano di parlarsi e di fare delle cose insieme. Loro sono sempre

sul pian di guerra. A me non danno fastidio, io parlo con tutti, loro sono molto

rigidi sulle loro posizioni.

20) Cosa ne pensa dell’acquisizione di Chrysler?

Penso che se non si fossero fatti alcuni ragionamenti, adesso non si potrebbe

neanche parlare di Fiat. Partiamo con l’idea che l’azienda è azienda e fa il suo

Page 334: WCM (World Class Manufacturing)

330

ruolo. Sicuramente nel suo gioco si preoccupa dei sui investimenti, dei suoi soldi

e forse meno dell’operaio, però è anche vero che gli stabilimenti sono stati

salvati. Tutto quello che hanno detto che avrebbero fatto l’hanno fatto. Mirafiori

sta partendo; Maserati è già avviato. Molto dipende dall’andamento del

mercato. Il popolo Fiat che frequento, vede soltanto all’interno di Fiat. Questa

azienda deve essere vista in un insieme globalizzato. Di quello che sta

succedendo fuori, gli altri, non si sono fatti problemi a chiudere. Quello che è

stato messo sul tavolino si sta facendo, non vedo tutta questa negatività. La

negatività l’avrei vista se adesso fossero chiusi i cancelli. C’è questa disaffezione

perché la gente è diventata un po’ stronza. Ci sono epoche ed epoche. È molto

più facile dal brutto andare al bello e non viceversa. Bisogna tornare a mettere il

lavoro al centro e tornare a lavorare, accontentandosi di una vita basata su cose

semplici. Non si può rimanere fermi, ma cambiare, crescere. Se non fosse stato

così oggi che cosa si farebbe.

Page 335: WCM (World Class Manufacturing)

331

Considerazioni conclusive

Negli ultimi cinquant’anni abbiamo assistito ad una vera e propria

rivoluzione del mondo delle fabbriche, legate a fattori economici,

tecnologici e sociali. L’industria dell’automobile è stata per molti anni la

più rappresentativa dell’evoluzione dei processi produttivi, dell’ambiente

di fabbrica e della relazione tra fornitori e clienti finali.

La maggior parte dei processi industriali ha raggiunto livelli di

automazione importanti, specialmente nelle aree che devono garantire

stabilità e qualità del prodotto, ovvero per la riduzione della fatica degli

operai e per assicurare a quest’ultimi un ambiente di fabbrica sicuro con

rischi di infortuni ridotti al minimo. Indubbiamente il livello di

automazione raggiunto è frutto di tutta una serie di cambiamenti

progressivi consentiti dall’avvento di nuove tecnologie, ma gli aspetti

organizzativi e gestionali hanno giocato e continueranno a giocare un

ruolo fondamentale nell’evoluzione degli ambienti di fabbrica,

soprattutto per quanto riguarda il rapporto uomo-macchina ed il livello

di coinvolgimento del management nell’impostazione e gestione dei

processi produttivi.

Oggi, le realtà industriali tendono quindi ad attuare un processo di

organizzazione che non guarda più soltanto all’introduzione di nuove

tecnologie ma bensì alla sperimentazione di nuovi “modelli organizzativi

del lavoro umano”, che portano ad una diversa combinazione tra lavoro

e tecnologia, maggiore partecipazione dei lavoratori, formazione, nuova

visione dei rapporti tra management aziendale e sindacato.

La ricerca sottolinea i profondi cambiamenti che sono avvenuti

nell’organizzazione del lavoro in fabbrica a partire dalla sperimentazione

del “World Class Manufacturing” avviata nel 2006 dal Gruppo Torinese.

Page 336: WCM (World Class Manufacturing)

332

Un primo dato significativo mostra come le innovazioni organizzative

abbiano portato ad un miglioramento oggettivo delle condizioni di

lavoro, ad un ambiente idoneo per le esigenze del lavoratore, che si

traducono in una maggiore attenzione alla pulizia ed alla luminosità degli

ambienti, un miglioramento delle condizioni di salute e di sicurezza del

posto di lavoro, con una maggiore attenzione per quel che riguarda

l’ergonomia delle postazioni abbinata alla metrica.

Oltre alle innovazioni organizzative, il World Class Manufacturing mira a

ricostruire e a migliorare il rapporto tra direzione aziendale e lavoratori,

vi è una maggiore propensione dell’azienda verso le esigenze dei

lavoratori, soprattutto per quel che riguarda la sicurezza e l’ergonomia

del posto di lavoro, training, formazione sui principi e gli strumenti del

World Class Manufacturing, partecipazione attiva e coinvolgimento dei

lavoratori alle attività di miglioramento continuo. Dall’altra parte, i

lavoratori riconoscono che vi è stato un miglioramento generale delle

condizioni di lavoro, lo sforzo fisico è diminuito anche se lo stress tende

a permanere, il lavoro diviene più intelligente, anche se quello che

sembra mancare è un adeguato sistema di ricompense a seguito dei

suggerimenti che forniscono per migliorare il lavoro, un rapporto con

l’azienda che rispetto al passato è migliorato anche se in alcuni casi

permangono ancora delle logiche particolaristiche, una partecipazione

debole in quanto è un metodo di lavoro che richiede di essere studiato e

praticato quotidianamente e soprattutto richiede un rapporto “elastico”

tra azienda, sindacati e lavoratori.

La diffusione del World Class Manufacturing ha richiesto non soltanto

un forte livello di partecipazione e di coinvolgimento dei lavoratori ma

ha introdotto grandi trasformazioni nella rappresentanza sindacale. Il

sindacato, infatti, sta vivendo oggi più che mai una fase di notevole

Page 337: WCM (World Class Manufacturing)

333

trasformazione rispetto alle esperienze precedenti assumendo delle

caratteristiche strutturali nuove, da organismo di tipo tradizionalmente

“conflittuale” a “sindacato partecipativo”.

Questo apre nuovi spazi di relazioni maggiormente consensuali o

partecipative tra management e sindacato all’interno dei luoghi di lavoro,

con il management alla ricerca di un partner affidabile (Streeck, 1987;

Fortunato, 2000). Il management ha spesso avuto bisogno di un certo

sostegno da parte delle rappresentanze sindacali per implementare con

successo i nuovi metodi di lavoro di produzione snella (Kochan,

Lansbury, MacDuffie, 1997). Lo stesso sembra valere oggi per

l’implementazione del programma World Class Manufacturing.

In questo quadro di trasformazione, il ruolo del sindacato è sempre più

cruciale nella misura in cui è chiamato a collaborare “responsabilmente”

e a partecipare attivamente alla ristrutturazione organizzativa.

Dalla ricerca è emerso che da parte del management vi è la volontà di

coinvolgere il sindacato, questo coinvolgimento tuttavia può avvenire

soltanto se, da una parte, il sindacato effettua una “rivisitazione” della

sua struttura che si presenta ancora oggi molto gerarchica, dal momento

che il taglio delle strutture che è stato fatto in azienda non è stato fatto

parimenti nel sindacato, e dall’altra, attraverso uno sforzo in termini di

commitment, di apprendimento e di formazione di quelli che sono i

principi del World Class Manufacturing, di quelli che sono i temi e i

problemi all’interno della fabbrica e infine un rapporto collaborativo tra

le diverse sigle sindacali, che si presenta ancora oggi molto frammentato

e diviso.

Dall’altra parte, vi è la considerazione da parte del sindacato che l’azienda

adotti un “approccio duale”, cioè che cerchi da una parte di

“individualizzare” con il lavoratore e dall’altra di dialogare con il

Page 338: WCM (World Class Manufacturing)

334

sindacato plasmandolo nella misura in cui gli è possibile (Fortunato,

2001). Quello che emerge è che il coinvolgimento del sindacato

all’interno dell’azienda è ancora abbastanza debole, fino ad ora quello

che è stato trattato nella contrattazione è solo un riconoscimento

economico a fronte di un risultato dello stabilimento nel suo insieme,

che porta ad assegnare delle medaglie e un premio economico per

ciascun lavoratore dello stabilimento.

Quello che sembra mancare all’interno di Fiat Chrysler Automobiles è

una “gestione partecipativa”, cioè di gestione delle problematiche

quotidiane, infatti, è interessante notare, come, a differenza degli anni

Novanta, in questo caso non ci sono commissioni o meccanismi in cui la

partecipazione è istituzionalizzata. Molti ritengono che in alcuni

stabilimenti vi sia un buon livello di concretezza per quanto riguarda le

commissioni, in molte realtà questo non avviene in quanto l’azienda

tende il più delle volte a comunicare, piuttosto che a dialogare o discutere

preventivamente di molti dei temi collegati al WCM.

In questa direzione, i sindacati seguono le decisioni dell’azienda si

adattano a questo modello spinti da esigenze di sopravvivenza piuttosto

che da un effettivo potere o capacità di tutelare i lavoratori. In questo le

nuove regole e il contratto dell’auto per FCA agevolano questa prassi.

È inoltre interessante notare nella ricerca, come al cambiamento della

natura del sindacato cambi anche l’idea della contrattazione, vi è sempre

di più la tendenza verso il decentramento della contrattazione collettiva.

La richiesta di un livello contrattuale aziendale è avvenuto a partire dal

2000 e si è concretizzato in diversi accordi separati tra Confindustria, Cisl

e Uil (e altre sigle) con l’astensione della Cgil, fino all’accordo sulle nuove

relazioni industriali del 2009. Nessuno di questi accordi ha soppiantato il

contratto nazionale di settore, ma è ovvio che la creazione di uno spazio

Page 339: WCM (World Class Manufacturing)

335

di contrattazione autonoma aziendale, nonché le possibilità di deroga al

contratto nazionale sono tutti elementi che hanno eroso potere e ruolo al

contratto nazionale. La vicenda della Fiat, con la scelta quindi di un

contratto di lavoro aziendale in sostituzione di quello nazionale e con

l’uscita poi da Confindustria per non sottostare all’accordo del 1993, è un

segno del cambiamento dei tempi, il contratto collettivo di lavoro ha

ancora un ruolo da ricoprire se saprà adattarsi alle nuove condizioni,

rivestendo un ruolo di guida e di riferimento anche per la politica

economica del paese.

Page 340: WCM (World Class Manufacturing)

336

Riferimenti Bibliografici

Accornero A. (1992), La parabola del sindacato. Ascesa e declino di una

cultura, il Mulino, Bologna.

ID. (2002), Il mondo della produzione. Sociologia del lavoro e dell’industria, il

Mulino, Bologna.

Airaudo G. (2012), La solitudine dei lavoratori, Einaudi, Torino.

Annibaldi, C. (1994), Impresa, partecipazione, conflitto. Considerazioni

dall’esperienza Fiat, Venezia, Marsilio.

Annibaldi C., Berta G., (1999), Grande impresa e sviluppo italiano. Studi per i

cento anni della Fiat, 2 vol.., Bologna, Il Mulino.

Antonucci T., Castellani D., Ferrero G., (2002), La crisi della Fiat.

Strategie di impresa e politiche industriali, in “Economia e politica industriale”.

Baglioni G. (1967), Il problema del lavoro operaio, Angeli, Milano.

ID. (1995), Democrazia impossibile? Il cammino e i problemi della partecipazione

nell’impresa, il Mulino, Bologna.

Baldissera A. (1992), Eguaglianze e gerarchie: concetti e metodi di sociologia

industriale e del lavoro, Tirrenia, Torino.

Page 341: WCM (World Class Manufacturing)

337

Becchi Collidà A., Negrelli S. (1986), La transizione nell’industria e nelle

relazioni industriali. L’auto e il caso Fiat, Angeli, Milano.

Berta G., (2006), La Fiat dopo la Fiat, storia di una crisi. 2000-2005,

Mondadori, Milano.

ID., (1994) Introduzione a B. Webb, S. Webb, Democrazia industriale:

antologia degli scritti, Ediesse, Roma.

Biagi E., (2003), Il signor Fiat, Milano, Rizzoli.

Bonazzi G. (1993), Il tubo di cristallo. Modello giapponese e Fabbrica Integrata

alla Fiat auto, il Mulino, Bologna.

ID. (2000), Storia del pensiero organizzativo, Franco Angeli, Milano.

Bordogna L. (1994), Pluralismo senza mercato, Franco Angeli, Milano.

Caputo P. (2004), Lavorare in team alla Fiat. Da Melfi a Cordoba,

ImmaginaNapoli, Pozzuoli.

Carrieri M. (1995), L’incerta rappresentanza, il Mulino, Bologna.

Carrieri M., Perulli P. (1985), Il teorema sindacale. Flessibilità e competizione

nelle relazioni industriali, il Mulino, Bologna.

Castronovo V., (1999), FIAT, 1889-1999: una secolo di storia italiana,

Milano Rizzoli.

Page 342: WCM (World Class Manufacturing)

338

ID., Fiat, una storia del capitalismo italiano, Milano, Rizzoli.

Cella G. P. (1999) Il sindacato, Laterza, Roma-Bari.

Cerruti G., Rieser V. (1991), Fiat: qualità totale e fabbrica integrata,

Ediesse, Roma.

Cersosimo D. (1994), Viaggio a Melfi. La Fiat oltre il fordismo, Donzelli,

Roma.

Cesos (2000), Le relazioni sindacali in Italia. Rapporto 1997/98, Roma,

Edizioni Lavoro.

Comito V. (2005), L’ultima crisi. La Fiat tra mercato e finanza, l’Ancora,

Napoli.

Damiano C., Pessa P. (2003), Dopo lunghe e cordiali discussioni, Ediesse,

Roma.

De Angelis F., (2001), I tempi del lavoro, in Cavazzani A., Fiocco L. e

Sivini G.

Del Giudice F., Mariani F. (2012), Compendio di diritto sindacale, Simone,

Napoli.

Della Rocca, G. (1994), Le relazioni sociali nella fabbrica automatizzata, in

Meridiana, n. 21.

Page 343: WCM (World Class Manufacturing)

339

Di Meo, E. (1985), La logistica degli impianti, Milano, Etas Libri.

Donzelli C. (1994), La fabbrica di Melfi col senno di poi: una conversazione con

Cesare Annibaldi e Maurizio Magnabosco e qualche commento, in Meridiana, n.

21.

Enrietti A., Fornengo Pent G., (1989), Il gruppo FIAT: dall’inizio degli

anni ottanta alle prospettive del mercato unificato del ’92, Roma, NIS.

Ferrante M. (2009), Marchionne. Rivoluzione Fiat, Mondadori, Milano.

Fortunato V. (2001), Il sindacato snello. Relazioni sindacali, organizzazione del

lavoro e produzione snella: i casi Fiat di Melfi e Rover di Swidon, Rubbettino

Editore, Catanzaro.

ID. (2003), Capitale sociale, organizzazione del lavoro e relazioni industriali,

l’esperienza Fiat a Melfi, in «Sociologia del lavoro», 91, pp. 210-30.

ID. (2008), Ripensare la Fiat di Melfi. Condizioni di lavoro e relazioni industriali

nell’era del Worl Class Manufacturing, Carocci, Roma.

Fortunato V., Della Rocca G. (2006), Lavoro e organizzazione. Dalla

fabbrica alla società postmoderna, Editori Laterza, Bari.

Gagliardi P., (1986), Le imprese come culture, Torino. ISEDI.

Galgano A., (1990), La qualità totale, Milano, il Sole 24 ore libri.

Page 344: WCM (World Class Manufacturing)

340

Gallino L., (1983), Informatica e qualità del lavoro, Torino, Einaudi.

Gallo R., Evoluzione della struttura economico-finanziaria della Fiat e dei suoi

competitors mondiali, in “L’industria”, n. 3.

Garuzzo G., (2006), Fiat. I segreti di un’epoca, Roma, Fazi Editore.

Germano L. (2009) Governo e grandi imprese. La Fiat da azienda protetta a

global player, Mulino, Bologna.

Griseri P. (2012), La Fiat di Marchionne. Da Torino a Detroit, Einadi.

Torino.

Jackall R., (1998), Labirinti morali, Milano 2001.

La Spina A., La politica del mezzogiorno, Bologna, Il Mulino.

Locke R., Negrelli S., (1989), Il caso Fiat Auto, in Regini, M. e C. Sabel (a

cura di), Strategie di raggiustamento industriale, Bologna, il Mulino.

Magnabosco M., (1999), Dalla fabbrica integrata alla fabbrica modulare: le

nuove frontiere competitive della Fiat Auto, in g. Sivini (a cura di), Oltre Melfi.

La fabbrica integrata, bilancio e comparazioni, Soveria Mannelli, Rubbettino.

Mania R., Sateriale G. (2002), Relazioni pericolose. Sindacati e politica dopo la

concertazione, Il Mulino, Bologna.

Page 345: WCM (World Class Manufacturing)

341

Marchisio O, e Sciortino G., Gli stabilimenti Fiat di Melfi e Pratola Serra:

indagine esplorativa, in Fiom Cgil (Aa.Vv.), Fiat Punto e a capo, Roma,

Ediesse.

Mariotti S. (a cura di) (1994), Verso una nuova organizzazione della

produzione, Le frontiere del postfordismo, Milano, Etas Libri.

Marx K. (1867), Il capitale. Critica dell’economia capitalistica, trad. it., Milano

1956, Editori Riuniti.

Mortillaro F., Aspettando il robot, 2° rapporto Finmeccanica sulle Relazioni

Industriali, Milano, Il Sole 24 Ore.

Negrelli S. (2000), Prato verde, prato rosso. Produzione snella e partecipazione

dei lavoratori nella Fiat del duemila, Rubbettino Editore, Catanzaro.

ID., (1991), La società dentro l’impresa, Milano, Angeli.

ID., (1995), Relazioni di lavoro e performance aziendale. Giornale di diritto del

lavoro e di relazioni industriali, n. 65.

ID., (1998), Relazioni industriali e gestione delle risorse umane nelle imprese, in

Cella, G.P. e Treu T. (a cura di), Le nuove relazioni industriali, Bologna Il

Mulino.

Negrelli S., Treu T., (a cura di) (1992), Le scelte dell’impresa fra autorità e

consenso, Milano, Angeli.

Page 346: WCM (World Class Manufacturing)

342

Ohno T. (1978), Lo spirito Toyota, trad. it., Einaudi, Torino 1993

Paltrinieri A., (a cura di) (1991), Giovani e lavoro in movimento: una ricerca sui

neoassunti all’Iveco di Brescia, Brescia, Fiom.

Pessa P., Sartirano L., (1993), Fiat Auto: ricerca sull’innovazione dei modelli

organizzativi, FIOM CGIL – Working Paper, Torino.

Pichierri A., (1994), Produzione snella e ambiente locale, in Meridiana, n. 21.

Pollock F., (1970), Automazione. Conseguenze economiche e sociali, Torino,

Einaudi (ed. or. 1956).

Porta G. e Simoni C., (1990), Gli anni difficili: un’inchiesta tra i delegati Fiom

di Brescia, Milano, Angeli.

Provasi G. C., (1988) La negoziazione sindacale: strategia e procedure,

prospettiva sindacale (66).

Pulignano V., (1999), Oltre la fabbrica. I rapporti di fornitura nel post-fordismo,

Torino, l’Harmattan.

Keegan R. (2003), Introduzione al World Class Manufacturing. Casi di studio

ed applicazioni pratiche di produzione snella, qualità totale ed innovazione, Franco

Angeli, Milano.

Regini M., Sabel C. F., (1989), Strategie di raggiustamento industriale,

Bologna, Il Mulino.

Page 347: WCM (World Class Manufacturing)

343

Rieser V., (1992), Fabbrica oggi, Siena, Sisifo.

ID., (1993), Alcune considerazioni sugli stabilimenti di Melfi e di Pratola Serra,

Torino, IRES.

ID., (1996), La fabbrica Integrata realizzata, in Inchiesta Operaia alla Fiat di

Melfi, Finesecolo ¾, 27-99.

Rocchi N., (1996), La Fiom di Brescia, Brescia, Fiom.

Santagostino A., (1993), Fiat e Alfa Romeo, una privatizzazione riuscita?,

Brescia, Edizioni Unicopli.

Scotti G. (2003), Fiat auto e non solo. I dilemmi strategici degli Agnelli, dalle

origini alla crisi di oggi, Donzelli Editore, Roma.

Sebastiani F. (2010), Officina Italia. La Fiat secondo Sergio Marchionne,

Altrimedia, Matera.

Shingo S., (1987), Il sistema di produzione giapponese “Toyota”, dal punto di

vista dell’Industrial Engineering, Milano, Angeli.

Sivini G. (2013), Compagni di rendite. Marchionne e gli Agnelli, Nuovi

equilibri, Roma.

Svimez (1993), L’industrializzazione del Mezzogiorno: la Fiat a Melfi,

Bologna, Il Mulino.

Page 348: WCM (World Class Manufacturing)

344

Taylor F.W., (1994), La direzione dello stabilimento, Milano, Angeli.

ID., (1975), Principi di organizzazione scientifica del lavoro, Milano, Angeli.

Treu T., (a cura di) (1992), Il conflitto e le relazioni di lavoro negli anni novanta.

Le attività: contrattazione collettiva, consultazione/concertazione, contrattazione

politica, Torino Giappichelli.

Treu T., Negrelli S., (a cura di) (1985), I diritti di informazione nell’impresa,

Bologna, Il Mulino.

Turani G. (2010), Gli ultimi giorni della Fiat, Sperling & Kupfer, Milano.

Varvelli R., Varvelli M. L. (2009), Marchionne la Fiat e gli altri, Il sole 24

ore spa, Milano.

Volpato G. (2008), Fiat Group Automobiles. Un’Araba Fenice nell’industria

automobilistica internazionale, il Mulino, Bologna.

ID., (2004), Fiat Auto. Crisi e riorganizzazioni strategiche di un’impresa simbolo,

Isedi, Torino.

ID., (1994), Il settore automobilistico, in L’industria, n. 1.

Womack, J.P., Jones, D.T. e Roos, D. (1991, ed. originale 990), La

macchina che ha cambiato il mondo, Rizzoli, Milano.

Page 349: WCM (World Class Manufacturing)

Indice

INTRODUZIONE ......................................................................................................... 1

CAPITOLO 1

1.1 L’evoluzione dell’organizzazione: dalla produzione artigianale al fordismo … ..... 6

1.2 Il post-fordismo: i pilastri del “modello giapponese”.............................................. 11

1.3 Il processo produttivo nella lean production ........................................................... 23

1.4 La struttura organizzativa della fabbrica integrata .................................................... 28

1.5 Le risorse umane e le relazioni industriali nella lean production .......................... 38

CAPITOLO 2

2.1 Il “World Class Manufacturing” come modo di lavorare ....................................... 53

2.2 Strumenti e metodologie ............................................................................................. 57

2.3 L’implementazione del World Class Manufacturing ................................................ 64

2.4 Il sistema Ergo-Uas ....................................................................................................... 66

CAPITOLO 3

3.1 Dinastia Agnelli .............................................................................................................. 75

3.2 Il nascere della crisi ....................................................................................................... 78

3.3 Le ragioni della crisi ..................................................................................................... 85

3.4 E poi arriva Marchionne............................................................................................. 105

3.5 Nasce Fiat Chrysler Automobiles (FCA) ................................................................. 125

CAPITOLO 4

4.1 Le relazioni industriali in Fiat .................................................................................... 128

4.2 Affare Chrysler e tentativi di acquisizione della Opel............................................ 175

4.3 Le Vertenze di “Pomigliano” e “Mirafiori” ............................................................ 184

4.4 Verso quale direzione sindacale: partecipazione o conflittualità? ........................ 203

Page 350: WCM (World Class Manufacturing)

CAPITOLO 5

5.1 Premessa ........................................................................................................................ 206

5.2 La Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori .............................................................. 208

5.3 L’impatto del World Class Manufacturing in termini di partecipazione sul

sistema aziendale ................................................................................................................ 210

5.4 L’impatto del World Class Manufacturing in termini di partecipazione sulle

relazioni industriali ............................................................................................................. 217

5.5 L’impatto del World Class Manufacturing in termini di partecipazione sui

lavoratori ............................................................................................................................. 225

Intervista Alberto Cipriani (Responsabile Fim-Cisl) .................................................... 232

Intervista Edi Lazzi (Segretario responsabile Fiom-Cgil) ............................................. 249

Intervista Flavia Aiello (Segretaria provinciale Uilm-Uil) ............................................. 268

Intervista Roberto Cortese (Responsabile relazioni industriali FCA-EMEA) .......... 279

Intervista Luciano Massone (Capo del WCM Region & WCM Dev. Center VP ..........

.............................................................................................................................................. 297

Intervista Pino Di Castri (Operaio Mirafiori Carrozzeria) .......................................... 308

Intervista Antonella Palumbo e Giuseppe Buscicchio (Operai Mirafiori

Carrozzeria Montatura e Verniciatura) ............................................................................ 314

Intervista Claudia Di Rosso ( Impiegata struttura centrali) .......................................... 323

Considerazioni conclusive ............................................................................................331

Riferimenti Bibliografici .............................................................................................. 336

Page 351: WCM (World Class Manufacturing)

1

Introduzione

Il lavoro di tesi entra nel merito delle trasformazioni legate

all’introduzione di nuove forme di organizzazione del lavoro e della

produzione, partendo dai temi classici dell’organizzazione scientifica del

lavoro, la fabbrica taylor-fordista, fino ad arrivare all’ultima frontiera dell’

organizzazione del lavoro e della produzione, il “World Class

Manufacturing”.

A partire dal 2006, in un contesto di crisi globale, il manager italo-

canadese Sergio Marchionne, si lancia in una vera e propria crociata per

l'aumento della produttività, adottando all’interno del Gruppo Fiat un

nuovo programma il “World Class Manufacturing”, un nuovo modo

guardare all’organizzazione, un metodologia di miglioramento continuo

delle prestazioni della fabbrica, attraverso cui si riescono ad ottenere

importanti vantaggi di competitività relativi a qualità, costi e tempi di

risposta. L’applicazione del WCM richiede che ognuno collabori alla

gestione dell’azienda, che ogni dipendente sia coinvolto nel

perseguimento rapido e continuo del cambiamento. È importante che i

miglioramenti all’interno dell’azienda siano introdotti con il

coinvolgimento dei lavoratori al fine di attivare una loro prima

mobilitazione intellettuale, attraverso il suggerimento di idee che le

persone stesse ritengono possano migliorare le loro condizioni di lavoro.

Altrettanto importante per un corretto funzionamento del programma

non è tanto quello di costruire un nuovo modello di relazioni industriali

ma quello di dare spessore a forme di partecipazione concrete, di aprire

dei canali di comunicazione e di dialogo costruttivi finalizzati alla ricerca

di compromessi tra l’azienda e il sindacato.

Page 352: WCM (World Class Manufacturing)

2

La tesi è strutturata in cinque capitoli (o parti) tra loro strettamente

collegati e interdipendenti. Nel primo capitolo si affronta il tema

dell’evoluzione delle formule organizzative. L’enfasi è posta sul rapporto

tra i vari modelli organizzativi, i fattori che ne hanno determinato il

superamento e la sostituzione con altri modelli più o meno innovativi

rispondenti alle esigenze del mercato. Per ciascuna tipologia sono state

ricostruite le principali caratteristiche organizzative, l’impatto della nuova

organizzazione e delle tecnologie disponibili sui lavoratori, le strategie

gestionali da parte della direzione. Si partirà dall’organizzazione

scientifica del lavoro, la fabbrica taylor-fordista, fino ad arrivare al

modello giapponese (lean production) che, a partire dagli anni Novanta,

ha rivoluzionato il settore dell’auto e sulla sua recente evoluzione nota

come World Class Manufacturing.

Nel secondo capitolo si entrerà nel dettaglio del World Class

Manufacturing, e in particolare delle tecniche e degli strumenti utilizzati,

delle fasi necessarie per la sua implementazione e un’ approfondimento

del sistema Ergo-Uas, utilizzato per migliorare le condizioni di salute e di

sicurezza dei lavoratori all’interno della nuova organizzazione.

Il terzo capitolo ripercorre la storia della Fiat, tutte le vicende che sono

ormai oggetto di attenzione da parte degli ambienti economici, sociali e

politici del paese, e soprattutto sui numerosi problemi che l’azienda sta

vivendo fino ad arrivare all’ingresso sulla scena, nel 2004, del nuovo

amministratore delegato Sergio Marchionne che ha risollevato le sorti

dell’azienda, la cui attenzione si è concentrata soprattutto sugli Stati Uniti

che è sfociata nel Gennaio 2014 nell’acquisizione di Chrysler, con la

nascita di “Fiat Chrysler Automobiles”, che ha segnato di fatto l’inizio di

un nuovo capitolo per l’azienda italiana.

Page 353: WCM (World Class Manufacturing)

3

Il quarto capitolo focalizza l’attenzione sul tema delle relazioni industriali

in Fiat, abbiamo cercato di offrire un’analisi della contrattazione

collettiva sindacale alla Fiat, partendo dagli anni Ottanta fino ad arrivare

ai giorni nostri, per comprendere appieno i cambiamenti in atto.

Cambiamenti che hanno portato, attraverso l’introduzione del nuovo

paradigma organizzativo del lavoro e della produzione (WCM), a un

modello di contrattazione collettiva che da “normativo” diventa

“partecipativo”.

Il quinto capitolo si riferisce alla ricerca empirica, dopo una breve

descrizione dello stabilimento Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori,

della realtà di fabbrica, e delle condizioni in cui perversa, le numerose

domande su cui si basa la ricerca tentano di ricostruire, a partire dai

luoghi di lavoro e dalle rappresentazioni sociali dei protagonisti, operai,

impiegati, manager e rappresentanti sindacali, le nuove prassi

organizzative e le dinamiche che si instaurano tra i diversi attori.

Obiettivi e ipotesi della ricerca

Particolare enfasi in questo studio sul World Class Manufacturing è posta

sulle relazioni che intercorrono tra azienda, sindacato e lavoratori nello

stabilimento di Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori.

È possibile osservare come l’azienda si stia dirigendo sempre di più verso

l’adozione di una strategia gestionale basata sulla flessibilità, sulla

riduzione dei livelli gerarchici, sul lavoro in team, sulla qualità totale ma

anche e soprattutto sulla partecipazione e formazione dei lavoratori

rispetto alle necessità produttive. Un aspetto particolarmente

interessante, in seguito all’introduzione del WCM, riguarda l’evoluzione

delle relazioni industriali che sembrano orientarsi verso nuovi scenari che

Page 354: WCM (World Class Manufacturing)

4

richiedono non soltanto la partecipazione collettiva sindacale, ma in

qualche modo determina il passaggio ad una forma di “sindacalismo

partecipativo”, vale a dire caratterizzato da un rapporto di forte

integrazione con l’azienda e soprattutto sulla eliminazione di ogni forma

di conflittualità.

A tal riguardo lo scopo della ricerca è quello di capire qual è il

collegamento tra questo nuovo paradigma organizzativo, sperimentato

dal 2006 in poi, e le relazioni industriali.

In particolare, se il WCM, centrato sul coinvolgimento attivo dei

lavoratori, richiede o meno l’intermediazione del sindacato. Quali

caratteristiche questo deve avere, partecipativo o conflittuale.

Qual è il ruolo del sindacato e la sua effettiva partecipazione all’interno

dell’azienda. Qual è il rapporto con l’azienda, se quest’ultima cerca il

rapporto con i sindacati oppure preferisce interagire direttamente con i

lavoratori. Se esistono ancora dei meccanismi di tipo partecipativo,

rappresentato dalle commissioni, se queste funzionano effettivamente o

il coinvolgimento del sindacato è soltanto formale.

Si cercherà dunque di capire quali sono i nuovi equilibri e le nuove

strategie manageriali finalizzate ad acquisire il consenso sui nuovi metodi

di produzione e come questo ha influito in modo determinante

sull’organizzazione e sulle modalità di azione del sindacato.

Considerazioni metodologiche e strumenti

Per quanto riguarda gli aspetti metodologici, la ricerca è stata svolta

attraverso delle interviste in profondità a rappresentanti sindacali, in

particolare al responsabile della Fim-Cisl, Alberto Cipriani, al segretario

della Fiom-Cgil, Edi Lazzi e alla segretaria provinciale della Uilm-Uil,

Page 355: WCM (World Class Manufacturing)

5

Flavia Aiello. Per quanto riguarda il Management Fiat Chrysler

Automobiles, il responsabile delle relazioni industriali FCA – EMEA,

Roberto Cortese, il capo del World Class Manufacturing EMEA Region

& WCM Dev. Center VP, Luciano Massone, e i lavoratori di Mirafiori

Carrozzeria, Pino Di Castri, Antonella Palumbo, Giuseppe Buscicchio e

l’impiegata delle strutture centrali Fiat Chrysler Automobiles, Claudia Di

Rosso.

I principali contenuti delle interviste hanno riguardato le strategie

manageriali legate alla nuova organizzazione del lavoro e della

produzione, le caratteristiche e i problemi legati all’introduzione del

World Class Manufacturing, le relazioni di lavoro, in termini di

coinvolgimento dei lavoratori, l’evoluzione delle relazioni sindacali, i

ruoli delle diverse figure, le forme della rappresentanza, le modalità e le

procedure dell’azione sindacale.

L’osservazione diretta all’interno dello stabilimento Maserati di

Grugliasco, mi ha inoltre permesso di capire come i lavoratori si

inseriscono all’interno della nuova organizzazione e come è cambiato

l’ambiente di fabbrica nel complesso.

Page 356: WCM (World Class Manufacturing)

6

Capitolo 1

Dall’organizzazione scientifica del lavoro (Taylor)

al “sistema produttivo Toyota”

1.1. L’evoluzione dell’organizzazione: dalla produzione

artigianale al fordismo

L’organizzazione di fabbrica, come organizzazione della produzione per

il mercato, nasce nel XVIII secolo. Tuttavia l’ampliamento e il controllo

della produzione da parte dell’imprenditore aveva già conosciuto una

forma che non richiedeva la concentrazione di mezzi di produzione e

persone, si trattava del putting-out system, in cui il lavoro veniva

effettuato da artigiani o braccianti che lavorano a domicilio usando

materie prime e telai di proprietà del mercante-imprenditore.

Il passaggio dal lavoro artigianale al lavoro in fabbrica avviene col

raggruppamento degli artigiani e dei macchinari in un unico complesso,

sotto un’unica direzione, appunto, la fabbrica, per dare più continuità,

precisione e maggiore regolazione al processo di lavoro attraverso la

disciplina del tempo rispetto all’inizio in cui la produzione procedeva a

sbalzi, per interruzioni, seguendo i ritmi di ciascun artigiano.

L’avvento dell’impianto produttivo moderno ebbe un enorme

impatto sociale descritto per la prima volta da Marx1. Venne innanzitutto

meno la possibilità di scegliere quando lavorare, se lavorare e anche se

lavorare di meno, rinunciando ad una parte del proprio reddito,

1 Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società

postmoderna», Roma-Bari, Editori Laterza, 2006, p. 8

Page 357: WCM (World Class Manufacturing)

7

quest’ultima possibilità era consentita nel lavoro a domicilio ma non nella

fabbrica, il cui il tempo era disciplinato da orari di lavoro nella giornata o

nella settimana.

Le ragioni per cui la fabbrica surclassò il lavoro a domicilio non

sono tuttavia solo legate all’innovazione tecnologica, al controllo sul

come l’operaio lavorava o allo sfruttamento da parte del padrone

imprenditore. Mettere tutti i lavoratori sotto lo stesso tetto assicurava

una maggiore possibilità di trasmissione delle informazioni tra gli stessi

operai. La concentrazione in fabbrica serviva quindi a stimolare o

costringere gli operai appartenenti a diversi mestieri a interagire tra loro o

a rendere disponibili le loro conoscenze. Per costoro ovviamente la

fabbrica non rappresentava la sola possibile soluzione al problema, i

sindacati e le associazioni di mestiere (meccanici, macchinisti, tessitori,

fonditori, ecc.) avevano un ruolo importante nello scambio delle

conoscenze.

All’interno della fabbrica vennero quindi introdotte le prime

«macchine universali», che potevano essere adoperate per diverse

operazioni, vi è un rapporto uomo-macchina del tutto peculiare in cui

l’abilità, il mestiere del singolo operaio è ancora preponderante.

L’imprenditore sceglie cosa produrre e assicura le condizioni

generali della produzione, ma l’esecuzione del prodotto è in larga parte

lasciata all’autonomia e all’abilità professionale degli operai, nell’uso delle

macchine, organizzati in squadre. Queste sono composte da operai più

esperti e anziani, da apprendisti più giovani e da molti manovali non

qualificati che eseguivano i lavori più semplici. Gli operai dotati di

professionalità di questa fase, pochi rispetto ai manovali, sono chiamati

operai di mestiere.

Page 358: WCM (World Class Manufacturing)

8

Osservata con gli occhi della fabbrica che si è imposta nei decenni

successivi, essa appare alquanto «disorganizzata». Uno stesso lavoro

poteva richiedere tempi di attuazione differenti a seconda delle squadre,

essere fatto in modi diversi, essere diversamente remunerato a seconda

degli accordi del caposquadra con gli operai che lui stesso assumeva e

così via.

Da queste considerazioni nasce l’idea di introdurre un metodo

nell’organizzazione del lavoro, la proposta più compiuta fu la cosiddetta

organizzazione scientifica del lavoro (Scientific Management), ideata in

America da Frederick W. Taylor.

Taylor partì dall’idea che per acquistare efficienza era necessario

progettare un’organizzazione centralizzata, nella quale fossero

rigidamente divisi i compiti di decisione e pianificazione del lavoro

(spostati alla direzione) da quelli di esecuzione. Il processo complessivo

di lavorazione doveva essere smontato in una serie di operazioni

parcellizzate, ognuna (o una serie limitata) delle quali definisse un posto

di lavoro. Le singole operazioni potevano essere standardizzate,

fissandone tempi e metodi, e tenuto conto dello sforzo necessario,

Taylor propose un incremento del salario fino al 60% circa della paga

giornaliera, per il lavoratore che avesse eseguito fedelmente e nei tempi

unitari previsti i compiti definiti dall’ufficio.

Opportune tecniche di selezione e valutazione avrebbero trovato

«l’uomo giusto al posto giusto», diversamente remunerato a seconda

dell’apporto che dava alla produzione.

Tuttavia tutto ciò non bastò a evitare vivaci reazioni, perché il

nuovo metodo sottraeva ai lavoratori poteri e autonomia. Secondo molti

sociologi industriali e del lavoro la netta separazione tra la fase di

ideazione e la fase di esecuzione, affidata agli operai, segnò la fine di un

Page 359: WCM (World Class Manufacturing)

9

era nell’organizzazione del lavoro, svuotando il lavoro operaio di quei

contenuti intelligenti che erano alla base del «mestiere», sancendo il

passaggio dall’operaio professionale della manifattura al cosiddetto

operaio di massa. Concentrando le aeree vitali della pianificazione e del

design nelle mani della direzione, il taylorismo ha eliminato

un’importante fonte di potere e di conoscenza-controllo del processo

produttivo dalle mani dei lavoratori, generando una forza lavoro

dequalificata e meno costosa.

L’opera di Taylor costituisce tuttavia la base dalla quale riparte un

altro illustre personaggio dell’epoca: Henry Ford. Il grande successo di

Ford sta proprio nell’essere riuscito dove Taylor ha in qualche modo

fallito, vale a dire nell’adattare al lavoro operaio grandi masse

dequalificate (Accornero, 2002).

La nuova divisione tecnica del lavoro è organizzata attraverso la

catena di montaggio (assembly line): «un tipo di organizzazione del

lavoro per cui le diverse operazioni, ridotte alla medesima durata o ad un

multiplo o sottomultiplo semplice di tale durata, vengono eseguite senza

interruzione tra loro e in un ordine costante nel tempo e nello spazio».

Fig. 1.1 Catena di montaggio della Ford (Touraine, 1955)

Page 360: WCM (World Class Manufacturing)

10

La genialità di Ford è stata quella di comprendere ed esaltare gli enormi

vantaggi di un sistema quasi chiuso e massimamente stabile, questo ha

consentito l’enorme aumento della produttività anche grazie all’operare

di due meccanismi: la specializzazione dei compiti e la standardizzazione

dei componenti.

La specializzazione dei compiti richiedeva dai lavoratori una forma

di cooperazione passiva intesa come fedele esecuzione di quanto stabilito

dalle norme organizzative2.

La standardizzazione del prodotto, era quello di scomporlo in un

insieme di pezzi perfettamente intercambiabili e dotati di massima

predisposizione all’incastro, la cui differenziazione era riservata alla sola

fase finale di assemblaggio, il processo veniva quindi semplificato fino ad

arrivare a lavorazioni mono-prodotto a ciclo continuo.

La produzione in grandi quantità di prodotti standardizzati permetteva,

inoltre, di ridurre i costi unitari di produzione sfruttando le cosiddette

economie di scala.

Nascono in questo ambito i sindacati industriali, che organizzano sia gli

operai specializzati sia quelli comuni senza l’esclusione di nessuno. Si

estende come principio per la tutela del lavoro la contrattazione

collettiva, con essa gli operai acquisiscono diritti universali di tutela del

lavoro, quali quello del salario minimo, dell’orario standard massimo di

lavoro (8 ore giornaliere).

Intorno agli anni Settanta il modello fordista inizia ad entrare in

crisi per una molteplicità di motivi, primo fra tutti, la crescente pressione

del movimento operaio al fine di ottenere condizioni di lavoro migliori in

2 Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società

postmoderna», cit., p. 35

Page 361: WCM (World Class Manufacturing)

11

un contesto che è pur sempre quello della fabbrica taylorista, alienante e

gerarchica. Con l’aumento poi dell’individualismo e del senso di identità

attraverso il consumo, le aziende hanno dovuto venire incontro ai nuovi

bisogni fornendo varietà e diversità in moltissimi tipi di prodotti. E

infine lo sviluppo dei paesi emergenti, che ha permesso alle nuove

industrie di produrre e immettere sul mercato esterno gli stessi prodotti

con un costo del lavoro inferiore, soddisfando, allo stesso tempo, la

nuova domanda di beni dei mercati interni.

1.2. Il post-fordismo: il “sistema produttivo Toyota”

La rigidità della fabbrica taylorista viene progressivamente sostituita dal

«sistema produttivo Toyota» o «sistema produttivo giapponese», punto di

riferimento delle grandi imprese internazionali, soprattutto nel settore

automobilistico. Il padre fondatore Taiichi Ohno, nel 1956, facendo un

viaggio in America per visitare gli stabilimenti di General Motor e Ford,

si rese conto che ciò che lo colpì di più erano i supermercati, nei quali

vedeva già realizzate alcune sue idee sul just in time.

“Combinare automobili e supermercati può sembrare una strana idea.

Tuttavia per molto tempo, dopo avere analizzato l’organizzazione di un supermercato

americano, studiammo le analogie tra quell’organizzazione produttiva e la produzione

di automobili per mezzo del just in time. Un supermercato è un luogo dove il cliente

può prendere ciò di cui ha bisogno nel tempo e nelle quantità desiderati”

… “Dal supermercato abbiamo così mutuato l’idea di concepire il processo che

sta ‘a monte’ nella linea produttiva come una sorta di negozio. Il processo che sta ‘a

valle’ (cliente) procede verso quello iniziale (supermercato) per acquistare i pezzi

Page 362: WCM (World Class Manufacturing)

12

necessari (merci) nei tempi e nella quantità desiderati. È allora che il processo iniziale

produce immediatamente la quantità appena prelevata (rifornimento degli scaffali)”

Fig. 1.2 I supermarket americani realizzano in parte il just in time con i cartellini (kanban)

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008

Agli inizi degli anni Novanta è sembrato quindi che la produzione snella

(lean production), potesse dare un volto e una connotazione precisa al

nuovo modo di organizzare il lavoro e la produzione. In tale prospettiva,

il capitale umano, assume nuovi connotati che lo rendono la più

importante risorsa strategica all’interno della fabbrica.

Mentre la produzione di massa, standardizzata, era basata sull’idea

che si sarebbero trovati clienti per tutto ciò che si produceva, nella nuova

situazione si tratta invece di produrre soltanto quello che è già richiesto

dal cliente. Il nuovo modello organizzativo viene definito, da gran parte

della letteratura, come market driven ovvero guidati dal mercato e

dall’andamento della domanda in contrapposizione a una vecchia

Page 363: WCM (World Class Manufacturing)

13

concezione di produzione, quella dell’industria di massa, per cui era la

fabbrica e la sua produzione che guidavano il mercato3.

Nel fordismo le decisioni su cosa e quanto produrre erano fissate dalla

direzione «a monte», i componenti, i prodotti in fabbrica o da fornitori

esterni, affluivano nei magazzini e da qui passano all’assemblaggio lungo

la catena. Se le auto non venivano vendute subito, venivano parcheggiate

nei piazzali in attesa di essere vendute, mentre i componenti prodotti in

eccesso si accumulavano. Rovesciando lo schema organizzativo, con la

lean production, è l’ordinazione di un certo numero di auto pervenuta

agli uffici commerciali che mette in moto lungo la linea produttiva, la

richiesta dei diversi componenti, i quali vengono prodotti solo nella

quantità necessaria. In fabbrica non circola più nessun componente che

già non si sappia a che auto è destinato, è la cosiddetta produzione «just

in time», un principio cardine che regola gli approvvigionamenti di

materiali e componenti, in base al quale ogni attività lavorativa deve

essere alimentata con i componenti richiesti, nel tempo richiesto e nella

quantità esattamente richiesta per l’assemblaggio del prodotto finale. In

questo modo, ciascun componente arriva alle varie postazioni sulla linea

di montaggio nei tempi e nelle quantità designate soltanto quando vi è

una richiesta da parte del cliente, prevenendo la necessità di mantenere

scorte in magazzini o polmoni intermedi.

3 Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società

postmoderna», cit., p. 56

Page 364: WCM (World Class Manufacturing)

14

Fig. 1.3 Eliminare magazzini e polmoni intermedi

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008

Il just in time punta, infatti a ridurre i costi elevati di stoccaggio, tipici

della produzione di massa in grandi serie, attraverso la valorizzazione

solo di quelle operazioni in grado di generare effettivamente valore

aggiunto al prodotto ed eliminando ogni tipo di spreco (in giapponese,

“muda”).

Fig. 1.4 Attività “a valore aggiunto” e “non valore aggiunto”

Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles,

2007

Page 365: WCM (World Class Manufacturing)

15

È spreco tutto ciò che consuma risorse, in termini di costo e tempo,

senza però creare valore per il cliente. Questi vengono classificati in sette

tipologie, tra cui la più grave è la sovrapproduzione, in quanto è

all’origine degli altri tipi di sprechi, in particolare delle scorte, dei difetti e

dei trasporti.

Fig. 1.5 I sette tipi di spreco

Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles, 2007

Page 366: WCM (World Class Manufacturing)

16

Se il just in time rappresenta il pilastro dell’organizzazione del flusso e

del processo di produzione, lo strumento usato nella pratica per rendere

effettivo questo principio è rappresentato dal sistema di comunicazione

interna, “kanban”, che consente di stabilire i volumi produttivi

giornalieri.. È una forma di comunicazione, costituto da un punto di

vista materiale da un foglio di carta contenuto in un involucro di vinile e

recante una serie di informazioni, ma anche da segnali luminosi e sonori

che servono a controllare il rispetto dei tempi di lavoro e di consegna

previsti. In sostanza, il kanban opera come ordine di lavoro, e ciò si

traduce nel fatto che il segmento produttivo precedente deve fabbricare i

pezzi nella quantità indicata dal cartellino, ossia deve produrre

esattamente la quantità di merci prelevata dal processo produttivo

successivo, nel tempo indicato e rispettando i parametri qualitativi

stabiliti. Altra regola fondamentale è, infatti, quella che prescrive di non

consegnare nulla di difettoso alla stazione di lavoro successiva.

Fig. 1.6 Kanban - schema di funzionamento

Fonte: Confindustria Vicenza, Produzione snella. La riduzione degli sprechi nel reparto

produttivo, 2012

Page 367: WCM (World Class Manufacturing)

17

L’uso diffuso del kanban consente quindi di rovesciare l’intero sistema di

programmazione della produzione, si passa infatti da una logica push a

una logica pull.

La logica pull, che in inglese vuol dire “tirare” significa che i materiali

non devono essere spinti verso la produzione, ma è necessario adottare

un sistema che tiri i materiali verso la fabbrica. I materiali escono dai

magazzini e la produzione inizia in un determinato reparto solo quando è

richiesto da una operazione a valle o dalla domanda, cioè quando vi è

una richiesta di mercato. I risultati di tale approccio sono livelli inferiori

di scorte, migliore qualità del prodotto, flusso di produzione più

armonico, maggior coinvolgimento dei lavoratori.

Fig. 1.7 “Logica Pull”

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008

Rispetto alla logica pull, che mantiene code di lavorazioni davanti

ciascuna macchina e cumuli di parti componenti in attesa di lavorazione.

I materiali dovrebbero essere spinti (to push,“spingere”) fuori dai

magazzini o dai reparti produttivi in base a prestabiliti programmi.

Magazzini polmone, tempi di anticipo di sicurezza e altre tattiche sono

Page 368: WCM (World Class Manufacturing)

18

spesso usate per assicurarsi che i materiali siano disponibili non appena

richiesti.

Fig. 1.8 “ Logica Push”

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008

Dal momento che il kanban è la tecnica che consente di realizzare il just

in time, affinchè il sistema possa operare correttamente e in modo

efficiente, i processi produttivi devono essere articolati in modo da

ottenere il miglior livello possibile di continuità del flusso. Per realizzare

questa finalità e consentire la sequenza della produzione, la produzione

snella adotta la disposizione degli impianti ad U (in contrapposizione alle

linee di lavorazione meccanica e di montaggio allungate su di una linea

dritta), la cui caratteristica principale è data dal fatto che le entrate e le

uscite devono trovarsi l’una di fronte all’altra.

A ciascun lavoratore, addetto a più macchine, vengono assegnate un

numero variabile di operazioni. Con la disposizione ad U i lavoratori

possono parlarsi, vedere il prodotto in tutte le fasi e possono scambiarsi

tra di loro. Questa disposizione ha permesso una riduzione dei tempi

d’attesa, di stoccaggio e di trasferimento, e il lavoratore opera nella

Page 369: WCM (World Class Manufacturing)

19

condizione di dovere necessariamente massimizzare il suo tempo

operativo.

Le catene di montaggio moderne non sono né totalmente manuali né

totalmente automatizzate, ma degli “ibridi”, in cui l’uomo serve la

macchina (es. regolarla e controllarla), la macchina serve l’uomo (es.

spostare pesi), l’uomo fa quel che la macchina non sa fare (es. montaggi

interni), la macchina fa, quel che l’uomo non è capace di fare (es.

controllo elettronici).

La vecchia catena

manuale

La nuova catena

come ibrido-uomo

macchina

Page 370: WCM (World Class Manufacturing)

20

Il cambiamento si accompagna a molte altre innovazioni organizzative,

come il principio di «autoattivazione» (Jidoka), un particolare uso delle

macchine e del rapporto uomo-macchina diretto a permettere

all’apparato produttivo di retroagire con l’ambiente, intervenendo

direttamente nel caso si producano difetti del prodotto e auto-

correggendo l’errore in tempo reale, nell’esatto momento e nell’esatto

segmento del ciclo lavorativo in cui il difetto si è generato.4 In caso di

errore, la macchina che sta operando si ferma automaticamente, e allo

stesso modo, in caso di anomalie riscontrate in una fase di lavorazione

manuale, il lavoratore può interrompere la linea, intervenendo

tempestivamente, senza che gli errori si ripetano e si accumulino,

effettuando anche un controllo di qualità che prima veniva svolto solo

alla fine di una linea produttiva.

L’autoattivazione costituisce quindi uno dei principali fattori di flessibilità

del sistema, in grado di garantire il corretto e ininterrotto dispiegarsi di

un processo produttivo che, a differenza di quello fordista, si presenta

privo di “reti di salvataggio” (Bonazzi, 1993). L’autoattivazione si

propone i ovviare due punti di debolezza della produzione di massa, da

una parte la mancata possibilità di arrestare la catena di montaggio, anche

in presenza di difetti gravi, rimandando quindi la possibilità di interventi

correttivi alle fasi successive a valle del processo produttivo, dall’altra la

tendenza dei macchinari, dedicati alla produzione in grandi quantità, a

riprodurre e moltiplicare all’infinito i difetti perché incapaci di bloccarli

alla fonte. Per questo, la fabbrica lean si avvale di macchine autoattivate,

dotate cioè di dispositivi di arresto automatico e di meccanismi di

4 Fortunato V., «Ripensare la Fiat di Melfi. Condizioni di lavoro e relazioni industriali nell’era

del World Class Manufacturing», Roma, Carocci editore, 2008, p. 34

Page 371: WCM (World Class Manufacturing)

21

prevenzione delle difettosità, chiamati poka yoke che, secondo Ohno

conferirebbero alla macchina un tocco di sensibilità umana.

All’interno della fabbrica snella, in cui tutto ciò che è superfluo deve

essere portato alla luce e quindi eliminato, la trasparenza e la

supervisione del processo produttivo è garantita da una serie di

procedure che rientrano nella cosiddetta «direzione con gli occhi» (Ohno

1978), si tratta di rendere visibile ogni evento che può verificarsi nello

svolgimento delle attività lavorative all’interno della fabbrica.

L’andon è un indicatore luminoso il cui funzionamento è simile a quello

del semaforo, la luce verde indica che le attività procedono normalmente,

la luce arancione indica che un lavoratore deve compiere un’operazione

di regolazione sulla linea e necessita di aiuto, la luce rossa indica che la

linea è ferma in seguito a dei problemi. L’andon fornisce, quindi, tutta

una serie di informazioni che sono immediatamente disponibili e visibili

dai lavoratori e dalla direzione aziendale e che permettono al lavoratore e

alla squadra di intervenire immediatamente senza che l’anomalia si

ripercuota sull’intero processo.

Fig. 1.9 “L’andon”

Fonte: Università degli studi di Trieste, Produzione snella e Just in time, gestione della

produzione, 2009

Page 372: WCM (World Class Manufacturing)

22

La fabbrica lean opera inoltre secondo uno spirito improntato al

«miglioramento continuo» (Kaizen) del prodotto e dei processi, sia nel

breve che nel medio e lungo periodo. Il controllo della qualità sulla linea

è un elemento, ma il kaizen costituisce un ulteriore fase che non guarda

solo alla qualità, guarda anche all’innovazione e razionalizzazione dei

processi e dei prodotti, la nuova modalità di funzionamento dell’intera

organizzazione è basata sul trasferimento e la devoluzione delle

responsabilità della gestione a team permanenti interfunzionali o ai

circoli di qualità che operano secondo la logica del problem-solving. Al

lavoratore, che opera all’interno di un team, non viene più chiesto

soltanto di eseguire ripetitivamente una sola mansione, ma anche di

eseguire il controllo della qualità di ciò che produce, gli interventi di

manutenzione preventiva, secondo la logica Total Productive

Maintenance (Tpm).

Entrambi i principi si propongono di superare una serie di limiti

strutturali tipici della produzione di massa, ossia la presenza di ingenti

scorte in magazzino, e quindi, elevati costi di stoccaggio, la scarsa

responsabilizzazione degli operai e la proliferazione di errori di

lavorazione a causa di un’organizzazione della produzione incapace di

intervenire tempestivamente, e trovare, perciò, una soluzione ai difetti di

produzione bloccandoli alla fonte. Entrambi tentano di farlo attraverso

un sostanziale riavvicinamento della funzione umana (del ruolo del

lavoro vivo) al processo lavorativo.

Il sistema Toyota quindi “meno sprecone” e più capace di adattarsi

al mercato, richiede un attento gioco di squadra da parte di tutti, richiede

soprattutto un ambiente sociale assolutamente collaborativo.

Page 373: WCM (World Class Manufacturing)

23

Fig. 1.10 “La casa lean”

Fonte: Immagini internet

1.3. Il processo produttivo nel sistema Toyota

Il perseguimento del tendenziale azzeramento delle scorte, in maniera

tale da ridurre i costi di produzione e, quindi, favorire incrementi di

produttività evitando di fare ricorso alle economie di scala tipiche della

produzione fordista, si esprime strutturalmente nella linearizzazione del

layout di fabbrica.5 Un sistema di fabbricazione a “flusso monopezzo”

5 Caputo P., «Lavorare in team alla Fiat. Da Melfi a Cordoba», ImmaginaNapoli, Pozzuoli,

2004, p. 17

Page 374: WCM (World Class Manufacturing)

24

(Shingo, 1985), orientato e guidato dal principio del just in time.

Quest’ultimo implica la tendenziale realizzazione degli obiettivi zero

scorte e zero difetti, tanto dei componenti provenienti dall’esterno (dai

fornitori), quanto di quelli in processo di lavorazione lungo la linea, così

da mantenere “teso” il flusso produttivo e ridurre i costi determinati dal

capitale circolante.

Secondo tale principio è necessario che, sempre e in tutti i punti della

linea di produzione, le parti vengano prodotte nella quantità di fatto

richiesta dalla successiva fase di lavorazione.

Come si può facilmente constatare, il sistema di produzione Toyota si

muove all’interno di una logica operativa diametralmente opposta

rispetto a quella del sistema fordista, in cui la lavorazione sequenziale di

ogni singolo prodotto era limitata soltanto alle operazioni di

assemblaggio finale, quest’ultima si basava su una produzione a lotti, e

pertanto, sui vantaggi derivanti dalle economie di scala, che favoriva però

riserve di materiali, che si traducevano necessariamente in incrementi nei

costi di produzione.

Il sistema di produzione Toyota invece, punta sullo snellimento

dell’intero processo produttivo, sia per quanto riguarda la struttura

organizzativa interna all’azienda madre sia per quanto concerne i rapporti

con le imprese fornitrici, linearizzando il ciclo di fabbricazione e

operando attraverso l’integrazione sinergica con i fornitori stessi,

generando così un disegno organizzativo più ampio di “fabbrica

integrata”.

Il sistema produttivo così organizzato, tuttavia, presenta un’estrema

fragilità strutturale. Il nuovo apparato produttivo linearizzato, pur

prevedendo e consentendo potenzialmente la massima flessibilità dei

risultati e la minimizzazione del tempo di attraversamento del prodotto

Page 375: WCM (World Class Manufacturing)

25

in formazione (cioè la realizzazione di elevati tassi di produttività),

implica nel contempo un’elevata vulnerabilità, ogni problema imprevisto,

disfunzione, che si verifica in un punto qualsiasi del flusso produttivo

tende a diffondersi sull’intera struttura.

L’ambivalenza intrinseca del processo produttivo linearizzato è stata

raffigurata da Bonazzi (1993) con l’efficace metafora del “tubo di

cristallo”. In effetti, descrivere la nuova organizzazione della produzione

attraverso l’immagine di una forma lineare semplice quale quella del

tubo, significa richiamare alla mente concetti di essenzialità, agilità e

rapidità di attraversamento. Paradossalmente, però, la struttura del tubo

evoca contemporaneamente idee di rigidità e di precisione, infatti, per

perseguire la massima flessibilità dei risultati è indispensabile rispettare

alcune rigidità di processo. Al suo ingresso il tubo è potenzialmente

aperto alla domanda del mercato, inoltre l’ordine in cui disporre il mix

produttivo può essere il più vario possibile, ma poi le pareti del tubo si

presentano rigide. In altri termini, una volta deciso il mix, la sua

sequenzialità deve essere rispettata lungo tutta la linea fino all’uscita dal

tubo. Inoltre, tempi morti, ricircoli di materiale e inversioni d’ordine

sono problemi sistemici da prevenire e, nel caso in cui insorgano,

rimuoverli il più presto possibile.

Le condizioni di fragilità della produzione, derivanti dalla concatenazione

lineare “a flusso teso”, sono state affrontate attraverso la

cellularizzazione del processo produttivo, la flessibilizzazione del lavoro

e puntando su pratiche manageriali di gestione delle risorse umane dirette

a indurre la responsabilizzazione e l’attivazione dei lavoratori nella

realizzazione delle performances assegnate.

A fronte della rigidità del layout linearizzato è stata realizzata la

scomposizione “cellulare” del processo produttivo in “team o lavoro di

Page 376: WCM (World Class Manufacturing)

26

squadra” , che costituisce un’unità di lavoro deputata a portare a termine

in maniera relativamente autonoma, grazie al coordinamento e alla

direzione del proprio team leader, la produzione programmata di

specifici segmenti del processo di fabbricazione.

Fig. 1.11 Un esempio del modello snello di micro-organizzazione del team operaio. Organizzazione

senza team operaio, organizzazione basata su team operaio

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008

L’organizzazione è strutturata in maniera tale da prevedere la presenza

diretta, sulla linea, anche di alcune figure specialistiche (tecnologi,

manutentori, ecc.) che nella fabbrica fordista erano relegate negli uffici.

Fig. 1.12 Le diverse figure specialistiche

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, Wor Class Manufacturing, 2008

Page 377: WCM (World Class Manufacturing)

27

Dal canto loro, gli addetti di linea, oltre a svolgere le tradizionali attività

manuali di fabbricazione, devono effettuare un’ulteriore serie di

operazioni tradizionalmente appartenenti a funzioni di staff, come il

controllo di qualità, la manutenzione ordinaria degli strumenti di lavoro,

la prevenzione di guasti tecnici, il problem-solving.

Gli operai presentano caratteristiche di polivalenza esecutiva in quanto,

per il principio della rotazione, devono essere in grado di operare su

differenti postazioni di lavoro.

Fig. 1.13 Gli operai possono ruotare sulle postazioni

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008

Il prerequisito strutturale di base affinché i lavoratori possano operare in

maniera sinergica risiede nell’evitare di creare “isole isolate”, cioè

postazioni di lavoro reciprocamente separate. “Se i lavoratori sono

troppo lontani l’uno dall’altro, non possono aiutarsi reciprocamente, si

producono disfunzioni e la produttività ne risente negativamente. Ma se

le funzioni lavorative sono combinate attraverso linee multifunzionali e

se la distribuzione del lavoro e delle postazioni sono studiate

correttamente, allora l’organizzazione del lavoro può raggiungere la

Page 378: WCM (World Class Manufacturing)

28

massima efficienza, i lavoratori possono cooperare tra loro e il loro

numero può essere ridotto”(Ohno, 1993).

Fig. 1.14 Le “Isole isolate”

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008

1.4. La struttura organizzativa della Fabbrica Integrata

L’insieme di questi orientamenti, sul flusso di produzione e sulla

partecipazione attiva del lavoro, ha prodotto anche un disegno più ampio

di «fabbrica integrata». Si può dire che nella fabbrica integrata

l’innovazione non riguarda solo l’area della produzione dei beni, ma tutte

Page 379: WCM (World Class Manufacturing)

29

le aree funzionai e il rapporto di fornitura con le altre imprese, si ha il

passaggio “dalla centralità delle funzioni a quella dei processi”.

L’importanza assunta dall’integrazione tra funzioni e unità produttive è

dovuta al nuovo principio per cui la frontiera dell’efficienza operativa

viene raggiunta anche con una riduzione significativa dei tempi di

progettazione e di ingegnerizzazione del nuovo prodotto (time to

market) e di attraversamento dei prodotti (lead time).6 La

differenziazione dei gusti e la conseguente necessità di fornire con

frequenza ai consumatori sempre nuovi modelli fa sì che la riduzione dei

tempi dalla progettazione al lancio sul mercato del nuovo prodotto

risutino fondamentali. Lo stesso fenomeno implica la capacità di dare in

tempi brevi il modello richiesto dal cliente. Di qui l’importanza dei tempi

di attraversamento, fuori e dentro a fabbrica, dei componenti, di sub

prodotti e del prodotto finale senza incorrere in eccessive attese dei

materiali o in fermate per rottura di impianti. Di conseguenza sia il time

to market che i lead time con il flusso teso di produzione e la riduzione

delle scorte richiedono in primo luogo una maggiore integrazione ed una

più stretta collaborazione tra azienda e fornitori. In pratica, nella fabbrica

integrata il management delega ad aziende fornitrici, definite capo filiera,

la produzione, la gestione, e anche la co-progettazione di componenti

complessi, dando loro anche il potere di controllo sulle altre aziende

fornitrici ai livelli più bassi. Secondo questa prassi, definita dalla

letteratura «outsourcing» o «esternalizzazione», i fornitori operano

secondo una logica di partnership con l’azienda e il loro coinvolgimento

incide ormai per il 70% circa sul prodotto finale.

6 Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società

postmoderna», cit., p. 62

Page 380: WCM (World Class Manufacturing)

30

Cambia anche la distinzione delle funzioni tra line e staff, ovvero il

nucleo operativo e la tecnostruttura. Nella fabbrica snella integrazione tra

l’integrazione tra line e staff si ottiene tramite lo slittamento verso il

basso degli staff, il baricentro del nuovo modello organizzativo si sposta

dagli uffici alle officine. Con questo passaggio si realizza un

appiattimento della struttura gerarchica dell’organizzazione aziendale.

I tecnici e gli ingegneri vanno in officina, affiancano gli operai di

produzione quando intervengono anomalie o per migliorare la qualità o

ancora per definire i tempi, i programmi, le priorità di consegna mentre il

prodotto è in produzione. Così come i manutentori si integrano nelle

squadre e per buona parte non risiedono più in reparti separati.

Mentre i precedenti comportamenti legati al modello tayloristico

gerarchico-funzionale prevedevano di portare i problemi operativi su e

giù, lungo la gerarchia dell’organizzazione, strutturata per funzioni. La

nuova logica è quasi opposta: prevede che i problemi siano risolti là dove

si originano e da chi li ha visti crescere e ha la competenza professionale

per risolverli.

Il cuore della Fabbrica Integrata è rappresentato dalla Ute (Unità

tecnologica Elementare) che rimpiazza, nel nuovo modello, i gruppi di

lavoro tradizionali. Queste presentano, così come le Unità Operative,

una struttura cellulare in quanto integrano al loro interno una pluralità di

funzioni interconnesse (fabbricazione, presidio degli impianti, controllo

della qualità, gestione dei materiali e dei componenti in entrata)

necessarie a gestire un “segmento compiuto” del processo produttivo.

All’interno dello stabilimento ci sono 35 Ute suddivise all’interno di

quattro Unità Operative (il risultato dell’evoluzione delle vecchie

Officine) che rappresentano delle strutture indipendenti ed omogenee

dal punto di vista sia tecnico che logistico. La finalità dell’Unità

Page 381: WCM (World Class Manufacturing)

31

Operativa consiste nel garantire la realizzazione del programma di

produzione al minimo costo di trasformazione e ai livelli di qualità e

servizio previsti, di garantire la manutenzione dei mezzi di lavoro e lo

sviluppo di adeguati obiettivi di prevenzione/ miglioramento continuo

del processo / prodotto di competenza.

In base al percorso seguito dalla vettura, dal suo ingresso in fabbrica fino

alla verifica finale nel piazzale, le Unità Operative si dividono in:

Stampaggio, Lastratura, Verniciatura e Montaggio. In particolare

Stampaggio, Lastratura e Verniciatura, sono aree ad alta automazione,

cioè aree in cui prevale la componente tecnologica rispetto al fattore

umano, in contrapposizione al Montaggio che è quasi esclusivamente

caratterizzato dal tocco umano.

L’Unità Operativa include al suo interno due distinte funzioni: la

“Produzione” e “l’Ingegneria di Produzione”.

Dalla prima dipendono direttamente sia la Programmazione e la

Gestione Materiali, con compiti di programmazione della produzione e

controllo del rifornimento del materiale diretto, sia la Gestione

Operativa, che si occupa del presidio delle attività finalizzate alla

realizzazione dei programmi produttivi assegnati e del bilanciamento

delle risorse umane e dei servizi di supporto alla produzione.

L’Ingegneria di Produzione invece ha il compito di garantire la

funzionalità tecnico produttiva globale del sistema, si occupa

dell’avviamento dei nuovi prodotti e delle relative variazioni, del

controllo e del miglioramento dei tempi, dei cicli e dei metodi di

trasformazione e dell’assistenza specialistica alle strutture produttive. In

questo lavoro si avvale dei servizi di Manutenzione, Servizi Tecnici (che

comprendono i Tecnologi di linea e i Tecnologi specialistici), Tecnologia

di prodotto / processo (grosso modo corrispondente al vecchio Ufficio

Page 382: WCM (World Class Manufacturing)

32

Metodi) e Utilizzo Fattori (a grandi linee corrispondente al tradizionale

ufficio Analisi Lavoro).

L’ effetto più vistoso della nuova struttura organizzativa è la riduzione

dei livelli gerarchici che, dai quattordici degli anni Settanta (sette

responsabili più sette vice), passano a cinque. In particolare vengono

eliminati i ruoli di vice-capo Officina e di capo Reparto. Scendendo

lungo l’organigramma dello stabilimento, al cui vertice è posto il

Direttore, troviamo il Capo Unità (uno per ogni Unità Operativa), quindi

il responsabile della Produzione (che si occupa anche della gestione

tecnica dei materiali, oltre che del processo) e, al livello successivo, il

Gestore Operativo. Quest’ultimo rappresenta il livello gerarchico

immediatamente superiore al capo Ute.

Il team della Ute è composto mediamente da un minimo di 12 ad un

massimo di circa 100 lavoratori, senza una netta formalizzazione dei ruoli

tra i vari componenti. La logica prevalente è quella del problem-solving,

dell’auto-attivazione dei lavoratori e dell’apprendimento continuo nello

svolgimento del processo produttivo. Il lavoratore viene addestrato per

compiere diverse attività, per conoscere tutta la sua Ute, e avere un

quadro generale. Si tratta sempre di monitorare dei particolari,

l’operazione di per sé non cambia, però cambiano ogni giorno i

particolari ed il modo di lavorare. Se questo è positivo, perché non

genera stress da ripetizione, dall’altro lato genera una forma di stress che

si potrebbe definire da apprendimento o cambiamento. Le figure più

importanti della Ute sono:

- Il responsabile di Ute (o capo Ute) è il leader del team, deve gestire le

risorse umane ed assicurare il raggiungimento degli obiettivi di

produzione, qualità e costi della Ute di sua competenza. Rientrano nelle

mansioni compiti quali la gestione delle rotazioni sulle postazioni, la

Page 383: WCM (World Class Manufacturing)

33

valutazione delle skills individuali, delle performance dei lavoratori, la

concessione dei permessi, ecc., documentate attraverso la Gestione a

Vista. È importante sottolineare come gran parte del lavoro del

responsabile di Ute avvenga secondo la logica della prevenzione, cioè

operare in modo tale da evitare che il problema si possa verificare. Per

ciascuna Ute ci sono tre responsabili, uno su ogni turno di lavoro.

- Il Conduttore di Processo Integrato (Cpi) è uno dei principali

collaboratori del responsabile Ute. Infatti l’eliminazione del ruolo di capo

reparto ha determinato un ampliamento significativo delle funzioni del

responsabile Ute. Pertanto, sebbene il Cpi non abbia, almeno in teoria,

alcun autorità gerarchica sui lavoratori, egli dovrebbe assorbire parte

della complessità organizzativa che emerge dalla linea di produzione e

ridurre i carichi di lavoro del responsabile di Ute in termini di

coordinamento e attività. I suoi compiti sono l’addestramento dei

lavoratori alle diverse mansioni da svolgere all’interno della Ute, la

prevenzione e il controllo sull’andamento della qualità. Nelle aree ad alta

automazione alla figura del Cpi si sovrappone quella del Conduttore di

Impianto Automizzato (Cia) con compiti di controllo degli impianti e di

verifica della conformità del prodotto.7

- L’addetto di linea è l’operaio, una figura che nella Fabbrica Integrata si

arricchisce di nuovi compiti e nuovi significati. Infatti, il suo ruolo non è

più semplicemente quello di mero esecutore di compiti definiti da altri,

bensì è promotore attivo del miglioramento e della prevenzione.

- Il tecnologo di Ute fa capo all’Ingegneria di Produzione, ma risponde

funzionalmente al responsabile di Ute. Il suo compito è quello di

7 Negrelli S., «Prato verde, prato rosso. Produzione snella e partecipazione dei lavoratori nella Fiat

del duemila», Rubbettino Editore, Catanzaro, 2000, p. 76

Page 384: WCM (World Class Manufacturing)

34

assicurare il mantenimento dell’efficienza tecnica ed economica degli

impianti.

Tra le altre figure organizzative che, pur non facendo direttamente parte

della Produzione, intervengono all’interno della Ute, ci sono:

- Il manutentore, che opera alle dipendenze dell’Ingegneria di

produzione, ha il compito di prevenire l’insorgere di anomalie nel

funzionamento degli impianti e di assicurare il ripristino nel minor tempo

e nel miglior modo possibile. Il manutentore non è posizionato

direttamente sulla linea, ma in apposite aree dedicate al fine di consentire

sempre rapidità di intervento. L’attività di manutenzione avviene, inoltre,

in modo programmato nel tempo che intercorre tra un turno e l’altro.

- il rifornitore di Ute si occupa di tutto ciò che riguarda

l’approvvigionamento dei materiali nel tipo e nelle quantità richieste per

la produzione, secondo la logica del just in time. Il suo ruolo è di

fondamentale importanza per assicurare il corretto e regolare

funzionamento delle attività della Ute.

Un punto di raccordo tra Ute e Unità Operativa è costituito dal team

tecnologico, che rappresenta fondamentalmente un gruppo di problem-

solving, si riunisce nel momento in cui insorgono specifiche emergenze o

problemi tecnici e organizzativi nelle Ute o, più in generale, al fine di

ricercare soluzioni ed innovazioni per miglioramenti complessivi dei

processi.

Tutti gli aspetti poi che riguardano da vicino le attività ed il personale

della Ute (rotazioni sulle postazioni, skills individuali, assenteismo, dati

sulla produzione, ecc.) sono documentati e gestiti attraverso il sistema

della Gestione a Vista (GAV), una tecnica che consiste nel raccogliere e

nel rendere disponibili a tutti i componenti del team (sotto forma di

grafici e tabelle esposte nella Ute) le informazioni relative ai parametri

Page 385: WCM (World Class Manufacturing)

35

fondamentali del processo produttivo in modo da far fronte

tempevistamente, ed in modo flessibile, a qualsiasi evenienza.

Unitamente alla GAV, le Proposte di Miglioramento Continuo (PMQ)

rappresentano lo strumento principale per valorizzare la risorsa umana

creando motivazione e coinvolgimento. In particolare, il sistema delle

PMQ si basa sul contributo attivo dei lavoratori che, a fronte di proposte

di miglioramento della qualità del prodotto, di facilitazione dell’attività

lavorativa, di riduzione dei costi relativi a materiali e/o energia, di

migliore efficienza degli impianti, ricevono un premio in denaro. Le

proposte devono essere presentate al responsabile di Ute che, insieme al

team di Ute, verifica l’effettiva realizzabilità della proposta, sulla base di

criteri economici, tecnico-produttivi, organizzativi e qualitativi.

Nell’ottica del coinvolgimento e della partecipazione dei lavoratori

rientrano anche le cosiddette riunioni del team di Ute, alle quali

partecipano tutti i componenti del team, allo scopo, di affrontare e

discutere i vari problemi che, nel corso di un’attività così complessa e

difficile, si possono presentare e per discutere degli obiettivi (qualità,

costi, produzione) che si devono raggiungere.

L’organizzazione del management all’interno della fabbrica vede al

vertice il direttore dello stabilimento, dal quale dipendono gli Enti di

Staff (Personale e Organizzazione, Amministrazione) e, sullo stesso

livello, i responsabili delle quattro Unità Operative che, insieme,

compongono il team direzionale.

Il responsabile del Personale è impegnato su molti fronti e deve gestire

quotidianamente problemi di diversa natura a livello dell’intero

stabilimento, secondo una logica che non vede più la funzione del

personale come la risultante di funzioni specialistiche tra loro

indipendenti, bensì come attività connesse e coerenti con

Page 386: WCM (World Class Manufacturing)

36

l’organizzazione e le strategie generali dell’impresa. Nello svolgimento

della sua attività, il responsabile del Personale, si avvale di alcuni

collaboratori, innanzitutto il responsabile delle Relazioni Sindacali ed il

responsabile del settore Sviluppo e Organizzazione, con competenze

anche in materia di formazione. Sono inoltre alle sue dipendenze il

responsabile per la sicurezza dello stabilimento, il responsabile per

l’amministrazione del personale e il responsabile della sala medica.

All’interno del quattro Unità Operative, il Personale è rappresentato dalla

figura del Repo, cioè del Responsabile del Personale di Officina. I Repo

dipendono funzionalmente dall’uomo delle Relazioni Sindacali, ma

gerarchicamente dal responsabile del Personale. Il Repo rappresenta il

capo del personale all’interno della sua Unità e, in quanto tale, deve

affrontare tutti i problemi che derivano dalla gestione della risorsa

umana. Egli è inoltre, il referente naturale della Rsu in caso di problemi

con i lavoratori.

Page 387: WCM (World Class Manufacturing)

37

Fig. 1.15 Organizzazione della “Fabbrica Integrata”

Team leader

Team operaio

Fonte: Propria elaborazione

Direzione

Amm. e

controllo

Personale e

Organiz.

Qualità

Sistemi

Utilizzo fattori

Acquisti

Servizi generali

Unità operativa

Ingegneria di

produzione

Produzione

Definizione

Prodotto procedure

Manutenzione

Tecnologia specialistica

Tecnologia di

linea

Gestione operativa

Planning/ gestione materiali

Responsabile UTE

Page 388: WCM (World Class Manufacturing)

38

1.5. Le Risorse umane e le relazioni industriali nella lean

production

Sembra ormai largamente diffusa la convinzione che i nuovi sistemi di

“produzione snella”, che si vanno diffondendo in modo sempre più

esteso anche nelle imprese occidentali dopo aver determinato il successo

del capitalismo giapponese, abbiamo effetti sostanzialmente positivi sul

lavoro e sui lavoratori, sollecitando in quest’ultimi un coinvolgimento

quasi naturale e un senso di maggior lealtà verso le direzioni aziendali.

Il legame stretto tra lean production e partecipazione attiva dei lavoratori

costituisce del resto il fondamento dello “spirito Toyota”.

La convinzione relativa al necessario coinvolgimento del lavoratore nella

lean production è stata rafforzata soprattutto dai risultati di quella che

può essere considerata l’analisi comparata più completa sullo sviluppo

della produzione snella, sintetizzata nel libro di Womack, Jones e Roos,

“The Machine that Changed the World”(1990).

Tale analisi costituisce un contributo fondamentale alla descrizione

dell’evoluzione dei sistemi produttivi e dell’organizzazione del lavoro nel

settore dell’automobile, nelle tre fasi della produzione artigianale, di

massa e snella. La prima, fa ricorso a lavoratori specializzati e a

tecnologie generiche e flessibili, realizza produzioni su scala ridotta,

secondo i desideri del consumatore, si caratterizza per strutture

altamente decentrate e mercati concorrenziali. La seconda tende invece a

sviluppare un’organizzazione del lavoro parcellizzata e utilizza addetti

non qualificati o semi-qualificati, è basata su impianti costosi, dedicati e

progettati per produrre quantità elevate, è realizzata in grandi stabilimenti

che si caratterizzano per la loro struttura verticale, concentrata, e per le

forti economie di scala, si afferma in mercati oligopolistici.

Page 389: WCM (World Class Manufacturing)

39

La produzione snella, introdotta dai produttori auto giapponesi, è in

grado di combinare i vantaggi di entrambe, poiché riduce i costi della

prima e le rigidità della seconda “utilizzando meno di tutto”, meno

risorse, meno ore di progettazione, minor spazio produttivo e minori

investimenti in impianti. Ricorre a lavoratori qualificati e motivati grazie

ad una gestione strategica delle risorse umane e al concetto di azienda-

comunità (Dore, 1987), realizza produzione diversificate e flessibili, che

si adattano alle richieste della nuova domanda e crescita lenta e

personalizzata, grazie ai metodi del just in time e della qualità totale.

Sulla base di tale considerazioni, viene avanzata l’ipotesi centrale nel libro

di Womack e colleghi che non esistano alternative alla produzione snella

per i produttori americani ed europei. È la conferma empirica di uno

scenario mondiale futuro orientato esclusivamente alla lean production.

Va ribadito che lo studio di Womack e colleghi costituisce ormai il testo

fondamentale da cui partire per un’analisi dell’evoluzione e degli scenari

delle strategie e strutture aziendali, oltre che dell’organizzazione del

lavoro e della gestione delle risorse umane nel settore mondiale

dell’automobile. Anche se questo studio tende a ad essere accompagnato

da critiche di determinismo o di edizione aggiornata del taylorismo che

sono state da più parti avanzate (Kochan et al., 1997). In particolare i

maggiori limiti che emergono dallo loro ricostruzione degli scenari futuri

dell’industria dell’automobile derivano dalla adesione forse troppo

ingenua e la non considerazione del peso delle relazioni industriali e dei

rapporti di lavoro collettivi.

Page 390: WCM (World Class Manufacturing)

40

Fig. 1.16 “La macchina che ha cambiato il mondo”

Fonte: S. Negrelli, Prato verde, prato rosso. “Produzione snella” e partecipazione dei lavoratori

nella Fiat del duemila, 2000

Al superamento di entrambi questi limiti tendono i principali risultati di

una seconda importante fase di ricerca comparata dell’International

Motor Vehicle Program (IMVP) del MIT lanciata da Kochan e altri

(1997), dopo quella di Womack e colleghi.

In questa nuova indagine sugli effetti della lean production è stato dato

maggior spazio al ruolo del contesto sociale e istituzionale e alle

interazioni tra questo e le strategie aziendali, si sono osservate meglio le

modalità di sviluppo dei sistemi di lean production che tendono ad

affermarsi nei diversi paesi o modelli di capitalismo.

Globalizzazione dei mercati

Tecnologie automatizzate e

flessibili

Sistemi innovativi di gestione delle risorse umane

Lean Production

Page 391: WCM (World Class Manufacturing)

41

Fig. 1.17 After Lean Production

Fonte: S. Negrelli, Prato verde, prato rosso. “Produzione snella” e partecipazione dei lavoratori

nella Fiat del duemila, 2000

L’oggetto di analisi sono diventate esplicitamente le relazioni industriali e

la gestione delle risorse umane.

Le ipotesi principali di scenario che emergono da questo secondo studio

comparato del settore dell’automobile a livello mondiale riguardano da

un lato la tendenza verso una certa complementarietà tra le pratiche

innovative di gestione di risorse umane e quelle di relazioni industriali, e

dall’altro lato l’evoluzione verso differenti tipi di lean production, e non

di uno solo come sembrava prefigurare l’analisi di Womack e colleghi.

Dallo studio di Kochan e colleghi risulta, ad esempio, che si potrebbero

individuare almeno nove idel-tipi di produzione snella. Accanto a quella

ormai classica “toyotista” largamente conosciuta (Ohno, 1978), vi

sarebbero infatti molti altri tipi che si sono affermati fuori dal Giappone

secondo le diverse combinazioni dell’idea originaria con i sistemi e le

Globalizzazione dei mercati

Tecnologie automatizzate e

flessibili

Contesto sociale e istituzionale

Pratiche

innovative di relazioni

industriali e di gestione delle risorse

umane

Vari tipi di Lean Production

Page 392: WCM (World Class Manufacturing)

42

tradizioni nazionali e locali. La ricerca comparata dell’IMVP consente di

fare un’ulteriore passo avanti nella definizione di modelli evolutivi di

relazioni industriali abbinando all’evoluzione dell’organizzazione della

produzione l’evoluzione dei sistemi di contrattazione collettiva. Se nella

produzione artigianale prevaleva il sindacato di mestiere e la

regolamentazione sindacale unilaterale, con la produzione di massa si

affermano i sindacati industriali, la contrattazione collettiva e la rigida

codificazione delle regole di lavoro. Alla produzione snella sembra

accompagnarsi invece un modello di contrattazione collettiva che da

“normativo” diventa “partecipativo”.8 Ovvero tendono a costituirsi

gruppi di lavoro e comitati paritetici “problem-solving”, la dimensione

individuale dei rapporti di lavoro e le iniziative di gestione strategica delle

risorse umane possono crescere spesso accanto e non solo in alternative

alle relazioni industriali e ai rapporti collettivi.

Il problema delle relazioni industriali e della gestione delle risorse

umane nell’auto, nelle imprese occidentali in questa fase di transizione

della produzione di massa alla lean production sembra dunque essere

soprattutto quello di ricostruire una base di fiducia tra impresa, sindacati

e lavoratori.

Un modello partecipativo di rapporti di lavoro sia da parte dei

lavoratori e si da parte dei sindacati.

Per quanto riguarda i lavoratori, la partecipazione diretta di

quest’ultimi, nei gruppi problem-solving, nei sistemi di qualità totale o

nei team di lavoro, dipende essenzialmente dalla capacità manageriale di

sviluppare adeguate politiche di gestione delle risorse umane, in termini

8 Negrelli S., «Prato verde, prato rosso. Produzione snella e partecipazione dei lavoratori nella Fiat

del duemila», cit., p. 18

Page 393: WCM (World Class Manufacturing)

43

di formazione, sicurezza del posto di lavoro, valorizzazione e ricompense

(Heller et al., 1998; Barton, Delbridge, 2000).

A tal proposito, nelle esperienze occidentali di implementazione del

modello lean production giapponese, l’enfasi è posta sull’adozione delle

strategie comunemente denominate Human Resource Management

(HRM), le cui origini devono essere ricercate negli Stati Uniti, già a

partire dagli anni Settanta, quando il management ha cercato di

sviluppare un nuovo approccio gestionale ed organizzativo delle risorse

umane. L’elemento chiave, assunto, interpretando l’esperienza

giapponese, è stato quello di cercare una “comunicazione diretta” con il

lavoratore con l’intento di stabilire in contratto individuale alle volte

associato ad una strategia di marginalizzazione del sindacato. Alto

elemento chiave è stato il coinvolgimento del management strategico

dell’organizzazione mettendo in luce l’importanza del Hrm e gli aspetti

fondamentali della motivazione, del commitment, della formazione dei

lavoratori per il successo del business dell’impresa.

Non sono state fatte analisi comparative approfondite su questo

aspetto, ma il tentativo di comunicazione diretta con il singolo lavoratore

è avvenuto in modi differenti. Storey (1992) distingue una versione forte

e una versione debole del Hrm.

Mentre la versione forte rappresenta un approccio distintivo nella

gestione del lavoro, la versione debole rappresenta, invece, un termine

diverso per connotare la tradizionale gestionale del personale. Secondo

Storey, all’interno della visione forte possiamo ulteriormente distinguere

una versione hard e una versione soft del Hrm. Nella versione hard

l’enfasi è posta sul lavoro come risorsa al pari degli altri fattori produttivi

da utilizzare in modo razionale. La versione soft, invece, pone l’accento

Page 394: WCM (World Class Manufacturing)

44

sul termine human, cioè sui lavoratori come individui che devono essere

opportunamente stimolati e integrati all’interno della logica aziendale.

Per l’implementazione del HRM sono considerati, inoltre, come

condizioni importanti, la localizzazione in un ambiente green-field, la

presenza di manager esperti, una forza lavoro non sindacalizzata,

attentamente selezionata e priva di cultura industriale, l’incentivo di

trovare una occupazione. Quindi, come evidenziano Bean (1994) e

Storey e Bacon (1996) i valori che sottointendono all’approccio HRM

sono direttamente riconducibili a una visione unilaterale e individualistica

piuttosto che al collettivismo dell’impresa come comunità e come

sistema di relazioni industriali partecipate. Tuttavia esistono importanti

differenze tra la visione statunitense del HRM e le forme adottate in altri

paesi, soprattutto europei. Infatti, mentre negli Stati Uniti l’adozione del

HRM è stata accompagnata dalla marginalizzazione del sindacato, in altri

paesi, ad esempio la Gran Bretagna e l’Italia, si è optato per una visione

neopluralista (Keenoy 1990), sulla quale si sono adottati una serie di

accordi consensuali.

Sicuramente non ci troviamo di fronte ad una nuova era nella gestione

del personale caratterizzata da una “umanizzazione” del lavoro,

dall’autonomia decisionale dei lavoratori, da relazioni di “fiducia”, e così

via, tuttavia, non è sufficiente né corretto trarre la conclusione, che

l’HRM possa essere interpretato soltanto come mera ideologia

manageriale. Il problema, consiste piuttosto nel cogliere i nessi che

legano il controllo sul lavoro e la gestione del personale, ossia la nuova

logica che governa la struttura materiale e organizzativa del processo

produttivo post-fordista nei suoi nessi con la gestione delle risorse

umane e le relazioni industriali. In altre parole, è la natura stessa del

controllo ad essere cambiata, divenendo meno arbitraria e più sistemica.

Page 395: WCM (World Class Manufacturing)

45

La fabbrica snella, richiede conoscenze allargate, capacità di relazione,

disponibilità al lavoro di gruppo, responsabilizzazione e si basa

soprattutto sulla valorizzazione delle competenze e degli skills della forza

lavoro quale “risorsa organizzativa” strategica in grado di generare

competitività all’interno di un sistema lean intrinsecamente fragile, privo

di quelle risorse “cuscinetto” che rappresentavano la difesa migliore

dell’organizzazione fordista tradizionale (scorte, magazzini, ecc.).

Il lavoro, per così dire si “intellettualizza”, si “mentalizza”, pur

rimanendo lavoro vivo faticoso.

Il lavoratore, oltre ad essere saturato in maniera più intensa e razionale

(“integrata”), deve fornire un apporto ulteriore, cioè un contributo attivo

che si esprime in attività quali l’autocontrollo della qualità, la

segnalazione tempestiva di anomalie, i suggerimenti e le proposte di

miglioramento, lo sviluppo e l’approfondimento della cooperazione

produttiva, l’aiuto reciproco. Occorrono quindi “meccanismi” di

motivazione al lavoro e di dominio sul lavoro, orientati a combinare

efficienza e consenso, che generalmente si differenzia a seconda dei

differenti contesti istituzionali, sociali, di strategie aziendali, sindacali.

Per quanto riguarda poi il grado di coinvolgimento delle relazioni

industriali, queste si configurano non in maniera univoca dovunque, ma

si sviluppa in contesti territoriali diversi. Nel caso del Giappone si

manifestano in modo peculiare, cioè sono parti integranti, viene utilizzata

una cooperazione labour-management allo scopo di implementare le

strategie aziendali, nel contesto statunitense vi è un modello di relazioni

industriali di tipo giapponese ma tutto ciò avviene senza un reale

coinvolgimento del sindacato e, soprattutto, senza garanzie

occupazionali, questa versione della lean production enfatizza il ruolo

chiave del management, ma ignora aspetti considerati centrali per i

Page 396: WCM (World Class Manufacturing)

46

lavoratori quali, ad esempio, la sicurezza occupazionale, la crescita dei

salari, le promozioni, la risoluzione delle controversie, la rappresentanza

degli interessi. Nei paesi europei si ha l’adozione di strutture e comitati

paritetici management-sindacato che permettono ai lavoratori di essere

rappresentati ad ogni livello dell’organizzazione aziendale.

Il tema più discusso che permette meglio di definire le differenze

tra i paesi e possibili trend di sviluppo della contrattazione collettiva, è

quello dell’accentramento-decentramento della struttura contrattuale.9

La differenza più evidente è quella che intercorre come abbiamo

già accennato tra i paesi di tradizione anglosassone e anche il Giappone,

maggiormente aperti, sia per condizioni strutturali che culturali al

mercato, e i paesi dell’Europa continentale in cui le relazioni d’impiego

sono maggiormente istituzionalizzate.

Nel primo caso equivale quasi esclusivamente una struttura

decentrata della contrattazione, i contratti si fanno solo a livello

d’impresa, di unità produttiva se non anche a livello di singolo mestiere e

danno luogo ad una variegata e diversificata crescita di norme formali e

informali. La contrattazione decentrata ha gravi limiti di estensione e

istituzionalizzazione. Nei paesi in cui l’unico livello contrattazione delle

condizioni di lavoro è quello d’impresa, i dipendenti di molte aziende, in

cui il sindacato non è presente o non è riconosciuto come agente

negoziatore, sono esclusi dai benefici della contrattazione collettiva. Il

grado di istituzionalizzazione è piuttosto basso, lasciato alle convenzioni

o ai rapporti di forza contrattuali tra le parti. La contrattazione decentrata

segue più di quella centralizzata, la logica della flessibilità rispetto al

9 Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società

postmoderna», cit., p. 161

Page 397: WCM (World Class Manufacturing)

47

mercato. Ciò che il livello decentrato perde in estensione e

istituzionalizzazione, lo guadagna in incisività e in coinvolgimento della

base sindacale. Incisività significa capacità della rappresentanza sindacale

di contrattazione degli incentivi, orari, mobilità, carriere e di tutti quegli

aspetti inerenti le specifiche condizioni di lavoro. Coinvolgimento

significa, invece, elevata partecipazione della base alla contrattazione sia

attraverso i delegati di fabbrica, eletti quasi sempre direttamente dai

lavoratori, sia attraverso rappresentanti delle sezioni sindacali territoriali.

Nel secondo caso, quello dei paesi dell’Europa continentale, il

grado di accentramento è maggiore, prevalgono gli accordi nazionali su

quelli decentrati. La contrattazione risponde principalmente a fattori di

tipo politico solidale, prevalgono dimensioni quali l’estensione della

contrattazione alle condizioni di lavoro e dei sistemi di assistenza sociale

a tutti i lavoratori, l’istituzionalizzazione di regole e procedure che

definiscono in maniera rigorosa e stabile il processo contrattuale

attraverso il legislatore o il contratto collettivo interconfederale o

nazionale. La centralizzazione ha segnato il periodo dell’industria di

massa e della grande impresa grazie alla “contrattazione nazionale di

categoria” che costituisce il perno intorno al quale è costruito, in questo

caso, l’intero sistema di relazioni industriali. I contenuti del contratto

riguardano tutti gli aspetti fondamentali delle relazioni di lavoro, dal

salario minimo alla definizione dell’orario, dalle condizioni di lavoro in

generale ai diritti sindacali. Il contratto ha un estensione che può variare

a seconda del settore e il grado di istituzionalizzazione è piuttosto alto. Il

coinvolgimento della base, delle rappresentanze sui luoghi di lavoro e dei

sindacati locali, rimane parziale, così come l’adattamento alle specifiche

condizioni di lavoro nelle diverse realtà produttive.

Page 398: WCM (World Class Manufacturing)

48

Il livello “interconfederale”o “intersettoriale” da luogo ad una maggiore

centralizzazione rispetto alla contrattazione nazionale di categoria,

riguarda i singoli aspetti della condizioni di lavoro o economico-sociali

che interessano tutti i lavoratori indipendentemente dall’appartenenza ad

uno specifico settore, prevede un’attività negoziale bilaterale, tra le

principali confederazioni sindacali e associazioni imprenditoriali, oppure

trilaterale con il coinvolgimento attivo dello Stato. Complessivamente la

contrattazione interconfederale si caratterizza per un elevata estensione,

centralizzazione e incisività (in quanto gli accordi interconfederali

possono essere trasformati in leggi dello Stato). Al contrario, si ha un

basso livello di coinvolgimento, soprattutto delle strutture decentrate del

sindacato e delle associazioni imprenditoriali, nella definizione e gestione

degli accordi.

Contratto collettivo nazionale di lavoro e accordi interconfederali

sono considerati da tempo la migliore espressione di un sistema di

cittadinanza e di gestione paritetica del mondo del lavoro. Lo sono

proprio perché, a differenza della contrattazione decentrata, consentono

la massima estensione nella tutela dei lavoratori e l’istituzionalizzazione

delle relazioni tra sindacati e imprenditori. Il contratto nazionale

definisce le condizioni minime per tutti i lavoratori e il tipo di disciplina

nella regolamentazione dei rapporti di lavoro in ciascun settore. Quello

interconfederale estende all’esterno dei luoghi di lavoro la tutela e la

gestione congiunta di altre condizioni della vita del lavoratore.

Questo modello centralizzato, tuttavia, incontra i propri limiti

nell’adattarsi alle diverse condizioni economiche dei settori e delle

imprese e allo tempo di rappresentare tutti i lavoratori. Con

l’intensificarsi della concorrenza sui mercati, la contrattazione

centralizzata e quella decentrata sono in parte in competizione per la

Page 399: WCM (World Class Manufacturing)

49

capacità di quest’ultima di essere più flessibile e di rispondere meglio ai

cambiamenti. La contrattazione decentrata o d’impresa consente

maggiore flessibilità, si adegua alle variazioni di mercato, permette un

adattamento più facile delle condizioni di lavoro e delle retribuzioni,

favorisce di fatto la forza lavoro delle imprese e dei settori più forti sul

mercato. Tale rilievo assunto dal decentramento si accompagna a

crescenti difficoltà di tutela generale della contrattazione centralizzata.

Essa non riesce a tutelare tutti i lavoratori per la dispersione della

struttura industriale in piccole imprese, per la nascita di un’economia dei

servizi, per la crescita del lavoro precario e per il parziale declino del

capitalismo organizzato e dell’intervento dello Stato.

Il tema del decentramento viene letto da diversi punti di vista,

Locke, Kochan e Piore (1995), ad esempio sottolineano l’importanza

delle strategie competitive poste in essere dal management che guida i

cambiamenti in atto nelle imprese. Non è più il sindacato dei diritti a

condurre il gioco, ma sono le imprese. Di fatto, il decentramento è

interpretato come un ribaltamento del successo del sindacato nell’usare la

contrattazione centralizzata quale strumento per tenere i salari fuori dalla

competizione tra imprese e di garantire, per quanto possibile, condizioni

di lavoro uguali per tutti. Il decentramento è di fatto intervenuto in aree

forti dell’economia e del mercato del lavoro con la tendenza, di una parte

dei lavoratori, delle rappresentanze sui luoghi di lavoro e dei membri del

sindacato, ad uscire dagli schemi troppo stretti ed egualitari della

contrattazione nazionale.

Katz (1993) individua tre possibili ipotesi per spiegare la tendenza

verso il decentramento. La prima ipotesi considera il decentramento

come risultato dell’aumento del potere manageriale, pertanto è una

lettura basata su un ribilanciamento degli equilibri di poteri interni al

Page 400: WCM (World Class Manufacturing)

50

sistema di relazioni industriali. La seconda ipotesi sottolinea l’importanza

della riorganizzazione del lavoro e delle tecnologie più flessibili che

hanno portato management e organizzazioni sindacali a collaborare per

gestire questo cambiamento. La terza, infine, focalizza l’attenzione

sull’accresciuta diversificazione sia della struttura sia degli interessi dei

lavoratori. La spinta al decentramento è legata alla pressione e

all’incertezza del cotesto economico, al passaggio dai mercati di massa ai

prodotti specializzati, al mutamento delle prestazioni e della natura del

mercato del lavoro. Si tratta, quindi, di un decentramento di natura

strutturale e di lunga durata. Alla luce di tutto ciò si solleva alcuni

importanti interrogativi sullo sviluppo futuro delle relazioni industriali

nel settore dell’automobile a livello mondiale. Attualmente il sindacato

sta vivendo una fase di notevole trasformazione, cioè da organismo di

tipo «conflittuale» a «sindacato partecipativo», e in particolare verso un

«sindacalismo d’impresa».

Per comprendere le trasformazioni in atto bisogna sottolineare come

nella fabbrica lean la direzione aziendale stia utilizzando tecniche più o

meno sofisticate di Human Resource Management (HRM) per

incentivare e motivare adeguatamente la forza. Questi incentivi sono

direttamente collegati alla fragilità della fabbrica lean, poiché la sua

vulnerabilità aumenta qualora i lavoratori non prestano attenzione, e

sono chiamati a risolvere i problemi in prima persona.

La crescita del coinvolgimento individuale ha quindi importanti

conseguenze in merito ai mutamenti nelle forme di resistenza dei

lavoratori. In particolare, viene meno la logica della contrapposizione

espressa tradizionalmente dallo sciopero, pur essendo formalmente

previsto e riconosciuto dalla legge, è percepito dai lavoratori solo come

ultima istanza, si ricorre allo sciopero solo quando tutti gli altri strumenti

Page 401: WCM (World Class Manufacturing)

51

predisposti per la risoluzione delle controversie non abbiamo prodotto

l’esito desiderato. Tendono invece a manifestarsi nuove e più strategiche

forme di resistenza operaia, quali ad esempio, l’inversione del controllo o

della non partecipazione alle attività tipiche di miglioramento continuo.

Tuttavia, se da una parte l’introduzione della lean production pone dei

rischi all’azione sindacale, dall’altro offre nuove potenzialità per la

rappresentanza collettiva dei lavoratori all’interno delle fabbriche. La

logica della prevenzione può accrescere il potere del sindacato, in un

sistema produttivo che si basa sul just in time, il sindacato può facilmente

infliggere seri danni all’azienda attraverso l’azione organizzata e mirata di

fermi delle linee produttive, di scioperi, oppure attraverso la semplice

minaccia dello sciopero per aumentare il proprio potere contrattuale.

Un ulteriore spazio per il sindacato deriva dal fatto che, anche a fronte di

relazioni dirette tra management e lavoratori, sul fronte della

contrattazione collettiva, possono cercare di ottenere salari più alti e

maggiori benefici per i lavoratori della categoria, miglioramento delle

condizioni di lavoro, con particolare attenzione alla salute ed alla

sicurezza sul luogo di lavoro, alla gestione dei tempi e degli straordinari e

allo stress psico-fisico legato all’intensificazione dei ritmi di lavoro.

Il successo del sindacato è notevole proprio in virtù della stretta

connessione esistente nella lean production tra performance economica

aziendale e condizione (fisica e morale) del lavoratore.

Quali tipi di sindacato e di relazioni industriali tenderanno ad

affermarsi in Europa e negli Stati Uniti? Dal momento che ormai si ci sta

dirigendo in modo irreversibile verso il decentramento della

contrattazione collettiva e delle relazioni industriali (Katz, 1993) e verso

la sempre maggior valorizzazione della gestione individuale delle risorse

umane (Negrelli, Treu, 1995), quanto decentramento sono in grado di

Page 402: WCM (World Class Manufacturing)

52

sopportare i sistemi dell’Europa continentale, tradizionalmente più

centralizzati di quelli anglo-sassoni? Qual è sarà il livello di

complementarietà che tenderà a prevalere tra le relazioni industriali e la

gestione delle risorse umane?

Nelle imprese occidentali, flessibilità del lavoro, nuove forme di

motivazione e di incentivazione, paghe legate ai risultati di qualità,

produttività e redditività stanno portando a tipi differenti di

combinazione tra rapporti collettivi e rapporti individuali di lavoro, che

in alcune realtà sembrano orientate alla complementarietà mentre in altre

più verso la competizione oppure l’antagonismo (Negrelli, 1995).

Page 403: WCM (World Class Manufacturing)

53

Capitolo 2

Il World Class Manufacturing come modo di

lavorare

2.1. La nuova metodologia organizzativa: il “World Class

Manufacturing”

«World Class Manufacturing significa realizzare prodotti:

più rapidamente…..

meglio….

in modo più economico…. insieme»

Sono molte le case automobilistiche che possono vantare modelli che

sono più avanzati sul piano strettamente tecnologico, che dispongono di

motorizzazioni più performanti, che vantano un’immagine più ricercata,

che presentano tratti stilistici più sofisticati. Tuttavia non esiste alcuna

casa automobilistica che abbia conseguito nel tempo i risultati della

Toyota, sia in termini di espansione nelle quote di mercato che sotto il

profilo economico-finanziario. Il fulcro su cui Toyota ha fatto e continua

a far leva, per costruire la sua invidiabile posizione nell’arena competitiva

dell’industria automobilistica, è rappresentato dall’attività di

manufacturing. I suoi prodotti infatti sono realizzati con un altissimo

livello di produttività e affidabilità, e nessuna casa automobilistica vanta

un grado di soddisfazione della clientela paragonabile a quello della

Toyota.

Page 404: WCM (World Class Manufacturing)

54

Per reggere la sfida competitiva non basta produrre automobili dalle linee

accattivanti e di elevate prestazioni, bisogna essere in grado di assicurare

alla clientela un rapporto qualità/prezzo, quello che in inglese viene

indicato come money for value, migliore dei propri concorrenti.10

In questo panorama sempre più competitivo la Fiat Chrysler

Automobiles si è posta l’obiettivo di costruire un “Fiat Production

System” (FAPS), vale a dire un modello integrato, costituito da

un’insieme di metodologie e strumenti la cui applicazione consente il

miglioramento radicale delle prestazioni del sistema produttivo. Ciò

permette di consegnare il prodotto al cliente nei tempi e nella qualità

richiesti e di eliminare contemporaneamente le attività a non valore

aggiunto e qualunque altro tipo di perdita di persone, impianti, materiali

ed energia. Quest’ultimo deve conseguire i rigorosi standard

internazionali, gli standard codificati dal “World Class Manufacturing”,

che riguarda la competitività, questo nei diversi paesi in cui viene

applicato, prende nomi diversi, dalla Lean Production (produzione

snella), Value Management, Qualità totale. È una metodologia di

organizzazione e di miglioramento continuo delle prestazioni della

fabbrica, attraverso cui si riescono ad ottenere importanti vantaggi di

competitività relativi a qualità, costi e tempi di risposta. L’aspetto più

importante di questa impostazione è che il raggiungimento della qualità e

dell’efficienza nascono dall’utilizzo di tecniche quali il Just in time, la

Qualità totale e soprattutto dai suggerimenti migliorativi del personale

che lavora nella fabbrica.

10 Volpato G., «Fiat Group Automobiles. Un’Araba Fenice nell’industria automobilistica

internazionale», Bologna, il Mulino, p. 168

Page 405: WCM (World Class Manufacturing)

55

Entriamo del merito di queste tecniche, il Just in time significa fornire un

servizio quando è effettivamente necessario, né prima, né dopo. Ciò

richiede notevoli sforzi da parte di dipendenti, macchinari e materiali che

devono essere perfetti e capaci di garantire i migliori risultati, per questo

sono stati realizzati una serie di strumenti, quali ad esempio il Kanban,

un sistema di controllo visibile, Jidoka, un processo per connettere ai

macchinari sistemi a basso consumo, di avvio/spegnimento e di

segnalazione, l’Andon, un sistema di preallarme, e così via.

La vera essenza del Jit consiste nell’individuazione degli sprechi, e

quindi nella loro eliminazione completa, in alternativa in una loro

riduzione significativa. Il 90% degli sprechi aziendali complessivi sono

attribuibili ai sistemi, ai metodi e ai processi che il management aziendale

impone ai dipendenti. Tutto ciò implica quindi un cambio di mentalità in

chi dirige l’azienda, occorre che i manager si rendano conto di essere non

solo i responsabili delle possibili soluzioni, ma spesso anche la causa dei

problemi.

Per quanto riguarda la Qualità totale, la “International Standard

Organisation”, ha introdotto una serie di standard qualitativi, il più

recente nel 2000, genericamente chiamati ISO 9000. Tali standard sono

costituiti da una serie di punti riguardanti gli elementi fondamentali di un

sistema di base, questo ha avuto un impatto significativo e positivo

sull’industria, anche se tuttavia non sono mancati gli aspetti negativi. Gli

standard richiedono che un impresa nomini un manager o comunque un

responsabile della qualità. Ciò ha comportato che la questione della

qualità all’interno di un’azienda avesse una figura specifica, preposta a

tale incarico, ma ha avuto anche l’effetto di concentrare la qualità solo in

un determinato settore.

Page 406: WCM (World Class Manufacturing)

56

Il sistema della Qualità Totale (TQM), sviluppa processi produttivi

talmente perfetti da rendere impossibili errori, e si differenzia rispetto ai

precedenti sistemi tradizionali di controllo della qualità, in cui gli errori

venivano riscontrati soltanto dopo che si erano verificati. La qualità non

è quindi una caratteristica che può essere semplicemente aggiunta ad un

prodotto, dopo che è stato realizzato, da un ispettore di qualità. La

qualità viene attribuita ad un prodotto o servizio, soltanto durante le fasi

di lavorazione. Questo processo inizia dal lavoro dei progettisti e

continua lungo tutto il percorso produttivo aziendale, finchè il cliente

finale non riceve il prodotto.

Questa consapevolezza della qualità e del modo in cui tutti i dipendenti

sono importantissimi per la qualità di base del prodotto, deve essere

presentata allo staff, da parte di un management impegnato, che si

preoccupa dell’azienda e dei sui clienti. Per l’eliminazione degli sprechi di

un’azienda l’avvalersi di un team per la soluzione dei problemi è un

elemento chiave in un approccio legato al modello World Class

Manufacturing, uno dei mezzi più efficaci usati da questi gruppi di lavoro

è la tecnica del “brainstorming”, che consiste nel riunire il team,

individuando e definendo il problema da risolvere, e cercando di trovare

il maggior numero possibile di idee che possano chiarire la questione.

Nel realizzare i principi del JIT e del TQM importanti sono i

suggerimenti migliorativi del personale, mentre prima si affidava

essenzialmente all’automazione degli impianti la qualità della produzione

motoristica e dell’assemblaggio delle autovetture, la stessa esperienza

della Fiat ha poi mostrato che sia nelle lavorazioni tipicamente

meccaniche, ma anche, nelle fasi di assemblaggio, il contributo del

personale al raggiungimento del risultato è assolutamente fondamentale.

Page 407: WCM (World Class Manufacturing)

57

Il Wcm mostra tutta la sua potenzialità quando diventa un “abito

mentale”, quando l’operaio guarda al suo lavoro in modo nuovo e si

interroga su cosa può essere fatto per produrre meglio, con minore

fatica, senza spreco. Esso viene promosso e sostenuto dall’alto, ma la sua

realizzazione segue uno schema tipicamente bottom-up, cioè ogni

problema viene normalmente affrontato dall’addetto che è più a contatto

con la manifestazione del problema. I dipendenti vengono quindi

attivamente coinvolti nell’azienda, questi non devono più soltanto fare

ma anche pensare.

Fig. 2.1 Le tre aree dei metodi del miglioramento continuo

Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufaturing, 2008

2.2. Strumenti e metodologie

Il Wcm si basa su una varietà di strumenti, alcuni di questi anche

complessi che richiedono competenze statistiche, ma l’essenza del Wcm

è di procedere sistematicamente alla decomposizione dei problemi in

problemi più semplici e di sviluppare accorgimenti per semplificare ogni

Page 408: WCM (World Class Manufacturing)

58

forma di controllo del funzionamento degli apparati, proprio per mettere

ogni operatore in condizione di affrontare le problematiche del proprio

lavoro. Il primo passo verso un sistema di World Class Manufacturing

consiste nella piccola manutenzione, che inizia proprio dal tenere in

ordine e pulito il proprio posto di lavoro. Sembra un dettaglio

trascurabile, ma non è così, è solo il primo passo verso un addestramento

a cogliere il manifestarsi di comportamenti anomali delle attrezzature e a

studiare come ovviarli. Ad esempio nello stampaggio dei pannelli che

costituiscono la carrozzeria di un automobile se un moscerino si

appoggia al foglio piano di lamiera che sta per essere stampato da una

pressa idraulica che esprime una forza di migliaia di tonnellate,

l’impronta del moscerino, sottilissima, ma percepibile, si trasferirà sulla

portiera o sul cofano di lamiera stampata.

All’interno della Fiat, il FAPS (Fiat Auto Production System) è un

modello integrato che ottimizza tutti i processi di produzione-logistica e

che consente di attuare un miglioramento continuo dei fattori

fondamentali, qualità, produttività, sicurezza, delivery. La sua

applicazione consente al Management di concentrarsi sul miglioramento,

invece di rincorrere i problemi quotidiani. Si pone l’obiettivo di

raggiungere significativi risultati di efficienza e di soddisfazione del

cliente, avendo come riferimento le metodologie applicate dalla migliore

concorrenza, strutturate e definite nel World Class Manufacturing.

Il Wcm realizzato alla Fiat viene quindi presentato come una

matrice nella quale le diverse aree operative dello stabilimento, indicate

come «pilastri», vanno monitorate sistematicamente per migliorare le

prestazioni attraverso l’applicazione di una molteplicità di strumenti11. Vi

11 «Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System», Fiat Group Automobiles, 2007

Page 409: WCM (World Class Manufacturing)

59

sono 10 pilastri tecnici e 10 pilastri manageriali o gestionali. I pilastri

tecnici si riferiscono ad una precisa metodologia, i pilastri manageriali,

sono di supporto ai criteri tecnici di pilastro, necessari per

un’applicazione ottimale del sistema di produzione. Sono azioni che

deve svolgere il coordinatore centrale del Team WCM (il WCM leader o

il direttore di stabilimento), finalizzate a favorire l'impegno e l'auto-

responsabilità dei vari preposti ai singoli pilastri di attività. Responsabilità

che, applicando tecniche e metodi di gestione per obiettivi, consiste nel

realizzare piani e progetti attraverso la diffusione di Know-How. Questi

riguardano il “commitment”, cioè l’impegno, la motivazione

coinvolgimento totale, vi è poi la cultura orientata al dettaglio.

Fig. 2.2 I pilastri tecnici e manageriali

Fonte: L. Massone, World Class Mnufaturing. Il percorso verso l’eccellenza

Il percorso di evoluzione di ogni pillastro tecnico è vincolato a 7 steps.

Prendiamo in considerazione, per motivi di semplificazione, il solo

pilastro “Sicurezza”.

Page 410: WCM (World Class Manufacturing)

60

Fig. 2.3 Pilastro “Safety” (Sicurezza)

Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles, 2007

Safety Sicurezza

Perché si fa

Per soddisfare le esigenze degli addetti, assicurando il miglioramento continuo della sicurezza sul posto di lavoro.

A che cosa serve

• a ridurre drasticamente il numero degli incidenti • a sviluppare la cultura della prevenzione per quanto riguarda la sicurezza • a migliorare continuamente l’ergonomia del posto di lavoro • a sviluppare le competenze professionali specifiche

Principali attività

• audit interni periodici sulla sicurezza degli impianti • identificazione e valutazione dei rischi • analisi sistematica degli incidenti avvenuti • miglioramenti tecnici sulle macchine e sul posto di lavoro • formazione, addestramento e controllo

Page 411: WCM (World Class Manufacturing)

61

Fig. 2.4 I sette step del pilastro “Safety” (Sicurezza)

Piena implementazione del sistema sicurezza

Standard autonomi

Ispezione autonoma (contromisure contro i

potenziali problemi)

Ispezione generale per la sicurezza (addestramento

e formazione delle persone)

Standard iniziali di sicurezza (lista di tutti i problemi)

Contromisure ed estensione sulle aree simili

Analisi degli infortuni e delle cause di infortunio

Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles, 2007

All’interno di ciascun pilastro possono essere utilizzati alcuni strumenti.

Step 1

step 2

Step 3

Step 4

Step 5

Step 6

Step 7

Sette step della Safety

Page 412: WCM (World Class Manufacturing)

62

Fig. 2.5 Gli strumenti del World Class Manufacturing

Fonte: Propria elaborazione

Vi sono poi continue verifiche interne ("audit"), che costituiscono uno

degli elementi per valutare, guidare e supportare l’applicazione di Fiat

Auto Production System seguendo il percorso verso il World Class

Manufacturing. Ha lo scopo di verificare l’avanzamento dei risultati e di

indirizzare il management ad una applicazione corretta dei metodi del

Sistema di Produzione, tramite i KPI (Key Performance Indicator) sulle

seguenti aree tematiche:

• Cost (costi)

• Quality (qualità)

4M Techinque (machine-material-method-man)

5 “S”: separare, ordinare, pulire, standardizzare, sostenere e migliorare

5W e 1H: Who (chi), What (che cosa), Where (dove), When (quando), Why (perché), How (come)

5 WHYS (5 perché)

AM Tag (Cartellino AM)

Equipment ABC Prioritization (Classificazione ABC delle macchine)

FMEA – Failure Mode ancd Effect Analysis (Analisi dei guasti e dei loro effetti

Kanban (Cartellino) NVVA – Not Value Added Activity (Attività a non valore aggiunto)

OPL – One Point Lesson (lezione su un punto)

Poka Yoke (evitare l’errore)

QA Matrix (la matrice assicurazione qualità)

QM Matrix (la matrice manutenzione per la qualità)

Six Sigma (sei sigma)

Value Stream Map (mappa del flusso del valore)

X Matrix (la matrice x

SMED - Single Minute Exchange of Die (Attrezzaggio in un tempo inferiore ai 10 minuti)

Page 413: WCM (World Class Manufacturing)

63

• Productivity (produttività)

• Safety (sicurezza

• Human Resource (risorse umane)

• Production System (sistema produttivo)

• Delivery (livello di servizio)

• Stock (scorte)

A tal fine sono previsti sia autovalutazioni periodiche, realizzate dal

management di stabilimento per il monitoraggio dell’avanzamento delle

attività dei pilastri, sia valutazioni esterne, a cura di manager

indipendenti, per la certificazione dei livelli raggiunti.

Lo stabilimento viene valutato per ogni metodologia con un punteggio

che varia da 0 a 5. La valutazione complessiva dello stabilimento viene

riassunta in un indicatore chiamato Indice di Implementazione

Metodologie (IIM), che può essere applicato anche a livello di Unità

Operativa e di Ute. L’IIM si ottiene come somma di tutti i livelli

raggiunti nell’implementazione di ciascuna metodologia.

La valutazione, una volta verificata da parte di esperti esterni, porta lo

Stabilimento all’assegnazione di specifici riconoscimenti (Bronzo 50

punti, Argento 65 punti, Oro 80 punti).

Fig. 2.6 Il “sistema audit”

Fonte: L. Massone, World Class Manufaturing. Il percorso verso l’eccellenza

Page 414: WCM (World Class Manufacturing)

64

2.3. L’implementazione del World Class Manufacturing

Il modello del World Class Manufacturing, costituisce, un nuovo modo

di guardare all’organizzazione, la sua implementazione è sempre un

elemento cruciale. Il vantaggio del WCM è dato dal modo in cui lo si

introduce in azienda e dai benefici che permette di ricavare. Mostreremo

di seguito i 5 passi attraverso cui applicare un programma World Class:

1) Diagnostica dell’impresa

È una verifica di tutti i settori chiave dell’impresa, il vantaggio di questa

fase è l’individuazione delle priorità d’intervento all’interno

dell’organizzazione, problemi che devono essere risolti rapidamente, ed è

proprio già in questa fase che si hanno indicazioni concrete su come

risolvere il problema. Al fine di ottenere migliori risultati , questa fase di

diagnosi dovrebbe essere condotta da un consulente esterno, libero da

pregiudizi, cioè da esperienze aziendali quotidiane o da preconcetti

consolidati dall’operare da lungo tempo in impresa.

2) Consapevolezza e autovalutazione

I programmi del WCM sono in genere guidati dalla direzione, questa

deve avere una chiara visione di quello che implica il WCM, in modo da

poterlo trasmettere al resto dell’impresa. I dipendenti devono

comprendere a pieno i principi del WCM in modo da contribuire a

migliorare il loro modo di operare in azienda. Una volta che tutta

l’impresa è giunta ad una cognizione esatta dei principi di base del

modello, potrà confrontare i risultati della fase diagnostica con il modello

Page 415: WCM (World Class Manufacturing)

65

WCM ed effettuare una sorta di autovalutazione che costituirà, poi, la

base per il piano di miglioramento.

3) Programma d’implementazione

La combinazione delle due fasi precedenti permette all’impresa di

mettersi all’opera per creare un piano di implementazione per

concretizzare i presupposti teorici. Un programma d’attuazione che deve

essere pratico e flessibile, soprattutto nella fase di pianificazione, dal

momento che man mano che si sviluppa il processo si avranno maggiori

possibilità di utilizzare al meglio le idee che proverranno dall’interno

dall’interno dello staff, sia ai livelli manageriali, sia ai livelli operativi.

4) Il cambiamento

L’azienda ha recepito il modello World Class Manufacturing e lo ha

interpretato in base alla propria situazione specifica, ed è giunto il

momento di attuare i cambiamenti. Questa rappresenta sia una fase

stimolante dal momento che i dipendenti assistono ai maggiori

cambiamenti in termini di miglioramento, ma anche una fase rischiosa,

poiché attraverso la trasformazione, le reazioni e le impressioni dello

staff devono essere gestite di conseguenza, e quindi è proprio in questo

punto che emerge l’importanza di aver svolto con efficacia le fasi

precedenti. 12

12 Keegan R., «Introduzione al World Class Manufacturing. Casi di studio ed applicazioni pratiche

di produzione snella, qualità totale ed innovazion», Milano, Franco Angeli, 2003, p. 20

Page 416: WCM (World Class Manufacturing)

66

5) Miglioramento costante

Le fasi iniziali di un programma WCM condurranno a dei miglioramenti

immediati nel sistema operativo generale dell’azienda, tuttavia

quest’ultima deve continuare a tendere il processo di miglioramento

anche in futuro.

Il sistema del WCM è stato applicato a tutti gli stabilimenti Fiat, da parte

dell’ Ad Sergio Marchionne, nel 2005 a Mirafiori, Cassino, Melfi

estendendolo infine a tutte le aziende del gruppo.

In Italia tra il 2006 e il 2009, la Fiat ha dichiarato un risparmio di 730

milioni di euro con il Wcm, incassando riconoscimenti internazionali. La

medaglia d'oro assegnata allo stabilimento di Tychy, in Polonia, e a

quello di Pomigliano, e allo stabilimento di Mirafiori la medaglia

d’argento.

2.4. Il sistema Ergo-Uas

Nel quadro del Wcm, è stato poi inserito un sistema specifico, chiamato

Ergo-Uas che, con lo stesso obiettivo di eliminare perdite e sprechi per

massimizzare il “valore aggiunto interno”, interviene sulle postazioni di

lavoro con innovazioni incrementali derivate da analisi ergonomiche,

consentendo di eliminare tutto ciò che nei movimenti dei lavoratori è

considerato uno spreco e con ciò aumentare la produttività.

Vediamo nel dettaglio in che cosa consiste questa nuova metrica, vi è

inanzittutto la presenza di due sigle nella denominazione Ergo-Uas,

dovuta al fatto che la nuova metrica è la fusione di due tecniche di

misura, una tecnica di misura dell’ergonomia basata sul sistema Eaws

Page 417: WCM (World Class Manufacturing)

67

(European Assembly Work-Sheet), è un metodo di misura dei tempi

basato sul sistema tabellare Uas (Universal Analysing System).

Uas (universal analisys system) è un sistema MTM13 (method time

measurement) che, per definire “tempi e metodi di lavoro”, descrive la

sequenza di operazioni di uno specifico compito lavorativo attraverso

l’aggregazione dei movimenti elementari effettuati dal lavoratore (ad es. i

movimenti elementari “raggiungere, afferrare, muovere, ruotare,

posizionare, rilasciare ecc.” vengono aggregati nelle operazioni “prendere

e piazzare”). Per rendere più chiara la comprensione di Ergo-Uas è utile

una descrizione sintetica dei sistemi di misurazione della prestazione

lavorativa ed, in particolare, di quello MTM.

MTM rientra nella categoria dei cosiddetti sistemi a tempi predeterminati

(PTS, predetermined time system), si tratta di sistemi che suddividono i

compiti lavorativi nei movimenti degli arti, e del corpo, ed assegnano ad

ognuno di essi un determinato valore in termini di tempo; si

propongono, cioè, di definire i tempi ed il ritmo standard di una

prestazione lavorativa. Il sistema MTM, uno dei PTS più utilizzati a

livello internazionale, scompone qualsiasi operazione manuale nei

movimenti elementari (nel senso che non sono ulteriormente

suddivisibili) necessari per eseguirla ed assegna ad ognuno di essi, sulla

base della natura del movimento e delle condizioni in cui viene

effettuato, un tempo standard predeterminato. L'operazione “prendere e

posizionare un oggetto”, ad esempio, viene suddivisa nei movimenti

elementari “raggiungere, afferrare, muovere, ruotare, posizionare,

rilasciare ecc.”. Sulla base di analisi statistiche sono state definite delle

tabelle, la cui validità scientifica è relativa e discutibile, che assegnano i

tempi standard per i movimenti elementari degli arti, è stato definito, ad

13 Tuccino F., «World Class Manufacturing e sistema Ergo-Uas», Roma, 2010, p.5

Page 418: WCM (World Class Manufacturing)

68

esempio, che il tempo necessario per raggiungere un oggetto a distanza

di 20 centimetri è di 10,5 TMU (l'unità di misura più utilizzata da MTM;

27,8 TMU corrispondono ad 1 secondo).

Tutti i sistemi MTM si basano sulle tabelle originarie, la differenza

tra MTM1 e gli altri MTM consiste essenzialmente nella tendenza ad

assemblare i movimenti elementari in azioni più complesse.

MTM-UAS, ad esempio, invece delle azioni (raggiungere,

afferrare, muovere, ruotare, posizionare, rilasciare) considera solo "

prendere e posizionare ".

Per definire i ritmi di lavoro in un'azienda, l’analista “tempi e

metodi”, sulla base dei tempi predeterminati delle tabelle MTM , osserva

un lavoratore “con un rendimento medio” ed assegna i valori del tempo

“base” per uno specifico compito lavorativo, considerando, ad esempio,

100 il valore dei tempi predeterminati l'analista, sulla base delle

caratteristiche del compito, assegna un valore inferiore (ad esempio 75) o

superiore allo standard (ad esempio 133). Dopo aver definito il tempo

“base”, o normalizzato, l'analista assegna le percentuali di tempo che

derivano dai cosiddetti fattori di “maggiorazione”, si arriva così, infine,

alla definizione di un tempo effettivo per l'esecuzione di uno specifico

compito lavorativo. La specificità di Ergo-UAS, rispetto agli altri sistemi

di misurazione del lavoro, risiede proprio nella metodologia utilizzata per

definire il fattore di “maggiorazione” (o fattore di “riposo”) del tempo

relativo ad uno specifico compito.

I sistemi “tradizionali” si focalizzano prevalentemente sui fattori di

“maggiorazione” di tipo tecnico-organizzativo, rientrano tra queste le

cosiddette operazioni “extra”(ad esempio quelle dovute ad imprevisti,

rifornimenti ecc.) che i fattori di riposo fisiologico.

Page 419: WCM (World Class Manufacturing)

69

Ergo-Uas, invece, si propone un’analisi articolata anche dei fattori di

rischio ergonomico. La particolarità di Ergo-Uas , rispetto ai sistemi

“tradizionali”, consiste essenzialmente nel tentativo di definire i fattori di

riposo, non in modo generico, ma sulla base di una metodologia per

l'analisi del carico bio-meccanico sia statico (l’assunzione ed il

mantenimento di posture a rischio) che dinamico (la frequenza dei

movimenti degli arti superiori), questa metodologia è la checklist Eaws.

Eaws, la parte Ergo del sistema Ergo-Uas, è una checklist (lista di

controllo) che, in quanto tale, si propone di effettuare una prima e veloce

“mappatura” del rischio ergonomico, sia nelle fasi di progettazione delle

postazioni di lavoro che su quelle già esistenti.

La checklist è suddivisa in 5 sezioni ognuna delle quali si occupa di

uno specifico fattore potenziale di rischio ergonomico:

• Postura: la tipologia di posture statiche assunte durante lavoro,

• Forza: il livello di applicazione di forza,

• Movimentazione manuale dei carichi,

• Fattori “extra”, presenza di vibrazioni, utilizzo di martelli ecc.,

• Movimenti ripetitivi degli arti superiori

Sulla base del confronto tra le caratteristiche di una postazione di

lavoro e le tabelle di riferimento della checklist vengono assegnati dei

valori per ognuna delle sezioni; i valori delle prime quattro sezioni (a-b-c-

d) si sommano per ottenere un indice di rischio ergonomico relativo al

“corpo intero” (whole body), i valori della sezione E (movimenti

ripetitivi), invece, vengono considerati a parte.

L'indice di rischio finale della checklist deriva dalla scelta del

valore più elevato tra quello ottenuto dalla somma dei valori delle sezioni

A-D (whole body) e quello della sezione E, relativa agli arti superiori; il

Page 420: WCM (World Class Manufacturing)

70

rischio viene classificato “verde” (assente- lieve) per valori tra 0-25,

giallo (rischio medio) tra 26-50, rosso (rischio elevato) per valori oltre 50.

Dopo la compilazione della checklist si passa alla fase

d’integrazione tra Eaws (la parte Ergo) ed Uas (la parte relativa alla

metrica del lavoro) per la definizione del fattore di maggiorazione

ergonomico (F.ergo), il valore del F.ergo viene infine sommato a quello

del fattore di maggiorazione “tecnico-organizzativo” (F.to). Si ottiene,

così, il fattore di maggiorazione complessivo del tempo di ciclo di una

postazione lavorativa ( o della cadenza di una linea di montaggio), fattore

che corrisponde al cosiddetto tempo passivo, o d’insaturazione,

dell'attività del lavoratore.

Nel sistema Ergo-Uas è stata definita una tabella per la

conversione dei valori dell’indice di rischio ergonomico, ricavati da

Eaws, nelle percentuali di maggiorazione di tempo da assegnare ad uno

specifico compito lavorativo, per valori EAWS tra 0-25, ad esempio, non

si assegna nessuna maggiorazione, tra 25-30 si ha una maggiorazione del

1,5% del tempo di ciclo, tra i 50-55 si ha una maggiorazione del 21%, per

valori oltre 80 si assegna una maggiorazione del 51%.

I dati ottenuti con la checklist Eaws, oltre alla definizione dei fattori di

maggiorazione del tempo di ciclo, possono essere utilizzati anche per

individuare delle misure di prevenzione possibili per ridurre il rischio

ergonomico, già nella fase di progettazione delle postazioni di lavoro.

Page 421: WCM (World Class Manufacturing)

71

Fig. 2.7 Il Sistema “Ergo-Uas”

Page 422: WCM (World Class Manufacturing)

72

Fig. 2.8 Prima e dopo l’introduzione del World Class Manufacturing

Page 423: WCM (World Class Manufacturing)

73

Page 424: WCM (World Class Manufacturing)

74

Fonte: L. Massone, World Class manufacturing. Il percorso verso l’eccellenza

Page 425: WCM (World Class Manufacturing)

75

Capitolo 3

La Fiat: tra crisi e rinnovamento

3.1. Dinastia Agnelli

La Fiat (sigla di Fabbrica Italiana Automobili Torino) fu fondata a

Torino l’11 Luglio 1899 da Giovanni Agnelli e altri soci.

Il primo nome Fia della neonata società (Fabbrica Italiana di

Automobili) decise ben presto di cambiare nome in Fiat (Fabbrica

Italiana Automobili Torino).

La FIAT iniziò la costruzione del famoso stabilimento produttivo

denominato Lingotto nel 1916 e lo fece entrare in funzione nel 1923.

Dopo un primo periodo di difficile sviluppo, segnato da diverse

ricapitalizzazioni e da modifiche nella composizione del capitale

azionario, non sempre in maniera pacifica ma anche sfociate in processi

clamorosi per l'epoca, la proprietà della casa automobilistica viene

assunta quasi integralmente da Giovanni Agnelli, che

diventerà senatore durante il Fascismo e resterà a capo dell'azienda sino

al termine della seconda guerra mondiale.

In questo periodo la Fiat adottò una politica di diversificazione delle

attività, rispetto a quella principale di produzione di automobili, iniziò dal

1903 la produzione di autocarri e di motori diesel e dal 1908 quella di

motori di aviazione, nel 1929 si estese nei settori dell’ingegneria civile e

dei trattori agricoli e alla fine del 1970 in settori quali l’energia e le

telecomunicazioni. Il suo ruolo nei processi di industrializzazione e di

motorizzazione della società è stato primario, privilegiando la strategia

Page 426: WCM (World Class Manufacturing)

76

della produzione di vetture utilitarie (nel 1932 la Ballila 508 e nel 1936 la

500 Topolino).

Dopo aver rischiato tuttavia di perdere la proprietà dell'azienda per la

propria compromissione con il regime fascista, Giovanni Agnelli passa il

comando a Vittorio Valletta, dal momento che l'unico figlio maschio,

Edoardo, morì in un incidente aereo. Valletta rese possibile la più ampia

diffusione dell’automobile grazie all’affermazione della produzione su

larga scala basata sulla progressiva automazione degli impianti e la

standardizzazione dei processi produttivi. La posizione di quasi

monopolio nel mercato automobilistico italiano e di grande rilievo in

quello internazionale è stata raggiunta attraverso la progressiva

incorporazione di altre società del settore, le Ferriere piemontesi nel

1917, le società Ligure piemontese automobili, Aeronautica d’Italia e

Anonima metalli nel 1947, la OM e l’Autobianchi nel 1967, la Lancia nel

1969, l’Alfa Romeo nel 1987, la Ferrari nel 1988, la Maserati nel 1993. La

FIAT ha inoltre rafforzato la dimensione internazionale, e non solo nel

settore automobilistico, attraverso una strategia di accordi e alleanze

volte al consolidamento del gruppo, soprattutto a partire dall’accordo

con l’URSS (1966), che portò alla realizzazione in quel paese di impianti

per la produzione della Fiat 124 e di una nuova città denominata

Togliattigrad.

Valletta riuscì non solo a risollevare le sorti dell’azienda ma

contemporaneamente fornì l'opportuna preparazione al ruolo che

appena possibile avrebbe dovuto assumere il giovane discendente "primo

in linea dinastica".

Gianni Agnelli, l'erede, nonché nipote del senatore Giovanni Agnelli

divenne presidente della Fiat nel 1966 e lo rimase fino al compimento del

75º compleanno, quando le norme statutarie lo obbligarono a cedere la

Page 427: WCM (World Class Manufacturing)

77

presidenza. La carica viene assunta prima (1996) dall'ex amministratore

delegato Cesare Romiti e poi (1998) da un dirigente genovese che per

molti anni lavorò alla General Electric negli USA, Paolo Fresco.

La trasformazione della Fiat in un gruppo polisettoriale e multinazionale

è stato frutto di un processo di completa riorganizzazione avviato alla

fine degli anni ’60, che ha portato alla scomposizione della struttura

rigidamente accentrata e pur sempre a spiccata vocazione

automobilistica.

L’azienda opera con i marchi Fiat Spa, composto dalle attività

concernenti, le autovetture (Fga, Maserati e Ferrari), la sezione di Fiat

Powertrain Technolgies, dedicata a motori e trasmissioni per autovetture,

la componentistica e i sistemi di produzione (Magneti Marelli, Teksid e

Comau), le altre attività fra le quali quelle editoriali (La stampa) e un

secondo gruppo denominato Fiat Industrial Spa con controllo su Iveco,

Cnh e la sezione di Fiat Powertrain Techologies concernenti i veicoli

industriali e i motori marini. Attraverso il centro di ricerche Fiat e le

società Elais, Isvor Fiat, il gruppo svolge attività di ricerca nei campi

dell’ingegneria automobilistica, dei processi produttivi e delle

metodologie tecnico-gestionali.

Altri settori d’interesse, considerati non più strategici sono stati via via

dismessi nel corso degli anni ’90 e nei primi anni del 2000, nel quadro di

un progetto di ristrutturazione e di rilancio aziendale.

Tra questi, costruzioni ferroviarie (Fiat Ferroviaria), costruzioni aeroplani

e componenti per veivoli (Fiat Avio), energia (Italenergia), servizi

finanziari (Toro Assicurazioni e Fidis Retail Italia).

Il ritardo nel lancio e il poco successo di alcuni modelli, tuttavia, hanno

portato la Fiat, dal 2000 al 2003, sull’orlo di una grave crisi. Una crisi che

Page 428: WCM (World Class Manufacturing)

78

porta il fratello Umberto alla presidenza nel 2003 e dopo la morte di

Umberto nel 2004 è la volta di Luca Cordero di Montezemolo.

L'erede designato dalla famiglia Agnelli, John Elkann, è stato

nominato vice presidente all'età di 28 anni e altri membri della famiglia

fanno parte del consiglio di amministrazione. L'Amministratore

Delegato, Giuseppe Morchio, dimissionario, viene sostituito da Sergio

Marchionne, dal 1 giugno 2004, che risolleva le sorti dell’azienda con una

netta riconquista di quote di mercato. I principali poli di attività all’estero

sono costituiti dai paesi dell’UE, dal Sudamerica (Brasile e Argentina) e

da alcuni paesi dell’Est europeo. Nel 2009 la società ha stabilito un

alleanza strategica globale con la statunitense Chrysler, acquisendo il 20%

e aumentando progressivamente la sua partecipazione fino a portarla nel

2011 al 53,5% e a raggiungere la completa acquisizione nel 2014.

3.2. Il nascere della crisi

Da molti anni, le vicende Fiat sono oggetto di attenzione da parte degli

ambienti economici, sociali e politici del paese, ed è proprio questo ad

indicare l’importanza che il gruppo riveste nel contesto italiano.14 Oggi,

tuttavia, a far discutere con crescente preoccupazione sono soprattutto i

numerosi problemi che l’azienda sta vivendo. Non si tratta certo della

prima crisi con cui essa ha avuto a che fare, già nel 1907, solo dopo otto

anni dalla sua nascita, l’azienda vive un momento di difficoltà. Qui ci

soffermeremo, tuttavia, solo sulle vicende più recenti e in particolare su

14 Comito V., «L’ultima crisi. La Fiat tra mercato e finanza», l’Ancora, 2005, Napoli, p. 5

Page 429: WCM (World Class Manufacturing)

79

quella manifestatasi in modo eclatante nel 2002, già iniziata in modo

strisciante nel decennio precedente.

Negli anni di forte sviluppo economico successivi alla seconda guerra

mondiale Fiat Auto aveva attraversato una fase caratterizzata

sostanzialmente dagli elementi propri del modello fordista. Fase nella

quale, aveva lanciato delle piccole vetture a costi assai contenuti, grazie

anche alle forti economie di scala consentite da standardizzazione e di

meccanizzazione dei processi produttivi.

Questa evoluzione era favorita anche dal fatto di manifestarsi in un

periodo nella quale la concorrenza internazionale risultava ancora assai

modesta per effetto delle marcate barriere tariffarie all’import-export

allora presenti, che in Europa cadranno nel luglio del 1968 con la

costituzione del Mercato comune europeo dell’automobile. Questa

strategia competitiva, basata su aspetti caratteristici del modello fordista e

sulla volontà di mantenere l’interlocutore sindacale in posizione

subordinata, si mostrò negli anni ’60 sempre meno adeguata, ponendo in

discussione sia la governante dell’impresa, sia il suo assetto organizzativo

e le relazioni sindacali. La crisi scoppiò nell’autunno del 1969 (“autunno

caldo”) con una contestazione sindacale che impose l’inizio di un lungo

processo di riorganizzazione che, sul piano dell’assetto aziendale, diede

inizio alla strutturazione della Fiat per settori industriali,

precedentemente organizzata su rigidi criteri di natura funzionale.

La crisi alla Fiat, apertasi con l’autunno caldo, si protrasse a lungo anche

per il cumularsi del primo shock petrolifero del 1973, le cui ripercussioni

furono particolarmente gravi in Italia e successivamente per il

deteriorarsi delle relazioni sindacali e il manifestarsi di una grave deriva

politica rappresentata dal terrorismo (Brigate Rosse). Nel 1980 l’azienda

riuscì a riprendere l’iniziativa sia sul piano sindacale che su quello politico

Page 430: WCM (World Class Manufacturing)

80

e nel 1983 si aprì una stagione di forte ripresa economica dell’intero

gruppo Fiat, e di Fiat Auto in particolare, a seguito del lancio della Uno,

una piccola vettura che presentava forti elementi innovativi rispetto

all’offerta concorrente. A questo modello seguiranno altri prodotti di

successo come la Fiat Croma, la Fiat Tipo e la Lancia Thema. Nel 1987

la Fiat aveva da poco acquisito la società Alfa Romeo, superando

l’offerta della Ford. Venne così costituita la cosiddetta Alfa-Lancia

Industriale ai quali furono assegnati obiettivi particolarmente ambiziosi.

La seconda metà degli anni ’80 premiò questa impostazione, anche se gli

obiettivi di crescita dei marchi Alfa Romeo e Lancia risultarono di gran

lunga inferiori a quelli ipotizzati, Fiat Auto concluse il decennio con

risultati decisamente brillanti.

Per mantenere anche nel decennio successivo il livello di competitività

raggiunto alla fine degli anni ’80, è necessario sottolineare che erano in

atto profonde trasformazioni tanto sul versante della domanda

automobilistica, in quanto nelle fasi di crisi e di espansione i marchi

controllati dalla Fiat partivano da una posizione quasi monopolistica, per

effetto della crescita della motorizzazione, la domanda automobilistica

italiana si stava progressivamente orientando verso una preferenza per la

varietà, che portava a dilatare la quota delle vetture appartenenti ai

mercati di nicchia nella quale la Fiat risultava poco presente, e sia nella

riorganizzazione dell’offerta automobilistica, in quanto l’intensificarsi

della multimotorizzazione, da inizio ad un processo di segmentazione del

mercato in comparti e nicchie sempre più ristrette, con lo scopo di

realizzare offerte mirate su specifici consumatori. Questa evoluzione

aveva impattato significativamente sugli spazi di manovra di Fiat Auto

che forzata da una normativa fiscale italiana particolarmente penalizzante

Page 431: WCM (World Class Manufacturing)

81

nei confronti delle vetture di grossa cilindrata. E infine la pressione dei

concorrenti giapponesi che si stava facendo sempre più importante.

Già alla fine degli anni ’80 era quindi evidente che si sarebbe profilata

una stagione caratterizzata da una forte accentuazione del confronto

competitivo in Europa, soprattutto per marchi collocati nella parte

inferiore della gamma di segmenti, come nel caso di Fiat Auto che, pur

avendo goduto di un periodo favorevole fino al 1989, avrebbe comunque

dovuto realizzare profonde trasformazioni per mantenere inalterate le

proprie chance di successo. In particolare gli obiettivi da realizzare erano

quello di raggiungere un maggior equilibrio delle vendite nelle diverse

aree commerciali, alla fine degli anni ’80 la distribuzione geografica delle

vendite del gruppo era troppo sbilanciata sul mercato domestico e su

quello dell’Europa occidentale, era quindi necessario impostare una

nuova e più incisiva politica di internalizzazione. Una più chiara

definizione del posizionamento dei marchi, era necessario trovare una

corretta collocazione ai tre marchi (Fiat, Alfa Romeo, Lancia) cercando

di realizzare economie con la condivisione di parti componenti e di

piattaforme, ma stando attenti a non sovrapporre i ruoli dei marchi e

soprattutto a mantenere l’individualità dei modelli per quanto riguarda le

caratteristiche delle motorizzazioni, prestazioni, ecc. inoltre vi era

l’obiettivo di riposizionare i marchi del gruppo, e quello della Fiat in

primo luogo, verso la parte superiore dei segmenti della propria offerta.

L’innalzamento complessivo della qualità, la fiat in questo campo aveva

maturato scarse competenze soprattutto per il fatto di poter contare per

decenni su un mercato interno in forte crescita, ma alla fine degli anni ’80

era evidente che i produttori giapponesi avevano ormai stabilito dei

nuovi standard di affidabilità ai quali nessuno poteva più sottrarsi.

Page 432: WCM (World Class Manufacturing)

82

Purtroppo i cambiamenti avvenuti al vertice di Fiat Auto nel 1989

risultarono gravemente inadeguati alla sfida competitiva che doveva

essere affrontata, soprattutto per l’inadeguatezza del nuovo top

management che, anche nei casi in cui si mosse nella direzione richiesta

dallo scenario competitivo in via di formazione, lo fece con una gestione

contraddistinta da ritardi ed errori.

L’aspetto più rilevante è che se le carenze strategiche furono di non poco

conto, anche la gestione operativa risultò gravemente carente. Cesare

Romiti divenuto Ad di Fiat Auto alla fine del 1988, era innanzitutto

ansioso di ridurre il peso del settore auto, all’interno del gruppo. Ciò si

tradusse in uno spostamento dei profitti generati dal settore aut

automobilistico verso altri settori, facendo così crescere le attività

diversificate. Per quanto riguarda il rinnovo dei modelli vi fu indubbio un

rallentamento, si diede l’avvio a un programma di «Qualità Totale»

mirante ad innalzare la qualità delle autovetture e la loro affidabilità.

Tuttavia questo processo imitativo delle pratiche giapponesi basate sui

circoli di qualità, sulla sollecitazione di suggerimenti migliorativi da parte

dei dipendenti, pur ottenendo risultati inizialmente incoraggianti, si

dimostrarono non duraturi. Il risultato fu una netta contrazione delle

quote di mercato tanto in Italia che in Europa occidentale. Questo

risultato non mancò di allarmare Gianni Agnelli che indusse Romiti a

cedere nel dicembre del 1990 la posizione di amministratore delegato di

Fiat Auto a Paolo Cantarella.

L’ingegnere Cantarella, diede l’impressione di poter ridare impulso al

gruppo automobilistico procedendo al rinnovo della gamma. Nel 1993 si

ebbe l’importante successo rappresentato dal lancio del modello Punto,

che sostituiva il modello Uno, a cui seguì l’ampliamento della gamma

Fiat e Alfa Romeo. Tuttavia, anche forse per l’attivismo seguito alla stasi

Page 433: WCM (World Class Manufacturing)

83

nel lancio di novità dal 1989 al 1992, non tutti i modelli apparvero

all’altezza del compito loro assegnato, soprattutto dal punto di vista

qualitativo. Per alcuni ci furono rilevanti problemi di affidabilità, mentre

altre vetture risultarono stilisticamente inadeguate. Sia la stampa sia la

clientela furono concordi nel bocciare la nuova gamma di modelli e le

vendite complessive si ridussero drasticamente.

Nel 1995, con il lancio dei modelli abbinati Fiat Bravo/Brava si sarebbe

dovuta ottenere una svolta, ma fin dall’inizio si manifestarono dei

problemi di qualità che minarono alla base le notevoli possibilità del

modello Bravo, mentre le vendite della Brava non decollarono mai.

Nel febbraio del 1996 Giovanni Agnelli assunse la posizione di

presidente onorario e la sua precedente posizione venne assegnata a

Cesare Romiti. Nel marzo successivo si ebbe il passaggio dall’Ingegner

Cantarella alla posizione di amministratore delegato del gruppo Fiat ed il

subentro nella sua precedente posizione dell’ingegner Roberto Testore.

In nuovo assetto manageriale non ottenne i risultati sperati ed anzi la

situazione si fece sempre più difficile. La necessità di investire nelle

attività prevalenti del Gruppo Fiat spinse Gianni Agnelli a cedere

numerose imprese del gruppo e ad inserire nel Consiglio di

amministrazione di Fiat Spa una persona in grado di negoziare accordi

internazionali, Paolo Fresco, che vantava una lunga esperienza nella

General Elettric. Nel 1998 la posizione di Romiti, venne presa da Paolo

Fresco e Paolo Cantarella venne riconfermato Ad del Gruppo Fiat.

Nel biennio 1998-2000 il Gruppo Fiat effettuò importanti acquisizioni

fra le quali la società americana Case, per il consolidamento delle attività

del settore Macchine per il movimento terra e la Progressive tools &

Industries Co. (Pico), per il consolidamento della società Comau,

specializzata nei sistemi di produzione.

Page 434: WCM (World Class Manufacturing)

84

Queste acquisizioni, effettuate a prezzi particolarmente elevati, ebbero

un effetto rilevante nell’accentuare il fabbisogno finanziario dell’intero

Gruppo Fiat. Il prolungarsi della crisi, e la continua perdita di quote di

mercato nei principali mercati di riferimento avrebbe dovuto imporre un

pronto rinnovo del top management al quale invece la famiglia Agnelli, e

l’avvocato in prima persona, rinnovarono la fiducia.

Il progressivo accentuarsi della crisi di fiat Auto cominciò ad innescare

un circolo vizioso nel quale la situazione di deficit derivante dalla

gestione industriale spingeva verso un maggior indebitamento e una

contemporanea riduzione delle risorse interne in termini di occupazione,

investimenti industriali, ecc.

La massa di capitali da reperire allo scopo di attuare il progetto di

globalizzazione della Fiat, soprattutto per l’acquisizione della società

Case (macchine movimento terra) e Pico (sistemi di produzione), era

così rilevante che il suo autofinanziamento sarebbe risultato

inevitabilmente insufficiente e si sarebbe dovuto far ricorso in misura

rilevante al mercato internazionale dei capitali. Era quindi necessario che

la Fiat potesse presentarsi di fronte alla comunità internazionale come un

società guidata dagli stessi canoni propri di questa comunità.

Consisteva nel riuscire a mantenere livelli qualitativi e di affidabilità del

prodotto su standard comparabili a quelli della concorrenza, ma con una

struttura snella, e quindi meno costosa.

Il gioco tuttavia non riuscì, sia perché le scelte stilistiche dei modelli non

risultarono felici, sia perché la qualità percepita dal cliente del complesso

dei modelli costitutivi dei tre marchi del gruppo non apparvero allineati a

quelli della concorrenza.

La situazione di crisi del gruppo torinese si manifestò in maniera

eclatante nel dicembre del 2001 con le dimissioni di Roberto Testore, Ad

Page 435: WCM (World Class Manufacturing)

85

di Fiat Auto, mentre Paolo Cantarella restava al suo posto di presidente

di Fiat Auto e Ad del gruppo Fiat.

A Testore succedette Giancarlo Boschetti, data la sua formazione

tipicamente commerciale egli comprese subito che il punto più critico

della situazione era rappresentato dal rapporto con la clientela finale, che

si era gravemente deteriorato nel tempo. Un altro passo importante

dell’azione di Boschetti fu lo sviluppo di una nuova versione della Panda

e la riorganizzazione delle responsabilità gestionali dei tre marchi: Fiat,

Alfa Romeo e Lancia.

Di fatto però la sua azione si configurò come una gestione-ponte dal

momento che egli era ormai prossimo alla pensione e lasciò il gruppo a

metà 2003.

Il 2003 è l’anno in cui viene a mancare l’avvocato Agnelli il cui posto

venne preso dal fratello Umberto a sua volta mancato nel maggio del

2004. La casa automobilistica, oltre che l’intero Gruppo Fiat, si trovò

quindi in una fase di continui cambi di governante che hanno certamente

reso più difficile l’azione di risanamento.

3.3. Le ragioni della crisi

Le spiegazioni che si possono offrire per cercare di capire le ragioni di un

tale disastro sono di varia natura, alcune di esse sono esterne, altre

interne al mondo delle imprese.15

Per quanto riguarda le ragioni esterne, si può far riferimento alla

progressiva apertura dei mercati internazionali, alle crisi petrolifere, alla

ormai raggiunta maturità delle economie occidentali, all’emergere di

15 Comito V., «L’ultima crisi. La Fiat tra mercato e finanza», l’Ancora, 2005, Napoli, p. 15

Page 436: WCM (World Class Manufacturing)

86

nuovi paesi che si sviluppano fortemente le loro attività economiche, ma

questi sono fattori con cui hanno dovuto fare i conti, e da tempo, anche

le grandi imprese delle altre nazioni.

Nel caso specifico dell’Italia, il carattere dell’intervento pubblico verso le

nostre imprese ha avuto un peso rilevante nello sviluppo della crisi, non

tanto per la quantità delle risorse messe a disposizione dal mondo

politico, che spesso si sono rilevate sin troppo abbondanti, quanto per la

loro scarsa qualità. L’intervento pubblico si è concentrato, in genere,

soprattutto sul piano delle erogazioni finanziarie, e meno, invece, su

quello della politica economica e industriale qualificata. Le risorse sono

state poi stanziate prevalentemente in maniera casuale o attraverso criteri

politici, senza guardare agli interessi di lungo termine del paese e delle

stesse imprese. Non si sono saputi difendere i settori maturi, né,

peraltro, incoraggiare quelli innovativi e l’innovazione in generale. Così,

per esempio, per quanto riguarda la politica di alleanze con l’estero, che

in particolare il settore pubblico avrebbe dovuto perseguire, si è

proceduto per molto tempo in maniera del tutto casuale o distorta

(Gallino, 2003).

Per quanto riguarda le responsabilità del mondo imprenditoriale, le cause

che si possono citare sono molte.

Innanzitutto, a livello gestionale vi è, nell’impresa italiana, una spiccata

tendenza alla diversificazione, non appena si raggiungono solidi risultati

nel proprio core business, si manifesta una irrefrenabile spinta a deviare

l’attenzione verso settori diversificati, trascurando spesso i business

primari.

Il sistema imprenditoriale italiano ha poi tendenzialmente trascurato tutte

quelle attività portatrici i risultati nel lungo periodo, quali la ricerca,

l’innovazione, la formazione. In particolare, per quanto riguarda la

Page 437: WCM (World Class Manufacturing)

87

ricerca, è noto come l’Italia sia tra i paesi occidentali a spendere di meno

per questa funzione, e ciò da attribuirsi soprattutto alle imprese. Le

nostre imprese si sono sempre più spesso orientate all’innovazione di

processo, in particolare alla ricerca esasperata di metodologie finalizzate

all’abbattimento del costo del lavoro in fabbrica e molto meno, invece,

verso l’innovazione di prodotto, le esigenze di mercato, i movimenti

della concorrenza. (Gallino, 2003).

Dopo questa premessa di carattere generale sulle possibili crisi del

sistema delle imprese passiamo ad analizzare nel dettaglio la situazione

della Fiat, che sul fronte della finanza si presenta cruciale sin dai primi

anni della sua vita. Così quando nel 1907 si manifesta la prima e lunga

serie di crisi d’azienda, una delle banche principali, l’allora Credito

Italiano, interviene decisamente per salvare la situazione.

Il reperimento delle fonti di finanziamento è stata sempre una questione

molto tormentata, in relazione sia alla grande carenza di mezzi propri

delle imprese, sia alla struttura del sistema bancario e all’assenza della

borsa dall’Unità d’Italia ad oggi.

Bisogna ricordare che sino al 1968, la Fiat riusciva ad autofinanziare gran

parte delle necessità derivanti dalla gestione operativa e dallo stesso

sviluppo. Questa situazione era da collegare anche al fatto che i singoli

mercati nazionali erano, in quel periodo, in forte crescita, essi erano,

inoltre, sostanzialmente chiusi, nonché dominati da uno o pochissimi

produttori locali. Ma la grave crisi industriale italiana dei primi anni

Settanta, con la riduzione dei livelli di crescita del mercato, l’apertura

progressiva delle frontiere, la contestazione operaia, l’inflazione in forte

salita, la prima crisi petrolifera, pone dei problemi molto rilevanti.

A questi problemi si rispose ricorrendo nuovamente all’assistenza di

Mediobanca. La situazione economica e finanziaria della Fiat migliora

Page 438: WCM (World Class Manufacturing)

88

per quasi tutti gli anni ‘80, in relazione al notevole incremento dei

risultati produttivi e di mercato.

Negli anni ’90, a seguito dei contrasti tra la famiglia Agnelli e Enrico

Cuccia si verifica la rottura tra la Fiat e Mediobanca, mentre la stessa

banca d’affari nel mutato contesto dei mercati finanziari ormai aperti,

appare in sempre maggiori difficoltà. Si pone, così, fine al meccanismo

delle relazioni privilegiate. La Fiat non ha più un ancoraggio stabile dal

punto di vista finanziario.

Negli ultimi anni, l’azienda ha, in parte, cercato di rimediare alla perdita

del legame privilegiato con Mediobanca, creando un rapporto abbastanza

stretto con quattro grandi banche nazionali (Capitalia, IntesaBci,

SanPaolo Imi, Unicredit).

Al manifestarsi e all’intensificarsi di risultati economici negativi e

parallelamente alla riduzione di mezzi propri, il livello dell’indebitamento

è di recente notevolmente cresciuto, collocandosi anche sull’onda

dell’accettazione dei nuovi paradigmi che, in campo finanziario, sono

venuti, nell’ultimo periodo, dagli Stati Uniti.

Bisogna sottolineare come l’origine della crisi della società non sia solo di

tipo finanziario ma vada fatta risalire alle decisioni errate che sono state,

prese, a livello operativo, dalla famiglia e dal management. La Fiat ha

speso somme molto rilevanti per un forte sviluppo dei processi di

diversificazione e per la cancellazione di alcuni titoli del gruppo dal

listino (Fidis, Magneti Marelli, Toro, Comau).

Le vicende mostrano come la famiglia Agnelli, e in particolare, Gianni,

non siano riusciti ad esercitare un adeguato ruolo di guida, e non siano

stati in grado, più in generale, di risolvere in modo soddisfacente i

numerosi conflitti di potere che, nel tempo, si sono scatenati all’interno

del gruppo.

Page 439: WCM (World Class Manufacturing)

89

Per quanto riguarda la politica delle acquisizioni, la Fiat ha cercato di

muoversi in molte direzioni, senza mai ottenere i risultati sperati. Furono

numerosi i tentativi della famiglia Agnelli e di alcuni suoi dirigenti di dare

al settore dell’auto una dimensione più rilevante, giudicando che, da sola,

l’azienda non ce l’avrebbe fatta.

A parte gli sfortunati episodi dell’acquisizione temporanea della Citroën,

un progetto che non si realizzò per l’opposizione degli altri produttori

francesi, e della cessione della Seat negli anni ’60, un altro tentativo,

molto rilevante, fu l’ipotesi di fusione con la Ford Europa nel 1985,

un’opportunità poi sfumata anche per l’opposizione di Romiti.

Negli anni ’90, ci furono poi tentativi di acquisizione di Volvo, di

Chrysler, Bmw e, più recentemente, di Daewoo, ma anche di Renault e

quello più limitato con la Mitsubishi.

Risale ormai a diversi anni fa l’intesa, limitata ai veicoli commerciali e alle

monovolume, con Peugeot. Si perfezionò un accordo con la Suzuki per

la realizzazione di fuoristrada. È ovviamente, riuscito, a suo tempo, il

tentativo di acquisire l’Alfa Romeo.

Tutti questi casi indicano come la Fiat, da una parte, mostra molto

timore a lanciarsi veramente in un’avventura impegnativa, forse

conoscendo i propri limiti in termini di risorse umane e finanziarie,

dall’altra, bisogna registrare la grande diffidenza che, a livello finanziario

e politico, circonda spesso, all’estero, le imprese italiane, di frequente

escluse dalle possibili contese per la conquista di qualche preda ambita.

L’internalizzazione preconizzata dall’Avvocato Agnelli prese invece

corpo nella seconda metà degli anni ’90 con un diverso schema di

internalizzazione, basato sulla costruzione di un world car orientata ai

mercati di prima motorizzazione e denominato Progetto 178. Si trattava

di realizzare una famiglia di vetture a partire dallo stesso pianale da

Page 440: WCM (World Class Manufacturing)

90

produrre in un pluralità di paesi, ma in modo rigorosamente

standardizzato.

La globalizzazione della vettura era mirata ai paesi in fase di prima

motorizzazione come il Brasile, l’Argentina, la Polonia, la Turchia,

l’India, la Cina. L’obiettivo era quello di arrivare verso il 2003 a cumulare

una produzione complessiva di circa un milione di unità da produrre in

una dozzina di paesi. L’idea aveva del buono anche se la crisi finanziaria

internazionale del 1998 portò a un forte rallentamento del progetto.

L’accordo di Fiat con la General Motors realizzato nel 2000 può essere

considerato un nuovo sviluppo del progetto di internalizzazione che la

casa torinese intendeva realizzare.

Il modello seguito poi nell’attività di produzione della Fiat, per quanto

riguarda i rapporti con i fornitori esterni, è quello della fabbrica integrata.

Una scelta dettata, per la Fiat, da uno stato di necessità, poiché

mancavano, all’epoca, da una parte imprese esterne in grado di produrre

materie prime, componenti, dall’altro era invece da attribuire a scelte

originate da considerazioni di tipo economico, sociale e politico.

Questo modello iniziale subì nel tempo delle modifiche, quando nel

periodo dell’autunno caldo, per uscire dalla crisi, la Fiat iniziò a dislocare

verso l’esterno alcune lavorazioni importanti, affidandole di frequente a

dirigenti o ex dirigenti del gruppo. Si mirava così a ridurre i costi e ad

acquisire flessibilità nei rapporti con la manodopera.

Dai primi anni ’90, invece, ci troviamo di fronte a un nuovo ciclo che

tocca tutti i settori e tutti i paesi, la cosiddetta fase di outsourcing, che

comporta oltre a un aumento dei livelli di esternalizzazione, anche

rapporti più stretti e di lungo periodo tra imprese e fornitori.

Page 441: WCM (World Class Manufacturing)

91

Si colgono i segni di una più generale tendenza al passaggio dall’impresa

organica, altamente integrata, all’impresa a rete, o comunque a

organizzazioni molto più agili e flessibili che nel passato.

Questa tendenza si traduce, qua e là, anche nel fatto che i produttori di

auto si liberano delle aziende da loro controllate nel settore della

componentistica.

La tendenza all’esternalizzazione non è spinta solo dalla necessità di

ridurre i costi e l’intensità di capitale delle proprie attività, ma anche

dall’esigenza di assicurarsi capacità di progettazione e di

ingegnerizzazione. Viene cioè richiesto ai fornitori di assumersi crescenti

responsabilità nella progettazione e nel miglioramento dei prodotti loro

assegnati.

Queste trasformazioni hanno creato problemi a tutte le imprese

automobilistiche e nello specifico, per la Fiat.

L’introduzione della fabbrica integrata e poi della fabbrica modulare

porta a una nuova selezione dei fornitori, che riflette il passaggio

dall’acquisto di singoli particolari a quello di sistemi e moduli.

Gli stessi piccoli fornitori legati tradizionalmente alla Fiat, a seguito di

tale mutamenti, oltre che per le pressioni verso una riduzione dei costi e

per le ricorrenti crisi del gruppo, tendono a diversificare gli sbocchi e a

cercare di dipendere meno di prima dalla società di Torino.

Una specificità del gruppo è rappresentata dal fatto che, mentre le altre

società dell’auto si allontano sempre di più dalla componentistica (il caso

della General Motors e della Ford), la Fiat investe somme ingenti, che in

parte sottrae al settore dell’auto. Magneti Marelli, Comau, Teksid

rappresentano delle imprese tecnologicamente avanzate, che hanno

bisogno di rilevanti investimenti ma che non danno grandi redditi.

Page 442: WCM (World Class Manufacturing)

92

Nell’ultimo periodo, la Fiat ha tentato di ridurre la dipendenza di tali

società dal gruppo, aprendole maggiormente al mercato esterno.

L’azienda inoltre nei primissimi anni del nuovo millennio, presenta,

rispetto agli altri concorrenti, maggiori difficoltà a ridurre i tempi di

introduzione sul mercato dei nuovi modelli, e questo in relazione ad

almeno tre fattori, da una parte, essa ha investito poco nella ricerca e

nell’innovazione, dall’altra, ha continuato a mostrare a lungo una

preoccupante lentezza di reazione agli eventi, in relazione ad una

struttura organizzativa molto pesante e molto lenta a reagire e infine ha

scontato una mancanza di risorse finanziarie adeguate.

L’esternalizzazione spinta praticata dalla Fiat nell’ultimo periodo ha

comportato in positivo un risparmio di risorse finanziarie, ma forse,

anche, la perdita di competenze rilevanti. Per alcuni autori, il

decentramento del gruppo si è accompagnato a un impoverimento

strutturale del ciclo industriale, svuotando l’impresa di alcune

competenze fondamentali.

Può essere questo a questo punto importante fornire anche alcune breve

indicazioni per quanto riguarda l’evoluzione della struttura di fabbrica.

La tradizionale organizzazione del settore vedeva al centro del sistema, la

catena di montaggio, classico esempio di lavoro ripetitivo, di ambiente di

lavoro nocivo, di concentrazione in un unico luogo di grandi masse di

persone, di rigidità di comportamento e grande reazione ai mutamenti

dell’ambiente. È noto a quali resistenze questo tipo di organizzazione

abbia comportato, in particolare nei grandi stabilimenti come Mirafiori,

con la sua lata concentrazione di lavoro operaio. A partire dagli anni ’70,

la Fiat ha cercato di intervenire in modo massiccio su questo tema e la

situazione, nel tempo si è evoluta. Il problema è stato affrontato dal

management con vari strumenti, quali ad esempio la riduzione delle

Page 443: WCM (World Class Manufacturing)

93

dimensioni degli stabilimenti, anche attraverso il ricorso massiccio

all’esternalizzazione, lo spostamento di una parte delle produzioni al Sud,

l’aumento della produttività grazie anche all’automazione di molte

lavorazioni.

Dietro tutti questi mutamenti è tuttavia rimasta, da parte della dirigenza

Fiat, una visione di fondo della fabbrica come un luogo in cui controllare

strettamente e con metodi fortemente autoritari il comportamento e le

prestazioni della forza lavoro. Le agitazioni operaie, mostrano come la

Fiat continui a trascurare largamente il fattore umano, imponendo

condizioni di lavoro alla lunga insostenibili, nonché salari molto bassi.

Non si può comprendere forse molto della situazione e dei problemi

della Fiat se non si coglie il senso dell’evoluzione dei suoi rapporti con i

poteri pubblici e con la società civile. Nelle difficoltà, ma anche nei

periodi di prosperità, la Fiat è stata a più riprese aiutata dal governo.

Sicuramente i rapporti fra la dirigenza dell’azienda e i decisori pubblici

non hanno avuto un andamento costante è indubbio che tutti i governi

hanno dovuto tener conto delle richieste della Fiat e, più in generale, del

suo potere d’influenza.

Dalla fine degli anni ’80 agli inizi degli anni ’90 lo Stato ha continuato ad

intervenire frequentemente in favore dell’azienda torinese con vari

strumenti (protezionismo, incentivi di diverso genere), a partire dagli

anni ’90 fino ai giorni nostri, il sostegno pubblico alla Fiat si è

progressivamente ridotto come conseguenza della intensificazione del

processo di europeizzazione.

La Fiat ha avanzato richieste ai decisori pubblici che non hanno lesinato

l’aiuto quando riscontravano comunanza di interessi con la dirigenza

dell’azienda, mentre lo hanno negato quando le loro priorità erano

diverse da quelle dalla Fiat.

Page 444: WCM (World Class Manufacturing)

94

Gli aiuti concessi dallo Stato italiano alla Fiat sono stati di varia natura,

quelli più consistenti sono certamente stati quelli volti ad incentivare gli

investimenti del Gruppo Fiat nel Mezzogiorno d’Italia, vi sono stati poi

incentivi per le attività di ricerca e sviluppo (R&S), sostegni per

ristrutturazione degli impianti meridionali e innovazione, sgravi fiscali,

barriere alle importazioni e barriere fiscali, gli ammortizzatori sociali

utilizzati per attenuare gli effetti negativi, in termini di stabilità sociale,

derivanti dalla crisi delle aziende. Le tre forme più usate di

ammortizzatori sociali sono il «prepensionamento», con il quale viene

concessa ai lavoratori in esubero la possibilità di fruire anticipatamente

delle prestazioni pensionistiche, la messa in «mobilità», che permette di

dislocare i lavoratori in eccedenza presso altre unità produttive carenti di

personale. La «cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria» (Cig

e Cigs) che consistono nell’erogazione di un trattamento salariale

integrativo o sostitutivo per quei lavoratori sospesi dall’attività lavorativa

o costretti a ridurre il proprio orario di lavoro, a causa di momentanee

difficoltà dell’azienda.

L’analisi fin qui svolta ci permette ora di individuare delle conclusioni

plausibili sui vari aspetti della gestione aziendale della Fiat.

Si può innanzitutto, trarre la convinzione che nel gruppo di Torino,

dopo la conclusione del suo periodo d’oro alla fine degli anni Ottanta,

fosse maturata, a torto o a ragione, l’idea che esistessero rilevanti

difficoltà, in Europa, a competere da soli nel business dell’auto o,

comunque, che non fosse possibile individuare significative potenzialità

di crescita di tale area. La Fiat valutava, a maggior ragione, di non essere

in grado di entrare in maniera significativa nel mercato delle altre aree

sviluppate, come Stati Uniti e Giappone. Questa convinzione si intreccia

contemporaneamente con una crisi istituzionale al vertice della società e

Page 445: WCM (World Class Manufacturing)

95

l’uscita dal gruppo degli specialisti che avevano fatto, almeno per un

certo periodo, la fortuna dell’auto e della stessa Fiat.

I risultati negativi ottenuti sul fronte economico e finanziario si

sommano agli inizi del nuovo millennio, alla situazione generale del

gruppo, aggravata in Italia anche dalla perdita progressiva di una serie di

punti di forza nel campo della finanza, della gestione dei fornitori, di

egemonia sulla Confindustria, nella politica e nell’opinione pubblica. Gli

anni che vanno dal 2000 al 2005 portano l’azienda in un’impasse

rilevante, dalla quale cerca di premunirsi, almeno in parte, predisponendo

un possibile vendita del settore auto alla General Motors.

Così, per gli Agnelli del 2000, la Gm restava il partner più forte del

mondo, il migliore possibile per assicurare la continuità del prodotto

Fiat, in un campo in cui sembrava ormai improbabile fare da soli.

Agnelli diceva di aver preferito diventare socio della Gm piuttosto che

vendere ad altri. Tale infatti era l’alternativa reale, se la Fiat non avesse

scelto il partner americano avrebbe dovuto accettare l’altra offerta,

secondo molti interessante, che le era stata avanzata dalla

DaimlerChrysler e che prevedeva la cessione del settore auto.

La fiducia risposta nella Gm consisteva in due elementi distinti ma

convergenti, il primo era di sicuro rappresentato dalla certezza di Agnelli

circa la superiorità del modello americano, secondo la visione che gli era

stata trasmessa dal nonno, il secondo, determinante, stava nella gradualità

con cui gli americani intendevano la propria egemonia sul settore e la

amministravano.

Si trattava di operare uno scambio azionario che avrebbe sancito la

cooperazione nel campo della produzione di motori e delle piattaforme,

proiettando l’eventualità di un’incorporazione in un futuro non ben

definito. Era quanto bastava a salvare, almeno nel breve periodo,

Page 446: WCM (World Class Manufacturing)

96

l’autonomia della Fiat e a far dire che gli Agnelli non avevano rinunciato

alla produzione automobilistica, dismettendo la missione industriale che

era stata del fondatore.

Difendendo il valore della put option, destinata a diventare la pietra dello

scandalo nelle pratiche di divorzio tra la Fiat e la Gm, insisteva sul fatto

che essa rappresentava una clausola di salvaguardia, in un certo senso

estrema, di ultima istanza.

Fatto sta che la famiglia Agnelli, per bocca del suo capofila, escluse nel

2000 un’uscita dal settore automobilistico, quanto meno nell’immediato e

negli anni a venire.

Per la Fiat, il teatro della globalizzazione possedeva un’innegabile

impronta americana, che bisognava rispettare.

Le speranze che nel marzo del 2000 la Fiat aveva riposte nella Gm,

scorgendo in essa il porto sicuro in cui trovare riparo alle insidie della

concorrenza su scala globale, dovevano rivelarsi illusorie. 16La Gm non

era più il titano industriale che Gianni Agnelli aveva evocato quando si

era soffermato sui vantaggi dell’alleanza. Dopo d’allora, infatti, doveva

incominciare la stagione più difficile per quello che era, sì, il colosso di

Detroit, ma un colosso dai piedi d’argilla, per di più con incrinature

evidenti. Dal 2000 la quota di Gm sul mercato statunitense scende

rapidamente. La reazione sarà affidata a politiche di promozione

commerciale spericolate, gli sconti concessi ai dipendenti verranno estesi

a tutta la clientela e, pur di vendere, la Gm parrà disposta a incentivi mai

così vantaggiosi per i consumatori americani.

La Gm ansima poi sotto i colpi di una concorrente spietata e

inarrestabile, una tendenza che doveva far parlare, negli Stati Uniti, della

16 Berta G., «La Fiat dopo la Fiat. Storia di una crisi, 2000-2005», Milano, Mondadori, 2006,

p. 57

Page 447: WCM (World Class Manufacturing)

97

«fine di Detroit», a causa di un offensiva giapponese che ha eroso la

storica supremazia che le grandi case americane detenevano da sempre

nel settore.

A impressionare e sconcertare più di tutto è stata l’ascesa inarrestabile

della Toyota, legittimatasi come il modello industriale di maggior

successo, oggi inattaccabile dai produttori occidentali per

organizzazione, qualità, performance.

Insomma, l’egemonia dell’Asia nel sistema mondiale dell’auto agli inizi

del XXI secolo è fuori discussione, questa è divenuta la scacchiera che

simboleggia il mutamento degli assi produttivi sui quali si disloca il

sistema dell’auto. La Cina e l’India, dopo il Giappone e la Corea,

completano l’immagine di un settore radicalmente trasformatosi nel

corso dei primi anni di questo secolo.

Questa è la cornice in cui è affiorata e si è inasprita la crisi della Fiat.

Il profilo di una Fiat che individuava fuori dall’Italia i suoi assi di

sviluppo e che induceva d’altronde disaffezione e rafforzava le spinte

all’opposizione frontale all’interno dello schieramento sindacale. La

punta radicale del sindacato, la Fiom-Cgil, si spingeva addirittura a

parlare di una «strategia dell’abbandono».

Il patto del 2000 non potè essere risolutivo. Servì soltanto a dare a

l’avvio a una procedura che tutti comunque pensavano incamminata a

segnare la fine, in un arco medio di tempo, della storia dell’automobile

italiana. Dello scatto d’orgoglio dell’azionista, che si proclamava poco

disposto a liquidare per un cumulo di marchi o di dollari una tradizione

industriale centenaria. E può anche darsi che gli Agnelli temessero di

incappare nelle resistenze del governo e del sistema politico, restii ad

accettare il passaggio integrale della produzione d’auto sotto il controllo

straniero, con tutti i prevedibili interrogativi sul mantenimento degli

Page 448: WCM (World Class Manufacturing)

98

impianti in Italia e sui volumi dell’occupazione che un tale cambiamento

poteva implicare. È altresì vero che per l’azionista di riferimento della

Fiat si sarebbe aperta la possibilità di presentare quella cessione non

come una ritirata, bensì come un’ascesa internazionale senza precedenti

per un gruppo italiano.

Era poi evidente, in quell’inizio del 2000, che Torino stava smarrendo

autorevolezza e presa anche nel mondo imprenditoriale. Trascorsi i

festeggiamenti del centenario, la Fiat veniva a scoprire che il suo peso

specifico, anche sul terreno politico che le era più prossimo, quello

dell’associazione industriale, era in rapida contrazione. Subito dopo

l’intesa con la Gm ci fu il rinnovo della presidenza della Confindustria,

contrariamente alle previsioni ufficiali, il candidato lanciato da Torino, il

suo ex manager Carlo Callieri, uno fra gli uomini Fiat di spicco, venne

clamorosamente battuto ai voti a vantaggio di una candidatura

alternativa, quella dell’industriale napoletano Antonio D’Amato.

Con Callieri risultò sconfitta una politica e, forse di più, uno stile di

condotta, della rappresentanza degli interessi imprenditoriali, sia per il

processo di erosione interna che avevano subito nel periodo della

concertazione sia per la sbrigativa avventatezza con cui la sua

candidatura era stata sostenuta proprio nell’ambiente dal quale aveva

tratto origine. Di sicuro, per la Fiat suonò a quel punto un campanello

d’allarme che non era possibile non ascoltare. Liquidata la svolta della

Confindustria con la battuta piena di disappunto di Gianni Agnelli, da

allora iniziarono a mutare i toni con cui la Fiat si inseriva negli schemi del

gioco politico italiano. La Fiat modificava in maniera percettibile la

propria dislocazione politica, avendo cura soprattutto di non apparire

iscritta in via di principio fra gli oppositori del blocco del centrodestra,

com’era avvenuto invece dal 1994 in avanti. Tentava insomma di ridurre

Page 449: WCM (World Class Manufacturing)

99

il solco che la separava da Berlusconi, di cui preconizzava il successo.

Agiva comunque nei modi che erano più congeniali a se stessa e al suo

leader, per esempio favorendo l’ingresso di personalità di prestigio

nell’esecutivo che si sta per formare, Renato Ruggiero, che della Fiat era

stato vicepresidente, poteva essere raccomandato come un eccellente

ministro degli Esteri. Su una scala minore, veniva eletto a Torino per

Forza Italia il direttore della Fondazione Agnelli, Marcello Pacini, un

cattolico vicino un tempo a Umberto Agnelli.

Come volevano far intendere i molti che alludevano all’urgenza per la

Fiat di ricorrere all’appoggio, o quanto meno al consenso, del governo in

vista delle scadenze, in Italia e all’estero, che incombevano.

Sebbene non si osasse parlarne apertamente, l’aria di Torino s’era fatta

brutta. Fra il gennaio e il maggio 2002, l’azienda visse una delle

congiunture più precarie, che la davano sull’orlo del collasso, sotto la

pressione delle banche creditrici, a cui si aggiungeva il clima ostile del

sindacato.

Giovanni Agnelli è lontano da Torino, la malattia lo tiene a New York,

togliendolo dall’arena dove la Fiat gioca la sua partita. Al lingotto non

esiste chi possa assicurare un ruolo politico minimamente paragonabile al

suo e sia in grado di parlare all’opinione pubblica, alle istituzioni

nazionali e locali, ai sindacati.

Nel 2002, la Fiat sigla un’intesa con le banche creditrici per un prestito

convertendo di 3 miliardi di euro, che ha lo scopo di far fronte alla sua

emergenza finanziaria.

La Fiat elabora poi un «piano industriale» che altro non è se non una

radicale razionalizzazione e revisione delle strutture di costo, in modo da

far corrispondere la capacità produttiva alle possibilità di assorbimento

della produzione automobilistica da parte del mercato.

Page 450: WCM (World Class Manufacturing)

100

Il piano della Fiat è accolto male sin da principio, prevede la sospensione

totale delle attività a Termini Imerese, l’impianto che la Fiat possiede in

Sicilia, uno dei primi ad aver concretato la svolta verso gli investimenti

nel Mezzogiorno negli anni Settanta. Per tutto il resto dell’anno, Termini

Imerese diverrà perciò il simbolo degli effetti sociali della crisi Fiat e dei

suoi costi umani. L’urgenza di arginare le falle che si aprono nel sistema

dell’occupazione spiana la strada all’ingresso della politica sulla scena

della crisi industriale, con un ruolo di primo attore che fino ad allora non

aveva conquistato. Il piano della Fiat, con l’instabilità sociale che

immediatamente determina, è l’antefatto dell’incontro di Arcore fra

Silvio Berlusconi e il vertice Fiat, in cui vengono fissate nuove gerarchie

fra l’autorità politica e il ceto dirigente dell’industria. Dopo la riunione

nella residenza di Berlusconi diverrà chiaro a tutti che il tempo in cui era

Torino a mediare per la legittimazione del centrodestra è tramontato,

tocca adesso al potere politico far circolare ipotesi sul futuro dell’auto

italiana.

Stretta fra la pressione delle banche creditrici, che enfatizzano le tappe

del risanamento finanziario, e i tentativi della Gm di segnare le distanze

dal partner italiano, la Fiat non è riuscita a convincere di star seguendo

un proprio senso di marcia.

Il problema e che i tre attori principali della vicenda Fiat (l’azionista

storico, le banche creditrici maggiori e la Gm) si condizionano tutte e tre

a vicenda, contribuendo a determinare una situazione per molti aspetti

paralizzata.

All’azionista, cioè alla famiglia Agnelli, le banche chiedono di fare fino in

fondo la propria parte. È ben difficile immaginare che essa possa resister

alla richiesta degli istituti di credito di mettere in vendita quelli che

appaiono i gioielli residui del gruppo Fiat. Un rifiuto, a questo punto

Page 451: WCM (World Class Manufacturing)

101

sarebbe impossibile, perché potrebbe voler dire delegare ad altri il

tentativo di risanamento. Un’ipotesi che certo la famiglia Agnelli non

può sottoscrivere. Le banche recitano la parte di chi deve esigere i propri

crediti e non è disposto a con concedere altri prestiti a un interlocutore

verso il quale ci si è già esposti troppo in passato e in cui perciò non si è

autorizzati a riporre fiducia ulteriore. Per un tratto non breve, le banche

saranno inclini a pensare che, prima o poi, la Fiat possa accedere alla

famosa opzione put nei confronti della Gm, liberandosi dell’impaccio

dell’Auto.

Quanto al terzo attore, la Gm vede nell’opzione put una minaccia alla

stabilità dei propri conti aziendali, già messi in pericolo dalla falla record

creata dal suo fondo pensionistico. La Gm intende mantenere la

collaborazione industriale con la Fiat senza addentrarsi in alcuna nuova e

pericolosa alchimia societaria. Coltiva semmai per un po’ il progetto di

appropriarsi delle attività della Fiat in Brasile, l’unica ragione che

potrebbe giustificare dal suo punto di vista una trattativa con Torino,

grazie alla posizione di forza che la Fiat mantiene su un mercato

promettente. Ma per la Fiat, al contrario, ciò equivarrebbe a rinunciare a

un autentico centro dinamico del suo sistema e al tassello migliore della

strategia di globalizzazione che aveva tentato di attuare.

Lo sbocco finale dipende, in ultima analisi, dall’intervento del quarto

attore, su cui grava il peso del rilancio aziendale della Fiat, assente per

tutto il 2002 e nel primo scorcio del 2003, il management. La crisi Fiat,

infatti, si è radicalizzata a causa di un vuoto di guida imprenditoriale.

Tutto questo passa direttamente in eredità alla nuova gestione, che

dichiara di porsi una scadenza ravvicinata per rendere conto del proprio

progetto strategico. Il piano di rilancio diffuso il 26 giugno 2003

dovrebbe, prima di tutto negli intenti dell’azienda, il punto di vista della

Page 452: WCM (World Class Manufacturing)

102

crisi Fiat. Vuole simboleggiare la fine prolungata fase di incertezze

gestionali che hanno dato luogo ad un grave dissesto aziendale.

Il 27 ottobre la Fiat comunica di aver deciso di posticipare di un anno

l’esercizio dell’opzione put con la Gm. In pratica, era una realistica presa

d’atto circa il venir meno sia degli scenari tratteggiati all’atto della grande

alleanza del 2000 sia delle possibilità di perseguire l’intesa con gli

americani sul piano finanziario. La Fiat mostra così di credere di non

poterla spuntare con la Gm, risoluta a ricorrere alle vie legali pur di

impedire una cessione che incontra a Detroit un’opposizione

intransigente, alimentata dall’insostenibilità dei costi di un’eventuale

incorporazione della società automobilistica del Lingotto. Anche in

questo caso, la Fiat farà buon viso a cattiva sorte, sottoscrivendo quella

che è di fatto una rinegoziazione dell’accordo, perché consapevole del

rischio di una contesa legale con la Gm, affidata al giudizio di un

tribunale americano, come prevede il complesso protocollo d’intesa.

L’ultimo scorcio del 2003 riserba alla fiat qualche elemento di

soddisfazione, benché i conti aziendali inducano a posticipare le

aspettative di un vero turnaround. La nuova Panda riceve il premio come

«auto dell’anno» da parte della stampa specializzata europea, quel che

basta per legittimare la tendenza a un certo apprezzamento per la politica

di rinnovamento del prodotto.

Il risanamento, tuttavia, procede con passo più lento e, soprattutto, più

incerto, alla politica delle dismissioni (nel febbraio 2004 vengono cedute

la quota di maggioranza della Fiat Engineering pari al valore di 54 milioni

di euro e azioni Edison per un valore di 65 milioni) non si accompagna

una razionalizzazione interna incisiva.

Uno degli effetti indesiderati era quello poi di attribuire centralità, e

dunque potere contrattuale, ai 5000 dipendenti di Melfi. Nei primi mesi

Page 453: WCM (World Class Manufacturing)

103

del 2004 quella centralità era evidente al punto che i dipendenti non

accettavano più di essere, contrattualmente parlando, la serie B del

pianeta Fiat in Italia. Iniziano così una serie di scioperi contro la

cosiddetta «doppia battuta», un sistema di organizzazione del lavoro che

finisce per costringere i dipendenti a svolgere per due settimane

consecutive lo stesso turno di lavoro. La conseguenza immediata è che,

in questo caso, il turno di notte dura per dodici giorni consecutivi. Un

ritmo di vita insopportabile per chi alle otto ore di lavoro notturno ne

deve sommare tre o quattro di trasferimento della casa alla fabbrica e

viceversa. A questo si aggiunge la differenza di trattamento salariale, lo

stesso lavoro a Mirafiori viene pagato 1550 euro lordi annui in più

rispetto a quanto non sia pagato a Melfi. Nella prima fase a organizzare

gli scioperi è principalmente la Fiom, seguita dai Cobas. Tuttavia la

situazione precipita quando di fronte ai cancelli la polizia interviene con

durezza contro gli scioperanti. Cariche e manganellate finiscono per

costringere anche i sindacati moderati a unirsi agli scioperanti nei giorni

successivi.

Sotto la minaccia dello sciopero ad oltranza del suo stabilimento più

redditizio, il Lingotto concede sia l’abolizione del sistema della «doppia

battuta» sia il sostanziale adeguamento della busta paga dei dipendenti di

Melfi a quella degli altri dipendenti del Gruppo. L’accordo sarà unitario,

uno degli ultimi firmati a livello aziendale in Fiat.

La vicenda della rivolta di Melfi è la dimostrazione che, quando entrano

in sciopero i lavoratori di uno stabilimento nevralgico, dove la

produttività è alta e il prodotto è decisivo per le sorti dell’azienda, il

Lingotto è costretto al compromesso. Dalla rivolta del 2004 in poi la Fiat

sarà particolarmente attenta a non favorire il prevalere in fabbrica della

linea della Fiom e, in generale, dei sindacati meno moderati. E non

Page 454: WCM (World Class Manufacturing)

104

cesserà di tentare di sterilizzare gli effetti della contrattazione pregressa

cercando di ripartire da zero.

La morte di Umberto Agnelli non arriva imprevista, perché da settimane

circolavano voci allarmanti sul suo stato di salute, non di meno,

costituisce un evento traumatico perché riapre immediatamente i travagli

nel gruppo dirigente della Fiat, proprio quando l’azienda è nel momento

più grave e problematico della sua storia centenaria. Il suo decesso mette

a rischio il cammino del risanamento aziendale che appariva avviato.

La candidatura di Montezemolo, annunciata ufficialmente nel gennaio

del 2004, si propone come un ponte gettato a riunire tutte le anime

dell’industria italiana, la sua collocazione e suoi legami personali con gli

Agnelli ne facevano un uomo dell’establishment, ma la posizione nella

Ferrari lo distingueva anche come alfiere del made in Italy e dei successi

italiani nel mondo, accentuandone la capacità di parlare nel nome di tutti.

D’altronde, Montezemolo non poteva neppure essere catalogato a priori

fra gli avversari di Berlusconi, giacchè era stato proprio lui a offrirgli una

carica nel suo governo all’indomani della vittoria nelle elezioni politiche

del 2001.

Con Montezemolo la Confindustria sembra essere riuscita nell’intento di

recuperare non soltanto ruolo e visibilità nel sistema politico italiano ma

anche nelle relazioni industriali, terreno cui, da subito, Montezemolo ha

mandato i primi messaggi di distensione. È improbabile che il desiderio

di rivalutare l’esperienza della concertazione si possa tradurre in una

prassi conseguente. Anzitutto, perché la concertazione necessita di un

contesto politico favorevole e di un ruolo attivo da parte del governo.

Qui si è ormai in un ambito che non è più quello della concertazione, se

qualcosa vi è da concertare ciò riguarda la decisione di ridisegnare

l’ordinamento della contrattazione collettiva, un’ipotesi che ha trovato

Page 455: WCM (World Class Manufacturing)

105

nella Cgil un interlocutore assolutamente indisponibile. L’apertura

iniziale di Montezemolo alla Cgil ha prodotto la conseguenza di

restaurare un’unità minimale fra i tre sindacati metalmeccanici. Per la

Fiom, la stagione delle trattative separate è finita e non c’è più margine se

non per accordi che vedevano assieme tutte e tre le sigle sindacali.

Rimarrà l’auspicio che il sindacato ritrovi una linea unitaria e realistica in

materia di relazioni industriali per evitare che si interrompa il dialogo con

la Confindustria. Proprio quest’ultima invocherà un corso improntato

alla collaborazione nel negoziato coi sindacati.

3.4. E poi arriva Marchionne

Persone, persone, persone!

Non più forza lavoro. Non più manodopera. Non più dipendenti. E nemmeno risorse

umane. Ma soltanto persone. E collaboratori.

« Le aziende trovano la loro forza nei collaboratori capaci e motivati».

«Abbiamo bisogno di persone competenti, determinate, coinvolte».

«All’impresa non servono lavoratori usa e getta».

Il 1° giugno 2004, Sergio Marchionne diventa amministratore delegato di

una Fiat che possiede dimensioni ridotte rispetto a quelle che l’avevano

caratterizzata in passato. 17

Nel primo semestre della sua nuova carica, Marchionne vuole giocare la

partita intorno all’opzione put dell’accordo con la Gm.

17 Berta G., «La Fiat dopo la Fiat. Storia di una crisi, 2000-2005», Milano, Mondadori, 2006,

p. 147

Page 456: WCM (World Class Manufacturing)

106

Quanto più si ci avvicina alla data in cui la Fiat potrà esercitare il suo

diritto di vendita, tanto più Marchionne ostenta sicurezza nelle buone

ragioni dell’azienda. Nessuno può immaginare che la Gm, che procede

ad azzerare in bilancio il valore della sua partecipazione nella Fiat Auto,

sia davvero disposta a gravarsi di un simile peso. La casa americana fa

circolare voci di un’offerta molto bassa al partner italiano per lo

scioglimento dell’alleanza, inizialmente si parla di una somma di 200

milioni di dollari. In passato, la Gm s’era disposta a negoziare l’opzione

put, ma a costi che sarebbero stati altissimi per la Fiat, come la cessione

delle attività automobilistiche in Brasile, la realtà più attrattiva grazie al

primato detenuto sul mercato.

Il gioco sta tutto nelle mani di Marchionne, il quale nelle poche

dichiarazioni che fa pervenire dà prova di un’inattaccabile sicurezza. Fin

dalle prime battute della trattativa, i manager della Gm capiscono che

l’interlocutore con cui devono vedersela è «uno di loro», un dirigente di

scuola nordamericana, e lo stesso Marchionne che dichiarerà di pensare e

di fare i conti in inglese. A metà febbraio, dopo mesi di trattative incerte,

la contrattazione si chiude con un accordo che permette di sventare una

soluzione per via giudiziaria, troppo rischiosa per entrambi per entrambi

i contendenti.

Negli ambienti d’affari italiani, si enfatizzano le doti di negoziatore

dell’amministratore delegato della Fiat, l’essere riuscito a strappare due

miliardi di dollari appare come un successo insperato, dopo l’iniziale

fermezza esibita dalla Gm.

Con la cifra ottenuta dalla Gm, la Fiat può tamponare le perdite

dell’Auto, ma non risolve ancora nessuno dei problemi strutturali che

l’affliggono.

Page 457: WCM (World Class Manufacturing)

107

Sciolto il patto con la Gm, Marchionne ha di fronte a sé due nodi che

condizionano il destino della Fiat, il primo, riguarda il ricambio di alcuni

uomini collocati in posizioni decisionali di rilievo. La pronunciata crisi di

Fiat Auto e poi la scomparsa delle figure di riferimento come Gianni

Agnelli nel gennaio 2003 e Umberto Agnelli nel maggio 2004 aveva

innescato una girandola di cambiamenti nelle posizioni di vertice del

gruppo. Come succede in queste situazioni, il rinnovo dei vertici aveva

marcatamente rallentato l’iniziativa aziendale di dirigenti e quadri che si

venivano a trovare di fronte a scenari mutevoli e senza idee di indirizzo

precise.

Il secondo nodo di tipo finanziario, riguarda il cosiddetto «prestito

convertendo», stipulato con le banche nel 2002.

Marchionne lo prende di petto con analoga determinazione e lo risolve

nello stesso stile reciso in cui era venuto a capo del legame con la Gm.

L’amministratore delegato e il presidente della Fiat incontrano a Milano i

responsabili delle banche che tre anni prima avevano emesso il prestito a

favore della Fiat di 3 miliardi di euro. È un vero incontro di vertice

perché di fronte a Marchionne e Montezemolo siedono i quattro

amministratori delegati di BancaIntesa, Capitalia, SanPaolo-Imi,

Unicredit. Ne uscirà un comunicato stringatissimo in cui si dichiara che

la Fiat ha confermato tutti gli obiettivi annunciati per il 2005, 2006, 2007,

mentre le banche hanno ribadito la loro volontà di supportare i vertici

del gruppo impegnati nel conseguimento degli obiettivi dei prossimi tre

anni. La storia della Fiat volta pagina perché, con la trasformazione dei

crediti in azioni, la quota del capitale detenuta dalle banche sarà superiore

a quella in possesso della famiglia Agnelli.

È evidente che l’ingresso di Marchionne nella nuova compagine

aziendale comportò inevitabilmente una forte ventata di cambiamento.

Page 458: WCM (World Class Manufacturing)

108

Infatti se si comparano i programmi di Fiat Auto successivi all’ingresso

di Marchionne con quelli precedenti all’entrata non si avvertono grandi

differenze. La differenza sta però nel fatto che con Marchionne la Fiat ha

fatto quello che veniva dichiarato, mentre in precedenza le dichiarazioni

e gli obiettivi del piano assumevano un ruolo di «proclama» da usare

soprattutto nei confronti della stampa, ma senza un effettivo impegno,

che avrebbe dovuto essere sistematico e generalizzato a tutti i livelli per

la loro traduzione in fatti.

Marchionne ha inciso profondamente nella struttura troppo burocratica

e routinaria della Fiat, con iniziative che possono essere definite

management by stress.

Il problema prioritario di Marchionne consisteva nell’individuare,

soprattutto all’interno dell’azienda, le persone che per formazione,

attitudine e capacità di coinvolgimento personale potevano far parte

dell’avanguardia necessaria a dare uno scossone alla struttura aziendale

lanciando il rinnovamento della cultura manageriale, tante volte decretato

in passato ma mai effettivamente attuato. Naturalmente non c’era tempo

da perdere, non bastava seguire le nuove linee occorreva farlo a passo di

carica, dal momento che si trattava di recuperare terreno nei confronti

della concorrenza e delle opportunità perdute. Ognuno doveva prendersi

le proprie responsabilità, impegnandosi al raggiungimento degli obiettivi,

ma in tempi estremamente rapidi.

Con riferimento quindi ai contenuti della gestione manageriale la Fiat

prima di Marchionne viaggiava su due livelli. Da un lato vi era il grande

corpo aziendale dei quadri e dei dirigenti di medio livello che avrebbero

dovuto ispirare la loro azione ai criteri di efficacia e di efficienza e ai quali

si richiedeva di applicare le competenze manageriali più avanzate.

Dall’altro vi era un top management che, pur dichiarando di affidarsi agli

Page 459: WCM (World Class Manufacturing)

109

stessi principi di cultura e competenza manageriale, in realtà trasgrediva

liberamente a tutti questi principi, in quanto applicava un modello

decisionale e manageriale altamente accentrato e i massimi livelli

dirigenziali pretendevano dai loro collaboratori assoluta fedeltà e acritica

accettazione degli obiettivi e delle strategie verticisticamente definite.

Il fatto che, negli anni precedenti, in Fiat vi fosse questa radicale discrasia

tra i modelli manageriali insegnati ai quadri e ai dirigenti e quelli

quotidianamente applicati dal top management dà ampiamente conto di

come la cultura manageriale non si sia mai potuta radicare in modo

profondo nell’impresa torinese. Termini come meritocrazia e

responsabilità assumevano un significato del tutto peculiare nell’azienda

che era da tempo la più importante impresa privata italiana, ma che nei

suoi gangli più importanti si uniformava alla logica della gerarchia e

dell’attuazione dei principi di tipo burocratico.

Sul piano più propriamente organizzativo Marchionne decide di attivare

una struttura operativa decisamente piatta, basata su un elevato numero

di dirigenti di primo livello che interagiscono direttamente con il Ceo e

sul principio di una organizzazione matriciale nella quale si cerca di

esaltare lo sforzo di collaborazione fra le diverse funzioni.

La sfida che deve vincere Fiat Auto è quella di fare di più con meno

dotazioni di risorse umane, tecniche e finanziarie.

Naturalmente le strutture organizzative sono importanti ma ancora più

importante il commitment con il quale persone svolgono i propri

compiti, un commitment fatto di cura e di passione. Il compito di

trasferire dai vertici verso i livelli operativi sottostanti l’impegno a

svolgere professionalmente il proprio lavoro esercitandosi a crescere

nella capacità di esercitare una leadership nei confronti dei collaboratori è

stato affidato al programma «avanti & veloci». Le finalità da raggiungere

Page 460: WCM (World Class Manufacturing)

110

sono state espresse con riferimento a due macro aree denominate leading

change e leading people.

La macro area leading change si focalizza su una consapevolezza della

necessità di rompere i vecchi schemi comportamentali avendo il coraggio

di introdurre e di gestire forme di cambiamento.18

Quella della leading people si concentra nello sviluppo, da parte di ogni

manager, delle attitudini necessarie a guidare e sostenere il lavoro dei

propri collaboratori aiutandoli a sviluppare le loro capacità sia tecnico-

professionali che relazionali. Con questo strumento, Marchionne ha

veramente iniziato ad incidere sulle strutture e sui comportamenti.

Dal punto di vista strategico la più grave carenza di Fiat Auto era

rappresentata dal forte prevalere della cultura ingegneristica rispetto alle

altre funzioni aziendali e da una scarsa sensibilità alle istanze espresse dal

mercato. Bisogna aver presente il fatto che la validità di un prodotto si

misura sempre in termini di adeguatezza alle esigenze della clientela. Un

prodotto ha o non ha successo nella misura in cui risponde alle esigenze

espresse o latenti della clientela.

Le preferenze della clientela da un prodotto ad un altro mutano di segno

e di intensità. L’affidabilità del prodotto è un requisito necessario per

competere. Se un produttore non ha un produttore affidabile viene

estromesso dal mercato molto rapidamente, ma l’affidabilità non è più un

fattore di supremazia sulla concorrenza. Anche il prezzo assume un

significato completamente diverso, non vince chi ha il prezzo più basso,

ma chi è in grado di offrire un rapporto più conveniente e convincente

tra il valore percepito dal cliente e il prezzo da pagare.

18 Volpato G., «Fiat Group Automobiles. Un’Araba Fenice nell’industria automobilistica

internazionale», Bologna, il Mulino, 2008, p. 71

Page 461: WCM (World Class Manufacturing)

111

Fare in modo che la voce della clientela potesse giungere nel modo più

diretto possibile ad un elevato livello decisionale era effettivamente la

cosa più urgente. Si doveva fare in modo che la customer satisfaction e,

più in generale, la customer care venissero poste al centro delle strategie

di rilancio del gruppo automobilistico. Si è iniziato così un marcato

irrobustimento del call center dal quale dipende il flusso di

comunicazioni con la clientela. La possibilità di monitorare il tempo reale

il sorgere delle richieste di aiuto da parte della clientela e il ritmo

mantenuto nell’evasione delle richieste stesse ha impresso una forte

accelerazione alla risposta assicurata dall’azienda.

La direzione custode ha quindi attivato una serie di strumenti che vanno

dall’assistenza virtuale, un programma software attivabile dal cliente

attraverso il portale web dei marchi della casa, al programma di

generazione di segnalazioni ai concessionari con la trasmissione del

nominativo del potenziale cliente.

Dal punto di vista dei concetti manageriali, il passo successivo allo

sviluppo di un una nuova sensibilità nel contatto con la clientela, per far

in modo che le sue esigenze trovino immediato riscontro nelle scelte

strategiche dell’impresa, è rappresentato dalla definizione dei programmi

di sviluppo dei nuovi prodotti. Questo passo prende la veste in tutte le

case automobilistiche dello sviluppo e del continuo aggiornamento del

Piano Gamma/Prodotto (Pgp). La fissazione del Pgp significa vincolare

il futuro di una impresa a scelte di investimento elevatissime, che una

volta iniziate risulta quasi impossibile annullare e molto onerose da

rivedere anche solo parzialmente. In altre parole la definizione del Pgp

può essere considerato il cuore della strategia competitiva di una casa

automobilistica.

Page 462: WCM (World Class Manufacturing)

112

La critica principale che può essere rivolta ai Pgp precedenti alla scolta

impressa da Marchionne è che l’impostazione del piano rifletteva molto

più le esigenze della produzione e della progettazione che non quelle del

mercato. Tempi e modalità di sviluppo del piano erano pensati

soprattutto in modo da massimizzare le esigenze degli stabilimenti di

produzione più che le esigenze segnalate dal mercato. Inutile sottolineare

che questo prevalere della dimensione tecnica ha portato a squilibri non

indifferenti e a investimenti che non si sono ripagati, in qualche caso in

modo davvero eclatante.

L’esempio più evidente di lancio di un prodotto assolutamente

sconsigliabile, alla luce delle prospettive di marketing dei marchi

dell’azienda, è rappresentato dal modello Lancia Thesis. Un modello per

il quale si sono effettuati investimenti superiori ai 500 milioni di euro, ma

che non ha nemmeno lontanamente avvicinato l’obiettivo di vendita

fissato dalla casa. Senza dubbio il segmento in cui si colloca il modello

considerato è assai difficile, in esso si trovano le punte di diamante dei

marchi tedeschi: Mercedes, Bmw e Audi, ma quello che stupisce è

proprio il posizionamento del modello della Lancia. Si è scelto di

posizionare il modello verso la parte premium del segmento, per di più in

presenza di un ciclo di vita negativo del modello Lancia Lybra, lanciato

nel 1999 e radiato nel 2005, ma già in netta difficoltà nel 2002.

Il rilancio dell’immagine Fiat e dei suoi prodotti è iniziato con la nuova

Panda, piccola vettura, prodotta in Polonia, che ha meritato il titolo di

«Auto dell’anno 2004», che ha consentito significativi margini di

guadagno, sia per la casa automobilistica sia per la rete distributiva. A

questo modello sono seguiti con risultati significativi il lancio della nuova

Croma nel primo trimestre del 2005, quello dell’Alfa Romeo 159 nel

primo trimestre del 2006, dell’Alfa Romeo Brera nel 3° trimestre e quello

Page 463: WCM (World Class Manufacturing)

113

della Bravo nel primo trimestre 2007, la linea nel 2° trimestre e la 500 nel

3° trimestre.

Tra i modelli sviluppati sotto la gestione Marchionne sono due quelli di

particolare importanza: la Bravo e la 500. Nel primo caso si tratta di un

modello appartenente al segmento C, il più importante in Europa nel

quale primeggiano modelli come la Volkswagen Golf, l’Opel Astra, la

Peugeout 307. Si tratta di un modello di grande importanza per il rilancio

della Fiat, che ha consolidato la sua immagine aziendale, dove in passato

l’azienda ha sofferto l’insuccesso di un modello come la Stilo.

La 500 rappresenta un chiaro esempio del nuovo approccio sviluppato

dalla Fiat verso il segmento della clientela più giovane. Come è noto gli

automobilisti più giovani sono particolarmente sensibili ai fenomeni di

trend e di moda. Le difficoltà incontrate dall’azienda negli anni scorsi

hanno avuto l’effetto di allontanare molti potenziali acquirenti delle fasce

di età più basse dai prodotti dei marchi del gruppo. L’invecchiamento

della clientela dei marchi Fiat rappresentava quindi una minaccia per il

futuro che si doveva cercare di recuperare, dal momento che tutte le case

automobilistiche cercano di fidelizzare la propria clientela.

Per il marchio Lancia vi è già grande attesa per il lancio del modello

Delta, che dovrebbe dare un forte impulso alle immatricolazioni del

marchio che in questo momento può fare affidamento soprattutto sul

modello Ypsilon e sul minivan Musa, entrambi recentemente rinfrescati.

Invece per quanto riguarda il Piano Gamma/Prodotto dell’Alfa Romeo

le novità più interessanti riguardano il lancio del nuovo modello Mito,

appartenente al segmento B, un segmento prima non servito dal marchio

e che anche in questo caso punta a servire soprattutto una clientela

giovane.

Page 464: WCM (World Class Manufacturing)

114

Con la progressiva maturazione del mercato automobilistico,

Marchionne ha voluto quindi puntare sulle politiche di innovazione del

prodotto, non si trattava di puntare alla costruzione di nuove mission,

quanto a dimostrarsi coerenti con quelle che erano le tradizioni dei

marchi, innalzando però i contenuti tecnici dei prodotti e il livello di

immagine e di modernità. Bisogna ridefinire il posizionamento dei

marchi Fiat, Alfa Romeo e Lancia, cercando di creare delle mission fra

loro distinte e in sintonia con le opportunità offerte dal mercato.

Il problema era che l’azienda non era stata in grado di esprimere le

iniziative necessarie per concretizzare queste mission. Che esse fossero,

in estrema sintesi, quelle di produrre vetture per un pubblico popolare

nel caso della Fiat, vetture dal tono spiccatamente sportivo nel caso

dell’Alfa Romeo, vetture di marcato signorilità e comfort nel caso della

Lancia. Il problema è che l’azienda aveva prodotto modelli che non

rispettavano la missione e che quindi disaffezionavano la clientela.

Le iniziative di posizionamento del prodotto attuate dalla Fiat sembrano

aver colto nel segno. Sia nella fase a monte del lancio del nuovo modello,

che si estrinseca nella definizione delle specifiche di prodotto, che nella

fase a valle nella quale il prodotto è disponibile e tocca alle campagne di

comunicazione riuscire a creare nella mente del consumatore il

posizionamento che si ritiene migliore per il successo commerciale.

La Fiat aveva bisogno, così, di un ambiente che nella delicatissima fase di

attuazione del piano di riorganizzazione del 2004 e di lancio dei nuovi

modelli riscuotesse simpatia e partecipazione. Marchionne

evidentemente si rendeva conto che bisognava cercare di voltare pagina,

che occorreva disegnare una posizione della Fiat che fosse tutta

all’interno dei valori di un capitalismo responsabile non solo verso gli

azionisti, ma anche la società civile e improntata da relazioni industriali

Page 465: WCM (World Class Manufacturing)

115

nelle quali il momento del confronto e del negoziato con le

organizzazioni sindacali non precludesse momenti di partecipazione

rivolti agli interessi delle due parti, ma in primo luogo agli interessi dei

lavoratori sia nei luoghi di lavoro che nelle attività ad esse collegate.

Questo intersecarsi di posizioni e interessi, tante volte ripetuto nelle crisi

precedenti, non aveva mancato di manifestarsi anche alla fine del 2002 in

occasione del negoziato dell’azienda con il governo e i sindacati per

l’approvazione del piano di risanamento che chiedeva la cassa

integrazione straordinaria per 8100 lavoratori. Alla fine anche in questa

occasione ne uscì un accordo al ribasso che faceva perdere credibilità a

tutte le parti, ma soprattutto alla Fiat. Anche perché il piano andava a

colpire Termini Imerese, lo stabilimento siciliano che per la Sicilia

rappresentava la più importante realtà industriale.

In sostanza, il sindacato, pur con gli inevitabili distinguo,

complessivamente percepisce un senso di maggior apertura (tra il

management aziendale non c’è più la visione del sindacalista

rompiscatole), ma gli spazi obiettivi di confronto e di costruzione

assieme delle questioni che più direttamente coinvolgono il personale

sono ancora marginali. Probabilmente si è realizzato di più nelle

occasioni di lavoro congiunto tra azienda e sindacato sui temi della

sicurezza del lavoro, dell’ergonomia e della salute, dove questi ultimi due

temi solo di recente sono entrati tra le questioni da affrontare insieme.

Anche l’iniziativa di ristrutturare le mense del personale è un iniziativa

direttamente voluta da Marchionne. Nei primi 40 giorni della sua presa di

contatto con le diverse sedi aziendali l’Amministratore delegato aveva

rilevato che si trattava di ambienti assai poco confortevoli. Così è nato il

Progetto Benessere che prevede varie innovazioni fra le quali: il restyling

dei locali della palazzina di Mirafiori, che sono state riarredate con i

Page 466: WCM (World Class Manufacturing)

116

simboli del marchio di appartenenza: Fiat, Alfa Romeo, Lancia e Fiat

Professional, l’organizzazione dell’asilo nido per le mamme che lavorano

a Mirafiori. Al momento quello che si può dire è che sono iniziate delle

prove di dialogo, vi è un cambiamento significativo anche nel modo di

guardare all’azienda, accettando ad esempio il significato di meritocrazia,

che in passato era invece apertamente osteggiata. Ed è attraverso le

forme di partecipazione che si diffondono e si cementano il senso di

condivisione delle sorti dell’azienda e lo spirito di collaborazione, che

sono ingredienti necessari non per delle buone relazioni industriali, ma

anche per il nuovo modello di lavoro nelle fabbriche orientato al World

Class Manufacturing.

Data l’esigenza che ha Fiat Group Automobiles di crescere rapidamente,

e soprattutto nei mercati esteri, Sergio Marchionne punta

sull’internalizzazione, ossia stabilire accordi di collaborazione che

riducessero la massa di investimenti da finanziare e mettessero in

comune competenze sui nuovi mercati.

Quella delle fusioni-acquisizioni può essere, in molti casi, un passaggio

obbligato per andare avanti nel business e governare le dinamiche del

mercato e le pressioni competitive.

In particolare Fiat Auto e Psa-Peugeot-Citroën hanno realizzato da

tempo un accordo industriale doppio. Nel complesso questa partnership

ha lavorato bene e c’è da auspicarsi che venga allargata anche ad altre

iniziative. Peccato che Psa abbia già realizzato accordi per la

progettazione comune di motori con Ford e con Bmw, opportunità che

sono sfuggite a Fiat Group Automobiles.

Lo sviluppo delle attività di Fiat in Turchia è iniziato nel 1968, attraverso

la costituzione della Tofas e la realizzazione di uno stabilimento,

localizzato a Bursa, per la produzione su licenza di alcuni modelli Fiat. Se

Page 467: WCM (World Class Manufacturing)

117

i programmi di Tofas verranno mantenuti, lo stabilimento turco diverrà

uno dei più importanti stabilimenti europei e potrà dare un consistente

contributo agli obiettivi di vendita che Fga ha fissato nel 2012.

Per quanto riguarda il subcontinente indiano, la Fiat ha fatto il suo

ingresso nel 1999 con la costituzione di Fiat India. L’accordo con Tata

che avverrà nel marzo del 2006 ha consentito di comporre un puzzle

complesso di opportunità. L’accordo assume certamente l’ampiezza di

un accordo strategico, si tratta infatti di un grande gruppo industriale,

operante in vari comparti. Il mercato automobilistico cinese è destinato a

uno sviluppo decisamente accentuato, secondo le dichiarazioni di Sergio

Marchionne la prosecuzione del rapporto con Chery nel 2008 prevede un

programma di importazioni in Cina di nuovi modelli.

Dopo la Cina, la Russia è certamente il mercato più compromettente a

livello globale. Nel 2006 la Fiat siglerà un primo accordo con la Severstal,

che si amplierà l’anno successivo con la realizzazione di uno stabilimento

a Yelabuga. In Polonia, lo stabilimento di Tychy è la sede operativa

dell’accordo tra Fiat e Ford per utilizzare la linea di montaggio della 500.

Va inoltre segnalato che lo stabilimento di Tychy è stato il primo ad

iniziare l’implementazione del World Class Manufacturing e raggiunge

attualmente il miglior livello qualitativo tra gli stabilimenti europei del

gruppo.

Lo stabilimento di Betim costituisce il fiore all’occhiello fra gli

stabilimenti di Fiat Group Automobiles, è il più grande stabilimento del

gruppo e uno dei più grandi al mondo.

Una forte incisività di Fga in questi mercati «giovani» è molto importante

e molto urgente perché i prodotti dell’azienda torinese sono

relativamente poco conosciuti in questi mercati emergenti, a differenza

Page 468: WCM (World Class Manufacturing)

118

dei mercati europei nei quali le vetture italiane si presentano con una

fisionomia ormai consolidata e non troppo favorevole.

Un elemento importante per cercare di rafforzarsi in questi paesi,

caratterizzati da un processo di motorizzazione molto dinamico, è

rappresentato dalla specializzazione dell’azienda italiana nelle

motorizzazioni di piccola cilindrata a benzina e a gasolio e nelle

motorizzazioni di tipo bipower a benzina e a metano. Questi tipi di

motorizzazioni presentano un impatto ambientale assai ridotto e danno

all’azienda torinese una posizione di leva competitiva potenzialmente

determinante.

Nella primavera del 2007 lo scenario competitivo nell’industria

automobilistica internazionale aveva iniziato a mutare in modo

significativo. 19Questo mutamento delle prospettive del settore derivano

dal rincaro del costo dei carburanti. Si apre così una fase ascendente del

prezzo del petrolio greggio e, a ruota, dei carburanti che poi opererà da

innesco della successiva crisi finanziaria internazionale.

Il segnale era molto chiaro, i paesi industrializzati avevano ormai

raggiunto un alto livello di saturazione degli mercati e il comportamento

dei consumatori, di fronte al rincaro dei prezzi del carburante, andava ad

incidere direttamente sul livello delle immatricolazioni di nuove vetture.

Questa evoluzione non ha mancato di incidere sui bilanci dei maggiori

gruppi automobilistici internazionali, prima nelle quotazioni di borsa

della società e quindi nei bilanci annuali. Nel 2007 questo effetto si è

registrato soprattutto tra i cosiddetti Big Three, General Motors, Ford e

Chrysler.

19 Volpato G., «Fiat Group Automobiles. Un’Araba Fenice nell’industria automobilistica

internazionale», cit., p. 237

Page 469: WCM (World Class Manufacturing)

119

La crisi petrolifera ha sicuramente introdotto un fattore di incertezza

nell’industria automobilistica internazionale, ma non ha influenzato

negativamente i risultati ottenuti da Fiat sia nel 2007 e nel 2008. Anzi la

politica di incentivazione del governo alla rottamazione, prorogata alla

fine del 2006 attraverso il cosiddetto «mille proroghe», ha comportato un

effetto favorevole sull’ammontare delle immatricolazioni in Italia che in

quell’anno toccherà il suo massimo storico, e di questo trend ne ha tratto

beneficio la Fiat, che in questo modo ha potuto superare gli obiettivi del

piano 2006-2010 precedentemente fissati.

Così Marchionne nella presentazione consuntiva del 2007, fatta nel

gennaio dell’anno successivo, può manifestare la propria soddisfazione

per una situazione finanziaria dell’intero gruppo Fiat ormai risanata,

grazie al contributo dato dai nuovi modelli, la Grande Punto, presentata

nel 2005, la Bravo, presentata nel 2006, e le novità in assoluto presentate

dalla 500, la nuova croma, la Musa, alle quali si affiancano la Linea e il

Fiorino prodotti in Turchia. Ai quali seguiranno la Junior Alfa Romeo ,

poi commercializzata con il nome di Mito che sarà effettivamente

lanciata nel 2008. Per il 2009 si nomina il modello del segmento C che

dovrà sostituire la 147 che sarà effettivamente lanciata con il nome di

Giulietta, ma con un sensibile ritardo nel 2010.

Tra le iniziative del periodo vi è la separazione di Fiat Spa in due gruppi,

un primo ancora denominato Fiat Spa, composto dalle attività

concernenti, le autovetture (Fga, Maserati e Ferrari), la sezione di Fiat

Powertrain Technolgies, dedicata a motori e trasmissioni per autovetture,

la componentistica e i sistemi di produzione (Magneti Marelli, Teksid e

Comau), le altre attività fra le quali quelle editoriali (La stampa) e un

secondo gruppo denominato Fiat Industrial Spa con controllo su Iveco,

Cnh e la sezione di Fiat Powertrain Techologies concernenti i veicoli

Page 470: WCM (World Class Manufacturing)

120

industriali e i motori marini. Le motivazioni di questo scorporo hanno

natura essenzialmente finanziaria , si sta aprendo una stagione di possibili

fusioni e di accordi di collaborazione che sono più difficili da negoziare

tra l’intero Gruppo Fiat e il partner di turno, soprattutto nel caso che si

rendano necessari degli scambi azionari.

Tuttavia anche il consuntivo del 2007 mostra che la Fiat si trova in una

situazione che potrebbe divenire instabile a breve periodo, dal momento

che questi risultati sono maggiormente il frutto di un favorevole

andamento sul mercato italiano, piuttosto che un consistente e

sostenibile recupero competitivo a livello continentale.

Questo dovuto in parte a un mancato rafforzamento sui modelli di classe

superiore Lancia e Alfa Romeo, in considerazione del fatto che la loro

collocazione di mercato dovrebbe orientarsi verso i prodotti premium.

Un ulteriore punto di debolezza strutturale dell’offerta Fga riguarda la

presenza in tre dei quattro paesi Bric. Salvo il Brasile, dove la posizione è

molto buona, ma vede una progressiva riduzione della quota per effetto

delle strategie aggressive di nuovi entranti come Hyundai, Renault e

Peugeot, negli altri paesi gli accordi di jont venture non hanno ancora

dato risultati apprezzabili. La politica di internalizzazione della Fiat in

questi paesi è iniziata da diversi anni, ma per un molteplicità di ragioni

non si è ancora concretizzata in significativi volumi di vendita, a

differenza degli altri costruttori più importanti che hanno raggiunto

traguardi significativi.

Del resto l’amministratore delegato aveva da sempre espresso forti

perplessità sulla validità di assorbimenti e fusioni tra gruppi industriali a

cause delle molte modifiche di coordinamento e integrazione tra aziende

aventi storie e culture diverse. Tuttavia il mutamento delle prospettive

strategiche del settore devono avergli fatto cambiare idea, infatti,

Page 471: WCM (World Class Manufacturing)

121

secondo Marchionne il nuovo assetto economico prodotto dalla crisi

finanziaria, con i suoi pensanti riflessi sull’ammontare della domanda

automobilistica globale, forza interventi drastici motivati soprattutto dal

fatto che la filiera automobilistica internazionale patisce da tempo un

elevato livello di saturazione degli impianti produttivi e di assemblaggio,

ciò genera un carico di costi fissi che le imprese hanno sempre più

difficoltà a coprire.

Ne deriva la tesi che prevede un grosso processo di fusione finanziaria e

di integrazione/razionalizzazione delle attività dei principali gruppi

automobilistici, accompagnato dalla chiusura degli impianti meno

efficienti per pervenire sostanzialmente ad un solo operatore per

continente.

In effetti tutti gli operatori sono concordi nel segnalare il pesante fardello

rappresentato dall’eccesso di siti produttivi. Tuttavia, le iniziative di

chiusura degli impianti comportano problemi di riallocazione dei

dipendenti, assai difficile da gestire, soprattutto in una fase di crisi come

quella attuale. In pratica questa soluzione trova attuazione solo nelle

imprese per le quali non esiste altra alternativa percorribile, come è

successo nel caso della General Motors e della Chrysler. Negli altri casi è

lo Stato a dover intervenire con iniziative di sostegno allo scopo di

limitare drastiche riduzioni dei livelli occupazionali del settore che si

produrrebbero a cascata per la chiusura di ogni impianto di

assemblaggio. Di fatto il marcato processo ipotizzato da Marchionne

non sì è ancora verificato, da un lato per la forte resistenza delle singole

case automobilistiche dall’altro per l’espletarsi di un intervento pubblico

che ritiene socialmente insostenibile una drastica riduzione dei livelli

occupazionali.

Page 472: WCM (World Class Manufacturing)

122

L’attenzione di Marchionne si è concentra soprattutto sugli Stati Uniti e

quindi sulla Chrysler, per poter sfruttare le forme di complementarietà

che questa soluzione gli avrebbe consentito e per il fatto che la

dimensione di questo gruppo e la sua delicata situazione competitiva

rendeva compatibile l’assunzione da parte della Fiat di un ruolo di guida

di entrambi i gruppi.

Le difficoltà della Chrysler erano così pronunciate che nulla poteva

essere dato per scontato. In sostanza quando toccò al presidente Obama

trovare una soluzione per Chrysler, limitando al massimo l’esborso di

denaro pubblico, egli aveva di fronte ben poche alternative possibili.

Si è così arrivati, all’inizio del 2009, all’investitura ufficiale di Fiat, da

parte del presidente Obama, come «cavaliere bianco» nel salvataggio della

Chrysler. Si è trattata di un’opportunità davvero straordinaria che Sergio

Marchionne ha saputo cogliere al volo. Questa investitura presidenziale

ha avuto una grande importanza nel far percepire la Fiat non come un

colonizzatore di Chrysler, ma come un partner che individuava nel

rilancio della Chrysler una componente essenziale del rilancio della stessa

Fiat in campo internazionale, predisponendo in senso favorevole

l’opinione pubblica americana che, purtroppo, conservava un brutto

ricordo della qualità dei prodotti Fiat.

Il 21 Aprile 2010 Sergio Marchionne e il suo staff presentano il piano del

Gruppo Fiat per il quinquennio 2010-2014, nel quale la parte riguardante

Fga gioca un ruolo di primo piano in quanto in questo periodo si deve

completare il processo di integrazione tra Fga e Chrysler.

Il piano prevede di sfruttare appieno la potenzialità produttiva degli

impianti, senza attuare ulteriori investimenti ma saturandoli, crescere nei

volumi di vendita dei paesi Bric, sfruttare appieno l’accordo con

Chrysler, utilizzando quindi un numero ristretto di piattaforme, scambio

Page 473: WCM (World Class Manufacturing)

123

reciproco delle competenze tecnologiche ed organizzative,

potenziamento reciproco delle reti commerciali, integrare la produzione

della gamma Lancia e Chrysler in Europa ad eccezione della Gran

Bretagna in cui il brand Lancia non è presente e quello Chrysler è più

conosciuto, rafforzare il marchio Alfa Romeo non solo in Europa ma

anche nei mercati del Nord America (Usa, Canada e Messico) utilizzando

il marchio Maserati come produttore affine ad Alfa Romeo per i modelli

più elevati della gamma.

Tutto questo complesso di iniziative dovrà produrre un ampio

riposizionamento del mix dei prodotti Fiat, prodotti che devono riuscire

a dilatare la propria presenza sui segmenti di vetture con taglia maggiore.

Su questo piano si è avuto un intenso dibattito legato al fatto che

Marchionne ha subordinato la realizzabilità del piano all’ottenimento di

alcune modifiche contrattuali.

La Fiat punta decisamente ad arrivare a un nuovo modello di

organizzazione del lavoro basato su un forte impegno da parte delle

maestranze, ricorrendo anche alla costituzione di new company, non

iscritte alla Confindustria e quindi organizzabili secondo modalità che

possono essere difformi da quelle previste dal contratto nazionale del

lavoro per il settore metalmeccanico. Questo programma ha preso corpo

attraverso un nuovo accordo presentato alle diverse rappresentanze

sindacali il 9 giugno 2010 concernente lo stabilimento di Pomigliano

d’Arco. L’accordo è stato accettato da alcune sigle sindacali, Fim-Cisl e

Uilm-Uil e rigettato dalla Fiom-Cgil. Quest’ultima manifesta la propria

contrarietà al nuovo contratto soprattutto per la nuova normativa

concernente l’assenteismo, per la clausola di responsabilità e per le

clausole integrative del contratto individuale di lavoro, che secondo la

Fiom costituirebbero una decisa regressione rispetto agli attuali standard

Page 474: WCM (World Class Manufacturing)

124

contrattuali e che potrebbero configurare delle violazioni al dettato

costituzionale.

Appare criticabile il fatto che Sergio Marchionne abbia proposto il

contratto con la formula «prendere o lasciare». Non si sottolinea

l’importanza di una collaborazione fra impresa e sindacati e di un

coinvolgimento dei lavoratori, ma di un comportamento che di fatto

azzera il ruolo della contrattazione sindacale e appare anche in contrasto

con al politica di dialogo portata avanti da Sergio Marchionne nella fase

precedente.

Lo stesso schema di accordo di Pomigliano d’Arco è stato poi riproposto

per lo stabilimento di Mirafiori.

La critica più importante all’impostazione seguita da Marchionne deriva

dal fatto che nel piano 2010-2014 l’applicazione del World Class

Manufacturing gioca un ruolo essenziale ai fini del successo del piano,

nella difficile sfida di elevare qualità e l’immagine percepite dai

consumatori nei confronti dei marchi Fiat. Come si può pensare di

vincere questa sfida, che postula una forte collaborazione e condivisione

di obiettivi tra direzione e lavoratori , se nel contempo si apre una fase di

conflittualità soprattutto con uno dei maggiori sindacati, la Fiom?

Certamente Marchionne ha ragione di chiedere l’eliminazione di

comportamenti lavorativi che impediscono il corretto funzionamento

delle fabbriche, ma questo va fatto puntando innanzitutto ad una

collaborazione con tutto lo schieramento sindacale e negoziando una

soluzione che non appaia come un gioco a somma zero risolto in modo

negativo per il lavoratori e per il sindacato, bensì come un gioco a

somma positiva in cui entrambe le parti contribuiscono a un

miglioramento del comportamento dei lavoratori.

Page 475: WCM (World Class Manufacturing)

125

In sostanza si tratta di un quadro molto complesso e in continua

evoluzione che invece dovrebbe trovare al più presto una propria stabile

definizione.

3.5. Nasce Fiat Chrysler Automobiles (FCA)

Alla fine Fiat e Chrysler hanno ufficializzato la loro intesa. La data da

segnare è il 29 gennaio 2014, quando il Consiglio d’amministrazione di

Fiat Spa, ha approvato la riorganizzazione societaria. L’acquisizione, il

primo gennaio di quest’anno, della quota di minoranza del 41,5 per cento

in Chrysler Group LLC che era detenuta da VEBA, il fondo

pensionistico sanitario del sindacato americano UAW, ha permesso a

Fiat di acquisire il 100 per cento della società di Auburn Hills. Un grande

risultato strategico di tutto il management Fiat frutto di un lungo e duro

lavoro iniziato nel 2009.

La nascita di “Fiat Chrysler Automobiles” segna l’inizio di un nuovo

capitolo per l’azienda italiana. Il viaggio che è iniziato più di dieci anni fa

con la ricerca di soluzioni che assicurassero a Fiat il proprio posto in un

mercato sempre più complesso è culminato nell’unione di due

organizzazioni, ognuna con una grande storia nel panorama

automobilistico ma con caratteristiche e punti di forza geografici

differenti e complementari.

L’obiettivo è quello di costruire un’azienda che, per dimensioni e

capacità di attrazione sui mercati finanziari, sia comparabile ai migliori

concorrenti internazionali, il Consiglio ha deciso di costituire Fiat

Chrysler Automobiles N.V., società di diritto olandese che diventerà la

holding del Gruppo. Le azioni ordinarie di FCA saranno quotate a New

York e a Milano.

Page 476: WCM (World Class Manufacturing)

126

Così l’Amministratore Delegato di Fiat Auto, Sergio Marchionne, ha

raccontato l’inizio nel 2009 dell’avventura con Chrysler che ha portato,

alla nascita di Fiat Chrysler Automobiles:

“La chiami fortuna, istinto, visione, quel che vuole. Resta il fatto che in quel momento

di crisi spaventosa abbiamo visto nei rottami dell’industria americana la possibilità di

far nascere una grande azienda in forma completamente diversa. È l’America ha

creduto nelle nostre idee e ci ha aperto le porte.

Per tante ragioni storiche ed culturali noi europei siamo condizionati dal passato,

l’idea di chiuderlo per nascere una cosa nuova ci spaventa. Da loro no, c’è una

disponibilità quasi naturali verso il cambiamento. Questa operazione ha messo al

riparo Fiat e i suoi lavoratori dalla tempesta della crisi italiana ed europea, che non è

affatto finita. Ora potrà ripartire con basi, dimensioni e reti più forti. L’Alfa è

centrale nella nostra nuova strategia. Come Jeep è venduta in tutto il mondo, ma è

americana fino al modello, così il dna Alfa dev’essere tutto italiano. Fiat andrà nella

parte alta del mass market, con le famiglia Panda e Cinquecento. Lancia diventerà

un marchio del mercato italiano. La vera scommessa è il nuovo sviluppo dell’Alfa”.20

20 D’Amico C., “ FCA, Fiat Chrysler Automobiles. Nasce un gruppo mondiale”, 2014, p. 5

Page 477: WCM (World Class Manufacturing)

127

Page 478: WCM (World Class Manufacturing)

128

Capitolo 4

Storia delle relazioni industriali in Fiat: dall’autunno

caldo ai giorni nostri

4.1. Le relazioni industriali in Fiat

Alla Fiat, la contrattazione sindacale ha assunto modalità e formulazioni

specifiche. Osservando la storia della Fiat si resta colpiti dalla radicalità

dei conflitti sociali e sindacali, sembra mancare quell’insieme di processi

e di regole che attenuano i conflitti, che impediscono l’eccessivo

accumularsi di problemi e contraddizioni.

In altre parole, nella storia delle relazioni sindacali alla Fiat sono

sempre mancate le «valvole di sicurezza» che consentissero la riduzione

programmata della «pressione», al dunque ogni grande conflitto si risolve

con la negazione della controparte, della legittimità degli interessi che

rappresenta, creando nuovi squilibri e nuove tensioni.

Cercheremo adesso di offrire un’analisi della contrattazione

sindacale alla Fiat, partendo dagli anni Ottanta fino ad arrivare ai giorni

nostri, per comprendere appieno i cambiamenti in atto.

Gli anni Ottanta si aprono in una fase in cui le relazioni sindacali

avevano già operato una brusca conversione in senso negativo.21

La situazione del mercato dell’auto denunciava un peggioramento

generalizzato in tutto il mondo, ma la situazione si presentava ancora più

grave per la Fiat che scontava gravi errori di previsione e un ritardo nel

21 Damiano C., Pessa P., «Dopo lunghe e cordiali discussioni. La storia della contrattazione

sindacale alla Fiat in 600 accordi dal 1921 al 2003», Ediesse, Roma, 2003, p. 211

Page 479: WCM (World Class Manufacturing)

129

rinnovo dei modelli, perdendo conseguentemente quote di mercato sul

territorio nazionale, a questo peggioramento si aggiunge inoltre una

situazione di squilibrio dei conti aziendali.

La perdita di quote di mercato e l’aggravamento dei conti aziendali

favorirono le posizioni aziendali più oltranziste nei confronti del

sindacato e rafforzarono l’ipotesi di arrivare a uno scontro risolutivo che

rovesciasse definitivamente le relazioni in azienda.

Le incertezze e gli errori di gestione economica e industriale

accumulati dalla Fiat nel corso degli anni Settanta hanno

progressivamente portato all’esigenza di un rapido recupero di

produttività, mentre i limiti e le debolezze della strategia sindacale hanno

convinto il management Fiat che la strada della rottura delle relazioni

sociali fosse il percorso più agevole.

La sensazione di un aggravarsi della situazione economica e di

mercato della Fiat, portò il sindacato a rivendicare al governo e al

Parlamento un «piano nazionale dell’auto», che avrebbe comportato

sostanziali contributi statali alla Fiat, soprattutto nel campo della ricerca e

dell’innovazione del prodotto. Ciò sembrò detestare qualche interesse da

parte Fiat, che però, per bocca dello stesso Giovanni Agnelli, restava

dubbiosa sull’effettiva tempestività del governo nell’intervenire in

relazione ai tempi della crisi.

In ogni modo lo stesso incalzare della crisi e le scelte della Fiat

finiranno per accantonare la piattaforma rivendicativa.

L’azienda, anzi, annuncia il ricorso massiccio alla cassa

integrazione e alla mobilità esterna per migliaia di lavoratori, che

prevedeva la possibilità di riassunzione presso altre aziende dei lavoratori

in Cigs, ma in assenza di tale possibilità prevedeva in ogni caso il

licenziamento del lavoratore dopo un certo periodo.

Page 480: WCM (World Class Manufacturing)

130

La risposta sindacale è negativa, contemporaneamente viene

chiesto l’intervento del governo. Da parte sua il governo Cossiga si

mosse chiedendo alla Fiat di non procedere ai licenziamenti, ma non

ottenne risposte positive e Umberto Agnelli rassegnò le dimissioni dalla

carica di amministratore delegato del gruppo. La mossa fu interpretata

come un defilarsi di un rappresentante della famiglia Agnelli da

un’operazione rischiosa e impopolare, che comportava evidenti problemi

di immagine pubblica. I poteri furono affidati a Cesare Romiti, un

manager assunto nel 1974 in Fiat, che governerà l’impresa fino al 1998.

La strategia aziendale, secondo le interpretazioni sindacali, non

riguardava solamente l’esigenza di un riequilibrio economico, ma si

proponeva anche di riacquistare mano libera nel campo della gestione

della forza lavoro e assestare un colpo mortale al sindacato.

Come si seppe in seguito, la strategia aziendale venne decisa con

una parte importante del capitalismo italiano, vale a dire quella di

Mediobanca di Cuccia che preparava il rilancio finanziario della Fiat,

subordinandolo però al ridimensionamento del sindacato in azienda.

In un incontro tra Fiat e governo, l’azienda ribadirà la sua

intenzione di licenziare, o quanto meno di porre i lavoratori in mobilità

esterna, argomentando che la situazione del mercato del lavoro torinese

consentiva il riassorbimento dei lavoratori eccedenti. Contrario a ciò il

sindacato che invece proponeva la cassa integrazione a rotazione, il

blocco del turn-over, le dimissioni incentivate e corsi di riqualificazione

professionale. Ma la scelta aziendale non prevedeva mediazioni con il

sindacato, nei fatti la trattativa si interruppe, e la Fiat annunciò l’avvio

della procedura per il licenziamento di 14.469 lavoratori tra il settore

Auto e Teksid.

Page 481: WCM (World Class Manufacturing)

131

Nel frattempo, la preoccupazione da parte sindacale, riguardava le forme

di lotta e il rischio di uno sciopero a oltranza, che era considerato un

elemento di debolezza a fronte di uno scontro che si preannunciava di

non breve durata.

Il segretario generale del Pci, Enrico Berlinguer, portò solidarietà e

l’appoggio del partito ai lavoratori in lotta, cosa che darà l’avvio a un

fiume di polemiche poiché alcuni passi del discorso di Berlinguer

verranno interpretati come un avallo all’ipotesi sindacale di occupare la

Fiat. Le parole «incriminate» furono: «le forme della lotta dovranno

essere decise dai lavoratori nelle assemblee con i dirigenti del sindacato.

Se queste decisioni riguarderanno anche forme di occupazione, il nostro

partito darà il suo pieno appoggio e la sua solidarietà».

Nei fatti all’inizio della vertenza vi fu un ampio e crescente

movimento di solidarietà politica nei confronti della lotta dei lavoratori

Fiat da parte dell’insieme del movimento sindacale, di associazioni e

forze politiche.

Il 27 settembre cade il governo Cossiga e viene meno

l’interlocutore istituzionale della vertenza, l’azienda coglie l’occasione per

sospendere i licenziamenti e mettere in cassa integrazione 24.000

lavoratori per tre mesi dal 6 ottobre.

A fronte della revoca dei licenziamenti il sindacato decise di

sospendere lo sciopero generale di tutte le categorie a sostegno della

vertenza Fiat, indetto per il 2 ottobre, ciò generò polemiche nei confronti

delle confederazioni sindacali da parte dei delegati sindacali di Torino,

che vedevano in questa decisione un segno di minor convinzione

sindacale.

Il 29 settembre la Fiat annuncia che è disponibile a prendere in

esame soluzione alternative ai licenziamenti, ma il 30 settembre rende

Page 482: WCM (World Class Manufacturing)

132

pubbliche le liste dei lavoratori posti in cassa integrazione, esposte ai

cancelli della Fiat.

La decisone unilaterale della Fiat viene interpretata dall’assemblea

dei delegati come uno schiaffo al sindacato, poiché tutti comprendono

che con questa scelta vengono selezionati i lavoratori da escludere e la

discussione può avvenire solamente sui criteri scelti dall’azienda.

Pur respingendo l’ipotesi, presentata dalla parte più radicale dei

delegati, di occupare la fabbrica, l’assemblea dei delegati decise il presidio

dei cancelli e lo sciopero ad oltranza.

Il 10 ottobre fu attuato lo sciopero generale che ebbe una grande

adesione, con manifestazioni in molte città italiane e in particolare a

Torino, dove la manifestazione si tenne a Mirafiori. Un corteo di capi e

lavoratori Fiat, con la partecipazione di altre persone, sfila per Torino in

una manifestazione antisindacale, è la cosiddetta «marcia dei

quarantamila».

La precipitosa conclusione della vertenza, con l’approvazione

dell’accordo, e la mancanza di tempo adeguato per un confronto

sull’accordo finale viene indicato come uno dei principali elementi

negativi che determinarono la «sindrome della sconfitta».

Spesso è stata utilizzata polemicamente la categoria del

«tradimento» da parte dei vertici sindacali e del Pci per spiegare l’esito

della vertenza.

Si può quindi sostenere che la radicalità della vertenza del 1980

nacque certamente dalla volontà della Fiat di riacquistare mano libera

nella gestione dei processi di ristrutturazione, piegando il sindacato. Ma

da parte del sindacato vi furono certamente errori di gestione, che

nascevano da limiti culturali e contraddizioni irrisolte, sedimentate nel

corso degli anni, che derivavano anche dal non avere avuto la capacità di

Page 483: WCM (World Class Manufacturing)

133

affrontare i problemi della competitività aziendale, e dalla difficoltà a

costruire una rappresentanza complessiva dei lavoratori,

conseguentemente determinava una selezione degli obiettivi rivendicativi

in relazione soprattutto agli interessi di alcune categorie di lavoratori.

L’esito della vertenza dei 35 giorni chiudeva inevitabilmente una

fase delle relazioni industriali in Fiat e nel paese.

I mutati rapporti di forza, le trasformazioni organizzative e sociali

della fabbrica contribuirono a mettere nell’ombra i lavoratori

dell’industria e i loro sindacati, mentre nuove ideologie teorizzavano la

progressiva scomparsa della classe operaia. Per Torino iniziava un

periodo tormentato, contrassegnato da processi di deindustrializzazione

e, secondo molti commentatori, dalla decadenza economica e sociale

della città, in cui i sindacati stentavano a ritrovare un rapporto con i

lavoratori della Fiat.

La restaurazione aziendale dopo il 1980 completò il cambiamento

del sistema di relazioni sindacali in Fiat. Il ripristino della disciplina

aziendale fu accompagnato da licenziamenti di rappresaglia che

contribuirono ad alimentare la paura di perdere il posto di lavoro. La

Fiat, infatti, continuò dopo il 1980 una violenta politica antisindacale,

con l’obiettivo di scompaginare completamente il sindacato in azienda.

In quella fase l’azienda teorizzava che i tempi della contrattazione

sindacale erano incompatibili con la velocità richiesta dai processi di

riorganizzazione produttiva.

Conseguentemente il ruolo dei delegati sindacali doveva essere

ridotto al minimo, mentre il sindacato poteva avere un ruolo solamente

come agente regolatore esterno alla fabbrica per concordare la gestione

dei processi di ristrutturazione, soprattutto nei loro effetti occupazionali.

Page 484: WCM (World Class Manufacturing)

134

In generale vi fu un evidente arretramento della capacità sindacale di

intervenire sull’insieme degli aspetti della condizione di lavoro, mentre

l’azienda riuscì a realizzare un notevole incremento della produttività del

lavoro a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, quando si fece

sentire la ripresa della domanda di mercato.

In gran parte questo incremento fu dovuto ai processi

d’innovazione tecnologica, ma anche al fatto che ormai Fiat applicava

unilateralmente le trasformazioni tecniche e organizzative, senza un

confronto con le rappresentanze sindacali, inoltre la cassa integrazione e

i timori relativamente alla sicurezza del posto di lavoro avevano ridotto

significativamente l’assenteismo per malattia.

L’innovazione tecnologica e soprattutto l’automazione divennero

le linee guida dei processi di ristrutturazione, la stessa immagine che la

Fiat proiettava all’esterno era quella di una fabbrica in cui gli operai erano

scomparsi, sostituiti da tecnici in camice bianco il cui unico lavoro

consisteva nel controllare i computer e pigiare bottoni.

Prevaleva in Fiat una concezione negativa del fattore umano,

considerato come una variabile imprevedibile e sostanzialmente

inaffidabile, da ridurre progressivamente sul piano quantitativo. A

differenza degli anni settanta l’automazione non aveva più l’obiettivo di

migliorare le condizioni di lavoro ma era diretta, in prima istanza, a un

forte recupero di produttività e flessibilità con la costruzione appunto

della fabbrica ad alta automazione.

In sintesi la strategia della Fiat prevedeva l’automazione spinta sul

piano produttivo, mentre sul piano sociale negava la necessità della

contrattazione collettiva nei luoghi di lavoro e affermava il concetto di

un rapporto individuale azienda-lavoratore.

Page 485: WCM (World Class Manufacturing)

135

Nella prima metà degli anni ottanta la maggior parte della

contrattazione sindacale si limitò alla gestione dei processi di

ristrutturazione e delle eccedenze di personale.

L’avvio del nuovo modello, la Uno, consentì alla Fiat di uscire

dalla situazione di crisi economica, inaugurando un periodo che dal 1984

al 1989 garantirà all’azienda alcuni dei migliori risultati economici dei

suoi cent’anni di vita.

Il confronto poi per il rinnovo del Contratto nazionale di lavoro

dei metalmeccanici durò più di un anno, dato che la piattaforma

rivendicativa fu varata il 6 aprile 1982. Le trattative si bloccarono

immediatamente per le pregiudiziali di Federmeccanica e Confindustria.

Il 23 gennaio 1983 fu raggiunta una prima intesa tra Governo,

Confindustria e Federazione Cgil, Cisl e Uil, il cd. «Protocollo Scotti», in

cui vi fu una indubbia espressione del metodo concertativo, avviato già

alla fine degli anni Settanta, periodo in cui, posti di fronte al problema

delle ristrutturazioni aziendali conseguenti all’introduzione di nuove

tecnologie nell’apparato produttivo dell’industria italiana ed alle connesse

modificazioni del mercato del lavoro, i sindacati appartenenti alle tre

confederazioni maggiormente rappresentative (Cgil, Cisl e Uil) decisero

di intraprendere strade di gestione partecipativa dei processi di

riconversione industriale.

La novità è che, il Governo figura non come semplice mediatore

tra le parti, ma come vero e proprio attore di un’intesa triangolare,

imponendo in modo esplicito alle parti sociali i termini dello scambio

politico.

Il passo successivo delle pratiche concertative è dato, dalla rottura

sindacale in occasione della firma di un altro accordo, il Protocollo sul

costo del lavoro del 14 febbraio 1984, il cd. «Protocollo di S. Valentino»,

Page 486: WCM (World Class Manufacturing)

136

con cui si proponeva la rinegoziazione del precedente protocollo

d’intesa. Esso costituì la base della frattura tra Cgil, che si opponeva ai

contenuti dell’accordo, da un lato, e Cisl e Uil, dall’altro, che risulteranno

poi essere le uniche firmatarie del patto.

Ciò fu interpretato come un fatto dirompente nell’assetto delle

relazioni industriali, caratterizzato fino a quel momento da una

concertazione a tre e dall’assenza di atti autoritativi (cioè del Governo) in

materia tradizionalmente di pertinenza sindacale. A ciò fa seguito, nella

seconda metà degli anni Ottanta, un ridimensionamento della

concertazione sociale e degli accordi triangolari, anche se non vi è una

interruzione dei rapporti tra Governo e parti sociali, che vengono

consultate separatamente prima dell’adozione di importanti

provvedimenti di natura politico-economica.

La forte ripresa produttiva e di mercato connessa con

l’affermazione della Uno aprì un periodo molto contradditorio per il

sindacato poiché, già dal 1984, la Fiat iniziò a chiedere la possibilità di

ricorrere allo straordinario al sabato per alcune produzioni, ma

contemporaneamente proseguiva la cassa integrazione settimanale e

molte migliaia di lavoratori erano ancora sospesi a «zero ore» senza una

chiara prospettiva di rientro in azienda. La nuova situazione di tensione

produttiva rischiava quindi di collocare le organizzazioni sindacali in una

situazione difficile. In tal occasione esse posero la questione di

riprendere normali relazioni sindacali dopo una fase di «gelo» che era

durata alcuni anni.

La Fiat diede una risposta parzialmente positiva, la Direzione

aziendale si dichiarava disponibile a riprendere le relazioni sindacali.

Page 487: WCM (World Class Manufacturing)

137

Secondo la Fiat, la contrattazione doveva svilupparsi in base alla

logica dello «scambio», cioè secondo concessioni reciproche che

entrambe le parti dovevano prevedere.

Gli effetti di questa politica furono una serie di accordi alla fine del

1985 e nel 1986. Si aprì così una nuova fase di negoziazione in cui i

rappresentanti sindacali svolgevano un effettivo ruolo contrattuale, anche

se si presentavano situazioni molto diverse tra gli stabilimenti.

Uno degli effetti di questa mutata situazione fu la ripresa del

tesseramento sindacale, che in precedenza aveva subito un crollo

evidente.

Per quanto riguarda quindi la contrattazione aziendale il decennio

si può dividere in due fasi distinte: la prima parte, caratterizzata da una

sorta di «gelo nelle relazioni industriali», dove la contrattazione era

finalizzata quasi completamente a regolare i processi di ristrutturazione

in termini di gestione del personale eccedente.

Nella seconda metà degli anni ottanta, vi fu una ripresa della

contrattazione su molti aspetti attinenti alle prestazioni di lavoro, alla

contrattazione di straordinari, agli incrementi nell’utilizzo degli impianti,

alle assunzioni di giovani, ecc.

Nell’insieme però la Fiat aveva posto alcuni limiti alla

contrattazione a livello di stabilimento, vi era un rifiuto da parte di

quest’ultimo di aprire canali d’informazione preventiva e consultiva sui

processi di cambiamento tecnologico e organizzativo, che

inevitabilmente avrebbero allargato gli strumenti di partecipazione a

disposizione delle rappresentanze sindacali. Il rapporto della Fiat con i

sindacati si poteva definire strumentale, nel senso che l’azienda ricorreva

alla contrattazione collettiva quando ciò era strettamente indispensabile,

in termini di legge o per interessi immediati, come l’acquisizione di un

Page 488: WCM (World Class Manufacturing)

138

consenso sociale più ampio per acquisire strumenti di flessibilità della

forza lavoro, mentre quando ciò non era necessario regolava le relazioni

sociali interne con i rapporti individuali.

Questo è stato possibile anche per l’evidente divisione e le

differenti strategie che proprio su questi aspetti caratterizzavano i

sindacati, infatti su alcuni aspetti delicati come la prestazione di lavoro

mancava una reale capacità di coordinamento delle scelte di politica

contrattuale.

Gli anni novanta si presentano particolarmente ardui per la Fiat

dopo un periodo di prosperità. Il punto critico è rappresentato da Fiat

Auto, che doveva affrontare la progressiva accentuazione della

concorrenza internazionale, alimentata da una sovracapacità produttiva

strutturale e dal nuovo fenomeno dei prodotti giapponesi

particolarmente competitivi. Ormai successi come la Uno erano

improbabili, perché non era più possibile basare il risultato economico su

un modello di vettura, ma era necessaria una presenza articolata su una

moltitudine di segmenti e di nicchie di mercato per competere con una

concorrenza sempre più agguerrita.

La scena del 1990 è occupata dal rinnovo del Contratto nazionale

di lavoro dei metalmeccanici, dopo un faticoso confronto tra Fim, Fiom

e Uilm, le divisioni sindacali comportarono un’incapacità a selezionare le

rivendicazioni, perciò la piattaforma dava la sensazione di essere una

sommatoria delle proposte rivendicative di ciascun sindacato. La

conclusione contrattuale comportò molti strascichi polemici tra i

lavoratori, tra i quali era largamente diffuso un giudizio d’insufficienza

sui risultati conseguiti.

Tuttavia vi sono alcuni accordi significativi che è opportuno

rilevare. L’accordo del 27 aprile 1990 sottoscritto da Fiat Avio e i

Page 489: WCM (World Class Manufacturing)

139

rappresentanti sindacali in azienda, che introduceva una sperimentazione

di scaglionamento delle ferie. Questa è stata probabilmente l’unica intesa

sul tema che ha effettivamente funzionato in Fiat e che tuttora in vigore.

Il positivo funzionamento dell’accordo derivò dalla flessibilità con cui fu

attuato, lasciando ai singoli lavoratori spazi di discrezionalità nel gestire i

propri periodo di ferie.

Una forte innovazione rappresentava invece l’accordo del 18

dicembre 1990, che stabiliva l’insediamento di due nuovi stabilimenti al

Sud, a Pratola Serra (Avellino) per la produzione di propulsori e a Melfi

(Potenza) per quella di vetture, i cui lavori di costruzione inizieranno nel

maggio dell’anno successivo. Questo accordo produsse alcuni contrasti

all’interno delle organizzazioni sindacali poiché era evidente il rischio che

gli elevati volumi produttivi, connessi con il nuovo regime d’orario (18

turni settimanali per la produzione e 21 turni per la manutenzione),

significassero una riduzione delle attività produttive degli stabilimenti

esistenti al Nord, anche se i massimi dirigenti della Fiat si affrettarono a

garantire pubblicamente che i nuovi insediamenti meridionali erano

aggiuntivi e non sostitutivi di quelli già esistenti.

Un ulteriore particolare significativo fu quello connesso agli assetti

sociali dei due stabilimenti, che formalmente non facevano parte di Fiat

Auto, ma costituivano due società a se stanti: Sata (Società

automobilistica tecnologie avanzate) per Melfi e Fma (Fabbrica motori

automobilistici) per Pratola Serra. Tra l’altro ciò serviva a evitare

l’applicazione degli accordi sindacali del Gruppo Fiat in questi nuovi siti

industriali.

Con questi investimenti la Fiat imprimeva un nuovo corso alla

produzione automobilistica con effetti che cambieranno gli assetti

complessivi di Fiat Auto, infatti, i timori dei sindacati erano giustificati,

Page 490: WCM (World Class Manufacturing)

140

poiché Fiat Auto procedette, nel 1992, alla riduzione della capacità

produttiva al Nord, con la chiusura degli stabilimenti di Desio e

Chivasso.

Con l’inizio degli anni novanta furono avviate una serie di

sperimentazioni organizzative, il più famoso dei quali era quello

denominato «fabbrica integrata» e si proponeva di cambiare

l’organizzazione produttiva. Il modello di riferimento era quello dei

produttori giapponesi, come il just in time, la riduzione dei materiali e

delle scorte e di tutte le risorse necessarie per produrre, nonché il

miglioramento continuo del processo e del prodotto, in sostanza gli

aspetti caratteristici della lean production, di cui la Fiat voleva importare

la capacità di gestire gli elementi d’incertezza con risorse ridotte.

La novità fu colta immediatamente anche al di fuori dell’azienda e

del mondo sindacale poiché era evidente anche una sorta di autocritica

sul precedente modello organizzativo. Tuttavia, era anche evidente la

contraddizione tra la partecipazione richiesta ai lavoratori nel

miglioramento del processo produttivo e il fatto che il cambiamento era

gestito senza un rapporto contrattuale con i sindacati. Il realtà il progetto

poteva anche essere considerato una sfida nei confronti dei sindacati,

proprio per l’implicita esigenza aziendale di conquistare il consenso dei

lavoratori necessario alla partecipazione richiesta dal nuovo modello

organizzativo.

Nel corso del tempo emersero una serie di contraddizioni

nell’applicazione del nuovo modello organizzativo, in particolare vi era

un’evidente differenza tra il progetto elaborato dalla Fiat e la sua effettiva

realizzazione. Molte delle nuove modalità organizzative, quelle meno

formali e più sostanziali che attenevano ai comportamenti e ai ruoli,

restarono solo sulla carta o furono realizzate in alcuni reparti, ma non in

Page 491: WCM (World Class Manufacturing)

141

altri. Queste difficoltà e differenze furono attribuite alle resistenze

interne della gerarchia aziendale, nei fatti, anche per quanto riguarda il

rapporto con il sindacato, una parte del management Fiat lasciò trapelare

che era in atto uno scontro di opinioni tra chi pensava di tenere fuori le

rappresentanze sindacali dal nuovo progetto organizzativo e chi invece

riteneva che queste potessero dare un contributo utile all’innovazione

organizzativa e a rimuovere le resistenze della gerarchia aziendale.

Per le organizzazioni sindacali, quindi, il progetto aziendale

d’innovazione organizzativa era visto favorevolmente, sia pure con

sfumature diverse derivanti dalla diversa concezione del rapporto

contrattuale, era considerato un’occasione per un ruolo più definito delle

relazioni sindacali in azienda, date le istanze di partecipazione dei

lavoratori che erano alla base del progetto. Diversa però era la situazione

tra i rappresentanti sindacali in azienda, le cui posizioni erano molto

articolate, se da una parte vi era chi riteneva che il nuovo modello

organizzativo fosse un’occasione per un ruolo più incisivo del

rappresentante sindacale, all’estremo opposto vi era chi lo riteneva un

cambiamento limitato che in realtà non avrebbe cambiato nulla o,

peggio, un disegno per «fregare» i lavoratori. Ovviamente queste diversità

determinavano atteggiamenti diversi nei vari stabilimenti e gli stessi

comportamenti della gerarchia aziendale giustificavano sia l’una sia l’altra

posizione.

In ogni modo, alla prova dei fatti, il rapporto azienda-sindacati

non andò molto oltre l’informazione sullo sviluppo dell’innovazione

organizzativa, che restava ancorata a regole unilaterali. Mentre la

contrattazione rimaneva sostanzialmente legata a logiche di

centralizzazione, anche quando furono definite alcune sperimentazioni di

stabilimento su un sistema di premi individuali che incentivava le

Page 492: WCM (World Class Manufacturing)

142

proposte di miglioramento della qualità da parte dei lavoratori. In

definitiva mentre il management Fiat sembrava che fosse ancorato alla

visione tradizionale del sistema di relazioni sindacali, i sindacati, anche

per le loro divisioni, non furono in grado di proporsi un’impostazione

comune che allargasse gli spazi d’intervento sull’organizzazione

produttiva.

Il periodo che va dal 1991 al 1995 vede dal un punto di vista della

contrattazione, la ripresa della concertazione sociale nella forma degli

accordi triangolari, data l’esigenza dei Governi di rientrare nei vincoli

posti dal Trattato di Maastricht del 1991.

Vi furono un’alternanza di accordi che gestirono gli aspetti di

ristrutturazione, dai licenziamenti collettivi (la cosiddetta «mobilità») per

250 lavoratori ad una riduzione della capacità produttiva al Nord

attraverso la chiusura dello stabilimento di Desio e quello della Lancia di

Chivasso.

La stessa azienda si impegnò nell’attivare una serie di iniziative

industriali che avevano un duplice scopo, da una parte assorbire una

quota dei lavoratori, dall’altra costruire un indotto qualificato in relazione

ai nuovi criteri organizzativi basati sul just in time. Per i lavoratori furono

utilizzati gli strumenti tradizionali come la Cigs, i prepensionamenti e le

dimissioni incentivate, ma alla fine tutti trovarono una collocazione, in

parte nelle nuove attività produttive, in parte con trasferimenti in altri

stabilimenti Fiat.

La complessità delle trattative era anche determinata dalle divisioni

sindacali in merito alla conduzione delle trattative, dove la Fiom insisteva

molto sugli aspetti della verifica democratica con i lavoratori, prima di

firmare definitivamente gli accordi, mentre le altre organizzazioni lo

consideravano un aspetto secondario. La questione fu particolarmente

Page 493: WCM (World Class Manufacturing)

143

evidente nella trattativa per lo stabilimento di Chivasso, dove la Fiom

decise, da sola e con successo, di dichiarare due ore di sciopero per

effettuare l’assemblea con i lavoratori alla conclusione della trattativa.

Dal punto di vista dell’assetto complessivo di Fiat Auto i due

accordi smentivano i precedenti impegni della Fiat, accentuando

fortemente la tendenza alla riduzione delle capacità produttive e

dell’occupazione al Nord, contribuendo a spostare il baricentro

produttivo nel Mezzogiorno. Però nel merito della ristrutturazione non

furono utilizzate contro il sindacato ma comportarono un certo grado di

cooperazione. Del resto sarebbe stato controproducente per la Fiat una

politica antisindacale, per gli effetti negativi in termini d’immagine e

perché ciò avrebbe contrastato con le scelte di politica organizzativa e di

relazioni industriali ampiamente pubblicizzate.

Nello stesso periodo furono sottoscritti una serie di accordi che

sembravano affermare una politica di partecipazione nelle relazioni

industriali, con l’introduzione di nuovi organicismi congiunti che

avevano obiettivi consultivi o informativi come il «Comitato di

consultazione» a livello nazionale, o le «Commissioni di partecipazione»,

con il compito di monitorare l’introduzione di un nuovo istituto

premiante legato alle «Proposte di miglioramento qualità», un premio

destinato a favorire il coinvolgimento dei lavoratori, incentivando coloro

che presentavano proposte che miglioravano la qualità del processo

produttivo e del prodotto, in un’ottica molto giapponese.

L’accordo non indicava l’entità del premio, prevedeva in ogni caso

che il premio fosse limitato agli operai e intermedi, mentre erano esclusi

gli operai. La sua diffusione non fu omogenea tra i diversi reparti e

stabilimenti. In realtà si constatò che influivano molto i comportamenti

della line aziendale, che in alcuni casi favoriva il processo, in altri lo

Page 494: WCM (World Class Manufacturing)

144

osteggiava, in altri ancora lo utilizzava a favore di alcuni lavoratori in una

logica di scambio reciproco di favori. Dall’altra parte anche

l’atteggiamento dei rappresentanti sindacali aveva un’influenza rilevante

nel promuovere ed osteggiare la diffusione delle proposte a fronte una

certa diffidenza da parte dei lavoratori.

Questo sistema premiante è ancora in vigore, ma negli ultimi anni

sembra abbia perso interesse per la Direzione aziendale, che non ne

promuove più la diffusione, pur continuando a stabilire un budget di

spesa annua.

Il 1993 è stato l’anno peggiore per la Fiat, poiché al pessimo

andamento delle vendite si aggiunse il coinvolgimento dei dirigenti

aziendali e dell’amministratore delegato nelle inchieste connesse con

«tangentopoli» accomunando alle perdite economiche anche una caduta

dell’immagine pubblica.

La Fiat avviò così dei processi di ristrutturazione delle società i cui

conti economici erano negativi, come la Comau, la Teksid, l’Iveco, la Fiat

Avio, alcune società della componentistica, oltre Fiat Auto. Quasi tutti

questi accordi prevedevano una riduzione del personale attraverso la

procedura di mobilità e l’adozione dei criteri già visti per Fiat Auto

(mobilità incentivata con «aggancio» alla pensione).

Procedere poi al licenziamento dei propri quadri era un fatto

assolutamente nuovo, mai successo nella storia della Fiat, per il

particolare significato che avevano sempre rivestito queste figure nelle

filosofie aziendali, inoltre era evidente che con la loro estromissione la

Fiat rinunciava a competenze professionali non facilmente rimpiazzabili.

In effetti, durante il conflitto del 1980 la Fiat aveva fatto ricorso ai

quadri per piegare il sindacato, sancendo una sorta di «alleanza» sociale,

perciò la cosa ebbe immediatamente una risonanza nazionale.

Page 495: WCM (World Class Manufacturing)

145

La Fiat motivò questa scelta con l’esigenza di alleggerire la

struttura dei costi che era diventata troppo «pesante», soprattutto sul

versante degli impiegati, perciò propose di licenziare i quadri e gli

impiegati che avevano superato un certo limite di età, per dare loro la

possibilità di andare in pensione al termine della mobilità.

Fu richiesto da parte del sindacato l’intervento del governo. La

vertenza durò alcuni mesi e vide la straordinaria mobilitazione degli

interessati in accordo con i sindacati. I contrasti maggiori si

determinarono soprattutto sul piano industriale di rilancio della Fiat e

sulla tipologia di strumenti da utilizzare per ridurre le eccedenze, tra i

quali la Fiat insisteva sulla procedura di mobilità, mentre i sindacati si

proponevano di utilizzare soprattutto manovre di riduzione temporanea

dell’orario di lavoro con il ricorso ai contratti di solidarietà. Su

quest’ultimo punto la Fiat aveva espresso sempre viva contrarietà,

facendone un punto di principio, ma alla fine dovette parzialmente

cedere. Furono così raggiunti una serie di accordi che misero fine alla

vertenza di Gruppo.

La grave crisi economica e produttiva dei primi anni novanta,che

portò il paese sull’orlo della bancarotta, impose la necessità di nuove

regole nel sistema di relazioni industriali, che mettesse fine a un più che

decennale contenzioso sul costo del lavoro, individuando anche un

sistema di relazioni e di concertazione che avrebbe aiutato il risanamento

dell’economia.

La crisi fu superata con il Protocollo del 23 luglio 1993 sulla

politica dei redditi, sottoscritto dalla confederazioni sindacali, da quelle

degli imprenditori e dal governo. Quest’ultimo accordo rappresentò un

punto fermo e un’ancora di salvezza per il paese rispetto alla grave crisi

economica e politica della prima metà degli anni novanta, poiché stabilì i

Page 496: WCM (World Class Manufacturing)

146

cardini della politica di concertazione sociale e definì un ruolo forte per il

sindacato confederale, con un sistema di relazioni industriali basato su

due livelli di contrattazione.

Il Protocollo rappresenta uno spartiacque nell’evoluzione delle

relazioni industriali, formalizzando quindi il metodo della concertazione

sociale, sottoscritto unitariamente dalle Confederazioni (Cgil, Cisl e Uil),

attraverso un accordo triangolare (Governo, organizzazioni sindacali e

datoriali).22 Esso individua due differenti livelli di contrattazione (un

primo livello, nazionale di categoria, e un secondo livello di

contrattazione, aziendale o territoriale). È il contratto nazionale di

categoria a determinare le competenze del secondo livello mediante

clausole di rinvio. Di fatto, però, la competenza della contrattazione

decentrata è risultata abbastanza circoscritta, in quanto le materie e gli

istituti ivi regolamentati devono essere diversi rispetto a quelli retributivi

propri del contratto nazionale di categoria.

È quindi prevalsa una netta ripartizione delle competenze tra

contratto collettivo nazionale e contrattazione di secondo livello che

consente di evitare possibili conflitti tra i diversi livelli di negoziazione. Il

principio invalso nella pratica contrattuale per lungo tempo è quello del

«ne bis idem», esso fa sì che la contrattazione di secondo livello debba

esplicarsi su materie ed istituti che non siano già stati negoziati in altri

livelli di contrattazione.

Sul fronte delle relazioni tra il management e il sindacato,

l’accordo ha introdotto un meccanismo di consultazione bilaterale tra le

parti su una vasta gamma di temi e diversi livelli (azienda, stabilimento,

unità operativa). Attraverso delle «commissioni congiunte», composte da

22 Del Giudice F., Mariani F., «Compendio di diritto sindacale», Simone, Napoli, 2012, p. 144

Page 497: WCM (World Class Manufacturing)

147

responsabili aziendali e da rappresentanti delle organizzazioni sindacali

(Rsu) firmatarie degli accordi. Le commissioni affrontano argomenti

diversi, prevenzione e risoluzione del conflitto, monitoraggio del premio

di competitività, formazione, pari opportunità, sicurezza sul lavoro, ecc.

Il Protocollo ha permesso il raggiungimento di importanti obiettivi

per il nostro Paese (come l’accesso alla moneta unica europea) ed ha

svolto una incontestabile funzione regolatoria delle relazioni industriali

durata oltre 15 anni, cioè, alla stipulazione nel 2009 del nuovo Accordo

Interconfederale sugli assetti contrattuali.

A completare quanto stabilito da detto Protocollo fu sottoscritto

un accordo interconfederale, il 20 dicembre 1993, che regolamentava le

elezioni della rappresentanza sindacale in azienda, che sarebbe stata

denominata «Rappresentanza sindacale unitaria» e avrebbe detenuto

specifiche competenze contrattuali.

Nel successivo rinnovo contrattuale del 5 luglio 1994 furono

recepite le norme del Protocollo del 23 luglio 1993, stabilendo precisi

diritti di contrattazione a livello aziendale. Tra le altre cose furono

stabilite normative più precise sull’utilizzo delle riduzioni d’orario e sul

trattamento di malattia, fu concordato un nuovo sistema di previdenza

integrativa finanziato mediante quote di Tfr, infine, un aumento medio

mensile dei minimi retributivi.

Tra la fine del 1995 e l’inizio del 1996 il rinnovo del vertice

aziendale indica che la fase più acuta di crisi della Fiat è ormai passata.

Per i sindacati il miglioramento delle condizioni economiche dell’azienda,

consentirono alla Fiat la riapertura di una vertenza di Gruppo.

Furono formulate una serie di proposte, tra le quali quella di

raggruppare in un’unica vertenza l’insieme delle società del Gruppo Fiat,

compresa la Magneti Marelli, che in precedenza aveva proceduto

Page 498: WCM (World Class Manufacturing)

148

autonomamente. Tuttavia questa ipotesi resse solamente in parte, poiché

le rappresentanze sindacali della Sata e della Fma rivendicarono

l’autonomia contrattuale e pretesero di condurre una trattativa parallela a

quella della restante parte del Gruppo.

Nella fase finale della trattativa la proposta della Fiat sul premio di

risultato determinò una spaccatura tra le organizzazioni sindacali, in

merito alla risposta da dare, secondo la Fiom il meccanismo premiante

proposto dalla Fiat era molto distante dalle rivendicazioni presentate, era

legato ad indicatori estremamente aleatori per il lavoratori ed era basato

su previsioni di sviluppo poco credibili, mentre per le altre

organizzazioni poteva essere un terreno possibile d’intesa. In realtà la

Fiat aveva formulato una proposta ultimativa, un «prendere o lasciare»,

avendo compreso la divisione e la conseguente debolezza sindacale. Alla

fine la Fiom, dopo aver chiesto inutilmente la riunione del

Coordinamento nazionale Fiat, ricorse al regolamento unitario per

chiedere la riunione delle Rsu e un voto esplicito sulla proposta Fiat. Le

Rsu a maggioranza votarono a favore dell’accordo e la Fiom dichiarò di

accettare il voto delle Rsu, aderendo all’intesa ma mantenendo il

«giudizio negativo sulla proposta salariale della Fiat». Un supplemento di

trattativa servì ad includere il premio di risultato nella base del calcolo del

Tfr.

Un’ulteriore valutazione, su cui la Fiom è stata più cauta nei

giudizi attendendo di vederne gli sviluppi concreti, era quella relativa alla

parte sulle relazioni sindacali. Il fatto che la conclusione dell’accordo Fiat

sia avvenuta senza scioperi ha contribuito ad alimentare la tesi che questo

accordo abbia rappresentato una svolta sul terreno della partecipazione.

In particolare, da parte dei mezzi d’informazione era stato messo in

evidenza come una fase di passaggio e un cambiamento di mentalità nei

Page 499: WCM (World Class Manufacturing)

149

rapporti tra azienda e lavoratori richiedevano una reciproca fiducia e una

reciproca assunzione di responsabilità a tutti i livelli, ciò in conseguenza

del fatto che nelle moderne teorie organizzative il fattore umano

assumeva importanza prioritaria rispetto alle tecnologie, proprio perché

la competizione globale costringeva le aziende ad affrontare sfide difficili

per mantenere o rafforzare le proprie posizioni di mercato. In tal senso

un sistema di relazioni sindacali partecipative rappresentava un elemento

di grande potenzialità.

Nell’insieme, il sistema individuato dell’accordo del 18 marzo 1996

presenta troppe ambiguità per affermare che la Fiat abbia avuto una reale

intenzione di attuare la scelta della partecipazione con le organizzazioni

sindacali, mentre quest’ultime erano segnate dalle divisioni interne che

non consentivano un ruolo efficace nell’incalzare l’azienda su questo

terreno.

Il periodo successivo è stato caratterizzato dalla gestione dei

processi di ristrutturazione e anche da una certa ripresa produttiva e di

mercato, come dimostrano molti accordi su assunzioni, straordinari e

introduzione di terzi turni. Un accordo importante fu quello sottoscritto

il 28 giugno 1996, partito con divisioni da parte sindacale, alimentate da

preoccupazioni relative agli stabilimenti di Torino, Arese e Pomigliano,

che erano generate dalle crescenti attenzioni manifestate dalla Fiat per gli

investimenti all’estero e dai nuovi insediamenti produttivi al Sud.

L’accordo faceva il punto della situazione sul piano industriale e

delle allocazioni produttive, con i relativi effetti occupazionali, in

particolare sui risultati degli strumenti individuati per risolvere il

problema degli esuberi del personale.

Si trattava di un impegno rilevantissimo, resosi necessario per

recuperare la caduta di competitività del prodotto Fiat Auto e per

Page 500: WCM (World Class Manufacturing)

150

favorire il continuo rinnovo della gamma del prodotto. Nel confronto

era coinvolto il governo, non solamente per gli aspetti relativi agli

ammortizzatori sociali ma anche per la necessità di individuare politiche

di sostegno a favore del settore automobilistico che dessero prospettive

all’insieme degli stabilimenti esistenti.

Questi accordi si potevano considerare come una gestione

concordata del processo di rilancio della Fiat che portarono al successivo

provvedimento legislativo del governo Prodi in favore della cosiddetta

«rottamazione» delle autovetture nel 1997. Si trattava di un

provvedimento già adottato d altri paesi europei che consisteva

nell’assegnare una cospicua incentivazione fiscale a coloro che

decidevano di rottamare la propria vettura, con almeno dieci anni di

anzianità, e acquistarne una nuova. In favore del provvedimento si

spesero anche i sindacati per gli effetti positivi che implicava in termini di

stabilizzazione occupazionale, anche per favorire la conclusione della

vertenza per il rinnovo del biennio economico del Contratto nazionale di

lavoro che avverrà l’8 giugno 1999, dopo sette mesi di trattative e 36 ore

di sciopero. Oltre ad adeguare i minimo contrattuali ai tassi d’inflazione,

l’accordo prevede alcune significative innovazioni sul versante dell’orario

di lavoro, affrontando il delicato tema della flessibilità d’orario e

trasformare gli straordinari in riposi compensativi.

Oltre ai tradizionali processi di ristrutturazione, si faceva strada

una nuova modalità di riorganizzazione aziendale basata sui processi di

outsourcing , consistente nella cessione a società specifiche, di proprietà

Fiat o di terzi, di parti importanti della propria struttura produttiva.

L’obiettivo era di procedere a una razionalizzazione di queste

attività e di realizzare una presenza organizzata in un mercato, quello dei

servizi, che si prospettava particolarmente promettente.

Page 501: WCM (World Class Manufacturing)

151

Tutto ciò comporta problemi nuovi per la Fiat, poiché la

frammentazione dei lavoratori e delle responsabilità tra proprietà diverse

rappresenta concretamente una tendenza inversa all’integrazione

propugnata dal progetto «fabbrica integrata», in tal senso l’outsourcing

strategico presenta modalità organizzative e aspetti di conflitto-

collaborazione interna del tutto nuovi, che rimettono in discussione

alcuni assunti organizzativi degli anni precedenti. Dal punto di vista

sindacale le conseguenze dell’outsourcing generano una certa

frammentazione delle Rsu e una maggiore difficoltà ad organizzare la

rappresentanza dei lavoratori, il che comporta maggiori ostacoli nella

gestione dei problemi e richiede probabilmente l’individuazione di nuovi

strumenti contrattuali.

In alcune trattative con società del Gruppo Fiat, relative alla

cessione del ramo d’azienda, sono emersi tentativi aziendali di applicare

ai lavoratori «terziarizzati», una normativa contrattuale diversa da quella

del Contratto nazionale dei metalmeccanici. La proposta è stata respinta

da parte del sindacato, che pur non opponendosi ai processi di

outsourcing, ritiene indispensabile evitare una frammentazione della

normativa contrattuale all’interno della stessa azienda, perché ciò

implicherebbe strutture sindacali di diverse categorie che rappresentano

lavoratori all’interno dello stesso stabilimento, con un’evidente perdita di

controllo sulle possibilità di tutela dei lavoratori e anche con rischi di

conflitti interni.

Il Contratto nazionale di lavoro scadeva il 31 dicembre 1998, ma il

rinnovo fu particolarmente difficile per la complessità degli argomenti

posti nella piattaforma rivendicativa. L’accordo fu raggiunto l’8 giugno

1999 e prevedeva alcune significative innovazioni sul versante dell’orario

di lavoro. È il periodo in cui viene sancita la definitiva

Page 502: WCM (World Class Manufacturing)

152

istituzionalizzazione della concertazione sociale, che da prassi negoziale

diviene «metodo di condivisione di obiettivi» vincolante per tutte le parti

coinvolte, il Governo, i sindacati e le organizzazioni datoriali.

Gli anni novanta sono stati un decennio di relazioni sindacali e di

contrattazione molto contradditori, segnati dalla speranza di avviare un

nuovo e più stabile sistema di relazioni sindacali, che alla fine viene

puntualmente delusa. Gli stessi radicali processi di ristrutturazione e

riorganizzazione aziendale, che hanno modificato gli assetti produttivi e

organizzativi della Fiat, hanno contribuito ad alimentare questa speranza,

proprio perché i sistemi di partecipazione sono comunemente

considerati come più adeguati alle nuove logiche organizzative. In effetti,

alcuni momenti di «contrattazione collaborativa» si sono sviluppati, alla

metà degli anni novanta, attorno alla conduzione dei processi di

ristrutturazione, anche con la gestione concordata di tutti gli strumenti

consentiti dalla legislazione per il contenimento delle eccedenze di

personale (mobilità incentivata con accompagnamento alla pensione, Cig,

ecc.), ma ciò non ha comportato un avanzamento sostanziale del sistema

di relazioni industriali.

L’efficacia della contrattazione è stata alquanto limitata anche se,

rispetto agli anni ottanta, sono progressivamente aumentati gli argomenti

che sono stati oggetto di confronto. Una particolare incisività si è

manifestata sul governo dei processi di ristrutturazione, mentre i

sindacati hanno saputo farsi carico di incrementare la competitività

dell’azienda regolando la flessibilità, come dimostrano i molti accordi su

turni, straordinari e cassa integrazione.

Il principale successo della contrattazione è stato quello di

affrontare le ristrutturazioni e le conseguenti crisi occupazionali senza

utilizzare i metodi tipici di alcune multinazionali statunitensi, consistenti

Page 503: WCM (World Class Manufacturing)

153

nel licenziamento di migliaia di lavoratori al di fuori di qualsiasi

regolazione attuata attraverso gli accordi sindacali e gli ammortizzatori

sociali, ciò anche per effetto delle tutele legislative tipiche

dell’ordinamento italiano e dell’esistenza della cassa integrazione.

Tuttavia è indubbio che le relazioni sindacali in Fiat si basano su

un equilibrio precario, dovuto all’unione tra un sistema di contrattazione

centralizzato e un sistema di partecipazione «debole».

In realtà la Fiat continua ad affermare e praticare un sistema di

relazioni sindacali basato sulla centralizzazione dei rapporti e sulla

limitazione della contrattazione nei luoghi di lavoro, proprio per favorire

le prerogative manageriali nella gestione delle risorse umane. In tal

contesto si è determinato un andamento altalenante dei rapporti tra

azienda e organizzazioni sindacali, mentre negli ultimi anni si ravvisa una

marcata tendenza al peggioramento.

È anche opportuno rilevare la contraddittorietà di alcune posizioni

sindacali, da una parte Fim, Uilm e Fismic sembrano maggiormente

inserite nella logica di relazioni proposta dalla Fiat, cui chiedono la

legittimazione e il riconoscimento come agenti contrattuali, dall’altra

parte la Fiom si divideva tra un’impostazione più «conflittuale» e una più

disponibile a misurarsi con gli strumenti della partecipazione. Tuttavia

entrambe le posizioni hanno dimostrato molte incertezze nell’articolare

una strategia rivendicativa adeguata, in particolare non sono state

sufficientemente chiarite le impostazioni sul ruolo e sulle competenze

delle Rsu, sull’equilibrio di poteri e competenze tra strutture sindacali e

rappresentanti sindacali interni. Con qualche approssimazione si può

affermare che lo schieramento sindacale andava da chi era

ideologicamente contro la partecipazione e quindi non operava

certamente per una sua affermazione, a chi era ideologicamente a favore

Page 504: WCM (World Class Manufacturing)

154

ma non traduceva questa posizione in iniziative concrete. Ovviamente

tra questi due estremi vi erano molte posizioni intermedie, con quadri

sindacali che tentavano pragmaticamente di avviare un processo

negoziale, ma senza un coordinamento e una strategia comune, quindi

non erano in grado di sviluppare una sufficiente «massa critica» di

contrattazione.

Le incertezze nel campo delle relazioni sindacali hanno trovato

conferma anche per effetto degli accordi separati di Cassino, non

sottoscritti dalla Fiom. Il primo è quello del 15 marzo 2001 che, oltre a

tracciare un programma per l’avvio del nuovo modello della «Stilo»,

introduce la stessa metrica del lavoro di Melfi (il Tmc2) e la stessa

procedura di reclamo in caso di contestazione da parte del lavoratore che

comporta un’evidente intensificazione della prestazione lavorativa. Per

questo motivo non è stato sottoscritto dalla Fiom.

Il secondo accordo separato, del 30 luglio 2001, riguardava

l’introduzione di un regime d’orario a 20 turni (4 squadre che si alternano

sui 7 giorni della settimana) per 80 lavoratori delle manutenzioni dello

stabilimento di Cassino. L’accentuarsi delle divisioni sindacali è anche un

effetto indotto dall’accordo «separato», sottoscritto solamente da Fim e

Uilm, per il rinnovo del biennio economico dei metalmeccanici il 3 luglio

2001, con la logica conseguenza che la Fiom ha continuato con le

iniziative di mobilitazione dei lavoratori. In questo clima è anche

maturata la scelta della Fiom di dichiarare due ore di sciopero alla Fiat, il

12 ottobre 2001, per il rilancio della vertenza aziendale, tuttavia senza

esiti apprezzabili. Un risultato indiretto di questa situazione d’incertezza

e di disagio nelle relazioni sindacali si è anche misurata nella tendenza a

una generale crescita dell’assenteismo per malattia, che negli stabilimenti

più «vecchi», come Mirafiori, è arrivato a dati a due cifre, con valori che

Page 505: WCM (World Class Manufacturing)

155

erano considerati normali negli anni settanta. È logico dedurre che i

rilevanti e continui cambiamenti produttivi e occupazionali, che

caratterizzano gli attuali sistemi di produzione, generano forti elementi di

disagio tra i lavoratori. In definitiva questi aspetti continuano a segnalare

una situazione di incertezza e deterioramento delle relazioni sindacali.

Nel corso degli anni novanta si sono ulteriormente accentuati i

fattori di competizione per le imprese, con un incremento delle variabili

e quindi delle incertezze per chi opera sui mercati internazionali.

In alcuni settori la politica di globalizzazione ha consentito la

realizzazione di grandi gruppi, come la Cnh Global, che hanno occupato

posizioni di rilevo nel mercato mondiale, il rafforzamento della New

Holland e della Comau con l’acquisizione, nel 1999, di importanti

società quali la Case (macchine agricole), la Pico e la Renault Automation

(sistemi di produzione), che consentono alle due società del gruppo di

diventare leader mondiali nei rispettivi settori. Una serie di allenze

produttive (Magneti Marelli con Bosch, Teksid con Eaton, Iveco con

Renault sui bus) completano il quadro degli anni novanta.

Negli ultimi anni però non ci sono state solo acquisizioni, ma

anche rilevanti cessioni di imprese importanti, come la Fiat Ferroviaria la

cui quota di maggioranza è stata ceduta al gruppo francese Alstom, la

vendita di alcune unità produttive che compongono la Magneti Marelli.

Ovviamente le cessioni dovevano consentire anche di avere le

risorse finanziarie per coprire una parte dei rilevanti debiti generati dalle

operazioni di acquisizione. Si devono però aggiungere anche gli

insuccessi, infatti, nonostante i reiterati tentativi, dopo l’acquisizione

dell’Alfa Romeo nel 1987 la Fiat non è più riuscita ad acquisire altri

marchi di produttori internazionali di autoveicoli, come dimostra anche il

tentativo compiuto con la Volvo, che alla fine è stata acquisita dalla Ford.

Page 506: WCM (World Class Manufacturing)

156

In sintesi si può affermare che la Fiat, nel corso degli anni novanta,

accentua il tentativo di diversificare le proprie attività, cercando di

diminuire il peso specifico del settore degli autoveicoli.

Il risultato negativo di Fiat Auto è avvenuto quindi per effetto di

un mercato notevolmente cambiato nella sua composizione e

nell’accentuarsi della competizione. Inoltre si devono tener presente la

maggiore debolezza del prodotto Fiat sui segmenti di mercato medio-alti,

che sono quelli più difficili da conquistare ma che garantiscono i margini

più elevati, la riduzione dell’occupazione derivante in parte dai processi

di outsourcing, ma anche le riduzioni di personale attuate nell’ultimo

decennio. L’insufficienza dei risultati economici arriva dopo un decennio

in cui sono state investite notevoli risorse finanziarie, soprattutto nella

prima metà degli anni novanta, ma evidentemente non sono state

utilizzate in modo adeguato o con sufficiente coerenza.

L’annuncio così di una nuova fase di ristrutturazione, deciso dal

consiglio di amministrazione della Fiat del 10 dicembre 2001, non giunge

inaspettato a coloro che seguono da vicino le vicende del Gruppo e

conferma la gravità della crisi aziendale, che ha al proprio centro il

settore auto. Il piano di ristrutturazione presentato dall’azienda

prevedeva la chiusura di 18 stabilimenti (2 in Italia e 16 nel resto del

mondo) nel periodo 2002-2004, con una riduzione dell’organico di 6000

lavoratori, tutti impiegati in stabilimenti esteri, una riorganizzazione di

Fiat Auto in quattro business unit (Fiat Lancia, Alfa, Sviluppi

internazionali, Servizi per i clienti), dismissioni per circa due miliardi di

euro nel 2002, tra queste quella della Magneti Marelli, della Teksid, della

Comau, delle produzioni militari e altre ancora.

Nell’insieme si tratta di una serie di interventi che confermano la

gravità della situazione aziendale, che si dimostra ancora peggiore della

Page 507: WCM (World Class Manufacturing)

157

crisi del 1993, soprattutto per l’entità del debito che proporzionalmente

risultava superiore e per il contesto di mercato che presenta aspetti di

competitività molto più accentuati.

Un fattore importante riguarda il rapporto con i sindacati, che non

sono stati coinvolti in una trattativa sindacale preventiva sulla crisi e sui

modi per risolverla, gli stessi organismi di partecipazione, istituiti con

l’accordo del 18 marzo 1996, non sono stati attivati nei tempi e con le

modalità preventive che la gravità della situazione avrebbe richiesto. Ciò

evidenzia il fallimento del modello partecipativo aziendale che, alla prova

dei fatti, ha dimostrato la propria inconsistenza.

Nei fatti, l’azienda ha avviato il confronto sul piano di

ristrutturazione solamente nella primavera del 2002, in concomitanza

con l’apertura della procedura di riduzione del personale, mentre la

gravità della crisi era già evidente nel corso del 2001 ed era stata oggetto

di più richieste di chiarimento da parte sindacale a cui l’azienda aveva

sempre dato risposte che minimizzavano la criticità della situazione,

evidentemente per escludere un confronto reale sui problemi aziendali.

In ogni caso la trattativa ha generato una differenza di valutazione

tra i sindacati, a cui sono seguiti accordi separati. Con l’entrata in scena di

una nuova maggioranza di Governo, si assiste al progressivo abbandono

del «metodo concertativo», fondato sugli accordi triangolari (Governo,

organizzazioni sindacali e datoriali), che avevano contraddistinto per più

di un decennio il sistema di relazioni sindacali. Con la concertazione

sociale, le parti sociali non si limitano ad un ruolo di mera negoziazione

delle proprie istanze, bensì partecipano attivamente alla definizione delle

politiche economiche e sociali dell’Esecutivo. Si apre così la strada ad un

nuovo metodo che va sotto il nome di «dialogo sociale», in cui la

partecipazione delle parti sociali alla determinazione delle politiche del

Page 508: WCM (World Class Manufacturing)

158

Governo viene confinata nell’ambito di pareri e raccomandazioni cui

quest’ultimo può decidere o meno di dare seguito. Inoltre,

differentemente dalla concertazione sociale che è dotata di una portata

generale, occupandosi sostanzialmente di tutti i principali aspetti delle

politiche economiche e sociali del Governo, il dialogo sociale è settoriale

e specifico. Inoltre quest’ultimo sostituisce «alla regola della unanimità,

che era seguita sempre in passato, la regola della maggioranza, aprendo

così la strada alla conclusione di accordi tra Governo e parti sociali

“separati”».

La tecnica sostitutiva del dialogo sociale ha trovato attuazione nel

recente «Patto per l’Italia», siglato il 5 Luglio 2002 e sottoscritto dalle sole

Cisl e Uil senza la Cgil. 23

L’elemento qualificante del Patto, su cui peraltro si è prodotta la

rottura con la Cgil, è stato rappresentato dalla proposta di

modifica/sospensione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori in materia

di licenziamenti individuali, che però veniva vista dalla Cgil come una

radicale abolizione di un istituto di tutela dei lavoratori. Si può rilevare

come il rapporto tra l’azienda e l’insieme dei sindacati abbia toccato uno

dei punti più bassi nella storia degli ultimi anni.

La crisi del sistema di relazioni sindacali si evidenzia

nell’insofferenza della Fiat per le regole del confronto sindacale e

conferma la minor attenzione aziendale al tema dei rapporti sociali.

Nei fatti, l’azienda ha proceduto modificando i piani di

ristrutturazione con un accordo diretto con il governo senza un reale

confronto sindacale, ha previsto la continuazione del confronto sindacale

solamente a livello di stabilimento per gestire gli effetti occupazionali.

23 Del Giudice F., Mariani F., «Compendio di diritto sindacale», cit., p. 148

Page 509: WCM (World Class Manufacturing)

159

Ciò ha il significato di mantenere al minimo il confronto sindacale,

quello previsto dalle normative legislative per la gestione del personale

esuberante, mentre non è più previsto un tavolo nazionale di confronto e

quindi la possibilità di ridiscutere il piano industriale complessivo.

La situazione sembra successivamente aggravarsi poiché a Melfi si

stanno per preparare giorni molto difficili per la Fiat, con una situazione

sociale così tesa da indurre una ripresa delle forme radicali del conflitto

industriale, quelle di cui sembrava essersi persa la memoria, che risale a

un periodo che appartiene alla storia, invece che all’attualità, come quello

del sindacalismo militante.

Nel gennaio del 2004 si decide di concentrare la produzione della

Punto (che resta il modello più venduto e importante della gamma Fiat) a

Melfi, ma è un atto destinato ad aprire questioni più gravi di quante ne

risolva. Intanto perché la decisione aziendale getta un’ombra profonda

sulla sorte dello stabilimento di Mirafiori, contribuendo a irrobustire le

resistenze sindacali e a corroborare nelle sue posizioni la Fiom, sempre

più persuasa che il futuro di Torino finirà coll’assomigliare a una foresta

pietrificata dell’industria, con spazi enormi desertificati e abbandonati a

loro stessi da un sistema manifatturiero in rapida ritirata.

Melfi, a mezzo del decennio Novanta, era stata presentata come la

realtà che incorporava la capacità della Fiat di progettare insieme lavoro e

organizzazione. Melfi era il green-field industriale che si sostituiva ai

luoghi dell’industria dove la Fiat era cresciuta, era l’immagine del nuovo

Mezzogiorno dinamico, dove lo sviluppo industriale significava non

soltanto quantità ma anche qualità, qualità sociale per giunta.24

Tuttavia il ristagno e poi il vero e proprio declino del sistema aziendale

avevano finito col tradire le promesse di Melfi o almeno col

24 Berta G., “La Fiat dopo la Fiat, storia di una crisi. 2000-2005”, cit., p. 102

Page 510: WCM (World Class Manufacturing)

160

disattenderle, lasciando che si scavasse un divario fra i programmi

dichiarati e una condizione di fatto, in cui naufragavano le aspettative di

mobilità sociale nutrite dal modello della fabbrica integrata. Invece di una

sede di sperimentazione nella quale ibridare e mettere alla prova i

principi giapponesi della responsabilità sul lavoro, per fare di Melfi la

versione italiana di Toyota City, la routine gestionale l’avevano semmai

assimilata a Torino, ma a una Torino più povera, con salari, norme e

garanzie inferiori a quelli vigenti nel bacino storico della Fiat.

Preparata da un’azione rivendicativa che investe l’intero

comprensorio Fiat, a cominciare dalle fabbriche di componenti, il 19

aprile 2004 gli impianti lucani della Fiat si bloccano totalmente e così, a

cascata, dopo l’arresto dello stabilimento che costituisce il cuore

dell’auto, si fermerà tutta la produzione in Italia.

A lanciare l’agitazione sono la Fiom e i Cobas, cioè l’anima

radicale del sindacato, in aperto e violento conflitto con le altre

organizzazioni, la Uilm ma soprattutto la Fim-Cisl, che dei sindacati di

categoria è quello che si è speso di più per accreditare la strategia della

partecipazione. Ma la Fiom sa che la protesta trova un terreno fertile

nello scontento diffuso tra i lavoratori per le condizioni retributive e i

turni lavorativi. A Melfi si lavora di più che altrove nel sistema Fiat ed è

oneroso il meccanismo della «doppia battuta», che non intervalla

abbastanza le turnazioni più faticose, dal momento che molti lavoratori

giungono in fabbrica da lontano, dopo ore trascorse sui mezzi di

trasporto.

Nel 2004, la Fiom aveva quindi mosso il proprio attacco alla Fiat

con un’azione vasta e ben articolata. Fra il 16 e il 17 aprile aveva

sostenuto uno sciopero presso i fornitori della Fiat che aveva provocato

un arresto della produzione nello stabilimento Sata, imponendo, come si

Page 511: WCM (World Class Manufacturing)

161

dice nel gergo di fabbrica, la «messa in liberta» dei lavoratori. La mossa

seguente era stata il blocco totale della Sata e del suo comprensorio fra il

19 e il 29, mediante un picchettaggio duro ai cancelli che non s’era più

visto alla Fiat dall’ottobre dell’80. L’azione era sfociata in una progressiva

mancanza di componenti che aveva finito col paralizzare l’intera branca

italiana della Fiat Auto. Sotto l’urgenza di uno scontro che aveva effetti

dilaceranti, in un incontro a Roma con Fim, Uilm e Fismic, la Fiat aveva

accettato di andare verso il superamento della «doppia battuta». Ma

l’intesa sottoscritta il 24 aprile senza la Fiom sortì l’esito opposto a quello

sperato, acutizzò infatti la protesta della Fiom, esacerbando la

contrapposizione con le altre componenti sindacali, la Fim in primo

luogo. I picchetti si fecero ancora più duri, con lanci di sassi verso i

pullman che cercavano di portare i lavoratori in fabbrica e con scambi

d’accuse e minacce che spinsero i rappresentanti della Fim a denunciare

quelli della Fiom. La presenza della polizia, che si produsse in una carica

ai manifestanti, sembrò un salto all’indietro, in un clima antisindacale che

non sussisteva in Italia da decenni. Per la rimozione dei blocchi si

dovette attendere la fine del mese, di preciso la giornata del 29, senza

però che si interrompessero gli scioperi. La ripresa della produzione

avvenne gradualmente il 3 e il 4 maggio, mentre la trattativa si riaprì a

Roma il 5, alla presenza delle segreterie nazionali dei tre sindacati

metalmeccanici, per concludersi con la stipula di un accordo il 9.

La Fiat in un primo momento oscilla nei suoi atteggiamenti, per

qualche giorno sembra volersi tenere a una linea di intransigenza, ma in

seguito, si dirà su pressione delle banche creditrici che temono quella

sovraesposizione mediatica così negativa, sceglierà la via della soluzione

negoziale, in cui il meccanismo della «doppia battuta» veniva

ufficialmente revocato, con l’introduzione di una nuova distribuzione

Page 512: WCM (World Class Manufacturing)

162

delle ore di lavoro che permetteva turni non così stringenti come quelli

che erano stati all’origine della protesta e una congrua rivalutazione delle

paghe, che in prospettiva doveva portare al loro allineamento a quelle in

vigore presso gli stabilimenti più importanti, come Mirafiori.

Al termine della vertenza, sarà chiaro che non ci sarebbe poi

voluto molto per riuscire a evitarla. Sarebbe bastata una politica di

fabbrica meno burocratica e routinaria, più attenta, in modo da evitare

che si condensasse un denso involucro di malessere, sedimentato da un

eccessivo accorpamento di lavoratori tutti inquadrati allo stesso modo e

accomunati dai medesimi problemi.

Il ricordo dell’agitazione della primavera del 2004 che si è

depositata a Melfi, non si è affatto sopito e i contrasti precedenti non

appaiono metabolizzati dall’organizzazione di fabbrica né dalle

rappresentanze sindacali.

Il 18 settembre 2005, alle 22, era previsto nello stabilimento Sata,

l’avvio del turno aggiuntivo (il diciottesimo) sulla linea di produzione

della Grande Punto. Ma a Melfi quella sera, la linea non entra in funzione

e accadrà lo stesso nelle due domeniche successive, il 25 settembre e il 2

ottobre, quando uno sciopero organizzato unitariamente dalle tre

maggiori sigle sindacali, e appoggiato anche dalle altre, impedirà che si

attui il diciottesimo turno presentato in origine dal piano produttivo della

Fiat. Attorno alla questione dei diciotto turni riprende così un confronto

fra la direzione aziendale e i sindacati, che ripete un copione tanto

ricorrente da apparire scontato, da un lato, l’impresa ha l’intenzione di

assicurarsi la possibilità di effettuare quel turno (secondo lo schema dei

tre turni per sei giorni lavorativi) che, oltre a poter soddisfare una

domanda di mercato in crescita, garantirebbe l’economicità di gestione

dell’impianto. Dall’altro, la pressione per il turno della domenica sera si

Page 513: WCM (World Class Manufacturing)

163

scontra con una resistenza sindacale che è unitaria di facciata, ma

modulata nella sostanza, Fim, Uilm e Fismic (il sindacato di matrice

aziendale) sarebbero disposte a venire incontro all’azienda, permettendo

l’esecuzione del turno fino alla primavera, la Fiom, fedele alla sua linea di

intransigenza, parrebbe incline tutt’al più a lasciarlo effettuare fino a

gennaio.

L’episodio non rivestirebbe in sé un significato particolare, se non

si innestasse sul lungo stallo delle relazioni industriali. A Melfi il sistema

delle relazioni che lega l’impresa ai sindacati e ai lavoratori ha subito una

lacerazione che non sarà facile ricomporre. Difficile dire, infatti, chi

uscisse vincitore da quella prova di forza, le elezioni per le

rappresentanze sindacali doveva, sì, porre in evidenza un certo recupero

della Fiom, ma ottenuto a scapito dei Cobas, che perdevano oltre il 2 per

cento. L’organizzazione più penalizzata era in definitiva la Fim, quella

che aveva investito di più sia su un rapporto di concorrenza con la Fiom

sia sulla possibilità di dare un’impronta partecipativa alle relazioni

industriali. Per il resto, le variazioni non erano molte, la più rilevante era

costituita dall’incremento dell’1,5 per cento che era andato al sindacato di

destra, Ugl, sempre pronto a cavalcare la protesta sociale, specie nel

Mezzogiorno. Ma certo a perdere più di tutti era stata la Fiat, che aveva

assistito alla crisi del suo modello industriale proprio nella fabbrica

progettata, alla metà degli anni novanta, come una soluzione

organizzativa di tipo nuovo, capace di andare al di là delle vecchie

logiche di autorità del fordismo che avevano imperato a Mirafiori.

Quando anche i giorni della lotta saranno trascorsi, a Melfi

permarrà un indicatore, inquietante, del malessere che vi serpeggia, il

tasso di assenteismo più alto che negli altri stabilimenti italiani della Fiat

(imparagonabile, poi, a quello dell’impianto polacco), perfino più elevato

Page 514: WCM (World Class Manufacturing)

164

che a Pomigliano d’Arco, di cui a Torino ci si era più lamentati in

passato, perché considerata una fabbrica ostica dal punto di vista sociale.

Il fatto è che a Melfi si è fatta strada la delusione, delusi per primi i

lavoratori, o almeno quella parte di loro che ha giudicato tradite le

promesse di mobilità sociale diffuse al momento della nascita della Sata,

nei primi anni Novanta, quando si era compiuta una meticolosa selezione

del personale, poi inviato a Torino per un periodo di formazione presso

l’Isvor, la scuola interna della Fiat. Allora, l’idea dell’Unità tecnologica

elementare, Ute, era stata associata a un’immagine nuova e vincente del

lavoro industriale al Sud, come strumento, al contempo, di coesione

produttiva, di crescita professionale e di identità sociale. Una

rappresentazione che per funzionare avrebbe avuto bisogno di una

coerente e ininterrotta politica aziendale, volta a tener in vita l’obiettivo

della creazione di un’èlite industriale nel Mezzogiorno. Ma, il declino

della Fiat aveva comportato un progressivo oscuramento della qualità

della nuova forza-lavoro di Melfi, che si è trovata invece ad essere

livellata in una massa piuttosto grigia e omogenea, ben diversa da quel

nucleo industriale che avrebbe dovuto formare il punto di forza della

«fabbrica integrata» post-fordista. Una massa, per di più, che si è sentita

penalizzata, oltre che sotto il profilo retributivo e professionale, anche da

una disagevole condizione lavorativa, per la cattiva distribuzione dei

turni, per la distanza che spesso separa i lavoratori dalla localizzazione

dell’impianto e, infine, perché non piace a nessuno dover andare in

fabbrica la domenica sera, spezzando la pausa estiva.

Per giunta, lo sfasamento della vita interna della fabbrica, ormai

punteggiata da episodi di disaffezione, era stato fronteggiato per via

amministrativa, con la somministrazione di multe e provvedimenti

disciplinari che erano serviti soltanto ad acutizzare il malcontento.

Page 515: WCM (World Class Manufacturing)

165

È naturale che questa delusione o disaffezione si sia riversata sulla

componente sindacale che aveva creduto alla scommessa della «fabbrica

integrata» e aveva tentato di immedesimarsi, delineando una strategia

contrattuale non più centrata sul conflitto, ma tesa alla ricerca di spazi di

partecipazione. La Fim-Cisl, pur con incertezze e oscillazioni, aveva

impersonato quest’ultima più della Uilm o il Fismic, portatrici di un

sindacalismo moderato, piuttosto che per una convinzione maturata in

autonomia. Semmai, è proprio la Fiom a non rimanere delusa

dell’andamento di Melfi, perché vi ha trovato la riprova della via del

conflitto e di un rilancio dell’azione sindacale che faccia perno sul

ribaltamento dei rapporti di forza, invece che su un atteggiamento di

problem-solving dinanzi ai contrasti che si dischiudono continuamente

nella vita di fabbrica.

I dati di fonte aziendale ci dicono che il numero degli iscritti a un

sindacato è pari al 36,7 per cento del totale di operai, impiegati e quadri

attivi nelle strutture italiane del gruppo Fiat. Un lavoratore su tre,

dunque, esprime il proprio consenso a una forma di rappresentanza

sindacale attraverso la delega concessa all’azienda affinchè essa prelevi

dalla sua busta paga la quota mensile che verrà versata all’organizzazione

cui ha scelto di appartenere.

Non si sta più nel sindacato sull’onda di un entusiasmo collettivo

come quello che s’era divulgato nelle fabbriche al termine degli anni

Settanta. Ci si sta, magari per routine e senza una convinzione molto

salda, perché il sindacato resta uno strumento di tutela di cui è meglio

disporre, o perché, bene o male, offre pur sempre un servizio.

L’ipotesi di costruire nei decenni precedenti un sistema di relazioni

industriali in cui la fase negoziale e quella partecipativa si equilibrassero e

si compensassero non è andata in porto. Nessuna delle due parti aveva

Page 516: WCM (World Class Manufacturing)

166

saputo mettersi in gioco veramente. L’azienda e il sindacato avrebbero

dovuto rischiare di più, ma il timore era stato più forte della volontà di

trasformazione. Per avere vera partecipazione sono necessarie due

condizioni di base, un sindacato che nel suo insieme vi scommetta e

un’azienda che, dal responsabile delle relazioni industriali fino al

capofficina, ci creda. Entrambi questi presupposti sono mancati.

La Fiat ha sempre preferito avere un «sindacato subalterno», che

magari ogni tanto proclami uno sciopero ma che non entri mai nella

gestione dell’azienda e nelle sue scelte. E questo è proprio il contrario di

ciò che richiede la partecipazione.

Tuttavia, in una delle sue rarissime sortite pubbliche, l’ultimo

amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, dirà nell’ottobre

2005: «Apprezzo i leader sindacali».25 E per rincarare il valore delle sue

parole citerà esplicitamente i nomi dei segretari di Cgil, Cisl e Uil, stimati

per aver «condiviso con noi della Fiat strategie importanti».

«Considero il sindacato un nostro partner nello sviluppo del

gruppo, e non lo dico per avere la loro simpatia, ho lavorato soprattutto

all’estero, e in Francia o Germania un dialogo così aperto e intelligente

con le parti sociali se lo sognano».

L’estate del 2004 verrà così ricordata da molti dirigenti intermedi

Fiat come quella della grande epurazione. Marchionne, il nuovo

amministratore delegato di Fiat auto, porta una diversa idea di

organizzazione del lavoro e implementa i principi della fabbrica snella,

che portano ad un appiattimento della piramide del comando.

Appiattire la piramide significa ridurre la distanza tra chi decide e

chi produce. E in fabbriche gigantesche come Mirafiori quella distanza

25 Berta G., «La Fiat dopo la Fiat, storia di una crisi. 2000-2005», cit., p. 138

Page 517: WCM (World Class Manufacturing)

167

era spesso abissale. Si procede così ad uno sfoltimento di capi e figure

intermedie, contemporaneamente Marchionne cerca di rendere meno

grigi gli stabilimenti, c’è una logica ferrea in questa strategia, ridurre al

minimo il numero degli improduttivi e valorizzare chi lavora in linea e

dunque produce. Tuttavia, all’inizio del 2005 la qualità del lavoro nella

grande fabbrica non doveva essere migliorata in modo significativo, se il

70 per cento degli operai di Mirafiori, rispondendo a un questionario

della Fim, dichiara che non consiglierebbe al proprio figlio di lavorare in

Fiat.

Dopo il «divorzio consensuale» tra Fiat e Gm, le due aziende

sciolgono le joint venture ma continueranno a mantenere la

collaborazione industriale, almeno per un certo periodo.

Il divorzio di San Valentino, galvanizza il mondo Fiat. Non solo e

non tanto per il miliardo e mezzo di euro che entra nelle casse

dissanguate del Lingotto quanto per quella libertà e quell’orgoglio

ritrovati che Montezemolo sintetizza nella frase: “Da oggi la Fiat è tutta

italiana”.

Le organizzazioni sindacali aveva seguito le vicende della trattativa

con lo stato d’animo di chi sa che una vendita forzata con l’arrivo di Gm

avrebbe potuto significare la catastrofe. Dopo il divorzio dalla Gm e

liberata dal gioco delle banche convertendo, nell’autunno del 2005, la

Fiat deve dimostrare di saper fare da sola. I timori sulla chiusura di

Termini Imerese e di Mirafiori non si erano mai del tutto sopiti, mentre

su Termini Imerese i rischi sono legati ai problemi logistici dello

stabilimento siciliano, troppo piccolo per giustificare gli investimenti

necessari a produrre nuovi modelli, Mirafiori soffre della malattia

opposta, il gigantismo.

Page 518: WCM (World Class Manufacturing)

168

Nel 2006, il clima di collaborazione tra le parti produce i maggiori effetti

proprio a Torino, luogo storico del conflitto sociale del Novecento. Fin

dall’anno precedente è chiaro che per avere diritto a un futuro a Mirafiori

non può basarsi solo sulla produzione delle monovolume e dei modelli di

gamma alta. Ad aprile 2005 il Lingotto annuncia un paino di cassa

integrazione dovuta ai cali di mercato che coinvolge sia 5000 operai della

carrozzeria sia 1500 impiegati.

Tra i sindacati e gli osservatori si fa strada l’idea che senza grandi

volumi produttivi la fabbrica è destinata a una inesorabile agonia. Quel

che preoccupa Fiom, Fim, Uilm è che l’assenza di una produzione di

massa finisca per avere conseguenze negative anche sull’indotto,

costituito da medie e piccole aziende che nel Torinese lavorano per il

Lingotto.

Il primo passo per rendere competitiva Mirafiori è ridurla di

dimensioni. Il secondo è quello di portare una produzione di grandi

volumi. È su questi due punti che inizia una trattativa a tre, istituzioni

locali, Fiat, sindacati.

L’accordo viene firmato il 23 dicembre 2005 nella sede della

regione Piemonte, prevede appunto che gli enti locali torinesi

costituiscano, insieme alla Fiat una società per rilevare e gestire una fetta

di 300 000 metri quadri della fabbrica da utilizzare per insediare altre

aziende. Gli enti locali torinesi spendono circa 70 milioni di euro, in

cambio la Fiat promette di attrezzare una delle linee per produrre circa

80 000 Grande Punto all’anno che siano aggiuntive a quelle realizzate

nello stabilimento di Melfi. La festa per l’inizio della produzione della

Grande Punto a Mirafiori è uno dei momenti in cui il clima di

collaborazione tra Fiat e sindacati è più evidente.

Page 519: WCM (World Class Manufacturing)

169

La Fiat ha l’occasione di voltare davvero pagina quando l’amministratore

delegato incontra a Palazzo Chigi i rappresentanti di governo e sindacati.

Marchionne porta con sé un dossier di venticinque pagine contenente il

piano industriale 2007-2010.

Per la prima volta il piano mette nero su bianco i problemi di

Termini Imerese. La fabbrica che eredita Marchionne intorno al 2005

risente già del ridimensionamento decretato gli anni precedenti.

Nel 2005 le aziende dell’indotto vengono pesantemente ridotte e si

stabilisce che le parti per assemblare la Ypsilon, il modello Lancia

prodotto nello stabilimento siciliano, arriveranno dal polo della fornitura

della piana di San Nicola, l’area industriale che circonda lo stabilimento

lucano di Melfi. Si deve aggiungere a questo particolare il fatto che a

Termini non c’è mai stato un reparto presse. Tutto congiura, insomma,

verso la chiusura. Le pari della Ypsilon, compresi i pezzi di lamiera già

stampati, arrivano dalla Basilicata e dagli altri stabilimenti italiani della

fornitura. Raggiungono Termini, vengono assemblati, diventano

automobile e in grandissima parte ripartono dalla Sicilia verso i

concessionari sparsi lungo lo Stivale. Un viaggio di andata e ritorno che

influisce pesantemente sui costi di produzione. Se si aggiunge che quei

costi si distribuiscono un numero limitato di automobili, meno di 100

000 all’anno, è difficile dar torto a chi ritiene che quella sia una realtà

industriale economicamente insostenibile.

Avendo promesso che «nessuno stabilimento italiano verrà

chiuso», Marchionne deve ora trovare una soluzione per rendere

economica la produzione in Sicilia.

Gli incontri tra azienda, sindacati e istituzioni iniziano in giugno a

Palermo e proseguono fino a novembre. Si segue un principio base, per

vivere, Termini deve diventare più grande, perché solo con i grandi

Page 520: WCM (World Class Manufacturing)

170

volumi produttivi si giustificherà il ritorno nell’isola delle aziende della

fornitura, che non sopravvivono su piccole commesse. Poi si tratterà di

realizzare un reparto presse.

Il 25 gennaio, a Siena, Luca Cordero di Montezemolo interviene

come presidente di Confindustria a un convegno di imprenditori, e dice

che quel che gran parte dell’Italia pensa: «Mentre gli imprenditori siciliani

combattono contro il pizzo, il governatore della Sicilia viene condannato

a cinque anni di reclusione e decide di restare al suo posto». Salvatore

Cuffaro era stato condannato per rivelazione di segreto d’ufficio e

favoreggiamento nei confronti di alcuni esponenti di famiglie mafiose.

Il giorno dopo la dura dichiarazione di Montezemolo, Cuffaro si

dimette non senza essersi rifiutato di approvare il provvedimento che

avrebbe sbloccato i finanziamenti per Termini. Qualcuno vede in questo

gesto una ritorsione per le dichiarazioni del presidente della Fiat.

Si chiude così di fatto la possibilità di rilanciare lo stabilimento di

Termini Imerese che sembra oramai nei piani della Fiat, aver perso il

treno. Il lancio della 500 segna l’ultima tappa della rinascita del Lingotto

a cui si somma quella della nuova Bravo.

È l’anno 2007, quando, nonostante un ripresa del metodo

concertativo (il Protocollo su «previdenza, lavoro e competitività» segna

la ripresa insoddisfacente del metodo concertativo.26 La nuova

compagine governativa di centro-sinistra dichiara, nel proprio

programma elettorale, la volontà di far riprendere corso alla

concertazione per acquisire il consenso sociale indispensabile per la

realizzazione degli obiettivi urgenti e difficili. In realtà i primi passi della

nuova concertazione sono avvenuti su un terreno alquanto accidentato,

26 Del Giudice F., Mariani F. «Compendio di diritto sindacale», cit., p. 149

Page 521: WCM (World Class Manufacturing)

171

non essendo stata agevole la mediazione tra sindacati e parte

imprenditoriale, ed hanno messo in evidenza il permanere delle

problematiche che sin dalle origini hanno riguardato il metodo

concertativo, quest’ultimo presuppone che la parte sindacale che firma

sia forte e radicale, in modo da non veder poi ripudiato quanto da essa

convenuto), l’amministratore delegato spiega che tra le ragioni che

avevano consentito alla Fiat una ripresa così rapida era la difesa di un

modello di relazioni sindacali basate sul dialogo e sul confronto. Questo,

del resto era stato uno degli ingredienti che a Torino aveva consentito la

sopravvivenza di uno stabilimento come Mirafiori. Marchionne teorizza

pubblicamente quel modello: «In Fiat abbiamo ottenuto risultati

importanti sulla via del dialogo. Dopo dieci anni, e senza un’ora di

sciopero che è caso più unico che raro in Italia, è stato rinnovato il

contratto integrativo aziendale. Dopo dieci anni sono stati assunti in

fabbrica i primi giovani, in cambio di turni straordinari di lavoro.

Abbiamo siglato un importante accordo con le istituzioni locali per la

riqualificazione di Mirafiori. I risultati raggiunti da Fiat dimostrano che

trasformazioni simili sono possibili anche in un paese con una forte

coscienza sindacale e con quello che la maggior parte dei commentatori

anglosassoni chiamerebbe “struttura del lavoro poco flessibile”.

In seguito al resoconto fatto da Marchionne sullo stato di salute

della Fiat, il 4 dicembre 2007, il Lingotto annuncia l’avvio dell’operazione

Pomigliano. La fabbrica napoletana che produce i modelli dell’Alfa

Romeo non è evidentemente in grado di tenere il ritmo degli altri

stabilimenti italiani e anche i finanziamenti pubblici per

l’ammodernamento concessi negli anni precedenti non sembrano aver

sortito l’effetto sperato, o comunque non sembrano essere stati utilizzati

in maniera in modo efficace per raggiungere l’obiettivo. Il problema non

Page 522: WCM (World Class Manufacturing)

172

dichiarato da nessuno, ma da tutte le parti sussurrato con certezza, è che

la fabbrica napoletana fosse in parte fuori controllo. O, se si preferisce,

in parte influenzata dai poteri delle stesse organizzazioni criminali che

spadroneggiano nel territorio circostante. Il Lingotto annuncia così la

chiusura dello stabilimento per due mesi, dal 7 gennaio al 2 marzo 2008,

decide l’investimento di 70 milioni per «riorganizzare il processo

produttivo secondo i principi del World Class Manufacturing» e

promette un vasto piano di formazione per tutti i dipendenti.

Il piano prevedeva che oltre ai modelli dell’Alfa venisse realizzata

anche la Bravo, una produzione trasferita da Cassino, dove intanto

venivano preparate le linee della nuova Lancia Delta. «In prospettiva,

dice Marchionne, Pomigliano e Cassino diventeranno un unico polo

produttivo».

L’annuncio del piano di ristrutturazione viene accolto con favore

dai sindacati. «Una proposta innovativa, una sfida per tutti» commenta il

leader della Cisl, Raffaele Bonanni. Si dice soddisfatto il segretario della

Uil, Luigi Angeletti. Ma soprattutto è buono il giudizio di Gianni

Rinaldini, segretario generale della Fiom «Il piano è una sfida positiva

che, in quanto tale, deve coinvolgere le strutture sindacali». L’unica

eccezione è rappresentata dai Cobas, che indicono due ore di sciopero

contro la «serrata toyotista» di Marchionne. Le posizioni dei sindacati in

questa fase sono importanti perché è proprio nella gestione

dell’operazione Pomigliano del 2008 che cominciano a intravedersi i

germi del futuro scontro sull’accordo del 2010. È evidente infatti che

l’operazione di restyling della fabbrica presenta problemi a livello locale

sia per i sindacati sia per la Fiat.

Page 523: WCM (World Class Manufacturing)

173

I problemi sindacali sono legati a una presenza dei Cobas

particolarmente combattiva, che mette la Cgil nella condizione di dover

far da cuscinetto tra gli altri sindacati confederali.

La sera del 3 dicembre, prima dell’annuncio pubblico, Sergio

Marchionne aveva illustrato il piano per Pomigliano a Guglielmo Epifani,

Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, i tre segretari generali di Cgil, Cisl e

Uil. Un passaggio necessario ma anche un segno di rispetto dell’Ad del

Lingotto nei confronti dei sindacati. La questione, di cui non è certo

responsabile Marchionne ma che è nei fatti, è che, come si vedrà,

Epifani, a differenza dei suoi colleghi, non ha la forza di imporre ai suoi

metalmeccanici una linea diversa da quella scelta dalla Fiom. E questa

difficoltà sarà all’origine degli scontri successivi a Pomigliano.

Il rovescio della medaglia è in casa Fiat dove si manifestano, per la

prima volta, segnali di un evidente conflitto tra vecchio e nuovo che

esploderanno anch’essi nello scontro del 2010. Perché un conto è far

nascere «la nuova Fiat» negli spot pubblicitari, un altro è applicarla nella

realtà delle fabbriche, dove gran parte dei capi intermedi oppone

resistenza passiva perché più a suo agio nella vecchia logica dello scontro

che nella nuova della collaborazione.

Così, all’inizio di gennaio, i corsi di formazione partono sotto i

peggiori auspici. In fabbrica si presenta un buon numero di sorveglianti

che controlla lo svolgimento delle lezioni. Questo fatto, in evidente

violazione degli accordi, diventa l’occasione per una serie di scioperi e

cortei interni che, di fatto, bloccano i corsi. La Fiat reagisce con sette

lettere di licenziamento. Tutti i sindacati le giudicano una «inaccettabile

forzatura». Da Torino arriva l’ordine di evitare lo scontro, il 17 febbraio

la Fiat incontra i sindacati all’Unione industriale di Napoli e annuncia il

ritiro delle lettere di licenziamento. I sette lavoratori verranno retribuiti

Page 524: WCM (World Class Manufacturing)

174

anche per i giorni che hanno trascorso fuori dallo stabilimento in seguito

ai provvedimenti di sospensione.

La tempesta si placa perché nessuno dei protagonisti ha interesse,

nel momento più delicato della riconversione di Pomigliano, a forzare i

toni. E forse perché ciascuno vuole provare a credere fino in fondo alla

possibilità che la ristrutturazione dello stabilimento coincida con il

superamento delle vecchie logiche dello scontro di fabbrica. Che,

insomma, la «nuova Fiat» possa davvero esistere anche sul piano delle

relazioni sindacali. Ma per ambedue i fronti il conflitto è solo rimandato

di due anni.

Il piano di sviluppo 2007-2010 si fondava su una domanda

tendenzialmente in crescita in cui la Fiat riusciva a consolidare e

migliorare la sua quota del 30 per cento del mercato italiano e tentava di

avvicinarsi al 10 per cento di quello europeo. Il crollo dei consumi

tuttavia toglie la sedia su cui poggiava questo progetto e torna a mettere a

rischio l’occupazione degli stabilimenti italiani. Per il momento la

risposta della Fiat è un massiccio ricorso alla cassa integrazione che, a

cavallo delle vacanze di Natale, coinvolge circa 48 000 dipendenti italiani

lasciandoli a casa per un mese. Quel che sarebbe necessario, dicono i

sindacati durante uno sciopero, è un intervento del governo italiano a

sostegno del settore.

Il governo italiano, invece, non particolarmente incline ad

accogliere le istanze di Torino, sceglie la strada dell’astensione

trincerandosi dietro i sacri principi del liberismo che francesi e tedeschi

stanno calpestando per salvare le loro industrie nazionali.

Bloccata quindi la strada di un piano europeo per l’auto che metta

tutti sullo stesso piano, la Fiat tenta di far fronte alla crisi agendo su due

fronti. Quello interno dell’organizzazione del lavoro e quello esterno

Page 525: WCM (World Class Manufacturing)

175

delle alleanze. I due aspetti sono strettamente legati, all’inizio di dicembre

Marchionne dichiara che «in futuro rimarranno solo cinque, sei

costruttori e per far fronte alla crisi è necessario allearsi, perché

l’indipendenza non è più sostenibile». Ma se l’alleanza non è possibile

realizzarla nell’Europa del welfare, evidentemente occorre cercarla fuori

dal vecchio continente, dove le regole della competizione e

dell’organizzazione del lavoro sono diverse.

4.2. Affare Chrysler e tentativi di acquisizione della Opel

È il novembre del 2008 quando sull’altra sponda dell’Atlantico la crisi si

stava mangiando il mercato dell’Auto colpendo particolarmente i

costruttori americani. Le tre case di Detroit (Chrysler, Gm e Ford)

chiedono all’amministrazione Obama 25 miliardi di dollari per non

morire27. La crisi divampa in un momento delicato. Il presidente eletto,

Barack Obama, non è ancora in carica mentre il suo predecessore,

George Bush, lascerà il comando il 31 dicembre. Si verifica così negli

ultimi giorni del 2008 un autentico paradosso della storia. Dopo

settimane di braccio di ferro, con il Senato che rifiuta di approvare il

piano da 25 miliardi chiesto dalle case americane, tocca proprio al

repubblicano George Bush autorizzare il prestito ponte di denaro

pubblico che dà a Chrysler e Gm il respiro necessario per salvarsi. Ford

ha già fatto orgogliosamente sapere che non ha bisogno di aiuti pubblici.

Il prestito concesso da Bush e approvato da Obama non è a costo

zero, le due case automobilistiche si impegnano entro il 30 marzo a

presentare un piano di rientro e di ritorno alla profittabilità. Dunque

27 Griseri P. «La Fiat di Marchionne. Da Torino a Detroit», Einadi, Torino, 2012, p. 137

Page 526: WCM (World Class Manufacturing)

176

Chrysler ha ora tre mesi di tempo per trovare una soluzione che le

consenta di uscire dalla strada stretta che conduce al fallimento. E per

dare un futuro alle decine di migliaia di dipendenti che lavorano negli

stabilimenti di Detroit e dintorni, dove la chiusura significa la

disoccupazione immediata.

Nel primo pomeriggio del 20 gennaio, il Lingotto diffonde un

comunicato intitolato «Fiat Group, Chrysler Llc e Cerberus Capital

management Lp» annunciando un’alleanza strategica globale. È la

conferma alle voci che circolavano da qualche settimana

sull’interessamento di Torino per la moribonda casa automobilistica

americana. Cerberus è il fondo di investimento che nel 2007 ha rilevato il

pacchetto di azioni Chrysler precedentemente posseduto dai Tedeschi di

Daimler-Mercedes.

La lettera prevede che la Fiat dia a Chrysler l’accesso alle

piattaforme e alle tecnologie in grado di realizzare automobili a basso

impatto ambientale e a integrare la gamma dei prodotti della casa

americana. Inoltre gli italiani concedono a Chrysler di utilizzare la loro

rete di concessionari, soprattutto in Sudamerica e in Europa dove e più

capillare il loro insediamento. In cambio Fiat otterrebbe il 35 per cento

delle azioni Chrysler senza alcun esborso economico.

In realtà i primi contatti tra Fiat e Chrysler risalivano all’estate del

2008. Nei primi sette mesi dell’anno la piccola di Detroit cominciava ad

avvertire gli effetti della grave crisi del mercato. Si provò a ricorrere ai

ripari intervenendo su due fronti, quelle delle alleanze industriali per

integrare la gamma con modelli medio piccoli a basso consumo e quello

dei tagli di organico. Sul piano delle alleanze era stato costruito un solido

rapporto con la Nissan. In questa logica erano nati i primi contatti anche

con Torino, perché uno degli obiettivi di Marchionne era quello di

Page 527: WCM (World Class Manufacturing)

177

valorizzare il marchio Alfa riportandolo sul mercato americano dopo

decenni di assenza.

Tuttavia, più trascorrono i mesi più l’aggravarsi della crisi rende

urgenti misure drastiche. In due anni Chrysler ha già tagliato 33 000 posti

di lavoro su 100 000, entro un mese dovevano lasciare gli uffici 5000

impiegati. I vertici ella società studiano possibili fusioni. Si ipotizza

addirittura la nascita di un unico gruppo con Gm. Una scelta che avrebbe

conseguenze sociali catastrofiche per le evidenti sovrapposizioni tra le

due società, si brucerebbero istantaneamente 400 000 posti di lavoro.

È in questo quadro drammatico che nasce l’idea dell’alleanza

globale fra Torino e Detroit. Agli occhi della Chrysler la Fiat ha le

caratteristiche non dissimili dai Giapponesi della Nissan, già da tempo

alleati con i Francesi della Renault.

L’idea dell’alleanza con gli Italiani incontra incoraggiamenti e

diffidenze oltreoceano. Ma la situazione è talmente grave da rendere

superfluo il dibattito tutto ideologico sull’opportunità di mettere

un’azienda americana in mani straniere. I veri ostacoli verranno semmai

da un trattativa dura tra la Fiat, il Tesoro Usa e i sindacati americani. E

sovente saranno proprio i sindacati a trovarsi nell’angolo. Nasce in quei

giorni l’idea che per ristrutturare, per tornare all’utile, è necessario

smantellare buon parte delle conquiste sindacali degli anni precedenti.

Una scelta giustificata in Chrysler con il rischio di fallimento ma che

verrà riproposta da Marchionne in Italia successivamente. Alcuni punti

significativi dell’accordo che verrà stretto all’inizio del 2009 con il

sindacato Usa si ritroveranno dodici mesi dopo nella contestata

accordistica che in Italia andrà sotto il nome di «contratto di

Pomigliano».

Page 528: WCM (World Class Manufacturing)

178

Si passa così «dalla cultura dei diritti a quella della povertà», fin dal 2007

c’era un accordo che istituiva il doppio salario, i nuovi assunti venivano

pagati 14 dollari l’ora, esattamente la metà dei 28 dollari della paga base

prevista dagli accordi. Per evitare che i 14 dollari diventassero la nuova

paga per tutti, l’accordo prevedeva che il salario dimezzato fosse

corrisposto a non più del 12 per cento dei dipendenti. In questo modo

man mano che andavano in pensione i più anziani, i più giovani li

sostituivano nella paga piena. In sindacato concede a Marchionne di

alzare la percentuale di lavoratori con la paga dimezzata. Ma questa

misura non è considerata sufficiente dal manager di Torino, che chiede al

sindacato altri sacrifici per ridurre ulteriormente il costo del lavoro. La

trattativa entra in una fase di stallo al punto che si pensa alla cessione di

Chrysler alla Gm con le inevitabili conseguenze sociali , un taglio di 40

000 posti di lavoro. Tocca agli uomini di Obama avanzare la proposta

che porterà all’accordo con Marchionne e che farà discutere anche in

Italia, il sindacato si impegna a non chiedere aumenti delle paghe per due

anni, fino a tutto il 2011 e, soprattutto, a non scioperare fino a tutto il

2015. Al termine degli incontri, l’accordo viene firmato e il

capodelegazione della fiat si alza sul tavolo porgendo la mano al

capodelegazione del Uaw che non fa altrettanto e rifiuta la stretta.

Diventerà d’attualità anche in Italia la frase del negoziatore di Obama alla

Fiat «Avete appena cancellato un secolo di contrattazione collettiva»,

punti dell’accordo di Detroit che, dodici mesi dopo, la Fiat inizierà a

imporre in Italia a partire da Pomigliano.

La trattativa di Marchionne non finisce con l’accordo in Usa,

perché Chrysler possiede stabilimenti anche in Canada. Qui però il

manager di Torino gioca in casa, avendo vissuto a Toronto

dell’adolescenza fino agli anni Duemila. L’accordo si trova sulla stessa

Page 529: WCM (World Class Manufacturing)

179

falsariga di quello americano. Al termine della trattativa Obama elogia il

sacrificio dei lavoratori che hanno accettato di ridurre la propria

retribuzione. In quel momento Torino avrà così conquistato il 51 per

cento della casa di Detroit.

Non si sono ancora spenti i riflettori sulla nuova alleanza

americana che Marchionne procede con l’operazione Opel, un sogno che

nemmeno Marchionne sulla cresta dell’onda del 2009 riuscirà a

trasformare in realtà. In Germania i sindacati vedono con diffidenza

l’arrivo di Marchionne perché temono tagli e chiusure di stabilimenti.

Nonostante le rassicurazioni dell’Ad, si capirà soltanto nelle settimane

successive che nei piani di Marchionne c’è la chiusura dello stabilimento

berga di Anversa.

La Germania, a differenza di quanto farà l’Italia nei mesi successivi,

condiziona l’assenso del governo e vincola le scelte di Marchionne a

precisi parametri per difendere gli interessi dei lavoratori tedeschi.

Il manager del Lingotto rispetta i vincoli imposti dal governo di Berlino e

chiede in cambio un finanziamento pubblico di 5-7 miliardi a garanzia

dei debiti ereditati dalla precedente gestione di Opel. Indiscrezioni

lasciano capire che, al termine della trattativa, Fiat sarebbe disposta a

mettere sul piatto un miliardo di euro.

I sindacati tedeschi alzano invece un fuoco di sbarramento, il piano di

Marchionne creerebbe grandi problemi alla Fiat. Secondo un sindacalista

tedesco la Fiat non poteva entrare nella Opel solo per risolvere i suoi

problemi usufruendo delle garanzie statali.

Improvvisamente nella trattativa in cui si discute di un’azienda tedesca

sull’orlo del fallimento la discussione vira sui problemi della Fiat, come

se fossero i Tedeschi a fare un favore agli acquirenti italiani.

Page 530: WCM (World Class Manufacturing)

180

«Non ci può essere nessun tentennamento, noi difenderemo tutti gli

stabilimenti italiani», risponde il leader della Cgil, Guglielmo Epifani. «la

Fiat sta meglio di Chrysler e Opel, non si vede perché debba essere

sacrificata», replica il leader della Uilm, Luigi Angeletti.

Preoccupazioni e timori che perderanno presto di attualità perché nella

notte tra il 28 e 29 maggio Sergio Marchionne si conclude

traumaticamente.

In sostanza Berlino aveva chiesto a Torino un finanziamento immediato

al buio per tamponare la falla dei disastrosi bilanci della Opel, senza che

si conoscesse la reale entità del deficit. Nel frattempo il governo tedesco

avrebbe studiato un prestito ponte da concedere alla stessa Opel per

evitare il fallimento in attesa dell’arrivo di una nuova proprietà. A queste

condizioni Marchionne preferisce lasciare. La lezione tedesca per

Marchionne è stata dura. Ha insegnato al manager di Torino che non è

facile trattare quando si ha di fronte un governo che mette al primo

posto la difesa degli insediamenti produttivi e dei posti di lavoro,

variabile indipendente negli Stati Uniti ma non nella vecchia Europa di

tradizione socialdemocratica. Gli ha anche insegnato che uno non smette

mai di portarsi dietro la propria carta d’identità, «I Tedeschi non mi

hanno dato Opel perché ero italiano», dirà due anni dopo l’Ad.

Lo smacco tedesco rischia di avere ripercussioni di immagini anche in

America, incominciano a chiedersi in quei giorni se la Fiat abbia la

solidità necessaria per salvare la Chrysler, la stessa domanda che era

riecheggiata sulla stampa tedesca riferita alla Opel.

Deluso dalla campagna tedesca, Marchionne troverà soddisfazione nei

risultati americani. Ora la battaglia principale si sposta nuovamente in

Europa e in particolare in Italia.

Page 531: WCM (World Class Manufacturing)

181

Molti, infatti, cominciano a chiedersi quali saranno le sorti degli

stabilimenti italiani. Il «Progetto Fenice», presentato da Marchionne

prevedeva la chiusura di due stabilimenti, uno al Nord e uno al Sud. Il

Lingotto smentisce seccamente ma i sindacati italiani chiedono

chiarimenti. L’incontro tra Marchionne, le parti sociali e il governo si

svolge il 18 giugno 2009. Se anche il «Progetto Fenice», fosse un piano

del tutto inesistente , un fondo di verità lo conterebbe comunque, perché

effettivamente, in fondo alla prima pagina del comunicato ufficiale, il

Lingotto annuncia la chiusura di Termini Imerese il 31 dicembre 2011.

L’idea di realizzare nello stabilimento siciliano produzioni diverse da

quella automobilistica, sembra più un escamotage per addolcire la pillola

che una possibilità reale.

L’annuncio della chiusura provoca scioperi e proteste a Termini, dove

vengono bloccate le linee e viene occupata l’autostrada Messina-Palermo.

Sono i primi giorni di una battaglia che non non raggiungerà l’obiettivo

di far cambiare idea a Marchionne, ma solo di trovare un’alternativa

produttiva, a partire dal 2012, non prova di punti interrogativi.

Quello che l’amministratore delegato del Lingotto presenta a Palazzo

Chigi nel giugno 2009 è un programma-ponte in attesa dell’annuncio dei

progetti per il quinquennio 2010-2014 che verrà fatto nell’aprile del 2010.

Già nel giugno del 2009 Marchionne chiede un rigoroso contenimento

dei costi di struttura e la possibilità di rispondere con tempestività alle

richieste di mercato. Questo non richiede solo il rispetto della normativa

sulla flessibilità ma significa anche essere consapevoli che azioni di

conflitto immotivate portano solo danni perché non fanno altro che

regalare occasioni d’oro alla concorrenza. Passaggio importante alla luce

dello scontro che si scatenerà dodici mesi dopo proprio sulla questione

dello sciopero.

Page 532: WCM (World Class Manufacturing)

182

Per il momento comunque lo scontro sullo sciopero è ancora

un’eventualità lontana. La Fiat cerca di far fronte alla crisi con altri

mezzi. Soprattutto chiedendo al governo italiano e anche all’Europa di

tamponare la situazione con nuovi incentivi all’acquisto di auto.

I sindacati e le forze politiche chiedono di conoscere nell’immediato

quale sarà il futuro degli insediamenti italiani. Ma il Lingotto è restio a

fornire indicazioni mentre ancora si stanno studiando le sinergie

possibili. Dunque, il 22 dicembre 2009, all’incontro di palazzo Chigi con

governo e parti sociali, Marchionne arriva con il progetto produttivo

2010-2011, un antipasto del piano quinquennale che verrà invece

illustrato il 21 aprile successivo. Nel piano di dicembre la Fiat conferma

la chiusura della produzione automobilistica a Termini Imerese al 31

dicembre 2011.

La vera novità del piano di dicembre è la scelta di portare a Pomigliano la

produzione della nuova Panda, questa scelta sembra andare nella

direzione di riequilibrare i paesi tra Italia ed estero, che porteranno ad

una radicale trasformazione delle relazioni sindacali per rinegoziare

l’accordo sia a livello nazionale che locale.

Rimane invece insoluto il problema degli stabilimenti dove si realizzano i

modelli della gamma medio alta. Non tanto Cassino, che con la

produzione di Bravo, Delta, Croma e in un prossimo futuro Giulietta,

sembra comunque aver garantito un pacchetto di modelli in grado di

mantenere l’equilibrio della fabbrica, quanto Mirafiori. La produzione

della Grande Punto, giunta grazie alle pressioni per salvare il futuro dello

stabilimento, è stata una breve fiammata durata alcuni mesi. Poi la linea è

stata utilizzata per produrre la Punto Classic. Nel 2010 il resto della

gamma dello stabilimento è costituito da modelli che stanno per andare

in pensione, la Multipla, la Thesis e l’Alfa 166, le due piccole

Page 533: WCM (World Class Manufacturing)

183

monovolume Idea e Musa. Le aspettative per il futuro sono legate

principalmente alle vendite dell’Alfa Mito, l’ultima arrivata. Ma è difficile

pensare che uno stabilimento di 5000 persone come Mirafiori

Carrozzeria possa reggersi sulla sola produzione della Mito. Per questo i

sindacati sono preoccupati e temono che, rimanendo questo il mix

produttivo, siano a rischio tra i 2000 e 2500 posti nello stabilimento

torinese. Ipotesi che il Lingotto smentisce seccamente con un

comunicato ufficiale.

Il giorno della verità è il 21 aprile 2010, quando al Lingotto Sergio

Marchionne disegna le strategie del gruppo fino a tutto il 2014. Ognuno

dei quattro stabilimenti italiani di produzione automobilistica,

confermata la chiusura di Termini Imerese, raggiungerà secondo il piano

industriale, la sua massima capacità produttiva. A Mirafiori l’arrivo di

nuovi modelli dei segmenti B e C (utilitarie e medie) dovrebbe portare a

un aumento di 100 000 auto all’anno, praticamente il raddoppio della

produzione. A Cassino i volumi produttivi saranno addirittura

quadruplicati rispetto al livello molto basso del 2009. Nello stabilimento

laziale verranno prodotti i modelli del segmento medio alto dei marchi

Lancia, Alfa e Fiat. Pomigliano produrrà 250 000 Panda all’anno mentre

Melfi si confermerà lo stabilimento principale tra quelli italiani. Come si

vede dallo schema, già nel piano di Fabbrica Italia la fabbrica di Mirafiori

è quella che ha la missione meno definita o, se si vuole, più dipendente

dai cambiamenti anche marginali del mercato.

Sul piano della finanza Marchionne annuncia all’Investor Day la

decisione di scindere il business in due diverse società, Fiat Spa, che

continuerà ad occuparsi di automobili e Fiat Industrial dove verranno

concentrate le attività di produzione dei camion (Iveco) e delle macchine

agricole e movimento a terra (Cnh).

Page 534: WCM (World Class Manufacturing)

184

4.3. Le Vertenze di “Pomigliano” e “Mirafiori”

Quando Marchionne parla all’Investor Day, la trattativa sindacale per la

produzione della Panda a Pomigliano è già in corso da tempo28. Si

procede su un sentiero con molte difficoltà. La Fiat chiede una modifica

sostanziale delle regole. Propone diciotto turni di lavoro settimanali, il

mancato pagamento del primo giorno di malattia in caso di assenteismo

elevato, la possibilità per l’azienda di comandare fino a 120 ore annue di

straordinario senza aprire una trattativa e l’impegno dei sindacati a non

proclamare scioperi su materie già regolate dall’accordo. Inoltre l’azienda

chiede la riduzione delle pause da 40 a 30 minuti e lo spostamento a fine

turno della mezz’ora di mensa. Nella prima fase della trattativa si trova il

modo di aggirare il nodo dei 18 turni. Bisogna infatti evitare che chi

inizia a lavorare il sabato notte finisca la domenica e non abbia più

l’intervallo di non-lavoro previsto al contratto per poter riprendere con

un turno diverso nella settimana successiva . Si decide così di spostare il

diciottesimo turno del sabato alla domenica sera. Rimangono invece i

punti più critici, la malattia non pagata e l’impegno dei sindacati a non

scioperare. Questioni sulla quale la Fiat chiede una deroga al contratto

nazionale. Sulla possibilità di derogare al contratto i sindacati si erano già

divisi l’anno precedente. La strada delle deroghe era infatti stata

introdotta con il contratto dei metalmeccanici del 2009, che seguiva di

un solo anno il precedente contratto unitario firmato da tutti nel 2008 e

approvato negli stabilimenti. In base al nuovo regime, la struttura della

contrattazione è articolata su due livelli, il contratto collettivo nazionale,

28 Griseri P., «La Fiat di Marchionne. Da Torino a Detroit», cit., p. 171

Page 535: WCM (World Class Manufacturing)

185

con la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e

normativi per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel

territorio nazionale. In particolare, il contratto collettivo nazionale di

lavoro di categoria definisce le modalità e gli ambiti di applicazione della

contrattazione di secondo livello.

Vi è poi la contrattazione di secondo livello (territoriale o aziendale)

stipulato per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto

nazionale o dalla legge e deve riguardare materie ed istituti che non siano

già stati negoziati in altri livelli di contrattazione. È previsto che la

contrattazione territoriale può anche derogare in via temporanea sui

singoli istituti economici e normativi disciplinati dai contratti nazionali

(cd. clausole di uscita). L’efficacia della deroga è però subordinata ad una

esplicita previsione da parte del contratto collettivo nazionale.

La deroga al contratto è comunque ammessa per far fronte, direttamente

nel territorio o in azienda, a situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo

economico ed occupazionale. L’efficacia delle intese è comunque

subordinata alla preventiva approvazione delle parti stipulanti i contratti

collettivi nazionali di lavoro della categoria interessata.

Uno degli obiettivi dell’accordo è stato proprio quello di valorizzare la

contrattazione collettiva di secondo livello, territoriale o aziendale, quale

strumento di ripresa della crescita della produttività e quindi delle

retribuzioni reali.

La concertazione sociale è ormai fuori scena e le relazioni tra governo e

parti sociali sono improntate a dinamiche diverse che non sembrano

seguire uno schema prestabilito. Non si tratta di un «Protocollo», cioè un

patto triangolare che trova come parti firmatarie Governo e parti sociali

ma di un «vero e proprio accordo interconfederale» il Governo non ha

partecipato alle trattative ma ha sottoscritto l’Accordo unicamente nella

Page 536: WCM (World Class Manufacturing)

186

veste di datore di lavoro pubblico. Costituisce un «accordo separato», dal

momento che è stato sottoscritto dalla Cisl e dalla Uil senza la Cgil. La

mancata sottoscrizione della Cgil incrina definitivamente la prospettiva

dell’unità d’azione sindacale ed apre una difficile fase nel sistema delle

relazioni industriali. Questo quindi rappresenta un fatto di rilievo, oltre

che sul piano delle relazioni sindacali, con la prospettiva di scenari

inquietanti (Accornero) e di una fase di anarchia conflittuale (Mariucci),

ma anche sotto il profilo delle conseguenze di ordine tecnico-giuridico.

Sotto quest’ultimo aspetto, la problematica che si pone è quella di

un’eventuale regolamentazione negoziale non unitaria e, in sostanza,

della sussistenza, in riferimento ad una stessa categoria, di diversi

contratti collettivi.

La Fiom non potendo in ogni caso riconoscere deroghe al contratto del

2008 senza sconfessare la sua scelta di non firmare quello del 2009,

sostiene che «non c’è alcun bisogno di derogare ai contratti, alle leggi e ai

diritti per garantire il massimo utilizzo degli impianti. Come sostiene

Landini «siamo disponibili a cercare con l’azienda tutte le strade per

garantire la necessaria flessibilità senza modificare le regole».

Nella prima parte della vertenza il Lingotto sembra orientato a evitare un

accordo separato a Pomigliano per due motivi, il primo è quello di

evitare di escludere dal governo della fabbrica il sindacato più grande, il

secondo è direttamente legato al primo, l’obiettivo di Marchionne è

quello di far funzionare le linee senza interruzioni legati a

microconflittualità. Per questo la Fiat pretende dai sindacati l’impegno a

non avallare gli scioperi spontanei proclamati dai delegati su questioni

regolate dagli accordi.

Quella che appare una richiesta di buon senso nasconde però una

mancanza di fiducia che sarà all’origine degli scontri successivi. Perché è

Page 537: WCM (World Class Manufacturing)

187

evidente che gli impegni più solidi sono quelli non scritti sulla carta ma

praticati concretamente.

Per questo dunque la Fiat, nella prima fase, non vuole accordi separati,

non solo per non infilarsi negli scontri tra organizzazioni sindacali ma

anche perché sa che, se un grande sindacato sta fuori dall’accordo,

l’obiettivo principale, la pace sindacale sulle linee, è già saltato.

Sul versante opposto, la Fiom pensa che l’Ad del Lingotto non entrerà in

rotta di collisione con il sindacato più rappresentativo del gruppo

scatenando un conflitto interno dagli effetti sicuramente negativi sulla

produzione.

C’è un retroscena che può spiegare l’accelerazione decisa dell’Ad, quando

Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil va sul palcoscenico e

dice «Pomigliano non ha alternative. Servono sviluppo, investimenti e

occupazione». Molti leggono in quel passaggio il segnale di un’apertura

della Cgil rispetto al no secco della Fiom. La Cgil è quindi in clamorosa

rotta di collisione con la Fiom.

La Fiom, quel giorno, ha già rifiutato di firmare l’accordo sottoscritto

dagli altri sindacati e ha sostenuto le ragioni del no pur non dando

un’indicazione di voto esplicita «perché non chiediamo ai lavoratori di

fare gli eroi».

Secondo questa versione, Marchionne si sarebbe deciso ad accettare

l’idea del referendum quando qualcuno del vertice Cgil aveva garantito

che alla fine anche la Fiom avrebbe accettato l’esito della consultazione.

Annunciato il referendum però la stessa Fiom aveva dichiarato che non

lo considerava legittimo «non si può chiedere ai lavoratori di votare con

la pistola puntata alla testa». Deve essere stato dopo questi avvenimenti

che, in una notte di aprile, l’Ad del Lingotto aveva deciso che era venuto

il momento di aprire uno scontro duro con la stessa Fiom.

Page 538: WCM (World Class Manufacturing)

188

Scelta la strada, in quelle settimane tutto si svolge secondo un copione

collaudato. E non per caso in quei giorni si ripetono le stesse scene della

battaglia dell’80 ai cancelli di Mirafiori. Il 19 giugno parte il corteo dei

lavoratori del sì che attraversa Pomigliano chiedendo lavoro. Il

referendum si svolge con i Cobas che accolgono i lavoratori del sì al

grido di «servi del padrone». Il 22 giugno alla consultazione partecipa il

95 per cento dei dipendenti, un livello alto e prevedibile perché non

arrecarsi alle urne significa annunciare all’azienda la propria posizione

non favorevole all’accordo. Ma qual che sorprende è il risultato, in u’aria

socialmente depressa, con una grande fame di lavoro, il sì supera di poco

il 62 per cento e il no raggiunge il 36.

Il voto dice che a Pomigliano più di un terzo dei lavoratori, ben oltre la

somma degli iscritti di Fiom e Cobas, è contrario alla proposta della Fiat

al punto da avversarla nell’urla. Considerando che una parte del sì non è

un voto dettato dalla convinzione ma dalla necessità, Marchionne può

misurare quanto risicata sia l’adesione convinta al suo progetto.

L’amministratore delegato sa che il quadro è tutt’altro che rassicurante.

Dopo il voto di Pomigliano infatti inizierà una vera battaglia tra Fiat e

Fiom destinata a caratterizzare l’estate e i mesi successivi.

Come garantire la governabilità delle fabbriche, cioè come impedire che

la Fiom diventi un ostacolo in azienda quando i metalmeccanici della

Cgil rappresentano il punto di vista di circa un terzo dei dipendenti

rimane un problema non semplice da risolvere.

Il voto di Pomigliano ha dimostrato che, a differenza di quanto accade in

America, il numero di iscritti a un sindacato non coincide con il suo

consenso. Tradizionalmente in Fiat la percentuale dei dipendenti

sindacalizzati è relativamente bassa, ma la capacità dei sindacati di

orientare l’opinione dei dipendenti è molto superiore. Dunque il lavoro

Page 539: WCM (World Class Manufacturing)

189

per eliminare l’ostacolo Fiom è più arduo di quel che appare. Nell’estate

2010 il Lingotto preme su Federmeccanica perché l’associazione degli

industriali metalmeccanici trovi un sistema di deroghe al contratto

nazionale di lavoro che consenta di risolvere il problema. Lavoro lungo

che si rileverà infruttuoso dal momento che non si possono cambiare in

corso d’opera le leggi e anche gli accordi firmati nei decenni tra

Confindustria e Cgil, Cisl e Uil. Questi accordi terranno sempre in

fabbrica la Fiom perché la Cgil è firmataria con Confindustria

dell’accordo interconfederale del 1993 che istituisce i delegati con le

rappresentanze sindacali unitarie. Solo a fine settembre, mentre

Federmeccanica alza le braccia in segno di resa, nasce nei colloqui dal

Lingotto e il Fismic l’idea della newco, se la Fiat crea a Pomigliano una

nuova società che non si associa a Confindustria, quella società non sarà

obbligata a rispettare gli accordi presi dall’associazione degli imprenditori

con i sindacati confederali. In quel caso varranno nella newco solo le

leggi sul lavoro italiane. In particolare varrà l’articolo 19 dello Statuto dei

lavoratori, quella che affida la rappresentanza in azienda ai sindacati

firmatari dei contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva.

Nella versione originaria, quella modificata da un referendum nel giugno

1995, la rappresentanza era garantita anche alle confederazioni

maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Ma quel punto venne

abrogato al termine di una campagna referendaria in cui da sinistra si

voleva ridurre il monopolio della Cgil, Cisl e Uil. Così, per paradosso,

l’abrogazione di un articolo fatta per allargare la rappresentanza in

fabbrica finiva per ridurla ai soli sindacati firmatari di accordi con

l’azienda. Un’arma potentissima in mano agli imprenditori per scegliersi

gli interlocutori sindacali. E anche una mutazione genetica, con quella

modifica i delegati in fabbrica non rappresentano più il punto di vista di

Page 540: WCM (World Class Manufacturing)

190

chi lavora ma l’opinione di chi firma e dunque l’opinione di chi ritiene

ragionevoli o comunque non contrastabili le proposte aziendali.

Dall’estate 2010 in poi, man mano che lo scontro con la Fiom si fa più

duro, il Fismic andrà assumendo un peso sempre maggiore tra i sindacati

del fronte del sì. Per poter applicare alla newco di Pomigliano l’articolo

19 dello Statuto dei lavoratori che esclude la Fiom bisogna però aspettare

il 1 gennaio 2012, perché fino al giorno prima è in vigore il contratto

nazionale dei metalmeccanici firmato anche dalla Fiom nel 2008. Un

ostacolo che si supererà facendo uscire la newco da Confindustria e

firmando nel dicembre 2010 un nuovo contratto tra Fiat e sindacati

favorevoli che ha valenza di contratto nazionale.

La campagna per garantire la governabilità degli stabilimenti coincide con

una serie di provvedimenti disciplinari che colpiscono delegati della

Fiom.

Il caso più clamoroso è quello di Melfi. Nella principale fabbrica italiana

del gruppo Fiat, la notte del 7 luglio 2010 tre operai vengono accusati

dall’azienda di aver bloccato un carrello trasportatore durante uno

sciopero. In questo modo avrebbero impedito di lavorare anche a chi

non aderiva alla fermata, che non aveva più il materiale per proseguire la

produzione. I tre sono iscritti alla Fiom e vengono licenziati dall’azienda

con l’accusa di aver interrotto la produzione. Negli stessi giorni a Torino

un altro delegato della Fiom un impiegato viene licenziato perché

avrebbe spedito con il computer aziendale una mail in cui un sindacato

polacco solidarizzava con i tre licenziati di Melfi.

A Melfi i tre licenziati vincono un primo ricorso di fronte al giudice, che

ordina immediatamente il loro reintegro sul posto di lavoro in base

all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ma quando i tre operai si

presentano all’ingresso della fabbrica, l’azienda si rifiuta di rimetterli a

Page 541: WCM (World Class Manufacturing)

191

lavorare e accompagna i due delegati nella saletta sindacale, non potendo

impedire che svolgano il loro compito di rappresentanti dei lavoratori.

Nei mesi successivi, mentre i tre operai rimangono a casa pagati

dall’azienda, va in scena un drammatico appello di secondo grado. Può

capitare di vedere in aula sindacalisti come il leader del Fismic,

testimoniare contro i lavoratori e a favore dell’azienda. Il secondo

processo si conclude il 25 luglio 2011 con la vittoria della Fiat, il giudice

giudica legittimo il licenziamento. Nel febbraio 2012 però il processo di

appello darà nuovamente torto al Lingotto imponendo il reintegro dei tre

licenziati. La Fiat reagirà con un telegramma in cui annuncia che, pur

pagandoli come impone il giudice, non intende avvalersi della loro

attività lavorativa. Le parti attendono ora il giudizio della Cassazione. La

Fiom ha già annunciato che in caso di annullamento definitivo del

licenziamento chiederà i danni morali.

Lo scontro duro contro la Fiom e soprattutto la vicenda di Melfi

intaccano l’immagine di Marchionne nell’opinione pubblica. Perché se è

normale che azienda e sindacato entrino in rotta di collisione, non è

normale che a farne le spese siano i singoli lavoratori.

Il manager di Torino illustra la sua filosofia «è finito il tempo in cui le

relazioni industriali si devono basare sul conflitto tra operai e padroni».

La nuova occasione per sperimentare quella filosofia è a Mirafiori, fin

dall’estate si rincorrono le voci sulla possibile nascita di una joint venture

tra Fiate Chrysler per la produzione di Suv nello stabilimento torinese.

La joint venture, naturalmente, sarebbe una nuova società e come tale

potrebbe diventare anch’essa una newco con caratteristiche simili a

quella di Pomigliano, fuori da Confindustria e dai contratti nazionali dei

metalmeccanici con un accordo che escluda dalla possibilità di essere

presenti in fabbrica quei sindacati che non firmano l’intesa. Per lunghe

Page 542: WCM (World Class Manufacturing)

192

settimane l’ipotesi rimane tale. Un nuovo referendum a Mirafiori con la

nascita di una newco anche a Torino metterebbe in difficoltà gli stessi

sindacati che hanno detto «sì» a Pomigliano. Impostazione contestata dai

sindacati contrari (Fiom e Cobas), secondo i quali invece ciò che si stava

sperimentando a Pomigliano sarebbe stato successivamente applicato in

tutto l’universo Fiat e avrebbe dunque cambiato in modo radicale le

stesse relazioni industriali italiane. L’idea di un nuovo accordo a Mirafiori

sembra confermare in pieno quest’ultima analisi.

Alla prima riunione tra azienda e sindacati la trattativa viene inaugurata

da un discorso di Marchionne, un intervento che per qualche giorno

lascia immaginare una nuova svolta, un ritorno a relazioni industriali

meno conflittuali. Discorso di ampio respiro dopo le risse di Pomigliano

e Melfi. La partenza è buona, tutti i sindacati, Fiom compresa,

apprezzano. Addirittura l’organizzazione di Landini avanza un’apertura

sulla possibilità di creare una newco per gli impianti di Mirafiori, «non

siamo contro le newco, dice il responsabile auto Giorgio Airaudo, siamo

contro le newco che vengono pensate per ridurre i diritti ed escludere un

sindacato, qualsiasi esso sia». Posizione che, in breve tempo, provocherà

una spaccatura all’interno della Fiom con gli altri esponenti sindacali

della stessa, contrari a contrattare su un argomento come quello della

newco di cui la Fiom ha sempre respinto il modello.

La tregua dura pochi giorni, nella proposta di accordo che la Fiat illustra

alla prima riunione con i sindacati non ci sono sostanziali differenze sui

punti che a Pomigliano avevano creato divisione, per quanto riguarda le

assenze per malattia, diritto di sciopero e pause. C’è una proposta nuova

dell’azienda che prevede la possibilità di turni di 10 ore per quattro giorni

di lavoro su sette. Un’idea che non incontra il favore dei sindacati, anche

dei firmatari dell’accordo di Pomigliano.

Page 543: WCM (World Class Manufacturing)

193

Il 29 novembre, quando la trattativa entra nel vivo, il sindacato di

Landini si presenta con una proposta sul tema più controverso, quella

«clausola di responsabilità» che limita il diritto di sciopero ai soli

argomenti che non siano già stati regolati dal contratto aziendale. «Se il

problema è quello di ridurre la microconflittualità, dice la Fiom, si può

risolvere introducendo una norma per raffreddare i conflitti. Prima di

proclamare uno sciopero sindacato e azienda si impegnano a provare a

risolvere il problema che ha generato lo scontro.

«Siamo disponibili a trattare su tutto, dice il nuovo segretario generale

della Cgil, Susanna Camusso, ma non è possibile accettare deroghe al

contratto nazionale». Anche Cisl e Uil parlano di «una trattativa

incamminata sul binario giusto». L’unica organizzazione che chiede

esplicitamente di riprodurre il contratto fatto in Campania è il Fismic

«chiediamo che a Mirafiori nasca una società identica a quella di

Pomigliano». Le proposte della Fiom vengono rapidamente archiviate.

La delegazione della Fiat non accetta nemmeno di metterle in

discussione e ripropone il suo impianto originario. All’inizio di dicembre

è ormai chiaro che si va verso un nuovo accordo separato e una

sostanziale replica di Pomigliano. Ma per arrivarci bisogna superare

anche le resistenze di Fim e Uilm che non accettano l’idea di un nuovo

stabilimento fuori dal contratto nazionale e da Confindustria. Il manager

del Lingotto si lamenta perché Federmeccanica non accetta tutte le

proposte della Fiat in deroga ai contratti nazionali e minaccia di uscire da

Confindustria, ciò che effettivamente avverrà dodici mesi dopo.

Lo scontro tra Fiat e sindacati su Mirafiori e quello tra Fiat e

Confindustria vanno di pari passo. La notte del 4 dicembre è ancora il

Fismic ad annunciare per primo che senza un accordo su Mirafiori,

l’azienda non fa investimento. Il 10 dicembre l’ultimatum di Sergio

Page 544: WCM (World Class Manufacturing)

194

Marchionne è la puntuale conferma «Vogliamo una società senza il

contratto dei metalmeccanici, altrimenti non investiremo». La Fiom

blocca il paese, la drammatizzazione serve a spingere verso l’accordo

separato, quest’ultimo arriva alla vigilia di Natale.

Il rappresentante della Uilm parla di «accordo importante che garantisce

il lavoro a Mirafiori», quello della Fim fornisce una versione più

problematica «abbiamo accettato di lasciare Mirafiori fuori dal contratto

nazionale ma contiamo di farla rientrare presto». Molto soddisfatto il

Fismic «un accordo storico che modifica le relazioni industriali in Italia».

L’ultimo a pronunciarsi è il rappresentante della Fiom, che non ha

firmato «è stato accettato un accordo vergognoso, costruito per escludere

alla fabbrica il sindacato che più dà fastidio». Per la prima volta dal 1945

la Cgil non avrà rappresentanti nel più grande stabilimento

automobilistico d’Europa. Il clima di tensione fra i sindacati diventa

fortissimo nelle due settimane che precedono il referendum del 14

gennaio 2011 ancora una volta i dipendenti sono costretti a scegliere se

perdere il lavoro o accettare l’accordo voluto dall’azienda. La Fiom si

trova per questo in una situazione difficile avendo giudicato illegittimo il

referendum di Pomigliano, proprio perché i dipendenti non erano liberi

di votare contro senza perdere il lavoro, non può certo giudicare

legittima la consultazione di Torino che ha le medesime caratteristiche.

Ma non può nemmeno stare alla finestra e non partecipare alla battaglia

referendaria. Nascono così in azienda spontanei comitati per il «no»

organizzati dai lavoratori, ai quali il sindacato di Landini dà il suo

appoggio. Nelle giornate e nelle ore che precedono il voto, la tensione

crea non pochi incidenti. Davanti ai cancelli di Mirafiori gruppi di

sostenitori del no bruciano le bandiere della Fim, accusata di aver scelto

di stare con l’azienda.

Page 545: WCM (World Class Manufacturing)

195

All’alba del 15 gennaio il sì prevale per 400 voti. Ma nelle linee, tra gli

operai il sì prevale per 9 voti. La sostanza è che il sì prevale grazie ai

colletti bianchi, cioè quella parte dei dipendenti che non sono toccati

dagli aspetti più controversi dell’accordo, come le pause, la mensa e i

turni di lavoro. Un’analisi mette in evidenzia che il no è più forte là dove

il lavoro è più vincolato al ritmo della catena. Al montaggio il no

raggiunge il 53 per cento e prevale, con una percentuale leggermente

inferiore, anche in lastratura. Il sì vince invece tra gli impiegati, in

verniciatura e tra gli addetti dei turni di notte, un lavoro più faticoso ma

considerato un privilegio, per via della paga più alta, accordato spesso a

chi ha buoni rapporti con le gerarchie aziendali.

Il 70 per cento di coloro che hanno votato sì lo ha fatto perché l’accordo

è necessario e meno del 10 per cento perché lo considera un accordo

positivo. Quasi 80 per cento dei no ha votato contro perché si è sentito

ricattato. Solo il 64 per cento degli iscritti ai sindacati firmatari ha

coerentemente votato sì mentre più dell’80 per cento degli iscritti della

Fiom e ai Cobas ha votato no. Il risultato finale, 54 per cento sì e 46 per

cento no, consegna al Lingotto una fabbrica sostanzialmente spaccata in

due in cui chi dovrebbe sopportare maggiormente il peso del cambio di

regole è contrario. Un quadro sicuramente peggiore di quello uscito dalle

urne di Pomigliano. L’amministratore delegato conferma che in caso di

sconfitta avrebbe rinunciato all’investimento a Mirafiori. E chiarisce

«certo non mi sarei seduto a rinegoziare con il sindacato, perché questo

contratto c’è già a Pomigliano e non si possono avere due sistemi diversi

nella stessa azienda». Marchionne annuncia quindi la volontà di tirare

dritto senza esitazione.

Lo scontro si trasferisce nelle aule di tribunale dove la Fiom ha trascinato

l’azienda di Marchionne per comportamento antisindacale, che in base a

Page 546: WCM (World Class Manufacturing)

196

una interpretazione contestata dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori,

tiene fuori i metalmeccanici della Cgil dalla rappresentanza in fabbrica.

La sentenza sarà la base dei pochi tentativi successivi di trovare una

mediazione al conflitto tra Marchionne e Landini. Contrariamente a

quanto sostenevano i legali della Fiom, infatti il giudice dà ragione alla

Fiat valutando legittimo il contestato accordo di Pomigliano. Ma dà torto

all’azienda sulla interpretazione dell’articolo 19 dello Statuto dei

lavoratori, condannando la Fiat a ripristinare la rappresentanza in

fabbrica della Fiom. Implicito è in questo caso lo scambio, la Fiom

rinunci a contrastare in fabbrica gli accordi che non condivide e che sono

però stati approvati dalla maggioranza dei lavoratori. La Fiat rinunci a

pretendere la firma dell’accordo come requisito per riconoscere la

rappresentanza in fabbrica dei delegati della Fiom.

Per i metalmeccanici della Cgil non è questione solo una questione di

principio. L’esclusione della fabbrica comporta pesanti conseguenze sul

piano pratico ed economico, senza delegati che possano liberamente

svolgere attività tra le postazioni sulle linee, l’organizzazione di Landini

rischia di perdere perso, perché dopo un periodo di adesione militante i

lavoratori si rivolgeranno ai delegati che ci sono e che possono mediare

con i capi, cioè i delegati delle altre organizzazioni. Negli stessi mesi nelle

forze politiche di sinistra c’è chi propone una legge che ripristini la

vecchia formula dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, quella

precedente alla modifica referendaria. In quel modo, essendo la Fiom-

Cgil una delle organizzazioni maggiormente rappresentative sul piano

nazionale, non potrebbe essere espulsa dagli stabilimenti della Fiat. Ma

anche queste proposte rimangono sulla carta. I partiti di centrosinistra

temono infatti che aprire una discussione sulla modifica dell’articolo 18

della stessa legge, quello che impedisce i licenziamenti individuali senza

Page 547: WCM (World Class Manufacturing)

197

una giusta causa. Articolo che le aziende e lo stesso Marchionne

vorrebbero abolire. Va in questa stessa direzione l’articolo 8 della

manovra finanziaria scritto dal ministro Sacconi, che include tra le

materie su cui i sindacati in azienda possono derogare i contratti

nazionali e le leggi dello Stato anche il punto dei licenziamenti.

La disciplina poi in materia di contrattazione collettiva contenuta

nell’Accordo quadro del 2009 è stata integrata, a pochi anni di distanza,

da un successivo accordo che, nuovamente, la partecipazione delle sole

associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro (senza il Governo).

L’accordo interconfederale del 28 Giugno 2011, siglato tra Confindustria,

Cgil, Cisl e Uil, ha la finalità di realizzare un «sistema di relazioni

industriali che crei condizioni di competitività e produttività tali da

rafforzare il sistema produttivo, l’occupazione e le retribuzioni».29

L’Accordo, intervenuto dopo una fase di profonda lacerazione tra le

Confederazioni, vede la sottoscrizione unanime delle stesse (questa volta

siglato anche dalla Cgil) e costituisce un atto di portata «storica»,

considerato che esso non solo pone regole certe con riguardo ai soggetti,

ai livelli, ai tempi e ai contenuti della contrattazione collettiva, ma

perviene anche al risultato impensato di definire le regole in materia di

rappresentatività delle organizzazioni sindacali dei lavoratori.

Il presupposto dell’Accordo è rappresentato:

- da un lato, per le Confederazioni sindacali, dalla necessità di porre

rimedio alle conseguenze delle divisioni interne, che esponevano la

contrattazione collettiva al rischio di accordi separati (la componente

della Cgil, la Fiom, non aveva aderito al rinnovo del Ccnl del settore

29 Del Giudice F., Mariani F., «Compendio di diritto sindacale», cit., p. 152

Page 548: WCM (World Class Manufacturing)

198

metalmeccanico e non aveva sottoscritto alcuni contratti collettivi

aziendali nel medesimo settore).

- dall’altro, per la Confindustria, dall’intento di prevenire il recesso di una

delle sue principali associate, l’azienda Fiat, a seguito dell’incertezza

venutasi a creare dagli accordi separati, aveva manifestato, a giugno 2011,

la volontà di «uscire da Confindustria», cosa di fatto poi avvenuta, la

ragione di una decisione clamorosa è nella scelta di Confindustria, Cgil,

Cisl e Uil di impegnarsi a non applicare quella parte dell’articolo 8 della

manovra Sacconi che consente di derogare alla legge sui licenziamenti.

L’impegno era stato preso il 21 settembre, nel momento in cui la Cgil

aveva formalmente firmato il protocollo di giugno. Questo atto, spiega

Marchionne nella lettera a Marcegaglia «rischia quindi di snaturare

l’impianto previsto dalla nuova legge e di limitare fortemente la

flessibilità gestionale».

L’Accordo interconfederale segna un notevole passo in avanti rispetto

alla possibilità di effettuare, mediante contrattazione decentrata, intese

derogatorie. Il principio fondamentale è, tuttavia, che la possibilità di

deroga da parte del contratto collettivo aziendale deve comunque

esplicarsi nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti

collettivi nazionali di lavoro.

L’accordo definisce, poi, una disciplina transitoria, finalizzata a rendere

possibile la stipulazione delle intese aziendali nell’immediato, cioè anche

prima che il contratto collettivo nazionale definisca i limiti e le procedure

delle stesse. In particolare, potranno essere stipulati accordi in deroga

rispetto alle determinazioni del contratto collettivo nazionale, aventi la

finalità di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti

significativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale

dell’impresa. Le deroghe potranno riguardare la prestazione lavorativa,

Page 549: WCM (World Class Manufacturing)

199

gli orari e l’organizzazione del lavoro. Tale intese avranno efficacia

generale, così si applicheranno a tutto il personale dell’azienda e

vincolano tutte le associazioni sindacali presenti nell’azienda, che

aderiscono alle Confederazioni firmatarie dell’accordo interconfederale

di riforma (sindacati di categoria aderenti a Cgil, Cisl e Uil). L’efficacia

erga omnes del contratto aziendale è limitata, tuttavia, alla sola parte

normativa (comprendente anche gli aspetti economici) e non si estende

anche alla cd. parte obbligatoria, cioè alle disposizioni che disciplinano i

rapporti tra sindacati e datore di lavoro.

A tal proposito, sono stati individuati dei criteri oggettivi per rendere il

contratto collettivo aziendale efficace erga omnes, cioè nei confronti di

tutti i lavoratori dell’impresa. I criteri in questione, differenziati a seconda

della presenza nel contesto aziendale di Rsu o di Rsa, sono i seguenti:

- nel caso in cui a livello aziendale vi siano Rsu, il contratto aziendale

deve essere approvato dalla maggioranza dei componenti della Rsu

presente in azienda. Una volta approvato, esso diviene vincolante per

tutti i lavoratori, anche per quelli non iscritti ai sindacati stipulanti o

comunque dissenzienti.

- nel caso in cui a livello aziendale vi siano Rsa, è necessaria

l’approvazione delle Rsa costituite nell’ambito delle associazioni sindacali

che, singolarmente o insieme ad altre, risultino destinatarie della

maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai

lavoratori dell’azienda nell’anno precedente a quello in cui avviene la

stipulazione. Il contratto collettivo aziendale stipulato dalle Rsa può

essere, poi, sottoposto a referendum. In caso di voto favorevole a

maggioranza semplice, il contratto aziendale è definitivamente

approvato, in caso di voto negativo espresso dalla maggioranza semplice

dei votanti, il testo contrattuale si intende respinto.

Page 550: WCM (World Class Manufacturing)

200

A pochi mesi quindi dal succitato Accordo, la manovra correttiva 2011,

disciplina, all’articolo 8, la «contrattazione di prossimità», con l’effetto di

aumentare notevolmente il potere regolativo e dispositivo della

contrattazione aziendale e territoriale. L’effetto è quello di uno strappo

nelle relazioni tra Governo e parti sociali, che genera nuovi tensioni tra le

Confederazioni Cgil, Cisl e Uil. La disciplina dell’art. 8 della manovra

correttiva si sovrappone infatti a quella dell’accordo interconfederale,

tanto da essere percepita come un’invasione del legislatore politico in

ambito tradizionalmente appannaggio dell’autonomia sindacale (la

contrattazione collettiva e il rapporto tra contratto collettivo nazionale e

contratto decentrato).

Il provvedimento, in effetti, mette al centro del sistema della

negoziazione tra sindacati e controparte datoriale il contratto territoriale

o aziendale, a cui è riconosciuta ampia potestà di regolamentazione, cioè

di concludere intese «alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti

di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, agli

incrementi di competitività e salario, alla gestione delle crisi aziendali e

occupazionali». Tale intese stipulate a livello aziendale possono derogare

anche le disposizioni di legge e le regolamentazioni contenute nei

contratti collettivi nazionali di lavoro, avendo come unico limite il

rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative

comunitarie.

Anche se formalmente si fa riferimento a quanto convenuto nell’accordo

interconfederale del 28 Giugno 2011, i soggetti collettivi che possono

stipulare i contratti di livello aziendale o territoriale possono essere anche

totalmente scollegati dai sindacati firmatari del contratto collettivo

nazionale. Le intese così stipulate hanno carattere vincolante per tutti i

lavoratori interessati se sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario.

Page 551: WCM (World Class Manufacturing)

201

Successivamente le parti firmatarie dell’accordo hanno ratificato

l’accordo stesso dichiarando che le «materie delle relazioni industriali e

della contrattazione collettiva sono affidate alle autonome determinazioni

delle parti». Di conseguenza le parti sociali hanno formalmente assunto

l’impegno che le proprie strutture, a tutti i livelli, si attengono a quanto

concordato nell’accordo stesso.

La predisposizione della legge di riforma determina il definitivo

abbandono del metodo della concertazione sociale.

Infatti, anche se inizialmente le trattative vedono un forte

coinvolgimento delle parti sociali, la difficoltà per il raggiungimento di

una posizione comune e la netta opposizione della Cgil soprattutto sulle

proposte di modifica concernenti i licenziamenti economici, portano il

Governo a dichiarare formalmente concluso il metodo della

concertazione sociale. Il metodo seguito è conforme al modello del

dialogo sociale, che vede come primario e unico interlocutore del

Governo il Parlamento. I sindacati sono informati e consultati, ma il

Governo afferma che «a nessuno è riconosciuto un potere di veto», cioè

di condizionare unilateralmente il risultato finale. Di conseguenza l’esito

delle trattative non è la sottoscrizione di un accordo triangolare, tipico

della concertazione sociale, bensì un verbale in cui si limita a dar conto

delle posizioni delle parti sociali.

Dopo l’Accordo interconfederale, tuttavia, le preoccupazioni della Fiat in

Italia sono di altro genere. Il 29 novembre inizia a Torino la trattativa per

estendere il modello Pomigliano a tutti gli 86 000 dipendenti italiani di

Fiat e Fiat Industrial. Giunge così a compimento il progetto avviato nel

giugno 2010 in Campania. L’inizio della trattativa è caratterizzato da

tensioni all’esterno della sede dell’Unione Industriale. Di conseguenza la

Fiom abbandona il tavolo perché non è stato consentito l’ingresso di una

Page 552: WCM (World Class Manufacturing)

202

parte della sua delegazione. Si riprende nei giorni successivi a ranghi

completi.

L’acursi poi della crisi finanziaria che ha investito l’area dell’euro, a

partire dal 2011, determina il rapido deterioramento della posizione

dell’Italia, il cui debito pubblico raggiunge livelli elevatissimi.

Le trattative per il «decreto Salva Italia», determinano una nuova

divaricazione nell’ambito delle tre Confederazioni sindacali, Cgil, Cisl e

Uil, soprattutto in merito al tema più delicato della tutela conto i

licenziamenti illegittimi. La riforma, mantenendo intatta la tutela contro i

licenziamenti discriminatori ed in parte quelli disciplinari, interviene sui

licenziamenti per motivi economici, sostituendo, la tutela dell’art. 18

dello Statuto dei Lavoratori, cioè la reintegrazione, con un mero

risarcimento economico. A tale riguardo, comunque, prima dell’avvio del

provvedimento per l’ordinario iter parlamentare, si è giunti ad un testo

più equilibrato, con il ripristino della possibilità di reintegro, anche se in

casi limitati (cioè solo quando il giudice accerti la manifesta infondatezza

dei motivi addotti dall’azienda).

La spaccatura avviene proprio sul disegno di riforma dell’art. 18,

giudicato in prima battuta pacatamente dalla Cisl e Uil e, in senso,

diametralmente opposto, come un modo per addivenire a licenziamenti

più facili, dalla Cgil.

Nonostante la difficile situazione in cui si trova l’Italia, le parti hanno

avviato una negoziazione il 6 luglio 2012, volto a rinnovare il contratto

del 2011 per il triennio 2013-15, firmato solo da FIM-CISL e UILM-

UIL.

Page 553: WCM (World Class Manufacturing)

203

4.4. Verso quale direzione sindacale? Conflittualità o

partecipazione?

In una fabbrica governata con il World Class Manufacturing, introdotto

nel 2005, la risorsa più preziosa è il lavoro. I confini delle conoscenze e

delle abilità dei lavoratori sono differenti rispetto alla produzione di

massa o a quella artigianale, rendendo più complessa la rappresentanza

dei lavoratori e, allo stesso tempo, l’organizzazione dell’intera struttura

sindacale. Nonostante i lavori e le mansioni siano strettamente definiti,

nella fabbrica lean i lavoratori si spostano da una mansione all’altra

secondo il principio della rotazione, spesso da un lavoro all’altro,

acquisendo sempre nuove competenze e abilità e lavorando secondo la

logica del problem-solving. In questo modo, l’acquisizione e la diffusione

delle conoscenze tra i lavoratori ricompongono molte delle tradizionali

divisioni, ad esempio, tra i lavoratori addetti alla produzione e lavoratori

specializzati, oppure tra lavoratori, ingegneri e manager. Vi è così sempre

di più la spinta verso forme di «sindacalismo d’impresa», il sindacato

deve essere aziendale e collaborativo. È un modello organizzativo che

per funzionare ha bisogno di un cambio di ruolo dei sindacati, in azienda

entrano solo quelli disponibili a condividere le finalità d’impresa per non

interferire con la partecipazione in via gerarchica dei lavoratori. Essa è

presidiata dalla clausola di responsabilità e dalla limitazione del diritto di

sciopero, perché nei sistemi di produzione integrati imposti dal “just in

time” la lotta anche di un numero piccolo di lavoratori può provocare

gravi blocchi produttivi. Del resto, è esattamente questa la vulnerabilità

del sistema, i sindacati dissenzienti sono esclusi.

All’interno del sindacalismo, sembrano quindi prevalere due

opposte linee d’azione, quella di una linea d’azione partecipativa e

Page 554: WCM (World Class Manufacturing)

204

cooperativa e quella conflittuale. Si può osservare che la linea d’azione

seguita dalla Cisl e Uil è impiantata sulla cooperazione nell’impresa, sul

dialogo con l’azione governativa. Prendendo, invece, ad emblema la

strenua difesa dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, si può dire che la

linea d’azione della Cgil, e soprattutto della sua componente più radicale,

la Fiom, è quella della difesa dei diritti della classe lavoratrice, considerati

un patrimonio acquisito e non negoziabile.

In tale contesto, sembra quindi superata l’idea stessa di un’unità

sindacale in termini di unità di linea d’azione, è stato infatti osservato che

non esiste un modello giusto, in assoluto, ma che invece si debba pensare

alla linea più adeguata in termini dinamici, valutando volta per volta la

strategia da porre in essere in base al comportamento della controparte.

Allo stesso tempo, numerosi sono gli studiosi che, riflettendo sulla

crescente necessità di tutela dei lavoratori nell’epoca della competizione

globale, ritengono ancora proficua la ricerca dell’unità sindacale come

unica strada affinchè il sindacato continui a svolgerla funzione di

promozione dello sviluppo economico e sociale del Paese.

Quale che sia la strada che sarà intrapresa, è certo che la rottura

dell’unità sindacale fa emergere problematiche del tutto nuove,

considerato che la prassi delle relazioni industriali nel nostro Paese è stata

a lungo caratterizzata dall’unità sindacale di fatto.

Page 555: WCM (World Class Manufacturing)

205

Page 556: WCM (World Class Manufacturing)

206

Capitolo 5

L’impatto del World Class Manufacturing in termini

di partecipazione sul sistema aziendale sulle

relazioni industriali e sui lavoratori

5.1 Premessa

Dopo aver esaminato nei capitoli precedenti le trasformazioni legate

all’introduzione di nuove forme di organizzazione del lavoro e della

produzione, partendo dall’organizzazione scientifica del lavoro (Taylor)

fino ad arrivare alla sperimentazione del WCM all’interno del gruppo

Fiat, la nostra attenzione è stata rivolta all’importanza che il gruppo

riveste nel contesto italiano, e in particolare a tutte le vicende che sono

ormai oggetto di attenzione da parte degli ambienti economici, sociali e

politici del paese.

Abbiamo poi cercato di offrire un’analisi della contrattazione collettiva

sindacale alla Fiat, partendo dagli anni Ottanta fino ad arrivare ai giorni

nostri, per comprendere appieno i cambiamenti in atto.

Cambiamenti che hanno portato, attraverso l’introduzione del nuovo

paradigma organizzativo del lavoro e della produzione (WCM), a un

modello di contrattazione collettiva che da “normativo” diventa

“partecipativo”.

Attraverso delle interviste a rappresentanti delle principali sigle sindacali,

manager e lavoratori Fiat, si cercherà nei paragrafi successivi di capire,

dopo una breve ricostruzione del contesto torinese e delle condizioni in

cui perversa, quale impatto ha avuto il World Class Manufacturing in

termini di partecipazione non soltanto a livello più generale del sistema

Page 557: WCM (World Class Manufacturing)

207

aziendale ma anche sul coinvolgimento dei lavoratori e nel

comportamento e sulle strategie degli attori sindacali.

A tal riguardo lo scopo della ricerca è quello di capire qual è il

collegamento tra questo nuovo paradigma organizzativo, sperimentato

dal 2006 in poi, e le relazioni industriali.

In particolare, se il WCM, centrato sul coinvolgimento attivo dei

lavoratori, richiede o meno l’intermediazione del sindacato. Quali

caratteristiche questo deve avere, partecipativo o conflittuale.

Qual è il ruolo del sindacato e la sua effettiva partecipazione all’interno

dell’azienda. Qual è il rapporto con l’azienda, se quest’ultima cerca il

rapporto con i sindacati oppure preferisce interagire direttamente con i

lavoratori. Se esistono ancora dei meccanismi di tipo partecipativo,

rappresentato dalle commissioni, se queste funzionano effettivamente o

il coinvolgimento del sindacato è soltanto formale.

Si cercherà dunque di capire quali sono i nuovi equilibri e le nuove

strategie manageriali finalizzate ad acquisire il consenso sui nuovi metodi

di produzione e come questo ha influito in modo determinante

sull’organizzazione e sulle modalità di azione del sindacato.

Page 558: WCM (World Class Manufacturing)

208

5.2 La Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori

La Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori è uno stabilimento industriale

a Torino, si trova nel quartiere Mirafiori Sud. Fu progettato fin

dal 1936 essendosi ormai rivelato insufficiente il precedente stabilimento,

quello del Lingotto. Nel suo comprensorio lavorano oggi circa 5.400

operai e nel 2012 vi sono state prodotte circa 41.600 autovetture (l'unica

vettura attualmente in produzione è l'Alfa Romeo MiTo).

La Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori ha costituito la realizzazione

maggiore dell'industrialismo italiano. Nessun impianto, nessuna unità

produttiva ha mai eguagliato Mirafiori, che apparve e venne descritta, al

momento della sua costruzione, come una realtà fuor di misura30.

Oltre ad essere stata un luogo emblematico della produzione, è stata e

continua ad essere uno dei teatri principali della nostra vita collettiva. Di

volta in volta, Mirafiori è stata il laboratorio dove sono state messe a

punto e attivate le tecnologie della "mass production" di ispirazione

fordista, lo spazio dove si è sviluppata la conflittualità permanente

cresciuta sull'onda dell'autunno caldo del '69, il grande alveare sociale

nelle cui pieghe si è annidata la minaccia del terrorismo fino al cambio di

ciclo sancito dalla marcia dei quarantamila dell'ottobre 1980.

E ora? Che cos’è oggi Mirafiori? Realtà decaduta da un luogo simbolo,

insediata da una sorte che non lascia più molto scampo a quella

vocazione manifatturiera di cui la città era andata orgogliosa?

Ora sembra che per il discorso pubblico, Mirafiori sia soltanto un

capitolo in sospeso, un interrogativo aperto. Di quella che ancora resta

«la più grande fabbrica d'Italia», si discute solo per misurarne le chance di

sopravvivenza nel tempo. Oggi in tutta Europa si parla dei luoghi della

30 Berta G., «I 70 anni di Mirafiori e le sfide del gigantismo», Il sole 24 ore, 2009.

Page 559: WCM (World Class Manufacturing)

209

produzione automobilistica soltanto allo scopo di valutare in quale

misura riusciranno a sussistere dopo i tagli della capacità produttiva che

potrà imporre la crisi globale. Nessuno o quasi si sofferma sull'atipicità di

una fabbrica che, tra continuità e mutamenti, è ancora in funzione

quando complessi analoghi e comparabili per storia, importanza e

ampiezza sono stati dismessi da tempo. La possibilità di durare e di

adattarsi ai nuovi cicli produttivi di una fabbrica dipende da tanti fattori.

Alcuni sono legati ai suoi criteri progettuali, alla sua attitudine a ospitare

processi differenziati, ad adeguarsi a cambiamenti connessi anche ai

paradigmi organizzativi. È chiaro che a nessun produttore verrebbe più

in mente di costruire grandi fabbriche quale fu Mirafiori negli anni della

sua massima estensione, quando costituiva il fulcro del sistema dell'auto

Fiat. Eppure, la sua storia non si è conclusa con quella della produzione

di massa e Mirafiori si è così trasformata in un soggetto della

metamorfosi di Torino, grazie a un processo di riassetto degli spazi

urbani che ha mescolato i luoghi dell'industria con quelli delle altre

attività. Il suo futuro non dipende perciò dalla capacità di prevedere e

calcolare i volumi produttivi di domani, ma dalle funzioni che essa potrà

assolvere entro il distretto torinese dell'auto. E dipende anche dal fatto

che si consideri la fabbrica non come un'entità residuale, ma un

organismo sottoposto a un cambiamento continuo. Dove si

sperimentano metodi e forme di lavoro che mantengono un valore di

punto di riferimento per far avanzare e progredire la frontiera

dell'organizzazione. Un terreno, questo, fondamentale per un sindacato

industriale intenzionato a misurarsi sull'evoluzione dell'impresa.

Page 560: WCM (World Class Manufacturing)

210

5.3 L’impatto del World Class Manufacturing in termini

di partecipazione sul sistema aziendale

Il World Class Manufacturing è un sistema di produzione adottato da

molti tra i più importanti costruttori mondiali e finalizzato a migliorare

l’organizzazione della fabbrica nel suo complesso. Abbiamo incontrato il

Dott. Luciano Massone, responsabile del World Class Manufacturing e

tra i principali artefici dell’autentica rivoluzione che sta interessando la

multinazionale torinese a livello produttivo e il Dott. Roberto Cortese,

responsabile delle relazioni industriali, per avere maggiori dettagli sulla

concreta applicazione del programma e ottenere un quadro complessivo

dei rapporti con il sindacato e i lavoratori.

In questa direzione va osservato che il WCM non significa soltanto

implementare metodi e sistemi tecnici ma l’azienda deve sostenere

l’operatività delle persone attraverso l’introduzione di un sistema sociale

coerente, capace di coinvolgere l’intera organizzazione e di fare in modo

che tutte le persone si sentano impegnate a contribuire per il

miglioramento continuo delle performance dello stabilimento, come

afferma Luciano Massone, responsabile del WCM “normalmente i sistemi che

si vedono in giro sono molto focalizzati sulla tecnica, noi ci siamo concentrati su un

sistema che si nutre del coinvolgimento delle persone, si nutre della diffusione della

conoscenza, si è nutrito di quella parte manageriale di cui non si sono potuti nutrire

gli altri sistemi. È un sistema ricco di knowledge, che fa dialogare tutti usando un

linguaggio comune, un sistema che è riuscito a coinvolgere oggi il 100% delle persone in

Fiat, puoi intervistare l’ultimo operaio che ti dice che la settimana scorsa ha fatto

quattro suggestions e ha partecipato a tre o quattro major kaizen”31 .

31 Intervista Luciano Massone, capo del World Class Manufacturing EMEA Region & WCM

Dev. Center VP, 2014

Page 561: WCM (World Class Manufacturing)

211

Diverse sono state le motivazioni che hanno portato ad adottare il WCM

a partire dal 2004, in un contesto di crisi in cui era necessario dare una

svolta all’interno dell’azienda, come afferma Luciano Massone,

responsabile del WCM “sono state la non competitività del sistema manifatturiero

che nel 2004 con uno spietato benchmarck fece fare il Dott. Marchionne sbattendoci

in faccia i risultati, quando abbiamo visto che rispetto ai nostri competitors eravamo

molto indietro si è deciso di avviare un programma di rottura”.

Così come molteplici sono state le difficoltà incontrate nella sua

implementazione, dal momento che un possibile processo di imitazione

delle imprese giapponesi da parte delle aziende occidentali è stato reso

complicato non tanto per la superiorità competitiva delle prime ma

riconducibili a fattori esterni (culturali, istituzionali), replica Luciano

Massone, responsabile del WCM “il Giappone ha dalla sua un sistema-paese,

dal momento che ho vissuto lì e mi sono formato lì, il Giappone produce un sistema

scolastico meritocratico e selettivo, non si può scegliere che cosa fare da grande e nel

percorso scolastico che una persona viene indirizzata a fare un mestiere piuttosto che

un altro. Gli investimenti nel mondo scolastico li fa l’impresa, lavorare lì è fantastico,

non bisogna convincere qualcuno a fare qualcosa, con i sindacati si dialoga benissimo,

il sindacato gioca la stessa partita dell’azienda. In Italia abbiamo dovuto investire

dieci anni per creare una cultura rispetto che in Giappone. In Italia vi è stata una

scarsa comprensione di quella che era la filosofia del miglioramento continuo che

proponeva questo modello, difficoltà legate alla gestione con il sindacato, abbiamo

quindi dovuto creare tutto il sistema”.

Delle difficoltà che derivano quindi secondo Roberto Cortese,

responsabile delle relazioni industriali “da un punto di vista culturale, vi è una

diffidenza al cambiamento, qui in Italia. La propensione al cambiamento rispetto

Page 562: WCM (World Class Manufacturing)

212

abbiamo sempre fatto così, è stato uno di quei muri da abbattere o di quelle reti un pò

da strappare che hanno probabilmente teso a rallentare questo progetto” 32.

In tutti gli stabilimenti Fiat Chrysler Automobiles, il lancio e

l’implementazione del programma WCM sono stati accompagnati da un

massiccio miglioramento delle condizioni di lavoro attraverso un

rinnovamento dell’ambiente, introducendo i più avanzati criteri

ergonomici, come afferma Luciano Massone, responsabile del WCM

“Siamo partiti da lì, prima ancora di affrontare gli aspetti più complessi e tecnici,

abbiamo affrontato la sicurezza, l’ambiente del posto di lavoro, la pulizia, l’ordine.

Abbiamo fatto grossissimi investimenti sull’ergonomia di processo, abbiamo finanziato

una cattedra all’università di Torino, lo abbiamo alimentato con contributi e

consulenze delle più prestigiose università presenti al mondo e oggi ci alimentiamo dei

dottorandi che escono da quel percorso per rivedere il nostro processo per arricchirlo nei

contenuti”.

Il commitment quindi da parte del management, per realizzare un

ambiente di fabbrica favorevole che tocchi i diversi aspetti, è essenziale

per il successo del nuovo sistema di produzione basato sui principi del

WCM, come afferma Roberto Cortese, responsabile delle relazioni

industriali “l’azienda deve mettere nelle migliori condizioni le persone per lavorare

bene e in sicurezza, è uno dei compiti del datore di lavoro, se si lavora in una fabbrica

confusa, sporca, buia, rumorosa, i risultati non possono venire. Se c’è luminosità nelle

fabbriche, se ci sono postazioni di lavoro ergonomicamente standard, se il prodotto è

stato studiato per quelle postazioni di lavoro, chi ci lavora è messo nelle condizioni di

poter fare bene il suo lavoro e non esistono possibilità per avere degli errori”.

È importante che i miglioramenti all’interno dell’azienda siano introdotti

con il coinvolgimento dei lavoratori al fine di attivare una loro prima

32 Intervista Roberto Cortese, responsabile Relazioni Industriali FCA EMEA, 2014

Page 563: WCM (World Class Manufacturing)

213

mobilitazione intellettuale, attraverso il suggerimento di idee che le

persone stesse ritengono possano migliorare le loro condizioni di lavoro.

L’applicazione del WCM richiede che ognuno collabori alla gestione

dell’azienda, che ogni dipendente sia coinvolto nel perseguimento rapido

e continuo del cambiamento. Il WCM deve essere uno stile di vita, come

afferma Roberto Cortese, responsabile delle relazioni industriali “la

riuscita del progetto dipende dal commitment che viene dato al progetto, lo si deve

vivere e praticare quotidianamente, dall’altro vi deve essere l’entusiasmo, la capacità o

anche la voglia di guardare in maniera diversa il modo di lavorare, in ambienti dove

c’è una curiosità culturale, una vivacità data chiaramente dall’età delle persone

all’interno dello stabilimento, questo è molto più facile. La partecipazione delle

persone secondo me è straordinaria da questo punto di vista, le persone se sono messe

nelle condizioni di dare un contributo, e questo significa che qualcuno glielo chiede, non

si tirano mai indietro, e se si tirano indietro bisogna indagare che cosa porta le persone

a non interessarsi del posto in cui passa molte ore della loro vita”.

Senza quindi la piena adesione al programma da parte delle persone e

senza l’impegno concreto di ciascuno nell’applicazione del nuovo sistema

di produzione nessun progresso verso il livello Worl Class è pensabile, i

lavoratori giocano un ruolo importantissimo e in merito al grado di

coinvolgimento, Luciano Massone, responsabile del WCM, afferma“il

rapporto con il lavoratore è diverso rispetto a quello di ieri, abbiamo ricevuto un

milione e mezzo di proposte, l’indicatore di assenteismo è un terzo o un quarto rispetto

a quando siamo partiti in questa nuova avventura e nelle fabbriche più evolute, quelle

gold per intenderci, come Gian Battista Vico, gli indicatori di partecipazione sono

rilevanti, poi la partecipazione dipende molto dagli stabilimenti in cui vi è una

maggiore maturità e quelli in cui c’è una minore maturità, però, non ci sono oggi degli

stabilimenti che sono rimasti fuori dal programma e anche quelli con una minore

maturità hanno delle medie di partecipazione che sono al di sopra delle medie di

Page 564: WCM (World Class Manufacturing)

214

mercato”. E come afferma Roberto Cortese, responsabile delle relazioni

industriali “la partecipazione delle persone è diversa in base alle condizioni in cui si

trovano sia come località geografica, cioè in cui si trova lo stabilimento, e sia come

modo di operare all’interno dello stabilimento. La parte geografica è nei fatti e non si

può quindi spostare uno stabilimento per cambiare la cultura delle persone, bisogna

saper prendere coscienza di una diversità culturale, lavorarci sopra, poi è chiaro che le

proposte devono essere inserite in un programma ben specifico, dove tutti possono dare

il loro contributo altrimenti sono proposte che rischiano, se non c’è un grande

commitment, rischiano di perdersi e le persone non sono invogliate a dare un loro

contributo”.

La diffusione del World Class Manufacturing all’interno di Fiat Chrysler

Automobiles, che ha richiesto un forte livello di partecipazione e

coinvolgimento individuale, introduce anche grandi trasformazioni nelle

rappresentanza collettiva dei lavoratori. Il sindacato, infatti, sta vivendo

oggi più che mai una fase di notevole trasformazione rispetto alle

esperienze precedenti assumendo delle caratteristiche strutturali nuove,

da organismo di tipo tradizionalmente “conflittuale” a “sindacato

partecipativo”, caratterizzato da forme più accentuate di cooperazione

con il management aziendale, come afferma Roberto Cortese,

responsabile delle relazioni industriali “il rapporto sicuramente è diverso, io

ritengo importante, da parte di tutte e due deve esserci un cambio di passo, nel senso

che non deve essere visto più come un rapporto tipicamente conflittuale

azienda/padrone e sindacato. Il sistema di partecipazione in Fiat è abbastanza

radicato già a partire dagli anni Ottanta, adesso si è evoluto, si è finalizzato ed è

diventato molto più creativo, operativo, nel senso che si discute e si lavora sui problemi

della fabbrica, questo comporta un approccio biunivoco, da parte dell’azienda io credo

che debba essere fatto uno sforzo importante per mettere a fattor comune aspetti della

Page 565: WCM (World Class Manufacturing)

215

vita di fabbrica che servano ad avere un livello di condivisione e di linguaggio comune

con i propri interlocutori sindacali”.

Alla domanda se l’azienda quindi stia spingendo verso un “sindacato

partecipativo”, Roberto Cortese, risponde così “è una scelta obbligata, io non

credo molto in chi dice che la Fiat con il WCM vuole bypassare il sindacato e avere

un rapporto diretto con i lavoratori, semplicemente perché il rapporto diretto con i

lavoratori non può non esserci nel senso che l’azienda paga dei lavoratori e si aspetta

che facciano un certo tipo di mestiere, poi con il WCM, c’è stato l’interesse reciproco a

mettere le persone nelle condizioni di poter lavorare meglio, è un modo di lavorare

tende ad abbassare i rapporti gerarchici ed avere il direttore che oltre a vestirsi come le

persone che lavorano sulle linee, la direzione è molto più presente in fabbrica. Questo

dal sindacato che vuole essere parte di un progetto, è un salto culturale importante”.

Sembrerebbe, pertanto, che la logica del nuovo metodo spinga nella

direzione di un modello d’impresa della rappresentanza dei lavoratori

proprio per la natura delle sue caratteristiche produttive e proprio perché

si presta meglio ad organizzare delle conoscenze specifiche.

Conoscenze che il sindacato dovrebbe approfondire, come afferma

Roberto Cortese “da parte del sindacato deve essere fatto uno sforzo culturale di

crescita e di apprendimento, un rappresentante sindacale deve sapere che cos è il

WCM, deve sapere quali sono i problemi all’interno della fabbrica, la pluralità poi

dei sindacati non aiuta, questi molto spesso vedono il problema in maniera diversa a

seconda della convenienza o della volontà di tutelare in maniera diversa un lavoratore

piuttosto che un altro, se un problema esiste è un problema e non ha colore”.

Per poter cambiare culturalmente bisogna avere gli elementi giusti,

Luciano Massone da questo punto di vista da delle soluzione pratiche

“occorre training, formazione. Negli Stati Uniti il sindacato ha fatto un Accademy

proprio per formare le sue persone, per renderli dei partecipanti attivi, operano con un

programma di formazione che li rende degli interlocutori credibili. Questi grandi

Page 566: WCM (World Class Manufacturing)

216

cambiamenti sul piano sindacale non si realizzano poi se non vi è grande commitment,

e commitment per il sindacato sono le segreterie generali, sono i capi intermedi, cioè la

stessa struttura dell’azienda se vogliamo, ma il taglio di strutture che è stato fatto in

azienda non è stato fatto parimenti nel sindacato, è ancora molto gerarchico, io credo

che anche lui potrebbe fare una sana riforma per essere più efficace e per interloquire

territorialmente e per stabilimento al fine di generare la stessa condizione di

partecipazione.

Page 567: WCM (World Class Manufacturing)

217

5.4 L’impatto del World Class Manufacturing in termini

di partecipazione sulle relazioni industriali

In questa fase di sperimentazione del World Class Manufacturing, la

questione aperta è quella di come operare affinchè si possa riattivare un

gioco interattivo in un contesto in cui le identità dei soggetti partecipanti

(azienda, sindacato e lavoratori) cercano di ritrovare una loro dimensione

e un loro equilibrio. Questa situazione di metamorfosi che sta vivendo la

Fiat Chrysler Automobiles e in particolare Mirafiori mette in discussione

il ruolo delle relazioni industriali, come infatti afferma il responsabile

della Fim-Cisl, Alberto Cipriani “Per molti anni il sindacato è stato abituato a

fare le cose sempre in uno stesso modo, questi cambiamenti organizzativi mettono un

pò in gioco le regole di sempre e allora spingono a modificare le strutture stesse della

contrattazione, i cambiamenti sono sempre ricchi di problemi ma anche di opportunità.

Per ora l’impatto che ha avuto il WCM sulle relazioni industriali è abbastanza

residuale, è tutto un pò in divenire. Sono convinto però che nei prossimi mesi e anni ci

sarà più contaminazione tra il modo di lavorare nelle fabbriche e le relazioni

industriali” 33.

Un cambiamento che mette quindi radicalmente in discussione assetti

consolidati e certezze, ma che assieme al loro carico di trasformazione e

di distruzione, può anche liberare un grande potenziale di rinnovamento

e un ampliamento delle prospettive. Come afferma la segretaria

provinciale della Uilm-Uil, Flavia Aiello “Come tutte le cose nuove, quindi per

il problema che non si conoscono, spaventano. Poi ci deve essere la volontà di

migliorare, non ho detto che ci siamo riusciti e che ci riusciremo ma c’è uno spirito di

miglioramento. E’ un percorso difficile che bisogna iniziare, altrimenti siamo morti. In

Italia siamo partiti in ritardo rispetto agli altri paesi, come la Germania o l’America,

33 Intervista Alberto Cipriani, responsabile FIM-CISL, 2014

Page 568: WCM (World Class Manufacturing)

218

ma è un grande obiettivo da raggiungere in futuro, io ritengo che se mai si parte mai si

arriva” 34.

Il progetto aziendale d’innovazione organizzativa viene visto dalle tre

sigle sindacali (Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil) nel complesso

favorevolmente, sia pur con sfumature diverse derivanti dalla diversa

concezione del rapporto con l’azienda. Il responsabile della Fim-Cisl,

Alberto Cipriani, afferma “Il WCM è un metodo organizzativo che va a

modificare in profondità tutti i sistemi gestionali e produttivi all’interno di un sistema

aziendale. Il fatto che ci sia un attacco agli sprechi la vedo come una cosa positiva,

soprattutto nella nostra società. Sono due le cose che mi colpiscono particolarmente la

sicurezza, senza la quale non si può fare un processo di eccellenza e la partecipazione

delle persone, le persone messe al centro del processo produttivo e in particolare gli

operai che vengono visti normalmente come quelli che non devono pensare, partecipare,

ma solo obbedire. Queste sono in sintesi le cose che mi colpiscono, bisogna poi vedere

come vengono implementate, tra la teoria e la pratica c’è uno scarto importante, spesso

viene gestito male e quindi di conseguenza le persone lo subiscono al posto di viverlo da

protagonisti e quindi questo può produrre delle conseguenze negative”.

La segretaria provinciale della Uilm-Uil, Flavia Aiello, afferma“ È un

ottimo sistema di lavoro, bisogna avere una grande volontà di partecipazione di

entrambi, nel senso che è orientato rispetto a quello che è il lavorare meglio e con

attenzione, nel senso facciamo i pezzi e li mandiamo avanti questo sistema qui, lo

boccia da subito. Il lavorare attentamente è un salto avanti in quella che è l’attività

produttiva in azienda”.

Il segretario responsabile della Fiom-Cgil, Edi Lazzi, afferma“È una

metodologia di organizzazione del lavoro, banalmente, secondo me ha delle buone

caratteristiche, c’è un idea un po’ più concettuale che riguarda l’organizzazione del

lavoro nel complesso. Una cosa che il sindacato ha detto da un sacco di anni, piuttosto

34 Intervista Flavia Aiello, segretaria provinciale UILM-UIL, 2014

Page 569: WCM (World Class Manufacturing)

219

che insistere sul lavoratore bisogna guardare un pò il tutto. È evidente che se la mia

postazione è pulita, intanto io lavoratore starò meglio, se i pezzi che devo montare

sull’autovettura sono già sequenziali è meglio, perché vuol dire che farò meno fatica a

cercarli. Il WCM è di per se una cosa positiva, dovrebbe essere applicato correttamente

tenendo conto dell’aspetto e dell’idea che hanno i lavoratori, bisognerebbe ritornare ad

una contrattazione tra i lavoratori tramite le loro rappresentanze sindacali e

aziendali, cosa che al momento non c’è, è la cosa negativa è che fa peggiorare le

condizioni lavorative delle persone. Un altro aspetto è che il WCM non parla mai del

sindacato, il WCM parla dell’azienda e del lavoratore, quindi se dobbiamo andare a

vedere che cosa è effettivamente il ruolo del sindacato nel WCM, e nell’intervenire sul

WCM, nel rappresentare i lavoratori dentro il WCM e dentro la Fiat è nullo” 35.

Nell’ambito del WCM, l’innovazione impatta quindi su vari fronti, sulla

sicurezza, sulle modalità di lavoro derivanti da analisi ergonomiche, sulla

creazione di un ambiente idoneo per le esigenze del lavoratore. Il WCM

implica quindi un vero e proprio mutamento paradigmatico nel modo di

intendere il lavoro, è inoltre richiesto un contributo armonico di tutti i

dipendenti aziendali. L’operaio deve guardare al suo lavoro in modo

nuovo e si deve interrogare su cosa può essere fatto per produrre meglio

con minore fatica, senza spreco. I dipendenti vengono quindi coinvolti

nell’azienda, questi non devono più soltanto fare ma anche pensare.

Per alcune sigle sindacali come Fim-Cisl e Uilm-Uil, il WCM, ha inciso in

maniera positiva maggiormente su alcuni aspetti, come l’impegno di

intelligenza e l’ergonomia del posto di lavoro con l’introduzione del

sistema Ergo-Uas, come afferma Alberto Cipriani: “I lavoratori dicono che

per certi versi aumenta l’impegno d’intelligenza, anche se lo dicono molto di più le

realtà dove il WCM è in una fase più avanzata e molto meno dove non lo è.

Contemporaneamente, dicono anche che la fatica c’è, non diminuisce, riconoscono che è

35 Intervista Edi Lazzi, segretario responsabile FIOM-CGIL, 2014

Page 570: WCM (World Class Manufacturing)

220

aumentata moltissimo la sicurezza e la salute, alla ricerca delle soluzioni migliori da

un punto di vista ergonomico partecipano anche gli stessi lavoratori, questa è un pò

una novità, nel senso mentre prima la progettazione era ad esclusivo appannaggio dei

progettisti, ingegneri, oggi viene chiesto agli stessi addetti di linea o team leader, che

sanno come avvengono i movimenti, le varie lavorazioni, come sarebbe meglio fare”.

Critica invece per quanto riguarda questi due aspetti è la posizione della

Fiom-Cgil, Edi Lazzi, afferma:

“Più intelligente in assoluto no, anche questa cosa qua che si vuole dipingere il fatto

che l’operaio mette del suo, mette l’intelligenza, sono tutte balle! È propaganda,

assolutamente, anzi possibilmente per l’azienda più sei uomo scimmia e meglio è!

Quando sento parlare gli altri sindacalisti che fanno da apoteosi, cioè ho prendono in

giro se stessi e sono proprio convinti che si stanno prendendo in giro, oppure a chi la

raccontano. Non c’è un elemento in più di intelligenza che i lavoratori mettono sul

lavoro in catena di montaggio, non lo vuole neanche l’azienda. Non è vero che

l’azienda vuole gente più colta, più preparata, si magari la vuole un pò più colta

perché così non deve stare lì troppo dietro a rompersi le scatole a spiegargli una

semplice operazione, però colta fin a un certo punto perché se poi sei troppo colto e

inizi a rompermi le scatole non vai più bene.

Per quanto riguarda il miglioramento delle condizioni di salute e di sicurezza, l’Ergo-

Uas è una metodologia come le altre. La cosa che in Fiat è stata ed è devastante è il

fatto che nel passato c’erano degli accordi che intervenivano direttamente sulle

condizioni di lavoro e sulla metrica del lavoro, accordi che permettevano di stare meglio

e di avere la possibilità tramite l’organizzazione sindacale di intervenire quando

qualcosa non andava, mentre prima il lavoratore non poteva essere saturato più

dell’87% del suo tempo, ora dal momento che la Fiat ha disdetto quelli accordi che le

altre organizzazioni hanno condiviso, il lavoratore può essere saturato fino al 99% del

suo tempo. Oppure prima c’erano 40 minuti di pausa, hanno tagliato le pause di 10

Page 571: WCM (World Class Manufacturing)

221

montaggio sono fondamentali, importantissimi, vuol dire 10 minuti in meno di

lavoro”.

La Fiat Chrysler Automobiles punta ad arrivare a un modello di

organizzazione del lavoro basato su una forte partecipazione dei

lavoratori. Una partecipazione che per le sigle sindacali resta ancora

molto debole, come afferma il responsabile della Fim-Cisl, Alberto

Cipriani “Il modello partecipativo ancora non si è realizzato, siamo ancora in una

fase che si sta sviluppando, se si fa riferimento ai lavoratori nel processo di

miglioramento continuo, ci sono delle punte avanzate in alcuni stabilimenti dove si è

riusciti ad arrivare ad un buon livello di partecipazione e di coinvolgimento ma sono

ancora abbastanza poche in Europa, quattro in tutto, gli altri sono decisamente più

indietro”.

La segretaria della Uilm-Uil, Flavia Aiello, afferma “E’ debole, ma io lo

attribuisco al fatto che non ci sia il lavoro, stiamo vivendo un periodo di cassa

integrazione, degli investimenti che per mille ragioni, hanno tardato. C’è stato un

rallentamento del programma, se poi uno la teoria non la mette nella pratica, è tutto

da rivedere”. Il segretario responsabile della Fiom-Cgil, Edi Lazzi, afferma

“Oggi c’è il WCM, la qualità totale degli anni Ottanta, di che cosa stiamo parlando?

La qualità totale è di nuovo la campagna della Fiat sulla qualità totale, zero difetti,

il coinvolgimento, non è mai stato coinvolto nessuno. Ripeto il WCM è una cosa

positiva sulla carta ma il suo concretizzarsi non tiene conto dei lavoratori come

portatori di una istanza che a volte può essere differente”.

È indubbio poi, da decenni, che le relazioni sindacali in Fiat Chrysler

Automobiles si basino su un equilibrio precario, dovuto a un sistema di

partecipazione debole della rappresentanza sindacale, come afferma il

responsabile della Fim-Cisl, Alberto Cipriani “Le relazioni industriali sono

un po’ indietro, sarebbe necessario fare di più, utilizzare questo sistema per misurare

in modo più trasparente, equo i vari risultati e le cose che avvengono all’interno della

Page 572: WCM (World Class Manufacturing)

222

fabbrica. Non ha senso che le cose che avvengono in un azienda non vengano trattate

dalle relazioni sindacali, l’unica cosa che fino ad ora abbiamo fatto ed è stato trattato

nella contrattazione, è un riconoscimento economico a fronte di un risultato dello

stabilimento nel suo insieme, che porta ad assegnare delle medaglie, oro, argento,

bronzo fino ad arrivare al World Class. Alle medaglie viene associato un premio

economico per ciascun lavoratore dello stabilimento, questo è quello che abbiamo fatto

fino ad adesso, l’intenzione è approfondire e andare oltre”.

La crisi del sistema di relazioni sindacali si evidenzia nell’insofferenza

della Fiat Chrysler Automobiles per le regole del confronto sindacale e

conferma la minor attenzione aziendale al tema dei rapporti sociali. Le

tre sigle sindacali ritengono che l’azienda tenda a gestire le cose in

maniera unilaterale e a individualizzare in qualche modo il rapporto con

il lavoratore, come afferma la segreteria provinciale della Uilm-Uil, Flavia

Aiello“L’azienda come tutte le aziende, tendono a fare i propri interessi, dicendo che

solo io ho la verità in tasca, solo io so come fare. L’azienda tende il più delle volte a

comunicare piuttosto che a dialogare. Su questo non andiamo molto d’accordo, non ci

possono essere solo le difficoltà dell’azienda, che capiamo, ma ci sono anche i

lavoratori, su questo facciamo fatica a farlo comprendere”. L’azienda dovrebbe

così riuscire a cambiare radicalmente mentalità, cioè dovrebbe accettare il

sindacato come suo interlocutore, come accompagnatore dei processi,

come afferma il segretario responsabile della Fiom-Cgil, Edi Lazzi “sedersi

e guardarsi negli occhi alla stessa altezza, se invece tu Fiat ti siedi dieci metri sopra

non ci potrà mai essere quella forma di partecipazione vera, ma sarà sempre finta,

sarà una partecipazione sulla carta, semplicemente dettata dalle mode del momento”.

Il conflitto positivo non può essere visto quindi come una

contrapposizione pura, se due persone si siedono di fronte a un tavolo, e

sullo stesso argomento vi sono due punti di vista differenti, ci deve

essere la capacità di trovare due punti di mediazione. Il dialogo è utile se

Page 573: WCM (World Class Manufacturing)

223

ci sono dei soggetti che si ci ascoltano e che riescono a trovare dei giusti

compromessi. Il sindacato dovrebbe essere visto quindi dall’azienda

come un formidabile strumento da utilizzare, soprattutto per ciò che

attiene alla partecipazione, ovvero la gestione quotidiana delle

problematiche del rapporto tra azienda e rappresentanti dei lavoratori,

attraverso anche il lavoro delle commissioni, ossia quei luoghi in cui si

cerca di discutere le varie problematiche relative all’organizzazione del

lavoro, ma come afferma il responsabile della Fim-Cisl, Alberto Cipriani

“in alcuni stabilimenti funzionano abbastanza, c’è un buon livello di concretezza, non

sono dei luoghi formali dove si ci scambia qualche informazione, esistono proprio dei

casi che vengono affrontati, risolti. Purtroppo in molte realtà questo non avviene, per

varie ragioni, dipende molte volte dalla cultura sindacale ma anche da quella

manageriale, che a mio avviso non considera questi strumenti come qualcosa di utile

per gestire le problematiche quotidiane, gli stessi manager preferiscono fare da soli

senza coinvolgere i rappresentanti, e questo credo che sia profondamente sbagliato ma

fai conti con una cultura che è quella Fiat, che non ha mai investito in relazioni

sindacali serie, come avviene altrove”.

Ambigua in questo momento per quanto riguarda la gestione del

rapporto con l’azienda è la situazione che sta vivendo la Fiom-Cgil, come

afferma Edi Lazzi “c’è una situazione anomala in questo periodo, nel senso che la

Fiom ha deciso di non firmare un accordo alla Fiat, e quindi noi siamo stati esclusi

dal rapporto con la Fiat. Un rapporto che noi ci siamo conquistati con le sentenze e

giudici dall’altro, rapporti di forza che abbiamo con l’alto. La Fiat non coinvolge la

Fiom per questa ragione. Io per quello che vedo non coinvolge neanche gli altri

sindacati. Non c’è dialogo, le commissioni ci sono ma si riuniscono poco e quando si

riuniscono siamo solo alla comunicazione e non è finalizzato a trovare dei punto di

compromesso”.

Page 574: WCM (World Class Manufacturing)

224

Una Partecipazione concreta della rappresentanza sindacale che in Fiat

ancora non si è realizzata, come sostengono tutti i sindacalisti, Alberto

Cipriani della Fim-Cisl “È tutto da costruire, questo anche per responsabilità del

sindacato, faccio anche un po’ di autocritica, ma soprattutto per responsabilità

dell’azienda”. Flavia Aiello, della Uilm-Uil “Non spinge assolutamente, non ci

stende i tappeti rossi, non ci apre la porta, ci siamo e cerchiamo di parlarci per il bene

dei lavoratori. Per l’azienda se c’è o non c’è il sindacato non gliene importa”.

Edi Lazzi, della Fiom-Cgil “La Fiat sulla carta spinge verso questo sindacato

partecipativo ma in realtà non vuole nessun sindacato. La Fiat il sindacato non l’ha

mai accettato come un soggetto che magari può avere un punto di vista differente, l’idea

è del comando assoluto, mi dispiace dirla così ma è la realtà”.

Page 575: WCM (World Class Manufacturing)

225

5.5 L’impatto del World Class Manufacturing in termini

di partecipazione sui lavoratori

Con l’introduzione del World Class Manufacturing, l’innovazione più

importante è stata quella di mettere il lavoratore al centro del processo

produttivo. Nessun lavoratore può chiudersi in se stesso perché il WCM

produce e richiede maggiore flessibilità, sia funzionale che mentale. Se ne

ha riscontro soprattutto nella richiesta al singolo lavoratore di individuare

gli intoppi e di risolvere i problemi che sorgono, mentre prima gli si

vietava ogni iniziativa, come afferma l’addetto di linea di Mirafiori

Carrozzeria, Antonella Palumbo “il lavoro sicuramente diventa più intelligente.

Non è più come una volta che ti mettevi lì in catena di montaggio, ti facevi le 8 ore e

facevi sempre quello, non eri tenuto a pensare, oggi ci sono delle postazioni in cui puoi

compilare un modulo, puoi fare appunto una proposta di miglioramento continuo” 36.

A fronte di una partecipativa attiva da parte dei lavoratori, molti

ritengono insoddisfacente le ricompense che da l’azienda a seguito dei

suggerimenti che fornisce il lavoratore per migliorare il lavoro, come

afferma Pino Di Castri, l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria “delle

magliette o dei gadget che da l’azienda, noi non ce ne facciamo niente. Il lavoratore

propone delle modifiche dove l’azienda risparmia milioni di euro, il lavoratore ha

bisogno di denaro”. Benchè vi sia libertà di proporre delle soluzioni, anche

innovative, molti ritengono che il cambiamento debba passare attraverso

il vaglio di tutta una serie di livelli gerarchici prima che possa essere

implementato, come affermano gli addetti di linea di Mirafiori

Carrozzeria, Antonella Palumbo e Pino Di Castri “si dovrebbe cercare di

ridurre questa burocrazia, attualmente vi è stata una riduzione dei livelli gerarchici,

perché nello stacco dall’operaio al dirigente, vi erano troppo figure”.

36 Intervista Antonella Palumbo, operaia Mirafiori Carrozzeria – Montatura, 2014

Page 576: WCM (World Class Manufacturing)

226

“All’interno dell’azienda c’è una gerarchia, a volte questa gerarchia interrompe questi

processi perché trovi la persona che non riesce a capire il modo con cui si deve porre al

lavoratore”.

Le novità più cospicue con l’introduzione del WCM, oltre ad essere stata

quella di richiedere al lavoratore una cooperazione intelligente, vale a dire

una “partecipazione diretta”, hanno riguardato l’ambiente di fabbrica nel

suo complesso, dal miglioramento delle condizioni di salute e di

sicurezza, un ambiente di fabbrica luminoso e pulito, come afferma

l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria, Giuseppe Buscicchio “l’aspetto è

globale della cosa, non solo a livello di postazioni di lavoro ma bensì anche di pulizia,

sicurezza, un contenuto a 360 gradi” 37.

Un metodo di organizzazione del lavoro che ha richiesto a imprenditori e

manager un diverso modo di gestire e di intendere l’impresa e la sua

stessa natura, non soltanto da un punto di vista operativo, l’azienda oggi

deve saper "ascoltare", deve "apprendere", il rapporto tende ad essere

così meno piatto ed impersonale, alcuni lavoratori ritengono che il

rapporto con l’azienda sia cambiato rispetto a quello di dieci anni fa,

come afferma, l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria, Antonella

Palumbo “ oggi c’è più competenza, sono materie che bisogna studiare, analizzare, e

quindi è utile confrontarsi con chi come noi si occupa dell’aspetto pratico e chi magari

la guarda dal lato tecnico”. C’è invece chi ritiene che il rapporto con

l’azienda sia ancora soggettivo, come afferma l’addetto di linea, Pino Di

Castri “come tutti gli ambienti di lavoro, c’è la simpatia e no, non dovrebbe esserci

però. Ci deve essere un rapporto umano, rispetto a qualche anno fa è migliorato sotto

alcuni punti di vista, sotto altri è diventato più rigido perché dal momento che siamo

in un periodo di crisi a volte la casta è usata come clava sui lavoratori come ricatto”.

37 Intervista Giuseppe Buscicchio, operaio Mirafiori Carrozzeria – Verniciatura, 2014

Page 577: WCM (World Class Manufacturing)

227

In questo nuovo scenario, in cui l’azienda mostra un maggiore senso di

apertura e a ricercare forme di “individualizzazione”con il lavoratore,

come afferma l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria, Antonella

Palumbo “molte volte si, è normale che l’azienda cerchi di mettere da parte il

sindacato per avere un rapporto direttamente con il lavoratore”, il sindacato resta

tuttavia per i lavoratori uno strumento imprescindibile per la tutela delle

loro condizioni di lavoro, come afferma l’addetto di linea di Mirafiori

Carrozzeria, Antonella Palumbo “è importantissimo il sindacato. Per noi

lavoratori è uno strumento che abbiamo a disposizione, fa da portavoce” o come

afferma l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria, Pino Di Castri “il

sindacato ci vuole, deve crescere, se non ci fosse sarebbe molto peggio” 38.

Alla visione sul sindacato i lavoratori riconoscono che in tempi di crisi ci

sia una disaffezione soprattutto da parte dei giovani, alcuni ritengono che

il sindacato vada riformato al suo interno, arrivando magari alla

formazione di un unico sindacato di categoria, anche se vedono questo

possibile percorso come irrealizzabile, altri invece ritengono che il

sindacato porti avanti una sua linea politica, una propria ideologia che

rende difficile così il dialogo con le altre organizzazioni sindacali.

In conclusione, i lavoratori valutano positivamente l’azienda e

l’introduzione del World Class Manufacturing, ritengono che ci sia

ancora molto da fare in termini di partecipazione, in quanto è un metodo

di lavoro che richiede di essere studiato e praticato quotidianamente e

per questo occorre il tempo necessario, occorre soprattutto un rapporto

elastico tra azienda, sindacati e lavoratori, altrimenti come afferma

l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria, Antonella Palumbo “sono cose

che rimarranno soltanto scritte sulla carta e non si potrà vedere la praticità sul posto

di lavoro”.

38 Intervista Pino Di Castri, operaio Mirafiori Carrozzeria, 2014

Page 578: WCM (World Class Manufacturing)

228

Sul futuro dell’azienda, i lavoratori si dividono tra chi ritiene che

l’acquisizione di Chrysler sia stata una scelta straordinaria, e chi ritiene

invece che sia stata una scelta di sopravvivenza, come afferma l’addetto

di linea di Mirafiori Carrozzeria, Pino Di Castri “dieci anni fa era impensabile

che Fiat potesse acquistare un’azienda, qualsiasi essa sia, soprattutto americana, è

incredibile” o come afferma l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria,

Giuseppe Buscicchio “oggi la Fiat che ha comprato Chrysler è stato il massimo,

oggi ci chiamiamo Fiat-Chrysler. Io non penso che questa sia l’ultima operazione che

farà Marchionne, penso che oggi per stare sul mercato ti devi per forza alleare, come le

altre case, se vuoi rimanere sul mercato. Oggi dire che la Fiat ha comprato Chrysler,

mi sento più sicuro a livello lavorativo, se fosse stata solo Fiat per me oggi poteva

essere pericoloso”, e c’è invece chi ritiene che la scelta fatta da Marchionne

sia stata dettata dal sistema politico e governativo, come afferma

l’addetto di linea di Mirafiori Carrozzeria, Antonella Palumbo

“Marchionne ha spostato la parte più importante all’estero, le vetture che fa in

Chrysler le poteva fare anche qui in Italia, e il governo non ha fatto nulla per

mantenere la Fiat qui in Italia, e parliamo del governo Berlusconi”.

Diversa è la situazione per quanto riguarda la mancata implementazione

del World Class Manufacturing tra gli impiegati all’interno della Fiat

Chrysler Automobiles, come afferma l’impiegata delle strutture centrali

di Fiat Chrysler Automobiles, Claudia Di Rosso “il WCM dove sono io non è

entrato, lo conosco perché l’ho un po’ studiato, da me si dovrebbe fare più che altro il

World Class Tecnologies, che poi non è partito tra gli impiegati e non ho capito il

perché” 39. Il modello viene valutato positivamente dall’impiegata,

soprattutto per quanto riguarda l’ergonomia e la sicurezza del posto di

lavoro, tuttavia “potrà rilevarsi un effettivo sistema per ridurre gli sprechi soltanto

39 Intervista Claudia Di Rosso, impiegata strutture centrali Fiat Chrysler Automobiles, 2014

Page 579: WCM (World Class Manufacturing)

229

quando sarà esteso a tutti gli attori, adesso è entrato nelle fabbriche più nuove e a

livello di officina, ma non tocca altre persone che comunque ci lavorano in fabbrica”.

Dall’intervista si percepisce immediatamente la diversità che caratterizza i

due ambienti di lavoro, quello operaio in cui sembra esserci una

maggiore predisposizione al lavoro di gruppo e quello degli impiegati

dove invece prevale una concezione individualista, come afferma

l’impiegata Claudia Di Rosso “c’è un divario culturale causato dalla differenza

culturale, l’impiegato ha una culturale un pò da arrogante, pensa di potersi risolvere il

problema da solo, l’operaio invece cerca di portare i problemi e di farseli risolvere,

l’impiegato non ce l’ha, proprio per la presunzione. Un altro aspetto è che l’operaio fa

squadra, c’è un concetto d’insieme, tra gli impiegati no”.

Alla visione sull’azienda, l’impiegata ritiene che ci sia una parte

dell’azienda con una mentalità molto propositiva, aperta al cambiamento

e al rinnovamento, e una buona parte di Fiat ancora con una mentalità

chiusa. Molto spesso in commissione l’azienda cerca di interpretare le

cose a suo modo non trovando punti di convergenza con il sindacato,

infatti afferma “facciamo l’esempio della commissione assenteismo, l’azienda ti

convoca ma non ti da dei dati, tu non sai se c’è una maggiore concentrazione di

assenteismo in un’aria piuttosto che in un’altra, non ti da gli strumenti per poter

interagire, tende ancora a manipolare e gestirsi la situazione da sola”.

Per quanto riguarda la presenza del sindacato all’interno dell’azienda,

come strumento di tutela delle condizioni di lavoro tra gli impiegati,

afferma “oggi lo schifano abbastanza, ti parlo dei miei impiegati. A me piacerebbe

tanto un sindacato unitario. Io sono per il sindacalista che lavora in azienda con e per

gli altri, un sindacato alla tedesca, sono fuori dagli schemi dei vecchi sindacalisti, ossia

quelli che sono fuori i cancelli, quelli che vogliono solo farsi vedere o fare carriera”.

Sulle prospettive future e dell’acquisizione di Chrysler, ammette che

nonostante l’azienda giochi la sua partita e faccia i suoi interessi gli

Page 580: WCM (World Class Manufacturing)

230

stabilimenti sono stati salvati e tutto ciò che è stato messo a tavolino è

stato fatto, anche se al momento vi è una disaffezione generale delle

persone nel vedere Fiat Chrysler Automobiles non più come un’azienda

italiana ma americana.

Page 581: WCM (World Class Manufacturing)

231

Interviste Rappresentanti Sindacali

Alberto Cipriani (Responsabile FIM-

CISL)

Edi Lazzi (Segretario responsabile

FIOM-CGIL)

Flavia Aiello (Segretaria provinciale

UILM-UIL)

Interviste Rappresentanti Sindacali

Alberto Cipriani

(Responsabile FIM-CISL)

Edi Lazzi

(Segretario responsabile FIOM-CGIL)

Flavia Aiello

(Segretaria provinciale UILM-UIL)

Page 582: WCM (World Class Manufacturing)

232

Intervista Alberto Cipriani

(Responsabile FIM-CISL )

Mi può raccontare la sua esperienza all’interno del Gruppo Fiat oppure del

sindacato? Qual è stato il suo percorso?

Ho iniziato dalla gavetta. Ho fatto il rappresentante sindacale in azienda. Ad un

certo punto ho deciso, anche spinto dai compagni di lavoro, di candidarmi alle

elezioni. Le prime elezioni delle Rsu si svolsero nel ‘95, e da lì iniziai un percorso di

impegno sindacale proprio a partire dalla fabbrica. Tutto è partito da lì e

l’impegno è cresciuto. Io facevo un lavoro interessante, anche da un punto di

vista professionale. Ma cresceva parallelamente sia l’impegno lavorativo e sia

quello sindacale e quindi, ad un certo punto, le due cose insieme non ci stavamo

più, anche in vista del tempo che era necessario dedicare ad entrambe. Mi è stato

chiesto di fare questa esperienza a tempo pieno nel sindacato e ho cominciato ad

essere un operatore sindacale esterno, che coordina l’attività di vari settori . Ho

seguito sia alcune piccole-medie imprese, al di fuori del mondo Fiat, ma

soprattutto realtà che appartengono al gruppo Fiat, che sono di una certa

consistenza numerica. Negli ultimi anni mi sono occupato anche a livello

nazionale delle questioni sull’organizzazione del lavoro e quindi anche del WCM.

1) Che cos’è il World Class Manufacturing?

Il Wcm è sostanzialmente un programma, un metodo organizzativo che va a

modificare in profondità tutti i sistemi gestionali e produttivi all’interno di un

sistema aziendale. E’ quindi un’esperienza di Lean Production che potrebbe

essere applicata a qualsiasi processo non necessariamente produttivo inteso in

senso stretto. Tant’è che viene implementato anche in banche, diverse da quelle

Page 583: WCM (World Class Manufacturing)

233

di natura manifatturiera. È quindi un processo di miglioramento continuo, molto

articolato. Vi è l’idea di abbattere, fino ad azzerare, tutti gli sprechi, le perdite e

generare un processo di eccellenza, con un contenimento molto serio dei costi.

Inoltre, si vorrebbero raggiungere degli obiettivi di qualità, di prodotto e di

processo elevatissimi. Tenere insieme queste cose è uno degli obiettivi in generale

dei processi di miglioramento continuo e nel WCM è implementato in maniera

molto strutturata.

2) Come vede il WCM? Qual è la sua percezione?

Da un punto di vista etico, il fatto che ci sia un attacco agli sprechi, la vedo come

una cosa positiva, soprattutto nella nostra società. Una cosa da evitare. Puntare

poi sulla qualità è un'altra cosa che a me colpisce abbastanza: è il primo pilastro

del WCM. Anche la sicurezza, trovo particolarmente interessante da un punto di

vista sindacale e dei lavoratori, perché senza la sicurezza non si può fare un

processo di eccellenza. Qualcuno magari ritiene che la sicurezza è un costo e che

bisognerebbe evitarla. Viene vista come un investimento. Questa cosa, 10 anni fa,

nessuno l’avrebbe detta in questi termini. Un altro punto è la richiesta di

partecipazione delle persone. C’è uno spazio di partecipazione senza la quale non

si riesce a realizzare un processo di eccellenza. Questo mi sembra, anche da un

punto di vista sindacale, antropologico. L’innovazione più importante sono le

persone che devono essere messe al centro del processo produttivo, in particolare

gli operai che, invece, normalmente, vengono considerati come quelli che non

devono pensare, partecipare ma solo obbedire. Queste sono in sintesi le cose che

mi colpiscono. Bisogna poi vedere come vengono implementate. Tra la teoria e la

pratica c’è uno scarto importante che spesso viene gestito male. Quindi, di

conseguenza, le persone lo subiscono al posto di viverlo da protagonisti e ciò può

produrre delle conseguenze negative.

Page 584: WCM (World Class Manufacturing)

234

3) Il coinvolgimento dei lavoratori è un elemento essenziale data la

vulnerabilità del programma? Che cosa fate per favorire il loro coinvolgimento?

Quali sono i principali strumenti che vengono adottati per motivare/valorizzare

i lavoratori all’interno della nuova organizzazione?

Questo è un terreno da esplorare. Fino ad ora l’azienda ha gestito le cose in modo

unilaterale. Vi sono molte proposte di miglioramento continuo, ma è

impressionante, come tutto sia gestito unilateralmente dall’azienda. Ciò non è

condivisibile per molti versi. Il sindacato sta iniziando ad occuparsene proprio in

questa fase. Fino ad ora l’unica cosa che abbiamo fatto, e che oltre tutto è stato

trattato nella contrattazione, dunque fa parte del contratto, è un riconoscimento

economico a fronte di un risultato dello stabilimento nel suo insieme. In ogni

stabilimento vengono misurate le performance: c’è un indicatore sintetico,

attraverso degli “audit”, e il punteggio sintetico poi produce un premio, una

medaglia che può essere Oro, Argento, Bronzo fino ad arrivare al World Class.

Alle medaglie viene associato un premio economico per ciascun lavoratore dello

stabilimento. Questo è quello che abbiamo fino ad adesso. L’intenzione è

approfondire e andare oltre, ragionare su premi un po’ più organizzati e

strutturati, legati alle idee e ai suggerimenti, da ragionare se a gruppi, a livello di

team, di aree di lavoro o anche a livello individuale. Io non sono propenso ai

premi individuali, anche se capisco che alcune idee possono produrre dei risparmi

molto corposi, ed è giusto che vengono riconosciuti a colui che li ha generati.

Questo, già in alcune aziende tedesche e giapponesi avviene, e si spera di andare

in questa direzione. Di fatto già un po’ è così. L’azienda riconosce delle cifre in

questi casi, però è tutto molto arbitrario, a seconda degli stabilimenti, delle

situazioni, ecc.

4) In seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si è realizzato

concretamente o ancora vi è una partecipazione debole?

Page 585: WCM (World Class Manufacturing)

235

Non si è realizzato. Siamo ancora in una fase che si sta sviluppando. Poi dipende!

Se si fa riferimento ai lavoratori nel processo di miglioramento continuo, ci sono

delle punte avanzate in alcuni stabilimenti dove si è riusciti ad arrivare ad un

buon livello di partecipazione di coinvolgimento. Ma sono ancora abbastanza

poche in Europa. Sono tre gli stabilimenti che hanno ottenuto questi risultati. In

Italia un paio, quattro in tutto, due in Italia, gli altri sono decisamente più

indietro. Abbiamo realizzato una ricerca importante, e questa ricerca dice proprio

questo, ed è emerso quello che dicevo adesso.

5) E da parte del sindacato vi è partecipazione?

Le relazioni sindacali sono un po’ indietro. Sarebbe necessario fare di più!

Bisognerebbe utilizzare questo sistema anche per misurare in modo più

trasparente, equo, più preciso i vari risultati e le cose che avvengono all’interno

della fabbrica, per dare un valore che sia compreso dalle persone, che sia noto a

tutti, meno discrezionale, più oggettivo. Questo farebbe bene anche all’azienda e

noi faremmo il nostro lavoro sindacale; maggiore equità, giustizia e anche per far

tornare ai lavoratori risultati concreti che possono essere in termini economici,

ma anche di altra natura. Quello che è certo è che non ha senso che tutti i

miglioramenti e le cose che avvengono in un’azienda non vengano trattate dalle

relazioni sindacali.

6) Questo proprio perché il sindacato in Italia è istituzionalizzato, quindi vi deve

essere un coinvolgimento?

Si, per anni è stato abituato a fare le cose sempre in uno stesso modo. Questi

cambiamenti organizzativi mettono un po’ in gioco le regole di sempre, e allora

spingono a modificare le strutture stesse della contrattazione. Io lo vedo

interessante! I cambiamenti sono sempre ricchi di problemi e opportunità.

Page 586: WCM (World Class Manufacturing)

236

7) Forme di disaffezione e di protesta, quali la non partecipazione alle attività

di miglioramento continuo della qualità, l’assenteismo, lo sciopero, vengono

praticate? Quali sono i livelli di assenteismo? Ci sono dei dati?

Si, ci sono dei dati che variano a secondo dello stabilimento. Quando si parla di

Mirafiori, si fa riferimento ad un mondo molto ampio: qui ci stanno 18.000

addetti. Lo stabilimento della carrozzeria di Mirafiori conta circa 5.000 addetti,

tutti gli altri sono sparsi in altre realtà. C’è una struttura molto importante di

ingegneria, commerciale, ecc. in cui vi sono circa 6.000 persone. Ci sono le

meccaniche, ci sono le presse. Non è come gli altri stabilimenti. Se si va a Cassino,

lì producono le auto. Nel caso di Mirafiori ci sono anche quelle che producono le

auto: separiamo lo stabilimento, cosiddetto terminale, quello che fa le auto ed

attualmente ne fa molto poche. C’è la Mito che vende relativamente poco. E’

comunque in corso la ristrutturazione dello stabilimento stesso per andare a

produrre modelli di alta gamma. Quindi parlare dell’assenteismo oggi a Mirafiori

bisogna vedere di che cosa si parla; l’assenteismo nella struttura centrale è molto

diverso da uno stabilimento che sta facendo cassa integrazione o delle

meccaniche. È in corso in questi ultimi anni un ulteriore cambiamento

organizzativo, perché un’azienda che si chiamava Bertone è stata acquisita dalla

Fiat. In quello stabilimento che è vicino Mirafiori vengono prodotti attualmente

due modelli di Maserati. Questo sta lavorando tantissimo e, molti degli

stabilimenti Mirafiori carrozzeria, sono stati trasferiti lì. Questi due stabilimenti,

insieme ad uno più piccolo che fa le scocche, in realtà, sono diventati un tutt’uno

e si chiama “polo produttivo Torino”. Quindi la vecchia Mirafiori carrozzeria, non

esiste proprio più; c’è stato un coinvolgimento organizzativo che è in corso e che

ha prodotto questi cambiamenti. Se parliamo, quindi, di produzione di auto,

parliamo, di polo produttivo Torino, se parliamo, invece, di Mirafiori, come

complesso produttivo e organizzativo, è una cosa molto diversa e ampia. Per

quanto riguarda lo sciopero, se c’è qualche elemento di conflitto, può riguardare

lo stabilimento di Maserati perché si lavora molto, e le persone sono stanche e

Page 587: WCM (World Class Manufacturing)

237

vorrebbero avere qualche riconoscimento in più. Lì c’è stato qualche ragione

conflittuale che ha portato anche a piccoli episodi di sciopero. È importante

riuscire a comprendere che ci sono realtà molto diverse. Pomigliano sta

lavorando, però, c’è tanta gente ancora in cassa integrazione, a Cassino simile,

Mirafiori Carozzeria, Melfi sta facendo un salto produttivo di nuovi modelli però

stabilimenti che lavorano a tempo pieno e che fanno straordinario sono davvero

pochi, sono solo la Sevel la Maserati di Grugliasco (ex Bertone).

8) Secondo lei il lavoro diventa più autonomo e intelligente? oppure soltanto

più gravoso, o forse entrambe le cose insieme?

Non ti do il mio giudizio. Ti dico quello che hanno detto i lavoratori nella ricerca. I

lavoratori dicono che per certi versi aumenta l’impegno d’intelligenza, anche se lo

dicono molto di più le realtà dove in WCM è una fase più avanzata e molto meno

dove non lo è. Contemporaneamente, dicono anche che la fatica c’è, non

diminuisce. Riconoscono che è aumentata moltissimo la sicurezza e la salute e

anche la qualità del prodotto, ecc. Però la fatica, lo stress permangono.

9) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza

del posto di lavoro? A tal proposito, nel quadro del WCM, è stato inserito un

sistema specifico chiamato Ergo-Uas, cosa ne pensa? Ha portato ad una

riduzione della fatica dello stress, e delle malattie di tipo muscolo-scheletrico?

Oggettivamente il fatto di progettare e realizzare di conseguenza delle stazioni di

lavoro con criteri ergonomici, ha diminuito il carico biomeccanico che il

lavoratore subisce. La progettazione delle nuove stazioni di lavoro avviene

utilizzando l’innovazione tecnologica migliore rispetto a quella disponibile al

momento. Se tu utilizzi un azzeratore di peso, o degli avvitatori sono molto più

leggeri di quelli di una volta o utilizzare delle pedane che portano ad una certa

altezza; per cui tu non lavori con le braccia sopra le spalle. Sono tutti una serie di

Page 588: WCM (World Class Manufacturing)

238

accorgimenti, di innovazione tecnologiche o organizzative che diminuiscono

oggettivamente la fatica e questo si può misurare attraverso delle checklist. Alla

ricerca delle soluzioni migliori, da un punto di vista ergonomico, partecipano

anche gli stessi lavoratori e questa è un po’ una novità, nel senso che, mentre

prima la progettazione era ad esclusivo appannaggio dei progettisti, ingegneri,

oggi viene chiesto agli stessi addetti di linea o team leader, che sanno come

avvengono i movimenti, le varie lavorazioni, come sarebbe meglio fare. Gli viene

chiesto in un fase preventiva, perché ovviamente progettare delle nuove posizioni

di lavoro quando ancora l’auto è in una fase di disegno, quando ci sono più

prototipi, ha dei costi irrisori pari a zero; invece, modificare delle strutture che già

sono state disegnate in un certo modo è impossibile se non addirittura molto

oneroso, e questo processo di co-design anticipato è anche una delle novità del

WCM. Il WCM non interviene solo sulla fabbrica, così come oggi, ma tutte le

conoscenze, tutto il kow-how che si acquisiscono, oggi servono a progettare la

fabbrica del domani, coinvolgendo i lavoratori stessi. Questo è interessante! Il

sistema Ergo-Uas prova a fare esattamente questo: attraverso un software, cioè

attraverso l’uso del virtuale, computer, le immagini possono aiutare tantissimo a

capire abbastanza da vicino la realtà, per immaginarla e cambiarla meglio in

anticipo, perché se lo fai in anticipo puoi farlo, dopo è difficile farlo. In questo

senso, in ordine all’ergonomia, ci sono stati cambiamenti importanti che,

ovviamente, hanno riguardato gli stabilimenti nuovi. Gli stabilimenti che hanno le

linee già lì da 10 anni non hanno potuto beneficiare di tutti i cambiamenti

tecnologici: può implementare alcune cose, ma altre cose strutturali, se li deve

tenere, e quindi i lavoratori non hanno percepito questo beneficio.

Il sistema Ergo-Uas, dato che ha l’ambizione di misurare in modo oggettivo, se

implementato bene dovrebbe garantire una spalmatura del lavoro e della fatica,

del carico equo. Il problema è che la cosa affinché avvenga, bisogna fare le cose

bene, cioè in termini tecnici si parla di saturazione e queste devono essere

calcolate in modo corretto: il tempo assegnato al lavoratore per svolgere le sue

mansioni e il ciclo di lavoro che si ripete “n” volte. Questa è una sfida con

Page 589: WCM (World Class Manufacturing)

239

qualsiasi sistema. Ergo-Uas ha questi due pregi, uno di avere un’attenzione molto

spiccata sull’ergonomia che tra l’altro, andando a misurarla, produce una

maggiorazione di tempo, un tempo di riposo aggiuntivo se il carico meccanico è

più elevato; l’altra è quella di spalmare la fatica, il lavoro più equo possibile, a

bilanciarlo tra le persone. Altri sistemi lo fanno anche, per come ho visto io, dal

momento che ho visitato le fabbriche in Germania, applicano Ergo-Uas da

tantissimi anni e ha un equità abbastanza garantita. Il problema sono alcune

postazioni che, per loro natura e per come è conformata l’automobile, restano

complicate da modificare e lì si può soltanto intervenire organizzando, magari,

assegnando più tempo, ruotando, ecc.

10) Qual è la situazione attuale all’interno del gruppo rispetto alla

sperimentazione del WCM nei vari stabilimenti? Perché alcuni stabilimenti sono

più avanti e altri no, dipende dalla capacità dei lavoratori, dal management

aziendale?

È una scelta del sistema. Il sistema è strutturato così, anche se la logica in Fiat è

stata quella di un’applicazione top-down. C’è un forte “commitment” della

dirigenza e poi viene esteso a tutta la fabbrica, non però proprio a tutti, ma si va

aree modello, si va per sperimentazioni successive. Prima si sceglie una zona

attraverso dei criteri normalmente, attraverso dei criteri magari la zona più

critica e da quella si procede una volta che le cose funzionano ad estendere in

altre aree e zone fino a convincere tutto il “plant”. E così vale adesso per i vari

“plant”che non sono partiti tutti insieme, ma abbastanza insieme. Qualcuno ha

fatto un po’ da lepre, come si dici in gergo. Il primo a sperimentare il WCM è

stato Mirafiori e gli altri, la Fiat Industrial dopo.

11) Qual è il tasso di sindacalizzazione?

Page 590: WCM (World Class Manufacturing)

240

A livello generale, in Italia sul 30% ovvero, 1/3 dei lavoratori sono iscritti al

sindacato, però l’85% vota all’elezione dei rappresentanti. Per sindacalizzazione si

intende l’iscrizione al sindacato, che va a misurare la rappresentatività. Invece, in

termini di rappresentanza, abbiamo percentuali molto elevate di partecipazione

al voto, il 95%.

12) Che impatto ha avuto il WCM sulle relazioni industriali?

Per ora abbastanza residuale, a parte il tema delle medaglie. E’tutto un po’ in

divenire. Però sono convinto che nei prossimi mesi e anni ci sarà più

contaminazione tra il modo di lavorare nelle fabbriche e le relazioni industriali.

13) Qual è il rapporto con l’azienda? Siete interpellati? Il sindacato ha la

possibilità di discutere o deve sempre scendere a patti con l’azienda? Qual è la

dialettica dei problemi del dialogo con l’azienda?

C’è un sistema partecipativo in essere all’interno della fabbrica. Ci sono delle

commissioni, esistono dei luoghi dove quasi quotidianamente vengono utilizzate

per discutere le varie problematiche relative all’organizzazione del lavoro, della

saturazione; poi ci sono delle commissioni specifiche per la salute e la sicurezza; ci

sono delle commissioni che si occupano di servizi aziendali, mensa, trasporti,

varie problematiche interne. Quindi, il sistema di relazioni, anche quotidiane

all’interno dell’azienda esiste, così come esiste un sistema di relazione con il

territorio a livello nazionale. Tieni conto che in Fiat le relazioni sono gestite a

livello nazionale, soprattutto, c’è una forte centralizzazione nella fase di

contrattazione, per ciò che riguarda la quotidianità, la gestione partecipativa

esistono questi strumenti contrattuali.

Page 591: WCM (World Class Manufacturing)

241

14) Funzionano effettivamente o il coinvolgimento del sindacato è solo

formale? Nel senso che l’azienda riferisce le cose che ha già stabilito, cioè vi è

un predominio dell’azienda sul sindacato?

Più o meno, in alcune stabilimenti funzionano abbastanza. C’è un buon livello di

concretezza per quanto riguarda il lavoro delle commissioni. Non sono dei luoghi

formali dove si ci scambia qualche informazione, cioè dove si ci incontra una

tantum, ma esistono proprio dei casi che vengono affrontati, risolti. Purtroppo, in

molte realtà questo non avviene, per varie ragioni. Ciò dipende molte volte dalla

cultura sindacale, ma anche da quella manageriale che, a mio avviso, non

considera questi strumenti come qualcosa di utile per gestire le problematiche

quotidiane.

Non si considera nell’interlocuzione qualcosa che è utile, per gestire i problemi,

avere degli strumenti. A volte c’è un “gap”, un defict di capacità e conoscenza da

parte dei rappresentanti sindacali che noi paghiamo poi e non è sempre colpa dei

manager; altre volte gli stessi manager preferiscono fare da soli senza

coinvolgere i rappresentanti, e questo, credo sia profondamente sbagliato, ma fai

conti con una cultura che è quella Fiat, che non n’è che abbia mai investito in

relazioni sindacali serie, come avviene altrove.

15) Non c’è mai stato un buon rapporto con il sindacato?

È un rapporto politico, non concreto, non legato al lavoro, legato più ad aspetti di

ordine ideologico.

16) Secondo lei, con l’implementazione del WCM, l’azienda sta cercando di

“individualizzare” sempre di più il rapporto con il lavoratore? Senza

l’intromissione del sindacato?

Page 592: WCM (World Class Manufacturing)

242

Si, cerca di individualizzare, secondo me, una fabbrica senza sindacato produce

molto problemi, ma io sono di parte perché sono un sindacalista.

Parlando di processi di miglioramento continuo, il sindacato è ovviamente un

sindacato partecipativo, potrebbe essere uno formidabile strumento da utilizzare

per l’azienda. Quest’ultima paga dei consulenti esterni per farsi osservare da

qualcuno all’esterno, proprio per andare oltre il conformismo aziendale. Quindi

penso che le relazioni sindacali, proprio nell’ottica dei sistemi di miglioramento

continuo, possano avere un ruolo diverso rispetto al passato, in ruolo

all’organizzazione. Poi questo non sostituisce completamente la contrattazione

perché ci sarà sempre uno spazio di contrattazione che avverrà ogni tanto, in cui

si decide magari anche di litigare, si decide di cambiare alcune regole, però, per

ciò che attiene alla partecipazione, ovvero la gestione quotidiana delle

problematiche del rapporto tra azienda e rappresentanti dei lavoratori, credo che

il sindacato possa avere un ruolo utile all’azienda stessa. Questo in Fiat non c’è

ancora, non c’è questa visione che consente di far fare un salto di qualità alla

partecipazione.

17) Quindi, secondo Lei, non c’è ancora questo “sindacato d’impresa” o

partecipativo?

No, è tutto da costruire. Questo anche per responsabilità del sindacato. Faccio

anche un po’ di autocritica, ma soprattutto per responsabilità dell’azienda.

18) Se questo dovesse avvenire, potrebbe tradursi in un sindacato al servizio

dell’azienda?

Questo è un rischio! In Giappone è un po’ così. Il rischio dell’aziendalismo c’è,

però il problema è che io, da tantissimi anni, sento dire che il sindacato deve

essere più vicino al lavoratore, dove è il luogo di lavoro. Poi, però, magari rischi di

sentirti dire che sei aziendalista. È chiaro che i rischi ci sono, però, in questa fase

Page 593: WCM (World Class Manufacturing)

243

storica un sindacato solo politicizzato, che ha delle istanze che non tengono conto

del contesto lavorativo di quell’azienda, non ha più spazio. Tu sei costretto ad

essere lì e provare a tutelare i lavoratori partendo dalla loro situazione concreta,

sennò tutto il resto rischia di non incidere per niente. Questo penso sia una scelta

obbligata. Il rischio dell’azienda c’è, bisogna adottare qualche contromisura che

venga in aiuto. Io non lo vedo così complesso da gestire.

19) Qual è il suo rapporto con le altre organizzazioni sindacali? Cercate un

dialogo?

Assolutamente si! Uno dei nostri problemi in Italia è quello di avere troppe sigle

sindacali. Si è più preoccupati a litigare con il proprio collega che con l’azienda e

questo è un altro tratto culturale che dovremmo superare. Al lavoratore non

interessa l’organizzazione, a volte neanche lo sa, ma interessa che tu,

sindacalista, sia in grado di risolvere il problema, di tutelarlo, di rappresentarlo.

Poi non è vero che ci sono ancora molti lavoratori che sono ideologicamente

affezionati, perché c’è una visione un po’ politica del sindacato, anche se la

stragrande maggioranza dei lavoratori non la pensa più così. Il fatto che noi

abbiamo più un rapporto conflittuale con le altre organizzazioni che di

collaborazione, non va a favore del sindacato stesso. Io sarei per il superamento

di tutte queste barriere. Troppe sigle sindacali. Rischiamo il modello francese, un

sindacato poco rappresentativo e istituzionale. Io credo che serva di più un

sindacato rappresentativo, che sta lì, conosce i problemi, piuttosto che tanti

sindacati.

20) Il ruolo delle Rsu che hanno potere di contrattazione, alla fine che fanno?

Come si comportano?

Il realtà non hanno grande potere di contrattazione. Nello schema del contratto

Fiat svolgono una “gestione partecipativa”. Magari alcune cose le contrattano

Page 594: WCM (World Class Manufacturing)

244

anche, tipo le ferie, il calendario annuo, ma non è che possono contrattare, in

quanto anche questo è uno schema vecchio. Più che altro devono gestire e perciò

gli vengono affidati degli strumenti. Hanno un impianto partecipativo e devono

farlo funzionare. Esso è un lavoro imponente, però l’idea della contrattazione

continua appartiene al passato. Che tu sei lì ad usare il micro-conflitto per ogni

volta fare qualcosa, nello schema partecipativo questo si chiama gestione

partecipativa. Non è che ogni volta rivedi il contratto, le regole, perché la

contrattazione è questa: le regole le scriviamo per tre anni. Poi sono quelle non è

che ogni giorno ci mettiamo a discutere che regola usiamo, perché questa è

proprio la pecca italiana che facciamo le regole e poi non le rispettiamo, per poi

discuterle non ha senso. Le regole si scrivono, dopo di che ci sono degli strumenti

e delle strutture per farle funzionare, perché servono ad affrontare questa e la

partecipazione.

21) Come avviene la contrattazione? Chi negozia? Che cosa viene negoziato?

La contrattazione avviene soprattutto a livello nazionale. C’è un contratto che

definisce le regole, ovviamente in stretto rapporto con i vari territori, i

rappresentanti di fabbrica; cioè un elaborazione che ciascuna organizzazione fa

al suo interno e che poi vengono messe insieme producendo un documento che si

chiama “piattaforma”, in cui poi si discute con l’azienda. L’azienda ha poi la sua

piattaforma che si confronta con la nostra e si litiga, e si prova trovare una

soluzione che si chiama contratto.

22) Secondo lei, ci stiamo avviando verso il decentramento della contrattazione

collettiva e delle relazioni industriali? Come valutate la scelta di un contratto a

livello aziendale, unico dell’auto?

No, ci possono essere anche degli spazi di contrattazione a livello territoriale,

però tu hai uno schema di contrattazione che prevede varie cose, alcune generali

Page 595: WCM (World Class Manufacturing)

245

altre più dedicate, specifiche. La gestione poi dei problemi si chiama

“partecipazione”. Ma non c’entra la contrattazione. Spesso noi confondiamo le

due cose pensando che siano un'unica cosa. E’ un salto, un cambiamento

culturale che ancora non abbiamo fatto e io ritengo che sia fondamentale.

Chiaro che io mi riferisco ad una grande impresa globale, anzi, addirittura noi

potremmo pensare ad una contrattazione globale e questo si mi piacerebbe: un

contratto mondiale, unico del gruppo Fiat Chrysler e poi alcune cose definite a

livello locale. Ormai siamo nel mondo. Il WCM è un sistema globale. Loro

utilizzano lo stesso linguaggio; ciò che avviene a Mirafiori avviene anche in Cina,

in quanto utilizzano gli stessi termini. Quindi, se noi guardassimo a questi nuovi

sistemi, dovremmo cambiare anche la nostra impostazione e a me piacerebbe

avere uno sguardo più globale che poi scende nel dettaglio. Però capisco che

questo vale per un gruppo, una multinazionale come può essere adesso Fiat

Chrysler. Se pensi ad una piccola media-impresa le cose sono diverse. Lì avrei un

po’ di dubbi se lasciare tutto solo a livello aziendale, in quanto, in una piccola

realtà, il potere che hanno i sindacati territoriali può essere molto relativo e c’è il

rischio di molta frammentazione, allora lì bisogna ragionarci un po’ meglio.

Servono delle regole che preservino un quadro più ampio, generale che potrebbe

essere un contratto dell’industria, e poi scendere a livello nazionale. In Fiat, il più

viene gestito a livello nazionale, però in questo contratto si tiene conto delle varie

realtà. Penso si possano trovare delle forme per venire incontro ad esigenze

diverse. Marchionne ha adottato un contratto specifico perché dice: “Io cosa

c’entro con la siderurgia, informatici, discutiamo di quello che ci interessa”.

Questo, Volkswagen l’ha fatto parecchio tempo fa. Io dico che sarebbe

interessante trovare delle forme più intelligenti per dare delle risposte anche sul

piano locale, però in un contesto contrattuale nazionale.

23) Con le vertenze di Pomigliano e Mirafiori, che cosa è cambiato? Cancellano

diritti e garanzie per i lavoratori?

Page 596: WCM (World Class Manufacturing)

246

No, non cancellano diritti e garanzie per i lavoratori, anzi ne aggiungono

qualcuno, ad esempio, il sistema Ergo-Uas, ovvero il diritto del lavoratore a far

controllare la propria postazione di lavoro, cosa che prima nei contratti Fiat non

c’era. Sono state modificate delle tutele, è stato modificato il regime delle

flessibilità. Per quanto riguarda gli orari di lavoro, però, quello che ti dicevo

prima, la nostra idea è che la contrattazione, intesa come attività quotidiana.

Invece, qui si pensa ad un sistema in cui la contrattazione la fai “una tantum” e

poi usi la partecipazione per la gestione quotidiana.

24) Secondo Lei, la costituzione della New Company ha un fine antisindacale?

Dal momento che quest’ultima non aderendo a Confindustria rende

inapplicabili non solo i contratti nazionali ma anche quelli interconfederali sulla

rappresentanza sindacale?

È un po’ datata, perché non c’era il contesto giuridico e anche contrattuale che

non consentiva alla Fiat e Marchionne di fare alcune operazioni. C’era dentro

Confindustria e ora non è più necessario. Infatti, la “New-co” non esiste più.

25) Negli USA la contrattazione avviene a livello aziendale invece che a livello

nazionale, è possibile secondo Lei un’analoga strada anche in Italia dove vi

sono sindacati che collaborano e altri invece dissenzienti?

Gli Stati Uniti sono una struttura federale, quindi è molto diverso. In Germania

non esistono i contratti nazionali così come li trattiamo noi, perché gli Stati Uniti

sono federali, ma esiste una struttura basata sui “Land”, e quindi è una ragione di

carattere giuridico. Poi ci sono norme sul lavoro molte diverse tra l’Italia, Stati

Uniti e Germania. Io credo che, pensando a Fiat, non vedo nessun problema per

una contrattazione aziendale, perché in realtà per noi è come se fosse un

contratto nazionale, non è cambiato nulla. Si chiama in un altro modo, è un

contratto di fatto nazionale, specifico perché riguarda solo quel gruppo di

Page 597: WCM (World Class Manufacturing)

247

lavoratori ma è un contratto di fatto nazionale perché Fiat ha stabilimenti in tutte

le regioni italiane che riguarda 86.000 persone sparse sul territorio. Pensando al

resto, secondo me, non è che non si può rinunciare al contratto nazionale, l’unica

cosa è che è necessario garantire, pensando com’è la struttura produttiva

italiana con troppe piccole imprese che non avrebbero la forza di fare la

contrattazione. Bisogna garantire comunque un livello di base per tutti e questo è

importante. Se lo fai attraverso un contratto nazionale oppure attraverso dei

contratti di settore o di territorio, non è che mi scandalizzo. Rinunciare al

contratto nazionale e fare solo quello aziendale è una cretinata in Italia, va bene

per Fiat, ma per le piccole-medie imprese, porterebbe ad un impoverimento della

contrattazione e quindi dei lavoratori.

26) Cosa ne pensa dell’acquisizione di Chrysler?

Chrysler è stata un operazione incredibile. La Fiat ha salvato Chrysler e la Chrysler

ha salvato Fiat. Chrysler l’ho visitata nel 2009, era un azienda morta, non

sapevano fare le auto, abbandonati a se stessi. Senza l’operazione la Fiat non ce

l’avrebbe fatta. Non è che adesso ce l ha fatta solo perché si chiama Fiat-Chrylser,

la sfida è aperta, difficile e complicata. Oggi, per competere nel mondo e per

produrre automobili, sono necessarie alcune condizioni: una di queste è quella di

essere grandi, di avere una massa critica importante e spalmare i costi di

un'unica piattaforma su tantissime vetture. L’operazione Fiat-Chrysler ha

consentito di realizzare, almeno in linea teorica, questa massa critica,ma ora

dipende dal mercato. Mel mondo, la Toyota e Volkswagen sono quelli che hanno

ottenuto importanti risultati. Anche se ora nessuno può sentirsi al sicuro, è tutto

in divenire, in quanto chi è più bravo riesce a vincere. È una competizione

continua. Si ha avuto l’opportunità di allargare ad altri mercati. Le Maserati che

vengono prodotte qui a Grugliasco, vengono vendute nella gran parte dagli Stati

Uniti, in Cina. Senza Chrysler non si potrebbero vendere queste Maserati negli

Page 598: WCM (World Class Manufacturing)

248

Stati Uniti, senza la rete commerciale di Chrysler non si farebbero tutte queste

migliaia di auto che costano 80-160 mila euro ciascuna.

Page 599: WCM (World Class Manufacturing)

249

Intervista Edi Lazzi

(Segretario responsabile FIOM-CGIL)

Mi può raccontare la sua esperienza all’interno del Gruppo Fiat oppure del

sindacato? Qual è stato il suo percorso?

Il mio percorso è che semplicemente sono arrivato lì grazie alla FIOM-CGIL. Sono

un funzionario della FIOM e lo facevo già da un po’ di anni. Poi, ogni tanto, noi

ruotiamo nei vari territori, anche perché se stiamo sempre nello stesso posto,

dopo un po’, uno, da tutto per scontato di aver già conosciuto tutti, e quindi ogni

tanto ruotiamo. E nella rotazione io sono arrivato lì a Mirafiori, e per la FIOM

sono arrivato alla carrozzeria che di Mirafiori è il pezzo più grosso e poi

successivamente sono diventato il segretario responsabile di tutto il sito di

Mirafiori.

1) Che cos’è il World Class Manufacturing? Come vede il WCM? Qual è la sua

percezione?

È una metodologia di organizzazione del lavoro. Banalmente, secondo me, ha

delle buone caratteristiche, nel senso che c’è una filosofia di fondo che parte dal

presupposto che più il lavoro è organizzato in maniera strutturata, scientifica, in

maniera che tutto sia al suo posto meglio, è per la produttività. Diciamo che c’è

una logica che spinge molto, non sullo sfruttamento semplicemente del lavoro,

quindi vai più veloce, ma c’è un idea un po’ concettuale che riguarda

l’organizzazione del lavoro. Molte delle cose, e con questo non voglio svilire il

WCM, sono cose di buon senso. Altra cosa che il sindacato ha detto da un sacco

di anni, piuttosto che insistere sul lavoratore bisogna guardare un po’ il tutto. È

evidente che se la mia postazione è pulita, intanto io, lavoratore, starò meglio, se

i pezzi che devo montare sull’autovettura sono già sequenziali, è meglio, perché

vuol dire che farò meno fatica a cercarli. Se nella filosofia aziendale c’è l’idea di

Page 600: WCM (World Class Manufacturing)

250

andare a ricercare gli sprechi, ridurre gli sprechi e per quella via, poter abbassare

il prezzo del prodotto ci da più possibilità di rimanere sul mercato. Quind, sotto

questo punto di vista, il WCM è una cosa positiva. Arriva da lontano, non l ha

inventato la Fiat il WCM, c’era il kaizen, il WCM è una forma di evoluzione e di

adattamento del kaizen giapponese alla realtà Fiat.

2) Come si inseriscono i lavoratori nella nuova organizzazione? Cosa cambia per

loro?

Per loro cambia poco e nulla, perché in realtà c’è una discrepanza. Questo, sono i

lavoratori che c’è lo raccontano, tra ciò che è il WCM, cioè rispetto al manuale del

WCM e poi come viene applicato concretamente in Fiat. La Fiat piano piano sta

cambiando, ma ha, però, un entourage culturale che si porta dietro da un po’ di

anni e che la gerarchia aziendale ha tramandato di generazione in generazione

rispetto ai responsabili delle officine. Che poi alla fine, al di là di quello che viene

detto dall’alto, l’importante è fare i pezzi, quindi traduco: magari i lavoratori

dicono qui c’è un problema, il capo risponde tu non ti preoccupare comunque vai

avanti, che è un contraddizione di termini. Il WCM come principio è: se c’è

qualcosa che non va bisogna segnarla e intervenire nell’immediato. Invece,

troppo spesso ancora adesso, quando ci si trova in difficoltà all’interno

dell’officina, quando il lavoratore fa presente che ci sono delle cose che non

vanno, troppo spesso la risposta da parte del diretto capo è tu non ti preoccupare

comunque vai avanti. C’è questa idea che la produzione deve essere spinta, nel

vero senso della parola, quindi la sua applicazione. Adesso ho fatto un macro

esempio ne potrei fare altri, è ancora zoppicante. La fabbrica è più pulita,

menomale! Santo Dio! Le fabbriche dell’immaginario collettivo, quelle buie, dove

c’erano le scintille non ci sono più. Qualcuna ancora sì, di quelle piccole, ma delle

multinazionali, delle aziende moderne. Non ci sono più queste fabbriche, sono

quasi tutte sufficientemente pulite. Il WCM spinge molto in questa direzione,

infatti, sotto questo punto di vista, c’è sicuramente un miglioramento, c’è un

Page 601: WCM (World Class Manufacturing)

251

miglioramento delle condizioni ambientali. Diciamo che rispetto alle cose che il

WCM dice, la sua applicazione c’è ancora molto strada da fare, anche perché c’è

la mentalità ancora spinta in Fiat. Alla fine, il peso della gerarchia aziendale c’è e

si fa sentire. Un altro esempio, i suggerimenti di miglioramento. Molte volte

questi o, non vengono presi proprio in considerazione e quindi sottovalutati,

oppure sono suggeriti dai capi dell’azienda, che cosa devono scrivere nei

suggerimenti, quanti ne devono mettere e poi magari riescono anche a pilotare

quattro premi che vengono dati. Quindi ci sono due lati della medaglia del WCM,

una che è sicuramente positiva altro che ha sicuramente ancora un aspetto

chiaro-scuro.

3) Il coinvolgimento dei lavoratori è un elemento essenziale data la

vulnerabilità del programma? Che cosa fate per favorire il loro coinvolgimento?

Quali sono i principali strumenti che vengono adottati per motivare/valorizzare

i lavoratori all’interno della nuova organizzazione?

Queste cose ci sono, ma le organizza l’azienda. Rispetto al ruolo del sindacato e

appunto dei lavoratori, no al momento non ci sono. C’è una situazione anomala

in questo periodo, nel senso che la FIOM ha deciso di non firmare un accordo alla

Fiat, e quindi noi siamo stati esclusi dal rapporto con la Fiat. Un rapporto che noi

ci siamo conquistati con le sentenze e giudici dall’altro, rapporti di forza che

abbiamo con l’alto. La Fiat non coinvolge la FIOM, per questa ragione. Io, per

quello che vedo, non coinvolge neanche gli altri sindacati. L’idea della Fiat del

sindacato è una cosa che deve essere funzionale, strumentale al suo interesse. Il

sindacato come accompagnatore dei processi. Nel momento in cui il sindacato

inizia, in qualche modo, a dire alla Fiat anche su cose che dovrebbe la stessa

condividere, come il WCM, e vuole essere davvero protagonista, portatore di un

idea che magari vuole essere anche parzialmente differente da quello che pensa

l’azienda ma che può essere in qualche modo lo specchio di quello che pensano i

lavoratori, la Fiat non lo vuole.

Page 602: WCM (World Class Manufacturing)

252

4) Il sindacato non viene visto quindi come parte integrante?

No! Poi, un altro aspetto è che il WCM non parla mai del sindacato. Il WCM parla

dell’azienda e del lavoratore. Quindi, l’organizzazione sindacale entro questo

meccanismo, in realtà, non c’è neanche. Poi, ovviamente all’azienda e ai

sindacati, che in qualche modo voglio semplicemente accompagnare i processi, fa

comodo darsi una reciproca affidabilità per accreditarsi. Ma se dopo dobbiamo

andare a vedere che cosa è effettivamente il ruolo del sindacato nel WCM, e

nell’intervenire sul WCM, nel rappresentare i lavoratori dentro il WCM e dentro la

Fiat, è nullo.

5) In seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si è realizzato

concretamente o ancora vi è una partecipazione debole? sia da parte del

sindacato che da parte dei lavoratori.

La partecipazione è debole per le cose che dicevo prima. Per arrivare a quello che

ha sulla carta la stessa FIM, di strada bisogna farne tanta. Anzitutto,

bisognerebbe che la Fiat decidesse radicalmente di cambiare mentalità, e che è

quello che dicevo prima, ovvero quello di accettare il sindacato come un tuo

interlocutore, che si siede e ti guarda negli occhi alla stessa altezza. Se invece tu

pensi Fiat, che il sindacato non è un tuo interlocutore e che quando ti siedi, tu

Fiat, sei seduta dieci metri sopra, non ci potrà mai essere quella forma di

partecipazione vera, sarà sempre finta, sarà una partecipazione sulla carta,

semplicemente dettata dalle mode del “momento”. Oggi c’è il WCM, la qualità

totale di qualche anno fa, degli anni ottanta … Ma di che cosa stiamo parlando?

La qualità totale è di nuovo campagna della Fiat sulla qualità totale, zero difetto,

il coinvolgimento, non ne mai stato coinvolto nessuno. Se allora il cambiamento

ci deve essere, questo cambiamento deve essere reale. Ripeto il WCM sulla carta

è una cosa positiva, come dicevo prima, tra l’altro, una cosa che il sindacato ha

Page 603: WCM (World Class Manufacturing)

253

già detto da anni, in Fiat e altrove. Adesso piano piano anche le aziende arrivano,

ma il concretizzarsi di questo WCM non tiene conto del sindacato e dei lavoratori

come portatori di un’istanza che, come dicevo prima, può essere differente.

Occorre un profondo cambio di mentalità. Tra l’altro il conflitto positivo non può

sempre essere visto come contrapposizione pura: se due persone si siedono di

fronte a un tavolo, e sullo stesso argomento hanno due punti di vista differenti,

devono avere la capacità di trovare dei punti di mediazione. Se stiamo parlando

di organizzazione del lavoro, è evidente che a tavolino gli ingegneri che

progettano il lavoro, il WCM, che dalle direttive su come determinate cose

devono essere fatte. Hanno un loro punto di vista. Gli operai, nella catena di

montaggio, ne hanno sicuramente un altro, ma non perché gli uni o gli altri sono

più cattivi, perché fanno due cose differenti: quello che vede l’ingegnere non lo

vede l’operaio e quello che vede l’operaio non lo vede l’ingegnere. Bisognerebbe

avere la capacità di stare intorno a quel tavolo e capire che se l’operaio o il

sindacato che rappresenta gli operai ti stanno dicendo che quella cosa fatta così

non va bene e si potrebbe fare in un altro modo. Bisognerebbe dargli ascolto,

bisognerebbe trovare dei punti di convergenza, cosa che ti assicuro in Fiat non

accade mai!

6) Forme di disaffezione e di protesta quali la non partecipazione alle attività di

miglioramento continuo della qualità, l’assenteismo, lo sciopero, vengono

praticate? Quali sono i livelli di assenteismo? Ci sono dei dati?

I livelli di assenteismo, al momento, credo che siano intorno al 5%, poi bisogna

vedere che cosa si intende per assenteismo. La Fiat dà dei dati che sono

comprensivi delle persone che sono in malattia, anche di quelle che sono in ferie,

in maternità. Teoricamente non si può immischiare. Se parliamo di assenteismo a

livello di malattia abbiamo dati inferiori. Gli operai che si mettono in mutua per

protestare contro l’azienda ci sono, ma sono una minoranza, perché, pensare che

la malattia e la mutua siano usati in maniera impropria dalla stragrande

Page 604: WCM (World Class Manufacturing)

254

maggioranza dei lavoratori, è una sciocchezza. La stragrande maggioranza dei

lavoratori sta in malattia quando sta male e sta in malattia, magari, quando non

sta male, ma in logoro dalle condizioni di lavoro. La fabbrica è pulita e luminosa

ma lavorare in catena di montaggio è dura, fanno operazioni che stanno sotto il

minuto, quindi vuol dire che per ogni minuto della loro vita quei lavoratori

ripetono lo stesso movimento e lo fanno per 8 ore al giorno per 5 giorni la

settimana per 22 giorni al mese per 365 giorni l’anno. Se la si vede da

quest’ottica c’è quasi da impazzire. Quindi, io non mi scandalizzo se un operaio

dopo 3 mesi di lavoro consecutivo, anche se non sta male, va dal medico e dice,

mi sento un po’stanco ed esaurito. Non fa l’ingegnere, non sta seduto dietro una

scrivania. Secondo me è legittimato a chiedere dei giorni, questo però non si può

confondere con il fatto che i lavoratori non hanno voglia di lavorare o che usano

la mutua come protesta nella generalità dei casi. Quindi lì, l’assenteismo è

fisiologico e delegato alle condizioni di lavoro. È normale che un operaio chiede

una mutua più di un ingegnere. Io vorrei vedere il contrario, se un ingegnere lo si

prende e lo si mette in catena di montaggio, improvvisamente, fa più mutua di

quel lavoratore che ha sempre lavorato in catena di montaggio, e allora di che

cosa stiamo parlando?

7) Secondo lei il lavoro diventa più autonomo e intelligente? oppure soltanto

più gravoso, o forse entrambe le cose insieme?

Più gravoso dipende dalla tempistica che viene applicata, quanto tempo tu devi

fare un’operazione. Più intelligente in assoluto no! Anche questa cosa qua si

vuole dipingere il fatto che l’operaio mette del suo, mette l’intelligenza, sono

tutte balle! È propaganda assolutamente, anzi, possibilmente per l’azienda: più

sei uomo scimmia è meglio è! È così! Bisogna raccontarsi le cose come sono.

Quando sento parlare gli altri sindacalisti che fanno da opoteosi, cioè, o

prendono in giro se stessi e sono proprio convinti che si stanno prendendo in giro,

oppure a chi la raccontano. Non c’è un elemento in più di intelligenza che i

Page 605: WCM (World Class Manufacturing)

255

lavoratori mettono sul lavoro in catena i montaggio e non lo vuole neanche

l’azienda. Non è vero che l’azienda vuole gente più colta, più preparata. Sì,

magari la vuole un po’più colta perché così non deve stare lì troppo dietro a

rompersi le scatole a spiegargli una semplice operazione, però colta fino a un

certo punto, perché se poi sei troppo colto e inizi a rompermi le scatole non vai

più bene. Sono delle forzature, e poi di nuovo stiamo parlando di una tipologia di

lavoro in cui oggettivamente, cosa vuoi mettere della tua testa, quando devi fare

la stessa operazione, un po’ di rispetto per delle persone che fanno un lavoro che

è dignitoso ma che, nei contenuti, è quello che è. Valorizzarlo così astrattamente,

io penso che sia anche mancanza di rispetto nei riguardi di chi lo fa veramente.

8) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza

del posto di lavoro? A tal proposito, nel quadro del WCM, è stato inserito un

sistema specifico chiamato Ergo-Uas, cosa ne pensa? Ha portato ad una

riduzione della fatica dello stress, e delle malattie di tipo muscolo-scheletrico?

L’Ergo-Uas è una metodologia come le altre, che ti scompone in tempi preordinati

i movimenti e vengono applicati. Non mi sento di esprimere neanche un giudizio,

è una cosa così tecnica. Ma non per il tecnicismo, da un certo punto in avanti, a

partire dall’organizzazione scientifica del lavoro che si prova a scomporre i

movimenti per dargli un tempo standard. È giusto così! Le aziende devono

produrre, devono avere la redditività, produttività ed è giusto che sappiano

quanto tempo ci vuole, almeno sulla carta, a fare una determinata situazione.

Quindi non mi sento di dare un giudizio nei confronti dell’Ergo-Uas, forse nella

parte ergonomica punta anche a dare degli elementi in più rispetto alla fatica che

il lavoratore fa e quindi gli interventi necessari per evitare, insomma, possa

ammalarsi a livello professionale, il tunnel carpale e quant’altro. La cosa che in

Fiat è stata ed è devastante, è il fatto che nel passato c’erano degli accordi che

intervenivano direttamente sulle condizioni di lavoro e sulla metrica del lavoro.

Accordi che permettevano di stare meglio e di avere la possibilità, tramite

Page 606: WCM (World Class Manufacturing)

256

l’organizzazione sindacale, di avere degli interventi quando qualcosa non andava.

Faccio un esempio: c’erano degli accordi che dicevano, al di là della metrica che

veniva applicata, che comunque tu non potevi essere saturato sulla linea di

montaggio più del 87% del tuo tempo, cioè i movimenti reali che tu facevi, al di là

di quanto tempo ti veniva assegnato, non potevano essere superiori rispetto a

una determinata percentuale della tua presenza all’interno dell’officina.

Ovviamente questo riduceva la tua fatica. Adesso, dato che la Fiat ha dato la

disdetta di quegli accordi che le altre organizzazioni hanno condiviso, il lavoratore

può essere saturato fino al 99% del suo tempo. Quindi vuol dire che lavora minuti

attivi in più, mentre prima le cose le doveva fare in un tempo minore. Non voglio

entrare troppo nel tecnicismo perché sarebbe più articolato, ma se il tempo è

100, prima lavoravo l’87% ora arrivo fino al 99%, quindi c’è un aumento. Tramite

questa via c’è la cosa negativa, che non è riferita al WCM di per sé: la cosa

negativa è che adesso la prestazione si è intensificata, ma perché sono stati

disdetti quegli accordi sindacali, e, di nuovi accordi la Fiat non ne vuole più fare,

perché ha stabilito che il tempo di saturazione è il 99% perché la metodologia

prevede quello, ho capito la metodologia prevede non c’è scritto in nessun libro

sacro che se la metodologia prevede che tu puoi essere saturato al 99% ma il

lavoratore fa fatica, alla fine stabiliamo per accordo che non sarà l’87 ma magari

il 90 o 92%. Oppure prima c’erano 40 minuti di pausa. Hanno tagliato le pause di

10 minuti. Uno può dire va bè 10 minuti … Ma 10 minuti, per chi lavora in catena

di montaggio, sono fondamentali, importantissimi, vuol dire 10 minuti in meno di

lavoro: posso riposare gli arti, rilassarmi. Però, ripeto, non sono seduti dietro una

scrivania. Quello che mi fa arrabbiare di tutta questa vicenda è vedere come

coloro che dovrebbero in qualche modo capire, oggettivamente capire, quel

punto di vista, si rifiutano semplicemente, perché non ci lavorano loro lì, perché

ascoltano troppo poco le persone. Devo dire di nuovo che lo faccia l’azienda ci

può anche stare, anche se sbaglia e in qualche modo che ci siano dei

rappresentanti del lavoro che condividano queste cose un po’ meno. Non può

passare tutto dal fatto che, o si va così o non c’è la produttività, perché la

Page 607: WCM (World Class Manufacturing)

257

produttività deve essere ricercata, non tramite l’intensificazione di quella

prestazione, ma tramite il WCM e la corretta applicazione del WCM, non di fronte

al fatto che poi alla fine mi tagliano le pause, mi fanno saltare la saturazione al

100% e poi con l’applicazione del WCM. Il capo mi dice va bè vai avanti lo stesso.

Non può funzionare in questo modo! Però, al momento, è così! Sotto il punto di

vista dei lavoratori i miglioramenti non ci sono stati.

9) Qual è la situazione attuale all’interno del gruppo rispetto alla

sperimentazione del WCM nei vari stabilimenti? Perché alcuni stabilimenti sono

più avanti e altri no, dipende dalla capacità dei lavoratori, dal management

aziendale?

Perché alcuni stabilimenti sono partiti prima e quindi sono più avanti, rispetto ad

altri, c’è una scansione temporale. Poi la Fiat ha deciso di concentrarsi nei luoghi

dove si lavora di più, dal momento che la maggioranza degli stabilimenti in Italia

sono fermi, lavorano a Pomigliano e la Maserati. Adesso speriamo che ci sia una

ripresa! Sono otto anni che stanno aspettando quei lavoratori, però si spera che

arrivi. Melfi dovrebbe ripartire. La Carrozzeria di Mirafiori, forse, arriva il modello

alla fine del 2015. Quelli che sono più avanti sono quelli partiti prima e dove c’è

lavoro. Su questo, devo dire, che la Fiat si sta impegnando a portare il WCM

dappertutto. Io ripeto, il WCM è di per se una cosa positiva, dovrebbe essere

applicato correttamente tenendo conto dell’aspetto e dell’idea che i lavoratori

hanno. Bisognerebbe ritornare ad una contrattazione tra i lavoratori tramite le

loro rappresentanze sindacali e aziendali, cosa che al momento non c’è, e la cosa

negativa è che fa peggiorare le condizioni lavorative delle persone.

10) Qual è il tasso di sindacalizzazione?

Adesso non te lo so più dire, essendo in questa situazione di conflitto in senso

negativo, anzi di contrapposizione con la Fiat. Non perché lo vogliamo noi, ma è

Page 608: WCM (World Class Manufacturing)

258

la Fiat che lo vuole. Abbiamo perso alcuni dati. Prima li avevamo perché ce li dava

l’azienda, adesso noi sappiamo orientativamente quanti iscritti possiamo avere

della FIOM, però, quanti ne hanno gli altri, non te lo so dire. Siamo

abbondantemente sotto il 50%. Negli anni passati, il tasso di sindacalizzazione

era più alto. Ti dovresti fare delle domande: come mai adesso si è abbassato? Se

tutto va così bene, i lavoratori dovrebbero essere tranquilli e continuare ad

iscriversi al sindacato, se il sindacato avesse un utilità. Ma dal momento che il

sindacato, per i lavoratori, l’utilità dentro la Fiat ce ne ha poco e niente, perché

gli altri sono spariti, perché accompagnano i processi aziendali e perché la FIOM è

stata messa così ai margini dal gruppo Fiat, che facciamo una fatica immane, è

evidente che quel tasso diminuisce, ma non è un seno positivo che la gente sta

meglio, ma perché le persone pensavo che entro la Fiat essere iscritti ad un

organizzazione sindacale non serva a nulla.

11) Qual è il rapporto con l’azienda? Siete interpellati? Il sindacato ha la

possibilità di discutere o deve sempre scendere a patti con l’azienda? Qual è la

dialettica dei problemi del dialogo con l’azienda?

Non c’è un dialogo! Che l’azienda mi chiami al tavolo e mi dia delle comunicazioni

a un sindacato, non serve a niente. Ma non al sindacato di per sè, quando parlo di

sindacato immagino sempre che siano i lavoratori lì di fronte all’azienda. Il

sindacato è strumento di rappresentanza dei lavoratori, dovrebbero avere. Il

fatto che ci sia dialogo con l’azienda è del tutto inutile e quel dialogo non è

finalizzato a trovare dei punti di compromesso. Se io e te parliamo e parli solo tu

e mi dici semplicemente delle cose e mi riempi la testa di dati, concetti e alla fine

io non posso risponderti, che senso ha questo dialogo? Semplicemente un

prendere atto, che può avvenire guardando, leggendo i giornali. Allora il dialogo

è utile e positivo, se finalizzato alla ricerca di compromessi tra due punti di vista

che in alcuni momenti posso essere differenti, altre volte, invece, si ha una

comunanza di punti di vista. La funzione del dialogo deve essere costruttiva se

Page 609: WCM (World Class Manufacturing)

259

l’azienda dice, possiamo anche stare ore e ore intorno ad un tavolo, possiamo

essere chiamati ogni giorno, quel non vuol dire essere coinvolti, essere coinvolti

vuol dire essere incisivo e riesci a migliorare coloro che rappresenti. Che cosa

serve un dialogo se poi, alla fine, nel momento in cui il sindacato fa una proposta,

la tua risposta è sempre no? Francamente, non mi serve a niente, oppure solo su

delle cose minime e, in questo periodo, neanche queste. Allora bisogna capire che

cosa si intende per dialogo. Per me il dialogo è utile se ci sono dei soggetti che si

siedono di fronte in cui parlano entrambi, entrambi si ascoltano e raggiungono

dei compromessi.

12) Per quanto riguarda gli strumenti, cioè meccanismi di tipo partecipativo,

esistono ancora le commissioni paritetiche? Chi ne fa parte? Quali temi

affronta? Funzionano effettivamente o il coinvolgimento del sindacato è solo

formale? Nel senso che l’azienda riferisce le cose che ha già stabilito, cioè vi è

un predominio dell’azienda sul sindacato?

Si ci sono, però si riuniscono poco, e quando si riuniscono siamo solo alla

comunicazione. Un sindacato di rappresentanti di lavoratori servono se possono

essere incisivi e che sia dall’altra parte qualcuno che sia disposto a dargli ascolto.

Se non c’è nessuno disposto a dargli ascolto dovrebbero riuscire a darsi ascoltare

con il conflitto costruttivo. La Fiat, lo sciopero non lo tollera più. Nell’accordo, che

è una delle motivazioni per cui non abbiamo firmato, ci sono comunque delle

clausole che tendono ad inibire lo sciopero, non a proibirlo perché nella

Costituzione Italiana lo sciopero è un diritto del singolo lavoratore, per cui

neanche un contratto può andare contro la costituzione, ma che ci siano dei punti

che inibiscono lo sciopero è fuori dubbio. Vuoi un esempio? Lo sciopero lo

possono dichiarare anche i lavoratori, però solitamente lo dichiara il sindacato.

Gli operai aderiscono allo sciopero che ha dichiarato il sindacato, ma se tu in un

contratto metti che, se tu sindacato, dichiari uno sciopero, sei legato a delle cose

che tu hai già contrattualizzato e, io azienda ti posso sanzionare. Io, come

Page 610: WCM (World Class Manufacturing)

260

sindacato, non ho più nessun interesse, e qui c’è il soggetto sindacato avulso dal

rapporto con i lavoratori a dichiarare quello sciopero, perché se dichiaro lo

sciopero mi togli i permessi, non mi fai le trattenute in busta paga dei miei

tesserati che ovviamente mi servono per sopravvivere. E’quindi evidente che io ti

inibisco la tua possibilità di dichiarare lo sciopero che non può essere confuso con

il fatto che bisogna mettersi delle regole, ma Santo Dio! È vero che io ho

contrattualizzato e che ci sono dei sabati di lavoro straordinario obbligatorio,

però, magari, in quel periodo lì, sto passando un periodo di attrito con l’impresa

per altre ragioni e, una delle mie armi è dire: anche se avevamo stabilito che quel

sabato è obbligatorio, dichiaro lo stesso lo sciopero agli straordinari perché

stiamo litigando su alcune argomenti. Perché devo non poterlo fare? Se eravamo

in un periodo di tranquillità non mi sarei mai sognato di dichiarare lo sciopero

agli straordinari, quindi anche se lo abbiamo contrattualizzato, secondo me, è

giusto che anche se si sta litigando io posso tutelarmi. E’ un’arma che io ho, ma

se mi viene tolta con la scusa che l’abbiamo già contrattualizzata, e non stai

quindi rispettando l’accordo, è una forzatura. Hanno messo delle clausole che

inibiscono lo stesso sindacato. Tanto è vero che da quando c’è quel contratto

chiedi anche alle altre organizzazioni, quanti scioperi hanno organizzato in Fiat,

zero! Eppure in un gruppo così grande non ci sono mai state motivazioni per non

fare uno sciopero? Ma dai, non scherziamo! Impossibile in due lunghi anni,

neanche un problema? Non lo fanno perché hanno l’idea di non rappresentare

più direttamente quelle persone.

13) Potremmo dire un sindacato al servizio dell’azienda?

Sì! Un sindacato aziendale, al servizio dell’azienda forse è un po’ eccessivo, ma

sindacato aziendalista. Adesso c’è un’idea che per me è sbagliata che la

centralità è impresa. L’impresa è quella che deve decidere tutto, perché l’impresa

deve essere competitiva sul mercato, e lo può decidere solo lei come rimanere

competitiva sul mercato. Stiamo facendo un salto indietro, quando nel 1800,

Page 611: WCM (World Class Manufacturing)

261

quando c’era la battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro oppure la battaglia

per impedire il lavoro ai fanciulli, gli imprenditori/padroni spiegavano che se i

fanciulli non potevano andar più a lavorare, loro avrebbe chiuso le fabbriche

perché determinati lavori li potevano fare solo i ragazzini, dicevano questo. Poi,

per fortuna, il lavoro minorile è stato proibito e nessuna fabbrica ha chiuso per

questa ragione. Quando l’orario di lavoro era di 60 ore alla settimana,

spiegavano che, se lo avessero abbassato a 50 ore, sarebbe stata la rovina,

sarebbero fallite tutte, che sarebbero già andate, all’epoca, a produrre all’estero

con la microscopica globalizzazione che c’era. Sono tutte cose che sono state

dette, ma perché sono insite in quel conflitto positivo che c’è il capitale e il lavoro.

Non voglio usare termini del passato ma sono attualissimi, siamo in un sistema

capitalistico, Santo Dio! Prevede chi detiene i mezzi di produzione e chi non li

detiene, va a lavorare per chi c’è li ha. Quindi, tornando a quello che dicevo

prima, se diminuivi l’orario di lavoro era morte per tutte le aziende.

Assolutamente non è vero, perché per l’impresa, giustamente, l’impresa punta ad

avere il massimo profitto, di far lavorare le persone il più possibile. Ma è giusto!

Se io fossi da quella parte, la penserei esattamente in quel modo, ovviamente

l’interesse del lavoratore è di lavorare meno ore possibili e guadagnare il più

possibile. Tramite questi due punti che sono in antitesi, avere la capacità di

trovare i giusti compromessi. In questo periodo questa capacità non c’è più,

anche perché coloro che dovrebbero rappresentare gli interessi di chi lavora,

sempre i più, sono stati catturati cognitivamente, dall’ideologia che l’impresa è al

centro di tutto, che l’impresa deve poter fare quello che vuoi. Il dibattito che c’è

sull’articolo 18 adesso è una follia. L’articolo 18 dice che l’impresa non ti può

licenziare se non c’è una giusta causa, e stanno spiegando che le imprese non

vengono ad investire in Italia, perché c’è l’articolo 18. Una follia, non è così! A

parte che le imprese possono licenziare, anche quando inattivo, perché c’è una

legge che prevede la riduzione del personale. Cos’è che non possono fare le

imprese? Non possono scegliere la riduzione del personale, chi licenziare. Devono

usare de criteri oggettivi, cioè, io ho un reparto in cui devo calare in 5 persone da

Page 612: WCM (World Class Manufacturing)

262

10 che lavorano. Devo tenere i riferimenti che il legislatore ha messo che sono i

carici familiari, la professionalità. Quindi, se uno ha 10 figli e uno non ha figli,

andrà via chi non ha figli. Se uno ha una professionalità più elevata, andrà via chi

ha la professionalità meno elevata. Sono dei criteri oggettivi, ma non si vogliono

più avere questi criteri oggettivi perché l’impresa vuole poter scegliere, perché

vuole avere sempre di più il comando all’interno dell’azienda, togliendo una parte

di dignità delle persone. Però l’ideologia dice, se c’è l’articolo 18, le imprese non

investono, le imprese straniere non vengono perché c’è una burocrazia che fa

schifo, perché c’è la criminalità. Ma sono altri i motivi perché le imprese non

vengono ad investire in Italia.

14) Il WCM che sta sperimentando la Fiat, sta spingendo verso un “sindacato

d’impresa” o partecipativo?

La Fiat, sulla carta, spinge verso questo sindacato partecipativo, ma in realtà non

vuole nessun sindacato. Il sindacato ti deve servire per accompagnare i processi.

Io devo poter dire: sapete che si ci fa così! Se poi riesco, addirittura, a dire ai

lavoratori che è giusto fare così, ancora meglio! Evito di farlo io direttamente,

azienda. A Fiat è sempre stata così e continuare ad essere così. Poi, a seconda dei

periodi, cambia un po’ le sfumature, cambia un po’ la faccia da ferocia, a volte è

un pò più gentile. La Fiat, il sindacato non l ha mai accettato. Al limite l’ha subito,

come negli anni 70, che c’era la forza dei lavoratori, ma non l ha mai accettato

come soggetto portatore di quelle istanze che possono essere differenti dalle tue

ma che ti possono servire per migliorare tutti quanti insieme. L’idea è del

comando assoluto, mi dispiace dirlo così, ma è la realtà.

15) Qual è il suo rapporto con le altre organizzazioni sindacali? Cercate un

dialogo?

Page 613: WCM (World Class Manufacturing)

263

In questo periodo pessimo! Io non personalizzo mai, non ce l’ho con nessuno

però, in quanto organizzazione, non si ci parla neanche, ed è perfetto per la Fiat.

A parte che il sindacato dovrebbe essere un unico sindacato. In Italia questo non

è possibile per ragioni storiche, siamo più sindacati. Bisognerebbe avere un legge

sulla rappresentanza che stabilisce chi è il sindacato maggiormente

rappresentativo, ma la legge sulla rappresentanza non c’è, quindi, sindacati che

hanno punto di vista differenti e litigano tra di loro, perché ognuno pensa di

avere un punto di vista che è migliore dell’altro, è legittimo. Il vero problema è

che litigando le imprese sono più forti e la Fiat, in questo litigio, si ci è infilata in

maniera più che decisa. Talmente decisa che alla fine il risultato è quello che

dentro le sue aziende non esiste più un risultato. Di nuovo, quel sindacato che

contratta e rappresenta i lavoratori, chi è legittimato, i sindacati firmatari non

contrattano più nulla chi non è legittimato come noi in questa fase di crisi , non

abbiamo la forza. E’normale che i lavoratori sono spaventati, sono intimoriti

anche di fare lo sciopero.

16) Il ruolo delle Rsu che hanno potere di contrattazione, alla fine che fanno?

Come si comportano?

Non ce l’hanno più. Una gestione partecipativa dove l’azienda ti dice che va bene.

Non ce l hanno, non ce l hanno! Mi dispiace dire queste cose. Poi mi rendo conto

che quei lavoratori sono stati lasciati soli da tutti, prima dalla politica. Non c’è più

nessun rappresentante in Parlamento. Le leggi che hanno fatto contro il lavoro in

questi anni sono state fatte perché di lavoratori in Parlamento non ce ne sono

più. Prima c’era qualcuno, erano organizzati anche in un partito. Adesso non c’è

più un operaio in Parlamento, non c’è più un partito che li rappresenta in senso

stretto. Sono stati lasciati soli, a livello parlamentare, politico anche a livello

sindacale.

17) Come avviene la contrattazione? Chi negozia? Che cosa viene negoziato?

Page 614: WCM (World Class Manufacturing)

264

Non c’è.

18) Adesso si è fuori dal sistema Confindustriale, il contratto dei

metalmeccanici in fiat non si applica, è meglio o peggio?

È peggio, perché intanto, se parti dal salario, è sempre più legato alle

performance aziendali. Il contratto nazionale e le regole che c‘erano

precedentemente prevedevano che i lavoratori ricevessero un aumento legato

all’inflazione. Quindi, se c’è stato l’1% di inflazione, l’1% di aumento, anche

perché così mantieni costante il tuo livello di acquisto. Se io ho un salario che sta

sotto il tasso d’inflazione e quindi se l’inflazione è del l1% e il mio salario è

cresciuto del 0,5%, io quest’anno sono più povero dell’anno scorso perché in

termini assoluti, il mio potere di acquisto è diminuito. Poi appunto, il contratto

nazionale garantiva di avere degli aumenti legati al tasso d’inflazione. Poi la

contrattazione aziendale, tramite le performance aziendali faceva più

produttività, ti permetteva addirittura di salire con il tuo salire in termini reali,

con un concetto giusto ed equo, se c’è produttività ci sono più soldi e quindi

guadagni di più. E’saltata, nel gruppo Fiat, è stata scardinata completamente,

non c’è nessun meccanismo che ti tiene agganciato perché la Fiat non lo vuole al

tasso inflazione e gli aumenti, quando ci sono, devono essere solo legati alla

performance aziendale. Che lo decide l’azienda quale deve essere, siamo al

paradosso dei paradosso. Quindi non siamo neanche insieme che lo decidiamo

ma è l’azienda che decide quali devono essere i parametri per stabilire che c’è

stata produttività, redditività, e al quel punto redistribuzione tra i lavoratori con

un sistema di questo tipo nei periodi di crisi e non solo nei periodi di crisi perché

anche nei periodi in cui le cose vanno paradossalmente meglio, se tu non hai un

meccanismo, ti tiene agganciato all’inflazione. Tu, rispetto agli altri

metalmeccanici guadagni meno, tanto è vero che adesso nel gruppo Fiat le

persone guadagnano di meno. Su alcune cose che prima erano fisse ora sono

Page 615: WCM (World Class Manufacturing)

265

sempre più variabili e l’ultimo che contratto che stanno discutendo adesso,

stanno già dicendo, non ci sono aumenti dove ci sono, saranno stabilimento per

stabilimento, quindi anche la divisione tra lavoratore che fanno lo stesso lavoro,

lo stesso mestiere che lavorano in stabilimenti differenti si troveranno ad avere

una paga differente. Questo è quello che sta succedendo nel gruppo Fiat che è

stato frutto del CCSL. Io non penso che gli altri sindacati non se ne rendano conto.

Loro sanno che cosa hanno firmato e che cosa hanno deciso di fare, però solo il

tempo e la storia, andando indietro, tireranno le somme sul disastro che è stato

fatto. La cosa peggiore che quel modello che la Fiat sta riuscendo a far passare è

un modello che si estende, prima a Pomigliano poi a Mirafiori e noi dicevamo

quella roba lì rischia di contaminare negativamente anche il resto dei lavoratori,

cosa che sta succedendo. Tanto è vero che molti gruppi hanno dato disdetta da

Confindustria, dall’accordistica interna come ha fatto Fiat per arrivare ad una

finta ricontrattualizzazione.

19) Secondo Lei, la costituzione della New Company ha un fine antisindacale?

Si, perché hanno creato una nuova compagnia e, di conseguenza, piazza pulita di

tutti gli accordi che c’erano precedentemente. Una roba totalmente nuova che ha

permesso la ricontrattualizzazione, ovviamente al ribasso. Però non si può dire i

sacrifici bisogna farli, alcuni dipende quali e quanti, perché se l’idea è se non si fa

così le fabbriche chiudono e tu inizi una corsa senza fine, perché domani ti

spiegheranno che devi lavorare il doppio e guadagnare la metà. Scusa

l’estremizzazione però è esemplificativa, quando c’è la fine, mai! Perché

l’interesse dell’impresa è quello che dicevo prima portato alle estreme

conseguenze: farti lavorare il più possibile e pagarti meno. E’come per l’operaio

lavorare il meno possibile e guadagnare il più possibili.

20) Quindi, secondo Lei, le vertenze di Pomigliano e Mirafiori cancellano diritti

e garanzie per i lavoratori?

Page 616: WCM (World Class Manufacturing)

266

Sì, annientano diritti e garanzie per i lavoratori. Li hanno nei fatti annientati e la

gente sta sempre peggio e starà sempre peggio. Questa storia non finirà. Ogni

anno c’è un pezzettino in più che se ne va. L’azienda stabilisce, ad esempio,

quando farti fare i tuoi permessi individuali che prima potevi scegliere così.

L’azienda agisce unilateralmente.

21) Le prospettive alla luce del nuovo contratto e dell’acquisizione di Chrysler?

Noi abbiamo parlato a lungo della Fiat, ma la Fiat non c’è più. Adesso c’è FCA,

non è più italiana non è più torinese, non lo è più nei fatti, è quotata a New York,

a sede legale in Olanda e paga le tasse in Inghilterra. Di che cosa stiamo

parlando? Anche quando si dice: ma la Fiat è ancora italiana, chi? cosa? dove?

perché?

Le prospettive al momento per l’Italia, sono state negative, nel senso che

purtroppo uno stabilimento, Termini Imerese, è stato chiuso. A Mirafiori ci sono

ancora della carrozzeria. Su 5400, 3500 sono ancora in cassa integrazione, gli

altri sono andati alla Bertone. Menomale che esiste l’ex bertone, ora Maserati,

che lavora! L’unica cosa positiva di questo periodo della Fiat, è che a Melfi sono

ancora praticamente in cassa e stanno riprendendo adesso a Pomgliano non sono

mai rientrati tutti, il 30% dei lavoratori è in cassa, e secondo me non rientreranno

mai. Stanno andando avanti con gli ammortizzatori sociali. Quando arriveranno

al termine dichiareranno gli esuberi, i licenziamenti. Cassino idem. Quindi, al

momento, quelle grosse positività non si sono viste, abbiamo visto, viceversa,

molte produzioni al di là dell’oceano, gli accordi prevedono questo. Il Governo

Statunitense si è comportato correttamente, ha provato a tutelare i lavoratori

della sua nazione convocando Marchionne, pretendendo delle cose chiare da

Marchionne. In cambio, ovviamente, gli ha regalato la Chrysler. Gli ha detto

anche esattamente che cosa doveva fare. Non c’è stato nessun Governo che ha

convocato Marchionne per dire come mai fino al 2007, in questo paese, si

Page 617: WCM (World Class Manufacturing)

267

facevano un milione di autovetture e adesso se ne fanno meno di quattrocento

mila. Nessuno che ha chiesto conto. Quindi, per quanto riguarda questa fusione,

alcuni analisti dicono si sono salvati a vicenda, altrimenti la Fiat sarebbe fallita.

Sì, può darsi! E’ positivo, ma se lo devo guardare a livello generale e fare un

paragone che si vede e che prima si facevano più automobili in Italia, prima c’era

occupazione, adesso hanno chiuso Termini Imerese, Industrial, la Cnh, Iribus di

Valle Ufita. Ci sono stati anche licenziamenti. E poi lavoratori sono in cassa, non li

hanno ancora licenziati perché per fortuna ci sono gli ammortizzatori sociali. Alla

faccia del Governo Renzi che vuole togliere gli ammortizzatori sociali, così

sarebbero stati sbattuti tutti fuori senza un’occupazione. Un prospettiva grigia!

Vedremo! Speriamo che queste produzioni arrivino. A Mirafiori è dal 2008 che i

lavoratori aspettano la produzione che è stata più volte annunciata, ma che non

è mai arrivata. Adesso siamo nel 2015. Uno poi non ci crede più! Adesso un

autovettura a Mirafiori arriverà! Sarà sufficiente a saturare le 3500 persone che

sono ancora in cassa? La risposta è no, non sarà sufficiente. Bisognerà avere

almeno 2/3, poi dipende dalla gamma. Adesso alla Maserati lavorano 2200

persone, producono due autovetture e arriveranno intorno alle trentasette mila

auto vendute. Se tu ne hai tremilacinque in cassa, e fanno auto della stessa

gamma, due auto di gamma alta non ti sono sufficienti. Meglio che arrivi il

modello, almeno uno. Tutto questo ottimismo che sento poi è di volontarismo

non della ragione, poi noi facciamo i conti con la dura realtà.

Page 618: WCM (World Class Manufacturing)

268

Intervista Flavia Aiello

(Segretaria provinciale UILM-UIL)

Mi può raccontare la sua esperienza all’interno del Gruppo Fiat oppure del

sindacato? Cioè come siete entrati.

Ho iniziato da giovanissima. Mi sono avvicinata al sindacato grazie a mio padre

che era un delegato e, per farmi un’esperienza come si faceva quarant’anni fa,

mentre andavo a scuola, mi sono avvicinata al sindacato. Finita la scuola, mi ha

assunto un’azienda e, dà lì, proprio perché avevo fatto questo percorso

all’interno, mi ha affascinato e quindi ho fatto il percorso da delegata e di una

volontà di uscire fuori per intraprendere quello che è all’esterno. Io ho iniziato nei

tessili. Ho fatto il mio percorso lavorativo che è durato fino al 2001. Dopo di che,

dato che sono una persona alla quale piace mettersi in gioco, a un certo punto,

mi hanno proposto il grande mondo dei metalmeccanici che a Torino è il fulcro.

Dopo tre anni, c’è stata questa richiesta di seguire Fiat, una proposta del genere

mi ha spaventato, subito, però, ho accettato.

1) Che cos’è il World Class Manufacturing? Come vede il WCM? Qual è la sua

percezione?

È un ottimo sistema di lavoro. Bisogna avere una grande volontà di

partecipazione di entrambi, nel senso che è orientato, rispetto a quello che è il

lavorare meglio e con attenzione, nel senso facciamo i pezzi e li mandiamo

avanti, questo sistema qui lo boccia da subito. Il lavorare attentamente è un salto

avanti in quella che è l’attività produttiva in azienda, ma io ritengo che sia un

salto che ancora non abbiamo fatto, però ritengo che se mai si perde mai si

arriva. Quindi è un grande obiettivo da raggiungere positivo in futuro. Siamo

partiti in ritardo in Italia rispetto agli altri paesi, la Germania, l’America. In Italia

Page 619: WCM (World Class Manufacturing)

269

dobbiamo cambiare mentalità che ancora molto radicata e qui parlo, sia del

sindacato che l’azienda, ovvero, i capi, i team leader. È un percorso difficile che

bisogna iniziare, altrimenti siamo morti.

2) Come si inseriscono i lavoratori nella nuova organizzazione? Cosa cambia per

loro?

Cosa dovrebbe cambiare, siamo lontani. Quando facciamo riunioni con l’azienda,

diciamo che è un sistema che se c’è, richiede una partecipazione. La mentalità

che c’è in azienda e in Italia, anche questo sindacato che è ancora conflittuale, in

azienda si ci confronta tra il capo che dice fai questo pezzo e lo devi fare, non ti

interessa come e questo fa a cazzotti su quello che è. Il sistema dovrebbe essere

diverso. Il fatto di dire: perché faccio questo pezzo? Perché lo devo fare bene? Il

mio pezzo bene vuol dire che, quello che viene a lavorare dopo di me se si trova il

pezzo che è fatto bene, può continuare e andare avanti. Se il pezzo fatto da me

non viene guardato da quello che sta avanti, il difetto va avanti. Questo

comporta un dialogo più severo e non conflittuale tra chi ha un certo incarico di

portare avanti la linea. In azienda c’è chi sta al montaggio, chi dirige una squadra

chi dirige lo stabilimento, ecc. Se non c’è un dialogo tra queste figure e, dialogo

vuol dire vediamo come poterlo farlo meglio, perché oggi c’è l’ordine e non il

dialogo, oggi c’è fai questo, fai quell’altro, non ti interessa se c’è un problema vai

avanti. Come può scomparire? Con un dialogo più continuo. La filosofia di questo

sistema è che comunque devono uscire i pezzi ben fatti, e se tu lavori in un

ambiente sereno e tranquillo dove tu hai rispettato quello che è la sicurezza.

Parlo anche dell’ambiente di lavoro, se tu lavori in un ambiente brutto, grigio,

diverso è entrare in posto pulito, ad esempio la mensa. Quindi l’ambiente, il modo

di lavorare, la sicurezza a lungo termine, serve un dialogo e non un comando, io ti

dico e tu devi fare senza perché ti interessi quello che devi fare.

Page 620: WCM (World Class Manufacturing)

270

3) Come valuta il rapporto con i lavoratori? Quali sono le loro priorità?

Il rapporto con i lavoratori in questo momento è difficile in un contesto generale.

In questo contesto siamo presenti anche noi come sindacato. Oggi le persone

hanno tutte le ragioni, per la situazione economica, ci stiamo rendendo conto

solo adesso di tutte le ruberie e le furbate. Ognuno, nel suo piccolo, ha contribuito

a questo sistema. E, quindi, è sempre più facile prendersela con gli altri. Ma negli

altri ci siamo anche noi. Io non ritengo che il sindacato abbia sempre agito nella

maniera giusta perché ci sono stati anche degli errori. Io non sono figlia del ’68,

sono nata dopo, quindi a volte sento una nostalgia di quegli anni. Sento dire che

in quegli anni ci sono state delle conquiste, quelle conquiste lì, rispondo io, e

perché c’era un boom economico, un’economia che tira e più facile chiedere e

stato facile per il sindacato, perché quando il sindacato chiede e porta a casa e un

buon sindacato, quando poi prova a portare a casa ma non sempre ci riesce, io

dico che bisogna sempre fare i conti con quella che è la storia e il momento. Al

sindacato vengono attribuite anche delle cose che non sono del sindacato. Io,

quando faccio le assemblee a volte per battuta, dico, ormai è colpa del sindacato

anche quando piove! Perché il governo fa delle leggi ed è colpa dl sindacato. Non

le facciamo noi e ma il sindacato non ha fatto niente, ho capito ma più che fare

degli scioperi non è che c’è molto da fare. Stiamo vivendo oramai da troppi anni

una crisi che sta logorando tutti e c’è un tutto contro tutti.

4) Il coinvolgimento dei lavoratori è un elemento essenziale data la

vulnerabilità del programma? Che cosa fate per favorire il loro coinvolgimento?

Quali sono i principali strumenti che vengono adottati per motivare/valorizzare

i lavoratori all’interno della nuova organizzazione?

Certo, all’interno degli accordi abbiamo chiesto che ci sia un dialogo continuo.

Questo passa attraverso quelli che sono dei corsi di formazione, a gruppi, a step,

Page 621: WCM (World Class Manufacturing)

271

proprio per spiegare, prima in maniera teorica e poi pratica, anche se non è

facile.

5) In seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si è realizzato

concretamente o ancora vi è una partecipazione debole? sia da parte del

sindacato che da parte dei lavoratori?

È debole, ma io lo attribuisco al fatto che non ci sia il lavoro. Stiamo vivendo un

periodo di cassa integrazione e di investimenti che, per mille ragioni, hanno

tardato, uno stabilimento vecchio che stanno ristrutturato. Io, per quanto seguo

Fiat, quando si discuteva di uno stabilimento vecchio, per quanto potessi

immaginare, soltanto vedendo dentro, mi sono resa conto. C’è stato un

rallentamento del programma. Se poi uno, la teoria non la mette nella pratica, ci

sono delle società il cui il WCM è andato avanti. È tutto ancora una teoria.

6) Forme di disaffezione e di protesta quali la non partecipazione alle attività di

miglioramento continuo della qualità, l’assenteismo, lo sciopero, vengono

praticate? Quali sono i livelli di assenteismo?

Nell’ultimo contratto abbiamo cercato di mettere dei paletti, cioè bisogna fare

attenzione. Per quanto riguarda l’assenteismo abbiamo cercato di tutelare quello

che è l’assenteista che sta male, e questo non si può in alcun modo toccare. C’è

poi una forma di assenteismo denunciata dall’azienda dove alcune persone

allungavano il weekend, tipo il lunedì o il venerdì, oppure l’allungamento di un

ponte o di una festività, che devo dire anche lì può succedere, ma se questo

diventa sistematico, come abbiamo potuto vedere dai dati forniti, ci si è cercato

di intervenire. Valutare l’assenteismo adesso con la cassa integrazione, potrebbe

essere per protesta.

Page 622: WCM (World Class Manufacturing)

272

7) Secondo lei il lavoro diventa più autonomo e intelligente? oppure soltanto

più gravoso, o forse entrambe le cose insieme?

L’auspicio è quello che dovrebbe essere più intelligente. Io ritengo che, a partire

dall’usciere fino al capo del personale, devono contribuire tutti per fare un buon

prodotto, per poterlo vendere, non solo per farlo, perché se questo si vende vuol

dire che ci sono i soldi non solo per pagare i dipendenti ma ci sono anche delle

possibilità per l’azienda per fare avere più soldi ai lavoratori.

8) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza

del posto di lavoro? A tal proposito, nel quadro del WCM, è stato inserito un

sistema specifico chiamato Ergo-Uas, cosa ne pensa? Ha portato ad una

riduzione della fatica dello stress, e delle malattie di tipo muscolo-scheletrico?

Questo sicuramente! C’erano delle postazioni dove la gente dove lavorava

piegandosi, curvandosi e l’azienda ha fatto degli investimenti per poter

migliorare la salute.

9) Qual è la situazione attuale all’interno del gruppo rispetto alla

sperimentazione del WCM nei vari stabilimenti? Perché alcuni stabilimenti sono

più avanti e altri no, dipende dalla capacità dei lavoratori, dal management

aziendale?

Dipende dagli investimenti che ha messo in pratica l’azienda. Decide l’azienda

anche rispetto al prodotto. In Maserati ci sono linee nuove, improntante in quel

che deve essere proprio un modo di lavorare, anche se c’è una sperimentazione.

Poi siamo sempre in un contesto di crisi.

Page 623: WCM (World Class Manufacturing)

273

10) Qual è il tasso di sindacalizzazione? Ci sono dei dati?

Credo che sia, tra tutti, complessivamente il 40%.

11) Che impatto ha avuto il WCM sulle relazioni industriali?

Come tutte le cose nuove, quindi per il problema che non si conosco, spaventano.

Poi vi deve essere la volontà di migliorare. Non ho detto che ci siamo riusciti e che

ci riusciremo, ma c’è quello che è uno spirito di miglioramento.

12) Qual è il rapporto con l’azienda? Siete interpellati? Il sindacato ha la

possibilità di discutere o deve sempre scendere a patti con l’azienda? Qual è la

dialettica dei problemi del dialogo con l’azienda?

L’azienda, come tutte le aziende, tende a fare l’azienda, dicendo che solo io ho la

verità in tasca e so come fare. L’azienda tende il più delle volte a comunicare

piuttosto che a dialogare. Su questo non andiamo molto d’accordo. Non ci

possono essere solo le difficoltà dell’azienda che capiamo, ma ci sono anche dei

lavoratori. L’azienda riuscirà a fare delle macchine belle se tiene conto quelli che

sono i lavoratori e su questo facciamo un po’ fatica a farlo comprendere.

L’azienda dice, sappiamo noi come dobbiamo fare, ma è giusto che ci sia un

dialogo.

13) Per quanto riguarda gli strumenti, cioè meccanismi di tipo partecipativo,

esistono ancora le commissioni paritetiche? Chi ne fa parte? Quali temi

affronta? Funzionano effettivamente o il coinvolgimento del sindacato è solo

formale? Nel senso che l’azienda riferisce le cose che ha già stabilito, cioè vi è

un predominio dell’azienda sul sindacato?

Page 624: WCM (World Class Manufacturing)

274

Certo, nelle commissioni si discute. L’azienda dà le notizie, ma diverse sono le

informazioni da quello che deve essere. Ci sono vari commissioni che si riuniscono

sia che lo chiede l’azienda e sia se lo chiediamo noi sindacato. Per noi non deve

essere solo un’informazione ma una discussione.

14) Secondo lei, con l’implementazione del WCM, l’azienda sta cercando di

“individualizzare” sempre di più il rapporto con il lavoratore? Senza

l’intromissione del sindacato?

Non lo credo! Sono convinta che, fin tanto che ci sono i lavoratori, c’è bisogno del

sindacato e questo è un modo diverso di rapportarsi. In Italia facciamo fatica,

mentre in Germania c’è un sindacato dentro il Consiglio di Amministrazione,

quindi decide insieme all’azienda. In America il sindacato sostiene l’azienda,

anche economicamente, attraverso dei fondi pensioni. In Italia vi è un sindacato

conflittuale. Dobbiamo cambiare entrambi il modo di rapportarci.

15) Il WCM che sta sperimentando la Fiat, sta spingendo verso un “sindacato

d’impresa” o partecipativo sul modello di quello giapponese? Questa scelta

potrebbe tradursi in un sindacato al servizio dell’azienda?

All’azienda, c’è o non c’è il sindacato, non gli importa. Ci siamo e quindi è giusto

parlarci, ma non spinge assolutamente, non ci stende i tappeti rossi, non ci apre

la porta. Ci siamo e cerchiamo di parlarci per il bene dei lavoratori. Già da un po’

di anni l’azienda sta cercando un sindacato più vicino a loro. La marcia dei

quarantamila la dice lunga. Negli anni ’80, quando i capi sono scesi, hanno

formato poi un’associazione capi e quadri.

16) Qual è il suo rapporto con le altre organizzazioni sindacali? Cercate un

dialogo?

Page 625: WCM (World Class Manufacturing)

275

Io cerco sempre il dialogo con chiunque, nel rispetto delle proprie idee. In Italia ci

sono più sindacati. Se io faccio parte di questo sindacato è perché evidentemente

non la penso come gli altri.

17) Il ruolo delle Rsu che hanno potere di contrattazione, alla fine che fanno?

Come si comportano?

Le rsa sono tutelate dalla legge 300, quindi hanno tutti i poteri. C’è una differenza

tra rsu e rsa. Le rsu sono votate per legge dai lavoratori e passato per più di un

decennio che, essendo votate dai lavoratori, io devo rispondere ai lavoratori,

quindi anche magari andando contro l’organizzazione. La rsa è nominata

dall’organizzazione, anche se poi viene votata dai lavoratori. La pecca delle rsu è

quello di chiedere ai lavoratori i loro desideri. Anche a me sarebbe piaciuto, ma

purtroppo non sempre è possibile.

18) Come avviene la contrattazione? Chi negozia? Che cosa viene negoziato?

Il contratto nazionale serve per tutelare le aziende piccole dove non c’è una tutela

sindacale per avere un minimo tabellare. Lo dico per tutelare i lavoratori ma

anche per evitare la concorrenza tra le aziende. Fiat è uscito da Federmeccanica.

E’ un semplice contratto Fiat, quindi non viene più tutelato il contratto di primo

livello, perché è un azienda unica e non c’è concorrenza con le altre imprese. Si ci

sta orientando sempre più verso un contratto di secondo livello rispetto a quello

che è l’azienda. Non siamo ancora pronti.

19) Adesso si è fuori dal sistema Confindustriale, il contratto dei

metalmeccanici in fiat non si applica, è meglio o peggio?

È meglio! Per i lavoratori non è cambiato nulla, anche se un po’ di guadagno

l’hanno avuto rispetto a Federmeccanica. Confindustria è uscita da

Page 626: WCM (World Class Manufacturing)

276

Federmeccanica, ha fatto un contratto e il lavoratore non ci ha rimesso nulla. Già

Fiat non rispettavano il contratto Federmeccanica perché aveva le maggiorazioni

rispetto allo straordinario, alla mutua, grazie a degli accordi che avevamo fatto

all’interno, quindi aveva già un contratto diverso da Federmeccanica. Quando è

uscita da Confindustria non abbiamo fatto altro che fare un contratto rispetto a

quello che c’era, rispetto a un contratto che già c’era modificato.

20) Come valutate la scelta di un contratto a livello aziendale?

Il contratto aziendale ha un vantaggio, cioè quello di valorizzare i lavoratori,

perché lì si valorizzano i lavoratori.

21) Che cosa è cambiato dopo le vertenze di Pomigliano e Mirafiori? Cancellano

diritti e garanzie per i lavoratori?

Non ci sono diritti cancellati, assolutamente! Quello che è presente in Fiat

continua ad esserci, l’abbiamo riportato. Dicono che non c’è più diritto allo

sciopero. L’azienda dice: se c’è un problema perché non ci chiedete prima di

affrontarlo, poi vediamo di risolvere, poi, soltanto se non lo risolviamo, potete

fare lo sciopero. Mi pare una questione di buon senso. Nel senso che se andiamo

nella logica che l’azienda deve lavorare bene, per ottenere degli utili, ma non per

Marchionne, ma per distribuirli ai lavoratori. La Fiat non è un azienda piccola, in

cui il proprietario vigila su tutto e quindi ci sono dei problemi che non vengono

neanche riportati agli alti dirigenti e allora di fronte al fatto di dire, c’è un

problema, ci chiedete un incontro, noi ve lo diamo entro tre giorni. Ci date il

tempo di risolverlo e se poi non lo risolviamo e siamo liberi di fare lo sciopero o

meno, questo non vuol dire togliere il diritto a fare lo sciopero, vuol dire fare lo

sciopero dopo che ho tastato tutte le possibilità. Abbiamo fatto scioperi rispetto a

delle questioni urgenti. Abbiamo fatto un accordo con l’azienda dicendo che se

c’è un problema vediamo di risolverlo, altrimenti fate uno sciopero. Nel caso in

Page 627: WCM (World Class Manufacturing)

277

cui facciamo lo sciopero, non ci rimette il lavoratore ma il sindacato, a cui

vengono fatte delle penalizzazioni. Quindi, tutta questa roba che era stata

montata volutamente dai giornalisti, ormai neanche la FIOM in assemblea lo

dice.

22) Prospettive alla luce del nuovo contratto e dell’acquisizione Chrysler?

Io sono orgogliosa che un’azienda italiana abbia comprato un’azienda

americana. Poi c’è magari chi dice chi gliel’ha regalata, ma a me non interessa,

per me è stata acquisita. È un orgoglio da italiana. Poi si dice che è un’azienda

sempre di più all’estero. C’è una globalizzazione iniziata parecchio tempo fa.

Marchionne ci ha spiegato già da 9 anni fa, da quando si è insediato, che se la

Fiat non fosse diventata grande, avrebbe fallito. Ha fatto poco il Governo

Italiano. La sede legale è a Londra, ma è solo per un questione economica. Lì si

pagano meno tasse e, quando un’azienda paga meno tasse perché vuole fare

degli investimenti per far lavorare i lavoratori, io non poso dire niente. Per me

avere un’azienda con sede legale in Italia e mi fa lavorare i polacchi, preferisco il

contrario. Questo era un compito del Governo, tenere la Fiat in Italia. Marchionne

non ha chiesto niente al Governo Italiano, ma non voleva neanche buttare i soldi.

Io non credo che diventerà più americana, sarà sempre più multinazionale.

Quello che dobbiamo sfruttare è il made in Italy: chi compra una Ferrari vuole che

sia fatta in Italia.

Page 628: WCM (World Class Manufacturing)

278

Interviste Management Fiat Chrysler Automobiles

Roberto Cortese

(Responsabile Relazioni Industriali FCA – EMEA)

Luciano Massone

(Capo del World Class Manufacturing EMEA

Region & WCM Dev. Center VP)

Page 629: WCM (World Class Manufacturing)

279

Roberto Cortese

(Responsabile Relazioni Industriali FCA - EMEA)

1) Che cos’è il World Class Manufacturing?

Io l’ho sempre definito come il “buon senso applicato”, nel senso è quello che

probabilmente ognuno, a casa propria, dovrebbe fare, cercando di applicare

buon senso ma con metodo, avendo sempre costanza di risultati e costanza di

applicazioni. Questa è una cosa che, sui grandi numeri e le grandi fabbriche, è

chiaro che richiede un metodo più spinto, un’attività dedicata, persone che se ne

occupano. E’ per noi, inteso come italiani, un quadro culturale non indifferente.

2) Come vede il WCM? Qual è la sua percezione?

Sicuramente è un acceleratore di buone pratiche. Penso che spesso si

ripercorrono gli stessi passi, soprattutto nelle grandi organizzazioni si

ripercorrono gli stessi passi per arrivare a risultati se vogliamo molto simili. Per

cui, il fatto di avere un metodo comune è questa, una “crossing education” di

attività tra uno stabilimento e l’altro, quindi uno scambio di esperienze molto più

spinto di quanto fosse in passato. È chiaro che consente di utilizzare queste buone

pratiche e di applicarle in maniera più veloce. È chiaro che questo deve avere alla

base un terreno fertile. Ci vuole un approccio culturale, un approccio sicuramente

tecnico e la differenza poi la fanno le persone che devono essere molto più

portate ad accettare, magari, un buon lavoro fatto da un altro e, in maniera

umile, dire: ok se lui è riuscito a portare a casa questo, posso sicuramente

arrivarci anch’io ed applicarlo. E lì si genera un circolo virtuoso.

Page 630: WCM (World Class Manufacturing)

280

3) Quali sono state le motivazioni che hanno portato ad adottare il WCM? Per

iniziativa di chi?

Per come la vedo io, come osservatore distaccato rispetto alla realtà operativa di

fabbrica, vi era questa necessità di avere un linguaggio comune delle pratiche

comuni; delle possibilità di avere delle basi per poter rilanciare sempre il

miglioramento su cui ovviamente è basata la competizione internazionale del

mondo dell’auto, dove se ti fermi un attimo, chi ti passa davanti, ci mette cinque

minuti. Quindi, la velocità di realizzare un “’improvement” è sicuramente una

delle basi su cui si fonda questo progetto.

4) Quali sono state le difficoltà connesse all’implementazione del WCM,

soprattutto in un’azienda tradizionale come quella di Mirafiori?

Per come la penso io, l’approccio culturale e sicuramente, anche, credo, la

tendenza passata di ogni fabbrica ad essere un ambiente assestante. Quindi la

capacità, la possibilità e la volontà di condividere esperienze è stato quello che

mancava da un punto di vista operativo. Da un punto di vista culturale,

certamente, soprattutto qui in Italia, vi è una diffidenza nei livelli operativi, o

medio-bassi se intendiamo una scala gerarchica, al cambiamento. La

propensione al cambiamento rispetto, “abbiamo sempre fatto così”, è stato uno

di quei muri da abbattere o di quelle reti un po’ da strappare che hanno

probabilmente teso a rallentare questo progetto.

5) Qual è la situazione attuale all’interno del gruppo rispetto alla

sperimentazione del WCM nei vari stabilimenti? Perché alcuni stabilimenti

sono più avanti e altri no? dipende dalla capacità dei lavoratori, dal

management aziendale?

Page 631: WCM (World Class Manufacturing)

281

Io credo che dipenda principalmente dal “commitment” che viene dato al

progetto. Se ci si crede, non solo a parole, ma lo si vive e lo si applica

quotidianamente, diventa anche più facile da un punto di vista della trasmissione

della forza e della spinta che c’è. Quindi questo è un problema che riguarda il

circuito di regolazione, quindi il team direzionale dello stabilimento. Dall’altra è

chiaro che l’entusiasmo o la capacità o anche la voglia di guardare in maniera

diversa il modo di lavorare, lo fanno, evidentemente, anche le persone che

lavorano in uno stabilimento. Noi abbiamo visto chiaramente, in ambienti dove

c’è una curiosità culturale, una vivacità data chiaramente dall’età delle persone

all’interno dello stabilimento e questo è molto più facile. Torna, ma non vuole

essere una ripetizione l’approccio culturale o la “forma mentis” che si trova nei

diversi stabilimenti. In Polonia il modo di operare dei colleghi polacchi è sempre

stato molto più metodico, ha un matrice di natura germanica. Quindi, dove noi

siamo in Polonia, è una regione della Slesia, zone più vicine alla Germania, quindi,

vi è un approccio molto più metodico. Una volta definito lo standard, viene

applicato, e il WCM ha questo come uno delle sue basi di successo. Direi anche le

esperienze precedenti, direi anche che un altro stabilimento che abbia dei buoni

risultati e che sta lavorando molto bene. Lascio un attimo da parte Pomigliano

che è una realtà a sé e, forse, merita un’attenzione diversa. Sono quei

stabilimenti che in passato hanno lavorato in maniera molto spinta su

metodologie di cui il WCM è interconnessione. Tipica è quella del TPM (Total

Productive Maintenance), su cui già aveva un background anche di metodologia

culturale che li ha portati ad essere più facilmente inseriti in questo progetto.

Pomigliano è nata con logiche di WCM. È ’stato molto utile avere una fabbrica

che, di pari passo, cambiava pelle da un punto di vista tecnologico, ma aveva un

percorso di formazione, di costruzione e di addestramento delle persone che lì

sarebbero andate a operare. Quindi, il match tra queste due è evidentemente,

che è stato uno sforzo sia economico che di impegno personale e professionale

delle persone, ha sicuramente avuto un successo straordinario. E questo lo stiamo

vedendo in una fabbrica, come quella della Serbia, che ha recentemente, mi pare

Page 632: WCM (World Class Manufacturing)

282

la scorsa settimana, ottenuto il Bronzo nel WCM. E’ una fabbrica che lavora solo

da due anni e mezzo, un tempo molto limitato, ed è già riuscita a raggiungere dei

punteggi di WCM in un tempo relativamente breve. Parliamo di una fabbrica che

è partita ed ha dovuto, subito, dare una performance produttiva molto

importante. Quindi non ha avuto il tempo di costruirsi radamente, dal momento

che la 500L è una macchina di assoluto successo, ed ha dovuto rispondere alle

richieste di mercato nei suoi primi mesi o anni dall’uscita.

6) Dobbiamo ancora dimostrare di essere come i giapponesi? Nel senso che

dobbiamo ancora migliorare il livello di credibilità e di fiducia in un contesto

sempre più competitivo e concorrenziale?

Su questa necessità di essere e di dimostrare di essere come i giapponesi non

sono particolarmente d’accordo, nel senso che noi non saremo mai giapponesi e i

giapponesi non saranno mai italiani. Secondo me, noi dobbiamo essere capaci,

come sono stati capaci loro, di prendere aspetti positivi delle metodologie

applicate e farli nostri con la capacità italiana di realizzare dei salti di qualità

molto più alti, in maniera veloce. Il pericolo che non dobbiamo cercare di fare è

quello di voler saltare dei passaggi del metodo per cercare di arrivare ai risultati.

Questo è quello che siamo forse portati a fare. Invece, il metodo ci insegna che un

passo dietro altro serve a rafforzare e a rendere solido il percorso che si sta

facendo. La nostra tendenza è quella, ogni tanto, di prendere delle scorciatoie e

questo tende a far dimenticare qualche passaggio importante.

7) La produttività sta migliorando? La qualità del prodotto è migliorata? Vi è

realmente una riduzione degli sprechi?

Si, sono tutti passaggi importanti del WCM anche se non sono gli unici. Questi

sono poi effetti indiretti, perché gli effetti diretti sono quelli di avere fabbriche che

lavorano meglio, in quanto, se le fabbriche lavorano meglio, le persone lavorano

Page 633: WCM (World Class Manufacturing)

283

meglio e di conseguenza gli altri risultati sono una derivata quasi naturale di

questo processo. E’chiaro che, se si lavora in una fabbrica confusa, sporca, buia,

rumorosa o con situazioni interne, anche dal punto di vista del prodotto che si

costruisce non studiate in una logica ergonomica o di WC, i risultati non possono

venire. Se c’è luminosità nelle fabbriche, se ci sono postazioni di lavoro

ergonomicamente standard, se il prodotto è stato studiato per quelle postazioni

di lavoro, chi ci lavora è messo nelle condizioni di poter fare bene il suo lavoro e

non esistono possibilità per avere degli errori che l’oggettivazione che c’è, negli

stabilimenti per migliorare il prodotto, tende a ridurlo.

8) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza

del posto di lavoro? A tal proposito, nel quadro del WCM, è stato inserito un

sistema specifico chiamato Ergo-Uas, mi può spiegare nel dettaglio in che cosa

consiste questa nuova metrica? Consente di eliminare tutto ciò che nei

movimenti dei lavoratori è considerato uno spreco e con ciò di aumentare la

produttività?

Ritengo di sì. Ha portato ad un miglioramento dell’attenzione di tutta l’azienda,

agli aspetti di sicurezza ed ergonomia dei posti di lavoro. Questa è un’altra cosa,

come dicevamo prima a proposito del commitment, che ha doppio senso.

L’azienda deve mettere nelle migliori condizioni le persone per lavorare bene e in

sicurezza. È un compito del datore di lavoro, ma è anche vero che il lavoratore

deve lui stesso mettersi nelle condizioni e usare gli accorgimenti necessari per

lavorare in maniera ergonomicamente efficace e in sicurezza. E ha doppio senso,

in quanto, da un lato, più uno è invogliato a lavorare per cercare di creare un

ambiente sicuro ed ergonomicamente accettabile, tanto più da l’altro diventa

normale utilizzare questi strumenti. Le faccio un esempio: se lei va in una casa

dove tutto è pulito e in ordine, si sente a disagio a mettere in disordine; se entra

in un magazzino dove ci sono ragnatele, polvere, se lei butta un pezzo di carta tra

tante non se ne accorge nessuno. Viceversa, credo che questo sia un

Page 634: WCM (World Class Manufacturing)

284

cambiamento importantissimo nelle nostre fabbriche. Che poi questo, da parte di

qualcuno, sia percepito come un’accelerazione nei confronti del lavoro o una

maggior faticosità, secondo me, è più un fatto ideologico che reale. Se ha avuto

modo di visitare uno stabilimento, fa fatica ad accorgersi delle aree dove si sta

lavorando intensamente o meno intensamente, nel senso che la linea continua ad

andare avanti con una cadenza ben precisa, perché sulla cadenza della linea sono

poi definiti i cicli di lavoro, il tempo e le operazione che vengono fatte, la linea è

talmente ordinata e asservita, avvolta da strutture tecnologiche e strumenti per

organizzare meglio il lavoro che apparentemente lei non si accorge del lavoro che

fanno le persone. O meglio, se si ferma a guardare la persona, la vede lavorare

con tempi e con metodi di lavoro che certamente che se uno pensa alla fabbrica,

il classico pensiero è quello di Charlie Chaplin in tempi moderni. In mezzo alla

ruota si perde. Da noi si dice: si imbarca perché non riesce più ad effettuare le

operazioni, ma questo non avviene più. È un grande salto di qualità. Ognuno fa il

proprio mestiere in un certo posto, in un posto studiato per far quel mestiere e

non un altro, non ostacola il suo collega, non può sbagliare e soprattutto non fa

sbagliare le persone che sono vicine a lui.

9) Come si inseriscono i lavoratori nella nuova organizzazione? Cosa cambia per

loro?

Intanto, cambia l’approccio al lavoro. È richiesta una partecipazione e un

contributo alla produzione o al sistema all’interno della quale sono. Anche in

passato, noi avevamo con alcuni programmi, il TQM, il sistema di suggerimenti o

di proposte di miglioramento continuo. Se, però, queste sono lasciate a se stesse

e non inserite in un programma ben specifico, dove tutto è finalizzato,

migliorato, i diversi pilastri, dove tutti possono dare il loro contributo, rischiano

di essere proposte che dopo un po’, se non c’è un grande “commitment”, si

perdono o le persone non sono invogliate a dare un loro contributo. In un

ambiente che lavora costantemente per migliorare, per fare salti di qualità, è

Page 635: WCM (World Class Manufacturing)

285

chiaro che, se interiorizzata questo miglioramento, diventa un acceleratore. Le

persone nella fabbrica devono, hanno un approccio diverso. La possibilità di

cambiare e la facilità con cui si può lavorare, su questo, dipendono dai fattori che

dicevamo prima, quindi certamente culturale, dal background da cui

provengono, dalla tipologia del prodotto, i lavori e gli sforzi che vengono fatti in

stabilimenti.

10) Come valuta il rapporto con i lavoratori? Questi concorrono alla definizione

degli obiettivi e dei valori aziendali? Quali sono le loro priorità? E quelle

dell’azienda?

Possono essere inizialmente dei punti distanti gli uni dagli altri. Io ritengo che ci

siano due rette che tendono a convergere, con livelli di angolazioni diversi, con

punti di convergenza che possono essere più o meno vicini nel tempo. Tra l’altro,

questo, lo danno i punteggi del WCM. Penso che molto dipende da come si pone

la direzione, da quanto l’azienda si spenda e creda in questo tipo di progetto, in

questa sfida. Le persone, se vedono che quanto si sta facendo porta a dei

miglioramenti, anche da un punto di vista della giornata lavorativa, dello sforzo

fatto, e vedono, soprattutto, che c’è una coerenza fra il detto e l’agito, alla fine

poi seguono. La tendenza è quella di essere diffidenti ai cambiamenti. Questi

sono cambiamenti molto importanti ed epocali, però oramai abbiamo un

numero di anni alle spalle di WCM e una pervasività di questo progetto che

ormai è talmente diffusa che penso faccia parte almeno fino ad un certo livello

della scala gerarchica e livelli di profondità diversi nei diversi stabilimenti per la

storia che hanno o la situazione attuale, che tende sicuramente ad alzarsi.

11) Il coinvolgimento dei lavoratori è un elemento essenziale data la

vulnerabilità del programma? Che cosa fate per favorire il loro coinvolgimento?

Quali sono i principali strumenti che vengono adottati per motivare/valorizzare

i lavoratori all’interno della nuova organizzazione?

Page 636: WCM (World Class Manufacturing)

286

Sicuramente si, è essenziale. Quello che si sta facendo è far diventare il WCM

come una pratica. E’ un modo di lavorare quotidiano rispetto al passato, nel

senso che, rispetto a programmi passati, si andava un po’ per moda. Il WCM ha il

pregio di essere molto legato al metodo e avere la necessità di essere attuato e

agito costantemente e quotidianamente. Io dico che il WCM funzionerà

perfettamente quando diventerà negli stabilimenti un automatismo, come quello

di entrare, bollare, strisciare in badge per la presenza e ristrisciare il badge per

l’uscita. Diventa, non dico un fatto di routine, ma un ambito mentale o un modo

di pensare in fabbrica. È chiaro che se uno entra in fabbrica a qualsiasi livello sia

stacca la testa e passa otto ore lì dentro, sperando che passi il tempo, non è il

miglior modo per arrivare a raggiungere i risultati del WCM.

12) In seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si è realizzato

concretamente o ancora vi è una partecipazione debole? Sia da parte dei

lavoratori che del sindacato

Le persone hanno dato risposte diverse in base alle condizioni in cui si sono

trovate, sia come località geografica in cui si trova lo stabilimento e sia come

modo di operare all’interno dello stabilimento. La parte geografica è nei fatti, e

uno non è come può spostare gli stabilimenti per cambiare la cultura delle

persone. Bisogna saper prendere coscienza di una diversità culturale, lavorarci

sopra, magari, anche toccando dei tasti diversi a secondo del posto in cui si ci

trova. La partecipazione delle persone, secondo me, è straordinaria da questo

punto di vista. Le persone, se sono messe nelle condizioni di dare un contributo

e, quindi, significa che qualcuno glielo chiede, non si tirano mai indietro. Se si

tirano indietro c’è un motivo che bisogna cercare di indagare, e capire cosa porta

le persone a non interessarsi del posto in cui passa molte ore della sua vita e

dove più facile passarci in maniera armonica e più efficace, che non sperando di

uscire. Poi è chiaro: il lavoro è il lavoro, la vacanza è la vacanza. Sul sindacato

Page 637: WCM (World Class Manufacturing)

287

credo che, dopo un momento di diffidenza, esso abbia fatto un salto culturale

importantissimo sul WCM, ma non solo anche sul modo con cui Fiat sta portando

avanti i propri programmi strategici, perché ha capito che la velocità e la

competizione a livello mondiale sul mercato dell’auto, ha cambiato il paradigma

dei rapporti interni. Uso un paradosso su questo: la crisi ha scellerato questo

livello di consapevolezza, soprattutto nella cultura Italiana che quando si ci trova

con l’acqua alla gola, la capacità di reazione è straordinariamente più alta

rispetto ad altri posti. Quindi, questa crisi che ha avvolto, non soltanto il mercato

dell’auto, ma il mondo intero dal 2008 in avanti, paradossalmente è stato uno

stimolo importante per cercare di accelerare e di comprendere che il modo

passato di fare le macchine o di fare sindacato o di agire all’interno delle

fabbriche, non poteva più esistere.

13) Secondo lei il modello adottato consente di superare quelle relazioni

manager-dipendenti di tipo rigidamente gerarchico e di adottare invece un

clima aziendale stimolante e pacificato che consente una sorta di fusione tra gli

obiettivi dell’impresa e i bisogni dei lavoratori?

Questo sì! Nei fatti lo è nella maggior parte degli stabilimenti. Probabilmente

meno in quelli in cui vi è una fase di transizione tra vecchi prodotti, vecchio modo

di lavorare e nuovi prodotti e nuovo contesto di fabbrica. Noi stiamo portando

avanti un piano industriale che vede toccati tutti gli stabilimenti qui in Italia. Fiat

ha fatto delle scelte coraggiose dicendo che vuole mantenere in Fiat una

presenza industriale importante. Sarebbe stato più semplice, meno popolare e

forse più sociale quello che anni passati, negli anni ottanta, a fronte di grandi

crisi, erano state fatte grande ristrutturazione e delle scelte drastiche anche sul

contesto industriale. Questo Fiat non ha ritenuto di farlo. Si è accollata anche

l’onore di mantenere stabilimenti per certi versi con una bassissima produttività.

Per certi periodi, noi abbiamo degli stabilimenti che lavorano ben poco, come

Mirafiori, però la scelta è stata quella di non denunciare eccedenze di personale

Page 638: WCM (World Class Manufacturing)

288

rispetto ad una situazione che gli altri costruttori hanno percorso. Se lei guarda

altri grandi costruttori come la Pegeout, Renault, Opel, Volkswagen, tra gli anni

2008 e 2012, hanno fatto piani di ridimensionamento e di ristrutturazioni

importanti con uscite, esodi, licenziamenti. Noi abbiamo fatto una scelta diversa,

abbiamo e crediamo in un piano industriale molto più ambizioso, legato anche

l’operazione con Chrysler che ha aperto per Fiat un’opportunità e per Chrysler

sicuramente opportunità diverse a livello mondiale, che ci consentiranno di

portare un piano diverso.

14) In questo nuovo modello quanto conta il dialogo con il sindacato? E il suo

coinvolgimento? Importante oppure marginale?

Sicuramente diverso. Io ritengo importante. Da parte di tutte e due deve esserci

un cambio di passo, nel senso che la storia delle relazioni industriali in Italia e in

particolare Fiat, questo perché quando si parla delle relazioni industriali o

sindacali in Italia, l’immagine è quella del rapporto sindacato – Fiat. È normale,

siamo stati per tantissimo tempo un punto di riferimento, non fosse altro per la

nostra dimensione. Fortunatamente lo siamo ancora ora, perché siamo una delle

ultime aziende manifatturiere che hanno scelto e vogliono operare in Italia e

quindi non andarsene altrove, e questo è un punto importantissimo. Deve essere

un rapporto diverso, basato su aspetti diversi, nel senso che alcune cose devono

essere date per scontate. Fortunatamente il WCM, da questo punto di vista lo fa,

nel senso che quello che in passato era una delle attività tipiche del sindacato,

quali la tutela della condizione del lavoro all’interno delle fabbriche, fossero le

nostre o altre, lo sviluppo, e se vuole anche l’ammodernamento e l’evoluzione

che c’è stato nel modo di concepire le fabbriche, le macchine che si costruiscono

all’interno delle fabbriche e il modo di lavorare, credo che possa considerarsi, da

questo punto di vista, un aspetto non più di dibattito tra l’azienda e sindacato,

diverso, perché bisogna probabilmente lavorare sulla spinta che anche il

sindacato può dare, e l’azienda deve metterlo in condizione per accelerare il

Page 639: WCM (World Class Manufacturing)

289

livello di partecipazione delle persone all’interno della fabbrica. Tant’è che su

questo stiamo discutendo con il sindacato del nostro CCSL che l’hanno firmato. E

uno degli aspetti cardine è quello di legare anche gli aspetti economici e

retributivi, non a fenomeni esterni, come può essere l’aumento del costo della

vita, al di là del momento che oggi l’inflazione è a livelli talmente bassi che

probabilmente non si tratta neanche di quello, ma i sistemi di rewarding o

sistemi di partecipazioni da un punto di vista economico, legati alle performance

della fabbrica, customizzati sulla fabbrica, sullo stabilimento, sulle persone.

Quando la persona contribuisce è uno degli aspetti determinanti sulle quali può

essere basata una retribuzione variabile al netto di quello che è un minimo

salariale che ogni contratto può e deve avere. Probabilmente ci deve essere un

bilanciamento e con il sindacato bisognerà trovare un equilibrio.

15) Quando ci sono dei problemi il sindacato ne discute con l’azienda ed

insieme cercate di risolverli? Qual è la dialettica dei problemi del dialogo con il

sindacato? E la tempistica di risposta ai problemi?

Io questo, lo vedo molto spinto negli stabilimenti, soprattutto quando si sta

lavorando su nuovi progetti. Il funzionamento delle commissioni che abbiamo

definito anche nel nuovo contratto, sono più operative e le abbiamo sfrondate di

una serie di orpelli che ci portiamo, perché il sistema della partecipazione in Fiat

è abbastanza radicato. Noi partiamo accordi, della fine degli anni ottanta, già

individuando dei sistemi abbastanza elementari. Però, allora, erano una grande

novità rispetto al rapporto con cui si usciva, che era un rapporto tipicamente

conflittuale: azienda padrone e sindacato. Quindi, questo sistema di

partecipazione si è evoluto, si è finalizzato ed è diventato molto probabilmente

anche più creativo, nel senso c’è un circuito di regolazione con incontri con le

organizzazioni sindacali diciamo più a livello di segreterie nazionali, con la

direzione aziendale, con il top manager aziendale per avere un quadro sul dove si

sta andando a livello di stabilimento. Il dialogo e il lavoro con il sindacato è molto

Page 640: WCM (World Class Manufacturing)

290

più operativo, nel senso si discute e si lavora sui problemi della fabbrica. Questo

che cosa comporta? Come sempre, quando si parla, si è in due, quindi l’approccio

deve essere biunivoco. Da parte dell’azienda, io credo, che debba essere fatto

uno sforzo importante per mettere a fattor comune aspetti della vita di fabbrica

che servano ad avere un livello di condivisione e di linguaggio comune con i

propri interlocutori sindacali. Da parte del sindacato deve essere fatto uno sforzo

culturale di crescita, di apprendimento di quelli che sono i temi della fabbrica. Un

rappresentante sindacale deve conoscere come funziona la fabbrica, deve sapere

cos’è il WCM, deve sapere quali sono i problemi che esistono all’interno della

fabbrica, ma usarli probabilmente, ed è qui lo snodo importante che a volte,

dovuto anche alla pluralità di sindacati che abbiamo in Italia, non aiuta, nel senso

che non può esserci un’interpretazione diversa di un problema. Semplifico: se c’è

una postazione di lavoro che non funziona, non può esistere che se ci sono

cinque organizzazioni sindacali che vedono il problema in maniera diversa o a

seconda della convenienza o della volontà di tutelare in maniera diversa un

lavoratore piuttosto che un altro. Se un problema esiste, è un problema non ha

un colore. Se lo allarghiamo vale anche per l’Italia. Se noi abbiamo un problema

di occupazione, di non capacità di attrarre investimenti o non rendere il nostro

paese allettante per un investitore straniero, non è un problema che se lo guardi

da sinistra o da destra è un problema. Quindi, o si ci concentra sul problema o, se

ci si concentra sul problema, sul bisticciare a chi arriva prima al gioco del

fazzoletto, ad accaparrarsi la genitura del problema, non si va tanto distanti. In

fabbrica le commissioni lavorano, e lavorano molto meglio dove si stanno

costruendo i passi per fare i futuri modelli. Dopodiché, il continuos improvement

nelle fabbriche può probabilmente migliorare ancora grazie all’approccio

culturale di cui parlavo prima.

16) Il WCM che sta sperimentando la Fiat, sta spingendo verso un “sindacato

d’impresa” o partecipativo?

Page 641: WCM (World Class Manufacturing)

291

È una scelta obbligata. Io non credo molto in chi dice che la Fiat con il WCM

vuole bypassare il sindacato e avere un rapporto diretto con i lavoratori,

semplicemente perché il rapporto diretto con i lavoratori non può non esserci,

nel senso che il lavoro che l’azienda fa, lo fa, cioè paga dei lavoratori e si aspetta

che facciano un certo tipo di mestiere. Con il programma WCM c’è un interesse

reciproco a mettere le persone nelle condizioni di poter lavorare meglio e per le

persone lavorare meglio, quindi certamente il modo di lavorare tende ad

abbassare i rapporti gerarchici ed avere il direttore che oltre a vestirsi come le

persone che lavorano sulle linee, la direzione è molto più presente in fabbrica,

perché è un’esigenza reale. Se si crede nel WCM lo si vive quotidianamente e

allora il direttore è lì dove ci sono i problemi. Conosco diversi direttore che non

hanno nessun tipo di problema, anzi, favoriscono e spingono questo rapporto

diretto con le persone, andando là dove c’è un problema per capire qual è il

problema. Questo dal sindacato, che vuole fare un salto evolutivo, essere parte

di un progetto che cambia radicalmente il modo di lavorare in fabbrica in tutti i

sensi, sia del sindacato sia per fare le macchine sia dell’azienda, è un salto

culturale importante anche se ideologico. Uno vuole tenersi nella tasca una

merce di scambio con cui contrattare per avere e dimostrare la sua importanza

piuttosto che la capacità di indirizzare le persone, e allora stiamo perdendo del

tempo. Se, invece, il sindacato capisce e ha ben compreso qual è la finalità del

WCM, probabilmente, diventa interprete delle esigenze dei lavoratori, diverse da

quelle che erano precedentemente. Citavo il fatto che, oramai, le fabbriche si

stanno portando tutte a dei livelli di standard, di vivibilità, assolutamente fuori

dallo stereotipo a cui normalmente è abituato a pensare la persona che non ha

visto i nostri stabilimenti. Probabilmente il sindacato deve essere interprete di

esigenze diverse, contrattare certamente con l’azienda magari diversi sistemi di

remunerazione, ma anche essere un facilitatore di questo cambiamento culturale

che all’interno delle fabbriche, se è spinto da diverse direzioni, probabilmente è

molto più facile che proceda. Il sindacato americano e i colleghi della Chrysler

che hanno visto la loro fabbrica o la loro azienda cadere nel vuoto, negli anni

Page 642: WCM (World Class Manufacturing)

292

2008-2009, quando poi Fiat è intervenuta iniziando un percorso con Chrysler,

hanno compreso che questo è uno strumento straordinario di miglioramento per

tutti, in primo luogo per le persone che lavorano nella fabbrica. Qui da noi non

abbiamo un sindacato unico. Avere una comunità di intenti così spinta o, è una

cosa che deve avvenire e quindi c’è un piano di convergenza, un’unità sindacale

su determinati obiettivi che in parte si è realizzata e in parte continuano ad avere

una costola del sindacato a considerare il modo di lavorare di Fiat e degli altri

sindacati come un modo diverso rispetto all’ideologia di questo sindacato o, se

no è chiaro questa pluralità, tende ad essere un freno.

17) Secondo Lei, cercano un dialogo queste organizzazioni sindacali?

Sì, però a livello di stabilimento deve essere migliorato, nel senso che c’è

probabilmente una maggiore comunità di intenti, a livello medio-alto, a livello

sindacale all’interno degli stabilimenti. Ci sono margini di miglioramento su

questo aspetto. Tende ancora prevalere il personalismo o l’interesse di bottega

che spesso tende a dividere piuttosto che a unire.

18) Il ruolo delle Rsu che hanno potere di contrattazione, alla fine che fanno?

Come si comportano?

Il ruolo delle rsa, secondo me, è uno snodo importante però nel quadro che

cercavo di tratteggiarle prima. È un sindacato che cerca il suo ruolo all’interno

degli stabilimenti. Se il ruolo delle rsa viene vissuto alla maniera tradizionale,

probabilmente non c’è più tempo e quindi il tempo non è sufficiente per la

velocità con cui la competizione sul mercato sta andando avanti. Non si può

decidere in mesi se cambiare dei turni di lavoro o se fare diverse produzioni,

perché nei mesi l’opportunità di vendita l’hai già persa. E’ un retaggio, che

fortunatamente con il nostro contratto nella scelta di Fiat e delle organizzazioni,

accettato. Stanno correndo con noi questa sfida. È stato in parte superato, ma

Page 643: WCM (World Class Manufacturing)

293

può essere ancora migliorato perché da entrambe le parti, nei momenti di

maggior difficoltà, la tendenza è quella di ritirarsi un po’ e usare gli strumenti

vecchi anziché osare e andare sul nuovo. Questa è la sfida dei prossimi anni, nei

rapporti all’interno dei nostri stabilimenti.

19) Come avviene la contrattazione? Chi negozia? Che cosa viene negoziato?

Lo sforzo che è stato fatto rispetto al CCNL metalmeccanico nazionale, ed è uno

dei motivi perché Fiat è uscita dal contesto confindustriale, è che non era

attagliata rispetto al nostro modo di operare e delle fabbrica. Il nostro contratto

è molto più operativo, nel senso che disegna la realtà dei nostri stabilimenti e ne

disciplina gli aspetti importanti: gli orari di lavoro, l’inquadramento delle persone

all’interno degli stabilimenti, o modi per utilizzare l’organizzazione del lavoro e

l’orario, insomma, è disegnato sulle nostre fabbriche. Questo, credo, ha al suo

interno una serie di regole che le parti hanno inteso definire come regole della

vita degli stabilimenti e, una volta che si ci è messi d’accordo su quelle regole, le

regole sono quelle, non si discute più. La contrattazione, per certi versi, è già

avvenuta, nel senso che nello stabilimento le relazioni tra azienda e sindacato

sono già definiti nel contratto. Non è più necessario mettersi d’accordo su delle

cose perché il contratto già le disciplina. Se c’è un problema significa che una

delle due parti, all’interno dello stabilimento, ha fatto qualcosa che non andava

bene. Evidentemente deve fare un passo indietro o deve resettare, perché nel

contratto gli elementi ci sono tutti; in esso è disciplinato come si passa da un

turno ad un altro; è disciplinato come sono gli orari di lavoro, e, all’interno di

questo, ci sono sempre dei rapporti con i rappresentanti sindacali, i quali

vengono preventivamente consultati. Vengono cercate anche soluzioni

eventualmente diverse. Il momento dell’eventuale scontro o conflitto è un

insuccesso del contratto, nel senso che uno delle due parti non lo sta utilizzando,

o lo sta utilizzando male nei confronti dell’altro. Ecco perché ci sono dei

meccanismi di regolazione o di responsabilizzazione delle organizzazioni sindacali

Page 644: WCM (World Class Manufacturing)

294

perché nel momento in cui si sono decise delle cose e il contratto le ha

disciplinate, all’interno di quel contratto stiamo. Il sindacato ha degli strumenti

per chiamare l’azienda nel momento in cui rileva dei problemi che, a suo modo di

vedere, l’azienda non sta operando come, invece, il contratto prevede che lei

faccia. Questa interconnessione di responsabilità del sindacato e dall’altro la

possibilità per il sindacato di chiamare l’azienda con i meccanismi di

raffreddamento, quindi passaggi, se vuole, di progressione, prima di arrivare allo

scontro e, quindi, meccanismi di autoregolazione del sistema che sono a cerchi

concentrici, partono dove c’è il problema e poi, se il problema non si riesce a

risolvere mano mano, allargano il livello di responsabilità fino ad arrivare ad una

discussione tra organizzazioni sindacali esterne allo stabilimento che possono

essere un circuito di regolazione insieme alla direzione di Fiat per risolvere o

interpretare il problema. Su questo stiamo lavorando per migliorare questo

meccanismo di relazione con il sindacato.

20) Come valutate la scelta di un contratto a livello aziendale? Secondo lei, ci

stiamo avviando verso il decentramento della contrattazione collettiva e delle

relazioni industriali?

Questo, in realtà, rispetto a quello che si crede, avviene moltissimo in Italia, nel

senso che moltissime aziende hanno un loro contratto a livello aziendale. Le

Ferrovie dello Stato, la Telecom, noi, l’IBM, hanno dei contratti che disciplinano

la loro vita. Se vuole, la specializzazione e le esigenze di ogni singola azienda

portano necessariamente a questa scelta. Un CCNL che prenda all’interno tutto,

probabilmente non disciplina nulla, perché deve essere talmente la mediazione

di interessi. Prenda il CCNL, disciplina dalla piccola bottega che si occupa di

meccaniche di precisione, alla grande fabbrica come la Fiat, passando anche

all’installazione di impianti, ma poi, magari, da un punto di vista produttivo non è

interessato. All’interno ci sono anche, da un punto di vista dell’inquadramento

contrattuale, le figure più disparate: vanno da chi si occupa dei forni a chi della

Page 645: WCM (World Class Manufacturing)

295

manutenzione, ecc. E’ un contratto utile alla vita di una fabbrica che è

concentrare su altro, su una competizione, con dei concorrenti e deve avere degli

strumenti sicuramente più agili, che le consentano di rispondere alle esigenze di

mercato. Quindi, probabilmente, con il sindacato si deve andare verso questo

tipo di soluzione, cioè avere una sicurezza, anche da un punto di vista salariale

minimo o adeguato rispetto alle esigenze, per garantire un potere di acquisto

delle persone. Però poi la contrattazione avviene all’interno dell’azienda con

contratti specifici, perché probabilmente soltanto così si riesce a disegnare delle

situazioni che sono completamente disparate, infatti, fare automobili è diverso

da fare lavatrici. Sembra banale la cosa, eppure le persone sono all’interno di un

CCNL che disciplina chi monta le ruote di una moto, chi quelle di Maserati ghibli.

Sono cose diverse, non possono coesistere.

21) Che cosa è cambiato dopo le Vertenze di Pomigliano e Mirafiori?

Per il sindacato, che ha fatto una scelta coraggiosa, è cambiato molto. E’

cambiato il modo di rapportarsi, sono cambiati i prodotti, il piano strategico di

Fiat rispetto ai propri stabilimenti in Italia. Non so se non ci fossero state che

cosa Fiat avesse fatto, non voglio pensarci.

22) Prospettive alla luce del nuovo contratto e dell’acquisizione di Chrysler?

Il nuovo contratto va nella direzione che le stavo dicendo, di avere sicuramente

avanti una soluzione nelle aree dove stiamo lavorando in Africa, dei risultati,

dovuti anche alla crisi, non ancora sufficientemente adeguati. EMEA perde soldi,

quindi è chiaro che se un contratto, e un contratto deve riconoscere ai lavoratori

anche i risultati di un’azienda, l’azienda in questo momento fa fatica a trovarli,

quindi certamente deve essere un rinnovo di un contratto che deve essere di

prospettiva. Noi abbiamo presentato a Maggio di quest’anno un piano strategico

che va fino al 2018 che vede in Italia una forte responsabilità, dico io di

Page 646: WCM (World Class Manufacturing)

296

sviluppare e fare una serie di prodotti per il risultato di questo piano. Questi

risultati, che saranno raggiunti, dovranno dare un beneficio per tutti. Noi stiamo

cercando, con le organizzazioni sindacali, il modo e i meccanismi per realizzare

un contratto che abbia questa prospettiva sul piano Fiat, quindi un contratto non

più annuale, come era nato il CCSL, ma un contratto di prospettiva triennale

dove, in questo triennio, viene, da una parte riconosciuta la situazione attuale e

ragionare su un paradigma diverso, cercando di riconoscere gli sforzi e i successi

raggiunti e i miglioramenti fatti all’interno dell’azienda. Un primo embrione, se

vuole, lo abbiamo già avuto, quello del premio sul WCM. Lì ci stiamo

indirizzando. Avevamo definito che il WCM riconoscesse, anche da un punto di

vista economico, il livello raggiunto, quello oro, argento e bronzo, e questo ha

pagato all’interno degli stabilimenti tutti quelli che hanno raggiunto questi

risultati. Portare un’evoluzione a questo meccanismo, calzarlo e calarlo in

maniera più puntuale può essere un ulteriore miglioramento e sicuramente

anche un acceleratore del WCM.

Page 647: WCM (World Class Manufacturing)

297

Luciano Massone

(Capo del World Class Manufacturing EMEA

Region & WCM Dev.Center VP)

1) Che cos’è il World Class Manufacturing? Quali sono state le principali

innovazioni introdotte dal WCM?

È un programma, un sistema di regole e di opzioni, tools, metodologie che nel

complesso agite in un certo modo, perché la parte più importante di questo

programma sono i dieci pilastri manageriali che hanno la stessa dignità dei

pilastri tecnici. E’ l’unico Production System presente al mondo oggi che ha un

bilanciamento importante tra manageriali e tecnici. Normalmente, i sistemi che

si vedono in giro, sono molto focalizzati sulla tecnica. Noi ci siamo concentrati

molto su come far capitare le condizioni che volevamo fossero alla base del

nostro sistema. E’ un sistema che si nutre del coinvolgimento delle persone, si

nutre della conoscenza, quindi, ha dentro un sistema di knowledge management

molto importante e si nutre della diffusione della conoscenza. Noi abbiamo un

internal-facebook dentro l’azienda con la quale connettiamo tutti i paesi del

mondo, tutti gli stabilimenti, che sono 230, dove ognuno può postare un quesito

e viene aiutato dal tutto mondo affinché lui possa risolvere il problema. Un

sistema di common-knowledge, sulle best pratices, sugli standard, anche quello

si nutre di una serie di coordinate, ove puoi farti aiutare direttamente da colui il

quale ha pensato quella cosa perché la porti anche in un altro posto. È un

sistema di misura, di metrica su tutto quello che si fa. Il sistema di misura e di

audit dà anche la qualità di quello che stai facendo. La cosa importante è che in

un sistema, normalmente, per essere un sistema capace, questo deve avere

all’interno una serie di ecosistemi che rendono il sistema capace, con un sistema

di misure, con un sistema di audit e con un sistema anche sanzionatorio. Alla fine

dell’anno mettiamo in graduatoria i nostri plant. I migliori tre o cinque vengono

Page 648: WCM (World Class Manufacturing)

298

premiati, gli altri vengono puniti, nel senso che si rimuovono e si cambiano i

team, si fanno delle correzioni affinché questi possano riprendere a correre

l’anno successivo. È un sistema competitivo e meritocratico che vale per le

persone, per i plant e per i manager.

2) Come vede il WCM? Qual è la sua percezione?

È diventato un sistema maturo, sicuramente tra i più maturi tra quelli che ci sono

in giro, proprio per le connotazioni che abbiamo detto prima. Si è nutrito di tutta

quella parte manageriale di cui non si sono potuti nutrire gli altri sistemi.

È un sistema riconosciuto perché ormai non c’è più discussione, nel senso che sia

gli shareholders i planner manager, la popolazione intera di chi fa industria sa di

che cosa stiamo parlando quando parliamo di WCM. Ha garantito un comune

linguaggio anche da un punto di vista tecnico. Il WCM ha 350 tools, è un sistema

ricco di knowledge, che fa dialogare tutti usando un linguaggio comune e questa

è una altra cosa importante. Per quanto riguarda il coinvolgimento delle persone,

questo sistema è riuscito a coinvolgere oggi, all’interno della Fiat, il 100% delle

persone. Puoi intervistare l’ultimo operaio che ti dice che la settimana scorsa ha

fatto quattro suggestions e ha partecipato a tre o quattro major kaizen.

3) Quali sono state le motivazioni che hanno portato ad adottare il WCM? Per

iniziativa di chi?

Sono state la non competitività del sistema manifatturiero o che nel 2004, con

uno spietato benchmarck, fece fare il dottor Marchionne sbattendoci in faccia

quali sono stati i risultati, parte sempre da una base. Quando nel 2004 arrivò il

nuovo amministratore delegato, il mondo intero ha vomitato numeri. E quando

abbiamo visto che, rispetto ai nostri competitors, eravamo molto indietro, si è

deciso di avviare un programma di rottura. Il WCM, di tutti i sistemi che abbiamo

valutato, abbiamo fatto becnhmarck su metodi, c’era sembrato il sistema più

Page 649: WCM (World Class Manufacturing)

299

adatto, soprattutto per la robustezza della parte manageriale che ci avrebbe poi

consentito di spingere in un certo modo in un paese occidentale. Io sono stato in

Giappone, ho vissuto lì e uno dei collanti di questi sistemi sono la religione, la

cultura, l’appartenenza e, quindi, questa roba qua bisognava realizzarla con un

sistema che facesse “push”.

4) Quali sono state le difficoltà connesse all’implementazione del WCM?

Le difficoltà sono state tante, caratterizzate da una scarsa comprensione di

quella che era la filosofia del miglioramento continuo che proponeva questo

modello. Sono state delle difficoltà legate alla gestione delle relazioni industriali

con il sindacato; vi sono state delle difficoltà anche a livello operativo, farlo

comprendere alle persone, ai nostri capi che si poteva operare in maniera

totalmente differente. Ci sono state delle difficoltà di interpretazione, di quello

che si voleva fare del management. Come al solito, quando c’è un momento di

rottura, le cose che si sono sempre fatte, c’è stato un momento di grande

difficoltà. Le difficoltà bisogna leggerle tutte e quante insieme, come un grande

elefante, poi bisogna affettare l’elefante e mangiare un pezzettino alla volta.

5) Qual è la situazione attuale all’interno del gruppo rispetto alla

sperimentazione del WCM nei vari stabilimenti? Perché alcuni stabilimenti

sono più avanti e altri no? dipende dalla capacità dei lavoratori, dal

management aziendale?

Sicuramente dipende da un molteplicità di fattori. Quelli nei quali sono stati

impattati da grandi livelli di innovazione; sui quali noi abbiamo investito in

formazione, in training, anche nella messa a disposizione dei migliori manager

che avevamo; quelli nei quale è, ovviamente, ancora in corso un processo di

ristrutturazione o addirittura hanno avuto molta discontinuità lavorativa o dove

hanno avuto una continuità con il passato che non è stata mai rotta. Devo dire

Page 650: WCM (World Class Manufacturing)

300

che tutte le company al mondo hanno stabilimenti che sono più avanti e altri che

sono più indietro. Non è facile sopportare una rivoluzione culturale come questa

nell’insieme.

6) Dobbiamo ancora dimostrare di essere come i giapponesi? Nel senso che

dobbiamo ancora migliorare il livello di credibilità e di fiducia in un contesto

sempre più competitivo e concorrenziale?

Il Giappone ha dalla sua un sistema-paese. Quindi, dal momento che ho vissuto lì

e mi sono formato lì, il Giappone produce un sistema scolastico meritocratico e

selettivo. Lì non si può scegliere che cosa fare da grande ed è nel percorso

scolastico che una persona viene indirizzata a fare un mestiere, piuttosto che un

altro. Le sue caratteristiche vengono individuate nel mondo della scuola e viene

indirizzato. Non è la persona che sceglie. Lei decide di mettersi nella barca che è

sul fiume e poi strada facendo. E’ indipendente dalla persona. Se poi si va a

vedere che cosa produce quella scuola, è un elite estremamente raffinata. Non è

un caso che i migliori ingegneri poi nascono da lì. C’è una cura maniacale del

dettaglio. Il sistema scolastico è estremamente ricco, perché gli investimenti nel

mondo scolastico li fa l’impresa. Vengono educati a questo dettaglio a questa

cura, a questa religione del lavoro fin dall’inizio. Lavorare lì è fantastico, non

bisogna convincere qualcuno a fare qualcosa, è un mondo ideale. Con il

sindacato si dialoga benissimo perché le posizioni sono intercambiabili e, quindi,

tutti hanno fatto esperienze sedendo nelle varie parti del tavolo. Il sindacato

gioca la stessa partita che gioca l’azienda, perché è l’azienda che deve vincere sul

mercato, gli avversari sono fuori dall’azienda. Con questa cultura giapponese non

si ci combatte dentro, ma si combatte con quello che è fuori, e questo non è una

roba da niente. Qui, per fare il WCM, abbiamo dovuto investire per dieci anni per

creare questa cultura rispetto che in Giappone. Quando il sistema-paese produce

delle persone con un grado di interpretazione del chanchelled e, con questa

Page 651: WCM (World Class Manufacturing)

301

ferocia e questa determinazione nel voler giocare quella partita lì, devi poi solo

fare il contorno. Quando invece devi creare il sistema, la visione è un po’ diversa.

7) La produttività sta migliorando? La qualità del prodotto è migliorata? Vi è

realmente una riduzione degli sprechi?

La qualità è un altro mondo. La riduzione degli sprechi anche. Il nostro

amministratore delegato ha detto che sprecare è anetical, quindi i guasti, gli

sprechi sono stati classificati come anetical. Oggi, non è più un’azienda che

lavorava sul mettere d’accordo, su mettere le pezze. Le macchine hanno

continuità e un’efficienza. Ci sono degli stabilimenti dove il livello di sicurezza è

invidiabile. Ci sono stabilimenti dove è da cinque anni che non capita un

infortuni. E quindi cambiato l’intero mondo a livello di qualità. La difettosità si è

ridotta a minimi termini, è un sistema che nella sua globalità. Mentre dieci anni

fa il manufacturing era un costo, oggi è un centro di profitto. Qui dentro noi

abbiamo un training consultant. Noi facciamo consulenza esterna per i terzi e

abbiamo un attivo rilevante,. La manifattura non produce solo per Fiat, noi

facciamo automobili per Ford, Peugeout, Citroen, in Canada per Volkswagen. Se

qualcuno ti dà, da fare la sua automobile e tu ne ricavi un beneficio, significa che

sei diventato talmente bravo a fare quella roba che la fai meglio di lui e che ci

ricavi anche dei denari. Ecco, dieci anni fa, questa cosa era impensabile. Oggi è

così! Facciamo motori per noi e ne facciamo di più per darli a terzi. Se c’è

qualcuno che ci compra un motore vuol dire che quel motore è meglio del suo,

quindi la situazione si è ribaltata completamente.

8) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza

del posto di lavoro? A tal proposito, nel quadro del WCM, è stato inserito un

sistema specifico chiamato Ergo-Uas, mi può spiegare nel dettaglio in che cosa

consiste questa nuova metrica? Consente di eliminare tutto ciò che nei

Page 652: WCM (World Class Manufacturing)

302

movimenti dei lavoratori è considerato uno spreco e con ciò di aumentare la

produttività?

Assolutamente sì! Da lì siamo partiti. Il WCM ha affrontato, prima ancora di

affrontare gli aspetti più complessi e tecnici, la sicurezza, l’ambiente del posto di

lavoro. Pulizia, ordine, messa in sicurezza degli impianti e delle persone, formare

le persone sulla sicurezza. Abbiamo fatto un programma che è costato

tantissimo. Abbiamo formato tutte le persone per avere figure professionali, il

capitano della sicurezza per rendere pervasivo ed invasivo l’approccio alla

sicurezza, e oggi le condizioni sono completamente diverse. Abbiamo fatto

grossissimi investimenti sull’ergonomia di processo. Abbiamo finanziato una

cattedra all’università di Torino che non aveva una cattedra di ergonomia di

processo. Oggi esiste grazie a noi, e l’abbiamo alimentato con contributi e

consulenze delle più prestigiose università oggi presenti al mondo. Abbiamo

pagato noi la consulenza affinché venissero professori di altre università e oggi

noi ci stiamo alimentando dei dottorandi che escono da quel percorso per

rivedere il nostro processo, per arricchirlo nei contenuti. Oggi noi abbiamo tutte

le stazioni di lavoro che sono state governate con un approccio ergonomico fin

dal momento in cui sono state pensate. Un tempo si faceva l’impianto, si

sceglievano gli uomini che avrebbe potuto lavorare lì dentro. Oggi si ristruttura il

processo all’origine facendo questo mestiere a monte. E nel momento in cui si

faceva la WPI vengono ad operare anche i lavoratori, gli operai della linea che

danno i loro suggerimenti e i loro contributi, fin dal momento in cui si sta

pensando quel processo produttivo con quel prodotto, e ciò non era mai stato

fatto prima.

9) Come valuta il rapporto con i lavoratori? Questi concorrono alla definizione

degli obiettivi e dei valori aziendali? Quali sono le loro priorità? E quelle

dell’azienda?

Page 653: WCM (World Class Manufacturing)

303

Sicuramente il rapporto con i lavoratori è molto diverso da quello di ieri.

Abbiamo ricevuto un milione e mezzo di proposte, a livello di partecipazione. Se

può essere espresso da un indicatore, abbiamo un indicatore di assenteismo che

è terzo o un quarto rispetto a quando siamo partiti in questa grande avventura e,

nelle fabbriche più evolute, quelle gold per intenderci, come Gian battista Vico,

gli indicatori di partecipazione sono rilevanti, anche sulla parte del sociale

interno abbiamo messo su un’ingegneria all’interno dei pilastri del WCM, che

hanno dato il loro contributo.

10) Il coinvolgimento dei lavoratori è un elemento essenziale data la

vulnerabilità del programma? Che cosa fate per favorire il loro coinvolgimento?

Quali sono i principali strumenti che vengono adottati per motivare/valorizzare

i lavoratori all’interno della nuova organizzazione?

Sì, c’è tutto un sistema di riconoscimento che, ovviamente, dal percorso di

carriera che può fare il lavoratore, se mostra di avere un certo tipo di approccio

al lavoro e un certo numeri di contributi, c’è il riconoscimento sulla base della

suggestion, c’è un riconoscimento sulla base del kaizen che ha proposto,

vengono dati premi tipo gadget vari; se funziona la proposta che ha fatto,

vengono date una tantum; se la proposta è interessante, vengono fatti

partecipare a visite in fabbriche estere per stimolare la vena creativa. Il

lavoratore più capace è quello che ruota su più postazioni e, quello che diventa il

cambista, quello che da il cambio alle persone, può diventare poi team leader e

poi, può diventare capo Ute.

La cosa importante è essere riconosciuto come meritevole di queste attenzioni.

Ci sono una serie di azioni che vengono fatte ove il gruppo riconosce il contributo

distintivo delle persone che poi vengono premiate.

11) Rispetto al pilastro “People Development”, investite nella formazione e

nell’addestramento dei dipendenti dal momento che per produrre beni di alta

Page 654: WCM (World Class Manufacturing)

304

qualità ad un basso costo in tempi brevi è necessaria una forza lavoro

altamente motivata e competente?

È fondamentale! Senza farlo, non si riuscirebbe ad avere questi risultati.

Mediamente, in ogni programma nuovo che variano, c’è una quota

considerevole di training, formazione, di partecipazione a tutte le attività che

vengono fatte attraverso il coaching. Ci sono diversi sistemi di gestione del

training. Noi abbiamo il training in aula per dare il knowledge di base; il training

on the job che è quello che si fa sulle postazioni di lavoro. Ma in mezzo, c’è tutta

una serie di momenti di training fatti in ambienti asettici, non sulla linea, ma

dentro il nuovo mini plant, c’è un training che facciamo nelle accademy, sempre

in un ambiente diverso da quello del lavoro, apprendi in aula determinati

concetti e li sperimenti come un gioco per poi arrivare al training job sulla linea

che è fatta più in condizioni di lavoro che di start-up. Anche l’ingegneria del

training è molto maturata in questi ultimi, per non parlare di tutto il training che

facciamo sul management per creare la condizione culturale a coloro i quali

devono gestire tutto il processo che sono gli ingegneri, i capi Ute, gli ingegneri di

processo.

12) Secondo lei il modello adottato consente di superare quelle relazioni

manager-dipendenti di tipo rigidamente gerarchico e di adottare invece un

clima aziendale stimolante e pacificato che consente una sorta di fusione tra gli

obiettivi dell’impresa e i bisogni dei lavoratori?

Assolutamente sì! Ha abbattuto tutte le barriere della vecchia gerarchia.

Quest’ultima non c’è più, nel senso che la fabbrica è molto più schiacciata, ci

sono gli operai, ci sono i capi Ute, ci sono i team leader, questa è una fabbrica

che aveva sette livelli.

Page 655: WCM (World Class Manufacturing)

305

13) In seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si è realizzato

concretamente o ancora vi è una partecipazione debole?

Al momento si è realizzato completamente. Poi ci sono stabilimenti in cui c’è una

maggiore maturità, e quelli in cui c’è una minore maturità. Però, non ci sono oggi

stabilimenti che sono rimasti fuori dal programma e, anche quelli con una minore

maturità, hanno delle medie di partecipazione che sono sopra le medie di

mercato, e questo anche in Italia è stata una sfida perché le reazioni che

abbiamo avuto inizialmente in Polonia e in Turchia siamo a livello di venti

suggestions per person, bene al di sopra del miglior benchmarck possibile. La

cosa interessante è vedere che siamo al di sopra dei diciassette, diciotto plant in

Italia, siamo sotto i dieci degli stabilimenti che sono un po’ più resistenti.

14) In questo nuovo modello quanto conta il dialogo con il sindacato? E il suo

coinvolgimento?

Il sindacato è sempre parte in causa. Il sindacato vive la fabbrica. I rappresentanti

sindacali vivono all’interno della fabbrica, quindi, non possono essere a lato da

questo punto di vista del processo. Quello che è capitato in tutti questi anni, è

che c’è stata una sana contrapposizione. Non è stato compreso immediatamente

il modello. Oggi c’è una maturità. Riceviamo delle proposte dal sindacato,

lavoriamo all’interno delle commissioni con il sindacato. In fabbrica c’è un clima

completamente diverso da quello rispetto a cui siamo partiti.

15) Quali potrebbero essere le azioni concrete per migliorare il rapporto con il

sindacato?

Sicuramente training, formazione. Per poter cambiare culturalmente bisogna

avere gli elementi che caratterizzano questo cambiamento. L’esperienza che ho

avuto negli Stati Uniti è stato determinante. Quando noi siamo partiti anche loro

Page 656: WCM (World Class Manufacturing)

306

non avevano nessuna conoscenza di sistemi di questa natura. L’hanno scelto

perché, pragmaticamente, hanno visto che era efficace e quindi si sono posti

immediatamente il problema di come far partecipare le persone all’interno della

fabbrica e come renderle partecipanti attivi, come renderli attori e quindi come

gestire e come operare con loro un programma di formazione adeguato che li

rendesse interlocutori credibili, come fare in modo che loro e le loro rispettive

aree di lavoro fossero operativamente messe in condizione di lavorare. In

Americana, noi abbiamo fatto un Accademy. Quest’ultima l’ha voluta il sindacato

prima ancora della Chrysler. L’Accademy degli Stati Uniti di Warren l’ha

finanziata il sindacato. Quest’ultimo ha fatto lavorare l’Accademy anche per

formare le sue persone. C’è stato un grande commitment. Questi grandi

cambiamenti, anche sul piano sindacale, non si realizzano se non c’è

commitment, e il commitment per il sindacato sono le segreterie generali, sono i

capi intermedi, cioè la stessa struttura dell’azienda se vogliamo. Il taglio delle

strutture che è stato fatto in azienda, non è stato fatto, parimenti, nel sindacato.

E’ ancora molto gerarchico il sindacato. Io credo che potrebbe anche lui fare una

sana riforma per essere più efficace e interloquire territorialmente e per

stabilimento, al fine di generare la stessa condizione di partecipazione.

16) Prospettive alla luce del nuovo contratto e dell’acquisizione di Chrysler?

Un’azienda unica, che sia capace di mettere insieme processi trasversali e globali

al punto di realizzare una migliore condizione per il cliente finale dovunque esso

si trovi. Una supply chain capace di governare tutti i processi logistici, una

capacità di gestire il management a livello globale in modo che in ogni angolo del

mondo siano capaci di identificarsi in questa nuova realtà.

Page 657: WCM (World Class Manufacturing)

307

Interviste Lavoratori Fiat Chrysler

Automobiles

Pino Di Castri

(Operaio Mirafiori Carrozzeria)

Antonella Palumbo

(Operaia Miarfiori Carrozzeria – Montatura)

Giuseppe Buscicchio

(Operaio Mirafiori Carrozzeria–Verniciatura)

Claudia Di Rosso

(Impiegata strutture centrali Fiat Chrysler

Automobiles)

Page 658: WCM (World Class Manufacturing)

308

Pino Di Castri

(Operaio Mirafiori Carrozzeria)

1) Che cos’è secondo lei il World Class Manufacturing? Come vede il Wcm? Qual

è la sua percezione?

È un metodo di lavoro che sta applicando Fiat e non solo. Il WCM, per come

l’hanno spiegato, se viene applicato in maniera corretta, può essere un buon

metodo per i lavoratori. Questo fa riferimento alle posture, una riduzione di tutte

quelle malattie patologiche che vengono fuori facendo sempre delle mansioni

ripetitive, soprattutto negli arti superiori.

2) Prima si lavorava in un modo, adesso che cosa è cambiato?

Il lavoratore non lo percepisce. Ci sono, ad esempio, di tutti i materiali a portata

di mano, lo sforzo è minore. Però, c’è uno stress maggiore. È aumentato lo stress

psicologico perché avendo tutto lì a portata di mano, hanno risicato un po’ i

tempi e quindi se, mentre prima facevo due passi, adesso non li faccio. I passi

servivano proprio allo stacco dai movimenti. Non so se è meglio l’uno o l’altro.

3) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza

del posto di lavoro? A tal proposito, cosa ne pensa del sistema Ergo-Uas? Ha

portato ad una riduzione della fatica dello stress, e delle malattie di tipo

muscolo-scheletrico?

Sì, sicuramente. È stato positivo.

Page 659: WCM (World Class Manufacturing)

309

4) In seguito all’introduzione del WCM, quale settore è migliorato

particolarmente? Ambiente/sicurezza/pulizia/ordine/fatica/tempi

Ambiente e sicurezza soprattutto. Pulizia ottima, anche l’ordine.

5) Secondo lei il lavoro diventa più autonomo e intelligente? oppure soltanto

più gravoso, o forse entrambe le cose insieme?

Non diventa autonomo. Noi non siamo autonomi. Però più intelligente sì.

6) Dato il principio di rotazione delle mansioni, è in grado di operare su

differenti postazioni di lavoro? Questo permette di rompere la routine della

ripetizione delle stesse operazioni?

Sicuramente sì. Anche se l’azienda non è in grado di applicarlo come vorrebbe.

7) Il WCM porta realmente ad una riduzione degli sprechi? La qualità del

prodotto è migliorata?

Sì, penso entrambi.

8) Come valuta il rapporto con i superiori (capi UTE e manager)?

È soggettiva la cosa. Come in tutti gli ambienti di lavoro c’è la simpatia e non.

Non dovrebbe esserci, però c’è. Ci deve essere un rapporto umano. Rispetto a

qualche anno fa è migliorato, sotto alcuni punti di vista, sotto altri, è diventato

più rigido perché, dal momento che siamo in un periodo di crisi, a volte la casta è

usata come clava sui lavoratori, come ricatto.

Page 660: WCM (World Class Manufacturing)

310

9) L’azienda si preoccupa dei vostri bisogni?

Direi di no.

10) Fate delle proposte di miglioramento?

Queste non sono una novità, già c’erano. si potrebbe fare di più. Il lavoratore

deve essere molto più coinvolto. Speriamo che questo avvenga. Vediamo se

l’azienda vuole. Poi c’è da dire che l’azienda è fatta di uomini, c’è una gerarchia a

volte, questa gerarchia interrompe questi processi perché trovi la persona che

non riesce a capire il modo con cui si deve porre al lavoratore.

11) È soddisfatto delle ricompense/premi che da l’azienda a seguito dei

suggerimenti che fornite per migliorare il lavoro?

Assolutamente no! Della maglietta o del gadget non ce ne facciamo niente. Il

lavoratore porta delle modifiche dove l’azienda risparmia milioni di euro. Il

lavoratore ha bisogno di denaro.

12) Sebbene vi sia libertà di proporre soluzioni, anche innovative, qualsiasi tipo

di cambiamento deve passare attraverso il vaglio di tutta una serie di livelli

gerarchici aziendali prima che possa essere implementato?

L’azienda deve prendere in considerazione soprattutto proposte di miglioramento

sulla sicurezza. Quando il lavoratore fa una segnalazione, già quella è una

proposta. Ovviamente l’azienda vuole che tutti lavoriamo in sicurezza, perché

qualcuno potrebbe incorrere in qualche denuncia. Se io posso fare una proposta

in cui l’azienda effettivamente dice, si risparmia il minimo, non la prende neanche

in considerazione. Quindi la proposta non è soltanto, io lavoro meglio, deve avere

Page 661: WCM (World Class Manufacturing)

311

anche un abbattimento dei costi. Poi ci sarà la persona che la valuterà, e se è

positiva verrà applicata e viene premiato.

13) Sono i team leader a decidere quali procedure di lavoro possono essere

modificate e in che modo?

Assolutamente no! Il lavoratore la fa, poi sarà il team leader che di fatto la

porterà al capo Ute. Quest’ultimo la porterà alla tecnologia che se ne occuperà, e

la tecnologia valuterà se questa effettivamente è buona oppure no.

14) Secondo Lei, in seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si

è realizzato concretamente o ancora vi è una partecipazione debole?

Attualmente è abbastanza debole.

15) Forme di disaffezione, quali la non partecipazione alle attività di

miglioramento continuo della qualità, l’assenteismo, lo sciopero, vengono

praticate?

Non è più così. Il lavoratore si mette in mutua se ha un problema di salute.

16) È soddisfatto della sua ricompensa economica?

No. Marchionne ha detto che ci avrebbe portato ai livelli dei tedeschi di 2000

euro al mese. Metalmeccanici come me che montano le macchine, il lavoro è

identico.

17) Se dovesse dare un voto all’azienda da una scala da una 1 a 10, quanto gli

darebbe? Questa azienda è un buon posto di lavoro?

Page 662: WCM (World Class Manufacturing)

312

L’azienda, la valuto positivamente, perché è un’azienda che dà lavoro.

Guardandomi in giro chiudono le aziende. E’ vero che abbiamo fatto cassa

integrazione, ma non è stato chiuso niente, a parte Termini Imerese ci potrà

essere qualche sbocco. Alla fine la valuto positivamente perché non ha dismesso

nessun stabilimento.

18) Come vede il rapporto con il sindacato? È necessario per lei la presenza del

sindacato oppure preferisce interagire direttamente, cioè attraverso

un’interlocuzione diretta?

Io potrei anche interagire personalmente, ma non tutti sono in grado di farlo. Il

sindacato ci vuole, deve crescere. È vero che c’è una disaffezione da parte del

sindacato in generale. Poi c’è stata la crisi, che è portata da tante cose, ma se

non ci fosse il sindacato sarebbe molto peggio.

19) Quando ci sono dei problemi il sindacato ne discute con l’azienda ed

insieme cercano di risolverli oppure deve scendere a patti con l’azienda?

Certo, ci sono delle commissioni che sono istituite per fare questo.

20) Secondo lei, con l’implementazione del WCM, l’azienda sta cercando di

“individualizzare” sempre di più il rapporto con il lavoratore? Senza

l’intromissione del sindacato?

Penso di no, anche se vuole escludere il sindacato. Ma non penso che riesca a fare

una cosa del genere.

Page 663: WCM (World Class Manufacturing)

313

21) Qual è il rapporto tra le varie organizzazioni sindacali? Cercano un dialogo

e di collaborare tra di loro?

Pessimo, perché sono in troppi e ci dovrebbe essere soltanto un sindacato di

categoria. Queste divisioni non portano a nulla. Andrebbe riformato, ma è

difficile, non avverrà mai, secondo me.

22) Come vede le RSU ? Vi è una disponibilità immediata delle RSU all’interno

dell’azienda?

Sì di molti sì. Anche lì poi è soggettiva la cosa. C’è la rsa ipocrita che si fa i fatti

suoi e ci sono poi, quelli che si mettono a disposizione dei lavoratori.

23) Cosa ne pensa dell’acquisizione di Chrysler?

Dieci anni fa era impensabile che fiat potesse acquistare un’azienda, qualsiasi

essa sia, soprattutto americana, è incredibile. La General Motors voleva in

qualche modo acquisire la Fiat. È stata pagata una penale per non farci

acquistare e da lì poi ci sono stati tutti una serie di progetti che ci hanno portato

ad acquisire Chrysler. È fantastica la sopravvivenza di entrambe!

Page 664: WCM (World Class Manufacturing)

314

Antonella Palumbo

(Operaia Mirafiori Carrozzeria - Montatura)

Giuseppe Buscicchio

(Operaio Mirafiori Carrozzeria – Verniciatura)

1) Che cos’è secondo voi il World Class Manufacturing?

Entrambi: E’ un modello di gestione aziendale, una tesi che ha lanciato

Marchionne, è una modalità di lavoro.

2) Come vedete il Wcm? Qual è la vostra percezione? Prima si lavorava in un

modo, adesso che cosa è cambiato?

Lei: Sicuramente una cosa positiva. Rispetto a vent’anni fa, quando c’erano le

malattie professionali perché comunque si lavorava con carichi di lavoro diversi,

era diversa la catena di montaggio. Oggi dovrebbe essere positiva perché con la

ASL di mezzo, l’Ergo-Uas è proprio una materia d’ingegneria, bisogna calcolare

leve, posture, ci formule, è quasi matematica. Dovrebbe essere poi attuata nella

maniera giusta proprio per evitare le malattie professionali.

Lui: È migliorato tantissimo l’aspetto lavorativo a livello di postazione di lavoro,

che può aiutare tantissimo la condizione lavorativa del lavoratore.

3) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza

del posto di lavoro? A tal proposito, cosa ne pensate del sistema Ergo-Uas? Ha

portato ad una riduzione della fatica dello stress, e delle malattie di tipo

muscolo-scheletrico?

Page 665: WCM (World Class Manufacturing)

315

Entrambi: Sì, assolutamente sì, molte malattie professionali.

4) In seguito all’introduzione del WCM, quale settore è migliorato

particolarmente? Ambiente/sicurezza/pulizia/ordine/fatica/tempi

Lei: Sicuramente l’ambiente e l’ordine. Anche se la cosa fondamentale del WCM

deve essere la postazione di lavoro. Da noi, sia in montaggio, sia in verniciatura,

c’erano delle postazioni rosse. Quando si faceva un’analisi e si andava ad

analizzare la postazione, questa poteva essere gialla, verde o se era rossa era

tutta da rivedere. Queste sono migliorate. Parliamo, attenzione, di uno

stabilimento dove in questo momento è chiuso, perché carrozzeria sono 3 anni

che non lavoriamo, lavoriamo a step, un tot di giorni al mese e quindi è tutto da

rivedere con la nuova vettura. Per quanto riguarda la vecchia catena di

montaggio, dove comunque le cose sono migliorate.

Lui: L’aspetto è globale della cosa, non solo a livello di postazione di lavoro ma

bensì anche di pulizia, sicurezza. Un contenuto a 360 gradi.

5) Secondo voi il lavoro diventa più autonomo e intelligente? oppure soltanto

più gravoso, o forse entrambe le cose insieme?

Lei: Sicuramente più intelligente, fare delle proposte. Non è più come una volta

che ti mettevi lì in catena di montaggio, ti facevi 8 ore e facevi sempre quello e

non eri tenuto a pensare. Oggi ci sono proprio delle postazioni in cui puoi

compilare un modulo, puoi fare appunto una proposta di miglioramento.

Lui: L’aspetto è molto più positivo. Sei già più qualificato e quantificato, sai già

come che stai facendo. In passato mettevi una vite e non sapevi quello che stavi

facendo, oggi sai il tuo posto di lavoro, e sai quantificare, quel tipo di vite, un tipo

di sigillatura, insomma puoi migliorare il tuo posto di lavoro.

Page 666: WCM (World Class Manufacturing)

316

6) Dato il principio di rotazione delle mansioni, siete in grado di operare su

differenti postazioni di lavoro? Questo permette di rompere la routine della

ripetizione delle stesse operazioni?

Lei: In pratica sì, perché ogni lavoratore, comunque, ha la possibilità. Certo è il

capo che ti inserisce in un certo sistema, di poter lavorare su più postazioni. Non è

il WCM che ti porta a fare più mansioni. Quando fai un corso di formazione hai in

quella settimana la possibilità di apprendimento e da lì puoi fare diverse

mansioni. Con il WCM, puoi lavorare in base al WCM, alla possibilità del

lavoratore.

Lui: Questo metodo di lavoro ha migliorato molto l’aspetto lavorativo, nel senso

che se tu sei una persona idonea, ti può permettere di essere un “jolly”, nel senso

che puoi fare qualsiasi tipo di postazione, ruotare nella giornata nell’arco di otto

postazioni, cosa che prima magari non si faceva. Questo metodo di lavoro

migliora l’aspetto migliorativo.

7) Il WCM porta realmente ad una riduzione degli sprechi? La qualità del

prodotto è migliorata?

Entrambi: Per quanto riguarda la riduzione degli sprechi sì. Per quanto riguarda

la qualità del prodotto bisogna vedere su quale piano la vogliamo mettere,

profilo aziendale, profilo politico, dovrebbe essere così. La qualità deve

migliorare, è fondamentale.

8) Come valutate il rapporto con i superiori (capi UTE e manager)?

Entrambi: L’azienda è cambiata molto su questo rispetto a dieci, quindici anni fa.

C’è anche più competenza. Sono materie dove bisogna studiare, analizzare, tutto

fa il suo percorso, in meglio, c’è la tecnica, la teoria e la pratica. Chi è sul lato

pratico, come noi operai, confrontarci con chi la guarda dal lato tecnico,

Page 667: WCM (World Class Manufacturing)

317

comunque c’è un confronto. Non è detto che quello che è su carta sia giusto e in

pratica vada tutto nel verso giusto, non è così. Bisogna trovare una via di mezzo,

perché sulla carta è molto semplice, nella pratica non è sempre così.

9) L’azienda si preoccupa dei vostri bisogni? Quali sono le vostre priorità? E

quelle dell’azienda?

Entrambi: L’assenza dalle postazioni di lavoro per qualsiasi bisogno privato.

10) Quali strumenti vengono adottati dall’azienda per motivare/valorizzare voi

lavoratori all’interno della nuova organizzazione? Vi sono meccanismi di

incentivazione e di gratificazione?

Entrambi: Prima davano un compenso monetario per la proposta di

miglioramento che era andata a buon fine. Adesso no.

11) Sebbene vi sia libertà di proporre soluzioni, anche innovative, qualsiasi tipo

di cambiamento deve passare attraverso il vaglio di tutta una serie di livelli

gerarchici aziendali prima che possa essere implementato?

Entrambi: Sì, c’è una burocrazia, si dovrebbe cercare di ridurla un pò. Adesso c’è

stata una riduzione dei livelli gerarchici perché nello stacco dall’operaio al

dirigente c’erano troppo figure, e quindi adesso parecchie neanche esistano più.

12) Sono i team leader a decidere quali procedure di lavoro possono essere

modificate e in che modo?

Entrambi: No, c’è il capo Ute e il capo Officina che decidono in quella Ute quale

scelte fare, non ha potere decisionale.

Page 668: WCM (World Class Manufacturing)

318

13) Secondo voi, in seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si

è realizzato concretamente o ancora vi è una partecipazione debole?

Entrambi: Partecipazione debole perché è una materia difficile, occorre tempo.

Non è una materia che si può solo studiare, ma è una materia pratica, bisogna

praticarla sul luogo di lavoro. Bisogna essere molto più partecipativi, molto più

elastici tra azienda, sindacato e chi c’è al lavoro. Altrimenti, sono cose che

rimarranno soltanto scritte e non si potrà vedere la praticità sul posto di lavoro.

14) Forme di disaffezione, quali la non partecipazione alle attività di

miglioramento continuo della qualità, l’assenteismo, lo sciopero, vengono

praticate?

Entrambi: Una volta c’era lo sciopero, è cambiato il sistema, mettiamola così. I

nostri genitori hanno fatto tanto per acquistare diritti che oggi noi abbiamo e li

hanno acquistati con lo sciopero, la marcia dei quarantamila. Poi, se ci sono delle

cose errate, il sistema lo troviamo. Nessuno ha il diritto di calpestare il diritto di

un essere umano, non siamo macchine o robot.

15) Siete soddisfatti della vostra ricompensa economica?

Entrambi: No, si tratta di lavori usuranti, che fa i turni, che si alza alle 4.00 del

mattino tutti i giorni per tutta la vita. Siamo in una catena di montaggio, non è

un lavoro di scrivania. Dovrebbero pagarci di più, oppure ricompensarci in

maniera diversa.

Page 669: WCM (World Class Manufacturing)

319

16) Se dovreste dare un voto all’azienda da una scala da una 1 a 10, quanto gli

dareste? Questa azienda è un buon posto di lavoro?

Entrambi: La sufficienza, c’è ancora da fare. È un buon posto di lavoro, questo sì,

E’ un colosso nazionale. Abbiamo sempre detto un governo dentro un governo.

Non c’è stato un controllo e questo ci ha portati allo sbaraglio. Alcuni nostri

politici, non si sono resi conto che quello che non è stato fatto dalla Fiat ha

lesionato il sistema nazionale e oggi ne stiamo pagando le conseguenze. La Fiat

era l’indotto che c’era intorno, adesso non esiste più e questo dobbiamo

ringraziare i nostri politici.

17) Come vedete il rapporto con il sindacato? È necessario per voi la presenza

del sindacato oppure preferite interagire direttamente, cioè attraverso

un’interlocuzione diretta?

Lei: È importantissimo il sindacato. Per noi lavoratori è uno strumento che

abbiamo a disposizione. Quindi, fare da portavoce all’azienda, il sindacato ci deve

essere, anche se qualcuno cerca di debellarlo, soprattutto i giovani non credono

più nel sindacato, ed è sbagliato perché comunque è il portavoce del cittadino e

del lavoratore.

Lui: Anche perché noi serviamo all’azienda, per gli accordi, andiamo a prendere

atto, anche se non è questo il nostro lavoro, ci stanno dando ancora fiducia.

18) Quando ci sono dei problemi il sindacato ne discute con l’azienda ed

insieme cercano di risolverli oppure deve scendere a patti con l’azienda?

Entrambi: Certo, si cerca di arrivare ad una mediazione, nel senso di risolvere il

problema. Il sindacato non deve scendere a patto con l’azienda.

Page 670: WCM (World Class Manufacturing)

320

19) Per quanto riguarda gli strumenti, cioè meccanismi di tipo partecipativo,

funzionano le commissioni paritetiche?

Entrambi: Sì, funzionano. Ci sono degli incontri.

20) Secondo voi, con l’implementazione del WCM, l’azienda sta cercando di

“individualizzare” sempre di più il rapporto con il lavoratore? Senza

l’intromissione del sindacato?

Entrambi: Purtroppo sì. È normale che l’azienda cerchi di mettere da parte il

sindacato per avere un rapporto direttamente con il lavoratore. A volte sì.

21) Qual è il rapporto tra le varie organizzazioni sindacali? Cercano un dialogo

e di collaborare tra di loro?

Entrambi: A volte sì, a volte no, dipende dalla motivazione, non abbiamo tutti le

stesse idee, il sindacato ha la sua linea politica. Si ci parla se è un problema che

dobbiamo condividere insieme, ma di certo non si va a braccetto.

22) Come vedete le RSA ? Vi è una disponibilità immediata delle RSU all’interno

dell’azienda?

Entrambi: Come lavoratori dovremmo rivolgerci alla nostra rsa, quindi per far

portavoce con l’azienda per problematiche che abbiamo, quindi sì.

23) Che cosa è cambiato dopo le vertenze di Pomigliano e Mirafiori? Si dice che

siano stati cancellati “diritti e garanzie” per i lavoratori

Entrambi: No, non è cambiato niente. Come si lavorava prima si lavora adesso.

Un piccolo inconveniente è che adesso c’è un contratto che ci lega con l’azienda

Page 671: WCM (World Class Manufacturing)

321

che abbiamo firmato. Se prima avevi un esigenza, magari il capo Ute e del

Personale erano più rigidi, adesso sono finite, nel senso che adesso poni il

problema, hai delle tue regole ma anche dei vincoli che abbiamo firmato per

salvare i posti di lavoro. Per quelli che dicono, come la Cgil e la Fiom, che

abbiamo firmato questi accordi, lo abbiamo fatto per firmare i posti di lavoro. Ci

sono degli aspetti migliorativi come ad esempio la postura, l’Ergo-Uas, rispetto

agli anni precedenti.

24) Cosa ne pensate dell’acquisizione di Chrysler?

Lei: La rispondo a livello personale e non come lavoratrice o delegata sindacale:

secondo me Marchionne ha dovuto fare questa scelta per il sistema politico e

governativo che c’era al momento, infatti sono state spostate le sedi legali e ecc.

Marchionne ha spostato la parte più importante all’estero. Le vetture che fa in

Chrysler le potevamo fare anche qui in Italia, però è stata fatta questa scelta. Il

Governo che c’è stato allora non ha fatto nulla per mantenere la fabbrica Fiat qui

in Italia, parliamo del Governo Berlusconi.

Lui: Oggi Fiat, 108 anni di azienda, oggi la Fiat che ha comprato Chrysler è stato il

massimo. Oggi ci chiamiamo Fiat-Chrysler. Io non penso che questa sia l’ultima

operazione che farà Marchionne. Penso che oggi, per stare sul mercato, ti devi

per forza alleare, come le altre case, se vuoi rimanere sul mercato. Oggi dire che

la Fiat ha comprato Chrysler, mi sento più sicuro a livello lavorativo. Se fosse

stato solo Fiat per me, oggi, poteva essere pericoloso. La possono vedere in

diversi modi, come uno spreco di denaro. Quando si faceva sindacato, allora, si

diceva che le macchine piccole danno il lavoro. Oggi il mercato è cambiato,

l’esigenza del cliente è cambiata. Oggi c’è il polo del lusso. Quando facevo la

Panda, nessuno comprava le macchine del segmento C o del segmento B, perché

non attiravano. Oggi c’è il polo del lusso e all’estero questo tipo di macchina è

apprezzata. Quindi quando partirà Mirafiori, potremo fare un lancio come la

Maserati. C’erano dei pregiudizi quando è stata avviata la Ex Bertone, però gli

Page 672: WCM (World Class Manufacturing)

322

esiti sono stati positivi. Firmando il contratto sono stati dati dei posti di lavoro. Mi

sarebbe piaciuto sentire solo il nome Fiat, ma adesso anche se si chiama Fiat-

Chrysler la cosa è indifferente perché ha permesso di salvare posti di lavoro.

Adesso si stanno facendo dei sacrifici, si lavora lì anche il sabato in Maserati, si

vuole fare ciò, anche per garantire un qualcosa per le nuove generazioni.

Non sono io che devo difendere Fiat, perché ha pregi e difetti, io penso che i lavori

lì stiano facendo. Il problema è quando facciamo la macchina, quella è la cosa

importante. Per quanto riguarda i sindacati, quelli della Fiom, un punto

d’incontro non lo vogliono trovare, dicono di no a tutto, poi se le cose vanno male

loro dicono “ma io lo avevo già detto”.

Page 673: WCM (World Class Manufacturing)

323

Claudia Di Rosso

(Impiegata strutture centrali Fiat Chrysler

Automobiles)

1) Che cos’è il World Class Manufacturing?

É un sistema, un nuovo tipo di organizzazione del lavoro che si prefigge

principalmente due fini: la riduzione degli sprechi e una maggiore competitività

nei mercati. Poi ovviamente legato ci sono altre cose, ma se vogliamo sintetizzare

queste sono le due cose più importanti.

2) Come vede il WCM? Qual è la sua percezione?

Devo dire che il WCM, dove sono io, non è entrato. Lo conosco perché l’ho un po’

studiato e conosciuto, però, da me, si dovrebbe fare più che altro il World Class

Tecnologies, che poi non è partito tra gli impiegati e non ho capito il perché.

Come WCM, i nostri colleghi, che studiano le linee di lastratura, applicano delle

cose che sicuramente sono necessarie nelle fabbriche, ma io direttamente non lo

conosco. Secondo me è uno strumento che, se ben impiegato, è molto utile a

raggiungere un livello di competitività con le altre aziende, ma soprattutto a dare

l’innovazione del progresso. Per me è un sistema per raggiungere la cosiddetta

“fabbrica del futuro”. È un buon sistema.

3) Il WCM ha portato ad un miglioramento delle condizioni di salute e di

sicurezza del posto di lavoro? A tal proposito, cosa ne pensa del sistema Ergo-

Uas? Ha portato ad una riduzione della fatica dello stress e delle malattie di

tipo muscolo-scheletrico?

Page 674: WCM (World Class Manufacturing)

324

Io lavoro come RLS, rappresentante per la sicurezza dei lavoratori. Sicuramente

ha avuto, soprattutto per quanto riguarda l’ergonomia, dei fattori positivi.

Sicuramente ha portato dei grandi miglioramenti per quanto riguarda la postura

e anche per quanto riguarda la sicurezza a livello generale. Uno dei pilastri del

WCM è il safety.

4) In seguito all’introduzione del WCM, quale settore è migliorato

particolarmente? Ambiente/sicurezza/pulizia/ordine/fatica/tempi

Quello che ho percepito, sempre incrociando gli operai, e che mi ha colpito che

molti parlano di più luminosità, non sono più ambienti bui, sono più puliti. Quello

che io ho percepito da loro e che le postazioni sono più pulite, c’è luminosità, la

postazione di lavoro è migliorata, devono spostarsi di meno, hanno tutto a

portata di mano e questo può evitare malattie che potevano manifestarsi nel

tempo.

5) Secondo lei il lavoro diventa più autonomo e intelligente? oppure soltanto

più gravoso, o forse entrambe le cose insieme?

Se la persona recepisce bene il WCM, la persona assume un ruolo importante nel

migliorare lui stesso, la postazioni di lavoro. C’è valore aggiunto da parte

dell’operaio, con tutta la sua capacità, con tutta la sua esperienza che si è fatto.

Può incidere in questo WCM, può suggerire dei miglioramento affinché tutto

diventi più snello, più veloce, più attento alla sicurezza, con molta riduzione degli

sprechi. E’ un ruolo che l’operaio può giocarsi bene.

6) Il WCM porta realmente ad una riduzione degli sprechi? La qualità del

prodotto è migliorata?

Page 675: WCM (World Class Manufacturing)

325

Sicuramente la riduzione degli sprechi ci sarà stata, ma fino a che il WCM non

verrà esteso a tutti gli attori, è chiaro che una buona riduzione degli sprechi non

è ancora effettiva. A livello di officina, immagino di sì, e lo dicono gli operai.

Dovrebbe ampliarsi, e a quel punto, quando toccherà tutti i poli, tutte le persone

che fanno parte di quel lavoro, potrebbe rilevarsi un effettivo sistema per ridurre

gli sprechi. Adesso è entrato nelle fabbriche più nuove ma non toccate altre

persone che comunque ci lavorano in fabbrica.

7) L’azienda si preoccupa dei vostri bisogni? Quali sono le vostre priorità? E

quelle dell’azienda?

L’azienda in questo momento è attenta al bisogno e alla vita dell’operaio. Non

sono sicura che sia attenta anche alla vita dell’impiegato. Secondo me c’è questo

divario, un po’ causato dalla differenza di culturale. L’impiegato ha una culturale

un po’ da arrogante, pensa di potersi risolvere il problema da solo quindi, il

rapporto che l’operaio ha con la struttura nel cercare di portare i problemi e

farseli risolvere, l’impiegato non ce l’ha, proprio per la presunzione che io posso

risolvere i problemi. Un altro aspetto è che l’operaio fa squadra c’è un concetto

di insieme. Tra gli impiegati non c’è, ed è uno scoglio. Bisognerebbe far fare un

corso di comunicazione a tutti. Qui il corso di comunicazione, non si capisce bene

come viene gestito, ma certo non cade capillarmente su tutti. In questo corso, in

cui io ero l’unica donna in una platea di uomini, ho percepito che lavorare in

team è un ostacolo. Io ho l’impressione che gli operai in squadra lavorino meglio

rispetto agli impiegati in squadra.

8) Quali strumenti vengono adottati dall’azienda per motivare/valorizzare voi

lavoratori all’interno della nuova organizzazione?

Gli aumenti sono fermi in seguito alla crisi. C’è solo un sistema di valutazione tra

gli impiegati che è stata estesa a tutti gli impiegati. In realtà è usata male perché

Page 676: WCM (World Class Manufacturing)

326

diventa uno strumento per incentivare qualcuno al posto di qualcun altro. È utile,

ma viene usato male, ci sono pochi soldi, non ci soldi e quindi viene utilizzato

male.

9) Secondo Lei, in seguito all’introduzione del WCM, il modello partecipativo si

è realizzato concretamente o ancora vi è una partecipazione debole?

Il sistema partecipativo, penso, sia stato ben iniziato, capito e somatizzato da

alcune sigle sindacali e alcuni delegati. Trova difficoltà a decollare perché è una

società che in questo momento è individualista, c’è arroganza. Dal punto di vista

sindacale, è ancora visto come quello che ti crea problemi, quindi non è

completamente decollato. Io ci credo moltissimo. Io lo sto applicando, infatti

cerco di essere partecipativa, però c’è ancora un grosso passo culturale da fare

che paradossalmente tra gli operai che con gli impiegati, te lo dico da impiegata.

10) È soddisfatto della sua ricompensa economica? Vi sono possibilità di

crescita professionale all’interno dell’azienda?

Io sono inquadrata come assistente, che in Italia non ha ragione di esistere.

Quindi sono una segretaria, e da lì non mi muovo. Io non mi posso aspettare

nulla, però spero che l’azienda posso riqualificarmi per farmi fare altre attività. In

questo ho fiducia.

11) Se dovesse dare un voto all’azienda da una scala da una 1 a 10, quanto gli

darebbe?

C’è una parte dell’azienda che ha una mentalità molto propositiva, culturalmente

già avanzata; e una buona fetta Fiat che ha ancora una mentalità della vecchia

Fiat. Alla ricerca di Alberto Cipriani sul WCM, l’azienda si è messa positivamente,

quindi potrei darle un bel sette o otto. Su altri aspetti la sufficienza. C’è chi crede

Page 677: WCM (World Class Manufacturing)

327

in questo cambiamento e in questo rinnovamento, e c’è, invece, chi tira ancora

indietro.

12) Questa azienda è un buon posto di lavoro?

Sì, lo è. L’azienda gioca sul ruolo. In un periodo in cui le altre aziende hanno

chiuso, questa azienda ha continuato a garantire il posto di lavoro a tutti. Quindi

è ancora un buon posto di lavoro.

13) Come vede il rapporto con il sindacato? È necessario per lei la presenza del

sindacato oppure preferisce interagire direttamente, cioè attraverso

un’interlocuzione diretta?

A me piacerebbe tanto un sindacato unitario. Io sono per un sindacato, dove il

sindacalista lavora in azienda, lavora con gli altri e per gli altri, non per una punta

di voglio farmi vedere, voglio fare carriera. Io sono fuori dagli schemi dei vecchi

sindacalisti. Quello che sento adesso dai miei colleghi, è che sono bacchettati

perché il sindacato vien identificato come quello che non ha voglia di lavorare,

un fancazzista. Io sono invece per la parte attiva, un sindacato alla tedesca,

partecipativo, dove partecipa realmente alla vita dell’azienda. Questo tipo di

sindacato fa bene al lavoratore e permette all’azienda di essere competitiva, non

il sindacato alla vecchia maniera, tutti fuori i cancelli.

14) Quando ci sono dei problemi il sindacato ne discute con l’azienda ed

insieme cercano di risolverli oppure deve scendere a patti con l’azienda?

Io e la FIM, sicuramente cerchiamo il tavolo. Portiamo il problema e delle

possibili soluzioni. Quando mi portano il problema cerco di capire in che misura

è, quanti lavoratori colpisce, ascolto le soluzioni. Io non vedo nell’azienda il boia

cattivo, ma vedo nell’azienda, l’azienda che fa il suo lavoro io il mio e troviamo

Page 678: WCM (World Class Manufacturing)

328

una soluzione, per il bene il tutti. E secondo me è ancora fattibile, solo che

purtroppo, vuoi per un certo sindacato del passato, vuoi perché gli errori sono

stati fatti, la gente oggi lo schifa abbastanza. Ti parlo dei miei impiegati e non dei

quadri, perché è passato l’idea che i quadri sono un sindacato e non è vero, e se

vai dai quadri loro sono amici dell’azienda quindi tu non ti fai nemico con

l’azienda. Quindi già un partenza sbagliata. Ognuno ha bisogno di giocare il

proprio ruolo, ma di parlarci e di confrontarci, e poi se passi dai quadri sei visto di

buon occhio.

15) Per quanto riguarda gli strumenti, cioè meccanismi di tipo partecipativo,

funzionano le commissioni paritetiche?

Abbiamo qualche difficoltà. L’azienda cerca di interpretarla a modo suo, invece

sono degli ottimi strumenti di lavorare. Perché anche qui, se l’azienda si fidasse

del sindacato e viceversa, sarebbe un campo su cui confrontarsi per risolvere i

problemi. Facciamo l’esempio della commissione assenteismo: l’azienda ti

convoca, ti da dei dati, ma tu non sai se c’è una maggiore concentrazione di

assenteismo in un’aria, piuttosto che un'altra. Non ti da gli strumenti per poter

interagire, tende ancora a manipolare e gestirsi la situazione da sola.

16) Secondo lei, con l’implementazione del WCM, l’azienda sta cercando di

“individualizzare” sempre di più il rapporto con il lavoratore? Senza

l’intromissione del sindacato?

C’è una fetta di azienda che lo fa ancora, ma io sono fiduciosa che i rapporti

cambiano. C’è l’altra fetta che ha un’idea di partecipazione.

17) Qual è il rapporto tra le varie organizzazioni sindacali? Cercano un dialogo e

di collaborare tra di loro?

Page 679: WCM (World Class Manufacturing)

329

Io, finora, con i coordinatori delle altre sigle, ho fatto un buon lavoro. Sono

riuscita a metterli insieme. Non so abbia giocato anche il fatto di essere donna e

quindi a portare un po’ l’idea della donna in mezzo agli uomini. Sono riuscita a

farli calmare un attimo, a farli incontrare e capire meglio. Ogni sindacato ha una

sua ideologia. Se fossimo un po’ più a rete sarebbe diverso, e su questo l’azienda

ci gioca.

18) Come vede le RSU ? Vi è una disponibilità immediata delle RSU all’interno

dell’azienda?

Io vedo in certi ambienti che la donna viene ancora limitata, come se non avesse

la competenza di gestire alcune cose. Fa fatica ad imporsi. Oggi ha lo spazio per

muoversi, dipende dalla persona. L’ambiente Fiat è particolare, bisogna acquisire

un certo modo di comportarsi, di dialogare, e, in questo, le rsa della Fim abbiano

capito come muoversi in questo senso partecipativo. Le rls, dovrebbero

ragionare non a livello di sigla ma di sicurezza.

19) Cosa è cambiato dopo le vertenze di Pomigliano e Mirafiori?

Non è cambiato niente. Per la FIOM, noi siamo quelli che stiamo dietro l’azienda.

Io li vedo come un gruppo di persone che non sanno sottostare a certe regole. È

cambiato che adesso lavorano per i fatti loro, ma non vedo risultati. Vedo gli altri

sindacati che cercano di parlarsi e di fare delle cose insieme. Loro sono sempre

sul pian di guerra. A me non danno fastidio, io parlo con tutti, loro sono molto

rigidi sulle loro posizioni.

20) Cosa ne pensa dell’acquisizione di Chrysler?

Penso che se non si fossero fatti alcuni ragionamenti, adesso non si potrebbe

neanche parlare di Fiat. Partiamo con l’idea che l’azienda è azienda e fa il suo

Page 680: WCM (World Class Manufacturing)

330

ruolo. Sicuramente nel suo gioco si preoccupa dei sui investimenti, dei suoi soldi

e forse meno dell’operaio, però è anche vero che gli stabilimenti sono stati

salvati. Tutto quello che hanno detto che avrebbero fatto l’hanno fatto. Mirafiori

sta partendo; Maserati è già avviato. Molto dipende dall’andamento del

mercato. Il popolo Fiat che frequento, vede soltanto all’interno di Fiat. Questa

azienda deve essere vista in un insieme globalizzato. Di quello che sta

succedendo fuori, gli altri, non si sono fatti problemi a chiudere. Quello che è

stato messo sul tavolino si sta facendo, non vedo tutta questa negatività. La

negatività l’avrei vista se adesso fossero chiusi i cancelli. C’è questa disaffezione

perché la gente è diventata un po’ stronza. Ci sono epoche ed epoche. È molto

più facile dal brutto andare al bello e non viceversa. Bisogna tornare a mettere il

lavoro al centro e tornare a lavorare, accontentandosi di una vita basata su cose

semplici. Non si può rimanere fermi, ma cambiare, crescere. Se non fosse stato

così oggi che cosa si farebbe.

Page 681: WCM (World Class Manufacturing)

331

Considerazioni conclusive

Negli ultimi cinquant’anni abbiamo assistito ad una vera e propria

rivoluzione del mondo delle fabbriche, legate a fattori economici,

tecnologici e sociali. L’industria dell’automobile è stata per molti anni la

più rappresentativa dell’evoluzione dei processi produttivi, dell’ambiente

di fabbrica e della relazione tra fornitori e clienti finali.

La maggior parte dei processi industriali ha raggiunto livelli di

automazione importanti, specialmente nelle aree che devono garantire

stabilità e qualità del prodotto, ovvero per la riduzione della fatica degli

operai e per assicurare a quest’ultimi un ambiente di fabbrica sicuro con

rischi di infortuni ridotti al minimo. Indubbiamente il livello di

automazione raggiunto è frutto di tutta una serie di cambiamenti

progressivi consentiti dall’avvento di nuove tecnologie, ma gli aspetti

organizzativi e gestionali hanno giocato e continueranno a giocare un

ruolo fondamentale nell’evoluzione degli ambienti di fabbrica,

soprattutto per quanto riguarda il rapporto uomo-macchina ed il livello

di coinvolgimento del management nell’impostazione e gestione dei

processi produttivi.

Oggi, le realtà industriali tendono quindi ad attuare un processo di

organizzazione che non guarda più soltanto all’introduzione di nuove

tecnologie ma bensì alla sperimentazione di nuovi “modelli organizzativi

del lavoro umano”, che portano ad una diversa combinazione tra lavoro

e tecnologia, maggiore partecipazione dei lavoratori, formazione, nuova

visione dei rapporti tra management aziendale e sindacato.

La ricerca sottolinea i profondi cambiamenti che sono avvenuti

nell’organizzazione del lavoro in fabbrica a partire dalla sperimentazione

del “World Class Manufacturing” avviata nel 2006 dal Gruppo Torinese.

Page 682: WCM (World Class Manufacturing)

332

Un primo dato significativo mostra come le innovazioni organizzative

abbiano portato ad un miglioramento oggettivo delle condizioni di

lavoro, ad un ambiente idoneo per le esigenze del lavoratore, che si

traducono in una maggiore attenzione alla pulizia ed alla luminosità degli

ambienti, un miglioramento delle condizioni di salute e di sicurezza del

posto di lavoro, con una maggiore attenzione per quel che riguarda

l’ergonomia delle postazioni abbinata alla metrica.

Oltre alle innovazioni organizzative, il World Class Manufacturing mira a

ricostruire e a migliorare il rapporto tra direzione aziendale e lavoratori,

vi è una maggiore propensione dell’azienda verso le esigenze dei

lavoratori, soprattutto per quel che riguarda la sicurezza e l’ergonomia

del posto di lavoro, training, formazione sui principi e gli strumenti del

World Class Manufacturing, partecipazione attiva e coinvolgimento dei

lavoratori alle attività di miglioramento continuo. Dall’altra parte, i

lavoratori riconoscono che vi è stato un miglioramento generale delle

condizioni di lavoro, lo sforzo fisico è diminuito anche se lo stress tende

a permanere, il lavoro diviene più intelligente, anche se quello che

sembra mancare è un adeguato sistema di ricompense a seguito dei

suggerimenti che forniscono per migliorare il lavoro, un rapporto con

l’azienda che rispetto al passato è migliorato anche se in alcuni casi

permangono ancora delle logiche particolaristiche, una partecipazione

debole in quanto è un metodo di lavoro che richiede di essere studiato e

praticato quotidianamente e soprattutto richiede un rapporto “elastico”

tra azienda, sindacati e lavoratori.

La diffusione del World Class Manufacturing ha richiesto non soltanto

un forte livello di partecipazione e di coinvolgimento dei lavoratori ma

ha introdotto grandi trasformazioni nella rappresentanza sindacale. Il

sindacato, infatti, sta vivendo oggi più che mai una fase di notevole

Page 683: WCM (World Class Manufacturing)

333

trasformazione rispetto alle esperienze precedenti assumendo delle

caratteristiche strutturali nuove, da organismo di tipo tradizionalmente

“conflittuale” a “sindacato partecipativo”.

Questo apre nuovi spazi di relazioni maggiormente consensuali o

partecipative tra management e sindacato all’interno dei luoghi di lavoro,

con il management alla ricerca di un partner affidabile (Streeck, 1987;

Fortunato, 2000). Il management ha spesso avuto bisogno di un certo

sostegno da parte delle rappresentanze sindacali per implementare con

successo i nuovi metodi di lavoro di produzione snella (Kochan,

Lansbury, MacDuffie, 1997). Lo stesso sembra valere oggi per

l’implementazione del programma World Class Manufacturing.

In questo quadro di trasformazione, il ruolo del sindacato è sempre più

cruciale nella misura in cui è chiamato a collaborare “responsabilmente”

e a partecipare attivamente alla ristrutturazione organizzativa.

Dalla ricerca è emerso che da parte del management vi è la volontà di

coinvolgere il sindacato, questo coinvolgimento tuttavia può avvenire

soltanto se, da una parte, il sindacato effettua una “rivisitazione” della

sua struttura che si presenta ancora oggi molto gerarchica, dal momento

che il taglio delle strutture che è stato fatto in azienda non è stato fatto

parimenti nel sindacato, e dall’altra, attraverso uno sforzo in termini di

commitment, di apprendimento e di formazione di quelli che sono i

principi del World Class Manufacturing, di quelli che sono i temi e i

problemi all’interno della fabbrica e infine un rapporto collaborativo tra

le diverse sigle sindacali, che si presenta ancora oggi molto frammentato

e diviso.

Dall’altra parte, vi è la considerazione da parte del sindacato che l’azienda

adotti un “approccio duale”, cioè che cerchi da una parte di

“individualizzare” con il lavoratore e dall’altra di dialogare con il

Page 684: WCM (World Class Manufacturing)

334

sindacato plasmandolo nella misura in cui gli è possibile (Fortunato,

2001). Quello che emerge è che il coinvolgimento del sindacato

all’interno dell’azienda è ancora abbastanza debole, fino ad ora quello

che è stato trattato nella contrattazione è solo un riconoscimento

economico a fronte di un risultato dello stabilimento nel suo insieme,

che porta ad assegnare delle medaglie e un premio economico per

ciascun lavoratore dello stabilimento.

Quello che sembra mancare all’interno di Fiat Chrysler Automobiles è

una “gestione partecipativa”, cioè di gestione delle problematiche

quotidiane, infatti, è interessante notare, come, a differenza degli anni

Novanta, in questo caso non ci sono commissioni o meccanismi in cui la

partecipazione è istituzionalizzata. Molti ritengono che in alcuni

stabilimenti vi sia un buon livello di concretezza per quanto riguarda le

commissioni, in molte realtà questo non avviene in quanto l’azienda

tende il più delle volte a comunicare, piuttosto che a dialogare o discutere

preventivamente di molti dei temi collegati al WCM.

In questa direzione, i sindacati seguono le decisioni dell’azienda si

adattano a questo modello spinti da esigenze di sopravvivenza piuttosto

che da un effettivo potere o capacità di tutelare i lavoratori. In questo le

nuove regole e il contratto dell’auto per FCA agevolano questa prassi.

È inoltre interessante notare nella ricerca, come al cambiamento della

natura del sindacato cambi anche l’idea della contrattazione, vi è sempre

di più la tendenza verso il decentramento della contrattazione collettiva.

La richiesta di un livello contrattuale aziendale è avvenuto a partire dal

2000 e si è concretizzato in diversi accordi separati tra Confindustria, Cisl

e Uil (e altre sigle) con l’astensione della Cgil, fino all’accordo sulle nuove

relazioni industriali del 2009. Nessuno di questi accordi ha soppiantato il

contratto nazionale di settore, ma è ovvio che la creazione di uno spazio

Page 685: WCM (World Class Manufacturing)

335

di contrattazione autonoma aziendale, nonché le possibilità di deroga al

contratto nazionale sono tutti elementi che hanno eroso potere e ruolo al

contratto nazionale. La vicenda della Fiat, con la scelta quindi di un

contratto di lavoro aziendale in sostituzione di quello nazionale e con

l’uscita poi da Confindustria per non sottostare all’accordo del 1993, è un

segno del cambiamento dei tempi, il contratto collettivo di lavoro ha

ancora un ruolo da ricoprire se saprà adattarsi alle nuove condizioni,

rivestendo un ruolo di guida e di riferimento anche per la politica

economica del paese.

Page 686: WCM (World Class Manufacturing)

336

Riferimenti Bibliografici

Accornero A. (1992), La parabola del sindacato. Ascesa e declino di una

cultura, il Mulino, Bologna.

ID. (2002), Il mondo della produzione. Sociologia del lavoro e dell’industria, il

Mulino, Bologna.

Airaudo G. (2012), La solitudine dei lavoratori, Einaudi, Torino.

Annibaldi, C. (1994), Impresa, partecipazione, conflitto. Considerazioni

dall’esperienza Fiat, Venezia, Marsilio.

Annibaldi C., Berta G., (1999), Grande impresa e sviluppo italiano. Studi per i

cento anni della Fiat, 2 vol.., Bologna, Il Mulino.

Antonucci T., Castellani D., Ferrero G., (2002), La crisi della Fiat.

Strategie di impresa e politiche industriali, in “Economia e politica industriale”.

Baglioni G. (1967), Il problema del lavoro operaio, Angeli, Milano.

ID. (1995), Democrazia impossibile? Il cammino e i problemi della partecipazione

nell’impresa, il Mulino, Bologna.

Baldissera A. (1992), Eguaglianze e gerarchie: concetti e metodi di sociologia

industriale e del lavoro, Tirrenia, Torino.

Page 687: WCM (World Class Manufacturing)

337

Becchi Collidà A., Negrelli S. (1986), La transizione nell’industria e nelle

relazioni industriali. L’auto e il caso Fiat, Angeli, Milano.

Berta G., (2006), La Fiat dopo la Fiat, storia di una crisi. 2000-2005,

Mondadori, Milano.

ID., (1994) Introduzione a B. Webb, S. Webb, Democrazia industriale:

antologia degli scritti, Ediesse, Roma.

Biagi E., (2003), Il signor Fiat, Milano, Rizzoli.

Bonazzi G. (1993), Il tubo di cristallo. Modello giapponese e Fabbrica Integrata

alla Fiat auto, il Mulino, Bologna.

ID. (2000), Storia del pensiero organizzativo, Franco Angeli, Milano.

Bordogna L. (1994), Pluralismo senza mercato, Franco Angeli, Milano.

Caputo P. (2004), Lavorare in team alla Fiat. Da Melfi a Cordoba,

ImmaginaNapoli, Pozzuoli.

Carrieri M. (1995), L’incerta rappresentanza, il Mulino, Bologna.

Carrieri M., Perulli P. (1985), Il teorema sindacale. Flessibilità e competizione

nelle relazioni industriali, il Mulino, Bologna.

Castronovo V., (1999), FIAT, 1889-1999: una secolo di storia italiana,

Milano Rizzoli.

Page 688: WCM (World Class Manufacturing)

338

ID., Fiat, una storia del capitalismo italiano, Milano, Rizzoli.

Cella G. P. (1999) Il sindacato, Laterza, Roma-Bari.

Cerruti G., Rieser V. (1991), Fiat: qualità totale e fabbrica integrata,

Ediesse, Roma.

Cersosimo D. (1994), Viaggio a Melfi. La Fiat oltre il fordismo, Donzelli,

Roma.

Cesos (2000), Le relazioni sindacali in Italia. Rapporto 1997/98, Roma,

Edizioni Lavoro.

Comito V. (2005), L’ultima crisi. La Fiat tra mercato e finanza, l’Ancora,

Napoli.

Damiano C., Pessa P. (2003), Dopo lunghe e cordiali discussioni, Ediesse,

Roma.

De Angelis F., (2001), I tempi del lavoro, in Cavazzani A., Fiocco L. e

Sivini G.

Del Giudice F., Mariani F. (2012), Compendio di diritto sindacale, Simone,

Napoli.

Della Rocca, G. (1994), Le relazioni sociali nella fabbrica automatizzata, in

Meridiana, n. 21.

Page 689: WCM (World Class Manufacturing)

339

Di Meo, E. (1985), La logistica degli impianti, Milano, Etas Libri.

Donzelli C. (1994), La fabbrica di Melfi col senno di poi: una conversazione con

Cesare Annibaldi e Maurizio Magnabosco e qualche commento, in Meridiana, n.

21.

Enrietti A., Fornengo Pent G., (1989), Il gruppo FIAT: dall’inizio degli

anni ottanta alle prospettive del mercato unificato del ’92, Roma, NIS.

Ferrante M. (2009), Marchionne. Rivoluzione Fiat, Mondadori, Milano.

Fortunato V. (2001), Il sindacato snello. Relazioni sindacali, organizzazione del

lavoro e produzione snella: i casi Fiat di Melfi e Rover di Swidon, Rubbettino

Editore, Catanzaro.

ID. (2003), Capitale sociale, organizzazione del lavoro e relazioni industriali,

l’esperienza Fiat a Melfi, in «Sociologia del lavoro», 91, pp. 210-30.

ID. (2008), Ripensare la Fiat di Melfi. Condizioni di lavoro e relazioni industriali

nell’era del Worl Class Manufacturing, Carocci, Roma.

Fortunato V., Della Rocca G. (2006), Lavoro e organizzazione. Dalla

fabbrica alla società postmoderna, Editori Laterza, Bari.

Gagliardi P., (1986), Le imprese come culture, Torino. ISEDI.

Galgano A., (1990), La qualità totale, Milano, il Sole 24 ore libri.

Page 690: WCM (World Class Manufacturing)

340

Gallino L., (1983), Informatica e qualità del lavoro, Torino, Einaudi.

Gallo R., Evoluzione della struttura economico-finanziaria della Fiat e dei suoi

competitors mondiali, in “L’industria”, n. 3.

Garuzzo G., (2006), Fiat. I segreti di un’epoca, Roma, Fazi Editore.

Germano L. (2009) Governo e grandi imprese. La Fiat da azienda protetta a

global player, Mulino, Bologna.

Griseri P. (2012), La Fiat di Marchionne. Da Torino a Detroit, Einadi.

Torino.

Jackall R., (1998), Labirinti morali, Milano 2001.

La Spina A., La politica del mezzogiorno, Bologna, Il Mulino.

Locke R., Negrelli S., (1989), Il caso Fiat Auto, in Regini, M. e C. Sabel (a

cura di), Strategie di raggiustamento industriale, Bologna, il Mulino.

Magnabosco M., (1999), Dalla fabbrica integrata alla fabbrica modulare: le

nuove frontiere competitive della Fiat Auto, in g. Sivini (a cura di), Oltre Melfi.

La fabbrica integrata, bilancio e comparazioni, Soveria Mannelli, Rubbettino.

Mania R., Sateriale G. (2002), Relazioni pericolose. Sindacati e politica dopo la

concertazione, Il Mulino, Bologna.

Page 691: WCM (World Class Manufacturing)

341

Marchisio O, e Sciortino G., Gli stabilimenti Fiat di Melfi e Pratola Serra:

indagine esplorativa, in Fiom Cgil (Aa.Vv.), Fiat Punto e a capo, Roma,

Ediesse.

Mariotti S. (a cura di) (1994), Verso una nuova organizzazione della

produzione, Le frontiere del postfordismo, Milano, Etas Libri.

Marx K. (1867), Il capitale. Critica dell’economia capitalistica, trad. it., Milano

1956, Editori Riuniti.

Mortillaro F., Aspettando il robot, 2° rapporto Finmeccanica sulle Relazioni

Industriali, Milano, Il Sole 24 Ore.

Negrelli S. (2000), Prato verde, prato rosso. Produzione snella e partecipazione

dei lavoratori nella Fiat del duemila, Rubbettino Editore, Catanzaro.

ID., (1991), La società dentro l’impresa, Milano, Angeli.

ID., (1995), Relazioni di lavoro e performance aziendale. Giornale di diritto del

lavoro e di relazioni industriali, n. 65.

ID., (1998), Relazioni industriali e gestione delle risorse umane nelle imprese, in

Cella, G.P. e Treu T. (a cura di), Le nuove relazioni industriali, Bologna Il

Mulino.

Negrelli S., Treu T., (a cura di) (1992), Le scelte dell’impresa fra autorità e

consenso, Milano, Angeli.

Page 692: WCM (World Class Manufacturing)

342

Ohno T. (1978), Lo spirito Toyota, trad. it., Einaudi, Torino 1993

Paltrinieri A., (a cura di) (1991), Giovani e lavoro in movimento: una ricerca sui

neoassunti all’Iveco di Brescia, Brescia, Fiom.

Pessa P., Sartirano L., (1993), Fiat Auto: ricerca sull’innovazione dei modelli

organizzativi, FIOM CGIL – Working Paper, Torino.

Pichierri A., (1994), Produzione snella e ambiente locale, in Meridiana, n. 21.

Pollock F., (1970), Automazione. Conseguenze economiche e sociali, Torino,

Einaudi (ed. or. 1956).

Porta G. e Simoni C., (1990), Gli anni difficili: un’inchiesta tra i delegati Fiom

di Brescia, Milano, Angeli.

Provasi G. C., (1988) La negoziazione sindacale: strategia e procedure,

prospettiva sindacale (66).

Pulignano V., (1999), Oltre la fabbrica. I rapporti di fornitura nel post-fordismo,

Torino, l’Harmattan.

Keegan R. (2003), Introduzione al World Class Manufacturing. Casi di studio

ed applicazioni pratiche di produzione snella, qualità totale ed innovazione, Franco

Angeli, Milano.

Regini M., Sabel C. F., (1989), Strategie di raggiustamento industriale,

Bologna, Il Mulino.

Page 693: WCM (World Class Manufacturing)

343

Rieser V., (1992), Fabbrica oggi, Siena, Sisifo.

ID., (1993), Alcune considerazioni sugli stabilimenti di Melfi e di Pratola Serra,

Torino, IRES.

ID., (1996), La fabbrica Integrata realizzata, in Inchiesta Operaia alla Fiat di

Melfi, Finesecolo ¾, 27-99.

Rocchi N., (1996), La Fiom di Brescia, Brescia, Fiom.

Santagostino A., (1993), Fiat e Alfa Romeo, una privatizzazione riuscita?,

Brescia, Edizioni Unicopli.

Scotti G. (2003), Fiat auto e non solo. I dilemmi strategici degli Agnelli, dalle

origini alla crisi di oggi, Donzelli Editore, Roma.

Sebastiani F. (2010), Officina Italia. La Fiat secondo Sergio Marchionne,

Altrimedia, Matera.

Shingo S., (1987), Il sistema di produzione giapponese “Toyota”, dal punto di

vista dell’Industrial Engineering, Milano, Angeli.

Sivini G. (2013), Compagni di rendite. Marchionne e gli Agnelli, Nuovi

equilibri, Roma.

Svimez (1993), L’industrializzazione del Mezzogiorno: la Fiat a Melfi,

Bologna, Il Mulino.

Page 694: WCM (World Class Manufacturing)

344

Taylor F.W., (1994), La direzione dello stabilimento, Milano, Angeli.

ID., (1975), Principi di organizzazione scientifica del lavoro, Milano, Angeli.

Treu T., (a cura di) (1992), Il conflitto e le relazioni di lavoro negli anni novanta.

Le attività: contrattazione collettiva, consultazione/concertazione, contrattazione

politica, Torino Giappichelli.

Treu T., Negrelli S., (a cura di) (1985), I diritti di informazione nell’impresa,

Bologna, Il Mulino.

Turani G. (2010), Gli ultimi giorni della Fiat, Sperling & Kupfer, Milano.

Varvelli R., Varvelli M. L. (2009), Marchionne la Fiat e gli altri, Il sole 24

ore spa, Milano.

Volpato G. (2008), Fiat Group Automobiles. Un’Araba Fenice nell’industria

automobilistica internazionale, il Mulino, Bologna.

ID., (2004), Fiat Auto. Crisi e riorganizzazioni strategiche di un’impresa simbolo,

Isedi, Torino.

ID., (1994), Il settore automobilistico, in L’industria, n. 1.

Womack, J.P., Jones, D.T. e Roos, D. (1991, ed. originale 990), La

macchina che ha cambiato il mondo, Rizzoli, Milano.