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Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno Consumatori ed aziende in movimento Facoltà di Scienze della Comunicazione Corso di Laurea Specialistica in Organizzazione e Marketing per la Comunicazione d’impresa Cattedra di Pianificazione dei media nelle strategie d’impresa Candidato Piergoffredo Inzaina Matr. 1097102 Relatore Correlatore Prof. Marco Stancati Prof.ssa Isabella Pezzini A/A 2009/2010

Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Università degli Studi di Roma "La Sapienza" Il Mercato Pubblicitario in un contesto postmoderno. Consumatori ed aziende in movimento Laurea Specialistica in Organizzazione e Marketing per la Comunicazione d'impresa Cattedra di Pianificazione dei media nelle strategie d'impresa Relatore: Prof. Marco Stancati Correlatore: Prof. AA. 2009/2010

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Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

Consumatori ed aziende in movimento

Facoltà di Scienze della Comunicazione

Corso di Laurea Specialistica in Organizzazione e Marketing

per la Comunicazione d’impresa

Cattedra di Pianificazione dei media nelle strategie d’impresa

Candidato

Piergoffredo Inzaina

Matr. 1097102

Relatore Correlatore

Prof. Marco Stancati Prof.ssa Isabella Pezzini

A/A 2009/2010

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Copertina: a cura dell’Autore Composizione grafica: a cura dell’Autore

Questo volume è stato stampato nel mese di Settembre 2010

con tecnologia “print on demand”

presso centro stampa Nuova Cultura P.le Aldo Moro, 5 – 00185 Roma www.nuovacultura.it Per ordini: [email protected]

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A me stesso.

Per tutti i sacrifici sostenuti

per coronare il grande sogno della Laurea.

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Indice

Introduzione .................................................................... - 10 -

Capitolo 1 – Dagli old media ai new media: evoluzione ed

attuale struttura del mercato pubblicitario italiano ............. - 5 -

Il mercato post-pubblicitario .......................................................... - 5 -

Il potere del digitale: andare oltre il medium ............................... - 10 -

Dai new media ai more media ...................................................... - 14 -

Particolarità del consumo dei prodotti media .............................. - 16 -

Media, prodotti media ed investimenti pubblicitari in un periodo di

crisi ............................................................................................... - 18 -

L’attuale scenario economico dei media: una visione generale dei

trend chiave del mercato .............................................................. - 21 -

Le previsioni per l’economia internazionale e quella italiana .......... - 23 -

Il trend attuale degli investimenti pubblicitari nel mondo................ - 25 -

Il trend attuale degli investimenti pubblicitari in Italia .................... - 29 -

INTERVISTA a Paolo Duranti, Managing Director Nielsen Media

Research Southern Europe & South Africa ....................................... - 42 -

Capitolo 2 – Postmodernità, ergo post-marketing? ............ - 49 -

La postmodernità ......................................................................... - 49 -

Dalle origini (moderne) del consumo al consumo postmoderno ...... - 53 -

Identikit del nuovo consumatore ...................................................... - 57 -

Il marketing fino a “ieri” ............................................................... - 63 -

La crisi: verso il postmoderno ........................................................... - 65 -

Nuovi paradigmi del marketing postmoderno .............................. - 74 -

FOCUS – L’evoluzione postmoderna del branding ............................ - 97 -

FOCUS – Il Guerrilla Marketing nel media mix ............................... - 109 -

INTERVISTA ad Attilio Redivo, CEO Mediacom Italy (GroupM –WPP)

........................................................................................................ - 117 -

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Capitolo 3 – La mobilità come spina dorsale della

post-pubblicità ............................................................... - 123 -

La globalizzazione della società .................................................. - 123 -

Il nuovo consumatore flaneur .................................................... - 124 -

Il ruolo del OOH nel media mix ................................................... - 127 -

Gli attori dell’OOH in Italia ............................................................. - 127 -

La capacità di incrementare le occasioni di contatto con il consumatore

....................................................................................................... - 129 -

Il rapporto di convivenza, complementarità e innovazione con gli altri

mezzi ............................................................................................... - 134 -

L’importanza della creatività nell’out of home ............................... - 138 -

Limiti, criticità e smentite sull’OOH ................................................ - 141 -

FOCUS - Il Digital Signage: verso l’Outdoor 2.0 .............................. - 144 -

Considerazioni conclusive sull’OOH ................................................ - 150 -

I luoghi del consumo postmoderno: nuove occasioni e nuovi circuiti

pubblicitari ................................................................................. - 151 -

Il centro commerciale e i punti vendita .......................................... - 154 -

Le palestre ...................................................................................... - 161 -

Le università.................................................................................... - 162 -

Gli stadi di calcio ............................................................................. - 163 -

Capitolo 4 – Il ruolo di Internet nella pianificazione

pubblicitaria del futuro ................................................... - 167 -

Il boom di Internet negli ultimi anni ........................................... - 167 -

Le opportunità offerte dal canale mobile ................................... - 174 -

Il Mobile advertising ....................................................................... - 180 -

Il Web 2.0: Il dominio del social networking ............................... - 183 -

Il ruolo di Facebook nella pianificazione pubblicitaria ................ - 191 -

L’ultima frontiera: la geolocalizzazione su Facebook ..................... - 199 -

Conclusioni .................................................................... - 205 -

Bibliografia..................................................................... - 209 -

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Introduzione

L’attuale scenario del mercato pubblicitario, nonostante il dilagare di nuove forme mediali che pervadono sempre più gli ambienti sociali di fruizione dei consumatori, mostra che gli equilibri tra i vari mezzi riflettono ancor oggi, le stesse dinamiche che ormai da diverso tempo caratterizzano la scena. Una televisione sempre più dominante che da sola assorbe oltre la metà degli investimenti media, rafforzata dalla crisi economica globale che, tendenzialmente, tende ad indurre gli investitori a privilegiare questo mezzo. Di fronte a questo scenario poco rassicurante, solo il nuovo medium Internet sembra non conoscere crisi, tanto che, esso risulta essere l’unico mezzo in crescita e in alcuni contesti – profondamente diversi da quello italiano, come quello in-glese – arriva addirittura a detronizzare la televisione, im-ponendosi come medium maggiormente pianificato.

A questo proposito, c’è chi parla del 2009 come l’anno

zero della pubblicità, per sottolineare che non si ricordano anni peggiori di questo che è appena trascorso. Di fronte a questo scenario cupo, i dati in crescita di Internet e più in generale della penetrazione dei new media, offrono lo spun-to per cogliere alcuni importanti segnali di cambiamento: la loro bi-direzionalità, si sposa in pieno con il nuovo para-digma relazionale che lega i brand con i propri consumatori, così che sembrano essere, gli unici o forse i più adatti ad in-gaggiare un contatto forte e duraturo con essi. Il consumato-re post-moderno cambia pelle e appare più esigente, più at-tivo e pro-attivo, con esigenze sempre maggiori di mobilità,

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più favorevole al dialogo e più maturo. I brand dal canto lo-ro, sono costretti a mutare il proprio approccio, la propria identità e la propria missione per renderla sempre più uni-forme a quella dei propri destinatari; Sono costretti ad esse-re abili a proporre il proprio progetto di marca e trasmetter-lo ai propri referenti, attraverso delle manifestazioni coeren-ti e adeguate, dal punto di vista simbolico e dei codici e-spressivi, sia linguistici che iconici, accompagnandoli in tutte le loro dimensioni sociali; Dovranno essere in grado di “attualizzare”, cioè di cogliere ed interpretare le dinamiche del contesto in cui operano ed essere, dunque, fine tuned, ovvero “ben sintonizzati” con i propri pubblici.

In tutto ciò, svolgono un ruolo chiave i partner di cui le aziende si servono per raggiungere i propri destinatari: così, agenzie creative, agenzie media, concessionarie ed istituti di ricerca, devono anch’essi adeguarsi al cambiamento che il contesto prospetta, sono costretti a mutare i propri assetti organizzativi in funzione di una sempre più pregnante col-laborazione che li lega ai propri clienti, a mutare il proprio approccio al mercato, ad essere più flessibili, ad ingegnarsi per trovare nuovi canali di comunicazione, anche non con-venzionali, nuovi servizi tailor made, costruiti in maniera sartoriale addosso alle aziende.

L’obiettivo di questo lavoro, è quello di compiere un’analisi dell’attuale scenario del mercato pubblicitario ita-liano, facendo un focus su i nuovi media e cercando di comprendere la natura delle relazioni instaurate tra gli attori di esso e l’evoluzione organizzativa in risposta ai cambia-menti, in termini di fruizione dei mezzi e di esposizione ai nuovi strumenti di marketing, che rappresentano le caratte-ristiche del cosiddetto “nuovo consumatore”. Nel contesto attuale, sembra che ci sia un corsa a “far tutto”, dimostra-zione presente anche nelle agenzie media che tendono a

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proporre servizi estranei alla propria attività core, come ad esempio, alcuni progetti di creatività legati ai mezzi (ad es. l’ambient advertising). La finalità sarà, dunque, quella di comprendere, anche attraverso alcune interviste rivolte a importanti professionisti del mercato pubblicitario, se la strada intrapresa dai brand e dai propri partner strategici, è coerente e soprattutto è in grado di raggiungere un consu-matore sempre più sfuggente e “liquido”, come lo defini-rebbe Zygmunt Bauman.

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Capitolo 1 – Dagli old media ai new me-

dia: evoluzione ed attuale struttura del

mercato pubblicitario italiano

Il mercato post-pubblicitario

Parlare di post-pubblicitario, presuppone necessariamen-te che vi sia stata una fase “pubblicitaria” che descrivesse un certo fenomeno e nella quale ciò che era stato definito tale, avesse sviluppato appieno tutti i suoi aspetti e avesse raggiunto una fase di maturità. Accade però che ad un certo punto, l’etichetta “pubblicitario” fosse divenuta così “stret-ta” per descrivere tale fenomeno, da dover necessariamente far ricorso all’aggiunta del suffisso post. In realtà, potrem-mo anche spingerci oltre ed ipotizzare anche una possibile fase pre pubblicitaria, una sorta di fase preparatoria a quella che conosciamo oggi, o meglio, che abbiamo conosciuto fi-no ad oggi.

Possiamo descrivere brevemente e per sommi capi, la storia del mercato pubblicitario, partendo dalle sue origini, da quando ancora non era possibile definire come tale l’insieme delle produzioni artistiche ed editoriali, gli utilizzi che venivano fatti dei vari mezzi disponibili, le finalità della produzione del prodotto comunicativo e le relazioni che si instauravano tra i diversi attori che erano coinvolti in questo processo.

L’evoluzione della pubblicità, nel corso della storia è an-data sempre di pari passo con l’evoluzione di ciò che la “trasportava”, ovvero dei media, pertanto possiamo affer-

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mare che vi sia un fil rouge che lega, legittimandola, ogni forma di pubblicità alla storia dei media

Come affermato poc’anzi, parlare di fase pre-

pubblicitaria significa considerare una fase preparatoria du-rata – senza il timore di utilizzare una terminologia iperbo-lica – migliaia di anni, a partire dalla prima comparsa di forme di scrittura e successivamente di stampa. Dunque, po-tremo partire dalle prime forme di proto-pubblicità dell’antica Pompei, realizzate prima che fosse distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., una sorta di manifesti pubblicitari ante litteram. Potremo poi proseguire con la re-alizzazione su carta o pergamena di immagini sacre che nell’Ottavo secolo, in Cina e Giappone, venivano riprodotte dai monaci buddisti attraverso la tecnica della xilografia, mediante dei blocchi di legno intagliati1, passando per gli ideogrammi che qualche secolo più tardi, sarebbero stati in-tagliati su blocchi di argilla mobili, anticipando di qualche tempo l’invenzione ufficiale della stampa a caratteri mobili, ad opera di Johannes Gutenberg nel 1440.

È solo nella seconda metà del Tredicesimo secolo che, in Inghilterra, compaiono le prime forme di pubblicità vera e propria, intesa come annunci commerciali con lo scopo di favorire o modificare un comportamento dei lettori: l’editore Caxton pubblicizza le prossime uscite sull’ultima pagina dei suoi libri. Qualche secolo più tardi, in Francia, comparirà un primo annuncio stampa a pagamento dove un medico pubblicizzerà il suo studio sulle pagine della Gazet-

te. Questa fase pubblicitaria può essere definita Verbalismo, dominata dalla presenza di testi più o meno lunghi che invi-tano all’acquisto di alcuni prodotti e si protrae fino a metà

1 Cfr. A.Briggs, P.Burke, Storia sociale dei media. Da Gutenberg a

Internet, Il Mulino, Bologna, 2002 (2000).

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dell’Ottocento, quando lascerà il passo ad un’altra tendenza: l’iconismo.

Quest’ultimo, fu favorito nel 1796 con l’invenzione della litografia ad opera di Aloys Senefelder: si disegnava con del materiale grasso su una matrice di pietra che poi, successi-vamente, veniva impressa su fogli di carta, favorendo la ri-producibilità di testi e di immagini in modo economico e veloce; successivamente anche un’altra invenzione, la foto-grafia, diede un grosso contributo a tale tendenza. Walter Benjamin sosteneva che attraverso la rivoluzione industriale mutava il carattere dell’opera d’arte: l’introduzione di mac-chinari provocava il passaggio dal valore culturale dell’immagine al suo valore “espositivo”2. È questo passag-gio che, dunque, mostra l’incombenza di quello che è stato definito iconismo, ovvero il trionfo del visual rispetto al te-sto.

Insomma, più il medium è tecnologico, maggiore è la sua riproducibilità. È proprio questa che favorisce un maggiore ricorso al manifesto come veicolo pubblicitario, una sorta di “opera d’arte” riproducibile su larga scala: sono celebri i manifesti di Leonetto Cappiello (Bitter Campari), Marcello Dudovich (Vermouth Martini e Fiat Balilla), Gino Boccasi-le (Talco Paglieri). Il Diciannovesimo secolo, si apre con un’altra importante invenzione ad opera dell’americano Ru-bel, la stampa offset: le pagine vengono impresse su cilindri di metallo, che vengono compressi sulla carta da macchine automatiche, le cosiddette “rotative”.

È il contesto statunitense ad essere il laboratorio di nuo-ve forme espressive: inizia ad assumere sempre più impor-tanza il body copy, sotto forma di argomentazioni ed infor-

2 Cfr. W.Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibi-

lità tecnica, Torino, 1966 (1936).

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mazioni (corrente scientifica) e sotto forma di testi artisti-camente elaborati (corrente estetica). In realtà, queste due tendenze non si manifestano in maniera esclusiva, bensì si trovano produzioni pubblicitarie in cui una componente è preponderante rispetto all’altra ma non la esclude. Sarà a partire dagli anni Cinquanta che testi ed immagini avvie-ranno una maggiore collaborazione, anni in cui ci sarà il tri-onfo delle immagini: esse inizieranno a parlare da sole ( o quasi), con un contributo minimale dei testi, attraverso brevi didascalie con lo scopo di far completare la comprensione dell’annuncio agli stessi consumatori, attivando processi di inferenza.

Lo sviluppo maggiore sarà garantito da una diffusione di audiovisivi sempre più considerevole, dovuta al fatto che sono gli anni della nascita del medium televisivo, o più pre-cisamente dell’introduzione di esso nelle principali demo-crazie occidentali. Vediamo anche in quest’occasione che l’evoluzione dei media accompagna ed indirizza quella del-le forme di pubblicità: con il suo potere sinestetico, la tele-visione, veicola un messaggio che acquisisce una forza sempre più coinvolgente. Negli anni Cinquanta, gli investi-menti pubblicitari sulla televisione erano analoghi a quelli della pubblicità esterna, quest’ultima all’apice del suo svi-luppo attraverso i manifesti d’autore; ben presto però, essa entrerà in crisi, sopraffatta dall’avanzare del medium televi-sivo che negli anni Ottanta/Novanta, conoscerà il suo mas-simo splendore con l’introduzione in Europa delle prime te-levisioni commerciali e del conseguente boom degli inve-stimenti pubblicitari su tali emittenti3.

3 Negli Stati Uniti, la televisione commerciale aveva avuto il suo

sviluppo fin ab originis, mentre nel contesto europeo ha sempre incon-trato un ostruzionismo diffuso, a partire dalle vicende inglesi delle commissioni governative sul sistema radiotelevisivo, fino a quelle ita-

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È solo a questo punto che, dopo questo breve excursus

storico, possiamo concludere la risposta alla domanda che si pone il titolo di questo paragrafo: Come si arriva alla defi-nizione di post-pubblicitario? Introducendo la fase imme-diatamente successiva a quella che abbiamo visto fin ora, cioè quella post-pubblicitaria, caratterizzata da una rivolu-zione che vede come protagonisti, in particolare due mezzi: il primo è Internet, figlio della rivoluzione digitale; Il se-condo è costituito dall’affissione, qui intesa come il proge-nitore di una pluralità di mezzi di natura eterogenea che possono, oggi, essere ricondotti sotto l’unica etichetta di Outdoor e vanno a configurarsi come una ri-scoperta della pubblicità esterna.

Se nel 1964 Marshall Mcluhan sosteneva con forza: «The medium is the message»4, oggi tale assunto viene smentito dall’avvento del digitale, dalla multimedialità, da Internet, dove la regola della preminenza del medium ri-spetto al messaggio, viene sovvertita dalla presenza di una miriade di contenuti, ovvero da messaggi. Se questo è vero per i media digitali, non è altrettanto vero per il veicolo pubblicitario per eccellenza, l’affissione, unica forma di pubblicità a non essere inserita in un contesto redazionale o in un palinstesto, se non nella stessa città che funge da “pa-linsesto urbano”.

liane legate alle sentenze della Corte Costituzionale che hanno caratte-rizzato gli anni Settanta/Ottanta, riguardo il mantenimento della riserva statale sulle trasmissioni radiotelevisive. Con la nascita della televisione commerciale italiana, in particolare del gruppo Fininvest con Canale 5, Italia 1 e Rete 4, nasce negli stessi anni, Publitalia80, che nel corso de-gli anni a venire, diventerà la prima concessionaria di pubblicità italia-na.

4 Cfr. M. Mcluhan, Gli strumenti del comunicare. Mass media e so-

cietà moderna, Net, Milano, 2002 (1964).

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Il potere del digitale: andare oltre il medium

Per affrontare il tema dell’avvento dei nuovi media digi-tali, ci sembra utile prendere spunto dal già citato Marshall Mcluhan, in quanto egli aveva fornito una spiegazione so-cio-antropologica del motivo per il quale i media elettrici avessero un tale successo sulle persone5. Egli riteneva che alla base del suo asserto “Il medium è il messaggio”, vi fos-se la tendenza degli essere umani ad avere un immediato fa-scino di ogni estensione di sé, riprodotta in un materiale di-verso da quello stesso di cui sono fatti. L’abilità dello stu-dioso canadese, è stata quella di descrivere con il ricorso al mito di Narciso, la capacità dell’uomo di far ricorso a dei servomeccanismi. L’effetto della narcòsis – da cui il nome “Narciso”, ovvero l’intorpidimento derivante dall’attrazione di noi stessi – spingerebbe l’uomo ad “amputare” delle fun-zioni del proprio corpo e trasferirle a dei servomeccanismi di cui egli diventerebbe schiavo: oggi è frequente sentire nei dibattiti che si è schiavi della televisione oppure di Internet, per quest’ultima più precisamente nell’uso che se ne fa. È chiaro, dunque, che il successo dei media elettronici tradi-zionali del Novecento è stato possibile proprio grazie a que-sta capacità di intorpidire l’uomo.

Collegandoci a quanto appena detto, Giandomenico Ce-lata, in un recente saggio, ha sostenuto che la televisione in-ducesse un narcisistico torpore, un intorpidimento delle menti e uno stordimento nel consumatore di media.6 Lo stesso prosegue la sua analisi arrivando ad ipotizzare addi-

5 Cfr. M. Mcluhan, Op. Cit. 6 Cfr. G. Celata, Economia dei media e dell’Ict, materiale didattico,

Roma, 2009, p.13.

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rittura la rottura del paradigma di Mcluhan, fondato sull’asserto the medium is the message. Secondo Celata:7

(…) La causa [di questa rottura] sta nell’insorgere della tec-nologia digitale. Una tecnologia che, mentre omologa straordina-riamente e quasi magicamente, l’inchiostro di tutti i media, am-plifica la portanza delle piattaforme di distribuzione, moltiplica i mezzi con cui si esprimono i contenuti. In questa situazione, il medium diventa ininfluente rispetto al messaggio. Il digitale rompe il monopolio naturale delle tecnologie analogiche rispetto ai contenuti (…) Lo frantuma in una miriade di coriandoli digita-li che si esaltano in Internet, il nuovo medium (…) Il digitale [dunque] uccide la preminenza del medium rispetto ai contenuti. Uccide il suo riempire di sé il messaggio.

È stato di questo avviso anche Danny Hillis, il quale in un articolo di qualche anno fa, apparso sull’ Harvard Busi-

ness Review8, affermava che prima dell’avvento della tecno-

logia digitale, il contenuto e i servizi erano legati ai mecca-nismi che li distribuivano. Era possibile parlare di un me-dium come la televisione o la stampa o la telefonia, senza distinguere tra il modo di distribuire e ciò che stava venen-do distribuito. Hillis prosegue sostenendo che con la tecno-logia digitale, ora possiamo convertire tutti questi differenti generi di informazioni in semplici bit, e i canali digitali, come ad esempio le fibre ottiche, possono distribuire questi bit indiscriminatamente, dimenticandosi se si trattino di show televisivi, articoli di giornale, traffico telefonico o piuttosto messaggi pubblicitari.

Enrico Menduni, offre un quadro particolarmente esau-stivo del passaggio dai media tradizionali a quelli digitali, sostenendo che in realtà, quest’ultimi, siano media preesi-

7 G. Celata, Op. Cit., pp. 13-14. 8 Cfr. D. Hillis, The Bandwidth Bomb, “Harvard Business Review”,

Settembre/Ottobre, 2000, pp. 179-180.

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stenti che sono diventati digitali, attraverso una trasforma-zione dei loro linguaggi, delle loro forme espressive. Il ri-sultato di queste innovazioni avrebbe provocato notevoli cambiamenti all’interno della società, nell’accesso all’informazione e in particolar modo – su cui il nostro inte-resse è maggiore – nella pubblicità.9 L’autore prosegue af-fermando che prima dell’invenzione della radio e della tele-visione, i media erano prodotti materiali, fabbricati in serie e trasportati nei luoghi in cui il consumatore poteva acqui-starli e fruirne. Venuta meno questa condizione di “materia-lità”, un insieme di contenuti potevano essere ricevuti diret-tamente nelle case dei consumatori, attraverso la modalità di trasmissione broadcast. E’ stata questa la forza dei media elettronici del Novecento: la capacità di entrare in ogni ca-sa.

Il ruolo centrale dei mass-media, sarebbe poi stato messo in discussione dalla rivoluzione digitale di cui abbiamo par-lato nelle pagine precedenti. L’alleanza tra il computer, fi-glio della rivoluzione e le telecomunicazioni, quella che è stata definita “convergenza”, ha permesso la rapidissima crescita della rete Internet. A questo proposito, ci fu chi nel 1970, come Alan Stone, parlava di “nozze celesti” tra com-puter e le telecomunicazioni10.

Menduni, conclude le sue considerazioni sul passaggio dai media analogici a quelli digitali, sostenendo che:

Con la digitalizzazione quindi non avviene la sostituzione dei «vecchi media» (…) con i «nuovi media» (…) quello che sta ac-

9 Cfr. E.Menduni, I media digitali. Tecnologie, linguaggi, usi socia-

li, Editori Laterza, Roma-Bari, 2007. 10 Cfr. A.Briggs, P.Burke, Op. Cit, p. 325.

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cadendo è una complessiva ricollocazione di tutto il sistema me-diale, con intrecci reciproci sempre più facili ed intensi(…).11

Quello che afferma Menduni, riflette esattamente quanto diceva Mcluhan: «Il contenuto di un medium è sempre un altro medium»12, concetto che sarà il punto di partenza per le considerazioni di altri studiosi come J.D. Bolter e R. Gru-sin quando parlano di remediation, sostenendo che all’interno dei media digitali siano ricompresi tutti gli altri media13. È di questo parere anche Alberto Marinelli, infatti, in un suo recente saggio, ha considerato il concetto di re-

mediation come caratteristica strutturale dei media digita-li14.

Infine, per concludere, gli intrecci reciproci e le forme di “re-mediazione” di cui si è parlato, hanno prodotto nuovi formati di diffusione come quelli che oggi conosciamo at-traverso l’integrazione tra Internet e la televisione (IPTV) o con la radio (web-radio), o nuovi formati pubblicitari, come il frutto dell’integrazione tra televisione e affissione (es. Tv out of home, il digital signage) o quella tra stampa e internet/telefonia (es. Augmented reality, il bluetooh push).

Ecco perché l’analisi che segue, guarderà ai nuovi media e all’evoluzione di quelli tradizionali, in una prospettiva in-tegrata sia dal punto di vista tecnologico che degli usi socia-li degli stessi come mezzi pubblicitari.

11 E.Menduni, Op. Cit., p. 12. 12 M.Mcluhan, Op. Cit., p. 16. 13 Cfr. J.D. Bolter, R. Grusin, Remediation, Guerini e Associati, Mi-

lano, 2003. 14 A. Marinelli, Connessioni. Nuovi media, nuove relazioni sociali,

Guerini Associati, Milano, 2004, p. 117.

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Dai new media ai more media

Abbiamo parlato fin ora della trasformazione che il digi-tale ha permesso ai media tradizionali, dando ad essi nuove opportunità per rimanere ugualmente sulla scena. Ciò che è forse più interessante da osservare, riguarda il fatto che at-traverso il digitale sono nate nuove categorie di prodotti media, a cui la letteratura e il linguaggio comune hanno af-fiancato suffissi per indicare ad indicarne il loro carattere innovativo di essi. Infatti oggi si parla di new media, ma ciò che è forse più innovativo sono le nuove opportunità di con-sumo che essi offrono ai consumatori.

Per comprendere meglio di che cosa intendiamo parlare, proporremo una serie di considerazioni che Giandomenico Celata, in un recente saggio, ha fornito riguardo l’argomento.15

La rivoluzione digitale ha reso possibile l’innovazione in una innumerevole serie di prodotti media:

• Dalla versione online dei giornali a stampa alle pub-blicazioni che nascono esclusivamente online;

• Dalla versione digitale dei film o dei programmi te-levisivi che seguono il passaggio al digitale delle emittenti, ai prodotti realizzati per andare su Internet o sui devices mobili;

• Dalla musica registrata e fruibile in digitale ai giochi elettronici e ai social network, fino ai grandi motori di ricerca.

Celata, propone un’evoluzione del termine new media e preferendo parlare di more media, facendo riferimento al fatto che essi si affiancano e spesso sostituiscono, i media tradizionali analogici. La particolarità dei more media è che

15 G. Celata, Op. Cit., pp.79-81, 93-94

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essi hanno una forte funzione socializzante. In alcuni casi si è di fronte alla versione digitale di media analogici, in altri invece ci si trova davanti a forme di informazione e di in-trattenimento e, cosa più importante secondo Celata, di fronte a piattaforme realizzative e distributive differenti che provocano un cambiamento in tutto l’universo dei media, toccando il lato delle imprese e quello dei consumatori. In primo luogo, ciò contribuisce ad innescare un cambiamento organizzativo all’interno delle imprese di comunicazione, mentre in secondo luogo si è in presenza di diverse modalità di consumo e di fruizione dei prodotti media.

Sulla base di ciò, una volta mutato lo scenario mediale, il consumatore di media si vede proposto un universo digitale con queste caratteristiche:

• Un’offerta mediale sempre più vasta e differen-ziata;

• Un’opportunità maggiore di accesso ai contenuti media;

• La possibilità di decidere sui luoghi e sui tempi di fruizione;

• La possibilità di personalizzare il suo consumo mediale;

• La possibilità di creare community attraverso il peer to peer e il social networking.

Queste caratteristiche portano a nuove modalità di con-sumo, in cui il consumatore è più attivo e partecipe e dove il consumo si esprime attraverso un numero maggiore di piat-taforme distributive. Ecco che il consumo diventa cross-

piattaforma, dando vita ad una nova tipologia di consuma-tore, il media mesher, cioè un soggetto che tende a modifi-care il proprio stile di consumo mediale sulla base dei nuovi prodotti proposti dalle nuove piattaforme distributive. Il media mesher suddivide il proprio tempo destinato alla frui-

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zione mediale dando luogo a forme di fruizione impensabili fino ad oggi, come ad esempio il simulcasting, la sovrappo-sizione di consumi come l’ascoltare la radio o l’i-pod men-tre si legge il giornale o mentre si naviga su internet.

Particolarità del consumo dei prodotti media

Che tipo di prodotto è il “prodotto media”? Esso presenta delle specificità che lo distinguono da tutte le altre tipolo-gie. Innanzitutto, è un prodotto caratterizzato da un elevato

rischio, sia dal lato del consumatore sia da quello del pro-duttore. Dal punto di vista del primo, i prodotti media rien-trano nella categoria dei cosiddetti experience goods, ovve-ro di quei beni il cui valore/utilità effettivo può essere valu-tato solo dopo averli consumati: pensiamo all’acquisto di un quotidiano, alla visione di un talk show, alla visione di un film. Dal punto di vista del produttore, il rischio è legato al fatto che tutti i costi sostenuti sono precedenti all’uscita sul mercato: costi di produzione, di distribuzione e di marke-ting. Questa prima caratteristica non è di marginale impor-tanza, poiché essa si riflette inevitabilmente nell’ambito del-la pubblicità. L’elevato rischio legato, da un lato al consu-matore e dall’altro al produttore, condiziona le aspettative di ricavo dalla vendita degli spazi pubblicitari legati a tale prodotto. Sappiamo che il modello di business della tv commerciale e in parte quello della carta stampata, è fonda-to esclusivamente sui ricavi da pubblicità, il cui valore è de-rivante dalla qualità dei palinsesti e dei contenuti editoriali (prodotti media, appunto). Una serie televisiva di successo sarà un prodotto media di successo e dunque rappresenterà un rischio minore – in termini di soddisfazione – per i con-sumatori e così, anche per i produttori per ciò che concerne l’appetibilità dei loro prodotti per i potenziali inserzionisti pubblicitari.

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Una seconda caratteristica dei prodotti media è che essi riguardano tre mercati differenti: quello dei consumatori, quando essi non sono gratuiti e perciò il consumatore è co-stretto ad un esborso monetario per la fruizione; quello della pubblicità, dove spesso il modello di business delle imprese media, come detto poc’anzi, è fondato quasi esclusivamente sui ricavi pubblicitari, i quali vanno poi a coprire i costi so-stenuti dagli editori per acquisire i diritti dei prodotti media; infine quello dello Stato, dove esso, per la straordinaria im-portanza che i media ricoprono nelle società moderne, svol-ge un ruolo di regolatore: Si pensi alle concessioni per le frequenze radiotelevisive o piuttosto alla regolamentazione antitrust sulle posizioni dominanti e infine ai tetti di affol-lamento per la raccolta pubblicitaria.

La terza ed ultima caratteristica sostanziale, è che i me-

dia consumano tempo libero: oggi è in atto una vera e propria guerra per aggiudicarsi il tempo libero dei consuma-tori. Tralasciando le attività nelle quali è possibile fruire di più mezzi contemporaneamente, il simulcasting di cui si è parlato in precedenza, risulta oggettivamente possibile leg-gere un giornale e allo stesso tempo navigare su internet o andare al cinema. Inoltre, la minaccia arriva anche dall’esterno, ovvero da tutte quelle attività legate al tempo libero: shopping, teatro, attività sportiva. Tutto questo com-porta, ovviamente, meno occasioni di essere esposti a mes-saggi pubblicitari e dunque di conseguenza meno valore percepito dagli inserzionisti pubblicitari. Più avanti, nel cor-so del presente lavoro, vedremo come la tendenza attuale è quella di raggiungere il consumatore anche nei momenti di tempo libero in cui esso non è volutamente esposto a mes-saggi pubblicitari; Parleremo di questo nell’analizzare il tema della mobilità del consumatore, in particolare dell’evoluzione della pubblicità esterna, la cosiddetta Ou-

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tdoor 2.0 e dei nuovi circuiti pubblicitari legati ad essa (pa-lestre, centri commerciali, aeroporti, ospedali, università, etc) ed infine delle nuove forme legate al mobile.

Prima di chiudere questo paragrafo dedicato alla natura dei prodotti media, si vuole porre l’attenzione su un’ulteriore caratteristica, facendo ancora una volta ricorso al contributo di Celata16.

I prodotti media sono dei beni relazionali, ovvero beni che favoriscono il contatto tra le persone. Essi, sono delle merci che contribuiscono a strutturare ed alimentare le rela-zioni tra le persone: non c’è programma televisivo, talk

show, reality, articolo di giornale o videogioco che non sia oggetto di discussione e confronto tra le persone nella fase di pre-fruizione e poi di post-fruizione, mostrando appunto, la straordinaria natura relazionale. Oggi, tutto questo vale ancor di più se si pensa ai trend di crescita dei social media (Facebook, My Space, Twitter, LinkedIn etc) dove la “rela-zione” è l’ingrediente principale ed essenziale.

Media, prodotti media ed investimenti pubblici-tari in un periodo di crisi

L’attuale scenario internazionale, caratterizzato da una crisi economica profonda su scala globale – le cui origini vengono fatte risalire dalla crisi del sistema finanziario a-mericano della fine estate del 2008 – mostra come i mercati siano oggi interconnessi non solo in senso geografico, ma anche dal punto di vista della loro natura. I cambiamenti nell’economia influenzano il consumo, la produzione e la vendita di beni e servizi da parte delle imprese di comuni-cazione. Il mondo produttivo e finanziario globale, è entrato

16 G. Celata, Op. Cit., p. 65

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già da tempo in un ciclo economico negativo che ha causato pesanti conseguenze in numerosi altri settori. Celata, affer-ma che i media sono molto sensibili alle oscillazioni dell’economia poiché la vendita di prodotti e servizi di co-municazione è influenzata dalle condizioni economiche ge-nerali e soprattutto perché – visti i modelli di business pre-valenti delle imprese media – la vendita di spazi pubblicitari risente anch’essa di tali cambiamenti economici17. Durante le crisi economiche, si mette in moto un circolo vizioso che vede i consumatori ridurre i propri consumi e rimandare gli acquisti facendo sì che le aziende siano costrette a contrarre la propria produzione e a tagliare i propri investimenti pub-blicitari.

Dunque, l’andamento degli investimenti pubblicitari ten-de a seguire quello economico: in periodi di crescita eco-nomica gli investimenti pubblicitari crescono in maniera ve-loce rispetto all’economia in generale, mentre durante una crisi economica, tali investimenti sono i primi a decrescere, assumendo la caratteristica di termometro della crisi18. C’è chi invece, ritiene che l’equazione “crisi economica = de-

cremento degli investimenti pubblicitari” non sia una legge assoluta, poiché le imprese che detengono stabili brand, an-che in periodi di crisi, sono comunque costrette a continuare ad investire per mantenere la propria quota di mercato. Quest’ultima considerazione sembra venir confutata da Ro-bert Picard, economista americano, uno dei primi ad aver sistematizzato l’analisi economica dell’industria dei media. Infatti, Picard afferma che

La vendita di spazi pubblicitari è fortemente influenzata dal ciclo economico e da altri fattori che interferiscono con le attivi-

17 G. Celata, Op. Cit., p. 133-134 18 G. Celata, Op. Cit., p. 251

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tà degli inserzionisti. I produttori e i rivenditori di automobili, auto di lusso ed accessori risentono molto delle flessioni negati-ve dell’economia, poiché in quelle fasi i consumatori tendono a ridurre l’acquisto di questi beni. Queste aziende reagiscono ridu-cendo il loro budget per la pubblicità e acquistano meno spazi su riviste, quotidiani, radio e televisione. Inoltre, la pubblicità delle agenzie immobiliari, dei tour operator e gli annunci di lavoro si riducono drasticamente19.

Picard, prosegue la sua analisi sul rapporto ciclo econo-mico/pubblicità, sostenendo che quando il PIL (Prodotto In-terno Lordo) decresce fino ad assumere valori negativi, l’andamento della curva delle spese pubblicitarie subisce un’impennata negativa. Dunque, la variazione di quest’ultime diventa massima quando si verifica una conte-nuta riduzione del PIL, mentre tende a diminuire in misura minore man mano che il PIL decresce. Sul medesimo argo-mento Celata ritiene che, un valido indicatore dell’intensità della pubblicità – in un determinato paese – sia proprio il rapporto percentuale degli investimenti pubblicitari sul Pro-dotto Interno Lordo, ovvero quanta parte della ricchezza prodotta in una nazione viene spesa in pubblicità20.

Sappiamo, infine, che tale riduzione degli investimenti riguarda non tutti i media e non tutte le tipologie di investi-tori. Nello scenario italiano del 2009, infatti, di fronte al grosso decremento dei media tradizionali, c’è stata l’eccezione di Internet che ha avuto un balzo significativo in avanti (+5%) e poi delle tv satellitari e delle cards (+1%)21. Nel complesso, la ragione per cui la riduzione maggiore ha riguardato la carta stampata e l’outdoor piutto-

19 R. Picard (ed. it. a cura di G. Celata), Economia e Finanza dei

media, Guerini Studio, Milano, 2005 (2002), p. 106. 20 G. Celata, Op. Cit., p. 252. 21 Dati Nielsen Media Research 2010.

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sto che la televisione è spiegato dal fatto che la natura dei maggiori inserzionisti italiani, grandi imprese con target molto ampi, spinge loro a non ridurre la spesa per la televi-sione, da sempre considerato medium indispensabile per l’awareness e dunque must buy nelle pianificazioni.

L’attuale scenario economico dei media: una vi-sione generale dei trend chiave del mercato

A seguire si proporranno una serie di considerazioni ri-guardo lo scenario media internazionale, i trend dei media in Italia in termini di indicatori economici, investimenti e penetrazione dei media. Si proseguirà con l’evoluzione del-la Tv, lo sviluppo di Internet, l’evoluzione della Radio in termini di ascolti e piattaforme; La Stampa cartacea, i free

press e l’online; Infine si affronteranno gli sviluppi del Ci-nema e dell’Out of Home. Su quest’ultimo verrà fatto un in-teressante focus nei prossimi capitoli.

Il mercato pubblicitario internazionale, risente pesante-mente della forte crisi economica iniziata nel corso del 2008 a livello mondiale. Il 2009 si è chiuso con il bilancio peg-giore e una possibile ripresa è prevista solo dal 2010. Nel caso specifico dell’Europa, da un confronto tra i Top 5, Francia e Spagna risultano insieme all’Italia i paesi più in difficoltà per quanto riguarda il mercato pubblicitario. In I-talia, il mercato si trova a fare i conti con la peggiore delle crisi economiche senza avere ancora raggiunto la maturità dei principali mercati europei e come in passato, nei mo-menti di crisi la Tv si riconferma il mezzo dominante, ri-conquistando punti di share nel media mix. Il suo ruolo è al centro di un cambiamento storico: dal duopolio classico tra Rai e Mediaset, si aprono nuovi scenari molto interessanti: ovvero il passaggio dal segnale analogico a quello digitale che si compirà entro i prossimi 3 anni, durante il quale si ri-

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disegneranno gli equilibri tra gli attuali players e nuovi edi-tori che potranno entrare nel mercato grazie alla digitalizza-zione: con il DTT22 continuerà la frammentazione iniziata anni fa con il Satellitare. Come affermato in conclusione del precedente paragrafo, Internet è l’unico mezzo in contro-tendenza: pur se con una crescita ridimensionata rispetto al recente passato e alle attese, riesce a mantenere il segno po-sitivo avviandosi a diventare il terzo mezzo per raccolta pubblicitaria dopo televisione e stampa.

La Radio, grazie all’evoluzione degli ultimi anni e alle caratteristiche strutturali di mezzo tattico (vedi per esempio le fasce di drive time), recupera già ai primi segnali di mi-glioramento di fine anno con una contrazione inferiore alla media del mercato. La Stampa, di contro, mostra un futuro molto incerto: affronta la crisi congiunturale nel bel mezzo di una pesante crisi strutturale - in atto già da tempo e in tut-to il mondo - che peggiora molto la situazione, con previ-sioni di cali molto superiori alla media mercato. Per ciò che riguarda l’Out Of Home, si verifica che le affissioni più classiche subiranno maggiormente i tagli degli investitori, mentre le previsioni mostrano un trend più positivo per i formati digitali e innovativi, per esempio per i circuiti del Transit

23. Infine per il Cinema, ad una buona presenza nelle sale registrata negli ultimi anni, non corrisponde una ripresa della raccolta negli investimenti pubblicitari.

22 Digital Terrestrian Television 23 Rilevato da Nielsen Media Research a partire dal 2009

sull’affissione dinamica di IGPDecaux: bus, metro, aeroporti, stazioni. Per il 2009 il valore è stato pari a circa 99 mln di €. Dati Nielsen Media Research 2010.

Page 31: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Le previsioni per l’economia internazionale e quella ita-

liana24

L’economia internazionale sta gradualmente uscendo dalla recessione, grazie al sostegno delle azioni di stimolo fiscale e monetario adottate in tutte le regioni del mondo, anche se oggi, con la crisi della Grecia e la messa in discus-sione dell’Euro, ogni segnale di ripresa sembra essere ri-mandato. Dunque, la ripresa si preannuncia lenta e debole e non ancora in grado di riportare l’economia sui livelli pre-cedenti alla crisi: il ritorno alla piena funzionalità dei mer-cati finanziari e creditizi avviene lentamente, condizionando la ripresa della produzione. Sul mercato del lavoro gravano gli effetti ritardati della crisi e di conseguenza la situazione si riflette sulle famiglie, ponendo un freno ai consumi: in America, il rientro degli eccessi di credito alle famiglie fa venire meno il motore stesso dell’economia con cui si ali-mentava l’intero sistema, mantenendo alta e costante la do-manda. Pertanto, le politiche di emergenza continueranno ad essere adottate fino a che non si sarà raggiunta una fase di maggiore solidità ciclica. Nello scenario 2010, infatti, la ripresa della crescita dell’economia internazionale sarà im-putabile alla regione asiatica. I ritmi di ripresa saranno co-munque più lenti rispetto ai livelli precedenti. Il Pil ameri-cano, in contrazione del 2,6% nel 2009, aumenterà secondo le previsioni Isae dell’1,8% nel 2010, mentre per quanto ri-guarda l’area euro, alla flessione del 3,9% nel 2009 farà se-guito un recupero contenuto nel 2010 (+0,7%). In sintonia con le dinamiche dell’economia mondiale, anche in Italia si concretizza la lenta uscita dalla recessione. L’andamento

24 Highlights dall’Introduzione al Rapporto ISAE (Istituto di Studi e

Analisi Economica) “Le previsioni per l’economia italiana”, 23 luglio 2009.

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positivo della produzione industriale, avvenuto durante l’estate del 2009, preannuncia un recupero dell’economia a livello generale. La ripresa viene trainata dalla domanda e-stera e dal lento recupero di quella interna. Quest’ultima, però, è frenata a causa della contrazione del mercato del la-voro e dalle maggiori difficoltà di accesso al credito.

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Il trend attuale degli investimenti pubblicitari nel mondo

Grafico 1 – Gli investimenti pubblicitari del 2009 nel mondo

Grafico 2 – Le stime degli investimenti pubblicitari del 2010 nel mondo

nel mondo

Gli investimenti pubblicitari del 2009 nel mondo

nel mondo

Page 34: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Attraverso il grafico 1 e 2, possiamo vedere come lo

scenario internazionale degli investimenti pubblicitari, di-mostri di essere particolarmente in crisi: il 2009 mostra dei valori negativi in quasi tutti i continenti industrializzati, ad eccezione di quelli dei paesi emergenti come l’America La-tina (+7%) e il Medio Oriente e Africa (+0,2%). Le stime del 2010, mostrano una timida crescita (+0,8%) a livello globale, dove i paesi emergenti guidano la ripresa interna-zionale (America Latina, Paesi emergenti europei e Sud-Est Asiatico), mentre Nord America ed Europa occidentale ri-sentono ancora delle influenze negative del 2009.

Una particolarità interessante del contesto internazionale è mostrata dall’andamento di Internet. Nel 2004 le potenzia-lità attuali di Internet erano già conosciute: Chris Anderson, direttore di Wired, importante rivista tecnologica americana e ormai diffusa in tutto il mondo (dal 2009 anche in Italia), scrive un articolo dal titolo “The long tail”, “la Coda Lun-ga”.25 In questo articolo Anderson, servendosi del concetto di “Coda Lunga”, una distribuzione di tipo paretiano, ovve-ro caratterizzata da una piccola zona “ad alta densità” e da una zona più ampia sempre più piatta “a bassa densità”, spiegava l’avanzata e le potenzialità di Internet. La zona “ad alta densità” è quella popolata da prodotti media caratteriz-zati da un'alta domanda di mercato (i big del mercato), men-tre quella “a bassa densità” è quella popolata da prodotti media con minori volumi di vendita. Insomma, quello che sostiene Anderson è che grazie ad Internet, l’insieme dei prodotti media che popolano la zona a bassa densità, sono in grado formare – cumulativamente – una quota di mercato tale da superare la zona ad alta densità.

25 C. Anderson, The Long Tail, Wired, 12-10, October 2004.

Page 35: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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L’ultilizzo di Internet è in crescita e soprattutto nell’ambito degli investimenti pubblicitari; è sempre più pianificata dagli inserzionisti, superando in alcuni contesti come quello inglese – anche il medium sovrano, la televsione.

Come vediamo dal grafico 3, gli investimenti pubblicit

ri sul mezzo Internet sono cresciuti ovunque durante il 2009, mentre per il 2010 la crescita prevista è a livello gnerale di un +10%, con i risultati più significativi nell’Europa emergente e negli USA. Questo andamento sorprendente di Internet, è strettamente collegato alla sepre maggiore penetrazione del medium nella popolazione. Ad oggi, secondo le stime dell’ Internet World Stats

mese di Settembre 2009, ci si avvia verso i due miliardi di utenti presenti sul web, fortemente concentrati in Asia (738 mln), in Europa (418 mln) e nel Nord America (253 mln). La scarsa presenza da parte di paesi come l’Africa e il M

Grafico 3 – Gli investimenti pubblicitari di Internet nel mondo per 2009 e le stime per il 2010.

e soprattutto nell’ambito degli investimenti pubblicitari; è sempre più pianificata dagli inserzionisti, superando in alcuni contesti –

anche il medium sovrano, la televi-

3, gli investimenti pubblicita-ri sul mezzo Internet sono cresciuti ovunque durante il 2009, mentre per il 2010 la crescita prevista è a livello ge-

risultati più significativi nell’Europa emergente e negli USA. Questo andamento sorprendente di Internet, è strettamente collegato alla sem-

penetrazione del medium nella popolazione. Internet World Stats del

, ci si avvia verso i due miliardi di utenti presenti sul web, fortemente concentrati in Asia (738 mln), in Europa (418 mln) e nel Nord America (253 mln). La scarsa presenza da parte di paesi come l’Africa e il Me-

di Internet nel mondo per 2009

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dio Oriente, mostrano come il problema del digital divide

sia ancora molto rilevante. Manuel Castells, infatti, afferma che “la centralità di Internet in numerose aree dell’attività sociale, economica e politica è equivalente alla marginalità per coloro che non hanno accesso ad Internet. (…)”sto è proprio il problema di molti paesi in via di sviluppo, carenti sotto il profilo delle infrastrutture delle telecmunicazioni.

Per ritornare alle dimensione degli investimenti pubblic

tari nel 2009, possiamo evidenziare che le perdite più signficative rispetto all’anno precedente sono avvenute negli USA (-12,6 mld dollari), in Giappone (-2,82 mld dollari) e in Italia (-2,48 mld). Gli unici paesi che hanno incrementil mercato sono stati la Cina (+2,96 mld dollari) e il Brasile (+1,28 mld dollari)27. Per quanto riguarda i vari mezzi, la

26 M. Castells, Galassia Internet, Feltrinelli, Milano, 2006 (2001), p.

231. 27 Dati GroupM 2009 su un totale di mercato di 445 mld dollari.

Grafico 4 – La popolazione mondiale del web nel 2009.

digital divide Manuel Castells, infatti, afferma

che “la centralità di Internet in numerose aree dell’attività sociale, economica e politica è equivalente alla marginalità

ternet. (…)”26. Que-sto è proprio il problema di molti paesi in via di sviluppo, carenti sotto il profilo delle infrastrutture delle teleco-

investimenti pubblici-he le perdite più signi-

sono avvenute negli 2,82 mld dollari) e

2,48 mld). Gli unici paesi che hanno incrementato il mercato sono stati la Cina (+2,96 mld dollari) e il Brasile

. Per quanto riguarda i vari mezzi, la

, Feltrinelli, Milano, 2006 (2001), p.

Dati GroupM 2009 su un totale di mercato di 445 mld dollari.

La popolazione mondiale del web nel 2009.

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riduzione più significativa è avvenuta ai quotidiani (mld dollari), la Televisione (-10,1 mld dollari), per arrivare al dato positivo di Internet (+3,7 mld dollari).

Il trend attuale degli investimenti pubblicitari in Italia

Per quanto riguarda la situazione specifica dello scenario italiano, in sintonia con le dinamiche dell’economia modiale, si concretizza la lenta uscita dalla recessione. L’andamento positivo della produzione industriale durante l’estate 2009 ha preannunciato un recupero dell’economia nella seconda parte dell’anno. La ripresa viene trainata dalla domanda estera e dal lento recupero di quella interna. Quest’ultima, però, è frenata a causa della contrazione del mercato del lavoro (ad Aprile 2010, la disoccupazione è arivata all’ 8,8%) e dalle maggiori difficoltà di accesso al credito. Il trend dei consumi dopo aver segnato il punto più basso nel 2009, ha visto una certa ripresa nel 2010 pur matenendo dei valori negativi. Per i due anni successivi si prvedono dei segni positivi, in particolar modo dal 2012 (Gfico 5).

Grafico 5 – Il trend dei consumi % anno su % anno (2000-2012)

Fonte: NBI - Nielsen Business Indicators su base Istat/Prometeia agg. Luglio 2009

riduzione più significativa è avvenuta ai quotidiani (-11,3 10,1 mld dollari), per arrivare

Il trend attuale degli investimenti pubblicitari in Italia

Per quanto riguarda la situazione specifica dello scenario n sintonia con le dinamiche dell’economia mon-

diale, si concretizza la lenta uscita dalla recessione. L’andamento positivo della produzione industriale durante

un recupero dell’economia nella seconda parte dell’anno. La ripresa viene trainata dalla domanda estera e dal lento recupero di quella interna. Quest’ultima, però, è frenata a causa della contrazione del

zione è ar-e dalle maggiori difficoltà di accesso al

dei consumi dopo aver segnato il punto più basso nel 2009, ha visto una certa ripresa nel 2010 pur man-tenendo dei valori negativi. Per i due anni successivi si pre-

o dei segni positivi, in particolar modo dal 2012 (Gra-

2012)

Nielsen Business Indicators su base Istat/Prometeia agg. Luglio 2009

Page 38: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Dal punto di vista della spesa pubblicitaria, vediamo laTelevisione che recupera qualche punto, consolidando ruolo primario nel media mix pubblicitario come già in pasato è accaduto durante i periodi di crisi del mercato, questa volta però dovendo fare i conti con Internet in costante crscita.

Inoltre il sistema televisivo è attualmente al centro di un

cambiamento epocale, che arriva dopo più di vent’anni di duopolio del sistema, con il passaggio dal segnale analogico al digitale entro il 2012. I mezzi digitali, in controtendenza, crescono: oltre a Internet, alle nuove piattaforme televisive e alle forme innovative di OOH, nei prossimi anni è atteso anche lo sviluppo del mobile.

Se confrontiamo i dati con l’anno precedente segnato un -12,1% sul 2008 – possiamo vedere che il primo quarto del 2010 segna un positivo +4% rispetto allo stesso periodo del 2009. Ciò è certamente un dato significativo che

Grafico 6 – La torta degli investimenti pubblicitari italiani

nel primo semestre del 2010

Fonte: Nielsen Media. Commerciale Nazionale, 2010,without Tv Sat, Out of home Tv ,

Transit and Cards

Dal punto di vista della spesa pubblicitaria, vediamo la qualche punto, consolidando il

pubblicitario come già in pas-sato è accaduto durante i periodi di crisi del mercato, questa

do fare i conti con Internet in costante cre-

il sistema televisivo è attualmente al centro di un cambiamento epocale, che arriva dopo più di vent’anni di duopolio del sistema, con il passaggio dal segnale analogico

I mezzi digitali, in controtendenza, rnet, alle nuove piattaforme televisive

e alle forme innovative di OOH, nei prossimi anni è atteso

Se confrontiamo i dati con l’anno precedente – che ha possiamo vedere che il primo

segna un positivo +4% rispetto allo stesso periodo del 2009. Ciò è certamente un dato significativo che

pubblicitari italiani

Nazionale, 2010,without Tv Sat, Out of home Tv ,

Page 39: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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contribuisce a far crescere il clima di fiducia delle aziende, tuttavia – come avremo modo di apprendere dall’intervista a Paolo Duranti, a conclusione di questo capitolo –deve trarre in inganno e far credere che i ritmi di recupero dalla crisi viaggino su queste cifre. Il 2009 ha avuto un psante calo nel primo quarto dell’anno, ma ha manifestato segni importanti di recupero nella seconda metà ciò significa che il +4% registrato nei primi mesi del 2010 verrà senz’altro ridimensionato a circa un +2,5% (Nielsen, 2010), in forza proprio del recupero che il 2009 aveva avuto in quei mesi.

Per quanto riguarda la struttura del mercato pubblicitario

italiano, possiamo sostenere che si caratterizza per essere fortemente concentrato e può essere rappresentato graficmente attraverso una distribuzione paretiana: circa 250 iprese detengono una share of market del 66%; circa 1000 imprese detengono il 22%; le restanti – circa 19000 e che costituiscono la maggioranza – hanno una quota del 13%

Grafico 7 – L’andamento degli investimenti pubblicitari 1990

Fonte: Nielsen Media. Commerciale Nazionale:.without Direct Mail

contribuisce a far crescere il clima di fiducia delle aziende, come avremo modo di apprendere dall’intervista a

– esso non deve trarre in inganno e far credere che i ritmi di recupero dalla crisi viaggino su queste cifre. Il 2009 ha avuto un pe-sante calo nel primo quarto dell’anno, ma ha manifestato

dell’anno; ciò significa che il +4% registrato nei primi mesi del 2010 verrà senz’altro ridimensionato a circa un +2,5% (Nielsen, 2010), in forza proprio del recupero che il 2009 aveva avuto

Per quanto riguarda la struttura del mercato pubblicitario italiano, possiamo sostenere che si caratterizza per essere

tato grafica-mente attraverso una distribuzione paretiana: circa 250 im-

del 66%; circa 1000 circa 19000 e che

hanno una quota del 13%.

L’andamento degli investimenti pubblicitari 1990- 2009

Nazionale:.without Direct Mail

Page 40: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Le categorie merceologiche a cui appartengono le azie

de che stanno investendo maggiormente sono quelle al Person care, Automotive, Institutions, Enterteinment

Grafico 8 – La concentrazione del mercato pubblicitario italiano

per investimenti delle aziende

Fonte: Nielsen Media., 2010

Grafico 9 – Numero delle imprese investitrici in pubblicità 1990

Fonte: Nielsen Media+FCP , Universe: Number of enterprises, total market -without Dm

a cui appartengono le azien-quelle legate

Enterteinment.

La concentrazione del mercato pubblicitario italiano

en Media., 2010

Numero delle imprese investitrici in pubblicità 1990- 2009

without Dm

Page 41: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Le quote maggiori di investimento vengono destinateun numero piuttosto ristretto di imprese, in modo prefereziale sulla televisione, dove ciò è dovuto alle forti barriere all’entrata che il medium pone ai piccoli investitori, a causa degli elevati costi degli spazi e delle quote di affollamentospesso sature.

In estrema sintesi, questa è la situazione italiana

principali mezzi: Televisione: I mesi del 2009 hanno sempre segnalato un segno positivo del totale ascolto tv rispetto all’omologo priodo 2008, mentre calano le quote di ascolto delle sette mittenti generaliste a favore di satellitari e delle reti terrstri. Tra le reti del comparto terrestre, rientrano quelle digtali terrestri che possono contare su un aumento mensile di

Grafico 10 – Spesa media di investimenti e numero di aziende

per singolo mezzo nel 2009

Fonte: Nielsen Media, Commerciale Nazionale, 2010, senza Tv Sat, Out of home Tv ,

Transit e Cards

vengono destinate, da in modo preferen-

ziale sulla televisione, dove ciò è dovuto alle forti barriere pone ai piccoli investitori, a causa

degli elevati costi degli spazi e delle quote di affollamento

italiana dei

I mesi del 2009 hanno sempre segnalato un segno positivo del totale ascolto tv rispetto all’omologo pe-

alano le quote di ascolto delle sette e-a favore di satellitari e delle reti terre-

rientrano quelle digi-tali terrestri che possono contare su un aumento mensile di

Spesa media di investimenti e numero di aziende

Fonte: Nielsen Media, Commerciale Nazionale, 2010, senza Tv Sat, Out of home Tv ,

Page 42: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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telespettatori grazie all’incremento dell’universo possessori decoder digitale terrestre. Nel 2009 molte regioni hanno i-niziato lo switch over e il successivo switch off per l’abbandono della tecnologia analogica e fa sì che questo procedimento stia influenzando l’ascolto vo.28L’offerta DTT si sta arricchendo grazie alla nascita di nuovi canali (Premium Cinema, Premium Extra 1 e 2, Rai Storia, Sky Cielo, etc), mentre i livelli di penetrazione della IPTV sono invece ancora contenuti (rispetto ad altre espe-rienze europee). L’intervallo Gennaio-Marzo 2010 sullo stesso periodo del 2009, segna un +6%. Stampa: È il mezzo che soffre maggiormente la crisi. Dal 21 settembre 2009 è ripartita Audipress (l’indagine era stata sospesa all’edizione 2008.1) e da maggio 2010 sarà dispo-nibile con una nuova modalità di rilevazione: incremento del campione, 3 cicli all’anno e lettura online. I dati di dif-fusione, unico indicatore di andamento delle testate, resti-tuiscono una realtà molto critica. Quotidiani, settimanali e mensili registrano cali di vendite con pochissime eccezioni. Questa crisi strutturale della carta stampata, sommata alla congiuntura negativa degli ultimi 2 anni, sta penalizzando il mezzo in modo molto più grave rispetto agli altri mezzi. La situazione dei quotidiani si avvantaggia di un sistema mul-tipiattaforma sempre più consolidato e riconosciuto dagli investitori e si trasforma in on line news(paper) e free (pa-

per). Infatti se è vero che calano le vendite dei quotidiani cartacei, è anche vero che continua a crescere la lettura delle notizie attraverso i siti degli stessi quotidiani: un caso di grande successo è senz’altro “Repubblica.it” che, seppur prevede una sezione a pagamento, offre la maggior parte

28 Dal mese di maggio 2010 la Lombardia, la più popolosa regione

italiana, inizia il suo processo di passaggio al DTT attraverso lo switch

off di Rete4 e Rai2 sull’analogico e il conseguente passaggio al dtt.

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- 35 -

delle notizie in maniera free. Di contro, per quanto riguarda i periodici, risultano ancora poco diffuse le versioni web/digital, la cui lentezza è forse dovuta alla natura pro-pria di tale mezzo, destinato ad una fruizione in situazioni di maggior relax e nel tempo libero.

Nonostante la crisi del mezzo, si può tuttavia evidenziare come in realtà la gente continua ad aver fame d’informazione confezionata professionalmente e il pubbli-co consuma notizie in modi nuovi, soprattutto online. Que-sto pone non pochi problemi per gli editori che, guidati da Rupert Murdock a livello internazionale, si stanno battendo per rendere a pagamento le notizie online, sostenendo che il modello di business basato solo sulle entrate pubblicitarie non sia più sostenibile. Dopo il New York Times e il Wa-

shington Post, che hanno da tempo reso a pagamento l’accesso alle proprie notizie online, anche l’editoria giorna-listica inglese sembra intenzionata a limitare la gratuita dif-fusione delle notizie. Nello scenario italiano non sembra si arriverà a breve a percorrere questa direzione, ma si sottoli-nea come l’interesse degli editori italiani verso il mondo delle news online sia molto forte: ne è dimostrazione la ver-sione ad hoc de “La Repubblica” per il lancio dell’IPad di Apple, previsto per la fine di maggio 2010. L’intervallo Gennaio-Marzo 2010 sullo stesso periodo del 2009, segna un +11,3% per i Quotidiani, mentre un -10,3% per i Perio-dici. Internet: Dal punto di vista degli investimenti, Internet è uno dei pochi mezzi che in periodo di recessione mantiene un segno positivo; la sua crescita è ridimensionata rispetto alla previsioni passate, ma continua ad essere positiva anche per il 2009. La tipologia del keyword advertising, che è en-trata a far parte della rilevazione di Nielsen, sostiene la cre-scita degli investimenti sul mezzo, a discapito del display

Page 44: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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advertising che invece risulta essere in flessione. Per quanto riguarda gli utenti, il trend si conferma in crescita, sia per numero di utenti sia per tempo dedicato al mezzo, anche se la presenza nelle famiglie italiane della connessione in ban-da larga è ancora inferiore alla media UE. Di particolare in-teresse risulta essere la crescita dell’utilizzo di tutti i siti so-

cial, dove Facebook emerge come un vero fenomeno di massa mostrando come le attività social non siano solo pe-culiari dei target più giovani ma piuttosto stiano “conta-giando” anche i meno giovani.

Se consideriamo i luoghi di connessione, casa e lavoro risultano essere i due luoghi di accesso privilegiati, infatti sono entrambi in crescita e spesso sovrapposti: Un quarto degli utenti accede con regolarità sia da casa sia dall’ufficio. Gli altri luoghi di accesso sono stazionari, la scuola così come i luoghi occasionali (luoghi pubblici, casa di amici, etc), mentre cresce l’accesso in mobilità, soprattutto grazie alla diffusione della chiavetta Usb e dei nuovi telefoni dota-ti di tecnologia HSPDA29.

29 High Speed Downlink Packet Access, un protocollo introdotto

nello standard UMTS per migliorarne le prestazioni, aumentando la ca-pacità delle reti, ed ampliando la larghezza di banda che, in download, può raggiungere la velocità massima teorica di 14,4 Mb/s (da Wikipe-dia).

Page 45: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Infine, crescono gli utenti Internet ma soprattutto cresce il tempo che ogni utente trascorre online: a Dicemsiamo a 46 ore e mezzo trascorse online in un mesevise tra navigazione e utilizzo di applicazioni (oltre 130 minuti al giorno, tutti i giorni), questo dovuto soprattutto alla fruizione di video online e la diffusione delle modalità social che stanno alimentando la crescita del consumo di internet, tanto che su Facebook gli utenti trascorrono il 41%

Grafico 11 – I luoghi di connessione di Internet in Italia.

Grafico 12 – Modalità di connessione ad Internet

ma soprattutto cresce il Dicembre 2009

trascorse online in un mese, suddi-tra navigazione e utilizzo di applicazioni (oltre 1 ora e

, questo dovuto soprattutto fruizione di video online e la diffusione delle modalità

stanno alimentando la crescita del consumo di gli utenti trascorrono il 41%

I luoghi di connessione di Internet in Italia.

Page 46: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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del tempo dedicato a Internet30. Risulta chiaro, dunque, che passare più tempo online si traduce in meno tempo per le altre attività, minore esposizione ai mezzi classici in parti-colare, ma anche banalmente per altre attività, anche fisio-logiche, come il dormire. L’intervallo Gennaio-Marzo 2010 sullo stesso periodo del 2009, segna un +3%. Radio: Cresce l’ascolto della radio e si distribuisce su piat-taforme diverse, infatti oltre la radio nell’accezione più classica, troviamo la radio online, la radio mobile e la radio in TV. Per quanto riguarda il target di riferimento, esso è sempre concentrato sui 25-44 anni, ma anche gli under 25 anni mostrano interesse privilegiando l’ascolto sulle fonti alternative che rappresentano il futuro: web, tv, telefono e mp3. Dal punto di vista della fruizione, cresce l’ascolto fuo-ri casa grazie alla portabilità dei nuovi devices come il fe-nomeno Ipod e risulta sempre più forte il fenomeno del po-

dcasting che, insieme ad altre possibilità di personalizza-zione dell’offerta, va incontro alla richiesta di maggior segmentazione . Una particolarità di questo mezzo è che non finisce di stupire la forza dei brand delle emittenti, così forti che possono essere esportati con successo su altre piat-taforme, persino in televisione (ad esempio RTL 102.5 o Deejay TV lanciata nel mese di novembre 2009).

Un’ altra caratteristica molto interessante che gioca a fa-vore della radio è la sua complementarità con la televisione, infatti, la curva d’ascolto della Radio ha un andamento complementare a quello della televisione. I momenti di peak time della Radio, risultano essere durante la mattina e nel pomeriggio, in corrispondenza delle flessioni della tele-visione. Nella mattina la radio mantiene il suo ruolo di prin-

30 Dati GroupM 2010 su base Nielsen Online, 2009.

Page 47: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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cipale riferimento per l’informazione, mostrando una trazione superiore alla quella della televisione.

L’intervallo Gennaio-Marzo 2010 sullo stesso periodo

del 2009, segna un +12,6%. Cinema: La congiuntura economica negativa non agevola la crescita delle presenze nelle sale che già subisconoconcorrenza della visione casalinga dei film (tv satellitarehome video, iptv e internet). Di conseguenza, il calo di prsenze nelle sale va di pari passo con i riscontri negraccolta pubblicitaria. Tuttavia, il cinema sembra mostrare dei timidi segnali di ripresa, questo grazie al panorama delle sale cinematografiche che si è ormai rinnovato completmente quasi su tutto il territorio: le monosale sono quasi scomparse e riconvertite in impianti multiplex, multisale. Sono sempre più numerosi anche i circuiti di schermi digitali che offrono maggior flessibilità di pianifcazione, dove il mezzo continua a puntare all’offerta di op

Grafico 13 – La curva d’ascolto della radio e della televisione

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4

Radio

Televisione

, mostrando una pene-

Marzo 2010 sullo stesso periodo

negativa non agevola senze nelle sale che già subiscono la

tv satellitare, l calo di pre-

senze nelle sale va di pari passo con i riscontri negativi sulla cinema sembra mostrare

panorama delle è ormai rinnovato completa-

territorio: le monosale sono quasi , cityplex e

empre più numerosi anche i circuiti di schermi digitali che offrono maggior flessibilità di pianifi-

l mezzo continua a puntare all’offerta di ope-

La curva d’ascolto della radio e della televisione

H21 0

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razioni innovative (il cosiddetto below the screen) da af-fiancare alla comunicazione tradizionale. Infine è sempre più utilizzato il product placement, ovvero l’inserimento negli audiovisivi di forme pubblicitarie all’interno della diegesi, fenomeno facilitato dalla sua rego-lamentazione avvenuta nel 2004 attraverso il decreto Urbani (Legge n° 235, 06 ottobre 2004). L’intervallo Gennaio-Marzo 2010 sullo stesso periodo del 2009, segna un +32,4%. Out of Home: Pur essendo tra i mezzi più penalizzati dalla riduzione degli investimenti, l’OOH resta comunque un mezzo in continua evoluzione, tra i più capaci di innovarsi. È importante il contributo generato principalmente da tutte quelle forme non convenzionali che Nielsen, ancora oggi, non rileva: eventi, guerrilla marketing, ambient advertising, etc. Un punto a favore viene giocato dal know how che la consolidata presenza dei tre maggiori operatori internazio-nali (JCDecaux, CBS Outdoor e Clear Channel) mette in campo e che può favorire e consolidare lo sviluppo qualita-tivo e quantitativo dei prossimi anni. Il vero punto di forza di questo mezzo e che promette importanti sorprese per il futuro, è la crescente mobilità delle persone, infatti, tutti i giorni il 64% della popolazione31 utilizza del tempo fuori casa per effettuare viaggi e spostamenti a piedi, in auto o con i mezzi, per raggiungere il posto di lavoro/scuola, ne-gozi, supermercati, casa di amici e altri motivi. A questo sin aggiunge anche il fatto che l’attenzione alla pubblicità è diminuita per tutti i mezzi negli ultimi due anni, ad eccezio-ne dell’OOH che ha guadagnato quasi due punti percentuali ed è secondo solo alla televisione. Tra i veicoli dell’OOH sono infatti i poster e le postcard quelli con le più alte pe-

31 Dati GroupM su rielaborazione EMM 4W Ottobre 2009.

Page 49: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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netrazioni. Inoltre emerge che l’attenzione all’arredo urbano e ai mezzi pubblici è molto più elevata nei grandi centri (sopra i 100.000 abitanti).

Insomma, l’OOH è un mezzo dalle potenzialità molto

levate, forse ancora da scoprire ma soprattutto da tare in concreto. Nei prossimi capitoli del presente lavoro, si entrerà maggiormente nel mondo dell’Out of Home

della lunga e antica tradizione della pubblicità estertolineandone proprio l’importanza nello scenario attuale di ipermobilità del consumatore postmoderno. L’intervallo Gennaio-Marzo 2010 sullo stesso periodo del 2009, segna un +20,7% relativo all’affissione classica.

Tabella 1 – L’attenzione alla pubblicità per tipologia di mezzo.

’attenzione all’arredo urbano ezzi pubblici è molto più elevata nei grandi centri

Insomma, l’OOH è un mezzo dalle potenzialità molto e-levate, forse ancora da scoprire ma soprattutto da sperimen-

in concreto. Nei prossimi capitoli del presente lavoro, si Out of Home, erede

della lunga e antica tradizione della pubblicità esterna, sot-rio l’importanza nello scenario attuale di

L’intervallo Marzo 2010 sullo stesso periodo del 2009, segna

L’attenzione alla pubblicità per tipologia di mezzo.

Page 50: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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INTERVISTA a Paolo Duranti, Managing Director Nielsen

Media Research Southern Europe & South Africa

Concludiamo questo primo capitolo con un’intervista ad un professionista a capo della sede italiana di uno degli isttuti di ricerca più importanti al mondo. I dati raccolti durate l’intervista, offrono una chiara ed interessante sintesi delo stato di salute del mercato pubblicitario italiano ed intenazionale, corredati da diverse considerazioni sull’evoluzione dei media.

Paolo Duranti, entra in Nielsen nel 1984 nel reparto Client Service per poi passare a GFK Italia nel 1993 per una breve esperienza. Successivamente, inizia le operazioni di IHA Italia in qualità di Vice Direttore Generale . Ritorna in

Grafico 14 – L’andamento dei vari mezzi Gennaio/Marzo 2010 vs

stesso periodo 2009

Fonte: Nielsen Media, Commerciale Nazionale, 2010, senza Tv Sat, Out of home Tv ,

Transit e Cards

Director Nielsen

Media Research Southern Europe & South Africa

primo capitolo con un’intervista ad un professionista a capo della sede italiana di uno degli isti-tuti di ricerca più importanti al mondo. I dati raccolti duran-

sintesi del-ubblicitario italiano ed inter-

nazionale, corredati da diverse considerazioni

ntra in Nielsen nel 1984 nel reparto per poi passare a GFK Italia nel 1993 per una

izia le operazioni di IHA Italia in qualità di Vice Direttore Generale . Ritorna in

L’andamento dei vari mezzi Gennaio/Marzo 2010 vs

senza Tv Sat, Out of home Tv ,

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Nielsen nella divisione Media Research dal 2000 come Ma-

naging Director assumendo anche l’incarico di Responsabi-le Southern Europe e South Africa

32.

1. Dott. Duranti, è appena trascorso il primo semestre

del 2010. Come si sta comportando il mercato interna-zionale degli investimenti pubblicitari? Alla luce del bo-

om economico dei nuovi paesi emergenti - pensiamo al c.d. BRIC (Brazil, Russia, India, China) - gli equilibri ri-

mangono gli stessi, oppure la torta mondiale degli inve-stimenti si ridistribuisce?

Negli ultimi anni abbiamo potuto osservare come l'an-damento della spesa in pubblicità tenda a riflettere, seppur con alcune differenze, l'andamento dell'economia di un pae-se. Tale andamento è inoltre in generale più amplificato: ovvero in una economia in recessione gli investimenti in comunicazione subiscono una forte contrazione, mentre in una economia in ripresa spesso gli investimenti crescono in modo particolarmente vivace.

Questo probabilmente riflette maggiormente il clima di fiducia delle imprese piuttosto che i loro fatturati. Come nell'economia l'asse si sta rapidamente spostando verso est, altrettanto avviene negli investimenti in comuni-cazione: la crescita media globale del 4% è infatti la combi-nazione di andamenti piatti o ancora in lieve contrazione in US e in Europa con crescite vicine al 10% nei paesi delle economie emergenti e galoppanti.

In ogni caso l'indicazione positiva è che seppur con fati-ca anche i paesi segnati dalla profonda crisi del 2009 stanno rialzando la testa e riprendono coraggiosamente ad investire

32 Estratto da http://it.nielsen.com/company/PaoloDuranti.shtml

Page 52: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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in un contesto in cui ancora la ripresa non è a tutti gli effetti consolidata.

2. Soffermandoci sul contesto italiano, dati alla mano

sul primo semestre dell'anno, quali sono le prospettive per i restanti mesi? Il presidente di UPA, Lorenzo Sassoli

De Bianchi, ha parlato del 2009 come anno zero della pubblicità... condivide questa affermazione? Si vede un

po' di luce al di fuori del tunnel della crisi?

Ci sono due elementi di cui dobbiamo tenere conto nel

formulare una previsione per il 2010: il contesto economico e il relativo andamento dei settori della nostra economia da un lato e un po’ di algebra dall'altro.

Partendo da quest'ultima dobbiamo ricordare che l'annus

horribilis del 2009 già nell'autunno aveva dato alcuni se-gnali di un netto rallentamento della flessione favorendo il fatto che negli ultimi mesi del 2009 alcuni mezzi ( in parti-colare TV e Radio) riuscissero ridurre notevolmente il loro decremento: questo fa si che analizzando l'andamento del 2010 verso il 2009 abbiamo un primo semestre "favorito" da un 2009 estremamente negativo e da qui i segnali positi-vi di questa prima parte dell'anno.

Il contrario avverrà nella seconda parte dell'anno in cui dovremmo "fare i conti" con un andamento meno negativo della fine 2009 e questo porterà necessariamente ad una ri-duzione del tasso di crescita di circa il 4-5% misurato in questo primo semestre.

Venendo invece ai settori (i motori del mercato) dob-biamo senz'altro segnalare una ripresa vivace e convinta di tutto il mondo del Largo Consumo responsabile di quasi 1/3 dei totali investimenti, una tenuta dell'altrettanto importante settore delle TLC e un netto recupero di alcuni settori parti-

Page 53: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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colarmente depressi negli ultimi anni (Abbigliamento e Ar-redamento in primis).

Permane "l'incognita" dell'auto che, pur con l'andamento delle vendite particolarmente negativo, non può esimersi dal comunicare l'introduzione sul mercato di nuovi modelli. In sintesi siamo senz'altro vicini alle previsioni comunicate da UPA e le nostre stime parlano di una chiusura intorno al 2.5%.

3. Parliamo di media mix: Alcuni sostengono che lo

scorso anno, nel mercato UK, il medium Internet abbia

detronizzato la TV, regina storica e indiscussa. Aldilà del-la particolarità del contesto inglese - dove la penetrazio-

ne di Internet è al di sopra di altri paesi - ritiene che il mezzo, nelle sue diverse forme di investimento (Display,

Search, Dem), rivoluzionerà le scelte future degli inser-zionisti? Tutto ciò senza dimenticare il boom dei social

media.

Lo scenario dei Media è davvero in grande fermento e

questo offre l'opportunità per chi investe di scegliere in un bouquet estremamente più ricco di mezzi. Il grande tema è quanto i mezzi più recenti (Internet e il mondo digitale in genere) sottraggano risorse ai mezzi classici o piuttosto si aggiungano ad essi aumentando lo spending complessivo.

La domanda non ha ancora una risposta completa e defi-nita in quanto la costruzione di un nuovo modello di media mix è ancora in corso e molte aziende che investono si muovono con grande cautela, cercando di ottimizzare al meglio la spesa sui mezzi classici e di destinare risorse suf-ficienti ai nuovi media per poterne comprendere a fondo le potenzialità e il loro funzionamento.

Page 54: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Con questa premessa è indubbio che la share di investi-menti sull' online è destinata a crescere, come peraltro sta già crescendo, allo stesso tempo i mezzi classici sono in grado di tenere le loro posizioni anche attraverso un impor-tante lavoro di restyling e di aggiornamento della loro pro-posta editoriale e commerciale.

Internet, che oggi si ritaglia una quota di circa il 7% (di cui circa metà display e metà search), crescerà soprattutto sul display e sulle nuove forme di advertising legata ai so-cial network e il suo tasso di crescita del 10% sarà ben su-periore a quello previsto per la media del mercato. TV radio e stampa che insieme detengono oltre l'80% del mercato a-vranno il compito di rinnovarsi per poter tenere la loro posi-zione e soprattutto integrarsi con i mezzi digitali per poter meglio rispondere alle più sofisticate esigenze degli adver-

tiser. 4. Cosa pensa dell'Out of Home? La pubblicità esterna,

pur rimanendo la cenerentola dei mezzi, sembra quella

che sta facendo più attenzione all'innovazione. Oggi tro-viamo nuovi veicoli OOH che, grazie alla tecnologia, of-

frono un'interazione maggiore con il consumatore e lo accompagnano nelle sue crescenti esigenze di mobilità:

Qr-Code stampati sui poster o come "domination" su pa-lazzi, leggibili dagli smartphone; Bluetooth push installati

negli impianti di arredo urbano, in grado di segnalare tempestivamente offerte o informazioni. Infine, pensia-

mo anche al Digital Signage, sempre più presente nel cir-cuito Transit.

La domanda contiene già buona parte della risposta: le

diverse forme di OOH sono caratterizzate da un altissimo livello di innovazione non solo tecnologica ma anche in

Page 55: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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termini di proposta di comunicazione per il consumatore. Due sono quindi gli assi su cui il mezzo può costruire la propria crescita che peraltro si sta rapidamente manifestan-do in tutti i paesi del globo.

I luoghi in cui le persone transitano o sostano sono dav-vero tanti e pertanto le opportunità per questo mezzo sono davvero straordinarie, senza contare la componente di alta tecnologia che rende l'OOH particolarmente accattivante e addirittura trendy.

Come ricercatore potrei aggiungere una nota tecnica: le diverse forme con cui l'OOH si può manifestare aprono un dibattito interessante sulla sua classificazione (esterna, arre-do urbano, TV digitale, etc...). Tale aspetto non è soltanto un quesito di natura accademica o da addetti ai lavori ma rappresenta un importante valutazione sulla natura stessa del mezzo e delle sue conseguenti implicazioni in termini di scelta del target e di linguaggio creativo.

5. Per concludere, parliamo del Mobile: Cresce il nu-

mero degli smartphone, telefoni cellulari in grado di svolgere moltissime funzioni e di connettersi con facilità

ad Internet. Data la forte richiesta di connettività, di sta-re "always on" e in mobilità, dove tra l'altro c'è chi parla

addirittura di una prossima saturazione delle frequenze destinate alla banda larga mobile, ritiene che il boom di

questo fenomeno inciderà sugli investimenti pubblicitari del medium Internet e su quelli complementari come

l'OOH?

Consapevole di correre il rischio di essere tacciato come

"conservatore", ritengo che il Mobile sia un chiaro esempio di una grande opportunità non ancora sfruttata. La penetrazione totale, l'utilizzo elevatissimo, le funzionali-

Page 56: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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tà praticamente illimitate rappresentano di per sé un insieme di prerequisiti necessari a farne un media a tutti gli effetti.

Se oggi consideriamo le cifre destinate agli investimenti su tale mezzo (anche negli US) potremmo un po’ semplici-sticamente dire che il mezzo si ritaglia una quota davvero marginale. Ma non sarà così per molto.

Tra lo stato ad oggi e il suo sicuro sviluppo c'è ancora parecchia sperimentazione da fare sull'individuare le moda-lità, i meccanismi e i linguaggi per poter sfruttare a pieno tutte le immense potenzialità di tale strumento. Ciò che è più difficile stimare è quanto tempo ci vorrà: ma ultima-mente siamo molto abituati a osservare fenomeni che cre-scono esponenzialmente e apparentemente senza preavviso.

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Capitolo 2 –Postmodernità, ergo post-

marketing?

La postmodernità

Aggiungere il suffisso post davanti ad ogni sostantivo, sembra oggi essere una pratica al quanto diffusa, non solo tra chi si occupa di studiare le dinamiche evolutive della so-cietà, ma anche da parte di una fitta schiera di giornalisti, opinionisti e da tutto lo show business in generale. Abbiamo scelto per questo lavoro, proprio un titolo che si colloca lungo questa tendenza, utilizzando per esso il significato comune del suffisso post, ovvero quello di “dopo” e nel primo capitolo abbiamo espresso alcune considerazioni sof-fermandoci sul neologismo post-pubblicitario riferito al mercato, giusta sintesi del titolo di questo lavoro. Tuttavia, gli studiosi sembrano essere concordi sul fatto che parlare di postmodernità, non si riduce a considerare un’epoca suc-cessiva a quella della modernità, bensì ad una sua radicaliz-

zazione. Dunque, postmoderno, pur essendo un termine molto ut-

lizzato e di comune utilizzo, non viene considerato dai più un “buon termine”. Fabris1, ritiene che esso sia tale poiché non indica una specifica fase storica come lo sono state la modernità, l’illuminismo, il romanticismo che indicavano il superamento della rispettiva fase precedente. L’autore ritie-ne che esso non sia in grado di definire in modo chiaro l’inizio di un nuovo corso. Pur ritenendo che non esiste una

1 Cfr. G. Fabris, op. cit.

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teoria generale della postmodernità – e semmai “tanti bran-delli nemmeno tanto organizzati di una visione del mondo” – egli identifica comunque delle caratteristiche che descri-vono il fenomeno. Essa è “presa di distanza dai grandi miti della modernità: ordine razionale; efficienza tecnologica; il primato della produzione; l’equivalenza tra prezzo e quali-tà”2. Ciò che alimenta la postmodernità – secondo il socio-logo – è la profonda rivoluzione tecnologica in atto, il dif-fondersi della tecnologia digitale, l’avvento della società dell’informazione e dei nuovi media. Anche i nuovi modi di produzione che hanno consentito la delocalizzazione pro-duttiva e la globalizzazione dei mercati, sono una caratteri-stica di questa nuova era. La rivoluzione digitale, da ritener-si non meno importante della Rivoluzione Industriale del Diciottesimo e Diciannovesimo secolo, sarebbero – secondo Fabris – l’evento che ha sancito la fine dell’Era della Mo-dernità.

La scienza postmoderna, secondo Brown – citato da Fa-bris – “si fonda sul rifiuto della visione del mondo meccani-cistica, deterministica, statica e particolaristica della scienza moderna a favore di un nuovo paradigma basato sui principi dell’incertezza, del caos, dell’evoluzione e dell’olismo”3. Dunque, questa nuova fase della società sarebbe caratteriz-zata da complessità e turbolenza. Questi fattori erano pre-senti anche nella modernità, ma erano considerati come “fattori di disturbo”, mentre oggi – prosegue Fabris – di-vengono fattori costitutivi, condizioni normali dell’esistenza. Ciò che dovrebbe fare l’uomo di oggi, non consiste tanto nel risolvere o ridurre tale complessità, bensì imparare a gestirla.

2 G. Fabris, op. cit., p. 31. 3 S. Brown, Post Modern Marketing, Routledge, New York, 1995 in

G. Fabris, op. cit, p. 24.

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Attraverso una terminologia differente, c’è chi cerca di distaccarsi dal tanto “antipatico” suffisso post, preferendo descrivere il medesimo fenomeno attraverso il ricorso al termine ipermodernità. Vanni Codeluppi, ritiene ormai su-perato il termine “postmoderno”, lanciato alla fine degli an-ni Settanta dal filosofo francese Jean-Francois Lyotard, so-stenendo che esso è un concetto molto diffuso nei paesi an-glosassoni “per indicare una crescente frammentazione e di-sgregazione della cultura sociale e la sempre maggiore im-portanza assunta dalle componenti simboliche ed estetiche della vita quotidiana degli individui”.4

Codeluppi, preferisce quindi parlare di ipermodernità, sostenendo che “ciò che stiamo attraversando, più che un passaggio ad una situazione post, a una realtà totalmente di-versa da quella da quella che caratterizzava la modernità, si tratta di una fase in cui la stessa modernità viene portata all’eccesso ed è soggetta ad un processo di accelerazione di tutti i principali fenomeni che l’hanno sempre contrassegna-ta [ovvero]: un’evoluzione storica lineare e relativamente statica, cede il posto ad un’evoluzione discontinua e sempre più veloce e rapida nel suo movimento; […] la situazione di crescente benessere della maggior parte della popolazione allenta la dipendenza da esigenze legate alla necessità di sopravvivenza e favorisce lo sviluppo degli aspetti espressi-vi, simbolici e comunicativi; […] la tradizionale egemonia della cultura maschile, razionale e rigorosa, viene affiancata da una cultura androgina, che tende ad avvicinare i due ses-si, ma anche i due differenti emisferi del cervello, fondendo

4 V. Codeluppi, Manuale di sociologia dei consumi, Carocci, 2005,

p. 36.

Page 60: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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così razionalità ed intuizione, rigore e fantasia, concretezza e spiritualità”5.

Il sociologo inglese Anthony Giddens, sembra mostrare posizioni più nette nel rifiutare il termine “postmodernità”, sostenendo che in realtà non siamo usciti dalla modernità, ma ne stiamo vivendo proprio una radicalizzazione;6 Tra l’altro non è il solo a leggere in questo modo l’evoluzione della società, infatti anche Alain Touraine si spinge a defini-re l’epoca attuale come una modernità limitata, ovvero “in-compiuta”.

Il sociologo inglese, ritiene dunque che sia inutile inven-tare nuovi termini (come quello postmoderno) ma è piutto-sto opportuno guardare alla natura della modernità stessa, poiché essa è stata poco compresa dalla scienze sociali. Giddens, discostandosi dalle tesi prevalenti, adotta un ap-proccio che egli stesso considera “discontinuista”, soste-nendo piuttosto che la modernità – e più in generale la sto-ria del genere umano – sia caratterizzata da alcune disconti-

nuità. Questo approccio smonta le tesi dell’evoluzionismo sociale, ovvero quelle che considerano la storia come una “sommatoria” evoluzionistica, e sostiene invece che essa non abbia avuto un moto lineare, bensì discontinuo. In-somma, l’attuale fase storica che stiamo vivendo, iniziata con la rivoluzione digitale – che dai più viene definita “po-stmoderna” – altro non sarebbe che una radicalizzazione prodotta da una delle discontinuità dell’epoca moderna.

5 C. Codeluppi, op. cit., pp. 36-37. 6Cfr. A. Giddens, Le conseguenze della modernità, Il Mulino, 1994

(1990).

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Dalle origini (moderne) del consumo al consumo postmo-

derno

Tra gli studiosi dei consumi, non esiste attualmente una visione comune, tant’è che le varie teorie formulate riguar-do alle origini dei consumi, sembrano esser figlie delle ap-partenenze disciplinari degli studiosi che le hanno prodotte. Tuttavia, questo apparente problema, può rivelarsi il punto di forza proprio perché l’eterogeneità delle vedute arricchi-sce notevolmente ciò che sappiamo oggi sul consumo, così come lo conosciamo nelle società occidentali. Il panorama delle teorie sulle origini del consumo vede toccare diversi ambiti. Vanni Codeluppi, propone un’interessante sintesi dei vari approcci: dal commercio (Mukerji, 1983); dalla po-litica (McCracken, 1988); dall’economia (McKendrick, Brewer, Plumb, 1982); dal lusso (Sombart, 1988); dallo spettacolo delle merci (Codeluppi, 2000); dalla cultura ro-mantica (Campbell, 1983,1992); dall’etica (Lears, 1983)7. Si ritengono maggiormente importanti per il nostro oggetto di studio quelli che ricercano le origini nel commercio, nell’economia e nello spettacolo delle merci, perchè legati tra di loro e perché seguono un continuum.

Mukerji, ritiene che la cultura del consumo delle società occidentali è stata preceduta dalla cosiddetta “rivoluzione commerciale” avvenuta nel Quindicesimo e Sedicesimo se-colo. Tale rivoluzione ha reso disponibile per la prima volta sui diversi mercati dell’Europa, una vasta gamma di prodot-ti nuovi e sconosciuti, provenienti dalle colonie negli altri continenti. Immediatamente legato a questo approccio c’è quello che ritrova le origini nell’economia. Anche se McKendrick, Brewer, Plumb, spostano in avanti le origini di circa duecento anni rispetto a Mukerji, facendo coincide-

7 Cfr. V.Codeluppi, op. cit., 2005.

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re la nascita del consumo con la Rivoluzione Industriale e la produzione di massa, è evidente che la rivoluzione indu-striale è stata possibile anche grazie alle materie prime e in-novazioni prodotte dalla Rivoluzione Commerciale. Questa fase è quella che vede la nascita di alcune discipline come il marketing o la pubblicità, nella loro rispettiva fase di proto

marketing e proto pubblicità, necessarie per portare a cono-scenza dei soggetti (futuri consumatori) i nuovi beni della produzione di massa. Legata a questa concezione della na-scita del consumo e complementare ad entrambi gli approc-ci citati, si colloca la teoria di Codeluppi, il quale sostiene che la cultura del consumo è riconducibile alla “vetrinizza-zione delle merci”. La cultura occidentale del consumo eb-be inizio quando i negozi iniziarono a dotarsi di vetrine che rendessero visibili i prodotti e che catturassero gli sguardi dei soggetti che popolavano le strade. Questa nuova conce-zione, figlia anche della cultura dell’esposizione vigente nella seconda metà dell’Ottocento, fa si che nascano luoghi deputati al consumo come i grandi magazzini, cattedrali del consumo come verranno più avanti definite (Ritzer, 2000), all’interno dei quali trovassero posto tutto ciò che la produ-zione di massa era in grado di produrre.

Se riflettiamo un attimo, ci accorgiamo che quest’ultimo approccio descrive un processo che si è evoluto fino ad oggi e che trova nel centro commerciale il tempio sacro del con-sumo, aggregatore di marche e contenitore dei suoi discorsi che sostituiscono i suggerimenti dei negozianti di fiducia sotto casa di un tempo. Oggi non più luogo di consumo, ma anche luogo di interazione sociale e soprattutto di esposi-zione ai messaggi pubblicitari. Troveremo più avanti dei ri-scontri pratici a quanto sosteniamo qui e descriveremo in particolare i nuovi circuiti del consumo e le nuove forme di

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pubblicità out of home. Ma come si arriva a parlare di con-sumo postmoderno?

Innanzitutto, possiamo sottolineare che dalle origini del consumo e fino all’epoca moderna, il significato del “con-sumare” rispecchiava la sua etimologia latina di consumere, ovvero di “deteriorare, esaurire”. Dunque, il suo significato era esclusivamente di tipo fisico, inteso come logorio, di-

struzione di un bene. Oggi, possiamo sostenere che l’atto di consumo è una produzione di senso, proprio perché gli in-dividui non consumano soltanto oggetti, ma piuttosto segni.

Possiamo fare riferimento ad alcune proposte teoriche avanzate a partire dagli anni Settanta in poi e che oggi costi-tuiscono la base per la comprensione del consumo e in par-ticolare del consumatore. Si deve alla Scuola di Birmin-gham il principale contributo che assegna al consumatore un ruolo attivo e creativo, e il tentativo di risemantizzare in senso positivo il concetto di cultura di massa. Il consumato-re viene dunque considerato come attivo costruttore del sen-so dei prodotti che consuma e rielabora ai propri fini, ciò che gli viene proposto dai media e dalle imprese.

Un altro approccio interessante è quello di Bauman, il quale ci permette di riprendere le considerazioni riguardo alla modernità e postmodernità, espresse nel precedente pa-ragrafo e di innestarle nel solco dei consumi. Secondo Bauman, la modernità ha attraversato due fasi: una prima che denomina “modernità industriale” e che si è caratteriz-zata per aver forgiato gli individui come “produttori”, una massa in grado di far fronte alla domanda di manodopera dell’industria nascente. La seconda fase, definita da Bau-man come “modernità liquida” – e che corrisponde alla po-stmodernità di cui si è parlato in precedenza – è caratteriz-zata da una struttura sociale in perenne cambiamento, dove gli individui abbandonano i panni dei “produttori” per vesti-

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re quelli di “consumatori”. Bauman propone qui una delle tante dicotomie che si pongono a cesura tra epoca moderna ed epoca postmoderna (produzione vs consumo) e che ne racchiude implicitamente anche un’altra di cui lo studioso polacco parla apertamente (repressione vs seduzione). Egli sostiene che nel capitalismo della modernità liquida, viene abbandonata la formula di controllo sociale fondata sulla “repressione” (che caratterizzava la dimensione della pro-duzione) per passare invece a quella della “seduzione”, ov-vero una totale libertà di azione sul mercato per le persone. Questa seduzione messa in atto dalla pubblicità, consiste-rebbe in una “naturalizzazione del bene” che attraverso l’associazione a testimonial si trasforma da stimolo neutro a stimolo condizionato, in grado di sedurre i consumatori8.

Queste che abbiamo appena riportato sono solo due delle tante dicotomie legate ai consumi e che segnano il passag-gio alla nuova epoca. Fabris, ha proposto una serie di altre contrapposizioni: al bisogno si contrappone il desiderio; al-la razionalità le emozioni e i sentimenti; alla funzionalità l’estetica; al valore d’uso dei prodotti il loro significato.

Secondo quest’ultimo, il consumo nell’era della moder-nità non ha ricevuto una legittimità perché stato sempre considerato un de cuius della produzione e di conseguenza gli studi sociali hanno messo prevalentemente la propria lente su aspetti come il lavoro, il sindacato e la fabbrica. All’opposto, prosegue lo stesso, nell’era della postmoderni-tà il consumo assume una centralità che in passato non ave-va mai avuto: esso può dotarsi di uno statuto epistemologi-co autonomo. Il principale assunto che la nuova epoca rifiu-ta rispetto alla modernità è l’idea di un consumatore che persegue atomisticamente i propri obiettivi di consumo,

8 Cfr. Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002,

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scollegato dagli altri suoi simili. Piuttosto, egli è calato in un contesto sociale dove condivide e scambia segni, dialoga con i prodotti e con le marche.

Identikit del nuovo consumatore

L’aggettivo “nuovo” indica che il consumatore della po-stmodernità si spoglia dei panni che aveva vissuto nell’epoca precedente e si appresta ad indossarne di nuovi, cambiandoli frequentemente. È un soggetto eclettico, orien-tato al pragmatismo.

Alla base del nuovo approccio al consumatore c’è una presa di coscienza da parte degli studiosi che si realizza in un generale affrancamento del consumo dalla dimensione prettamente economica. Per tanto tempo il consumatore è stato considerato come un soggetto razionale, onnisciente e proteso alla massimizzazione dell’utilità. È questo quanto andavano affermando le teorie normative, quelle di matrice economica neo-classica, assumendo che i decisori economi-ci (consumatori e non solo) agissero seguendo una scala soggettiva di preferenze sempre costante, accedendo a tutte le informazioni necessarie ed avendo una capacità illimitata di elaborare tali informazioni. Si deve agli studi di Herbert Simon (Theory of bounded rationality, 1955)9 il contributo scientifico che ha dato l’avvio al progressivo abbandono degli approcci economici di matrice normativa. Simon fece notare che il modello di azione razionale si adattava poco a descrivere l’agire e il decidere in situazioni normali. A giu-dizio di chi scrive, i suoi principi potrebbero piuttosto esse-re eretti a parametri per effettuare un benchmark, alla stessa modo con cui vengono trattati gli asserti presenti nel model-

9 Cfr. L. Mannetti ( a cura di), Introduzione alla psicologia econo-

mica, Carocci, Roma, 2004.

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lo di concorrenza perfetta, che viene appunto utilizzato per confrontare i mercati reali con uno ideale di riferimento. Simon, nel motivare l’abbandono di tale modello, sostiene che la molteplicità delle variabili intervenienti in una deci-sione renderebbero impossibile una sua previsione. Dunque, l’autore propone una razionalità come ottimizzazione (ra-

tionality as optimization), dove il decisore economico (il consumatore), rispetto alla complessità ambientale della vi-ta di tutti i giorni, cercherà di porre rimedio adottando stra-tegie di semplificazione10 e si adeguerà a soluzioni non massimizzanti ma semplicemente soddisfacenti.

È per questo motivo che Fabris ritiene che il consumato-re postmoderno non abbia “niente in comune con quell’ homo oeconomicus che le scienze economiche ci avevano tramandato e con cui il marketing ha a lungo trescato”. Sul-lo stesso solco del filone degli studi sulla razionalità limita-ta, lo stesso ritiene che la razionalità nelle scelte di consumo finisce per essere anacronistica ed obsoleta, poiché l’atto del consumo non è scollegato da fattori psicologici, emotivi e di scambio sociale.

A questo proposito, propone di ridefinire l’etichetta del consumatore:

10 Per esempio si servirà di euristiche, ovvero di scorciatoie cogniti-

ve, ovvero strategie che permettono la semplificazione della realtà. I principali studi sull’argomento sono ad opera di due psicologi israeliani – tra cui un Premio Nobel – Tversky e Kahneman (1982). Le più comu-ni sono: euristica della rappresentatività; euristica della disponibilità; euristica dell’ancoraggio e aggiustamento. Molto frequente è quella della “disponibilità”, attraverso la quale i soggetti nelle proprie condotte economiche volte ad un decisione, sfrutterebbero ai fini dell’azione proprio le informazioni che risultano essere più disponibili. Pensiamo ad esempio all’acquisto di un prodotto: con ogni probabilità acquiste-remo quello di cui ci ricordiamo la pubblicità a cui siamo stati esposti più di recente.

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Consumatore è infatti l’individuo che, fra i suoi tanti com-portamenti della vita di ogni giorno – lavorare, leggere, provare emozioni, pregare, fare l’amore – annovera anche il consumare. Il fatto che il consumo implichi un esborso di denaro non altera certo il significato eminentemente psicologico e socioculturale del consumo. Non trasforma il consumo da “agire sociale dotato di senso” a categoria economica. [anzi il termine “consumatore”] non solo è datato ma sottende ad un’ideologia economicista che non ha più ragione di esistere11.

Nell’epoca della postmodernità avviene un paradigm

shift, in cui il consumatore come specchio del materialismo e dell’isolamento, si trasforma in nodo di socialità, inserito in un network di relazioni dentro le quali consuma segni, dialoga con i prodotti. È un soggetto che contribuisce alla dematerializzazione del valore d’uso dei prodotti, dove l’intangibilità sovrasta la tangibilità e i prodotti si trasfor-mano in segni. Il nuovo consumatore sembra non voler più accettare passivamente tutto ciò che gli viene proposto, ma vuole essere parte del processo di costruzione dei suoi biso-gni. Si tratta di soggetti che si destreggiano tra le varie al-ternative del mercato, provando un senso di smarrimento, quel disincanto dal mondo di cui parlava Weber e che ha ri-preso anche George Ritzer. Il nuovo consumatore si tra-sforma in nouveau flaneur, quel soggetto che si inebriava del profumo delle merci dei passages dei grandi magazzini di fine Ottocento.

Michel Maffesoli, individua tre tendenze fondamentali delle scelte di consumo del consumatore postmoderno. Una prima tendenza vede il soggetto effettuare una vera e pro-pria immersione nelle esperienze sensoriali che ritrova nella sua individualità e sociali, dove tutto diventa esperienza da

11 G. Fabris, op. cit., pp. 38-39.

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vivere. La seconda tendenza è quella della contaminazione, dove il consumo si caratterizza per una sorta di melting pot, di patchwork e sincretismi, in cui elementi apparentemente contrastanti come “emozione” e “ragione” si amalgamano tra di loro. L’ultima tendenza individuata dal sociologo francese è quella del nomadismo ed coincide con l’idea di consumatore flaneur di cui si fa più volte riferimento in questo lavoro, un consumatore “bighellone” alla ricerca di esperienze12.

Anche Bauman descrive le caratteristiche del nuovo pro-tagonista della “modernità liquida”. Si tratta di un soggetto sempre in movimento, in perenne stato di eccitazione e che non fissa mai la propria attenzione su qualcosa in maniera definitiva. Egli procede secondo un case by case approach, valutando volta per volta ogni circostanza. Per questi sog-getti il capriccio prende il posto del desiderio – che a sua volta aveva già soppiantato il bisogno – e il piacere sta nell’attesa piuttosto che nella soddisfazione del “capriccio”. Dunque, secondo l’autore polacco, lo scopo del gioco del consumo sarebbe non tanto nella volontà di acquisire e pos-sedere, quanto nell’eccitazione derivante dal provare sensa-zioni nuove13.

È proprio il crescere di importanza degli aspetti emotivi che sposta l’attenzione su un terreno del quale gli studi sul consumatore non si erano mai occupati. Le battaglie per la diminuzione delle differenze tra i due sessi hanno dato luo-go ad una progressiva comprensione che gli aspetti emotivi non sono appannaggio esclusivo del sesso femminile. Anzi, oggi si riconosce il ruolo chiave delle emozioni all’interno

12 Cfr. A. Rea, Dispense di Brand Management 2009/2010, p. 7.

13 Cfr. Z. Bauman, op. cit., 2000.

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delle decisioni e scelte di consumo. Ci si rende conto che l’idea che ha dominato tutta la modernità – secondo la quale le emozioni costituivano una fonte di disturbo nei processi decisionali – era fondamentalmente sbagliata. Secondo Lu-cia Mannetti, citando le teorie di Hanoch, le emozioni non solo non costituirebbero un intralcio, ma piuttosto sarebbero in grado di spiegare alcuni processi decisionali che neanche le teorie della razionalità limitata sono state in grado di spiegare: come si decide quale priorità dare ai diversi scopi? Come fa il consumatore a scegliere le alternative che il mercato gli propone? Le emozioni, dunque, permetterebbe-ro al consumatore di focalizzare l’attenzione su un numero limitato di informazioni e permettere una decisione14.

La pubblicità ha da tempo compreso la centralità degli aspetti emotivi nei processi di persuasione. I suoi messaggi vengono intrisi di emozionalità e in pieno coerenza postmo-derna, essi vengono tarati lungo l’onda del simbolico, dell’intangibile. Il ruolo delle emozioni nelle decisioni può essere spiegato con il fatto che il principale modo attraverso cui la pubblicità persuade, è quello di far immaginare gli e-siti delle proprie scelte e di associare a tali esiti delle rea-zioni emotive. Così, acquisteremo il prodotto la cui promise è quella di farci star bene con noi stessi, di piacerci e di pia-cere, di sentirci parte di una comunità o di una determinata classe sociale. Il postmoderno si differenzia dal moderno anche perché è avvenuto un progressivo shift dall’emisfero sinistro del cervello (razionale) a quello destro (emotivo), trasgredendo il primato della cultura occidentale, da sempre fondata sua razionalità. Questa logica permea tutte le di-mensioni del sociale e fa sì che neanche l’economia e i con-sumi possano dichiararsi immuni.

14 Cfr. L. Mannetti, op. cit., 2004, pp.66-70.

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Il branding postmoderno si è accorto di questo e vedia-mo come i progetti di marca vengono arricchiti di elementi in grado di suscitare emozioni, in piena logica di fine tu-

ning, di “buona sintonizzazione” con l’evoluzione del con-testo, dello zeitgeist (spirito del tempo).

Kevin Roberts, CEO WorldWide di Saatchi & Saatchi, ha costruito la mission aziendale proprio sul suscitare emo-zioni, proponendo una rivoluzione espressa in questi termi-ni:

Perché mai dovremmo lasciar fuori le emozioni dal business, se sono così importanti nella nostra vita quotidiana? Al lavoro abbiamo bisogno esattamente degli stessi stimoli che creano re-lazioni profonde in famiglia e tra amici15.

Roberts dimostra l’irruzione delle emozioni nel business e nelle logiche di marca, invitando a dare uno sguardo alle recenti pubblicità del settore automotive, dove le emozioni legate al possesso dell’auto hanno sostituito o messo in se-condo piano, il solito elenco degli optional. Così come af-ferma anche Fabris, sostenendo che le automobili che la pubblicità ha sempre descritto in termini di affidabilità, si-curezza, velocità, si trasformano in oggetti di desiderio per il comfort, il piacere, l’armonia e si configurano come vere e proprie “seconde case”16.

Il consumatore postmoderno, dunque, è alla ricerca di emozioni che trasformano ogni atto di acquisto o di fruizio-ne in un’esperienza da vivere.

15 K. Roberts, Effetto Lovemark, Franco Angeli, Milano, 2007, p. 3 16 Cfr. G. Fabris, L. Minestroni, Valore e valori della marca, Franco

Angeli, Milano, 2004, pp. 81-83.

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Il marketing fino a “ieri”

Il marketing secondo le teorie più diffuse, vede la sua o-rigine nel momento in cui grosse masse di beni, frutto della Rivoluzione Industriale, dovevano essere spostate dai nego-zi alle abitazioni dei nuovi attori del mercato di massa: i consumatori. Il concetto di marketing è strettamente legato a quello di “distribuzione”, non solo perché essa rappresen-ta uno dei pilastri del marketing mix (4P), ovvero di tutti quei fattori/leve influenzabili ai fini della vendita, ma so-prattutto perché, è grazie ad essa che i beni possono giunge-re a destinazione. È attraverso di essa che avviene il proces-so di scambio che garantisce la discesa dei beni e servizi da chi li ha prodotti a chi li consuma e parallelamente, la risali-ta delle informazioni dal mercato alla produzione. Nell’epoca del pre-marketing, i beni venivano spostati dalle fabbriche alle case dei consumatori, attraverso una catena che toccava più anelli, come ad esempio quello dei distribu-tori e dei dettaglianti. L’introduzione del marketing, rispetto alla condizione precedente, introduce alcuni concetti fon-damentali utili a comprenderne gli sviluppi: quello di cono-

scenza, quello di pressione e quello di strategia. Giovanni Peroni, sostiene che l’introduzione del marketing rivoluzio-na la distribuzione, poiché essa “non è più un nastro tra-sportatore puro e semplice, ma un tubo capace di trasmette-re anche la pressione, quella pressione che è necessario e-sercitare per conquistare ed orientare le scelte dei destinatari finali17.

Peroni descrive con queste parole il marketing concept:

17 G. Peroni, Fondamenti di marketing turistico territoriale, Franco

Angeli, Milano, 2008, p. 34.

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Sotto il profilo contenutistico, il marketing non è che la vec-chia distribuzione bidirezionale integrata del concetto di cono-

scenza di ciò che il mercato vuole, di pressione per indurlo a scegliere i prodotti di una marca piuttosto che quelli di un’altra, quindi, di strategia che indica dove, come, in quali momenti e verso quali consumatori l’azienda deve esercitare tale pressio-ne.18

Tra le varie teorie riguardo la nascita del marketing si ri-scontra un quasi totale accordo sulle fasi in cui esso si è scandito lungo la storia. Ciascuna fase evolutiva – e di con-seguenza l’orientamento aziendale prevalente – è dipeso so-stanzialmente dalla relazione intercorrente tra domanda e offerta.

La prima fase è quella dell’orientamento al prodot-

to/produzione (fino al 1930), dove la domanda è superiore all’offerta e dunque fa si che l’azienda si chiuda su se stessa concentrandosi sulla produzione. La seconda fase è quella dell’orientamento alle vendite (1930-1950) ed è caratteriz-zata dalla competizione crescente tra le aziende, in cui la re-lazione tra domanda e offerta risulta essere in equilibrio. In questa fase si è ritenuto che il consumatore potesse essere indotto all’acquisto di un prodotto attraverso delle tecniche di persuasione. Infatti è il periodo in cui si afferma la pub-blicità e le promozioni. La terza fase è quella dell’orientamento al mercato (1950-1970), in cui si com-prende che per aumentare le vendite è necessario trovare so-luzioni ai problemi della clientela. Per fare ciò è necessario studiare il consumatore e conoscere anticipatamente i suoi bisogni, per poi costruire un’offerta di massa. La quarta fase è quella dell’orientamento al cliente e rappresenta una sorta di evoluzione dell’orientamento precedente, che vede però l’impresa concentrarsi sempre più sul singolo cliente. È in

18 Ibidem, p. 36.

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questa fase che il marketing scopre che ciò che è importante non è “vendere a tutti i costi”, ma conoscere i bisogni del cliente ed aiutarlo ad acquistare19.

La crisi: verso il postmoderno

Cova, Giordano e Pallera20, in un recente saggio, hanno evidenziato come il marketing e in generale il mondo delle imprese, stia vivendo una fase di crisi. Gli autori evidenzia-no come si stia diffondendo una certa cultura della diffiden-za nei confronti della comunicazione delle imprese, agenzie di comunicazione ed istituti di ricerca. Sostengono che la crisi generale che si sta abbattendo sui mercati e su tutte le strutture tipiche della società moderna, colpisce anche il marketing e lo costringe a ridisegnare i proprio confini epi-stemologici. Si parla di una crisi che ha fatto cadere tutte le certezze che gli uomini del marketing avevano avuto fino a poco tempo fa, una crisi che gli stessi definiscono “mid-life

crisis of marketing”, che ha avuto l’effetto di produrre un’ infinità di panacee da parte di chiunque si ritenesse in grado di proporre una soluzione o una chiave di volta per affronta-re il mercato. Si tratta di nuove formule che hanno tutte in comune la parola “marketing” e gli autori ne arrivano a con-tare settantasette, sviluppate tra il 1985 e il 200521. Tra le più conosciute possiamo ricordare: Co-marketing, Expe-

rience marketing, Green marketing, Guerrilla marketing, Permission marketing, Viral marketing. Pur evidenziando l’efficacia di alcune di queste soluzioni, l’effetto che queste panacee hanno prodotto – secondo gli autori – è stato piut-

19 Cfr. F. Perrone, Marketing relazionale in banca, Franco Angeli,

Milano, 2001, pp. 27-28. Et alia. 20 Cfr. B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Marketing non-

convenzionale, Il Sole 24 Ore, Milano, 2008, pp. 31-32. 21 B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Op. Cit., p. 39.

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tosto quello di spingere il consumatore ad accrescere la sua insofferenza nei confronti del marketing e della comunica-zione delle aziende. Si tratta di varianti che si costituiscono più come etichette o segni di riconoscimento degli ideatori, piuttosto che reali soluzioni. Il marketing è uno solo e va riformato nel suo contenuto, non nella sua espressione. Per questo motivo, gli autori preferiscono abbandonare la tradi-zionale formulazione di panacee del marketing, per focaliz-zare la loro attenzione su un altro neologismo, il Societing, un concetto coniato nel 1993 da Badot, Bucci e Cova, che si contrappone alla scuola del marketing di matrice anglosas-sone (cioè quello storico di Kotler e Keller) , sottolineando come secondo quest’ottica i prodotti non sono esclusiva-mente posti sul mercato ma prima ancora vengono collocati all’interno di un sistema sociale costruito insieme all’impresa. Questo porta Fabris a sposare la tesi del Socie-

ting, sostenendo che la sfera di attività del marketer non può più essere solo quella del mercato, ma deve essere an-che quella della società, dove vediamo consumatori attenti alle relazioni e alla creazione di comunità22. Possiamo tro-vare conferma di queste tesi nell’attuale evoluzione del mercato pubblicitario, caratterizzato sempre più dalla di-mensione social che è garantita da Internet attraverso social

media, oppure attraverso la costruzione di brand community

intorno alle marche. Altri autori italiani che si sono occupati della crisi del

marketing tradizionale e dei mass media, sono Boaretto, Noci e Pini23, i quali sostengono che la teoria del marketing è stata investita di importanti trasformazioni, dovute all’evoluzione della società. In questo nuovo contesto, cam-

22 Cfr. A. Rea, Dispense di Brand Management 2009/2010, pp. 9-10. 23 Cfr. A.Boaretto, G. Noci, F.M. Pini, Open Marketing, strategie e

strumenti di marketing multicanale, ETAS, Milano, 2009.

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biano i modelli di analisi di mercato: agli strumenti tradi-zionali di indagine si affiancano numerose piattaforme, ge-neralmente di tipo user generated content, come social

network e blog, dove vengono espressi numerosi pensieri molto utili alle aziende. Il marketing tradizionale si era fon-dato sulla segmentazione, l’individuazione del target e la costruzione e posizionamento di un’offerta per esso. Oggi non è più così, il processo di segmentazione viene superato da logiche differenti. Si fa ricorso piuttosto al concetto di life styles

24, ovvero un insieme di variabili di comportamen-to e atteggiamento relativi a valori, interessi, opinioni. La segmentazione non sarebbe più efficace per l’estrema vola-tilità e facilità con cui il consumatore può passare da uno stile di vita all’altro. C’è anche chi, come Di Nallo25, so-stiene che l’estrema infedeltà del consumatore, permette di parlare piuttosto di “stili di consumo” che l’autrice definisce “bolle”, ovvero dei meeting point all’interno dei quali il consumatore transita per un certo periodo e poi passa ad un'altra bolla con caratteristiche differenti rispetto alla pre-cedente. Un altro aspetto del marketing tradizionale è che viene messo in discussione il meccanismo di generazione e sviluppo del prodotto. Da sempre terreno di dominio dell’impresa, oggi si trasforma in processo partecipativo che vede coinvolti anche i consumatori e altri stakeholders in un’ottica di co-creazione. Allo stesso tempo, viene messa in discussione la centralità dell’azione pubblicitaria per il supporto alle vendite del prodotto. Boaretto, Noci e Pini, sottolineano che la crescente frammentazione degli stru-menti e occasioni di esposizione alla comunicazione, rende necessario raggiungere il consumatore nel momento in cui

24 N. Olivero, V. Russo, Manuale di psicologia dei consumi,

McGraw-Hill, Milano, 2009. 25 Cfr. V. Codeluppi, Op. Cit., 2005, p. 161.

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si manifesta un bisogno. Ecco perché assumono sempre più valore quegli strumenti comunicativi che fondano la propria azione sulla call to action e sfruttando la convergenza tec-nologica, puntano ad una logica pull dove è il consumatore che interagisce con la marca e con i prodotti. Si tratta del canale mobile e del digital out of home (di cui si parlerà nel dettaglio più avanti). Tutto ruota intorno al principe dei nuovi media, Internet, con cui andranno a convergere tutti i media: dalla televisione (Iptv), la radio (web radio), la stampa (online newspapers), l’OOH (digital signage e digi-

tal out of home). Dunque, come appena visto, le logiche del marketing

postmoderno dovranno tenere conto della molteplicità dei canali e dovranno guidare l’uscita dalla pressante crisi, at-traverso la creazione di esperienze multicanale di valore per cliente. Secondo gli stessi autori, il paradigm shift verso la multicanalità è ostacolato dalla presenza di alcune barriere che fanno sì che il marketing sia in crisi e le cui ragioni vanno ricercate nella presenza di fattori endogeni e fattori esogeni. Le principali barriere all’adozione di questo nuovo approccio sarebbero legate a variabili di natura organizzati-va (fattori endogeni). Vengono individuate cinque principali barriere interne26:

1. mancanza di conoscenza approfondita sulle evolu-zioni del contesto e delle potenzialità associate all’implementazione di un approccio orientato alla multicanalità;

2. sequenzialità del processo di marketing; 3. culto della marca e monodirezionalità della comuni-

cazione; 4. sistemi di misurazione delle performance;

26 A.Boaretto, G. Noci, F.M. Pini, Op. Cit, 2009, pp. 61-69.

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5. incomunicabilità e disallineamento tra i diversi silos organizzativi.

La prima barriera sarebbe dovuta ad un problema relati-

vo alle competenze presenti all’interno dell’azienda. Spesso di tende a ritenere che il proprio target di consumatori agi-sce sempre in uno stesso modo, sempre attraverso gli stessi canali, dimenticandosi della vocazione alla multicanalità dei propri consumatori che, in realtà, interagiscono con la mar-ca attraverso numerosi canali. La seconda barriera è invece legata all’organizzazione del processo di marketing. In pas-sato si è ritenuto che tale processo avesse una forma se-quenziale, dove la catena del valore ha seguito sempre una logica sequenziale che ha tenuto fuori il consumatore, fon-data sul “produci, distribuisci e controlla”. Tale logica, data la sua unidirezionalità, non permetteva di avere un feedback

immediato dal mercato e dal consumatore, perciò quest’ultimo veniva considerato esclusivamente come un soggetto esterno al processo produttivo. In realtà, sappiamo che le logiche del nuovo marketing devono rompere questa sequenzialità per adottare la circolarità, dove il consumatore diviene sia input che output del processo di creazione del valore. La terza barriera interna è legata alle logiche di co-municazione, che si caratterizzano per essere di tipo esclu-sivamente monodirezionale, realizzate in un contesto con-trollato e dunque non aperto a nuove forme di comunica-zione, le quali fondano la propria esistenza proprio sulla mancanza di controllo (social network, blog, buzz marke-

ting). Semprini, nel descrivere l’evoluzione del branding postmoderno, ha proposto di considerare il dispiegamento della marca come il prodotto dell’interazione tra il polo del-la produzione (l’azienda), il polo della ricezione (i consu-

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matori) e il contesto27. Dunque, una lettura che sconfessa le logiche del marketing precedenti, fondate come abbiamo detto, proprio sulla monodirezionalità. Boaretto, Noci e Pi-ni, mostrano che nella visione tradizionale di marketing e della pubblicità di tipo tabellare in particolare, tutto si fondi principalmente sul concetto di “pressione pubblicitaria”, la cui efficacia sarebbe garantita dalla ripetuta esposizione del consumatore ai messaggi pubblicitari. Tale pressione pub-blicitaria viene tutt’oggi misurata attraverso indicatori di comunicazione come il GRP28 (Gross Rating Points), attra-verso cui l’azienda stabilisce ex ante quanti GPR’s effettua-re e la cui efficacia è talvolta messa in discussione29. La quarta barriera interna all’innovazione nel marketing è lega-ta ai sistemi di misurazione delle prestazioni. Le metriche che vengono utilizzate spesso sono prodotto-centriche o brand-centriche, nel senso che le aziende più strutturate la-vorano per linee di prodotto o di brand e perciò non avviene alcuna sostanziale sinergia tra i piani di marketing e

27 Cfr. A. Semprini, La marca postmoderna, Franco Angeli, Milano,

2006 (2005). 28 Il GRP è un indicatore che misura la pressione pubblicitaria di una

campagna. Esso è dato dal rapporto percentuale tra i contatti lordi, ov-vero la copertura del target, e il numero complessivo di persone a target. A queste due grandezze viene spesso affiancato anche un coefficiente

d’impatto: il valore qualitativo dell’esposizione, ovvero una sorta di smorzamento (valore compreso tra 0 e 1) che tiene conto in maniera qualitativa di elementi come il grado di affollamento dei mezzi, dell’affinità tra contenuto, canale e target. (da A.Boaretto, G. Noci, F.M. Pini, Open Marketing, strategie e strumenti di marketing multica-

nale, ETAS, Milano, 2009, p. 64). Al concetto di GRP è legato un indi-catore di natura economica, il costo per GRP, ovvero il rapporto tra il costo dell’avviso pubblicitario ed i GRP messi a disposizione dal singo-lo veicolo o dal piano mezzi.

29 Cfr. U. Collesei, V. Ravà, La comunicazione d'azienda, Isedi, No-vara, 2008, pp. 464-465.

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l’allocazione dei budget di comunicazione. È chiaro che di fronte a ciò, diventa difficile per il marketer l’adozione di nuove logiche orientate verso la multicanalità e la co-creazione. La quinta ed ultima barriera che Boaretto, Noci e Pini hanno individuato, riguarda i problemi dovuti alla pre-senza di silos organizzativi, ovvero di unità organizzative monolitiche, caratterizzate dalla presenza di scarsi meccani-smi di collegamento tra di esse. Questa condizione porta ad una poco chiara comprensione dei compiti e degli obiettivi della funzione del marketing, e fa sì che ogni “silos” proce-da lungo propri binari, senza un reale approccio unitario nei confronti del consumatore.

Spostandoci su lato dei fattori esogeni all’azienda, si scopre che anche dall’esterno arrivano delle minacce che fanno perdere la rotta verso l’adozione di nuove logiche di marketing, più adatte al contesto attuale. Gli stessi autori parlano di frizioni organizzative che si vanno a creare tra l’azienda e la fitta schiera di aziende che offrono servizi di supporto alle attività di comunicazione e di marketing. Si tratta di attori che si relazionano quotidianamente con l’azienda: centri media, concessionarie di pubblicità, edito-

ri e infine agenzie creative, quest’ultime accompagnate dal considerevole numero di altri soggetti a cui esse si rivolgo-no per delegare parte del lavoro (web agency, stampatori, grafici, produzioni multimediali, SEO/SEM). Secondo Boa-retto, Noci e Pini, l’attuale configurazione degli attori del mercato pubblicitario, non terrebbe conto di alcuni impor-tanti fenomeni in corso30:

1. una proliferazione di media e canali e di conseguenza di editori e di concessionarie;

30 A.Boaretto, G. Noci, F.M. Pini, Op. Cit, 2009, pp. 73-76.

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2. un aumento vertiginoso di realtà di piccole e medie dimensioni specializzate su singoli aspetti di execu-tion delle attività di comunicazione (SEM, DEM, etc);

3. l’emergere di nuovi attori, come Google, con offerte di advertising diverse dai formati canonici e modelli di business che tendono ad incoraggiare processi di integrazione verticale lungo la filiera […];

4. una tendenza da parte di tutti gli attori a posizionarsi come fornitori strategici valorizzando la relazione con l’azienda cliente e circondandosi di partner a cui delegare in outsourcing parte delle attività operative a basso valore aggiunto.

Questi fenomeni fanno sì che la filiera dei servizi di co-

municazione stia vivendo un continuo processo di cambia-mento, dove i confini tra ruoli e competenze di ciascun atto-re vanno ad essere sempre più labili31. Questo scenario poco definito, produce l’effetto di vedere ciascun attore, attribui-re a terzi le responsabilità di un mancato approccio alla multicanalità. Spesso i centri media vengono accusati di es-sere un freno allo sviluppo di strategie multicanale, poiché dimostrano di essere poco disponibili alla sperimentazione di nuovi mezzi e nuove forme non convenzionali di pubbli-cità; essi vengono accusati di gestire i budget pubblicitari non solo seguendo logiche legate all’ottimizzazione dei ri-

31 Più avanti, nel corso della presente trattazione, analizzeremo un

caso concreto di come la corsa verso l’offerta integrata di servizi, sia un fenomeno i continua crescita. Si effettuerà un focus su alcuni aspetti or-ganizzativi della compagnia aerea Meridiana Fly, che centralizza una serie di attività come quella di inserzionista, concessionaria di pubblici-tà su vari mezzi ed editore.

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sultati di comunicazione, ma molto spesso indirizzando il grosso delle risorse verso quei mezzi che promettono un ri-torno maggiore in termini di commissioni. È assai frequente vedere queste strutture accusate di comportamenti poco po-

litically correct, ricevendo forme di remunerazione che si posizionano all’ombra dei fee che le aziende committenti pagano loro. Si tratta del fenomeno delle overcommissions, ovvero di “commissioni extra” che vengono garantite dai mezzi e dalle concessionarie, in virtù di accordi sul rag-giungimento di specifici livelli di fatturato. Tuttavia, è ne-cessario evidenziare che i centri media sono costretti a ri-correre a tali forme di remunerazione, poiché il livello dei fee non consentirebbe loro di andare avanti. L’estrema faci-lità con cui gli inserzionisti cambiano i propri partner media e il conseguente proliferare di gare, mostrano una corsa al ribasso delle commissioni che – come abbiamo detto e a scapito della multicanalità – porta i centri media alla foca-lizzazione su mezzi che garantiscono un ritorno migliore e a manifestare scarso interesse verso la coda lunga popolata dalle concessionarie e verso Google, da sempre attivo a cre-are rapporti diretti con le aziende, nella direzione della di-sintermediazione.

Dal lato degli editori, cresce l’allarme per il declino del modello di business tradizionale, fondato sulla produzione di contenuti e sui ricavi pubblicitari. Oggi è sempre più mi-nacciato da Google che, trasformandosi in aggregatore di contenuti e di notizie, fa sì che i modelli dell’editoria tradi-zionale debbano trovare strade alternative di remunerazio-ne. Abbiamo visto che la principale barriera all’adozione di strategie multicanale deriva proprio dal modo in cui è strut-turata la filiera degli attori del marketing e della comunica-zione. Il futuro sarà caratterizzato dalla richiesta da parte delle aziende, di servizi sempre più integrati e prodotti da

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pochi partner selezionati. Se è vero che il modello della Co-

da Lunga fotografa un mercato sempre più popolato di for-nitori di servizi, è anche vero che si sta riscontrando un ri-torno alle origini, dove pochi soggetti aggregano una plura-lità di servizi e si pongono come interlocutori preferenziali per le aziende.

Nuovi paradigmi del marketing postmoderno

Nel precedente paragrafo abbiamo evidenziato come la risposta del marketing alle sfide del nuovo contesto si sia rivelata essere molto spesso una panacea. Abbiamo visto come le difficoltà per attuare nuovi approcci sono determi-nate da fattori sia interni che esterni all’impresa. Ora è ne-cessario proporre nuovi paradigmi più adeguati al cambia-mento costante che stiamo vivendo. Cova, Giordano, Palle-ra, sottolineano come il sistema della comunicazione, in particolare quello italiano, abbia necessità di una “svecchia-ta” che porti ad affiancare ai tradizionali strumenti, nuove soluzioni innestate nel solco dell’innovazione. Infatti, gli autori parlano di marketing non-convenzionale, un concetto apparso in rete per la prima volta nel 2004, dotato di un a-gente mutageno che obbliga la disciplina al continuo cam-biamento. Si tratta di un nuovo paradigma che costringe alla negazione di tutto ciò che fino ad allora era considerato prassi, sostenendo che “ciò che oggi è non-convenzionale, domani non lo sarà più”32. Ad oggi, si tratta di un concetto di cui si parla ampiamente nel dibattito sulla comunicazio-ne, ma che purtroppo non trova un riscontro in termini di attenzione e di investimenti da parte delle imprese e dei suoi partner. Ciò che ha contributo alla sua diffusione è stato il veloce passaparola garantito dai blog e social network (ef-

32 B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Op. Cit., p. 53-55.

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fetto buzz), che ha permesso di fare breccia all’interno del mercato pubblicitario italiano, da sempre ingessato e anco-rato alle logiche del passato che vedono la torta degli inve-stimenti sempre più sbilanciata verso i media classici, la te-levisione in primis.

Cova, Giordano e Pallera, propongono un decalogo che sintetizza i principi fondamentali di questo nuovo modo di fare marketing, una sorta di Dieci Comandamenti che rac-chiudono tutti i principali e significativi contributi metodo-logici in auge attualmente, giocando sulle dicotomie che ca-ratterizzano il passaggio dal moderno al postmoderno. Con-siderando la portata dei mutamenti che essi descrivono, uti-lizzeremo tale decalogo come mappa su cui muoverci, ri-portando il pensiero degli autori e integrandolo con altri contributi epistemologici e con alcune nostre considerazio-ni33:

1. Dal brand-DNA al viral-DNA; 2. Dai target alle persone; 3. Dagli stili di vita ai momenti di vita; 4. Dalla brand awareness alla brand affinity; 5. Dalla brand image alla brand reputation; 6. Dall’advertising all’advertainment; 7. Dal media planning al media hunting; 8. Dal broadcasting al narrowcasting; 9. Dal fare comunicazione all’essere comunicazione; 10. Dal market position al sense providing.

Dal brand-DNA al viral-DNA

[Progetta la natura virale del tuo brand prima di ogni cosa]

33 Ivi, p. 57.

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Il primo principio sostiene che il vecchio paradigma del branding moderno deve cedere il passo a quello postmoder-no, poiché esso si deve adeguare al mutamento che sta at-traversando i mezzi di comunicazione, dagli old media ai new media, dalla passività del consumatore alla sua centra-lità nella relazione con la marca. Data la presa di potere di controllo dell’informazione da parte del consumatore, di-venta necessario puntare sul marketing virale che garantisce la diffusione spontanea come virus di tutte le informazioni, grazie alla condivisione e al confronto tra le persone su nuovi spazi sociali. Questo sarebbe garantito dal fatto che le persone hanno un’innata dedizione a raccontare storie, espe-rienze, impressioni e a condividerle con i propri gruppi di appartenenza. Il marketing virale deve saper sfruttare questi canali e far insediare la marca come virus tra le persone che provvederanno spontaneamente a contagiare altri. Dunque, l’aspetto relazionale e la condivisione delle emozioni sono alla base di questo nuovo approccio.

Dai target alle persone

[Non ci sono target da colpire, ma persone con cui risuonare]

Il secondo principio propone di sostituire il termine

target con quello di “persone”, restituendo la caratteristica di “esseri umani” alle persone. L’etimologia del termine target, come tante altri termini del marketing, è di matrice militare ed implica un approccio “violento”, “aggressivo” con cui entrare in contatto con il consumatore. Il nuovo ap-proccio deve tendere a mettere da parte la violenza e instau-rare un rapporto amichevole con il consumatore; conside-rarlo come un interlocutore che prova emozioni e che si ca-ratterizza come essere sociale immerso in relazioni. Si tratta

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di dialogare con esso e di instaurarvi un discorso duraturo ne tempo.

Dagli stili di vita ai momenti di vita

[Esci dall’ufficio ed entra nelle tribù e nei loro “momenti di vita”]

Il concetto di stile di vita è di recente introduzione nelle

ricerche sui consumi e ha rappresentato dagli anni Ottanta ad oggi, un valido costrutto sostitutivo rispetto a quelli lega-ti al concetto di “segmentazione”. La ricerca psicografica ha costruito delle nuove categorie sociologiche che inglobasse-ro profili di soggetti talvolta molto diversi per reddito, sco-larizzazione ed età, suddivisibili appunto per “stili di vita”. Secondo questo nuovo approccio, l’individuazione di speci-fici “stili di vita” permetterebbe di scoprire specifici e corri-spondenti comportamenti di consumo. Tuttavia, oggi la straordinaria volatilità degli atteggiamenti e dei modi di consumare, fa sì che anche questo costrutto risulti non ade-guato a descrivere lo scenario del consumo postmoderno. Sarebbe più opportuno parlare di “momenti di vita”, poichè il cammino del consumatore non è più lineare e stabile, si caratterizza per l’eclettismo e dunque è difficile da inqua-drare all’interno di categorie stabili nel tempo. Così come abbiamo già evidenziato in precedenza, il consumatore postmoderno si muove attraverso dei meeting point (Di Nal-lo 1998, Codeluppi, 2006), ovvero delle “bolle” che rappre-sentano dei specifici modi di rapportarsi al consumo, alle quali il consumatore può scegliere di entrarvi ed uscirvi in relazione a specifici “momenti di vita”. Insomma, secondo gli autori del decalogo, il nuovo consumatore nel corso del-la propria vita può manifestare diverse attitudini al consumo a seconda dello specifico momento che vive. La segmenta-zione per “momenti di vita” ribalta le tradizionali metodo-

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logie e identifica il proprio target tenendo conto delle occa-sioni, dei punti di contatto in cui la marca può relazionarsi con il consumatore. Questo nuovo approccio è quello che meglio si sposa con le logiche dell’out of home e dei suoi numerosi circuiti innovativi34. Fare la spesa, andare in pale-stra, viaggiare, costituiscono dei “momenti” della vita del consumatore e comprendere come e quando egli è più ricet-tivo ai messaggi, diventa la sfida da vincere.

Dalla brand awareness alla brand affinity

[Non puoi piacere a tutti, scegli ed alimenta le tue affinità]

Uno dei fondamenti sui quali si regge il branding è pro-

prio quello di costruire notorietà intorno alla marca, di co-stuire quella “prominenza” che è alla base della piramide della costruzione della brand equity secondo il punto di vi-sta di Keller. Sappiamo che l’awareness (consapevolezza) è alla base del successo di qualunque prodotto o marca: i con-sumatori non possono scegliere ciò che non conoscono. Le grandi aziende, specialmente in Italia, scelgono la scorciato-ia di pianificare dei mezzi che garantiscono un’awareness elevata, come ad esempio la televisione. L’efficacia è data dal fatto che si tratta del mezzo con la penetrazione maggio-re nelle case, il cui contenuto è sovente oggetto di confronto e discussioni tra le persone. Ciò che oggi viene da chiedersi è se abbia ancora senso puntare sull’awareness laddove si assiste ad una iperframmentazione della fruizione dei mezzi e spesso si trascorre molto tempo della giornata in mobilità. Occorrerebbe agire in maniera “chirurgica”, ovvero cono-scere bene qual è il proprio target ed agire per affinità piut-tosto che attraverso un messaggio broadcast accessibile an-

34 Si veda il capitolo sulla mobilità e i circuiti dell’OOH.

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che a chi non ha alcun interesse a ciò che la marca vuole comunicare. In realtà, le pianificazioni – almeno quelle rea-lizzate dalla maggior parte dei centri media, attraverso dei software specifici35 – tengono già conto dell’affinità tra il target e i mezzi/veicoli sui quali si intende investire. Dun-que, occorre passare da una comunicazione erga omnes, ri-volta a tutti indistintamente, ad una destinata ai segmenti più affini al progetto della marca. Occorrerà, per esempio, ricercare brand affinity con alcune tribù e nicchie strategi-che, fiutare continuamente i movimenti all’interno di questi gruppi e “stay tuned”, stare sintonizzati con essi. Cova, Giordano e Pallera, individuano nel marketing tribale un degli strumenti più adeguati a coltivare l’affinità tra la mar-ca e la propria comunità di riferimento. Si tratta di costruire relazioni con soggetti che appartengono a segmenti diversi della società, ma che sono legati da passioni comuni che spingono a creare dei movimenti spontanei intorno alla marca, che servono poi da traino per coinvolgere altre per-sone.

Assume una connotazione paradossale, in un certo senso un ossimoro, annoverare tra i nuovi paradigmi del marke-ting postmoderno quello “tribale”, poiché sappiamo che la postmodernità – pur rivolgendosi spesso al passato – si op-pone alla modernità proprio per la rottura con le sue catego-rie tipiche: per esempio la tradizione (comunità, relazioni). Mcluhan, pur non ragionando con le medesime etichette, aveva intuito già quasi cinquant’anni fa che il mondo – do-po essere esploso per tanti secoli – sarebbe poi successiva-mente imploso, dando vita a nuove forme di retribalizzazio-ne della società, un ripiegarsi su se stessi e nelle relazioni.36

35 Si veda per esempio Kubik. 36 Cfr. M. Mcluhan, Op. Cit., 2002 (1964).

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Appartenere ad una tribù diventa oggi un segno distintivo e costituisce una sorta di rivincita del locale sul globale. Il termine “tribù” spopola anche nella pubblicità dove, per e-sempio, Tim utilizza l’appartenenza ad una tribù come point

of difference di cui il consumatore può andare fiero. La tri-bù vince sulla personalizzazione che fino a ieri sembrava essere l’unico driver per il consumatore. Non ci si aspetta più di essere coccolati singolarmente, ma piuttosto colletti-vamente all’interno di una comunità di persone.

Dalla brand image alla brand reputation

[Non costruirti un’immagine, conquistati una buona reputazione]

Il punto di partenza è sempre lo stesso: è più importante

l’apparenza o l’essenza? L’essere o l’apparire? Dire o fare? Nel marketing, occorre non confondere l’immagine con la reputazione di cui si gode. La prima è costruita artificial-mente dall’azienda, la seconda è ciò che realmente il con-sumatore pensa dell’azienda. Ragionare solo esclusivamen-te in termini di “immagine”, significa rimanere ingessati nell’autoreferenzialità. La reputazione si costruisce attraver-so comportamenti e non dalle apparenze che la comunica-zione aziendale vuol far credere. Essa è frutto della nego-ziazione messa in atto dal consumatore tra ciò che la marca dice di essere e ciò che realmente fa. La brand reputation non appartiene alle logiche della monodirezionalità, ma si fonda sulla capacità dei consumatori di costruirsi un’idea sulla marca, attraverso un accesso privilegiato alle informa-zioni di cui in passato non si era potuto avvalersi. Per dirla servendosi delle parole di Semprini, la reputazione è frutto della negoziazione tra polo della produzione (azienda) e po-lo della ricezione (il consumatore).

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L’estrema facilità con cui le informazioni vengono diffu-se, fa sì che attraverso forme di passaparola (WOM, word

of mouth) e altre forme riassunte sotto l’etichetta di buzz

marketing37, la reputazione di un’azienda possa crescere o

rovinarsi in pochissimo tempo. Diciamo che è più facile che si rovini piuttosto che migliori. Oggi, basta veramente poco tempo, digitare il nome di un’azienda o una marca su Goo-gle e scoprirne vita, morte e miracoli.

Dall’advertising all’advertainment

[Non cercare di persuadere, ma diverti e stimola la conversazione]

La comunicazione pubblicitaria, si differenzia dalle altre

tipologie di comunicazione per la natura esplicita dei suoi obiettivi: persuadere un soggetto affinchè acquisti un pro-dotto o servizio. Nello scenario postmoderno, questa parti-colarità tende a nascondersi sempre di più, il consumatore è sempre meno disponibile ad accettare messaggi pubblicitari e talvolta preferisce reperire da solo le informazioni riguar-do i prodotti che sono oggetto della sua attenzione. Oggi, sembra superato anche il paradigma del permission marke-

ting, ovvero quello fondato sulla richiesta del “permesso” per mettersi in contatto con il consumatore e dunque di in-viare comunicazioni pubblicitarie solo dopo aver ricevuto il suo consenso esplicito. Oggi, gli obiettivi che erano stati re-si realizzabili dalla tradizionale advertising, devono essere tradotti in nuove vesti meno invasive e devono puntare al pieno coinvolgimento del consumatore: persuadere e diver-

37 Si veda l’importanza che assume il buzz marketing nei social me-

dia. Per approfondimenti si vedano i capitoli successivi e D. Caiazzo, A. Colaianni, A. Febbraio, U. Lisiero, Buzz marketing nei social media.

Come scatenare il passaparola on-line, Fausto Lupetti, Milano, 2009.

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tire. Da qualche anno è nato un neologismo, l’advertainment (advertising+entertainment), ovvero una formula ibrida che non sia pura advertising, ma che includa anche intrattenimento. Secondo Patrizia Musso, in Italia questo nuovo paradigma appare verso la metà degli anni Novanta, come risposta alla battuta d’arresto della marca industriale, dove la comunicazione pubblicitaria è stata co-stretta a percorrere nuove strade per affascinare ed attrarre l’attenzione dei consumatori38. Parallelamente a questa nuova tendenza, nascono molti altri neologismi che esprim-no la medesima tendenza di cambiamento. L’advergame

(advertising + game), ovvero pubblicizzare un prodotto mentre il consumatore si diverte giocando. Un esempio è dato dai siti web di alcuni prodotti che inglobano all’interno di essi dei giochi che richiedono un coinvolgimento del consumatore con il prodotto o che prevedono dei premi al raggiungimento di specifici punteggi.

La nuova tendenza dell’advertising è guidata sempre più da logiche legate alla dimensione esperienziale, in cui ven-gono esaltati i valori edonistici e soggettivi dell’individuo. La pubblicità tabellare, cioè quella tradizionale below the

line, cede il passo anche a formule meno convenzionali. Si esce dalla logica dei media, per entrare in quella dei luoghi della quotidianità, luoghi dove tradizionalmente non si è e-sposti a messaggi pubblicitari oppure luoghi in cui ci si reca per effettuare i propri acquisti. Insomma, si cerca di tra-sformare in “esperienza” ogni incontro che il consumatore ha con la marca: i negozi, bar, locali di ogni genere, diven-tano occasione per vivere un’esperienza che si ponga di raccordo con la marca. Questo va oltre le logiche della per-

38 Cfr. P. Musso, I nuovi territori della marca, Franco Angeli, Mila-

no, 2005, p. 49.

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suasione tradizionale, poiché implica un coinvolgimento dell’individuo. Fabiola Sfodera, sostiene che “da qualche anno si è iniziato a parlare di approccio esperienziale, appli-cato sia ai servizi che ai prodotti [e poi riprendendo i padri del marketing esperienziale, B.J. Pine II e J.H. Gilmore, so-stiene che] il comportamento della domanda si basa sulla ricerca di prodotti o servizi il cui valore sia quello di soddi-sfare i bisogni delle persone mediante l’esperienza che dal loro acquisto, consumo e utilizzo è possibile ricavare”39. In-somma, le aziende devono mettere in atto uno “spettacolo teatrale” in cui il consumatore è lo spettatore.

Dal media planning al media hunting

[Cambia il tuo media planner con un cool hunter della comunicazione]

L’attività di pianificazione dei media è da tempo sotto accusa per la presunta chiusura verso l’innovazione e per la riluttanza ad intraprendere la strada della multicanalità. Spesso, come abbiamo già auto modo di ricordare nei pre-cedenti paragrafi, i centri media hanno la tendenza a piani-ficare maggiormente certi mezzi piuttosto che altri, poiché tali risultano essere più remunerativi in termini di over-

commissions, ovvero “commissioni extra” che le concessio-narie e gli editori riconoscono all’agenzia media come “premio fedeltà” o come premio al raggiungimento di un certo livello di fatturato. Sappiamo che in Italia, il mercato degli investimenti pubblicitari è fortemente concentrato sul-la televisione e sulla stampa, per cui sono questi i mezzi che raggiungono maggior favore. Esiste un disallineamento tra i

39 F. Sfodera, Strumenti di marketing, comunicazione e management

per le imprese turistiche nell’economia dell’esperienza, Morlacchi Edi-tore, 2006, p. 3 + prefazione.

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movimenti della società, che vedono Internet crescere in termini di fruizione e però, parallelamente , non si riscon-trano adeguate ricadute in termini di investimento. Internet è sempre più pianificata, ma forse non lo è a sufficienza. I centri media, inoltre, vengono accusati di basare il proprio operato su metodologie che non sono in grado di render conto dei cambiamenti in corso. Cova, Giordano e Pallera, propongono provocatoriamente di passare dal media

planning al “media hunting”, ovvero alla “caccia di media”, così come si dispiega il cool hunting, cioè la “caccia di ten-denze”. Cercare nuovi media, alternativi a quelli tradiziona-li, significa scalfire il primato che i media tradizionali han-no nel media mix delle imprese. Questa caccia deve essere guidata da un ottimo “fiuto” che deve cogliere in anticipo i mutamenti sociali, deve conoscere le dinamiche degli spo-stamenti delle persone, le abitudini, i gusti. Il media planner viene paragonato provocatoriamente ad un impiegato che svolge compiti esecutivi senza mai uscire dal suo ufficio e dunque senza conoscere il mondo40. Ecco perché – secondo gli autori – sarebbe necessario costituire il Centro Media 2.0, una nuova struttura organizzativa sbilanciata fortemen-te verso la parte interaction, ovvero buzz marketing, viral

marketing e non solo semplice pianificazioni su Internet di tipo display

41. Il media planner 2.0 deve abbandonare le mura del suo ufficio (anche virtualmente), connettersi con i blog, cercare legami con l’esterno e in particolare con

40 Si veda l’intervista ad Attilio Redivo, CEO MediaCom Italy

(GroupM – WPP), dove egli smentisce queste accuse e con ironia insi-nua che Cova, Giordano e Pallera non siano mai entrati in un centro media.

41 La display advertising riguarda tutti i formati pubblicitari che si inseriscono visivamente all’interno delle pagine web (box, leaderboard, overlayer).

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opinion leaders. È un soggetto che si relaziona con la coda lunga popolata dalle concessionarie, confrontandosi non so-lo con i grandi editori, ma anche con i piccoli.

Dal broadcasting al narrowcasting

[Non ci sono solo i mezzi di massa: pensa a quanto è lunga la coda]

Sulla scia del cambiamento del centro media e del media

planner, passa anche quella del cambiamento nelle modalità con cui raggiungere il consumatore. Oggi la frammentazio-ne dei media e delle opportunità di contatto, fa sì che sia necessario affiancare ai tradizionali mezzi broadcast, ovve-ro “a larga trasmissione”, anche nuovi mezzi e modalità di fruizione di tipo narrowcast, fino ad arrivare al fenomeno dell’on demand. Nel capitolo iniziale di questo lavoro, ab-biamo parlato del paradigma della Coda Lunga (The Long

Tail) di Chris Anderson, direttore di Wired. Questo para-digma si fonda sull’enorme potenzialità che Internet offre alle aziende, piccole e grandi. La teoria di Anderson, spiega come tutte le nicchie sparse lungo la coda, restituiscano un mercato che è superiore a quell’area ristretta dove si con-centrano i big players (circa il 20%). Secondo Cova, Gior-dano e Pallera, “la chiave di svolta in un mercato basato sul-la Long Tail è che in teoria ciascun può avere un suo pub-blico. Questo permette una fioritura di generi e stili diffe-renti e un’analoga fioritura di nicchie di pubblico che ruota-no attorno ad essi”42.

Il marketing non-convenzionale si fonda proprio sulla coda lunga, poiché esso vive della sua economicità.

42 B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Op. Cit, p. 184.

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Gli autori mostrano che secondo un approccio di markting tradizionale, le fasi in cui si scandisce l’ingresso nel mercato sono le seguenti: lancio del prodotto; campagna comunicazione sui vari mezzi per garantire un’adeguata pressione pubblicitaria; riduzione della pressione con il pasare del tempo; nuovi investimenti per mantenere elevata la pressione.

In un approccio non-convenzionale, invece, il flusso in

zia prima del lancio del prodotto, poiché si interviene su una massa critica di influencers e di trend setters rano il terreno e pongono le basi per un effetto buzz

Figura 1 – Il flusso di una campagna convenzionale

Fonte: Cova, Giordano, Pallera, 2008 (da Seisgrados)

Figura 2 – Il flusso di una campagna non-convenzionale

Fonte: Cova, Giordano, Pallera, 2008 (da Seisgrados)

Fonte: Cova, Giordano, Pallera, 2008 (da Seisgrados)

Gli autori mostrano che secondo un approccio di marke-ting tradizionale, le fasi in cui si scandisce l’ingresso nel mercato sono le seguenti: lancio del prodotto; campagna di comunicazione sui vari mezzi per garantire un’adeguata pressione pubblicitaria; riduzione della pressione con il pas-sare del tempo; nuovi investimenti per mantenere elevata la

convenzionale, invece, il flusso ini-del lancio del prodotto, poiché si interviene su

che prepa-buzz.

Fonte: Cova, Giordano, Pallera, 2008 (da Seisgrados), p. 196

convenzionale

Fonte: Cova, Giordano, Pallera, 2008 (da Seisgrados), p. 197

Fonte: Cova, Giordano, Pallera, 2008 (da Seisgrados), p. 196

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Il metodo non-convenzionale sfrutta le logiche di diffu-sione delle innovazioni e si rivolge prima ai segmenti più innovatori, per poi proseguire ed affiancarsi a strumenti di marketing tradizionale (mass media) e arrivare infine anche alla massa dei consumatori.

Questo approccio segue le tesi di Everett Rogers (1983)

sulla diffusione delle innovazioni43. Secondo questo studio-so, le innovazioni seguirebbero l’andamento di una curva a forma di sinusoide con una distribuzione normale (la classi-ca curva a campana rovesciata), suddivisa in cinque fasi: conoscenza, persuasione, decisione, implementazione, con-

ferma. A ciascuna di queste fasi, l’autore ha fatto corri-spondere altrettanti tipi consumatori: innovatori, pionieri,

maggioranza anticipatrice, maggioranza ritardataria, ri-

tardatari. Dunque, Rogers posiziona ciascun consumatore in ogni segmento della curva ed evidenzia come i primi segmenti (innovatori e pionieri) siano quelli maggiormente disponibili al contenuto innovativo dei prodotti e verso la pubblicità. È proprio in questa categoria che Cova, Giorda-no e Pallera collocano i primi destinatari di una campagna di marketing non-convenzionale. Questi soggetti (trendset-

ters, opinion leaders e influencers), dotati di forte personali-tà, accesso privilegiato alle informazioni e in possesso di un consistente numero di seguaci, provvederanno ad innescare un effetto buzz che – attraverso passaparola off e online (WOM) – via via andrà a crescere sempre di più, superando quindi il limite di evanescenza della pressione pubblicitaria che è tipico di una campagna tradizionale.

43 Cfr. E. M. Rogers, Diffusion of Innovations, III ed., Free Press,

New York, 1983. Si veda anche V. Codeluppi, Op. Cit., pp. 234-235.

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È opportuno comunque sottolineare che il marketing non-tradizionale, non è alternativo a quello a cui siamo stati abituati fino a poco tempo fa; Entrambi devono essere inse-riti all’interno di una strategia integrata di comunicazione, contribuendo ciascuno in ciò in cui è più indicato. La falsa dicotomia broadcast vs narrowcast, riflette dunque quella di marketing tradizionale vs marketing non-convenzionale. In realtà essi devono procedere insieme suddividendosi i compiti, nell’ottica di una sapiente integrazione. Cova, Giordano e Pallera sostengono che il primo segue un anda-mento discendente – nel senso che la pressione pubblicita-ria, se non opportunamente rinforzata, tende ad esaurirsi nel tempo – mentre il secondo può vantare un andamento oppo-sto, poiché è stimolato ed alimentato nel tempo dalle “con-versazioni” che si generano sul prodotto o servizio. Quest’ultimo approccio fa leva sulla naturale predisposizio-ne degli esseri umani a raccontare storie ed a condividerle con altre persone.

Sulla stessa lunghezza d’onda dell’integrazione tra broa-

dcast e narrowcast, Boaretto, Noci e Pini, introducono il concetto di multicanalità per sottolineare come nella deter-minazione di un communication mix efficace ed efficiente, sia necessario integrare più canali che rispondono a logiche differenti (dalla pubblicità tabellare, al punto vendita e alle public relations). Significa identificare quali sono i punti di contatto che la marca può avere con il consumatore, adot-tando però una prospettiva nuova: operare il più possibile utilizzando segmentazioni che siano basate sui comporta-menti dei clienti. Occorre, dunque, progettare un set di ca-nali e media partendo dalle attività reali che i consumatori intraprendono quotidianamente, piuttosto che dalle loro ca-ratteristiche descrittive. Gli autori suggeriscono di imposta-re le strategie multicanale in un’ottica di channel chain,

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cioè che valutino attentamente la possibile sequenza di ca-nali che un cliente può utilizzare per completare un’attività44. Questo spinge infatti gli autori a considerare Internet, il Mobile e il Digital out of home come i canali in-novativi che meglio si prestano ad una strategia multicana-le. Nei successivi capitoli vedremo come questi mezzi han-no in comune la loro straordinaria capacità di soddisfare le esigenze di mobilità che caratterizzano il consumatore postmoderno e che, dunque, diventano dei canali da privile-giare nelle pianificazioni pubblicitarie delle aziende.

Possiamo infine affermare che questo punto di vista è le-gato alla condizione di un mutamento verso un nuovo para-digma che gli autori chiamano Open Marketing. Si tratta di un approccio che si basa su un assunto di base: che il con-sumatore non segue più una sequenza unica nel scegliere i canali, ma piuttosto si muove e cambia con facilità canali, guidato dall’interesse e le opportunità del momento. Dun-que, questa visione stravolge le logiche di classificazione e gerarchia dei mezzi di comunicazione, sostenendo che non esistono dei canali dotati di un’immanente capacità di esse-re scelti45.

Dal fare comunicazione all’essere comunicazione

[Perdi il controllo e sii parte del flusso co-creativo]

Negli ultimi tempi stiamo assistendo ad una progressiva perdita di controllo da parte delle aziende sui propri prodotti e sulle proprie marche. Più che di una perdita di controllo, si tratta di una cessione di autorità nella determinazione del valore e della cooptazione – all’interno delle fasi di defini-zione della strategia e di progettazione dei prodotti – di fi-

44 Cfr. A.Boaretto, G. Noci, F.M. Pini, Op. Cit, 2009, p. 212 45 Ibidem

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gure tradizionalmente tenute fuori da tali processi, conside-rate esclusivamente come “destinatari finali”. Molto spesso si sente parlare di espressioni come consumer made, user

generated , tutte volte ad indicare il consumatore come arte-fice di prodotti e co-creatore insieme alle aziende. Tutto ciò ciò è figlio dell’educazione che il mondo di Internet ha dato al consumatore, trasformandolo da ricettore passivo di pro-dotti e informazioni, a soggetto attivo che ricerca informa-zioni e che ricerca un dialogo con le imprese. Cova, Gior-dano e Pallera, parlano di “consumatore al potere”, eviden-ziando come esso sia in grado di controllare sia la dimen-

sione del consumo, esercitando il controllo sui processi de-cisionali e sulle proprie esperienze di consumo, sia quella del marketing, dove è in grado di condizionare alcune leve del marketing mix e di “manovrarle” secondo le proprie ne-cessità: informazione sul prodotto; distribuzione; comuni-cazione; prezzo.

Boaretto, Noci e Pini parlando di marketing reloaded per descrivere il processo di condivisione di potere da parte dei consumatori. Il marketing si trasforma in “marketing ricari-cato”, come se le vecchie logiche su cui era stato concepito, venissero ridefinite includendo anche il contributo dei de-stinatari dei prodotti e dove il marketing mix viene trasfor-mato da processo di definizione a processo di “co-definizione”46. In quest’ottica, Prahalad e Ramaswamy so-stengono che il mercato si trasformi da luogo di competi-zione a luogo di confronto, in cui le imprese hanno solo un parziale controllo sull’ambiente. Le aziende vincenti di do-mani, saranno quelle che oggi hanno saputo co-creare valo-

46 Cfr. A.Boaretto, G. Noci, F.M. Pini, Marketing Reloaded, Il So-

le24Ore, 2007.

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re insieme ai propri consumatori47. Se ritorniamo nei para-grafi precedenti, avevamo sostenuto che il controllo assolu-to sull’ambiente da parte delle imprese, era stata una delle condizioni su cui si era costruito il marketing tradizionale. Dunque, l’impresa dovrebbe aprire le proprie porte e per-mettere ai consumatori di accedervi, considerandoli come se fossero partner in affari. Von Hippel e Thomke, propongo-no invece una vera e propria ristrutturazione della catena del valore, introducendo un approccio denominato customer

as innovator, ovvero un consumatore che si affianca alle tradizionali figure azienali (designer, ingegneri, etc) e con-tribuisce alla costruzione di valore poiché i suoi feedback

vengono costantemente integrati nella catena del valore, permettendo così la realizzazione di un prodotto finale cu-

stomer oriented48

. Boaretto, Noci e Pini, sostengono che nella letteratura

manageriale manchi una visione univoca di che cosa si in-tende per “co-creazione” e propongono una definizione che esprime una sintesi tra i vari approcci:

[…] è possibile descrivere l’attività di co-creazione da parte delle imprese come il processo di scambio, continuo e dinamico, tra l’azienda e i suoi clienti per trasformare questi stessi clienti in partecipanti attivi, in ogni fase del processo di produzione del prodotto/servizio tramite il loro coinvolgimento, affettivo e co-gnitivo, con la marca e con l’azienda49.

47 Cfr. C.K. Prahalad, V. Ramaswamy, Il futuro della competizione.

Co-creare valore eccezionale con i clienti, Il Sole24Ore, Milano, 2004. 48 Cfr. A. Rea, Dispense di Brand Management 2009/2010, p. 25. 49 A.Boaretto, G. Noci, F.M. Pini, Op. Cit, 2009, pp. 168-169.

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A seguire proponiamo due interessanti modelli zati da autori che abbiamo più volte citato in questo pargrafo – che sintetizzano la letteratura manageriale che si è espressa sul tema della co-creazione: quello di Cova, Giodano e Pallera, che individua quattro tipologie di strategie di co-creazione; quello di Boaretto, Noci e Pini, che individua i diversi ruoli che il consumatore può assumere all’interno del processo di co-creazione.

Partendo da quest’ultimo, vediamo come gli autori pr

ducono una classificazione delle diverse categorie di “cocreatori” presenti all’interno del mercato, delle loro attività e del sistema motivazionale che le governa. Possiamo porre ciascuna categoria lungo un continuum che va dal segmento più attivo (collaboratori) a quello più passivo (visitatori

I collaboratori sono il segmento che è meglio disposto alla co-creazione e al coinvolgimento. Si tratta di soggetti che hanno un ruolo di opinion leaders nelle proprietà di riferimento e collaborano con l’azienda con il fine di

Tabella 1 – Schema di sintesi dei diversi ruoli nella co-creazione

Fonte: Boaretto, Noci, Pini, 2009, p

A seguire proponiamo due interessanti modelli – realiz-zati da autori che abbiamo più volte citato in questo para-

che sintetizzano la letteratura manageriale che si è creazione: quello di Cova, Gior-

he individua quattro tipologie di strategie di creazione; quello di Boaretto, Noci e Pini, che individua

i diversi ruoli che il consumatore può assumere all’interno

a quest’ultimo, vediamo come gli autori pro-ducono una classificazione delle diverse categorie di “co-creatori” presenti all’interno del mercato, delle loro attività e del sistema motivazionale che le governa. Possiamo porre

che va dal segmento visitatori).

sono il segmento che è meglio disposto creazione e al coinvolgimento. Si tratta di soggetti

nelle proprie comuni-tà di riferimento e collaborano con l’azienda con il fine di

eazione

Fonte: Boaretto, Noci, Pini, 2009, p. 172

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veder rafforzata la propria leadership e rispetto. Il secondo segmento è quello dei creatori e si differenzia da quello precedente perché l’attività di co-creazione è orientata pre-valentemente al miglioramento della propria soddisfazione. I partecipanti costituiscono il terzo gruppo e si configurano come soggetti che partecipano alle discussioni intorno alla marca (e che contribuiscono all’effetto buzz) per rafforzare le proprie verità o per ridefinirle. La loro spinta motivazio-nale deriva dalla necessità di sentirsi parte di una comunità di pratica. Il penultimo segmento è quello dei tester, ovvero di quei soggetti che entrano in relazione con l’azienda per ricercare informazioni o per richiedere la soluzione di speci-fici problemi, ponendosi come “collaborativi” al fine di rendere l’azienda maggiormente accorta intorno ai propri prodotti. L’ultimo profilo è quello dei visitatori che – come abbiamo detto poc’anzi – risulta essere quello che mostra il comportamento più passivo all’interno dello spettro della co-creazione. Si tratta di soggetti che si relazionano con la marca esclusivamente per ricercare informazioni riguardo i prodotti, servizi o tematiche di loro interesse, al fine di ren-dere migliore il proprio processo di acquisto.

Il secondo modello50, realizzato da Cova, Giordano e Pallera, propone una mappatura dei possibili livelli di coop-tazione dei consumatori nelle strategie di gestione della marca e individua quattro strategie di co-creazione azienda-le.

La co-innovazione prevede il coinvolgimento di quei segmenti più ricettivi all’innovazione, ovvero opinion lea-

ders, comunità di utilizzatori. Essi vengono coinvolti preva-lentemente nelle fasi progettazione (engineering, design, te-

sting).

50 B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Op. Cit, pp. 204-207.

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Nella co-promozione, si tocca la sfera dei concetti gen

rati dallo stesso consumatore, dove esso è coinvolto nella produzione di immagini e video per le nuove campagne pubblicitarie. La co-produzione riguarda la sfera delle esprienze di consumo e vede l’allargamento della base di cosumatori che vengono coinvolti per fornire un contributo personalizzante al nuovo prodotto in cantiere. Infine, nella co-immaginazione, vediamo l’azienda che delega al proprio consumatore la produzione di discorsi intorno ad essa. Il consumatore è invitato a raccontare le proprie storie quotdiane di interazione con la marca, il proprio amore verso di essa e condividere il tutto insieme alla comunità di “fedeli” della marca.

Insomma, l’orientamento di marketing prevalente oggi, è quello che richiede un consumatore che co-crea i prodoinsieme all’azienda. Questo paradigma, pur rientrando in quello più generale del marketing relazionale – che vede il consumatore come interlocutore privilegiato dell’azienda

Figura 3 – Tipologie di strategie di co-creazione

Fonte: Cova, Giordano, Pallera, 200

, si tocca la sfera dei concetti gene-rati dallo stesso consumatore, dove esso è coinvolto nella produzione di immagini e video per le nuove campagne

riguarda la sfera delle espe-rienze di consumo e vede l’allargamento della base di con-

lti per fornire un contributo personalizzante al nuovo prodotto in cantiere. Infine, nella

, vediamo l’azienda che delega al proprio consumatore la produzione di discorsi intorno ad essa. Il

orie quoti-diane di interazione con la marca, il proprio amore verso di essa e condividere il tutto insieme alla comunità di “fedeli”

Insomma, l’orientamento di marketing prevalente oggi, è crea i prodotti

insieme all’azienda. Questo paradigma, pur rientrando in che vede il

consumatore come interlocutore privilegiato dell’azienda –

, 2008, p. 205

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si spinge oltre e coinvolge il consumatore nelle vesti di con-sulente per i prodotti che egli stesso acquisterà.

Dal market position al sense providing

[Non cercare un posizionamento sul mercato, ma il tuo senso nella società]

Il concetto di posizionamento è stato per lungo tempo il centro di ogni strategia di marketing delle imprese. È attra-verso il posizionamento, cioè attraverso la dichiarazione dei propri elementi di differenziazione, che la marca si dichiara posizionandosi sul mercato e soprattutto nella mente dei consumatori. Posizionare una marca significa trovarle una collocazione adeguata nella mente dei consumatori obietti-vo e aiuta ad indirizzare la marca chiarendo il significato del brand, l’unicità e le analogie con i concorrenti, le ragio-ni per acquistarlo51. Tale concetto è stato per tanto tempo rivoluzionario e importante per il mondo del branding e per la pubblicità, pensiamo alla forza dirompente che ha avuto l’introduzione della USP (Unique Selling Proposition) di Rosser Reeves (anni ’40). Secondo Bruno Ballardini, le ca-ratteristiche di una USP erano tre: il beneficio principale of-ferto dal prodotto al consumatore; l’esclusività di questo beneficio rispetto alla concorrenza; la sua rilevanza per il consumatore52. Insomma, Il successo di una marca o di un prodotto dipendevano di gran lunga dal suo posizionamen-to, espresso dai points of difference e dai points of parity, ovvero dai punti di differenzazione e di somiglianza, e reso digeribile ed assimilabile attraverso una USP ben costruita.

51 K. Keller, B. Busacca, M.C. Ostillio, La gestione del brand, Egea,

Milano, 2005, p. 100. 52 B. Ballardini, La morte della pubblicità, Castelvecchi, Roma,

1994, pp. 22-23.

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C’è chi però ritiene, come Fabris e Minestroni, che il po-sizionamento è sì oggi un modello necessario, ma allo stes-so tempo si rivela insufficiente53. Secondo l’autore, tale concetto ha anticipato l’idea di marca come territorio, poi-ché non ha fatto altro che presidiare e delimitare una speci-fica area “compatta ed omogenea” dell’immaginario, dei desideri e dei bisogni del consumatore. Tuttavia, nell’attuale contesto postmoderno, posizionare la marca e-quivale a soffocare un’entità ricca di senso, di significati, senza comprendere che essa è un organismo vivente che ac-coglie e incorpora tutto ciò che la società le trasmette. La marca che si affida esclusiva mente ad un posizionamento definitivo, è destinata ad essere scavalcata dai competitor. Ciò vuol dire che nel tempo i tratti distintivi tendono ad es-sere superati e considerati come impliciti, perciò è necessa-rio che la marca trovi nuove strade per relazionarsi con i consumatori. Ecco perché Cova, Giordano e Pallera invita-no a “non cercare un posizionamento nel mercato, ma il proprio senso nella società”54. Il postmonderno, secondo Semprini si caratterizza per la disseminazione sociale della marca: tutte le dimensioni del sociale vengono governate da logiche di marca. Lo sport, la politica, la cultura, le città, le star televisive, tutti seguono logiche di marca che garanti-scono il loro funzionamento55. Pensiamo allo sport, dove i club di calcio o i giocatori di calcio si trasformano in veri e propri brand che mettono in piedi un’infrastruttura di senso analoga a ciò che farebbe un’azienda. Pensiamo alla politi-ca, dove personaggi come Barack Obama diventano dei veri e propri brand da amare e da seguire, trattati dai cittadini

53 G. Fabris, L. Minestroni, Valore e valori della marca, Franco An-

geli, Milano, 2004, pp. 77-80. 54 B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Op. Cit, p. 213. 55 Cfr. A. Semprini, Op. Cit., 2006.

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alla stessa stregua dei Lovemark di cui abbiamo parlato in precedenza.

Tutto ciò provoca una maggiore attenzione al mondo delle marche, esse oggi vengono poste sempre più sotto i riflettori e spesso sono oggetto di aspre critiche, come ad esempio quelle espresse in No Logo dalla giornalista cana-dese Naomi Klein. La marca si incarica di trasmettere dei veri e propri progetti di senso, si trasforma in sense provi-

der e tale azione non si limita all’universo dei prodotti che propone, ma abbraccia anche altri discorsi presenti nello spazio pubblico. È a questo proposito che Gianfranco Mar-rone parla della marca come metaistanza discorsiva

56. Il semiologo sostiene che la marca “assorbe e rilancia discorsi altri a proprio uso e consumo” e per questo motivo si pone una questione etica che fa sì che la marca cerchi costante-mente una legittimazione sociale. Per fare ciò, essa si fa portatrice di certi valori presenti nella società (es. tolleran-za, cosmopolitismo) e trasferisce il loro senso (sense provi-

ding) attraverso i propri prodotti e in generale attraverso le sue manifestazioni.

FOCUS – L’evoluzione postmoderna del branding

Abbiamo più volte in questo lavoro fatto riferimento alla parola brand, senza tuttavia approfondire e spiegare nel det-taglio di che cosa si occupi e quali siano attualmente gli o-rientamenti principali. Il brand è quell’elemento distintivo che racchiude la reputazione, l’aspettativa che risiede nella mente del consumatore riguardo un’organizzazione, una comunità, un prodotto/servizio. Tutto ciò è condensato in un marchio, un sigillo, un logotipo, in un lettering, che richia-

56 G. Marrone, Il discorso di marca. Modelli semiotici per il bran-

ding, Laterza, Roma-Bari, 2007, pp. 245-246

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ma per associazione il “mondo possibile” di cui la marca si fa portatrice. Per capire meglio la natura del brand, spesso erroneamente confusa con il nome del prodotto stricto sen-

su, un celebre designer e pioniere del branding di origine tedesca, Walter Landor, affermava che “Product are crea-

ted in the factory. Brands are created in the mind”. Oggi, assistiamo ad un sovraffollamento informativo di marche, di prodotti, di messaggi, per cui diventa essenziale semplifica-re il quadro comunicativo ricorrendo ad un simbolo (in gre-co symballein, syn + ballo, significa “unire”), nel quale condensare l’eterogeneità degli elementi che costituiscono l’organizzazione che vogliamo comunicare. Sappiamo che il ricorso ad un “logo” come strumento di differenziazione, è un fenomeno molto antico, a partire dall’epoca rinasci-mentale, ma oggi, forse, esso si fa portatore di un insieme di significati che in passato hanno assunto un peso decisamen-te inferiore.

Esso si pone come significante, nel quale sono condensa-ti un insieme di tratti, che permettono il riconoscimento di un soggetto, sia esso un individuo, un’impresa, un ente, e al quale è collegato un significato molto più vasto, costituito dai valori fondanti dell’identità. Esso si pone, insomma, per usare un espressione di Jean-Marie Floch, come parte “sen-sibile”, quella immediatamente percepibile dai consumatori perché espressa dal piano denotativo e come parte “intelli-gibile” per la loro mente, cioè come insieme di connotazioni che il brand scaturisce. La marca, dunque, si pone come un’opera aperta

57, un punto di contatto, attraverso le sue manifestazioni (nome, logo, packaging, pubblicità, eventi) tra il l’azienda e il consumatore, in cui è proprio

57 Si prende in prestito la nota definizione di U.Eco, attraverso la

quale il semiologo ci mostra come un’opera letteraria sia “aperta” pro-prio perché disposta ad accogliere il senso che il lettore gli porta.

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quest’ultimo che contribuisce alla semantizzazione di essa, o meglio coopera con l’azienda che ha definito il progetto di marca.

È a questo proposito che Andrea Semprini, uno dei più importanti esperti di marca italiani, parla di manifestazioni

di marca, sottolineando il loro ruolo di “cerniera” tra la marca e i ricettori, implicando, dunque, un’idea di scambio alla base: «In una concezione semiotica e postmoderna della marca…il ruolo dei ricettori è lungi dall’essere quello di spettatori passivi…»58

Il marchio ha delle lontane origini nella storia dell’uomo, sin dalle incisioni e dai dipinti che i primitivi effettuavano all’interno delle caverne. La funzione di queste manifesta-zioni era quella di “marchiare” il proprio territorio o di se-gnalare la presenza in determinati luoghi o di rendere espli-cita l’appartenenza ad un particolare gruppo. Abbiamo avu-to testimonianza di queste manifestazioni anche attraverso alcune iscrizioni scoperte nell’antica Pompei, nelle quali c’è chi fa addirittura risalire gli albori della pubblicità commer-ciale .

Le origini etimologiche della “marca”, sono molto anti-che e tradizionalmente si fanno risalire al termine germani-co“mark”, nell’accezione semantica di “segno di confine”. Non è un caso che in ambito geografico, esso, appaia con una certa frequenza (es. Denmark, o ancor più vicino a noi, “Marche”). Sono numerosi gli esempi degli antesignani dell’odierno “brand”, quelle che vengono definite “proto-marche”, dalle insegne militari ai simboli religiosi e all’araldica, passando per la marchiatura di numerosi manu-fatti come gioielli, utensili, armi. Oltre a trovare la “marca”

58 Semprini, A., La marca postmoderna, Franco Angeli, 2006, p.

154.

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come confine, essa può essere intesa come “marchiatura a fuoco” del bestiame, sul quale veniva apposto un segno che ne potesse determinare la proprietà o che rendesse agevole il riconoscimento di esso. La letteratura non è tuttavia una-nime nel ritenere il termine “marca” come di origine ger-manica e alcuni preferiscono ricondurlo al francese antico “marchier”, che significa “contrassegnare”59. Diverse eti-mologie, dunque, ma medesimi significati. Per arrivare al termine inglese “brand”, si ritiene che l’etimologia francese sia maggiormente utile a comprenderne le origini, poiché il marchier (contrassegnare) è facilmente associabile all’inglese “brand” che significa “incendio”, “cosa che brucia” e dunque è facilmente riconducibile alla marchiatu-ra a fuoco del bestiame o delle pelli.

Per parlare di marca moderna, almeno nella concezione attuale, occorre attendere lo sviluppo industriale che ha ac-compagnato l’Europa a partire dal 1870-1880, con la Se-conda Rivoluzione Industriale. Tra gli studiosi c’è chi parla di una vera e propria golden era

60 per la marca moderna, in-fatti proprio a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento che na-scono imprese e dunque brand destinati a dominare la scena fino ad oggi. Bayer (1899), Fiat (1899), Ford (1899), La-vazza (1895), Coca-Cola (1886), Piaggio (1894), Pirelli (1890).

È grazie alla produzione di massa, resa possibile dalle nuove invenzioni, standardizzata e automatizzata, che si sviluppano nuovi prodotti che, proprio per effetto di questa standardizzazione, hanno reso le aziende costrette a ricorre-re a segni che li potessero differenziare dagli altri. È il con-

59 Baldini, E., in Collesei, U., Rava, V., La comunicazione

d’azienda, Isedi, 2008, p. 32. 60 Fabris, G., Minestroni, L., Valore e valori della marca, Franco

Angeli, 2004, p. 103-104.

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sumo di massa che fa nascere la marca moderna come stru-mento che permette ai consumatori di muovere passi nel mercato. È l’epoca dei trademark, in cui lo scopo è quello di farsi riconoscere, di distinguersi dalla concorrenza. Quel-lo a cui si punta è l’awareness, ovvero la notorietà della marca

Il secondo dopoguerra, l’epoca delle ricostruzione, dal punto di vista del consumo si configura come il “regno del-lo sfuso”, durante il quale ci ricordano Fabris e Minestroni, “i prodotti, in sé, sono opachi, muti: privi di una reale voce in merito alla propria bontà, alla qualità, alla provenienza, alle performance. È il negoziante (e non la marca) che in-carna le funzioni di garanzia, di orientamento, di qualifica-zione”61.

Per una piena affermazione della marca, bisognerà atten-dere qualche anno con il boom dei consumi dovuto alla ri-presa economica e coadiuvato dall’emergere degli strumenti di comunicazione di massa (la Televisione, 1954). Grande merito all’affermazione della marca è detenuto dalla pub-blicità che, a partire dal Carosello (1957-1977), spinge i prodotti di marca, prodotti che trovano la loro collocazione in nuovi luoghi, i supermercati. È grazie a quest’ultimi, luo-ghi anonimi per eccellenza, non-luoghi, come li definirà più avanti l’antropologo francese Marc Augè, che il potere di orientare e garantire viene trasferito dalle mani del “botte-gaio di quartiere” a quelle delle marche. L’identità e la per-sonalità della marca si sostituiscono gradatamente all’identità e alla personalità del venditore. È l’epoca dei trustmark, ovvero dei “marchi fiducia”. Qui diventa neces-sario ampliare il ventaglio degli obiettivi e integrare la ri-cerca di visibilità con la ricerca di fiducia, nella consapevo-

61 Ibidem, p. 107.

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lezza che non è più sufficiente una buona dose di notorietà per guadagnarsi il credito del consumatore. La marca, attra-verso la mediazione dei mass media e dei luoghi di distribu-zione, stipula una sorta di contratto di fiducia con il consu-matore, un contratto inviolabile, pena l’infedeltà, come ci ricorda Semprini.

Gli anni Settanta, caratterizzati dalla crisi petrolifera del 1973 e dalle grandi contestazioni sociali, tirano dentro al banco degli imputati anche il consumo e dunque le marche. Sono gli anni della crisi. Bisognerà attendere gli anni Ottan-ta per veder rinascere una legittimazione delle marche, do-ve, grazie alla liberalizzazione del settore radiotelevisivo che vede lo Stato perdere la propria riserva sulla radiodiffu-sione62, nasce e si sviluppa la televisione commerciale. So-no gli anni in cui la pubblicità domina la scena (nel 1980 nasce Publitalia, concessionaria di pubblicità per le reti Fi-ninvest); sono gli anni dello sviluppo della grande distribu-zione che è proprio dalla televisione commerciale che trae la propria linfa vitale; sono gli anni del boom della marca, della centralità, del dominio degli scaffali dei supermercati.

Negli ultimi vent’anni, le marche hanno subito un'evolu-zione che le ha profondamente segnate nelle loro logiche di funzionamento. Andrea Semprini, ricorda come l’universo del consumo, nel contesto postmoderno, si sia evoluto e si sia intrecciato in maniera pregnante con il contesto sociale. I prodotti perdono il proprio valore strettamente d’uso, per trasformarsi in entità portatrici di senso. È a questo proposi-to che Semprini parla di “natura semiotica della marca”63, per indicare la capacità della marca di veicolare significati,

62 Si vedano le numerose sentenze della Corte Costituzionale degli

anni ’70-’80 in materia di radiodiffusione. 63 Semprini, A., 2006, op. cit., p. 76.

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affermando che “il potere semiotico della marca consiste nel saper selezionare alcuni elementi all’interno del flusso di significati che attraversa lo spazio sociale, nell’organizzarli in un racconto pertinente e attraente e nel proporli al pubblico”. La marca cerca, dunque, di variare i propri discorsi e di rivolgersi in modo personalizzato ai propri interlocutori, costruendo un dialogo che va oltre la fiducia e che si fonda sul quel mutamento di paradigma, at-traverso il quale essa si relaziona con propri consumatori.

La marca postmoderna, diventa l’incontro, il crocevia di una pluralità di istanze: quelle di chi “produce”, cioè l’azienda; quelle di chi “riceve”, i consumatori; quelle che detta il “contesto”, lo zeitgeist, cioè ciò che esprime un’epoca, le tendenze socioculturali presenti. È qui che si iscrive la natura relazionale della marca postmoderna, “una marca capace di instaurare un dialogo reale con il consuma-tore in luogo di un monologo che rischiava di tramutarsi in soliloquio …(una marca) che trova come polo dialettico un consumatore che rivendica un ruolo più attivo nei confronti della marca…”64. Una marca capace di essere fine tuned, ovvero ben sintonizzata, con il mutamento socioculturale in atto, capace di cogliere ed interpretare i desideri, gli umori, le variabili che il contesto esprime.

La nuova relazione che si instaura tra marca e consuma-tore, appare dunque come una grande catalizzatrice di emo-zioni. L’avvento della tv commerciale, la produzione di nuovi commercial più accattivanti, ha fatto sì che alcuni comparti merceologici si siano spostati dalla sfera della ra-zionalità a quella delle emozioni, verso l’universo del desi-derio. Il caso più eclatante è quello del settore automotive, nel quale in breve tempo si è passati da pubblicità che esal-

64 Fabris, G., Minestroni, L., 2004, op.cit. p. 133

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tavano le caratteristiche tecniche dei veicoli, le prestazioni, ad uno scenario in cui la pubblicizzazione di un’automobile diventa un’occasione per generare emozioni. (si veda il caso di SEAT che, addirittura, ha creato il proprio pay-off come “Seat, auto emociòn”).

Kevin Roberts, CEO Worldwide di Saatchi & Saatchi (Publicis Groupe), come abbiamo già avuto modo di ripor-tare nei paragrafi precedenti, nel parlare dei “Lovemarks quasi si ribella alla prassi, alle tendenze, sostenendo “Per-ché mai dovremmo lasciare fuori le emozioni dal business, se sono così importanti nella nostra vita quotidiana? Al la-voro abbiamo bisogno esattamente degli stessi stimoli che creano relazioni profonde in famiglia e tra amici”65. Ro-berts, prosegue poi sostenendo che le persone sono emotive per circa l’80% e razionali per il restante 20%. Queste per-centuali dovrebbero, dunque, bastare a comprendere l’importanza delle emozioni nelle scelte di consumo.

La natura semiotica della marca, quella relazionale e il ruolo che le emozioni giocano nel contesto postmoderno, impone alle aziende di fermarsi a ragionare e di comprende-re che non è più possibile costruire la relazione con il con-sumatore con approcci esclusivamente legati all’immagine o alla notorietà. È il mercato post-moderno, fortemente sa-turo di prodotti, servizi e dunque marche, che impone all’aziende nuove strategie per proporsi ai propri interlocu-tori. Nell’attuale contesto competitivo, ricordano Fabris e Minestroni, “è soltanto grazie all’identità, al plesso di signi-ficati che il brand management le attribuisce, che la marca prende forma, s’investe di un contenuto”66.

65 Roberts, K., Effetto Lovemarks. Vincere nella rivoluzione dei con-

sumi, Franco Angeli, 2008, p. 11. 66 Fabris, G, Minestroni, L.,2004, op. cit., p. 180

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Dunque, nell’attuale scenario postmoderno, il concetto di identità assume un’importanza centrale; essa permette alla marca di tracciare una linea-guida, un contenuto, un proget-to, le consente di proiettarsi verso il futuro con solidità. An-drea Semprini, afferma che “l’ascesa della nozione d’identità deve essere letta nel contesto postmoderno con-temporaneo. Lo sviluppo delle dimensioni immateriali degli spazi sociali ha reso ancora più cruciale la dimensione se-miotica delle marche, la loro capacità di fornire un progetto e del senso”67 “Definire l’identità di una marca significa de-lineare uno statuto della marca che inquadri i tratti salienti del brand, che ne definisca le performance reali pure come quelle simboliche. Una sorta di carta di riconoscimento, o

di identità, appunto, che non si limiti a tratteggiare gli attri-buti e le prestazioni della marca, ma che ne ribadisca le ori-gini e il nucleo fondativi, sottolineando pure la missione e gli orizzonti a medio termine”68. È con queste parole che Fabris e Minestroni forniscono una chiara idea dell’importanza di tale concetto: l’identità, dunque, sarebbe per la marca, quello che la carta d’identità è per gli indivi-dui; va aggiornata periodicamente anche se certi tratti sa-lienti (i core values) permangono immutati nel tempo. I due autori, proseguono nel sostenere che “l’identità è dunque l’incarnazione della marca, è il suo volto e la sua presen-za…È la risultante dell’interazione tra significazioni, mes-saggi, desideri, mondi possibili e performance tangibili”69.

Un altro aspetto che caratterizza lo scenario del branding postmoderno è quello del proliferare delle estensioni di marca. Il ricorso alla pratica dell’extension risale agli anni Ottanta, anni in cui si riteneva che i rischi connessi al lancio

67Semprini, A., 2006, op. cit., p. 91. 68 Ibidem, 2004, p. 189. 69 Ibidem, 2004, p. 199.

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di una nuova marca, fossero maggiori rispetto a quelli legati ad una sua “estensione”, un processo che poteva garantire un riverbero della notorietà e dell’appeal della marca anche su altri prodotti. Alla base di tale idea, vi era quella di capi-talizzare l’equity (il valore) prodotto dal brand originario e di distribuirlo a cascata sugli altri prodotti/marchi. Patrizia Musso, parla di “metamorfosi delle marche: il fattore mix-

ability”70, distinguendo due fenomeni come la “contamina-zione”, intesa come tendenza a far entrare in contatto il pro-prio territorio con altri un tempo considerati rigidamente separati, e la “ibridazione” intesa come una vera e propria fusione di due marche, geneticamente diverse, che danno vita a loro volta ad un nuovo prodotto portatore di un nuovo senso.

Anche in quest’ambito, ritorna molto utile il contributo di Fabris e Minestroni, che a proposito dell’estensione, for-niscono in poche righe un’ottima sintesi dei pro e dei con-

tra, affermando che essa “non è un toccasana in assoluto, e nemmeno una minaccia tout court. È una pratica che può valorizzare il capitale di marca, se ben gestita, perché capa-ce di produrre benefici riverberi a doppio senso, ottimiz-zando il successo di ogni singolo prodotto. Oppure può in-debolirlo, sgretolarlo, offuscarlo, se condotta con troppa spregiudicatezza e poca lungimiranza. Può addirittura di-struggerlo se avviene in maniera esasperata, se cioè, diventa stretching: un pericoloso allungamento verso territori trop-po distanti dalla prima vocazione produttiva”71.

Prima di procedere ad estendere la marca, è opportuno osservare delle regole di condotta: innanzitutto bisogna co-

70 Musso, P., I nuovi territori della marca. Percorsi di senso, discor-

si, azioni, Franco Angeli, Milano, 2005, p. 122. 71 Ibidem, 2004, p. 316.

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noscere la propria marca, la sua essenza, la sua missione e i suoi valori, insomma il suo DNA. L’estensione funziona quando si tratta di line extension, ovvero quando vi è un ampliamento di gamma, quando la merceologia è la stessa e quando si opera all’interno dello stesso “territorio”.

Qualche esempio: Star che passa da produrre “brodo alla carne” a produrre “brodo di verdure”; Danone che passa dal produrre “yogurt magro” a “yogurt alla frutta” o prodotti destinati ai bambini come Danette; Infine il caso storico della Coca-Cola che dalla ricetta originale è riuscita ad e-stendersi con Coca-Cola Light o senza caffeina, questo per ampliare il proprio target con “gli attenti alla linea” e “i sa-lutisti” che però non rinunciano al gusto della Coca-Cola. Infine ha rivisto i formati delle bottiglie, aggiungendone di nuovi come le bottiglie da 1,5 lt, per soddisfare un pubblico più vasto che necessità di “quantità maggiori” come le fa-miglie. Nell’ambito dell’estensione propriamente di marca, il caso Gillette, in cui è passata (con successo perché si è mossa su aree contigue di consumo), da produrre lamette a produrre anche schiuma da barba o aftershave.

Dunque, l’extension generalmente funziona quando si e-stende la propria linea, mentre quando si ha intenzione di conquistare nuovi territori di senso, cioè estendere il proprio brand al di fuori del proprio recinto, tutto diventa più ri-schioso. Succede nella moda, dove gli stilisti passano da firmare vestiti a firmare qualunque altro oggetto, talvolta con esiti disastrosi come è successo per Pierre Cardin: dalla moda è passato a firmare penne, ombrelli, accendini, asciu-gamani. Il risultato? Se ci fermiamo un attimo e riflettiamo sul marchio “Pierre Cardin”, penseremo a tutto meno che alla moda e di sicuro non lo collocheremo nel tempio della moda come avremo fatto, al contrario, con altri stilisti. Op-pure la Dove, famosa per il sapone con il payoff “con un

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quarto di crema idratante”, che decise di “estendere”, disa-strosamente, il proprio marchio anche per il detersivo per piatti: questo è una caso di “sconfinamento” da manuale. Come poteva, L’USP (Unique Selling Proposition) “un sa-pone che si prende cura delle mani perché ha un quarto di crema idratante”, funzionare anche per il piatti, dove c’è bi-sogno di forza, di corrosione dello sporco? Nella mente dei consumatori (ed ecco perché è importante il posizionamen-to, l’identità di marca e la scelta dei giusti canali), si stabili-vano le prime incongruenze: un prodotto per le mani non può funzionare anche per i piatti. È estremamente rischioso e difficile allontanarsi dalla dimensione del “ciò che oggi si produce con successo” alla dimensione del “ciò che (forse) domani si produrrà con successo”, Si ottiene successo, solo nei casi in cui il brand originario gode di un’ indiscussa au-torevolezza, quando esso esprime una filosofia di vita e tramite essa stabilisce una connessione diretta con il con-sumatore.

Alcuni studiosi come ad esempio B.Jolley72, sostengono la tesi che ogni operazione di brand extension, contenga una dinamica bidirezionale: le connotazioni che vanno dal brand originario e quelle che si riflettono su di esso per effetto dell’estensione. Infine, potremmo citare Al Ries e Laura Ries, che in un recente saggio, nell’esporre “la 10° Legge del Branding: “Law of extension”, affermano: «The easiest

way to destroy a brand is to put its name on everything»73.

72 Jolley, B., Brand Extensions, in L. Leuthessere, Defining, Meas-

uring and Managing Brand Equity, Marketing Science Institutem Cam-bridge, 1988.

73 A. Ries, L. Ries, The 22 immutable laws of branding, Per-fectBound, 2002, p. 49.

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FOCUS – Il Guerrilla Marketing nel media mix

Sul stesso solco dell’approccio del marketing non-convenzionale, si colloca anche quello che viene definito Guerrilla marketing. Si tratta di un insieme di tecniche di comunicazione non-convenzionale che permette alle azien-de di massimizzare i propri risultati, ottenendo il massimo di visibilità con il minimo degli investimenti. Con il marke-ting tradizionale condivide l’approccio bellico, ma rispetto ad esso utilizza degli strumenti molto diversi. Infatti, Cova, Giordano e Pallera, fanno un parallelo sostenendo che con questo nuovo paradigma si passa dalla guerra alla guerrilla, una simmetria concettuale che sta alla base delle nuove sfi-de del mercato: nuove sfide, nuovi strumenti74.

Questo approccio rivoluziona il marketing mix e in parti-colare la leva promotion, quella della comunicazione, sov-vertendo gli i canali codificati attraverso cui raggiungere il consumatore. Dunque, le differenze rispetto al passato si collocano a livello più generale, ma anche a livello partico-lare nella scelta dei mezzi e nelle modalità di relazione con il proprio target. Il crescente affollamento dei canali tradi-zionali e la necessità di lanciare in modo originale e impat-tante nuovi prodotti, unita alla ricerca di maggiore compli-cità con il pubblico, fa sì che le campagne di guerrilla siano sempre di più utilizzate per accelerare un posizionamento o sottolineare specifici valori di marca

L’origine etimologica del termine guerrilla, viene fatta risalire alla resistenza spagnola del 1808 durante l’occupazione napoleonica, in cui i guerriglieri spagnoli – inferiori numericamente e per armi, mezzi – combatterono con successo sfruttando la conoscenza del territorio e il le-game con la popolazione. Il modo di procedere di tali sog-

74 B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Op. Cit, p. 145.-150

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getti era efficace poiché sfruttava l’effetto sorpresa median-te imboscate ed attentati, decisamente fuori dai canoni bel-lici codificati di ingaggio. Una tattica di lotta armata con-dotta da piccole formazioni irregolari contro un esercito ir-regolare (guerrilla marketing vs marketing tradizionale). Dunque, il successo non è dato dalla forte disponibilità di mezzi, ma dalla possibilità di amplificare gli effetti derivan-ti dai pochi a disposizione.

Il padre del Guerrilla marketing, Jay Conrad Levinson (1984), ritiene che la differenza più importante di tale ap-proccio rispetto a quello tradizionale, sta nel fatto che:

Mentre il marketing tradizionale sostiene che dovete puntare sulla pubblicità per garantirvi il successo, il Guerrilla Marketing afferma che, avendo a disposizione tempo, impegno, immagina-zione e qualche abile strategia psicologica, potrete utilizzare le sue cento armi – sessantadue delle quali gratuite – [dove] la pub-blicità è solo una di queste e anche la più costosa. Quindi, mal-grado quanto vi diranno le società che adottano strategie di mar-keting tradizionale, non avete bisogno di un budget consistente per competere sul mercato che avete scelto.75

L’approccio di Levinson è stato decisamente innovativo nel campo del marketing e si è focalizzato prevalentemente sulla capacità dei marketer di poter utilizzare la Program-mazione Neurolinguistica come strumento per comprendere le dinamiche psicologiche dei consumatori. Anche se l’autore più volte sottolinea che il suo libro “non è un libro di Programmazione Neurolinguistica”, egli più volte fa rife-rimento al fatto che il marketer deve parlare alla mente in-conscia del consumatore, sostenendo che essa è molto più astuta di quella conscia e che essa controlla il dialogo inte-

75 J.C. Levinson, P.R. J. Hanley, Guerrilla marketing. Mente, persu-

asione, mercato, Castelvecchi, Roma, 2007, p. 11.

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riore del consumatore, decidendo prima di consultare il conscio76.

La sua proposta ha dato luogo ad un esplosione di con-tributi epistemologici che hanno indirizzato il proprio sguardo prevalentemente verso l’innovazione nei media e nella pubblicità. Si tratta di quelle comunicazioni che sor-prendono il destinatario per il loro aspetto improvvisato, modificando l’ambiente con cui il soggetto interagisce quo-tidianamente; Messaggi che si svincolano da mezzi tradi-zionali per essere veicolati da altri che non appartengono ai canoni codificati dei media. La tendenza oggi prevalente, affrancandosi in parte dalle idee di Levinson, costruisce il suo statuto intorno alla capacità di straniare il pubblico, ef-fetto reso possibile attraverso sottili cambiamenti della quo-tidianità che – a loro volta – generano nuovi significati do-vuti alla variazione di senso.

L’approccio del Guerrilla Marketing concorre allo svi-luppo di strategie di mercato attraverso la messa in scena di pseudo eventi concepiti come integrazione all’immagine dell’azienda. Come abbiamo affermato in precedenza, il consumatore vive oggi il suo rapporto con la marca come in un’ottica esperienziale, dove quanto più coinvolgente sarà il teatro della campagna guerrilla, tanto più il consumatore si sentirà chiamato all’azione e alla partecipazione dell’esperienza. Spesso, al concetto di Guerrilla se ne af-fianca un altro, quello di Ambient advertising, e il confine tra di essi diventa assai labile. Sotto quest’ultima etichetta vengono catalogate tutte quelle forme di comunicazione che si realizzano nell’ambiente frequentato abitualmente dai de-stinatari del messaggio pubblicitario. Generalmente si con-sidera “guerrilla” la comunicazione ambient più provocato-

76 Ivi, pp. 18-31.

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ria, sottolineando come quest’ultimo sia piuttosto un mezzo, una realtà preesistente che viene modificata e sulla quale si operano delle modificazioni di senso. L’obiettivo è quello di modificare la realtà in modo da creare un vero e proprio discorso articolato, trasformando ogni azione sul territorio in un incidente memorabile che può essere facilmente rac-contato e diventare notiziabile per i media. Tale notizia vie-ne prodotta dall’effetto buzz che si attiva tra coloro si imbat-tono in tale evento, rafforzato dal passaparola e dalla facilità con cui è possibile scattare delle foto od effettuare dei vide-o, immediatamente pubblicabili su social network o su piat-taforme user generated dei principali quotidiani online.

Di fronte al crescere di forme di comunicazione non convenzionale, dunque, accade che per strada o nei luoghi più affollati, ogni oggetto, tutto ciò che ci circonda, si rico-pra di una patina comunicazionale, tutto diventa medium. Paolo Duranti, Managing Director Southern Europe di

Nielsen Media Research, a proposito del proliferare di nuo-ve forme mediali, afferma:

Ciò che risulta particolarmente interessante nello studio dello scenario media e della sua evoluzione è il notare come, accanto ad una proliferazione di nuove forme di media (molte delle quali generate dalle nuove tecnologie disponibili), si assista anche ad una continua ricerca di innovazione da parte dei media classici finalizzata a modificarsi per meglio adattarsi al radicale muta-mento dello scenario in cui operano. [Duranti prosegue, poi, ri-guardo agli sviluppi dell’outdoor advertising, sostenendo che] Se ad esempio consideriamo l’Outdoor non possiamo dimentica-re che questo sia stato il primo veicolo utilizzato per pubblicizza-re i prodotti (il classico “manifesto”) mentre ora lo vediamo pro-porsi in innumerevoli forme e formati che non tradiscono il pro-prio DNA storico ma che consentono un miglior sfruttamento di

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tutte le crescenti opportunità di contatto generate da un individuo sempre più mobile77.

Così, ad esempio, gli aeroporti da nonluoghi, cioè luoghi privi di identità, secondo la definizione dell’antropologo e studioso della modernità, Marc Augè, cambiano morfologia e si trasformano nei più attuali super-luoghi, carichi di sen-so, di significati, luoghi in cui i passeggeri respirano un’aria diversa, si immergono nella semiosfera aeroportuale, dove ogni spazio e ogni oggetto può diventare funzionale alla pubblicità. Così fingers, bus interpista, scale mobili, ascen-

sori, carte d’imbarco, nastri ritiro bagagli, bidoni della

spazzatura, carrelli, ciascuno di essi dotato di una meta-funzionalità, di un nuovo compito che va oltre la loro fun-zione, oggi, essi sono chiamati a “conversare” con il pas-seggero, a trasmettere ad esso nuovi significati, attraverso una creatività fondata su un mix di leggibilità e contrasto cromatico, forti del fatto che ciò che veicolano, sfrutta sem-pre di più la forza del contesto in cui il medium è collocato. D’altronde, chi avrebbe difficoltà a riconoscere la forza comunicativa di un nastro ritiro bagagli che, pubblicizza una valigia assicurata contro lo smarrimento dei bagagli? Ad essi si aggiungono dei veri e propri veicoli creati artifi-cialmente come: courtesy notes, electrical sheets,vento sel-

le, stoppers, frecce, balloons, fiori, passepartout, magneti,

gessetti, reversed graffiti, flyers, moke-ip, tees, carpet floor,

etc. Il lato purtroppo ancora negativo del Guerrilla marketing

e in particolare dell’Ambient, è che esso risulta essere diffi-cilmente misurabile e ciò spesso diventa uno dei motivi per

77 Cfr. P. Duranti in P. Inzaina, Esterna: difficoltà e prospettive del

mezzo, MediaForum n° 30, pp. 16-17, Ottobre 2009.

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cui, aziende e agenzie media, si mostrano restie ad inserirlo nelle proprie pianificazioni.

Figura 4 – Adidas - Europei di calcio 2008

Per l’apertura degli Europei di calcio Uefa 2008, è stata installata una

silhouette alta 60 metri del portiere dell’Austria, Petr Cech, con 8 braccia che

abbracciano i raggi della ruota panoramica di Vienna.

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Figura 5 – Yellowpages.ca – Geolocalizzazione alternativa

Può capitare di essere a passeggio e all’improvviso vedere spuntare una grossa

freccetta gialla (come quella del tiro a segno), bene, si tratta della campagna

non convenzionale messa a segno da Yellowpages.ca il corrispettivo canadese

delle nostre Pagine Gialle.

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Figura 6 – Folliderm –Contro la perdita dei capelli

Le porte scorrevoli dell’ascensore aprendosi ricordano cosa potrebbe accadere

ai capelli. Creatività molto impattante che, visto il crescente fenomeno della

perdita dei capelli, ha colpito decisamente nel segno, portando un sensibile

incremento di richieste e informazioni sulla terapia antiperdita oggetto della

campagna.

Figura 7 – Mercedes-Benz –I fari che si adattano al movimento dell’auto

Il nastro trasportatore degli aeroporti si trasforma in mezzo per veicolare un

messaggio pubblicitario. La creatività si lega perfettamente al nastro trasporta-

tore, sfruttando la curva, la Mercedes è riuscita a comunicare i benefici dei

nuovi fari che si adattano al movimento.

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INTERVISTA ad Attilio Redivo, CEO Mediacom Italy

(GroupM –WPP)

Attilio Redivo è anche Vice Presidente dell’IAA Italy Chapter (International Advertising Association) e Presiden-te del Centro Studi di AssAP Servizi (Assocomunicazione). Mediacom Italy, fa parte del primo gruppo al mondo di co-municazione (WPP) e insieme alle altre tre agenzie media del gruppo (Mediaedge:cia, Mindshare e Maxus), rappre-senta un big player a livello internazionale con 106 uffici in 81 paesi e con un portafoglio clienti molto importante. In Italia ha due sedi, Milano e Roma e può contare su clienti come Volkswagen Group Italia (Audi, Volkswagen, Skoda, Seat e Veicoli Commerciali Volkswagen), Bayer, Proc-ter&Gamble, Loewe, Universal Pictures, Fox, Unicredit, etc.

1. Qual è lo scenario globale delle agenzie di comuni-cazione? Ci sono pochi grandi gruppi che controllano tut-

to il mercato (compresa Mediacom). Secondo lei , un grande gruppo rappresenta una garanzia per il cliente?

Che spazio hanno sul mercato le piccole agenzie?

Siamo in un momento di grande evoluzione con dinami-

che apparentemente contraddittorie. Da un lato, la tendenza alla globalizzazione ed alla costruzione di grandi strutture che diventando sempre più grandi per poter sfruttare eco-nomie di scala e potere contrattuale, dall'altro la tecnologia che, tramite la digitalizzazione e le piattaforme web, rende accessibile anche a piccole strutture un mercato globale e la competizione con i grandi gruppi. Ritengo che il successo competitivo arriderà a chi saprà sfruttare le proprie peculia-rità. C'è comunque spazio per tutti quelli bravi, grandi o piccoli.

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2. Ritiene che il centro media sia un attore chiave del mercato pubblicitario, per il suo ruolo nella gestione dei

budget pubblicitari? (Cliente-><-CENTRO MEDIA-><-Concessionarie->Target)

Se non lo pensassi non sarei qui. Penso che il centro me-dia sia al centro del cambiamento in atto: possa addirittura rappresentarne un motore significativo. Come categoria non siamo stati ancora capaci di valorizzare appieno il contribu-to che siamo in grado di dare alle aziende. C'è molto lavoro da fare per accreditarci. parlando con aziende alcuni più il-luminati si rendono conto del nostro ruolo centrale nella de-finizione dei piani di comunicazione: partiamo dalla cono-scenza del consumatore/cliente/prospect e dalla misurazione dei risultati, quindi da punti fermi importanti e ciò è apprez-zato dal mercato.

3. B.Cova, A.Giordano e M.Pallera in un recente saggio dal titolo "Marketing non-convenzionale", Sole24Ore,

2007, parlano di “Centro Media 2.0”, sostenendo che i centri tradizionali basano il proprio operato su metodo-

logie che difficilmente riescono a rendere conto dei rapi-di cambiamenti, piuttosto che ad individuare nuove op-

portunità di comunicazione per il brand. Insomma, so-stengono che il "media planner" debba agire in modo a-

nalogo a come opera il "cool hunter" nel ricercare nuove tendenze, trasformandosi in "media hunter", ovvero cac-

ciatore di nuove opportunità media. Condivide questo scenario prospettato? il mercato è pronto per tutto que-sto?

Non mi risulta che nessuno di questi signori abbia mai lavorato in un centro media. Avranno sicuramente informa-zioni più precise delle mie ... Battute a parte, ritengo che

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questa è una parte del lavoro che un centro media già fa. il problema è che al di fuori dei centri media la conoscenza di cosa significhi il nostro lavoro è molto limitata e, quindi, da questa percezione parziale derivano critiche non documen-tate e la convinzione che in fondo la nostra non sia una pro-fessione qualificata, ma qualcosa che è comunque semplice ed immediato fare.

4. Qual è il futuro delle agenzie media, in termini di

servizi da offrire al cliente?

Il futuro, che è già presente per alcuni è: 1) continuare a fornire con elevati livelli di eccellenza il co-siddetto servizio base che consiste nel pianificare al meglio per massimizzare efficacia ed efficienza dei piani di comu-nicazione delle aziende, con implicazioni gestionali diffi-cilmente comprensibili per i non adepti 2) continuare a sviluppare servizi: a) nell'area della com-prensione delle dinamiche di consumo e comunicazione per trovare modalità sempre innovative di contatto b) nella mi-surazione dei risultati di comunicazione e di business c) in nuovi modelli di business per la relazione utente - agenzia - mezzo d) in una disponibilità ad affiancare l'azienda nell'in-tegrazione delle diverse leve di marketing.

5. Come sarà il media mix del futuro per le aziende?

Che peso avrà Internet nel futuro? (anche alla luce che le

pianificazioni Internet sul mercato UK, hanno superato quelle in televisione). Secondo Lei ci saranno delle pro-

spettive di crescita per la c.d. OOH 2.0? ovvero l'outdoor evoluta che sfrutta l'interazione tra più media (es. mobi-

le+affissione+web), si pensi, da ultimo, alla pubblicità su "Street View" di Google.

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Ritengo che internet non sia un mezzo diverso, ma piut-tosto una piattaforma su cui convergono tutti i media, in questo senso probabilmente dovremo rivedere il modo in cui suddividiamo i media oggi. Credo che dovremmo essere pronti ad anticipare nuove categorie al posto dei cosiddetti media classici. In UK si parla da tempo di "screen advertising" opposto ad altre forme più statiche. In quest'ot-tica l'advertising internet based è destinata ad occupare la maggioranza degli spazi lasciando a forme più tradizionali margini residuali.

6. Come considera il mondo delle gare? Come funzio-

na? Molti affermano che ci sia una tendenza a portare i

"fee" al ribasso? Alcuni affermano che negli ultimi 10 an-ni i fee delle agenzie (media, creative, e di consulenza

comunicativa in generale) si siano dimezzati. Se concor-da, anche in parte, con quanto detto, ritiene che tutto ciò

vada a discapito della qualità generale dei servizi offerti sul mercato?

Le gare in un mondo complesso e per molti esoterico come quello della comunicazione e del media vengono con-dotte con criteri semplificati e quindi necessariamente sem-plicistici. Si riduce il problema a termini immediatamente intellegibili ed il costo diviene l'unico parametro di imme-diata comprensione e confronto. E' abbastanza curioso rile-vare che molta meno attenzione si pone sui risultati di co-municazione e quindi sull'impatto sul business: E' un vero peccato, perchè noi stiamo lavorando molto in quest'area ed abbiamo acquisito competenze preziose. E' importante che le aziende, ed in particolare gli uffici acquisti di queste che assumono sempre maggior peso, divengano consapevoli di

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ciò ed abbiano la volontà di definire criteri più maturi ed evoluti per la selezione dei propri partner. Per il momento (parlo della mia organizzazione) stiamo tenendo il livello qualitativo della risposta, ma stiamo arrivando a livelli in cui diventa difficile lavorare sulla formazione e sull'innova-zione e per alcuni la tentazione di ricorrere a scorciatoie po-trebbe diventare forte ed impellente.

7. Infine, una domanda specifica su MediaCom: Come è

organizzato il team che segue il cliente? Quali funzioni e figure professionali aziendali sono coinvolte? Insomma

qual è la catena del valore? C’è chi sostiene che il modello organizzativo più efficiente sia quello adhocratico (Min-

tzberg), dove c’è un forte lavoro in team, le persone sono empowered, si lavora per costellazioni di lavoro che toc-

cano tutte le funzioni aziendali. In Mediacom funziona così?

Un business unit director deve capire i bisogni dell'a-zienda ed attivare all'interno le competenze necessarie. Questa figura professionale ha un background abbastanza eterogeneo e unisce competenze tecniche a competenze ge-stionali e relazionali: quasi sempre i bisogni da soddisfare sono complessi e quindi il BUD deve coinvolgere team multidisciplinari, talvolta attivando risorse anche al di fuori dell'agenzia, nell'ottica di trovare la migliore soluzione per il proprio cliente. La composizione dei team e diversa per ogni cliente e spesso cambia nel tempo, come le esigenze che è chiamata a soddisfare. Siamo necessariamente e feli-cemente camaleontici nel modo di porci. Una dimensione relativamente contenuta, siamo circa 100 persone in Italia, ci consente la flessibilità necessaria, mentre l'appartenenza

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ad un gruppo leader ci consente di sfruttare economie di scala e sinergie impensabili per altri.

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Capitolo 3 – La mobilità come spina

dorsale della post-pubblicità

La globalizzazione della società

La parola globalizzazione è entrata solo recentemente nel linguaggio quotidiano, essa è stata per lungo tempo più un dato di fatto, qualcosa di dato per scontato e mai definito attraverso un’etichetta che, nell’ultimo quarto del secolo scorso, ha assunto una centralità in numerosi ambiti. Gene-ralmente si parla di essa per riferirla all’ambito economico, per sottolineare l’interconnessione planetaria dei mercati e l’omologazione dei consumi.

Augè, antropologo francese e tra i più importanti studiosi della modernità o più precisamente della surmodernità – come preferisce chiamarla – sostiene che la globalizzazione è un fenomeno che riguarda più l’ambito comunicativo piut-tosto che quello economico1. Si parla di globalizzazione al singolare, probabilmente perché la radicalizzazione prodotta dalla società dell’informazione ha fatto sì che la post-modernità si appropriasse con forza di questo termine, ma sarebbe più opportuno utilizzare il plurale e parlare di “glo-balizzazioni”, ritenendo che esistano più fasi del medesimo fenomeno e che essa abbia delle radici molto lontane.

Si ritiene che non si possa definire con esattezza una data in cui essa ha avuto il suo incipit, tuttavia alcuni studiosi ri-tengono che l’invenzione del telegrafo elettrico e la posa dei

1 M. Augè, in Germano I., 1999, p. 11.

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primi cavi sottomarini tra un continente e l’altro, possa rap-presentare l’inizio della sua fase attuale di radicalizzazione e l’occasione per la comunicazione, perché è di essa che si nutre la globalizzazione, di affrancarsi dalla sua essenza di phora, ovvero di trasporto fisico e di assumere una nuova caratteristica di trasferimento di informazione.

Il sociologo inglese John B. Thompson afferma:

Grazie allo sganciamento di spazio e tempo prodotto dai mezzi di comunicazione elettronici, è possibile ricevere messag-gi prodotti da fonti spazialmente remote senza alcuna (o quasi) dilazione temporale. Con la moltiplicazione delle reti di comuni-cazione elettronica si sono cancellate le distanze[..] La riorganiz-zazione di spazio e tempo prodotta dallo sviluppo dei media è un aspetto di un più ampio insieme di processi che ha trasformato (e sta ancora trasformando) il mondo moderno. Tali processi sono oggi comunemente indicati con il termine di «globalizzazione»2.

È chiaro quindi che si tratta di un fenomeno in fieri che è attualmente nella sua fase di massima definizione e chiarez-za di significato. Essa è di fronte a tutti e ci avvolge quoti-dianamente andando ben oltre gli aspetti tecnologici e an-dando a toccare i costumi delle nostre società, tant’è che il dibattito sulle sue conseguenze è decisamente vivo.

Il nuovo consumatore flaneur

In questo contesto, anche il consumatore e le modalità di consumo si trasformano, si adeguano alle nuove opportunità e fanno sì che il consumo si doti di uno statuto epistemolo-gico autonomo. In questo scenario, ci ricorda Fabris, il con-sumatore si caratterizza per essere un individuo flessibile che “ama procedere con percorsi ondivaghi come per lo sla-

2 J.B. Thompson, 1998, ed. it., p. 211.

Page 133: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

- 125 -

lom, il surf, lo skate, lo snowboard”3. Un individuo che si destreggia con abilità tra le tante alternative del mercato e assume sempre più una fisionomia simile al flaneur metro-politano di fine Ottocento, ovvero di quell’individuo “bi-ghellone” che si aggirava tra i passages dei grandi magaz-zini, inebriato dalle merci esposte. Dunque un soggetto in perenne movimento, la cui ragion d’essere è proprio la pos-sibilità di muoversi e spostarsi con facilità per raggiungere i propri scopi. Oggi, in piena post-modernità, il consumatore sembra spinto dalla stessa carica verso la mobilità, si muove per ragioni lavorative o personali e trascorre molto tempo fuori da casa propria.

Gli anni Sessanta, quelli del boom economico del secolo scorso – ma anche fino agli anni Ottanta – si erano caratte-rizzati per la domiciliazione dei consumi. I soggetti si “chiudevano” dentro casa per partecipare ai rituali socializ-zanti del guardare la televisione o del consumare in famiglia i beni acquistati. Le aziende colpivano il proprio target principalmente nella dimensione domestica e dunque, i messaggi pubblicitari arrivavano a destinazione quasi esclu-sivamente attraverso la televisione o la carta stampata. Og-gi, per effetto di un’accelerazione dei ritmi della società, dettata soprattutto dal lavoro e dalla facilità con cui ci si può spostare, il consumatore passa gran parte della propria giornata fuori dalla propria abitazione. Gli spostamenti del mattino per recarsi al lavoro, quelli nelle ore di pausa du-rante i pasti e infine quelli della sera per il rientro a casa, sottraggono un grossa fetta del tempo libero di cui dispon-gono gli individui. Queste sacche di tempo, possono oggi essere considerate molto preziose ai fini commerciali e co-

3 G. Fabris, Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Franco

Angeli, Milano, 2005, p. 26.

Page 134: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

- 126 -

municativi per le aziende. Non è un caso che nella pianifi-cazione dei media, si sia soliti suddividere la giornata in fa-

sce e assegnare a ciascun medium il compito di raggiungere il consumatore. Ad esempio, nel caso della radio, si parla di drive time, proprio per identificare delle particolari fasce della giornata durante i quali i soggetti sono in mobilità per gli spostamenti e sono dunque maggiormente raggiungibili da un medium come la radio, la cui fruizione avviene prin-cipalmente quando si è in macchina per recarsi o ritornare dal lavoro.

In modo particolare, assume sempre più importanza – in un certo senso presentandosi attraverso nuove vesti – il me-dium pubblicitario più antico: l’Esterna. Oggi esso si pro-pone sotto una nuova etichetta, quella di OOH (out of

home), inglobando una serie di strumenti che sono in piena sintonia con la radicalizzazione della mobilità a cui si face-va in precedenza riferimento. Inoltre, oggi, siamo di fronte ad una crescente urbanizzazione:

- Oltre il 60% della popolazione mondiale si concentra sul 10% delle terre emerse;

- L’80% degli europei vive in aree urbane che rappre-sentano il 20% della superficie dell’Europa;

- Entro il 2030 il 60% della popolazione mondiale vi-vrà nelle città;4

Dunque, si sta verificando una forte diffusione del mo-dello urbano, dove la forma urbana attuale è quello della “città diffusa”, per cui la pubblicità esterna deve tenere con-to dell’evoluzione del suo habitat.

4 Fonte: Financial Times/Eurostat.

Page 135: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Il ruolo del OOH nel media mix

Sebbene gli investimenti in out of home continuino ad essere poco significativi rispetto agli altri mezzi, si ritiene che tale mezzo – alla luce delle considerazioni espresse –possa giocare un importante ruolo nel mercato pubblicitario del futuro. Si tratta di un mezzo che racchiude una ricca pluralità di forme di investimento e che è dotato di una forte capacità di generare contatto, quest’ultima con importanti riscontri positivi per la disposizione del consumatore nei confronti dei formati pubblicitari. È un mezzo poco affolla-to che, rispetto ad altri media che ricevono maggiori inve-stimenti, mostra importanti opportunità soprattutto perché è adatto ad ogni tipologia di budget, dal big spender alla pic-cola realtà imprenditoriale e inoltre risulta essere comple-mentare agli altri mezzi Insomma, non sottrae tempo agli altri mezzi e appiattisce quella forma di concorrenza intra-

media di cui parlano studiosi come Robert Picard. Si tratta di un mezzo che è al centro dell’innovazione e si pone come sintesi e come catalizzatore di quella che sta avvenendo in altri settori come nella telefonia cellulare, nelle reti Internet, nei supporti visivi come schermi, etc.

Gli attori dell’OOH in Italia

Nel contesto italiano, il mercato dell’OOH è caratterizza-to da una forte concentrazione ed è governato da tre big

players internazionali, quali IGPDecaux, Clear Channel e CBS Outdoor.

Page 136: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Il valore complessivo del mercato 2009, secondo le stime

di GroupM e i dati di Nielsen Media Research, si è aggirato intorno ai 517 mln di euro e si è distribuito tra numerose opportunità di investimento per gli inserzionisti: dai più trdizionali poster e arredo urbano, fino al nuovo cirTransit basato sulle rilevazioni di Nielsen sugli impianti di IGPDecaux.

Il mercato dell’OOH è caratterizzato dalla presenza di diverse agenzie media specializzate nella pianificazione sterna e anch’esso – al pari di quello delle concessionarie è particolarmente concentrato e si configura come a concorenza monopolistica, poiché vede soggetti detenere quote di mercato molto alte, alcuni fino al 30%.

Grafico 1 – La market share dei principali player OOH in Italia

Fonte: Kinetic 2009

, secondo le stime di GroupM e i dati di Nielsen Media Research, si è aggirato intorno ai 517 mln di euro e si è distribuito tra numerose opportunità di investimento per gli inserzionisti: dai più tra-

e arredo urbano, fino al nuovo circuito basato sulle rilevazioni di Nielsen sugli impianti di

mercato dell’OOH è caratterizzato dalla presenza di diverse agenzie media specializzate nella pianificazione e-

al pari di quello delle concessionarie – e si configura come a concor-

soggetti detenere quote di

dei principali player OOH in Italia

Fonte: Kinetic 2009

Page 137: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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La capacità di incrementare le occasioni di contatto con il

consumatore

L’OOH si trova nel mezzo di un’evoluzione dei sociali che mostrano come la società post-moderna sidecisamente differenziando rispetto a quella moderna. Nei precedenti paragrafi abbiamo parlato di crescita dell’urbanizzazione, mentre qui ci soffermeremo su un'altra caratteristica importante, ovvero sul fatto che oggi le persne trascorrono fuori di casa gran parte della propia Secondo i dati Eurisko Time Budget 1996/2006, oggi l’83%

Grafico 2 – Lo share delle tipologie di investimento

Grafico 3 – La market share delle agenzie media OOH in Italia

Fonte: Kinetic 2009

Fonte: Kinetic 2009

La capacità di incrementare le occasioni di contatto con il

L’OOH si trova nel mezzo di un’evoluzione dei trend

moderna si stia decisamente differenziando rispetto a quella moderna. Nei precedenti paragrafi abbiamo parlato di crescita dell’urbanizzazione, mentre qui ci soffermeremo su un'altra caratteristica importante, ovvero sul fatto che oggi le perso-

propia giornata. , oggi l’83%

delle agenzie media OOH in Italia

Fonte: Kinetic 2009

Fonte: Kinetic 2009

Page 138: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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della popolazione si sposta quotidianamente, circa 40,6 mln di persone. Di conseguenza, il tempo trascorso fuori casa cresce in maniera significativa e sappiamo che rispetto al 1996, dieci anni dopo si è verificato un aumento del 7,4% del tempo trascorso fuori casa: si è passati da 7 ore e 53 mnuti (1996) a 8 ore e 28 minuti (2006), esattamente tretacinque minuti in più.

A questo punto occorre chiedersi quale siano le cause

che spingono le persone a trascorrere gran parte del proprio tempo in attività fuori dalla propria dimensione privata: si sta diffondendo una vera e propria out of home culture

ve crescono le iniziative e le occasioni per divertirsi e soci

Grafico 4 – Numero spostamenti medi per persona nella gio

Fonte: Kinetic/Gfk Eurisko Sinottica 2008.2, Gfk Eurisko Timebudget 2006

Grafico 5 – Tempo medio trascorso per singola attività fuori casa

Fonte: Kinetic/Gfk Eurisko Sinottica 2008.2, Gfk Eurisko Timebudget

, circa 40,6 mln di persone. Di conseguenza, il tempo trascorso fuori casa

mo che rispetto al 1996, dieci anni dopo si è verificato un aumento del 7,4% del tempo trascorso fuori casa: si è passati da 7 ore e 53 mi-nuti (1996) a 8 ore e 28 minuti (2006), esattamente tren-

A questo punto occorre chiedersi quale siano le cause che spingono le persone a trascorrere gran parte del proprio tempo in attività fuori dalla propria dimensione privata: si

out of home culture, do-iniziative e le occasioni per divertirsi e socia-

Numero spostamenti medi per persona nella giornata

Gfk Eurisko Sinottica 2008.2, Gfk Eurisko Timebudget 2006

Tempo medio trascorso per singola attività fuori casa

Gfk Eurisko Sinottica 2008.2, Gfk Eurisko Timebudget 2006

Page 139: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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lizzare. Negli ultimi anni si è verificata una crescita di spesa per l’organizzazione di eventi dal vivo e sono aumentate le aperture di centri commerciali: nel 2006 vi è stato il record di aperture. L’Italia è la 3° nazione europea per numero di strutture commerciali in corso di realizzazione. Nel 2006, il panorama italiano vedeva 635 centri commerciali, 88 in più rispetto ai due anni precedenti e le stime vedono che entro il 2010 l’offerta potrebbe crescere del 40%5. Inoltre, sembra favorire queste tendenze anche il proliferare di eventi come le “notti bianche”, fenomeno in grado di portare un grosso numero di persone per le strade.

Parallelamente al crescere delle attrattive che spingono l’individuo/consumatore ad uscire fuori casa, si verifica un aumento considerevole della domanda di mobilità. È chiaro che i due fenomeni sono collegati e fanno sì che aumentino le occasioni di contatto con messaggi pubblicitari. Ma per-ché aumenta la domanda di mobilità? Cresce la dispersione sul territorio degli insediamenti residenziali e produttivi; crescono gli spostamenti sistematici per motivi di studio o di lavoro; cresce il numero degli spostamenti non sistemati-ci dovuti allo sviluppo di nuovi bisogni culturali e sociali legati all’uso del tempo libero; infine, grazie al migliora-mento delle infrastrutture viarie e di fenomeni come il low

cost delle compagnie aree, cresce il livello di mobilità fra le diverse aree geografiche.

Uno dei motivi principali delle opportunità che l’out of

home oggi offre, deriva dalla moltiplicazione dei touch

points, ovvero dei “punti di contatto” che la vita quotidiana offre alle persone. Infatti, gran parte delle occasioni in cui il consumatore è raggiungibile, avvengono proprio fuori casa.

5 Dati Kinetic, 2009.

Page 140: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Figura 1 – La moltiplicazione dei touch point

Fonte: rielaborazione su Kinetic 2009

Page 141: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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I touch points possono essere identificati attraverso la dimensione che essi vanno a toccare, distribuendosi su quatro (ved. Figura 1):

- Community: Palestre, eventi, concerti, fiere, cinema, sport, etc;

- Connecting: Mp3 radio, quotidiani free

Internet, cellulare, etc; - At home: DVD, tv, libri, magazines, videogames, etc;- Out of home: Poster, tram, autobus, treni, aeroporti,

pub, discoteche, etc; Ciò che emerge è che la dimensione domestica risulta maginale rispetto a tutte le altre e che gran parte dei punti di contatto toccano la dimensione pubblica dell’individuo. Su circa quaranta touch points individuati, infatti, circa la metà potrebbe essere inglobata nella categoria dell’OOH.

Essendo il medium meno affollato (insieme alla radio), esso garantisce una certa esclusività per gli inserzionisti che lo scelgono e garantisce anche una certa audience

tutto nei grandi agglomerati urbani.

Grafico 6 – Numero campagne nazionali in una quattordicina media

Fonte: Nielsen Media Research+Kinetic. 2009

possono essere identificati attraverso la dimensione che essi vanno a toccare, distribuendosi su quat-

: Palestre, eventi, concerti, fiere, cinema,

free press,

, libri, magazines, videogames, etc; ram, autobus, treni, aeroporti,

che emerge è che la dimensione domestica risulta mar-ran parte dei punti di

pubblica dell’individuo. Su circa la metà

lobata nella categoria dell’OOH. o (insieme alla radio),

esso garantisce una certa esclusività per gli inserzionisti che audience, soprat-

Numero campagne nazionali in una quattordicina media

Fonte: Nielsen Media Research+Kinetic. 2009

Page 142: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

- 134 -

Il rapporto di convivenza, complementarità e innovazione

con gli altri mezzi

L’OOH si caratterizza per avere tendenzialmente una piena complementarità con gli altri mezzi. Insieme alla te-levisione, entrambi sono media visivi che permettono il raggiungimento di grandi reach con momenti di fruizione speculari durante la giornata, che seguono proprio le dina-miche del “in casa” e “fuori casa”. La complementarità è data anche dal fatto che la televisione – attraverso la gene-razione di awareness – lavora sulla dimensione del bran-

ding e del call to action. Allo stesso tempo, l’OOH molti-plica la frequenza di esposizione al messaggio e raggiunge il consumatore nel momento e nel luogo più prossimo all’atto di acquisto, ponendosi dunque in sinergia con la te-levisione. Così, se la televisione “fa conoscere” il prodotto entrando nella dimensione privata del consumatore, l’OOH in un certo senso “rinfresca” la call to action, proprio lad-dove il soggetto sta agendo la sua decisione di consumo.

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TV GENERALISTA OOH

% tempo nel quarto d’ora – popolazione 14-64anni

morning nightafternoon

Grafico 7 – Sovrapposizione delle curve di fruizione di TV e OOH du-rante le varie fasce della giornata.

Fonte: Gfk Eurisko Timebudget 2006, Gfk Eurisko+Kinetic, 2009

Page 143: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Confrontando le caratteristiche della Radio con quelle dell’OOH, possiamo vedere che entrambi i mezzi condivdono un’audience che vive prevalentemente fuori casa e un target che è comunque giovane, dinamico e estremamente mobile. Essi si differenziano comunque per la natura degli stimoli che inviano al consumatore, auditivi la prima e visvi il secondo. Un punto a favore – e che dimostra l’estrema versatilità e sovrapponibilità dei due mezzi – è che la fruzione di entrambi può essere contestuale ad altre attività: esempio la guida, lo shopping, l’attività sportiva.

Il rapporto con la Stampa, invece, si configura come

complementare poiché entrambi sono media visivi e offrono all’inserzionista delle importanti sinergie creative, contrbuendo dunque al contenimento dei costi di marketing. In particolare i free press – grazie alla distribuzione nei punti maggiormente affollati dei centri urbani – garantiscono un’interessante sovrapposizione con l’OOH. Anche qui, trambi raggiungono il consumatore in mobilità, rafforzando

Grafico 8 – Sovrapposizione delle curve di fruizione di Radio e OOH durante le varie fasce della giornata.

Fonte: Gfk Eurisko Timebudget 2006, Gfk Eurisko+Kinetic, 2009

Confrontando le caratteristiche della Radio con quelle dell’OOH, possiamo vedere che entrambi i mezzi condivi-

che vive prevalentemente fuori casa e un che è comunque giovane, dinamico e estremamente

per la natura degli stimoli che inviano al consumatore, auditivi la prima e visi-

e che dimostra l’estrema è che la frui-

ad altre attività: ad

si configura come complementare poiché entrambi sono media visivi e offrono

delle importanti sinergie creative, contri-buendo dunque al contenimento dei costi di marketing. In

grazie alla distribuzione nei punti garantiscono

. Anche qui, en-, rafforzando

Sovrapposizione delle curve di fruizione di Radio e OOH

ko Timebudget 2006, Gfk Eurisko+Kinetic, 2009

Page 144: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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ancora una volta l’idea che la post-pubblicità trovi gran te del suo fondamento nella mobilità delle persone.

Infine, confrontando l’OOH con Internet e le nuove te

nologie digitali, possiamo affermare che essi siano legati da un rapporto di integrazione. Innanzitutto, per entrambi il cus target è dinamico, mobile e giovane, per lo più “nativo digitale”. Questa tipologia di target è più propensa e dispnibile verso le innovazioni, tant’è che da entrambi i mezzi si riscontra una considerevole sensibilità ed apertura all’innovazione. Ecco che l’OOH si caratterizza per essere al centro dell’innovazione, dove essa diventa interattiva, dgitale, ponendosi come guida e sintesi nella convergenza della tecnologia legata alla telefonia mobile, al web, al vdeo. Le nuove forme di digital OOH, costituiscono un’evoluzione tecnologica dei più tradizionali veicoli di pubblicità esterna. Pensiamo al digital signage – a cui dedcheremo più avanti un paragrafo di approfondimento

Grafico 9 – Sovrapposizione delle curve di fruizione di Stampa (qu

tidiana) e OOH durante le varie fasce della giornata.

Fonte: Gfk Eurisko Timebudget 2006, Gfk Eurisko+Kinetic, 2009

trovi gran par-delle persone.

Infine, confrontando l’OOH con Internet e le nuove tec-nologie digitali, possiamo affermare che essi siano legati da un rapporto di integrazione. Innanzitutto, per entrambi il fo-

e giovane, per lo più “nativo è più propensa e dispo-

le innovazioni, tant’è che da entrambi i mezzi si considerevole sensibilità ed apertura

all’innovazione. Ecco che l’OOH si caratterizza per essere essa diventa interattiva, di-

convergenza della tecnologia legata alla telefonia mobile, al web, al vi-

, costituiscono dei più tradizionali veicoli di

a cui dedi-cheremo più avanti un paragrafo di approfondimento – che

Sovrapposizione delle curve di fruizione di Stampa (quo-

ko Timebudget 2006, Gfk Eurisko+Kinetic, 2009

Page 145: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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rappresenta la sintesi dell’innovazione del poster il ricorso alla tecnologia video e le reti Internet, oppure al crescente ricorso a schermi LED che garantiscono ottima qualità e consumi contenuti.

Kevin Roberts, CEO di Saatchi & Saatchi, in un recsaggio di successo, afferma proprio che il contesto postmoderno del branding e della pubblicità si caratterizza per la presenza di quello che chiama Si.So.Mo, ovvero l’acronimo di Sight, Sound, Movement (Vista, Suono, Mvimento)6. Insomma, proprio quello che l’OOH è in grado di offrire e che sarà in grado di offrire nel futuro prossimo, indirizzandosi maggiormente su forme di comunicazione non convenzionali che oggi, forse, non trovano sufficiente spazio nelle pianificazioni delle aziende: si arriverà all’tdoor 2.0.

6 Cfr. K.Roberts, Effetto Lovemark, Franco Angeli, 2007.

Grafico 10 – Sovrapposizione delle curve di fruizione di Internet e OOH durante le varie fasce della giornata.

Fonte: Gfk Eurisko Timebudget 2006, Gfk Eurisko+Kinetic, 2009

attraverso il ricorso alla tecnologia video e le reti Internet, oppure al crescente ricorso a schermi LED che garantiscono ottima

Kevin Roberts, CEO di Saatchi & Saatchi, in un recente saggio di successo, afferma proprio che il contesto post-

e della pubblicità si caratterizza per la presenza di quello che chiama Si.So.Mo, ovvero

(Vista, Suono, Mo-quello che l’OOH è in grado

e che sarà in grado di offrire nel futuro prossimo, indirizzandosi maggiormente su forme di comunicazione

, non trovano sufficiente rà all’ Ou-

, Franco Angeli, 2007.

Sovrapposizione delle curve di fruizione di Internet e

ko Timebudget 2006, Gfk Eurisko+Kinetic, 2009

Page 146: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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L’importanza della creatività nell’out of home

L’OOH – più di ogni altro mezzo – vive uno stretto lgame con la creatività, in quanto dev’essere in grado di saltare un messaggio pubblicitario con pochi elementi esenziali e proporzionati rispetto alle dimensioni dell’impianto/veicolo. Porre la giusta attenzione a questo aspetto, significa essere consapevoli degli innumerevoli lementi di distrazione di cui è ricco il contesto urbano.traffico, per esempio, è uno di questi e fa sì che chi è sui mezzi di trasporto, concentri maggiormente l’attenzione alla guida piuttosto che ad eventuali messaggi pubbliDunque, il c.d. fattore K, ovvero “creatività”, diventa un must da considerare, soprattutto quando nella prassi si verfica la frequente e cattiva abitudine di utilizzare la medesma creatività – magari utilizzata per la stampa – soltanto dimensionata e riadattata al nuovo supporto. In realtà, adrebbero presi degli accorgimenti minimi che possono grantire l’efficacia del messaggio: uno sfondo colorato che

Grafico 11 – Stima dell’evoluzione dell’OOH nel futuro

Fonte: GroupM+Kinetic, 2009

vive uno stretto le-game con la creatività, in quanto dev’essere in grado di e-saltare un messaggio pubblicitario con pochi elementi es-senziali e proporzionati rispetto alle dimensioni

attenzione a questo voli degli innumerevoli e-

co il contesto urbano. Il traffico, per esempio, è uno di questi e fa sì che chi è sui

, concentri maggiormente l’attenzione alla pubblicitari.

, ovvero “creatività”, diventa un da considerare, soprattutto quando nella prassi si veri-

fica la frequente e cattiva abitudine di utilizzare la medesi-soltanto ri-

e riadattata al nuovo supporto. In realtà, an-drebbero presi degli accorgimenti minimi che possono ga-rantire l’efficacia del messaggio: uno sfondo colorato che

Stima dell’evoluzione dell’OOH nel futuro

GroupM+Kinetic, 2009

Page 147: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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favorisca l’attenzione sul prodotto; un lettering breve, leg-gibile e di rapida comprensione; un marchio ben visibile e un’immagine d’impatto. Il messaggio, nel suo complesso dev’essere semplice, chiaro e soprattutto adatto alla veloce fruizione tipica dell’OOH. IGPDecaux, leader in Italia nella pubblicità esterna ( ha una market share del 23%), ha persi-no redatto un manuale nel quale identifica otto regole chia-ve nella comunicazione esterna: semplicità; sintesi; deci-

sione; leggibilità; forte contrasto cromatico; chiaro rappor-

to figura-sfondo; idee “grandi”; gusto del limite7.

Si tratta di importanti regole da seguire nella costruzione dell’annuncio, poiché i risultati della campagna dipendono – sì in larga parte dalla pianificazione – ma non è da sotto-valutare la creatività che deve avere l’obiettivo di creare engagement con il consumatore, magari attraverso un taglio ludico al messaggio. Dunque, all’interno del media mix, l’OOH deve lavorare in sinergia con gli altri mezzi, offren-dosi come strumento per testare il messaggio creativo dell’intera campagna.

L’importanza che la creatività e la natura dei veicoli OOH assumono, è dimostrata anche dai livelli di attenzione che i consumatori affermano di riconoscere. In questo caso, si vedono delle sorprese: Questo mezzo è secondo solo alla televisione e si dimostra in grado di suscitare maggiore at-tenzione rispetto ad altri media. Più del 40% della popola-zione afferma di prestare attenzione alla pubblicità sull’OOH e tra i veicoli quelli che mostrano una maggiore penetrazione risultano essere i poster e le postcard, mo-strando come l’attenzione ai veicoli urbani sia naturalmente più elevata nei centri urbani.

7 IGPDecaux, Manuale d’uso della comunicazione esterna.

Page 148: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Tabella 1 – Attenzione alla pubblicità per mezzo e sul totale popolazione

Fonte: Sinottica+Kinetic, 2009

Tabella 2 – Penetrazione dei vari veicoli dell’OOH sul totale popolazione

Fonte: Sinottica+Kinetic, 2009

Attenzione alla pubblicità per mezzo e sul totale popolazione

Penetrazione dei vari veicoli dell’OOH sul totale popolazione

Page 149: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Limiti, criticità e smentite sull’OOH

È noto che la pubblicità OOH, dal punto di vista degli investimenti pubblicitari, rappresenti la cenerentola tra i va-ri mezzi. Spesso, ciò può essere dovuto al fatto che si sono sedimentati una serie di pregiudizi verso il mezzo o perché si ritiene più redditizio destinare la maggior parte delle ri-sorse disponibili verso soluzioni differenti. Una delle prin-cipali recriminazioni che vengono rivolte all’OOH e che ri-guarda la natura stessa dei veicoli, è che essa garantisca tempi di fruizione troppo brevi. Come affermato già nei pa-ragrafi precedenti, in uno scenario di frammentazione dei media, diventa importante anche il contributo che il mezzo può portare in termini di awareness. Ciò dipende anche dal-la tipologia dei veicoli OOH che si utilizzano, infatti quest’accusa potrebbe valere per i poster, per esempio, ma venir ribaltata per ciò che riguarda le aree presenti in aero-

porti o stazioni, dove ci sono lunghe sacche di tempo di at-tesa. In quest’ultimo caso si tratta di ambienti più che di semplici mezzi. Sono luoghi che non possono essere ogget-to di scelta, come potrebbe invece avvenire per altri, il cui fine rimane quello di fruire di un’informazione. Un ambien-te si “subisce” così com’è, non ci si può sottrarre “cambian-do canale”. Infine, grazie alla durata media di una campa-gna di affissione (si pensi alla quattordicina), c’è l’opportunità che il consumatore venga colpito più volte dal messaggio, per esempio nel caso di quei soggetti che com-piono ogni giorno i medesimi percorsi.

Un altro aspetto che viene spesso criticato è relativo alla presunta natura datata di questo tipo di pubblicità. In realtà, come abbiamo avuto modo di vedere nelle pagine preceden-ti, l’OOH si trova al centro dell’innovazione sia per la tec-nologia applicata ai formati (es. digital signage) sia per le tipologie di impianti e mezzi alternativi all’affissione clas-

Page 150: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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sica. Inoltre, trattandosi di un mezzo che non viene fruito per “scelta”, si è costretti a disporre di novità tecnologiche in grado di sorprendere l’audience. Collegata a quest’accusa, c’è anche quella che si tratti di un medium

passivo, che implica una bassa interazione con il sogget-to/consumatore. Forse questo poteva essere veritiero qual-che anno fa, ma oggi non è più così: esistono infatti dei formati altamente tecnologici che consentono un interazione con il pubblico (si pensi a quelli legati al bluetooth push o al QR Code).

Spesso l’OOH è accusato di essere troppo costoso per il suo reale valore comunicativo. In realtà, essendo un me-dium modulare, esistono varie soluzioni per tutti i budget. I costi possono diventare elevati se si decide ad esempio di battere il territorio nazionale, ma non nel caso in cui gli o-biettivi sono quelli di un target che popola uno specifico territorio. È questa la forza dell’OOH, cioè quella di garan-tire la copertura di un target mirato in zone mirate, a cui ag-giungere la già citata complementarità con tutti gli altri mezzi, in particolare con la televisione che oggi vive una fase di “disinfiammazione” nella fruizione – così come l’ha definita Mario Morcellini – che porta giovamento non solo ad altri mezzi, ma anche ad altre attività non media come lo sport, lo shopping (proprio il terreno dell’OOH)8. Alla “di-sinfiammazione” della fruizione, non corrisponde però quella relativa agli investimenti pubblicitari che, anzi, alla luce delle ultime tendenze, sono sempre più consistenti.

Una delle maggiori difficoltà di questo mezzo – e che a sua volta può rappresentare un aspetto positivo – riguarda il fatto che si tratti di un mezzo complesso. In realtà, più che tale, può essere considerato un mezzo diverso. Altri mezzi,

8 Cfr. M. Morcellini, Lezione di comunicazione, Ellissi, 2003

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come la Tv e la Stampa, hanno a disposizione i contenuti editoriali, mentre nell’OOH il palinsesto è dato dalla città. Diventa dunque fondamentale la conoscenza del territorio e la sua correlazione con la mobilità del target, perciò è sag-gio affidarsi a professionisti del settore, soprattutto di fronte al fatto che, spesso questo mezzo, è al centro di polemiche legate all’abusivismo diffuso, anche se oggi tale fenomeno è in regressione grazie ad una più stretta collaborazione tra comuni e concessionarie.

Infine, un ultimo aspetto critico che viene evidenziato è la scarsa misurabilità del mezzo. Oggi non è più così, infatti grazie ancora una volta all’innovazione, è possibile misura-re l’efficacia con risultati soddisfacenti. Esistono e si stanno sviluppando efficaci e certificati strumenti di misurazione, come ad esempio Audiposter, una joint industry committee

9

che raccoglie gli interessi di UPA, AAPI e Assocomunica-zione. Esso, a partire dal 2002 in modo sperimentale e dal 2005 in maniera sistematica, rileva l’audience degli impian-ti di affissione. Si tratta di un’indagine pioneristica di carat-tere quali-quantitativo, poiché tiene in considerazioni aspet-ti socio-demografici e li lega a dimensioni più quantitative come il numero di contatti netti, ovvero il numero di perso-ne che nell’arco di 14 giorni vedono almeno una volta un certo impianto di affissione. L’indagine ha mappato oltre 60.000 impianti in oltre 40 centri urbani e attraverso un campionamento ha individuato 12.000 soggetti con un età maggiore di quattordici anni, di cui è stato registrato il pro-filo socio-demografico. A ciascuno di essi è stato consegna-to un rilevatore satellitare, il GPS Meter, che per 14 giorni ha registrato le informazioni sui loro spostamenti, i mezzi di

9 La joint industry committee è un organismo tripartito che raccoglie

gli interessi di tre soggetti.

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trasporto usati, i tempi, le velocità e gli orari. In un secondo momento, i dati registrati dallo strumento sono stati trasferi-ti su delle mappe geo-referenziate e incrociati con i dati so-ciodemografici rilevati. Subito dopo si sono sovrapposti i tragitti individuali alle posizioni degli impianti pubblicitari, in modo da stabilire le modalità con cui ogni impianto in-tercetta ciascun individuo. La fase conclusiva ha visto la de-finizione di un cono di visibilità degli impianti, un’area di raggio 100 metri e di angolo 140° rispetto all’asse di espo-sizione dell’impianto, all’interno della quale si ritiene che il soggetto sia esposto all’impianto.

Oggi, anche se in via ancora embrionale, si affiancano degli strumenti di misurazione decisamente innovativi, ba-sati sull’eye-tracking, ovvero sulla tracciatura del movimen-to oculare. Gli impianti vengono dotati di telecamere parti-colari che rilevano se e in che modo i fruitori prestano at-tenzione all’annuncio, in quali posizioni e su quali porzioni di testo/immagini si soffermano maggiormente.

FOCUS - Il Digital Signage: verso l’Outdoor 2.0

La rivoluzione nelle comunicazioni e in particolare lo sviluppo tecnologico recente di discipline come l’informatica e la videocomunicazione, ha permesso di svi-luppare una serie di applicazioni integrate legate alla pub-blicità esterna. La nuova frontiera della comunicazione multimediale pubblicitaria, ha un nome: Digital Signage. In generale, si tratta di ogni forma di comunicazione digitale a carattere pubblicitario o promozionale che viene veicolata sia indoor (centri commerciali,negozi) sia outdoor (aeropor-ti, strade, autobus, taxi). È dunque una forma pubblicitaria in cui il messaggio è mostrato attraverso schermi o video-proiezioni; insomma, un’evoluzione delle forme più statiche di esterna come il poster e i cartelloni. Tutto ciò diventa

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possibile grazie alla digitalizzazione e in particolare grazie al cosiddetto digitscape, ovvero “digitalizzazione del terri-torio”. Le applicazioni del Digital Signage sono in forte svi-luppo grazie ad una serie di fattori: l’esigenza di stimolare il mercato grazie a nuovi strumenti alternativi alla comunica-zione classica; la considerevole diminuzione dei costi tec-nologici, in particolare quelli relativi all’hardware che han-no favorito la diffusione di connessioni a banda larga via cavo e via wireless a costi molto bassi. La nostra società o-dierna, si caratterizza per essere sempre più visiva, infatti sembra che il nuovo consumatore voglia essere costante-mente coinvolto, colpito, stupito e dunque emozionato: è questa parola chiave “emozione” che è al centro del muta-mento tra l’epoca moderna e quella post-moderna. Tutto ciò è frutto di un paradigm shift , ovvero di un mutamento di paradigma che vede l’affermazione di una cultura androgi-na, dunque non più esclusivamente “maschile” (fondata sul-la razionalità), ma oggi anche in parte “femminile” (fondata sull’emozione). Il Digital Signage può essere una valida ri-sposta a tutto questo, infatti sembra che siano particolar-mente apprezzate forme innovative di display pubblicitari, così come gli schermi interattivi all’interno dei negozi op-pure quelli touch screen in grado di far interagire il consu-matore per poter comprendere meglio le caratteristiche del prodotto pubblicizzato. Insomma, sembra che, oggi, tutto ciò che è high-tech susciti un grande interesse. Il Digital Si-

gnage trae la sua forza nella possibilità di controllare via remoto ogni singolo terminale, il che si traduce nella tempe-stività nell’aggiornamento e nell’organizzazione delle in-formazioni. Questo permette una comunicazione diversifi-cata, in base al posizionamento su base regionale o locale o su singoli punti. Inoltre essa può differenziarsi per fasce d’utenza, fasce orario o giorno della settimana oppure anco-

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ra in occasione di eventi particolari. Dunque, il Digital Si-

gnage, nelle sue varie forme, presenta delle interessanti ca-ratteristiche di flessibilità tali da consentirne un impiego i-doneo ai contesti più diversi, dai grandi spazi pubblici (piazze, stazioni, aeroporti) fino ad ambiti più riservati co-me punti vendita o ristoranti.

Abbiamo detto che l’OOH si differenzia in una pluralità molto vasta di veicoli. Essi potrebbero essere posizionati lungo un continuum che va dall’above the line (ATL) fino al below the line (BTL), proprio come la tradizionale distin-zione tra le varie forme di comunicazione. Dunque è possi-bile classificare le applicazioni del Digital Signage sui vari veicoli e posizionarli lungo tale continuum. All’estremità dell’ATL troviamo l’outdoor classico, che è composto di cartelli stradali, arredo urbano, poster e maxi formati. In questo contesto, le innovazioni sono visibili in particolare nell’arredo urbano, dove è frequente l’implementazione di tecnologia bluetooth agli impianti esistenti e attraverso cui è possibile inviare – in modalità push, ovvero “diretta” (pas-siva) – le informazioni ai soggetti che sono nei pressi dell’impianto e che sono dotati di telefonia con la tecnolo-gia necessaria. All’interno del cartellone pubblicitario è in-stallato un dispositivo che rileva ad intervalli di tempo i di-spositivi bluetooth visibili, registrando i loro indirizzi e in-viando i contenuti una sola volta ad ogni indirizzo. Attra-verso il modello push, i contenuti sono veicolati sul cellula-re dell’utente senza che questo li abbia richiesti ed è possi-bile che più utenti possano ricevere lo stesso messaggio contemporaneamente. Se da una parte offre dei vantaggi, è anche vero che gli svantaggi di questo strumento posso es-sere legati al fatto che il messaggio rischia di passare inos-servato e che il paradigma di interazione che si va a costru-ire, non richiami nessuna azione a cui l’utente e già abitua-

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to. L’innovazione permea anche i poster, attraverso l’utilizzo dei QR code

10, ovvero dei codici bidimensionali in grado di contenere una grossa quantità di informazioni – anche di natura commerciale – e che possono essere letti at-traverso telefoni cellulari dotati di webcam o scanner speci-fico. Attraverso la decodifica di essi, l’utente è in grado, per esempio, di collegarsi al sito del prodotto che viene recla-mizzato e magari – come tante aziende già fanno (es. Audi) – consentire un’interazione totale tra l’annuncio OOH (vale anche per la stampa) e il consumatore attraverso il telefono cellulare/pc/smart-phone. Questo rappresenta certamente un’innovazione straordinaria, in grado di favorire la dimen-sione relazionale tra brand e consumatore. Infine, sembra che ci saranno nuove importanti opportunità dalla pubblicità geo-referenziata – e che mostrano nuovamente la piena complementarità tra l’OOH e Internet, collocandosi nel sol-co del Digital Signage, nella sua definizione allargata – in particolare quelle che sono state recentemente introdotte da Google con il suo servizio Google Maps. Questo strumento permetteva già il posizionamento delle denominazioni delle aziende in modo geo-referenziato ovvero collocate in punti esatti delle mappe e disponibili ad una fruizione immediata per i navigatori. A partire da gennaio 2010, il gigante di Mountain View, ha brevettato un nuovo strumento decisa-mente innovativo di advertising: all’interno di Street View, il sistema panoramico associato a Google Maps, che per-

10 Da Wikipedia: Un Codice QR (in inglese, QR Code) è un codice

a matrice (o codice a barre bidimensionale) creato dalla corporation giapponese Denso-Wave nel 1994. Il "QR" deriva da "Quick Response" (Risposta Rapida), poiché il creatore pensava ad un codice che consen-tisse una rapida decodifica del suo contenuto. […] Più recentemente, sono state sviluppate applicazioni orientate verso la comodità, finalizza-te a sollevare l'utente dal noioso compito di inserire dati nel proprio te-lefono cellulare[…]. http://it.wikipedia.org/wiki/Codice_QR

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mette di muoversi sulle mappe in maniera tridimensionale, ovvero navigando delle fotografie, sono stati sovrapposti agli annunci reali degli impianti pubblicitari, nuovi annunci geo-referenziati. Si tratta di uno strumento che consentireb-be agli inserzionisti di modificare gli annunci visualizzati su cartelloni pubblicitari e billboard. Quest’ultimo brevetto di Google, rappresenta certamente un’evoluzione straordina-ria, soprattutto perchè il consumatore – in virtù della sua crescente sete di mobilità – compie i suoi spostamenti mu-nito di telefoni cellulari di ultima generazione, smartphone, in grado di connettersi ad Internet in ogni momento e da ogni posizione. Ninjia Marketing, da sempre attenta all’evoluzione della pubblicità e del marketing “non con-venzionale”, ha salutato in modo molto positivo l’innovazione, tuttavia sottolineando una criticità significa-tiva: a chi spetterà la proprietà dei cartelloni? A Google, o a chi ne è fisicamente proprietario, ovvero le numerose con-cessionarie che popolano il territorio?11 Questo quesito resta ancora senza risposte e ad esso si aggiungono anche le re-centi polemiche legate

Spostandoci sempre lungo il continuum dell’OOH, tro-viamo il Transit, ovvero l’insieme dei veicoli che riguarda-no la dimensione della mobilità: dinamica, autostrade, taxi,

metropolitana, stazioni ed aeroporti. In quest’ambito, l’innovazione maggiore del Digital Signage riguarda la “vi-deocomunicazione”, andandosi a configurare come pura pubblicità su “manifesto elettronico” senza un palinsesto in-formativo. In questo caso, sono gli aeroporti a fornire un ot-timo esempio, infatti essi costituiscono uno spazio post-moderno dove si incontrano le dimensioni della circolazio-

11 http://www.ninjamarketing.it/2010/01/18/google-introduce-la-

pubblicita-su-street-view/.

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ne delle persone, del consumo e della comunicazione. Inol-tre, l’aeroporto gode di un certo appeal per gli inserzionisti poiché permette di colpire un pubblico con un grosso valore pubblicitario – un target premium, composto da busines-

smen, frequent travellers con alta capacità di spending – at-traverso numerosi schermi LCD inseriti in appositi impianti che garantiscono nuove possibilità espressive e sollecitano l’attenzione del passeggero. Questi schermi permettono una buona flessibilità, poiché permettono una rotazione di di-versi soggetti. Sempre negli aeroporti, ma in questo caso anche nelle stazioni ferroviarie e metropolitane, è frequente trovare un’altra applicazione del Digital Signage, ovvero la trasmissione di emittenti come Telesia o Telenews che sono dotate di un vero e proprio palinsesto, soprattutto di caratte-re informativo, in cui è possibile inserire spot pubblicitari come nella televisione classica.

All’estremità del continuum, troviamo la dimensione del BTL, ovvero quella legata all’ambient dell’OOH, cioè ai circuiti tematici e agli eventi: università, ospedali, palestre,

centri commerciali, librerie, punti vendita. Non si entrerà subito nei dettagli, ma si realizzeranno degli approfondi-menti nei paragrafi che seguono. Per il momento si vuole sottolineare come soprattutto per i punti vendita – entri in campo la dimensione esperienziale, che sappiamo essere una delle caratteristiche del marketing post-moderno, quello customer oriented. Fabiola Sfodera, sostiene che “da qual-che anno si è iniziato a parlare di approccio esperienziale, applicato sia ai servizi che ai prodotti [e poi riprendendo i padri del marketing esperienziale, B.J. Pine II e J.H. Gilmo-re, sostiene che] il comportamento della domanda si basa sulla ricerca di prodotti o servizi il cui valore sia quello di soddisfare i bisogni delle persone mediante l’esperienza che

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dal loro acquisto, consumo e utilizzo è possibile ricavare”12. Insomma, le aziende devono mettere in atto uno “spettacolo teatrale” per i propri consumatori nei propri luoghi di con-sumo e il Digital Signage sembra essere uno degli strumenti giusti da utilizzare.

Considerazioni conclusive sull’OOH

L’OOH è un mezzo con enormi potenzialità, ma per po-terle sfruttare nel modo corretto, occorrono alcuni accorgi-menti. È vero che i risultati dipendono in larga parte dal li-vello di pianificazione, ma non sono da sottovalutare il messaggio e la creatività. All’interno del media mix, esso deve lavorare in sinergia con gli altri mezzi, potenziandone il messaggio creativo e rispettando quelle regole visive di cui abbiamo parlato in precedenza. Se usato come mezzo esclusivo, esso deve veicolare messaggi immediati, impat-tanti. Non bisogna dimenticare che l’efficacia di una cam-pagna OOH è frutto della combinazione della parte media (reach/copertura e frequency/frequenza) con quella relativa al messaggio (impatto ed engagement/coinvolgimento). Al-la luce di questo, l’obiettivo finale diventa quello di mante-nere e rafforzare il rapporto tra marca e consumatore (brand

linkage), ovvero di quella “risonanza” che Keller colloca al vertice della piramide del modello COBE (Customer Orien-

ted Brand Equity).

12 F. Sfodera, Strumenti di marketing, comunicazione e management

per le imprese turistiche nell’economia dell’esperienza, Morlacchi Edi-tore, 2006, p. 3 + prefazione.

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I luoghi del consumo postmoderno: nuove occa-

sioni e nuovi circuiti pubblicitari

Le pratiche del consumo sono diventate centrali nella so-cietà post-moderna, poiché l’individuo può godere di una maggiore quantità di tempo libero. Questa maggiore dispo-nibilità è dovuta alla terziarizzazione della società e allo sviluppo della tecnica, che permette ai soggetti di sottrarsi ad attività che in precedenza richiedevano molto tempo. Pensiamo a quando non esistevano i personal computer e dunque si era costretti a lavorare esclusivamente con la car-ta e con macchine da scrivere. Ma pensiamo anche all’innovazione che hanno prodotto nelle famiglie, strumen-ti come le lavastoviglie o le lavatrici. Oggi, il soggetto si ri-trova più tempo a disposizione e dunque può impiegarlo per le proprie pratiche di consumo. L’antropologia, in particola-re Mary Douglas, si sono occupati dell’atto del consumo in senso antropologico, infatti quest’ultima parla di consumi che “liberano” tempo, nel senso che gli individui hanno la tendenza a servirsi di beni che sono in grado di sottrarre lo-ro dal coinvolgimento di in lavori quotidiani, di routine o familiari. Tutto ciò consente di avere una maggiore dispo-nibilità personale da dedicare ai rituali di consumo e dunque a pratiche sociali. Mary Douglas e più in generale l’antropologia che studia i consumi (es. Lévi-Strauss), as-similano i rituali socializzanti delle società primitive a quel-li del mondo contemporaneo, sottolineando come “doni di scambio” di allora e i “beni di consumo” di oggi, siano por-tatori di significati e di valori.13.

Da più parti, nella letteratura sui consumi, si sottolinea la natura paradossale dei nuovi luoghi del consumo e per que-

13 Cfr. V. Codeluppi, Manuale di sociologia dei consumi, Carocci

Editore, 2005, pp. 174-177

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sto si fa riferimento a spazi etero-topici, ovvero “spazi altri” che si trovano al di fuori di ogni luogo, sebbene essi possa-no essere localizzabili. La natura paradossale deriva dal fat-to che essi producono un effetto straniante che fa perdere agli individui il senso del tempo e dello spazio. Come sotto-linea Codeluppi, si tratta di luoghi che apparentemente sembrano dei luoghi pubblici, ma che in realtà si collocano a metà tra il privato e il pubblico14.

George Ritzer, sostiene che il “disincantamento del mondo” di cui parla Weber, si produrrebbe per effetto della mcdonaldizzazione della società, ovvero della crescente ra-zionalizzazione – tipica dei McDonald’s – di ogni dimen-sione del sociale. Secondo quest’autore, tutti i sistemi ra-zionali, nonostante producano disincanto, portano anche verso nuove forme di fascinazione, esattamente ciò che fa-rebbero i nuovi luoghi del consumo. Ritzer, considera questi luoghi come Cattedrali, come luoghi magici in cui fare gli acquisti, assimilando le pratiche del consumo a “pratiche religiose”. Questi luoghi del consumo, sarebbero anche ca-ratterizzati da una perdita del senso del tempo (se si nota, è raro trovare un orologio dentro un centro commerciale): vengono eliminati tutti i possibili riferimenti al tempo natu-rale (la luce naturale, il buio). Ritzer, conclude la sua analisi sostenendo che il consumatore in questi luoghi perde ogni legame con la realtà sociale, diventando “vulnerabile” e fi-nisce per acquistare prodotti non necessari15.

Quest’ultimo aspetto è fondamentale per spiegare l’importanza delle forme di pubblicità che “toccano” il con-sumatore nella sua dimensione mobile, poiché in questa se-de abbiamo più volte sostenuto come l’OOH – oltre a sup-

14 Cfr. V. Codeluppi, ivi, pp. 27-28 15 Cfr. V. Codeluppi, ivi, pp. 94-95.

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portare e favorire l’awareness – svolga una funzione che è eminentemente di call to action, ovvero di “invito ad agire”. Nello specifico dei circuiti dei Centri Commerciali, trovare dei messaggi pubblicitari collocati in posizioni strategica, serve a colpire un consumatore “disorientato” e dunque po-tenzialmente molto “ricettivo”, proprio come lo ha definito George Ritzer.

I nuovi luoghi del consumo, si caratterizzano per essere degli spazi sociali in cui gli individui hanno diverse occa-sioni per confrontarsi e produrre quella condivisione simbo-lica che è tipica dei rituali del consumo. Valeria Giordano, riprendendo Abruzzese e Borrelli, sostiene che così come faceva il grande magazzino di fine Ottocento, il centro commerciale oggi, mette in mostra i prodotti dell’attualità e li mette in vendita, offrendo una mappatura di tutto quello che serve o si desidera16. Parallelamente a questa funzione, essi diventano anche dei luoghi d’incontro, della socialità, dello scambio. Così, se il grande magazzino permetteva di coniugare i consumi con i progetti di ascesa sociale della borghesia, oggi il centro commerciale e altri luoghi di socia-lità come palestre e università, permettono al nuovo consu-matore di soddisfare le sue necessità di confronto sociale, di costituire comunità e come direbbe Thorstein Veblen, anche di ostentazione di prestigio attraverso modalità di consumo

vistoso. I nuovi luoghi sociali del consumo, inteso non solo come

momento di acquisto ma anche di fruizione, qualche anno fa erano stati descritti da Marc Augè come non-luoghi, ovvero luoghi privi di identità, caratterizzati da rapporti di socialità

16 Cfr. V. Giordano, “Luoghi del consumo come spazi sociali”, in I.

Pezzini, P. Cervelli (a cura di), Scene del consumo: dallo shopping al

museo, Meltemi Editore, Roma, 2006, pp. 37-38.

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convenzionale17. All’interno di questi luoghi, l’antropologo francese fa rientrare proprio i centri commerciali. Oggi, come ha riconosciuto lo stesso autore, tale concetto è ormai superato ed è sostituito da iper-luoghi, sullo stesso solco di chi sostiene che stiamo vivendo nell’ipermodernità18. Tali luoghi, ribaltando la precedente definizione, si configurano come luoghi che si pongono come catalizzatori e facilitatori delle occasioni di socialità degli individui.

È vero quanto sostiene Ritzer, ovvero che all’interno di questi luoghi il consumatore è come alienato ed indifeso dai messaggi pubblicitari, ma è anche vero che le occasioni di socialità su cui abbiamo appena discusso, contribuiscono a favorire – attraverso un altro approccio ma con il medesimo risultato – la ricettività ai messaggi dei consumatori e creare quella goodwill che costituisce la conditio sine qua non per l’acquisto di un bene o un servizio.

Il centro commerciale e i punti vendita

Le ultime tendenze ci indicano che le modalità di acqui-sto maggiormente in voga, risultano essere quelle meno le-gate a ragioni di tipo funzionale e che l’acquisto finisce piuttosto per trasformarsi in un momento di svago, di eva-sione di esperienza e di ludicità. Molto spesso si frequenta-no i luoghi del consumo senza che tale azione sia finalizzata all’acquisto di un bene. Patrizia Musso, a questo proposito parla di una rivoluzione comunicativa, guidata da spazi par-

lanti. L’autrice sostiene che “il prodotto, nella sua sola fun-zione d’uso, oramai rappresenta nella maggior parte dei set-tori merceologici solo il 50% della motivazione d’acquisto del consumatore. [perciò] è necessario dotare il punto ven-

17 Cfr. M. Augè, Non luoghi, Introduzione a una antropologia della

surmodernità, Elèuthera editrice, Roma, 1993. 18 Si veda V. Codeluppi, op. cit, pp. 36-37.

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dita anche di una intelaiatura di senso[…]”19 Insomma, i punti vendita si trasformano da asettici luoghi a luoghi ric-chi di senso, strumenti di comunicazione. Tutto ciò si inne-sta nella retail revolution di cui parla Kevin Roberts nella sua teoria sui Lovemarks

20. Quest’approccio rivoluzionario, è condiviso – oltre ai due autori citati – anche da Giampaolo Fabris che anzi, lo considera una sorta di new deal, soste-nendo che il punto vendita, nell’attuale contesto postmoder-no, può aspirare a divenire il più importante medium di cui la marca può disporre. Oggi, con l’inserimento degli stessi e dei centri commerciali nei circuiti dell’OOH, si perde e di-venta indefinito quel confine tradizionale che divideva l’above the line (media classici+Internet) dal below the line, ovvero tutte le restanti iniziative comunicative e promozio-nali “non media”, all’interno delle quali rientrerebbe appun-to il punto vendita.

Della crescente importanza che i punti vendita stanno as-sumendo per la marca, da qualche anno si è accorta anche la socio-semiotica, quella branca della semiotica più attenta agli aspetti “significanti” delle manifestazioni del sociale, piuttosto che all’oggetto di studio classico della semiotica tradizionale, ovvero il segno. Essa considera lo spazio come un “testo”, alla stessa stregua di un altri testo di natura dif-ferente: letterario, visivo o pubblicitario. Da punto di vista semiotico lo spazio non è un contenitore architettonico. La struttura semiotica di un testo spaziale è da intendersi come “un agglomerato di esseri e di cose”, vale a dire come una struttura formale che articola delle relazioni tra esseri e co-se. Secondo l’approccio semiotico, e in particolare come sottolinea Mariarosa Bova, “lo spazio non è una costruzione

19 P. Musso, I nuovi territori della marca, Franco Angeli, 2005, pp.

58-60. 20 Cfr. K. Roberts, op. cit, 2007.

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architettonica, concreta e statica; ma è una costruzione cul-turale, un testo, una struttura formale e dinamica che artico-la relazioni tra elementi (uno solo dei quali è l’architettura, ma ve ne sono anche altri)”21. Lo spazio dei punti vendita, secondo questa disciplina, è in grado di produrre effetti di senso differenti a seconda della sua organizzazione. Ogni soggetto e ogni oggetto presente al suo interno, costituisce un elemento che può produrre significati per i consumatori. Dunque, anche la “folla” all’interno di un centro commer-ciale, è in grado di produrre significati, proprio perché anch’essa occupa uno spazio e si relaziona con altri soggetti e oggetti, così come gli impianti pubblicitari che sono in-stallati su oggetti comuni vengono dotati di una meta-

funzionalità, ovvero si incaricano di un’ulteriore “compe-tenza” – per dirla con la terminologia della semiotica – e diventano medium pubblicitari. Secondo Miriam Baldassar-ri, gli elementi architettonico-ambientali (strutture portanti, pareti e controsoffittature, scale, ascensori, corridoi, am-bienti d’attesa, ballatoi)22, costituiscono la sintassi del punto vendita, perciò possiamo affermare che essi siano dotati di un’espressività e potere significante maggiore di qualsiasi altro medium. La scarsa usualità di questi veicoli pubblicita-ri, garantisce un effetto straniante che può diventare fonda-mentale ai fini persuasivi.

21 M. Bova, dispense “Cosa fa l’Auditorium: una riscrittura dei con-

sumi nella metropoli”, La Sapienza, Roma, 21/04/2010. Si veda anche I.Pezzini (a cura di), Roma: luoghi del consumo, consumo dei luoghi, Edizioni Nuova Cultura, 2009.

22 Cfr. M. Baldassarri, “Dalle strategie visive all’organizzazione del-lo spazio. Roma, Fendi a via Borgognona”, in I. Pezzini, P. Cervelli (a cura di), Scene del consumo: dallo shopping al museo, Meltemi Editore, Roma, 2006, p. 59.

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Concentrandoci sui centri commerciali, oggi tali strutture rappresentano l’evoluzione dei passages, luoghi in cui le persone si recano per passeggiare e inebriarsi delle merci esposte. Secondo Fabris, oggi lo shopping assume una va-lenza ricreativa, infatti è assai frequente il fenomeno del window shopping, ovvero dello “svetrinare”23. Lo shopping

diventa un’occasione di incontro e al consumatore sembra non dispiacere la dimensione corale di relazione con gli al-tri.

Lo stesso autore, recentemente scomparso, descriveva in questo modo il centro commerciale:

Se il moderno consumatore dovesse descrivere il suo paradi-

so terrestre non vi è dubbio che avrebbe le caratteristiche del di un centro commerciale. […] nel nostro Paese [i centri commer-ciali] non hanno ancora raggiunto, dimensioni ed attrattive, ana-loghe a quelle dei mall USA dell’ultima generazione. Ma ne condividono la filosofia/ideologia ed impostazione di fondo; medesima è la estetizzazione e spettacolarizzazione degli spazi. Rappresentano oggi le grandi cattedrali del consumo. […] Nel centro commerciale è sempre Natale: per di più senza la coazio-ne all’acquisto che caratterizza quel periodo festivo. Intriga la magia dell’atmosfera, la seduttività di una inesauribile cornuco-pia di merci – spesso senza nemmeno l’ostacolo della vetrina – a portata di mano. […] Non esistono spazi privi di contenuti co-municativi […] Si sta insieme a tanti altri e le differenze sociali si stemperano nello status inedito di cittadini del Centro. […] L’intervallare aree di ristorazione – dal fast food alla paninoteca a ristoranti più sofisticati – alle librerie, ai cinema ai parchi gio-chi per bambini consente di dilatare l’esperienza dello shopping. Così da rendere premiante la permanenza nel centro commercia-le ben al di là della gratificazione che generano i singoli atti di acquisto 24.

23 Cfr. G. Fabris, op. cit., pp. 361-362. 24 G. Fabris, op. cit., pp. 367-369

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È partendo proprio dalle ultime parole di Fabris che ri-sulta di estrema importanza il fatto che la permanenza all’interno del centro commerciale sia “premiante” per il consumatore. Esso trova dunque piacere, perciò si creano tutte le condizioni affinché esso sia maggiormente disponi-bile ad essere “persuaso”. Negli studi di psicologia dei con-sumi, la disponibilità o meno ad essere “persuasi” è stata studiata in particolare da due studiosi, R. Petty e J. Caciop-po (1986), i quali nel modello ELM, sostenevano che vi fossero due “vie” attraverso le quali avviene la persuasione: una “via centrale”, ovvero un processo cognitivo che ri-chiede maggiore attenzione e ponderazione sul messaggio pubblicitario che si sta ricevendo; una “via periferica” attra-verso la quale il soggetto presta meno attenzione ai conte-nuti e alla legittimità dei messaggi e fornisce un maggiore accordo agli aspetti più estetici dei messaggi25.

Il fenomeno dei centri commerciali (da qui in avanti CC per comodità) sta prendendo piede molto velocemente an-che in Italia. C’è chi parla di una vera e propria mall-mania, riprendendo la denominazione americana per identificare i CC. Secondo Kinetic (2008), si tratta di un fenomeno di massa che interessa il 75% degli italiani che affermano di recarsi almeno una volta al mese in un CC. Le aperture si susseguono a ritmo continuo con una crescita sia in termini di diffusione sul territorio che di ampiezza delle superfici. Alla fine del 2007, i CC aperti sono stati 972 di cui circa 200 hanno un’affluenza (audience) di oltre 2 milioni di visi-tatori l’anno. Sembra che la gente li scelga come luogo per i propri acquisti/passeggiate poiché ritrova una serie di van-taggi: la possibilità di effettuare gli acquisti in un luogo so-

25 Cfr. R. Petty, J. Cacioppo,. Communication and Persuasion: Cen-

tral and Peripheral Routes to Attitude Change. Springer-Verlag , New York, 1986.

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lo; la convenienza dei prezzi e le promozioni; la possibilità di trovare facilmente parcheggio (a differenza che nei nego-zi dei centri urbani). Infine, gioca a loro favore anche l’ampiezza e varietà della scelta e non da ultimo per impor-tanza, la flessibilità degli orari.

Abbiamo più volte affermato che i CC stanno diventando dei veri e propri circuiti pubblicitari innovativi. Un po’ per-ché quelli tradizionali dell’affissione classica sono sempre più sovraffollati e perciò si cercano strade alternative; un po’ perché essi e i propri elementi architettonici si prestano molto bene ad essere trasformati in veicoli pubblicitari di estrema importanza e con funzione di call to action. Si pen-si ad un ascensore (lift) che dal parcheggio porta all’ipermercato, le cui porte sono state “brandizzate” con la creatività di un detersivo e dove ne vengono esaltate le pro-prietà detergenti o il prezzo vantaggioso. Bene, questa non è una call to action dalle elevate probabilità concludenti? La forza di questi veicoli è data dalla prossimità al luogo d’acquisto.

Nei CC, oltre ai circuiti pubblicitari di affissione sui car-

relli ed ai più recenti pannelli sugli antitaccheggio che co-prono gran parte delle strutture, si riscontrano numerose start-up di concessionarie che offrono spazi di vario tipo e formato, inclusi progetti di Digital Signage, in un numero ristretto di centri commerciali. Parallelamente, alcune di queste concessionarie e numerose società di promozione ed organizzazione di eventi, propongono aree promozionali nelle gallerie. Non è difficile imbattersi in stand che pro-muovono istituzioni oppure onlus, o piuttosto dei veri e propri negozi mono brand che effettuano tentata vendita.

L’offerta di spazi pubblicitari nei CC è molto frammen-tata per tipologie di operatori ed è sintetizzabile nel seguen-te modo:

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L’agenzia media Kinetic, specializzata nell’OOH ha cen-

sito i circuiti pubblicitari presenti nei centri commerciali, individuandone sei in particolare, dove vengono utilizzati numerosi formati che vanno banner a soffitto, totem, fino al Digital Signage:

- Network AdSolutions: presente in 280 CC su 1160

punti vendita della propria rete e specializzata in “carrelli” e “floorgraphic”;

- Aliamedia: presente in 10 CC, con “ascensori” e “scale mobili”;

- Grandi Centri: presente in 10 CC, con “floorgra-

phic” e “pannelli”; - Zero6: presente in 10 CC, con una serie di spazi di

varia natura; - Genesis: presente in 1 CC, Parco Leonardo, nei

pressi dell’Aeroporto “Leonardo da Vinci” di Roma; - MMDC: presente in 3 CC, con una serie di impianti

di Digital Signage.

Tabella 3 – L’offerta pubblicitaria nei centri commerciali in Italia

Fonte: Kinetic, 2008

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Le palestre

Recentemente anche il mondo delle palestre è stato rico-nosciuto come un importante strumento di comunicazione per le aziende. Le palestre sono dei luoghi in cui molte per-sone amano trascorrere il proprio tempo libero e perciò esse giocano un ruolo chiave nello stile di vita di chi le frequen-ta. Si tratta di spazi di aggregazione che possono trasfor-marsi in nuove occasioni di comunicazione e di apprendi-mento. Sono spazi che diventano essi stessi “marche”, “me-dia interattivi”, nuovi dispositivi comunicazionali che aiu-tano a sedurre in maniera più efficace e meno dispersiva il target. Sono luoghi che sono popolati da opinion leader in ogni settore, soprattutto in quello wellness e dunque molto interessanti per gli inserzionisti che vogliono far conoscere in modo più mirato il proprio progetto di marca. Secondo Kinetic (2008)26, gli italiani che frequentano abitualmente palestre e centri benessere per tenersi in forma sono circa 8 milioni. Il frequentatore “tipo” nella maggioranza dei casi è single e ha un’età media di 33 anni. Si tratta di soggetti con un’istruzione molto elevata (40% diploma media superiore e 26% laurea) e un quinto di essi ha anche una buona posi-zione professionale. Un aspetto interessante riguarda la fre-quenza con cui ci si reca in palestra: il frequentatore “tipo” va in palestra 2/3 volte alla settimana e ci rimane media-mente circa due ore. Da questi dati emerge un’opportunità per le aziende di poter promuovere i propri prodotti all’interno di queste strutture. I veicoli più tradizionali sono quelli della videocomunicazione, siti web, riviste; ne esisto-no tuttavia di alternativi come stickers utilizzati negli spec-

26 I dati sono estratti dall’indagine “Fitness Lab” svolta da Millward

Brown Delfo nel 2006. Si tratta di un osservatorio su usi e consumi del popolo del Fitness.

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chi, display da banco, forme di guerrilla come bandierine installate sugli impianti ginnici, totem e floorgraphic.

Le università

Anche le università possono essere collocate tra i circuiti pubblicitari out of home e rappresentano degli interessanti e innovativi canali di comunicazione. L’università, è il luogo in cui i giovani passano gran parte della loro vita quotidia-na. Le strutture e gli ambienti universitari sono dispositivi comunicazionali che intercettano flussi di giovani, li orien-tano e li coinvolgono attraverso stimoli di varia natura ed efficacia. Si tratta di luoghi che possono offrire una grossa audience agli inserzionisti, infatti nell’Anno Accademico

2008/2009 ci sono stati 1.777.000 iscritti, distribuiti preva-lentemente nel Lazio, in Lombardia e Campania27. Gli stu-denti sono raggiungibili attraverso diversi strumenti e idee di comunicazione: affissione classica, biblioteche, guerrilla e attività ad hoc.

L’affissione classica trova luogo prevalentemente negli ingressi dei locali, nelle bacheche, negli info point e nei cor-ridoi. Le biblioteche, servendosi dell’innovazione, utilizza-no gli antitaccheggio, il floorgraphic e grafiche adesive per i tavoli da studio. Il guerrilla viene prevalentemente utiliz-zato con l’utilizzo di cartoline, segnalibri, righelli; mentre attraverso delle attività ad hoc, è possibile imbattersi in forme di product placement, qui inteso come “collocazione di prodotti” in particolari contesti, oppure in distribuzione di volantini e infine l’utilizzo di tovagliette brandizzate per la mensa.

27 Fonte: MIUR.

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Gli stadi di calcio

È sempre più frequente vedere considerato il calcio come un medium. In Italia, come in altri paesi, il calcio riscuote molto successo, divenendo lo sport nazionale. Gran parte degli italiani è interessata al calcio e una consistente parte della programmazione televisiva sportiva riguarda eventi calcistici. Il “medium calcio” sfrutta le opportunità dell’OOH di raggiungere un numero interessante di contatti (tifosi presenti allo stadio e telespettatori) durante gli avve-nimenti calcistici. Oggi, il calcio si configura come una formula di spettacolo che pur conservando sempre il ruolo di appuntamento plurisettimanale rivolto al tifoso, sta tutta-via assumendo sempre più una connotazione di spettacolo per tutta la famiglia e di business con cui interagiscono una pluralità di soggetti. Ad esempio, Sky, Mediaset e Dahlia TV, garantiscono la diretta delle partite di campionato di tutte le squadre, dunque, in termini di ascolto televisivo questo indica che ogni settimana vi sia un grosso numero spettatori. Il target principale del calcio è costituito princi-palmente da maschi e di tutte le fasce di età, tuttavia si ri-scontra un maggiore interesse anche del pubblico femminile a questo sport, soprattutto in occasione di grandi eventi co-me ad esempio i Mondiali di Calcio. Le opportunità OOH che il “medium calcio” offre sono diverse: è possibile legar-si ad una squadra di club scegliendo tra opportunità di co-municazione che si possono sintetizzare in questo modo: sponsorizzazioni e comunicazione a bordo campo.

Le sponsorizzazioni possono consistere nel diritto ad u-sare la squadra come testimonial per attività promozionali e pubblicitari, utilizzando marchi, foto o audiovisivi ufficiali. Un altro canale delle sponsorizzazioni può essere quello dell’esposizione del logo sul materiale istituzionale e pro-mozionale del club come le card della squadra, i biglietti

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dello stadio, riviste e siti internet. Gli sponsor hanno dun-que a disposizione una serie di strumenti legati all’esposizione del proprio marchio durante gli eventi. Oltre a questa modalità è possibile veicolare il messaggio me-diante materiali audiovisivi che vengono proiettati durante le partite su maxischermo, oppure entrare con materiale promozionale nella rete del club dei tifosi. Infine, lo spon-sor potrà svolgere attività di PR durante le partite o in coin-cidenza con eventi legati al club.

L’altra modalità di OOH che il “medium calcio” offre, riguarda la comunicazione a bordo campo. La cartellonisti-ca a bordo campo rappresenta un veicolo pubblicitario al-tamente performante nei confronti dei fruitori dello “spetta-colo calcio”, in quanto consente all’inserzionista di comuni-care sia al pubblico presente allo stadio che a quello televi-sivo che segue le partite da casa o che segue gli highlights offerti dalla vasta schiera di programmi di approfondimen-to. Ancora una volta vediamo come l’OOH sia un medium in grado di creare un’ottima sinergia con gli altri media, in particolare con la televisione e che vede, ancora una volta, un consistente ricorso all’innovazione. Pensiamo all’evoluzione del classico cartellone che, grazie al Digital

Signage, si trasforma in uno strumento dinamico ed estre-mamente versatile, permettendo l’alternanza di più inser-zionisti durante i match calcistici. Un altro strumento che viene frequentemente utilizzato – in questo caso riservato al solo pubblico degli stadi – riguarda la presenza nei momenti precedenti all’inizio della partita o negli intervalli, di totem a centro campo che generalmente vengono sponsorizzati da un unico inserzionista.

La crescita di importanza del “medium calcio”, supporta ancora una volta la nostra tesi, secondo la quale il mercato post-pubblicitario vedrà una crescita dell’out of home, pro-

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prio in virtù della maggiore disponibilità delle persone a trascorre tempo fuori dalle mura domestiche.

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Capitolo 4 – Il ruolo di Internet nella

pianificazione pubblicitaria del futuro

Il boom di Internet negli ultimi anni

Concludiamo questo nostro lavoro con un capitolo dedi-cato alla centralità che Internet ha assunto nella società, at-traverso il suo ruolo di straordinario aggregatore di infor-mazioni e di costruttore di relazioni tra le persone. Sembra trascorso moltissimo tempo dall’evento iniziale che ha dato avvio ad Internet (ARPA, 1957), eppure sono passati poco più di cinquant’anni. Da un progetto di sicurezza militare – anche se si è trattato di una fase durata relativamente poco, poiché è subito esplosa la sua natura relazionale e commer-ciale1 – oggi ci ritroviamo con uno strumento che si colloca all’opposto degli obiettivi di segretezza e di sicurezza ini-ziali. Oggi Internet è lo strumento attraverso il quale tutto ciò che è segreto viene svelato, basta poco tempo ed una no-tizia, un video, una foto o un dossier possono fare il giro del mondo. Se pensiamo alle recenti vicende dell’estate 2010 – dove un sito web (www.wikileaks.org) mette sotto scacco il Pentagono, minacciando di pubblicare dei dossier sulla guerra in Afghanistan – vediamo come la natura di Internet si presta a tradire con facilità le sue origini, in nome di quel-la trasparenza che serve a dissuadere il potere dai suoi abusi ed essere posto sotto controllo da parte dei cittadini.

1 Dalla nascita di ARPANET nel 1969, fino al World Wide Web nel

1991 e all’evoluzione delle varie fasi del Web (1.0, 2.0, 3.0).

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Insomma, Internet permette alle democrazie occidentali di dichiararsi finalmente “compiute”, poiché è attraverso l’informazione e la consapevolezza che il cittadino (e cosumatore) può esercitare pienamente i propri diritti.to a questo scenario, ci accorgiamo che il nuovo medium

ancora “nuovo” si può considerare), permea ormaidimensioni del sociale, ponendosi al centro dell’innovazione non solo tecnologica, ma anche del markting e più in particolare della pubblicità.

Alla fine del 2009, potevamo contare oltre 22 milioni di utenti che si connettono ad Internet, pari a circa il 45% della popolazione, di cui l’80% di essi è un utente abituale che si connette due o tre volte alla settimana e dispone di una conessione veloce (dati Nielsen, 2010).

Secondo alcuni dati molto recenti diffusi da Nielsen, o

gi, Internet è uno dei mezzi che in Italia sta crescendo più velocemente. Tali dati mostrano come nel mese di maggio

Grafico 1 – Audience Internet Italia (in .000) alla fine di dicembre 2009

democrazie occidentali compiute”, poiché è attraverso

l’informazione e la consapevolezza che il cittadino (e con-sumatore) può esercitare pienamente i propri diritti. Accan-

medium (se si può considerare), permea ormai tutte le

dimensioni del sociale, ponendosi al centro dell’innovazione non solo tecnologica, ma anche del marke-

contare oltre 22 milioni di utenti che si connettono ad Internet, pari a circa il 45% della

, di cui l’80% di essi è un utente abituale che si connette due o tre volte alla settimana e dispone di una con-

Secondo alcuni dati molto recenti diffusi da Nielsen, og-gi, Internet è uno dei mezzi che in Italia sta crescendo più

mostrano come nel mese di maggio

Audience Internet Italia (in .000) alla fine di dicembre 2009

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2010 gli utenti abbiano raggiunto una quota di 25 milioni, segnando un +15% rispetto allo stesso mese del 2009.

Questa crescita è dovuta al fatto che l’utenza si allarga e

vede Internet come un mezzo quasi di “massa”, dove sono tuttavia presenti sacche di digital divide, in cui l’area della marginalità (pensionati, casalinghe) continua ad avere un accesso limitato al mezzo. Al contrario, nei segmenti di po-polazione “attiva” la penetrazione rimane elevata e si arriva all’80% del target studenti e manager.

22,0

25,4

20,0

21,0

22,0

23,0

24,0

25,0

26,0

Mag 09 Mag 10

Ute

nti U

nic

i (M

ilio

ni)

Navigatori attivi

Mag 10 vs Mag 09

+ 15%

Grafico 2 – Audience Internet Italia (in .000) al mese di maggio 2010

Fonte: Rielaborazione dati Nielsen su Audiweb – accessi da Casa e Ufficio, maggio 2010

Page 178: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Un altro dato significativo è che cresce l’età media dell’Internet user, posizionandosi nel segmento 25dunque non più solamente un target nativo Internet

Gli utenti di Internet si connettono prevalentemente dalla

propria abitazione e dal posto di lavoro. Entrambi sono prvilegiati e sono in crescita, sovrapponendosi spesso, infatti

Grafico 3 – Utenti Internet Italia: composizione sociodemografica

l’età media , posizionandosi nel segmento 25-44 anni,

dunque non più solamente un target nativo Internet (18-25).

Gli utenti di Internet si connettono prevalentemente dalla propria abitazione e dal posto di lavoro. Entrambi sono pri-vilegiati e sono in crescita, sovrapponendosi spesso, infatti

Utenti Internet Italia: composizione sociodemografica

Page 179: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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possiamo vedere che circa un ¼ degli utenti si connette proprio da questi luoghi.

Gli altri punti di accesso come la scuola e i luoghi occsionali (luoghi pubblici, casa di amici, etc) sono stazionari, anche se si evidenzia una crescita dell’accesso in mobilità, soprattutto dovuto alla diffusione delle chiavette USB e dgli smartphone.

Grafico 3 – I luoghi di connessione di Internet in Italia.

Grafico 4 – Modalità di connessione ad Internet

possiamo vedere che circa un ¼ degli utenti si connette

Gli altri punti di accesso come la scuola e i luoghi occa-sionali (luoghi pubblici, casa di amici, etc) sono stazionari, anche se si evidenzia una crescita dell’accesso in mobilità, soprattutto dovuto alla diffusione delle chiavette USB e de-

a.

Page 180: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Ma quali sono le ragioni che hanno determinato la crscita di Internet in un tempo così poco ristretto? A partire dal 2000 sono stati diversi gli elementi che hanno sostenuto la crescita del mezzo, sia in termini di numero di utenti che di tempo dedicato.

I primi anni del nuovo millennio sono stati quelli in cui il

mezzo ha visto due cambiamenti fondamentali che ne hanno fortemente sostenuto lo sviluppo: Internet gratis e l’introduzione della banda larga. Secondo Enrico Menduni, queste due condizioni hanno permesso di realizzare l’obiettivo (e sogno) dell’always on, ovvero di un collegmento continuo e permanente. È grazie alla diffusione dei collegamenti always on che si è sviluppata una generazione di servizi che Menduni chiama Super Internet, caratterizzati da una forte interattività e collegamenti peer to peer

hanno permesso effetti sociali rilevanti2. Successivamente,

2 Cfr. E. Menduni, Op. Cit., 2007, pp. 222-223.

Grafico 5 – Elementi che hanno determinato la crescita di Internet

Ma quali sono le ragioni che hanno determinato la cre-ta di Internet in un tempo così poco ristretto? A partire

che hanno sostenuto escita del mezzo, sia in termini di numero di utenti che

I primi anni del nuovo millennio sono stati quelli in cui il mezzo ha visto due cambiamenti fondamentali che ne hanno fortemente sostenuto lo sviluppo: Internet gratis e

duzione della banda larga. Secondo Enrico Menduni, queste due condizioni hanno permesso di realizzare

, ovvero di un collega-grazie alla diffusione dei

una generazione , caratterizzati

peer to peer che Successivamente,

Elementi che hanno determinato la crescita di Internet

Page 181: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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grazie alla diffusione delle tariffe flat, si è realizzato un bo-

om delle applicazioni legate all’instant messaging (ICQ, MSN) e al downloading in generale (Emule, Kazaa).

La crescita degli ultimi anni è stata invece supportata in

larga parte dalla diffusione del social networking – di cui parleremo più avanti – e ne è dimostrazione il fatto che il tempo trascorso su Facebook è di gran lunga superiore a quello dedicato ad altri siti. Infine, possiamo sostenere che l’elemento che guiderà la diffusione di Internet nel futuro è quello legato alla “portabilità”, di cui ci accingiamo a par-larne nel prossimo paragrafo e di cui vedremo degli impor-tanti risvolti in particolare anche nei social media.

27:19:23

28:32:49

25:55:12

26:52:48

27:50:24

28:48:00

Mag 09 Mag 10

Tem

po

sp

eso

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lin

e (h

h.m

m.s

s)

Tempo speso online

Mag 09 vs Mag 10

+ 4%

Fonte: Rielaborazione dati Nielsen su Audiweb – accessi da Casa e Ufficio, maggio 2010

Grafico 6 – Il tempo speso online dagli italiani - Maggio 2010

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Le opportunità offerte dal canale mobile

Il fil rouge che sta legando il nostro lavoro sin dall’inizio, riguarda il fatto che il consumatore post-moderno è un individuo che trascorre sempre più tempo al di fuori delle proprie mura domestiche. La forte diffusione della telefonia mobile dimostra questa tendenza e si arric-chisce ancor di più per il fatto che ai tradizionali servizi te-sto e voce, si affiancano anche quelli legati alla connettività offerta da Internet. La penetrazione del mobile in Italia è molto alta rispetto ad altri paesi e rappresenta una delle ca-ratteristiche principali del nostro paese, infatti quasi la tota-lità degli italiani è in possesso di un telefono cellulare e so-no molto diffusi anche i nuovi dispositivi smartphones. La crescita di quest’ultimi è dovuta al fatto che essi offrono la possibilità di accedere ad Internet per scaricare musica, gio-care, controllare la posta, comunicare con gli amici sui so-

cial network ed effettuare anche acquisti. La diffusione di questi dispositivi “intelligenti”, contribuisce di conseguenza a far crescere anche il mercato delle applicazioni sia di tipo gratuito che a pagamento o pubblicitarie.

Il cellulare sta dunque diventando un nuovo medium a cui le aziende hanno iniziato già a rivolgersi da tempo. Le principali innovazioni di cui esso può beneficiare sono quel-le legate alle azioni geo-referenziate e ai servizi location

based, ovvero dal semplice invio di sms promozionali alle applicazioni che permettono di sapere qual è il punto vendi-ta più vicino o di visualizzare un catalogo elettronico di e-

commerce. L’aspetto che però maggiormente caratterizza il nuovo mezzo ed assume caratteristiche di massa, è legato all’enterteinment e al gaming, infatti prende piede la fun-zione ludica del mezzo, dove le numerose applicazioni ga-

Page 183: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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ming e quelle legate al cinema, costituiscono la maggior parte del suo utilizzo.

Dando un’occhiata anche all’estero, in modo particolare del resto dell’Europa, vediamo come in tutti i principali pesi europei la penetrazione dei cellulari supera l’utilizzo rgolare di Internet. L’Italia, pur tra i paesi con il maggior tasso di penetrazione dei cellulari, vede un gap tra l’utilizzo di quest’ultimo e l’accesso ad Internet. I principali usi avazati del cellulare sono poco diffusi in Europa: Il Regno Unto è il paese nel quale l’uso del cellulare risulta più avanzato in tutti i suoi aspetti, dall’invio di foto e filmati, alla lettura delle mail e alla navigazione; in particolare nel Regno Unito la percentuale di coloro i quali navigano da cellulare è quasi tripla rispetto a ciò che avviene in Italia o in Germania.

Grafico 7– La crescita del mobile rispetto all’utilizzo di Internet nei Five europei.

Fonte: GroupM 2010, su dati EuroStat 2008

e quelle legate al cinema, costituiscono la maggior

Dando un’occhiata anche all’estero, in modo particolare come in tutti i principali pa-

esi europei la penetrazione dei cellulari supera l’utilizzo re-golare di Internet. L’Italia, pur tra i paesi con il maggior

tra l’utilizzo I principali usi avan-

zati del cellulare sono poco diffusi in Europa: Il Regno Uni-cellulare risulta più avanzato

n tutti i suoi aspetti, dall’invio di foto e filmati, alla lettura delle mail e alla navigazione; in particolare nel Regno Unito la percentuale di coloro i quali navigano da cellulare è quasi tripla rispetto a ciò che avviene in Italia o in Germania.

rispetto all’utilizzo di Internet nei Big

GroupM 2010, su dati EuroStat 2008

Page 184: Il mercato pubblicitario in un contesto postmoderno

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Allo stesso tempo, però, l’Italia è il paese che fa registrare la maggiore presenza di smartphone, che costituiscono quindi un potenziale interessante per il futuro del m

Fonte: GroupM 2010, su dati EuroStat 2008

Grafico 9 – La leadership dell’Italia nella penetrazione degli smartphone tra i Big Five europei

Fonte: GroupM 2010, su dati Nielsen Mobile insight Europe 2009

Grafico 8 L’utilizzo del cellulare e delle altre applicazioni legate ad esso nei Big Five europei.

llo stesso tempo, però, l’Italia è il paese che fa registrare , che costituiscono

quindi un potenziale interessante per il futuro del mezzo.

GroupM 2010, su dati EuroStat 2008

La leadership dell’Italia nella penetrazione degli

GroupM 2010, su dati Nielsen Mobile insight Europe 2009

8 L’utilizzo del cellulare e delle altre applicazioni legate ad esso

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La crescente diffusione degli smartphone in Italia, mstra come essi siano degli strumenti dotati di un forte per gli utenti italiani e che sia possibile stimare ottime prspettive di crescita. Secondo i dati di Sinottica 2009.2

laborati da GroupM), la percentuale dei utenti mobile

stinata a crescere, poiché data l’elevatissima penetrazione dei cellulari, nel 2009 si è registrato che il 40% del parco cellulari è in grado di connettersi ad Internet. Questo è dvuto al fatto che le grandi aziende di telecomunicazione stanno effettuando pressanti campagne pubblicitarie legate ad offerte “dati”, anche se si registrano delle perdite nei rcavi di quest’ultime poiché i tradizionali servizi (SMS, MMS, Voce) vengono spesso affiancati da quelli relativi ad applicazioni a pagamento che fanno la fortuna dei principali content provider

3.

3 C. Gerino, Il mobile Internet cresce ma calano i profitti

pubblica, Affari&Finanza, 14 Giugno 2010, p. 31.

Grafico 10 – Il mercato dei servizi dati in Italia

Fonte: GroupM 2010, su dati Osservatorio Mobile Content & Internet della School of

Management del Politecnico di Milano (Giugno 2009)

in Italia, mo-stra come essi siano degli strumenti dotati di un forte appeal

possibile stimare ottime pro-Sinottica 2009.2 (rie-

mobile è de-stinata a crescere, poiché data l’elevatissima penetrazione

nel 2009 si è registrato che il 40% del parco cellulari è in grado di connettersi ad Internet. Questo è do-vuto al fatto che le grandi aziende di telecomunicazione stanno effettuando pressanti campagne pubblicitarie legate

gistrano delle perdite nei ri-cavi di quest’ultime poiché i tradizionali servizi (SMS, MMS, Voce) vengono spesso affiancati da quelli relativi ad applicazioni a pagamento che fanno la fortuna dei principali

profitti, La Re-

Osservatorio Mobile Content & Internet della School of

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Secondo recenti studi dell’Osservatorio Mobile Content

& Internet della School of Management del Politecnico di Milano (Giugno 2009), il mercato complessivo dei “servizi dati” relativi al mondo del cellulare è pari ad oltre 3,4 mld €, rispetto a quello del mercato del Pc che è pari a 6,2 mld €. La maggior parte dei ricavi su mobile (2,6 mld €) è legata ai servizi di connettività (255 mln €) e a quelli di messaggi-stica (2,6 mld €). Il mercato dei contenuti a pagamento, è pari a 744 mln €, mentre i ricavi da pubblicità risultano es-sere ancora estremamente contenuti, poco più di 30 mln €, a fronte del fatto che si tratta di un mercato ancora in start-up, mentre quello legato al “mondo Pc” vede ricavi per 800 mln €.Stando a quest’ultimi dati ed analizzando quest’ultimo a-spetto legato alla pubblicità, vediamo che esistono delle dif-ferenze importanti tra il “mondo Pc” e quello mobile: nel primo la pubblicità pesa per l’87% mentre nel secondo essa è ancora marginale, con un peso di poco superiore al 4%.

Secondo Boaretto, Noci e Pini, il mobile Internet può of-frire delle opportunità significative, poiché si può riscontra-re un livello superiore di redemption degli strumenti tradi-zionali dell’online advertising (es. banner), superiore rispet-to alle capacità performanti offerte dagli stessi strumenti utilizzati per la fruizione di Internet da Pc4. Gli stessi autori individuano anche due parole chiave che ritengono rappre-sentare il futuro del mobile Internet: Geolocalizzazione, cioè la possibilità di determinare con una certa precisione la po-sizione geografica di un utente; Personalizzazione, ovvero possibilità di personalizzare il messaggio per ciascun utente.

Secondo gli autori:

Personalizzazione e geolocalizzazione sono attributi di mar-keting estremamente importanti tanto per i provider di servizi te-

4 A.Boaretto, G. Noci, F.M. Pini, Op. Cit, 2009, p. 145.

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lefonici (che detengono i dati) quanto per le aziende in grado di utilizzarli. Ad esempio, qualora un utente decidesse di accedere a un portale online tramite mobile internet, il provider di servizi te-lefonici sarebbe in grado di trasmettere al sistema di gestione dell’advertising online del portale alcune informazioni socio-demografiche relative all’utente medesimo. Processando in ma-niera opportuna i dati, che possono limitarsi, ad esempio, alla di-chiarazione della fascia di età, del sesso e della località o del cap di residenza, il portale potrebbe essere in grado di offrire mes-saggi pubblicitari specificamente selezionati per quel segmento di popolazione.5

Parallelamente alle opportunità che hanno evidenziato gli autori, si riscontra che per il canale mobile diventa im-portante generare ricavi dalla vendita di contenuti e di ser-vizi premium, in forza del fatto che la particolarità di Internet non consente di appiattirsi su modelli di business basati solo sui ricavi da pubblicità. Infatti, come evidenzia il grafico 10, la vendita di contenuti su mobile vale quasi l’intero mercato pubblicitario su Internet.

Per il momento, dunque, il mobile sembra essere uno strumento tecnologico al servizio della pubblicità, piuttosto che un vero e proprio medium pubblicitario. Se pensiamo ai QR Code, di cui abbiamo parlato in precedenza, vediamo come i nuovi smartphone si prestano con successo ad essere degli ottimi ponti, in grado di far interagire l’utente con me-

dia di differente natura: si trova un aggancio nel mondo rea-le (ad esempio dal classico poster o dall’annuncio stampa) e fa sì che l’utente si connetta al mondo virtuale di Internet (al sito di un brand, ad un video su Youtube, o piuttosto ad un advergame, fenomeno ibrido di tra l’advertising e il ga-

ming).

5 Ivi, p. 146.

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Da un’altra prospettiva, si evidenzia come sia il networking a registrare la crescita più forte del mercato bile, quasi quadruplicando il numero di utenti in un anno e raggiungendo alte quote di penetrazione. A guidare questa tendenza è in particolare Facebook, l’attuale principe dei social network, su cui faremo degli approfondimenti nei prossimi paragrafi.

Il Mobile advertising

È ormai da diverso tempo che il dibattito sulla telefonia cellulare e in particolare quello sugli smartphone, è dominto dalla possibilità per le aziende di raggiungere il proprio target anche in mobilità. Ecco che nascono neologismi cme appvertising, ovvero l’integrazione degli spot pubblictari all’interno delle applicazioni per gli smartphone

verso cui un numero sempre crescente di aziende, da Burger King a Coca-Cola e Kraft, stanno utilizzando l’iPhone come mezzo per essere in contatto con i consumatori. Nel 2009, itrend ha fatto incrementare gli investimenti negli Stati Unti, dove ad esempio, Coca-Cola ha lanciato un’applicazione

Grafico 11 – Il consumo di mobile media in Italia

Fonte: GroupM 2010, su dati Osservatorio Mobile Content & Internet della School of

Management del Politecnico di Milano (Giugno 2009)

Da un’altra prospettiva, si evidenzia come sia il social

a registrare la crescita più forte del mercato mo-

, quasi quadruplicando il numero di utenti in un anno e raggiungendo alte quote di penetrazione. A guidare questa

, l’attuale principe dei , su cui faremo degli approfondimenti nei

ormai da diverso tempo che il dibattito sulla telefonia , è domina-

possibilità per le aziende di raggiungere il proprio neologismi co-

, ovvero l’integrazione degli spot pubblici-smartphone, attra-aziende, da Burger

Cola e Kraft, stanno utilizzando l’iPhone come Nel 2009, il

gli investimenti negli Stati Uni-Cola ha lanciato un’applicazione

Osservatorio Mobile Content & Internet della School of

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“The Magic Coke Bottle”, dove gli utenti posso agitare una bottiglia di Coca-Cola usando il proprio “melafonino”poi stapparla e trovare una serie di informazioni6.

Inoltre, Google ha rilasciato Adsense

7 per le applicazioni

mobile. Lo strumento permette alle aziende che sviluppano applicazioni per il sistema operativo di Apple iOS

droid, il sistema operativo made by Google, di aumentare i propri ricavi mostrando testi o immagini pubblicitarie all’interno delle applicazioni.

6 Fonte: GroupM, 2010. 7 Adsense è il sistema di Google per l’erogazione di banner pubblic

tari e che prevede un’affiliazione da parte dei siti web che intendono ospitare degli annunci.

Figura 1 – L’applicazione per iPhone “The Magic Coke Bottle”

dove gli utenti posso agitare una “melafonino”, per

per le applicazioni . Lo strumento permette alle aziende che sviluppano

iOS e per An-

, di aumentare i propri ricavi mostrando testi o immagini pubblicitarie

è il sistema di Google per l’erogazione di banner pubblici-un’affiliazione da parte dei siti web che intendono

ke Bottle”

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Apple, anche se recentemente al centro delle polemiche per alcuni problemi di funzionamento al nuovo iPhone 4, con un gesto di sfida nei cofronti del leader Google, aveva già annunciato ad inizio dell’anno 2010, che sarebbe entrata anch’essa nel mondo della pubblicità mobile. Nel mese di Giugno 2010, con un comunicato ufficiale8, ha annunciato che a partire dal 01 Luglio 2010 avrebbe debuttato il suo nuovo servizio di pubblicità mobile iAd, realizzato per le piattaforme di iPhone, iPod, iPod touch che girano sul nuo-vo sistema operativo iOS4. Secondo Apple, iAd, è in grado di combinare l’emozione suscitata dagli spot pubblicitari te-levisivi con l’interattività garantita da Internet, in modo da offrire agli inserzionisti un dinamico e potente strumento per portare – con un gioco di parole, motion and emotion – movimento ed emozione agli utenti del mobile; Infatti, iAd si configura come uno strumento utile ai brand per dare il calcio d’inizio alle proprie campagne sulla telefonia mobile. Secondo le parole di Steve Jobs, “ iAd raggiungerà milioni di utenti di iPhone e iPod touch – una popolazione altamen-te desiderabile per gli inserzionisti – e sarà in grado di for-nire agli sviluppatori di applicazioni un nuovo modo di guadagnare denaro pur continuando a sviluppare applica-zioni gratis o a basso costo”. Gli sviluppatori che entreranno nel network di iAd, potranno incorporare facilmente nelle loro applicazioni una varietà di formati pubblicitari. Apple si occuperà della vendita degli spazi e gli sviluppatori rice-veranno un 60% dei ricavi pubblicitari derivanti dalla ven-dita di essi. Ad accompagnare il tutto, Apple produrrà dei report in grado di rendicontare ogni campagna rispetto a: impressions; clicks; click through rate; visite; interactions

8 http://www.apple.com/pr/library/2010/06/07iads.html

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(video e immagini visualizzate); tempo medio speso per sin-

golo annuncio; etc. Un altro ambito di sviluppo favorito dal mobile Internet

e dal nascente mercato delle applicazioni, oltre che dalla maggiore penetrazione di telefoni evoluti, è quello legato ai servizi location based, ovvero quelli legati alla geolocaliz-zazione – di cui abbiamo parlato in precedenza – che offro-no nuove opportunità per il mobile advertising. Ad esempio, nel Regno Unito, Vodafone permette agli inserzionisti pub-blicitari di inserire i propri brand all’interno del servizio mappe presente sui telefonini. Un altro esempio è quello messo in atto da KFC, Kentucky Fried Chicken, la famosa catena di fast food americana, che ha posizionato varie ico-ne brandizzate in grado di apparire sulla mappa quando un consumatore è nelle vicinanze. I consumatori potrebbero cliccare su di essa e scaricare un buono sconto da utilizzare in quel negozio. Dando uno sguardo in Italia, vediamo co-me a Milano, la catena Coin si serve della tecnologia Blue-

tooth push, inviando – previo consenso – sms promozionali a chi passa nel raggio di centro metri dal proprio punto ven-dita di Piazza Cinque Giornate. Insomma, in un momento di difficoltà economica come quello che stiamo vivendo, di-venta utile portare i consumatori dentro i punti vendita, met-tendo in atto delle vere e proprie call to action.

Il Web 2.0: Il dominio del social networking

La prima fase storica del World Wide Web – quella che comunemente viene definita Web 1.0 – a partire dalla sua nascita nei primissimi anni Novanta, si è caratterizzata pre-valentemente per la staticità dei siti web e l’assenza di inte-razione tra gli utenti e la marca. Sono gli anni in cui i siti web erano delle semplici “vetrine” dove venivano pubblica-te delle informazioni e che venivano poi aggiornate con una

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frequenza molto bassa. Oggi, il concetto di Web 1.0 viene superato poiché vengono meno due caratteristiche di base: la passività della fruizione e la lentezza negli aggiornamen-ti. A partire dai primi anni del nuovo millennio, in seguito alla famosa crisi delle dot-com del 2001, si è iniziato a par-lare di passaggio al Web 2.0, ovvero ad una fase in cui Internet ha cambiato radicalmente natura ed ha assunto un aspetto relazionale e partecipativo.

L’espressione”Web 2.0” è stata usata per la prima volta in occasione dei dibattiti antecedenti allo scoppio della bolla delle dot-com e secondo alcuni9, ha trovato una sua piena istituzionalizzazione nel mondo del marketing, a seguito di un articolo di Tim O’Really, dal titolo”What is Web 2.0: Design Patterns and Business Models for the Next

Generation of Software (30 Settembre 2005). Recentemente c’è chi ha definito il Web 2.0 una “piattaforma conversa-zionale”10, sottolineando le peculiarità di questa fase: un cambiamento nel controllo dell’informazione che passa dal-le mani delle aziende a quelle dei consumatori o per meglio dire, viene condiviso da entrambi in un’ottica di co-creazione. Dunque, ciò che cambia è il modo con cui le a-ziende dialogano con i propri consumatori, infatti le appli-cazioni legate alla logica 2.0 permettono una condivisione di informazioni e la diffusione “naturale” di esse all’interno della rete.

Al centro di questa rivoluzione ci sono quelli che sono stati definiti Social Media, ovvero quei mezzi in grado di

9 Cfr. D. Caiazzo, A. Colaianni, A. Febbraio, U. Lisiero, Buzz mar-

keting nei social media. Come scatenare il passaparola on-line, Fausto Lupetti, Milano, 2009, pp. 30-31.

10 Cfr. B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Op. Cit., p. 79. Per ciò che concerne il tema della co-creazione nei processi di marketing, si veda il Capitolo 2 del presente lavoro.

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favorire il contatto sociale tra le persone e l’incremento dele occasioni relazionali. Sono strumenti che favoriscono una sorta di “vetrinizzazione dell’individuo”, dove esso è in grado di mettersi in luce, parlare di sé, condividere i propri interessi. Ovviamente tutto questo cambiamento investe ache i tradizionali modelli di investimento pubblicitario delle aziende, che sono costrette ad affiancare ad essi nuove mdalità che tengono in considerazione questa tendenza. Duque, alla classica advertising di tipo Display (Box, Leade

board, Skin, Strip, Overlay, Manchette) si affiancano strmenti più orientati alla relazione come il WOM (word of mouth).

La timeline di Internet, a partire dal 1990 ad oggi,

ratterizza per la comparsa di forme di UGC, User Gener

ted Content, in cui il consumatore si trasforma da fruitore di palinsesti decisi da altri (così come siamo stati abituati nei media tradizionali come la televisione e la stampa) a creat

Figura 2 – La timeline di Internet: dal suo arrivo al web 3.0

Fonte: GroupM 2009

favorire il contatto sociale tra le persone e l’incremento del-li. Sono strumenti che favoriscono una

sorta di “vetrinizzazione dell’individuo”, dove esso è in grado di mettersi in luce, parlare di sé, condividere i propri

questo cambiamento investe an-nto pubblicitario delle

aziende, che sono costrette ad affiancare ad essi nuove mo-dalità che tengono in considerazione questa tendenza. Dun-

Box, Leader-

) si affiancano stru-menti più orientati alla relazione come il WOM (word of

di Internet, a partire dal 1990 ad oggi, si ca-, User Genera-

, in cui il consumatore si trasforma da fruitore di palinsesti decisi da altri (così come siamo stati abituati nei media tradizionali come la televisione e la stampa) a creato-

nternet: dal suo arrivo al web 3.0

GroupM 2009

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re dei medesimi a propria misura, fino a diventare un vero e proprio creatore di contenuti che – punto fondamentalele aziende – parlano in qualche modo anche delle marche con cui egli si relaziona quotidianamente. Caiazzolaianni, Febbraio, Lisiero, autori di un interessante libro sul buzz marketing, sostengono che a guidare tale rivoluzione “dal basso” sia una vera e propria nuova generazione: la Generazione Y (Ragazzi/e 18-25 anni, digital native

I siti di social networking come Facebook, MySpace,

network professionali come LinkedIn o Viadeo, i siti di deo streaming come YouTube o il photo sharing

ed infine i sistemi Wiki come Wikipedia – quest’ultima dventata ormai, seppur con tante polemiche, custode del spere universale – stanno alimentando sempre di più il dibatito sugli utenti generatori di contenuti.

11 Cfr. D. Caiazzo, A. Colaianni, A. Febbraio, U. Lisiero

2009, pp. 25-26.

Figura 3 – Le diverse forme del Web 2.0

Fonte: Classificazione a cura di GroupM, 2009

esimi a propria misura, fino a diventare un vero e punto fondamentale per

parlano in qualche modo anche delle marche Caiazzo, Co-

di un interessante libro sul tale rivoluzione

sia una vera e propria nuova generazione: la digital native).11

Facebook, MySpace, i , i siti di vi-

photo sharing di Flickr, quest’ultima di-

e, custode del sa-stanno alimentando sempre di più il dibat-

Lisiero, Op. Cit.,

Classificazione a cura di GroupM, 2009

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È possibile classificare i social media secondo le forme di interazione che offrono all’utente e secondo le modalità di relazione che regolano i rapporti tra gli utenti. Sono state individuate quattro macrocategorie di Social (Prosumerism,

Always On, Sharing Niches, Alter Ego) dentro le quali sstate collocate le varie tipologie (alcune come YouTube

limite tra una categoria e l’altra), sulla base della combinzione tra due coppie dicotomiche, di cui la prima legata all’apertura verso l’esterno ( Asse 1: Gruppo ristretto

Villaggio globale) e la seconda legata agli obiettivi per cui ci si connette (Asse 2: Skills/Competenze vs Essere prese

ti). Il risultato è stato il seguente: - Prosumerism: blog, MySpace, Wikipedia, Flic- Always On: YouTube, Skype, Messenger, Facebook,

Twitter; - Sharing Niches: forum, newsgroups, LinkedIn;- Alter Ego: chat, mIRC, Second Life, A small world;

Figura 4 – La mappa del Social

Fonte: Elaborazione a cura di GroupM, 2009

secondo le forme di interazione che offrono all’utente e secondo le modalità di relazione che regolano i rapporti tra gli utenti. Sono state

Prosumerism,

dentro le quali sono YouTube, al

, sulla base della combina-zione tra due coppie dicotomiche, di cui la prima legata

ruppo ristretto vs ) e la seconda legata agli obiettivi per cui

Essere presen-

, Flickr; YouTube, Skype, Messenger, Facebook,

forum, newsgroups, LinkedIn; chat, mIRC, Second Life, A small world;

Elaborazione a cura di GroupM, 2009

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Proviamo ad esprimere qualche breve considerazione su una tipologia di social network per ciascuna delle macroca-tegorie appena individuate. Ogni azienda, a seconda del suo settore di business, potrà costruire la propria presenza all’interno di questi portali, in termini di pubblicità display oppure di altre formule non tabellari come fan pages (es. Facebook). Nella categoria Prosumerism, caratterizzata per l’apertura erga omnes e l’orientamento verso le competen-ze/abilità, MySpace, costituisce un interessante portale de-dicato all’intrattenimento, in particolare ai contenuti legati alla televisione, cinema, musica e gaming. Questo portale costituisce un’interessante opportunità per le aziende che producono intrattenimento o che in qualche modo sono le-gate al mondo della musica o del cinema. All’interno del network è possibile trovare numerose persone (possibili

target), potenzialmente disposte ad entrare in relazione con essa. Nella categoria Sharing Niches, caratterizzata per la minore apertura del gruppo ed orientata anch’essa alla valo-rizzazione delle competenze/abilità, LinkedIn, costituisce

Figura 5 – Homepage di MySpace: in evidenza banner pubblicitario

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un punto di riferimento che, al contrario di MySpace, sarà il punto di riferimento per le aziende che cercano relazioni di business con altre aziende o con professionisti dei più sva-riati settori. LinkedIn, è la più vasta rete professionale a li-vello mondiale, lanciata nel 2003 e che consente oggi a cir-ca 75 milioni12 di persone di entrare in relazione, spinte da motivazioni prevalentemente di natura professionale. Con il servizio DirectAds, LinkedIn offre la possibilità alle aziende di pubblicare delle inserzioni targetizzate a seconda del pro-filo dell’utente che sta navigando.

La categoria Alter Ego, si caratterizza per la ristrettezza

del gruppo e per l’obiettivo di fruizione legato all’interesse di essere presenti e visibili. A Small World, a differenza dei principali social network, ha un’impostazione di tipo èlita-rio, a cui si accede solo dopo essere stati invitati da un membro. L’utenza di questo portale è estremamente mobile ed utilizza il network per condividere opinioni su destina-

12 Fonte www.it.linkedin.com, aggiornato al 03/09/2010.

Figura 6 – LinkedIn: in evidenza annuncio pubblicitario

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zioni, alberghi, ristoranti. L’esclusività dei membri, rappre-senta può rappresentare una garanzia per gli inserzionisti che intendono rivolgersi ad un target di estremo prestigio.

Infine, nella macrocategoria degli Always On, ovvero quella che si caratterizza per l’apertura massima verso il pianeta e per l’obiettivo primario di “essere presenti” sulla Rete, possiamo individuare come maggior rappresentativo, Facebook, su cui nel prossimo paragrafo effettueremo un focus specifico, ed esprimere qui alcune brevi considerazio-ni su Twitter, altro social network che ha avuto un boom in-teressante. Twitter è un network di informazioni in tempo reale sviluppato grazie ad utenti provenienti da tutto il mondo Si tratta di un sistema di microblogging, attraverso cui essi si scambiano dei messaggi di 140 caratteri (detti tweets), scegliendo come modalità di invio il portale o gli SMS inviabili dai propri telefonici cellulari. Gli utenti di Twitter nel mondo sono cresciuti ad un ritmo straordinario, con il caso del +700% del Febbraio 2009 rispetto a quello del 2008, in cui si è raggiunto la quota di 10 milioni di uten-ti13. Twitter sta diventando uno strumento molto importante per le aziende, poiché rappresenta un ulteriore canale per mantenere il contatto con i propri consumatori. Oggi, sap-piamo che per un’azienda è fondamentale conoscere in anti-cipo l’eventuale scoppio di una crisi. Twitter, permette alle aziende di conoscere in tempo reale quali sono i “discorsi” che i consumatori effettuano su di esse e dunque facilità gli eventuali interventi correttivi o può permettere di cavalcare l’onda del buzz.

Google – sempre molto attenta al mondo dei social

network – ha introdotto un nuovo servizio di ricerca che è partito nel mese di Marzo 2010, Real Time Search,

13 Fonte: GroupM

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un’interessante integrazione al proprio motore di ricerca che va ben oltre le tradizionali procedure di indicizzazione dei contenti e che permette agli utenti di conoscere le conversa-zioni in tempo reale che avvengono sulle pagine pubbliche di Facebook, MySpace e di Twitter. Così, l’utente può così cercare un termine e scoprire tutti i threads al momento at-tivi su un determinato argomento14. Sulla lunghezza d’onda dell’immediatezza si colloca anche la recentissima innova-zione di YouTube Instant

15, una nuova versione appena in-trodotta da un giovane talento di Stanford di nome Feross Aboukhadijeh, che permette l’esecuzione dei video ancor prima di concludere la digitazione nel campo di ricerca.

Secondo Giuliano Noci, i social media saranno i broa-

dcasters del futuro, poiché è in costante crescita la fram-mentazione dei media, soprattutto essi diventeranno delle fonti attendibili tra le persone, poiché il confronto tra pari sta diventando una determinante sempre più importante nel-le scelte di acquisto delle persone16.

Il ruolo di Facebook nella pianificazione pubbli-

citaria

Tra tutti i social network che popolano attualmente la re-te, quello che ha avuto maggiore successo, grazie ai suoi esponenziali ritmi di crescita, è stato Facebook. Le ragioni che hanno portato questo strumento, nato solamente qualche anno fa nel 2004, ad diventare un agorà nella quale persone di ogni fascia di età si confrontano, è dovuto al fatto che es-

14 Si veda anche Alessio Balbi, Google, entrano i social network: la

ricerca diventa in tempo reale, La Repubblica, 18/03/2010. 15 http://www.ytinstant.com/ 16 G. Noci, Social Media: Le persone conversano, la comunità di

marketing discute…, MIP, “Conversazione IAA” , Milano 19 Aprile 2010.

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so è dotato di una forte versatilità. Si tratta di una vera e propria bacheca virtuale nella quale è possibile condividere link, video, documenti, pensieri, note, che si trasformain un utilissimo strumento di marketing in grado di ragiungere un numero elevato di persone facilmente suddivsibile in segmenti.

I numeri di Facebook parlano chiaro: oltre 500 milionidi utenti attivi al mese di Luglio 2010, con una media di 250 mila nuove registrazioni al giorno dal 200718

di una popolazione di utenti fortemente rappresentata da neolaureati e giovani professionisti, infatti il 37% di essi possiede una laurea e poco oltre il 60% degli utenti totali fa parte di una fascia di età compresa tra i 18 e i 34 annidimostra come la partecipazione ai social network

dei fenomeni di maggior successo presso il target

ma non solo.

17 Fonte: Wikipedia, Settembre 2010. 18 Fonte: GroupM su dati Vanity Fair, 11 febbraio 2009. 19 Fonte: GroupM su dati Nielsen online, 2008.

Figura 7 – Profilo demografico degli utenti di Facebook

Fonte: Elaborazione a cura di GroupM, su dati Nielsen Online, Settembre 2008

so è dotato di una forte versatilità. Si tratta di una vera e propria bacheca virtuale nella quale è possibile condividere

nti, pensieri, note, che si trasformando in un utilissimo strumento di marketing in grado di rag-giungere un numero elevato di persone facilmente suddivi-

I numeri di Facebook parlano chiaro: oltre 500 milioni17 con una media di

18. Si tratta enti fortemente rappresentata da

neolaureati e giovani professionisti, infatti il 37% di essi possiede una laurea e poco oltre il 60% degli utenti totali fa parte di una fascia di età compresa tra i 18 e i 34 anni19. Ciò

ocial network sia uno target giovane,

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A questo punto, occorre chiedersi perché la maggior par-te delle persone sceglie Facebook come strumento per colti-vare le proprie relazioni sociali? Le ragioni sono numerose e in parte le abbiamo accennate ad inizio di questo paragra-fo. Il segreto del successo tra gli utenti di Internet, può rap-presentare – se ben compreso e opportunamente sfruttato – il segreto del successo di molte aziende orientate al social

media marketing. Facebook racchiude tutte le opportunità che la rete ha of-

ferto fino alla fase attuale20:

• Il blog: la propria bacheca e il proprio profilo sono strumenti molto simili ad un blog, così come la sezione che permette di visualizzare l’elenco dei propri amici;

• L’instant messaging e il “botta e risposta” per chattare, la mail per i messaggi privati, il “poke” che sostituisce il trillo sul cellulare;

• La multimedialità: è possibile creare la propria playlist musicale, così come è possibile fare con gli iPod, cari-care video da YouTube, caricare foto (anche appena scattate da cellulare, con Facebook per smartphone). In-fine si possono creare e sottoscrivere community, sfidare i propri amici negli innumerevoli giochi interattivi.

Rispetto ad altri social network, non occorrono compe-

tenze specifiche: se MySpace è la vetrina per chi ha compe-tenze specifiche (si veda la mappa social del paragrafo pre-cedente) e se il blog è uno strumento per coloro i quali han-no “qualcosa da dire”, Facebook è “alla portata di tutti”, una grande community virtuale. Rispetto a Second Life, il grande mondo virtuale attraverso il quale le persone interagiscono

20 Adattamento su dati GroupM, 2009.

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in una vita parallela, attraverso dei propri avatar, in Face-book la vita è quella reale! È uno strumento che consente di rivivere il passato ritrovando ex compagni di scuola, ex col-leghi di lavoro, amici d’infanzia, di vivere il presente colti-vando le relazione con le persone della propria vita sociale, fissare un appuntamento, mettersi d’accordo per uscire la sera e infine, di costruire il futuro attraverso le relazioni che si possono stringere.

La presenza delle aziende con i propri brand all’interno dei social media, oggi diventa un must, un obbligo al quale esse non possono sottrarsi, pena il soccombere in quella struggle for life che caratterizza l’agone competitivo. I brand – si più volte detto – devono agire in un’ottica di fine

tuning, ovvero di “buona sintonizzazione” con il contesto, con l’evoluzione socioculturale, sempre consapevoli che e-siste una sorta di brand darwinism, ovvero una selezione “naturale” continua che premia solo chi riesce ad adeguarsi all’evoluzione del contesto in cui si opera. Ecco, i social

media, si collocano al centro di una rivoluzione culturale che tocca più strati della società, che coinvolge a livello in-tergenerazionale e dunque, non possono rimanere un terreno inesplorato dalle aziende. È in corso un dibattito riguardo al fatto che il social networking aumenti di circa il 30% la produttività dei lavoratori che ne fanno uso durante l’orario di lavoro21. Tale dibattito è stato recentemente ripreso dagli animatori di Marketing Reloaded, in particolare da Andrea Boaretto22, per sottolineare il fatto che le aziende devono cambiare il proprio modello di business, abbandonare i vec-

21 Enzo Riboni, http://www.corriere.it/economia/carriere-

lavoro/10_settembre_03/riboni-facebook-ufficio-produttivita_c50fdbc8-b734-11df-b2c1-00144f02aabe.shtml

22 Andrea Boaretto, L’accesso libero ai social network aiuta a lavo-

rare meglio?..., www.marketingreloaded.it, 07/09/2010.

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chi paradigmi e aprirsi alle opportunità che il social networ-

king offre. Boaretto, conclude il suo articolo citando la Tesi 37 di Gianluca Diegoli che la dice lunga sullo stato di aper-tura delle aziende verso questi nuovi strumenti:

E’ giusto bloccare l’accesso al web e ai social network in a-zienda, se non avete intenzione di partecipare alla conversazione nei prossimi dieci anni – oppure se preferite spendere più avanti cento volte il costo del tempo utilizzato in rete dai vostri dipen-denti in formatori e consulenti, che gli insegneranno ciò che a-vrebbero potuto imparare da soli.23

Come dire: le aziende devono iniziare a dar vita al cam-biamento guardando prima di tutto al loro interno, nella stessa ottica con cui spesso si afferma che un buon marke-ting verso i consumatori è lo specchio di quello interno ri-volto ai membri della propria organizzazione.

Secondo Giuliano Noci, occorre rendersi conto che gesti-re dei social media significa andare oltre il marketing, per-chè in essi è necessario rivolgersi al consumatore attraverso modalità diverse e più coinvolgenti. Per le aziende diviene centrale l’elemento dell’ascolto e grazie ad esso è possibile attivare modelli co-creativi, realizzando quell’obiettivo di creazione di esperienze multicanale “co-create” di cui ab-biamo parlato alla fine del secondo capitolo di questo lavo-ro24. Anche Giulio Malegori, CEO di Aegis Media Italia, in una recente intervista ha affermato che, di fronte ai social

media, le aziende hanno a disposizione un importante stru-mento di marketing, in larga parte inesplorato, poiché 19,7 mln di italiani sono utenti dei social media, con una crescita

23 Gianluca Diegoli, http://www.91tesi.com/37. 24 G. Noci, Social Media: Le persone conversano, la comunità di

marketing discute…, MIP, “Conversazione IAA” , Milano 19 Aprile 2010.

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del 17,6 % in un anno. Malegori conclude sostenendo che l’approccio tradizionale alla comunicazione va totalmente ripensato integrandolo con nuove modalità di contatto con i consumatori. Le tradizionali gerarchie ed asimmetrie tra a-ziende e consumatori, dunque, vengono meno nei social

media e sorgono forme diverse di interazione.25 D. Caiazzo, A. Colaianni, A. Febbraio, U. Lisiero, per

esempio, fanno notare che“aprire un profilo brandizzato su Facebook, significa prima di tutto avere degli obiettivi che puntino a stimolare gli utenti all’interazione con l’azienda e con gli altri utenti, adattando il proprio tono alle conversa-zioni che le persone abitualmente tengono tra loro all’interno del social network”26. Inoltre, gli stessi sosten-gono che “La possibilità di proporre un gruppo sponsorizza-to dove gli utenti possono liberamente iscriversi o poter par-tecipare a eventi esclusivi, consente di raggiungere un nu-mero molto elevato di individui a costi molto più bassi”27.

Maurizio Mazzanti, direttore creativo dell’agenzia E3, ri-tiene che all’interno dell’enorme flusso di conversazione che avviene tra le persone tramite l’uso di Facebook, rien-trano tematiche che riguardano le aziende con i loro prodot-ti e servizi. Per questa ragione è importante che i brand ab-biano una presenza ufficiale all’interno di questo social

network, per poter così entrare in relazione con i loro con-sumatori in maniera diretta ed immediata28. Le aziende, ab-biamo detto, per dialogare su Facebook possono servirsi di

25 Cfr. G.Lonardi, Malegori: “Per la pubblicità è l’ora dei social

network”, Affari & Finanza, La Repubblica, 20/09/2010, p. 31. 26 Cfr. D. Caiazzo, A. Colaianni, A. Febbraio, U. Lisiero, Op. Cit.,

2009, pp. 103-104. 27 Ibidem 28 M. Mazzanti, Social Media: nessun canale, conversazioni sponta-

nee tra persone reali,“Conversazione IAA”, Milano 19 Aprile 2010.

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diversi strumenti, tra cui le pagine sponsorizzate e le page; quest’ultime posso rivelarsi particolarmente utili per pubblicare su di esse dei messaggi multimediali (video, fto, link), che vengono poi visualizzati nelle homeogni singolo fan del brand. Considerato il sovraffollamento che generalmente caratterizza le homepage dei fan, sopratutto di quelli che hanno un grosso numero di amicizie, dventa opportuno e conveniente pubblicare un contenuto nel momento in cui il maggior numero di persone è collegato e dunque pronto a vederlo. Le pagine che hanno più di 10.000 fan, hanno uno funzione che riporta il numero di volte che il singolo messaggio è apparso nelle homepage dei fan e la percentuale di commenti generati dal messaggio, permetendo cosi ai brand di esprimere valutazioni riguardo l’engagement generato dalle proprie azioni.

Facebook, dunque, si pone come un terreno fertile per

l’advertising, anche per le forme “meno convenzionali”numerosi brand come Dell, eBay, Sephora, Vodafone e Burger King, hanno implementato diverse campagne di

Figura 8 – Esempi di messaggi emessi da fan pages su Facebook

diversi strumenti, tra cui le pagine sponsorizzate e le fan

; quest’ultime posso rivelarsi particolarmente utili per imediali (video, fo-

ono poi visualizzati nelle homepage di . Considerato il sovraffollamento

homepage dei fan, soprat-tutto di quelli che hanno un grosso numero di amicizie, di-

a opportuno e conveniente pubblicare un contenuto nel momento in cui il maggior numero di persone è collegato e

Le pagine che hanno più di 10.000 fan, hanno uno funzione che riporta il numero di volte che il

arso nelle homepage dei fan e la percentuale di commenti generati dal messaggio, permet-

di esprimere valutazioni riguardo

si pone come un terreno fertile per , anche per le forme “meno convenzionali” e

come Dell, eBay, Sephora, Vodafone e Burger King, hanno implementato diverse campagne di

su Facebook

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successo. Ad esempio, i primi tre, in passato hanno offerto dei “regali virtuali” sponsorizzati nel periodo di Natale, con l’obiettivo di vedere incrementato il passaparola intorno ai propri prodotti e suscitare un conseguente acquisto nella vi-ta reale. Vodafone, invece, per promuovere la Christmas

Card, ha aperto un profilo su Facebook e ha assunto le sembianze di un personaggio di fantasia, Chris Max, il cui nome ricorda per assonanza il Natale. Gli utenti sono stati invitati un test della durata di 3 minuti, al termine del quale, hanno ricevuto una Christmas Card (in cambio di un indi-rizzo e-mail e di una ricarica minima di 15 euro). Questa operazione, fatta a costo zero, ha fruttato a Vodafone l’accesso ai profili di tutti coloro che hanno partecipato al sondaggio, raccogliendo una serie di informazioni molto u-tili ai fini di marketing.

Negli Stati Uniti, invece, Burger King, il principale con-corrente di McDonald’s, ha lanciato un’applicazione per Facebook davvero bizzarra, una sorta di guerrilla sui social

network. Tale applicazione, permetteva di ricevere in regalo un Whopper (un panino), a tutti gli utenti che avessero can-cellato almeno 10 amici dal proprio profilo. Gli utenti che hanno aderito (circa 15000), dovevano visitare il sito “Whopper Sacrifice” per installare l’applicazione e selezio-nare 10 amici da cancellare per ottenere un voucher con il panino gratuito. Solitamente, la rimozione di un amico da Facebook, non viene comunicata a chi viene rimosso, ma in questo caso l’applicazione pubblicava sulla bacheca degli amici “cancellati” un annuncio che informava loro di essere stati “sacrificati” in cambio di un Whopper, dove il messag-gio includeva il collegamento all’applicazione e al relativo gruppo.

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L’ultima frontiera: la geolocalizzazione su Facebook

Così come abbiamo avuto modo di evidenziare nei para-grafi e nei capitoli precedenti, la coppia Internet/geolocalizzazione sta assumendo delle sfumature interessanti dal punto di vista delle opportunità d’investimento per gli inserzionisti pubblicitari. Oggi, tale binomio si arricchisce di un terzo elemento – i social

network – e si trasforma in un trinomio esplosivo, con im-portanti ricadute sulle relazioni sociali, sul business delle aziende e, cosa non marginale, sulla privacy delle persone. Ormai è frequente, soprattutto in certe applicazioni per i-Phone, vedersi chiedere al momento dell’esecuzione l’autorizzazione a rilevare la propria posizione geografica. In questo modo, gli sviluppatori delle applicazioni, possono personalizzare l’esecuzione dell’applicazione, inserendo annunci pubblicitari ad hoc, informazioni utili, buoni sconto di cui l’utente può fruirne nell’immediato.

A metà del mese di Agosto 2010, Facebook ha lanciato negli USA, un nuovo servizio di geolocalizzazione per smartphone denominato Places, che permette agli utenti di “taggarsi” e di “taggare” gli amici che si trovano in un me-desimo luogo, effettuando una sorta di check-in. Facebook non è un pioniere in questo settore, in passato sono sorte e sono tutt’oggi attive, numerose realtà social che sfruttano le potenzialità offerte dalla georeferenziazione. Un caso su tut-ti è Foursquare, lanciato nel marzo del 2009 e che oggi conta circa 3 milioni di utenti attivi. Il suo funzionamento è alquanto semplice: gli utenti arrivano in un certo luogo che è già presente nelle mappe (oppure può essere inserito dagli utenti volta per volta), effettuano un check-in direttamente dall’applicazione eseguita sul proprio terminale mobile e la loro presenza viene registrata in tale luogo. In alternativa è possibile effettuare il check-in attraverso l’invio di un SMS.

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La particolarità di questo social network, sta nel fatto che si caratterizza per la presenza dell’elemento ludico, dove chi effettua il maggior numero di “check-in” in un certo luogo, viene munito di un badge che lo elegge come “Sindaco”: da qui inizia una raccolta di badges, ovvero dei “distintivi”, che costringono gli altri utenti ad unirsi alla sfida.

Le aziende che aderiscono a Foursquare, in cambio dei

check-in, offrono dei premi che possono riguardare dei buoni sconto, gadgets, consumazioni gratuite. In Italia, Fel-trinelli Milano, Coin e le palestre Virgin Active stanno già investendo in questo social network e premiano chi effettua i check-in con carte sconto o sessioni gratuite29. Foursqua-

re, rappresenta senz’altro un modello con cui il nuovo ser-vizio di Facebook dovrà prendere le misure, anche se c’è da dire che 3 milioni di utenti contro i 500 milioni di quest’ultimo sono davvero poco significativi, per cui Face-

29http://www.repubblica.it/tecnologia/2010/09/13/news/dimmi_dove

_sei-6944875/

Figura 9 – Homepage del social network Foursquare

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book non tarderà a diventare leader indiscusso anche nel social networking georeferenziato.

L’opportunità strategica che questi nuovi strumenti of-frono alle aziende è di enorme portata. Ogni volta che un utente effettua un check-in in un determinato luogo, viene avvisato, attraverso dei messaggi, dai partner commerciali del social network che hanno in corso delle promozioni o degli eventi in prossimità di tale luogo, magari dopo aver attinto al database in cui sono contenuti i profili degli uten-ti. Fabio Deotto, in un articolo su Wired.it della fine di A-gosto 2010, cita un’indagine di ABI Research, secondo cui il mercato del location-based mobile social networking su-pererà i 3 miliardi di dollari entro il 201330. Questi dati giu-stificano in pieno il recente interesse di Facebook di appro-priarsi di questa fetta di mercato, riuscendo ad essere più incisiva anche di Google che, anche se ha lanciato da tempo dei servizi di geolocalizzazione, non è riuscita evidentemen-te a legarli all’elemento social che oggi governa in larga parte il mondo di Internet.

Il business legato alla georeferenziazione può rappresen-tare un’interessante innovazione all’interno del mercato pubblicitario, poiché potrebbe attrarre alcune tipologie di inserzionisti che difficilmente possono disporre di budget consistenti per le proprie comunicazione pubblicitarie. Si tratta di tutte quelle piccole e medie imprese che sono ta-gliate fuori dai media tradizionali o che limitano la propria sfera di azione ad inserzioni locali, performanti in misura minore rispetto a ciò che la georeferenziazione è in grado di offrire.

30 http://www.wired.it/news/archivio/2010-08/24/facebook-places,-

un-altro-punto-per-zuckerberg-nella-lotta-alla-privacy.aspx

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Anche se la versione di partenza di Facebook Places

ha previsto degli inserzioni pubblicitarie, tra i commentatori c’è chi ritiene che non si tarderà nella sua implementazione.

Secondo Dario Ciracì di SocialMediaMarketing.it

svolti dell’utilizzo di Places a livello di business possono essere grandiosi e più importanti di quelli attivabili da Foursquare, se non altro per il grosso bacino di utencui il primo può beneficiare. Ciracì sostiene che il legame geolocalizzazione/marketing va a vantaggio soprattutto del marketing turistico (e agro-alimentare) e più in generale di quello territoriale, dove anche chi non ha delle conoscenze approfondite di marketing può fare la differenza: ristoranti, hotel, pizzerie e negozi di prodotti tipici. L’autore, conclude sostenendo che il ritorno di queste azioni di marketing è drettamente misurabile sul fatturato, realizzando sulla propria

31 http://www.socialmediamarketing.it/facebook-places

testato/

Grafico 12 – La concentrazione del mercato pubblicitario italiano per ivestimenti delle aziende e l’area fertile per la pubblicità georeferenziata

Places non ha previsto degli inserzioni pubblicitarie, tra i commentatori c’è chi ritiene che non si tarderà nella sua implementazione.

SocialMediaMarketing.it31, i ri-

a livello di business possono essere grandiosi e più importanti di quelli attivabili da

, se non altro per il grosso bacino di utenza di . Ciracì sostiene che il legame

geolocalizzazione/marketing va a vantaggio soprattutto del alimentare) e più in generale di

quello territoriale, dove anche chi non ha delle conoscenze te di marketing può fare la differenza: ristoranti,

hotel, pizzerie e negozi di prodotti tipici. L’autore, conclude sostenendo che il ritorno di queste azioni di marketing è di-

, realizzando sulla propria

places-per-litalia-

La concentrazione del mercato pubblicitario italiano per in-pubblicità georeferenziata

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pagina di Facebook dei coupon stampabili, da presentare poi nei locali pubblicizzati e beneficiare delle promozioni.

Ai vantaggi che Places offre, si accompagnano in paral-lelo delle pericolose insidie legate alla minaccia della privacy. È vero che viviamo nell’era del real time e dell’ipervisibilità, dove si fa a gara a far conoscere agli altri ciò che stiamo facendo, dove poter segnalare con precisione qual è la nostra esatta posizione geografica, può diventare l’ultima delle mode, tuttavia, ciò può diventare una seria minaccia per gli utenti meno accorti nel trattamento dei propri dati sensibili. Rendere nota la propria posizione geo-grafica può far incrementare fenomeni come lo stalking o può causare spiacevoli “inconvenienti” ai coniugi infedeli che si vedono “taggati” in luoghi dove non dovrebbero es-sere. Secondo Rainey Reitman, portavoce di Privacy Rights

Clearinghouse, “i dati di localizzazione sono strettamente correlati alla sicurezza delle persone.[…] Se la gente sa do-ve sei, sanno anche dove non sei.[…]”32. Queste minacce, dunque, rappresenteranno senz’altro un problema a cui Fa-cebook Places dovrà lavorare per non trovare intralci nella propria corsa al business.

32 Citazione estratta da: http://www.wired.it/news/archivio/2010-

08/24/facebook-places,-un-altro-punto-per-zuckerberg-nella-lotta-alla-privacy.aspx

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Conclusioni

Il percorso che ci ha condotti fin qui – conclusosi non a caso con le opportunità che Internet può offrire alla pianifi-cazione pubblicitaria – si è caratterizzato per la presenza di un fil rouge che ha riguardato il tema della mobilità. Ab-biamo in più parti di questo lavoro sottolineato come l’epoca postmoderna si caratterizzi per una radicalizzazione delle esigenze di mobilità delle persone. A supporto di que-sta tesi abbiamo fornito alcuni dati che sembrano validare l’idea che gli individui trascorrono decisamente più tempo all’esterno delle proprie abitazioni, sia per motivi legati agli spostamenti quotidiani per recarsi nei posti di lavoro, sia per il proliferare di una serie di “attrazioni” esterne che invitano i soggetti a prendervi parte.

Di fronte alle nuove dinamiche sociali che vedono il consumatore mutare il proprio habitus e vestire dei nuovi panni, si è evidenziato come anche gli attori del mercato pubblicitario siano stati costretti a ridefinire il propri model-li di approccio al mercato. Abbiamo visto che all’evoluzione dei media dell’ultimo quarto del secolo scor-so – che ha visto l’irruzione dei new media sulla scena – si è affiancata anche quella della pubblicità che, sappiamo, nel corso della storia essersi sempre accompagnata all’evoluzione di ciò che la “trasportava”, ovvero dei media. L’iperframmentazione dell’offerta, garantita dall’introduzione dei media digitali, ha creato una moltitu-dine di nicchie di fruitori/consumatori, scaturendo una tem-pesta nei paradigmi del marketing tradizionale, dove ab-

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biamo mostrato come le nuove ricette abbiano visto come soluzione prevalente una sterzata a favore della multicanali-tà. Le ragioni di questo paradigm shift, sono state dettate dalla necessità di colpire il consumatore in tutte le dimen-sioni della sua quotidianità, un consumatore sempre più sfuggente e più attento alla natura dei propri consumi.

Negli ultimi anni, la crisi dell’economia che ha investito il pianeta, non ha fatto altro che radicalizzare il mutamento che era già in atto da tempo. Nel primo capitolo abbiamo visto che esiste una stretta relazione tra investimenti pubbli-citari ed economia, dove i primi costituiscono il termometro dell’andamento della seconda. Abbiamo visto che durante il periodo di crisi, le ricadute maggiori sono state subite da mezzi come la stampa e l’esterna, tradizionalmente meno aperti all’innovazione. La prima ha dovuto fare i conti con l’avanzare dell’editoria online che ha spostato una discreta parte della fruizione e degli investimenti dal cartaceo al vir-tuale. Non è un caso se tra i tanti “meno” riguardanti la spe-sa pubblicitaria, solo Internet si è differenziata per aver di-mostrato di non conoscere la parola “crisi”. La seconda, che risente del tradizionale “snobbismo” delle agenzie media e dello scetticismo degli inserzionisti, seppur restando la ce-nerentola tra i mezzi, abbiamo avuto modo di riportarne le virtù in termini di economicità e di copertura del target. Abbiamo evidenziato come essa si sia ritagliata un posto da protagonista al centro dell’innovazione tecnologica (es. con il digital out of home), di quella creativa ( es. con l’ambient

advertising) e infine, attraverso il crescente interesse per i nuovi luoghi del consumo (centri commerciali, palestre, u-niversità, stadi di calcio, aeroporti), ha mostrato il suo per-fetto allineamento con le tendenze legate alla crescita delle esigenze di mobilità e socialità dell’individuo consumatore.

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Il dato positivo di Internet in termini di crescita degli in-vestimenti pubblicitari, se scomposto, riguarda principal-mente la spesa in display advertising e search engine mar-

keting (SEM, SEO), ma non dice niente riguardo un altro aspetto fondamentale: la centralità di questo mezzo nel mercato pubblicitario postmoderno, oltre ciò che le misura-zioni tradizionali possono evidenziare. Come abbiamo avu-to modo di affermare in più occasioni, Internet si è posta come catalizzatore di innovazione ed è diventata estrema-mente centrale per gli sviluppi di altri mezzi/strumenti ad essa complementari come l’ out of home, il canale mobile e infine nell’avanzata del social networking.

Esiste un denominatore comune che lega le esigenze di mobilità del consumatore postmoderno e la sua forte voca-zione all’essere always on: la dimensione sociale. I dati che abbiamo riportato riguardo la leadership dell’Italia nella dif-fusione di dispositivi mobili come gli smartphone, hanno mostrato come le applicazioni maggiormente utilizzate in questi dispositivi, siano prevalentemente quelle legate al so-

cial networking. In conclusione di questo lavoro, riteniamo che i nuovi

paradigmi di marketing saranno sempre di più “internet

centrici”. Lo strumento principe che potrà garantire l’attuazione dei modelli co-creativi, non potrà che essere Internet, proprio per la sua profonda natura orientata alla condivisione di informazione, alla collaborazione e alla cre-azione di quella risonanza tra azienda e consumatore che oggi è accreditata come essere in cima alla piramide dell’equity intorno al brand. La conditio sine qua non per l’efficacia delle campagne pubblicitarie, sarà legata al fatto che quanto più verranno anticipate le esigenze dei consuma-tori, in primis quelle legate alla mobilità – quest’ultime fa-vorite dall’abbattimento crescente dei costi nei trasporti, dei

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costi di comunicazione legati alle tariffe di connessione ad Internet mobile e dalla crescente predisposizione di Wi-Fi

hot spot nelle aree urbane – tanto più si avranno dei riscon-tri concreti anche in termini di economicità delle stesse.

La democratizzazione introdotta da Internet, sembra che sarà in grado di rimodellare anche la natura degli investi-menti, rendendoli meno onerosi – si pensi ai costi di una campagna online o a quelli dell’OOH paragonati a quelli della televisione o della stampa, ancor di più se essa è di ti-po virale – e allo stesso tempo essi saranno maggiormente performanti e in gran parte misurabili. In particolare, la frammentazione dell’offerta televisiva, produrrà senz’altro un effetto di calmiere per i listini, ma con ogni probabilità vedrà lo spostamento di quote d’investimento anche su so-luzioni frutto della convergenza: un esempio su tutti l’ iptv e il digitale terrestre.

Insomma, possiamo sostenere che la vita del nuovo con-sumatore sarà sempre più al di fuori dalle proprie abitazioni e sempre più immersa nel flusso delle relazioni tra le perso-ne, reali o virtuali che siano; Di questo gli attori del mercato pubblicitario non potranno non tenerne conto.

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Ringraziamenti

Le persone da ringraziare sono davvero tante, in modo particolare voglio ringraziare Irene, che più di tutti ha cre-duto in me e nel mio percorso universitario, sapendomi mo-tivare con costanza anche nei momenti più difficili. Ringra-zio i cari amici Alberto e Pietro, per essermi stati sempre vicini e per avermi offerto sempre il loro ascolto e com-prensione; P. Danilo Scomparin per l’assistenza “spirituale” che mi ha sempre garantito.

Ringrazio i miei colleghi di lavoro e tutte le persone che hanno incrociato il mio percorso universitario, le mie serate dopo il lavoro trascorse in aeroporto a studiare sui libri. Un ringraziamento particolare va anche al Capitolo Italiano dell’IAA, International Advertising Association, a tutto il Consiglio Direttivo e agli Young Professionals – di cui con orgoglio faccio parte – per tutto il supporto che mi hanno dato nella mia esperienza di tirocinio universitario a Milano e per la ricerca del materiale per la redazione di questo ela-borato.

Infine, un ringraziamento va anche ai miei genitori, per essermi stati sempre vicini e per il loro costante interesse al mio percorso universitario; a mia sorella Dafne che, grazie alla sua ammirevole pazienza e disponibilità, mi ha sempre accolto nelle mie innumerevoli trasferte romane.

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