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5AHLEH 5AHLEH Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati No. 26 Luglio 2002 La nascita di Timor Est

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situazione in quella regione e descrivela situazione delle migliaia di rifugiatiche attualmente stanno scappando dal-la violenza riemersa in Liberia.

Impariamo dagli errori del passato,quando società che lottavano per lapace sono state abbandonate e dimen-ticate dal resto del mondo, consenten-do ai conflitti di riemergere con effettidevastanti per la popolazione civile.

EDITORIALE

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All’inizio del 2002, nel mondo era-no in atto 36 differenti conflittiarmati, portando morte e tre-

mende sofferenze alle vere vittime dellaguerra: i civili. I conflitti continuano aessere la maggiore causa di sfollamenti,spingendo fuori dalle proprie case mi-lioni di persone ogni anno, distruggen-do case, villaggi e terre coltivate. Talorai civili sono deliberatamente usati comebersagli nelle guerre, sebbene spessosiano semplicemente colpiti poiché sitrovano in mezzo agli scontri tra fazio-ni in lotta, che ovviamente sono indif-ferenti alle loro sofferenze.

Questo numero di Servir prende in esa-me alcune zone di guerra che hannocausato un numero enorme di rifugiatie sfollati interni. In tre di questi Paesi(Angola, Timor Est e Sri Lanka), re-centi sviluppi hanno portato la speran-za che la pace possa affacciarsi dopomolti anni di violenze e distruzioni.

Comunque, anche quando la pace vie-ne ristabilita in un Paese dilaniato dallaguerra, le vittime di violenze e gli sfol-lati spesso trovano molto difficile tor-nare al loro vecchio modo di vivere.Case, terre, intere economie e societàsono state irreparabilmente danneggia-te, e le cicatrici della guerra sono lentea scomparire. In Angola, nonostante ilrecente cessate il fuoco e gli impegnidi pace, si pensa che ci vorranno alcu-ni anni prima che i quattro milioni dipersone sfollate all’interno del Paesee le altre 400.000 rifugiate nelle nazio-ni confinanti potranno reinsediarsi. Mi-lioni di mine terrestri, poste durante laguerra, impediscono gli spostamentidelle persone come anche l’accesso alleterre fertili.

Timor Est ha celebrato la sua indipen-denza a maggio, anche se ci sono an-cora circa 50.000 rifugiati di Timor Estche vivono a Timor Ovest, e la nuovanazione sta affrontando enormi sfidenel ricostruire un Paese che è stato mal

governato e abbrutito così a lungo. InSri Lanka il cessate il fuoco sta gene-rando la speranza per la fine della lun-ga guerra civile, sebbene la nazionerimanga estremamente divisa e con unlascito di oppressione e abuso dei dirit-ti umani.

Una volta che un conflitto termina, l’at-tenzione dei media e i fondi internazio-nali spesso vengono spostati altrove,lasciando le vere vittime della guerrasenza supporto per ricostruire le lorovite. Una nazione in cui si ristabiliscela pace ha bisogno di assistenza conti-nuativa da parte della comunità inter-nazionale nel ricostruire le infrastrutture,nel promuovere la stabilità politica, lariconciliazione e il rispetto dei dirittiumani, così da assicurare che le mag-giori cause del conflitto e dello sfolla-mento siano eliminate da queste società.

L’Africa occidentale è l’esempio di unaregione che è stata abbandonata dallacomunità internazionale e lasciata nau-fragare da una condizione di pace dinuovo nella guerra. L’ultimo articolo diquesto numero di Servir sottolinea la

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TIMOR EST

Il 20 maggio 2002 Timor Est ha finalmen-te ottenuto il posto che merita tra le na-zioni indipendenti del mondo. La ceri-

monia per la proclamazione ufficiale delGiorno dell’Indipendenza nella capitale Diliha segnato la fine di una lotta dolorosamentelunga e drammatica per la libertà, e ha aper-to un nuovo capitolo di speranza per la po-polazione di questa piccola isola dell’Asiadel Pacifico. L’infelice storia di Timor Estha lasciato cicatrici profonde. Ai secoli diincurante dominazione coloniale portoghe-se ha fatto seguito, nel 1974, una brutale eviolenta invasione e occupazione da partedell’Indonesia, che ha provocato la mortedi centinaia di migliaia di abitanti dell’isola.Nel 1999, una traumatica votazione a fa-vore dell’indipendenza ha spinto i milizianipro-indonesiani a scatenare una sanguino-sa esplosione di violenza in tutta Timor Est,seminando morte e distruzione sull’isola ecostringendo decine di migliaia di persone acercare asilo nella confinante Timor Ovest.

Negli ultimi due anni e mezzo, la popolazio-ne di Timor Est ha lottato per costruire dalleceneri della distruzione una nuova nazione,con l’aiuto della comunità internazionale. Ilprocesso di costruzione di una nazione vaal di là della mera ricostruzione delle indi-spensabili infrastrutture materiali, delle isti-tuzioni e delle strutture politiche. Compren-de anche un processo di risanamento chetenterà di riconciliare gli abitanti di TimorEst sia tra di loro che con il violento e dolo-roso passato che il paese ha attraversato.

La creazione della Commissione per l’Ac-coglienza, la Verità e la Riconciliazione(CRTR), che è operativa dall’inizio del 2002,è un importante elemento di questo proces-so di risanamento. La Commissione ha ilmandato di: 1) indagare e accertare gli epi-sodi di violazione dei diritti umani che si sonoverificati tra l’aprile del 1974, quando il

Portogallo si è ritirato dall’isola, e l’arrivodell’amministrazione transitoria delle Nazio-ni Unite nell’ottobre del 1999; 2) favorirela reintegrazione di coloro che hanno com-messo “crimini minori”, attraverso una ri-conciliazione comunitaria; 3) facilitare ilritorno dei rifugiati da Timor Ovest; 4) pro-durre un rapporto conclusivo su quanto ac-certato dalla Commissione.

Ora che Timor Est rinasce come nazione nuova e pacificata, è necessario unenorme lavoro di ricostruzione per sanare i danni e le distruzioni di moltianni di violenza.

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Ora che Timor Est rinasce come nazioneindipendente, il JRS Timor Est si prepara aconcludere le proprie operazioni in loco ead affidare il proseguimento della missionealla popolazione locale. Il JRS ha lavoratoin stretta collaborazione con ONG locali perfacilitare il ritorno delle persone fuggite aTimor Ovest nel 1999. Man mano che lasituazione di emergenza gradualmente rien-tra, la popolazione locale di Timor Est por-terà avanti il lavoro finora condotto dal JRS.

La Commissione recentemente costituitadiventerà il principale promotore sia perfacilitare il proseguimento del rimpatrio deiprofughi da Timor Ovest, sia per le future

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TIMOR EST

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parte, una vedova che ha perso il maritoper mano della milizia esprime un sentimentodiverso: “Le Nazioni Unite non hanno il di-ritto di parlare di amnistia con questa gen-te. Neanche il nostro presidente può offrireun’amnistia. L’Unità per i Crimini Gravidelle Nazioni Unite deve processare colo-ro sui quali ha indagato. Abbiamo avuto fi-ducia in loro e abbiamo fornito loro le prove,ora ci aspettiamo che compiano il loro la-voro fino in fondo”.

La terza questione che il nuovo paese dovràaffrontare sarà mantenere un equilibrio trala propria autonomia e il sostegno interna-zionale. Gli aiuti internazionali sono neces-sari in alcuni settori specifici in cui TimorEst manca di personale qualificato o esper-to, come nella creazione di un sistema le-gale efficiente e di un apparato per lasicurezza. Anche la CRTR necessita di in-vestigatori internazionali per la propria mis-sione. Tuttavia, il personale internazionaleche offre assistenza, attraverso le NazioniUnite o le ONG, deve essere consapevoledei pericoli di un approccio eccessivamentepaternalistico. Un’assistenza che non rendaautosufficiente la popolazione locale comeagente attivo di cambiamento, ma producameramente recettori passivi di benefici ero-gati, non può offrire un sostegno efficaceper il futuro a lungo termine di Timor Est.Deve esserci un equilibrio tra l’autonomiadel paese e il sostegno internazionale.

Con il referendum del 1999, la popolazionedi Timor Est ha espresso la sua definitivavolontà nello scegliere l’indipendenza; aseguito di questa scelta, ha dovuto subiremolte perdite e sofferenze. Il 20 maggioscorso è stato un assaggio dei frutti di unalunga lotta per la libertà e per l’indipenden-za. Il JRS Timor Est ha avuto il privilegio diaccompagnare gli abitanti di Timor Est e diessere testimone del loro coraggio negli ul-timi due anni e mezzo. Concludendo la pro-pria missione, il JRS Timor Est si aspettache la popolazione locale continui a inco-raggiare e ispirare tutti coloro che stannosoffrendo o lottando per la libertà.

iniziative di riconciliazione. Isabel Guterres,che faceva parte dello staff del JRS TimorEst, è stata designata per essere uno deisette commissari nazionali della CRTR.Isabel, che è stata scelta per assumere unruolo di primo piano in un incarico tantoimportante e delicato a favore del suo pae-se, farà tesoro della sua esperienza di ex-rifugiata e di membro dello staff del JRS.La stessa Isabel ha detto: “Servendomi del-l’esperienza maturata nel JRS, spero diriavvicinare le persone tra di loro e di rico-struire quei legami che sono stati infrantidalla violenza”.

Certamente, per il popolo di Timor Est si pro-spetta un lungo cammino, ora che la nazioneemerge da un passato difficile e si trova adover affrontare molte sfide. Il primo com-pito consiste nel superare la carenza di in-frastrutture materiali e di risorse umane. Suuna popolazione di circa 790.000 persone, dicui 240.000 sono studenti, il totale di mediciin tutto il paese raggiunge il doloroso e ina-deguato numero di 32. Solo il 20% dei villag-gi hanno corrente elettrica. La durata mediadella vita è di 50 anni e il tasso di mortalitàinfantile è molto elevato. A Timor Est man-cano anche infrastrutture essenziali, comele strade, le scuole e gli ospedali.

L’essenziale bisogno di giustizia e riconci-liazione costituisce un’altra sfida. Opinionidiverse rivelano la complessità di questopunto. Il neo-eletto presidente Xanana Gus-mao ha sostenuto l’idea di un’amnistia neiconfronti degli ex-miliziani, per asseconda-re sia “gli interessi di una comunità soffe-rente”, sia gli interessi nazionali per la pacelungo il confine con Timor Ovest. D’altra

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Il 30 agosto 1999 una schiacciante mag-gioranza della popolazione di Timor Estha votato per l’indipendenza dall’Indo-

nesia, in un clima di forti intimidazioni daparte dei miliziani pro-indonesiani. Quandoil risultato delle elezioni è stato chiaro, que-sti miliziani hanno sfogato la loro rabbia sucoloro che avevano appena votato per uncambiamento. La violenza e la distruzioneche hanno inflitto a Timor Est all’indomanidelle elezioni sono state immense. Si stimache un migliaio di vittime e un quarto dellapopolazione di Timor Est siano fuggiti aTimor Ovest e in altre parti dell’Indonesia.

Sono passati quasi tre anni dalla fuga inmassa da Timor Est e, sebbene la maggio-ranza dei profughi abbia da allora fatto ritor-no alle proprie case, ci sono ancora circa50.000 rifugiati a Timor Ovest. Molti di lorohanno in qualche modo legami con lo statoindonesiano e alcuni ricevono ancora stipendidal governo. A causa dei loro rapporti conl’Indonesia o con le milizie pro-indonesiane,temono che tornando a Timor Est, dove sonoancora evidenti le cicatrici dei danni inflittidurante i giorni traumatici del 1999, la lorovita sarebbe in pericolo. Comunque, ci sonoancora molti altri che non sono tornati aTimor Est pur avendo poco o nulla a chefare con il governo indonesiano. Le ragioniper il mancato ritorno sono molte: ad alcuniè stato intimato di restare a Timor Ovest daileader che temono a loro volta di tornare,altri nutrono dei timori a proposito dell’econo-mia e della sicurezza nel loro paese di origine.

Dall’inizio del 2002, il numero di coloro chehanno fatto ritorno a Timor Est è cresciutosensibilmente. Ciò è in parte dovuto al de-siderio di tornare a casa per le recenti ele-zioni presidenziali e per la celebrazionedell’Indipendenza a Timor Est. Inoltre, apartire dal gennaio 2002, il governo indone-siano ha interrotto l’assistenza umanitariaper i rifugiati di Timor Est, creando così unulteriore incentivo a tornare.

Per incoraggiare i rimpatri, il JRS e le ONGlocali hanno fornito assistenza nei program-mi di riconciliazione tra gli abitanti di Timor

Est che vivono a est e a ovest del confine.Rendendosi conto che molti rifugiati nutri-vano ancora dubbi sulla situazione a TimorEst, il JRS ha organizzato diversi viaggi aTimor Est per raccogliere informazioni sul-la situazione del paese, ha recapitato letteree messaggi e ha registrato dei video-mes-saggi destinati ai rifugiati di Timor Ovest aproposito del ritorno. L’insistente messag-gio che è stato trasmesso ai rifugiati dai loroconnazionali che vivono a Timor Est è sta-to: “Fila ona! Timor diak los!” (Tornate acasa! Timor è sicura!).

Il 18 maggio 2002 Ruud Lubers, Alto Com-missario delle Nazioni Unite per i Rifugiati,ha affermato che gli abitanti di Timor Estfuggiti dal loro paese nel 1999 perderanno illoro status di rifugiati il 31 dicembre 2002.Questa decisione si basa sulla convinzioneche Timor Est sia ormai pacificata e che offraun ambiente sicuro a coloro che vi fanno ri-torno. L’ufficio dell’UNHCR di Oeccussichiuderà a metà giugno. Anche il JRS ha inprogramma di chiudere il suo progetto aTimor Ovest entro la fine del 2002, anche senel frattempo continuerà a lavorare nei pro-grammi di rimpatrio e a fornire assistenzaumanitaria ai più poveri e ai più deboli.

Secondo il JRS, la migliore soluzione pertutti gli abitanti di Timor Est è il rimpatrio, inpace e con dignità. Anche se il JRS sta chiu-dendo il suo ufficio di Timor Ovest, abbia-mo già programmato di affidare alcuniprogetti ad agenzie locali che lavorano conla popolazione più vulnerabile, assicurandoche i rifugiati rimasti non vengano abban-donati a loro stessi.

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hanno impedito gli spostamenti e l’accesso alle terre fertili:una mina acquistata per 5 dollari ne costa 2.000 per esseredisinnescata. Si calcola poi che circa 25.000 ponti dovrannoessere ricostruiti. Ora questo programma di ricostruzionenazionale può iniziare, e richiede non solo grandi somme didenaro, ma, forse in modo più significativo, supporto tecni-co, logistico e manageriale, oltre a una reale collaborazionetra il governo e la comunità internazionale.

C’è urgente bisogno di aiuti umanitari per quelle persone,forse 500.000, che vivevano in zone un tempo inaccessi-bili alle agenzie umanitarie, almeno da quando è stata ri-presa la guerra nel 1998. Médecins Sans Frontièresdenuncia: “una delle più gravi situazioni di malnutrizioneverificatesi in Africa negli ultimi dieci anni”, in particolarenelle province meridionali di Bie e di Huila. Per prima cosaserve ulteriore assistenza per i quattro milioni di sfollatiinterni a causa della guerra, tra cui 100.000 invalidi e 50.000orfani di guerra. La maggior parte di questi gruppi di per-sone sono ancora vulnerabili, vivono di elemosina, in con-dizioni misere che le autorità locali non possono o nonvogliono migliorare.

Nei paesi confinanti ci sono poi altri 400.000 rifugiatiangolani che hanno bisogno di continua assistenza, fino altempo in cui si attueranno i programmi pianificati per ilrimpatrio volontario. A causa delle condizioni di instabilitàdella regione, oltre alle gravi carestia e siccità, i rifugiatisono particolarmente vulnerabili. Per esempio, i rifugiatinello Zambia (angolani e di altre nazionalità) dallo scorsodicembre ricevono una razione dimezzata dal ProgrammaAlimentare Mondiale. Sia i fondi che le scorte alimentarinazionali sono insufficienti e la carestia ha colpito anche ilMalawi, lo Zimbabwe e parte della Namibia e dello Zam-bia. A ciò si aggiunge una cattiva amministrazione, la cor-ruzione e la crisi politica in Zimbabwe, che può solo renderepiù precaria l’esistenza dei rifugiati nel prossimo futuro.

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Può essere difficile per i rifugiati che vivono in un campoche offre un relativo livello di sicurezza, istruzione e assi-stenza sanitaria, scegliere per un ritorno verso un futuroincerto. Sia l’UNHCR che le ONG interessate sostengo-no chiaramente la necessità di prendere in esame solo irimpatri che risultano essere veramente volontari. Tutta-

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L’Angola, nazione per decenni in preda alla disperazione e alla sofferenza, inizia ora a scorgeredelle ragioni per sperare in un paese pacifico e riconciliato, con un grande potenziale nazionale.

La morte del leader ribelle Jonas Savimbi per manodell’esercito angolano, avvenuta lo scorso febbra-io, ha avuto delle importanti ripercussioni sul pano-

rama politico dell’Angola. Una società dilaniata da quasitrent’anni di incessante guerra civile si è rapidamente av-viata verso un processo di pace, dopo che il gruppo ribelledell’UNITA ha proclamato il cessate il fuoco a seguito del-la scomparsa del suo leader. È in atto un programma persmobilitare 50.000 soldati dell’UNITA insieme a progettiche tendono a incorporare diverse migliaia di ex-ribelli nel-l’esercito e nella polizia nazionali.

La guerra civile ha distrutto gran parte delle infrastrutturesociali e materiali del paese – scuole, cliniche, strade, ponti,acqua potabile e comunicazioni – e ha anche provocatomassicci spostamenti di popolazione dentro e fuori i confini.Ma il primo compito essenziale, anche se costoso, a cui ilpaese deve far fronte è la rimozione di milioni di mine, che

ANGOLA

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via, l’UNHCR prevede che ci saranno circa 80.000 rifu-giati angolani che ritorneranno spontaneamente e che unprogramma studiato per i ritorni durerà due o tre anni.

Anche le scelte sono diverse per i rifugiati e per gli sfollatiinterni che ritornano a casa. Infatti alcuni sfollati interniangolani, con l’incoraggiamento del governo, hanno già op-tato per reinsediarsi nelle zone di origine, una volta ricevutele garanzie sulla sicurezza e sulla bonifica del territorio dallemine. Questo movimento è iniziato prima del cessate il fuo-co nazionale. D’altra parte è probabile che ai rifugiati chevivono fuori dall’Angola ci vorrà molto più tempo, forsepersino anni, per decidere quando e come tornare.

La ricostruzione dell’Angola in seguito al raggiungimento diuna pace sostenibile deve includere il reinsediamento deglisfollati interni e dei rifugiati. Ciò significherà che a coloroche torneranno dovrà venir proposto un programma di rim-patrio volontario pianificato, l’accesso ai servizi sociali ela possibilità di ottenere di nuovo i mezzi di sussistenzaperduti, specialmente attraverso l’agricoltura. Se si stabi-lirà una vera pace, molti rifugiati desidereranno tornarealle loro case per ricostruire la propria vita e il propriofuturo, forse anche incoraggiati dall’istruzione e dalla nuovaprospettiva di vita acquisita nella relativa pace dei paesivicini. Ci dovrà essere reciproca comprensione e tolleran-za tra gli sfollati interni, i rifugiati e gli angolani che sonorimasti in patria, così come accettazione delle differenzealtrui e assistenza a tutti i gruppi traumatizzati dalla guerra.

Il JRS si è impegnato a continuare a camminare sia congli angolani che si trovano in Angola come sfollati interni,sia con quelli che vivono in altri paesi come rifugiati. Irifugiati angolani devono decidere quando e a che condi-zioni ritornare. Dopo tutto, molti ricordano i tre precedentiaccordi di pace falliti: hanno dunque un buon motivo peressere cauti verso quella che potrebbe essere l’ennesimaesercitazione di rimpatrio.

Il JRS si prenderà particolarmente cura dei gruppi mag-giormente vulnerabili durante il periodo di reinsediamento,rimpatrio e ricostruzione nazionale. Ha avuto una rilevan-te responsabilità nell’istruzione in Angola e nei paesi dovelavora con un grande numero di rifugiati angolani, in parti-colare in Namibia e in Zambia. Il JRS rimane fedele al-l’impegno di servire, accompagnare e difendere questecomunità e ritiene che ciò possa essere fatto principal-mente attraverso l’educazione dei loro bambini. Anchecon le comunità di sfollati interni in Angola ci siamo dedi-

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cati all’istruzione, considerata come una priorità per i bam-bini, a volte organizzando scuole gestite da noi stessi, macercando gradualmente di sostenere gli sforzi delle autori-tà locali e delle chiese, per ricostruire l’efficienza del ser-vizio scolastico locale. L’Angola ha uno dei tassi dianalfabetismo più elevati del mondo e uno dei più bassinell’accesso all’istruzione, persino a livello elementare.

Nel nostro lavoro con i rifugiati angolani e con gli sfollatiinterni abbiamo considerato come priorità il preparare igiovani per un futuro affinché possano diventare sicuri disé e autosufficienti: i nostri progetti comprendono corsiprofessionali di agricoltura, carpenteria, sartoria, metal-lurgia e gestione finanziaria. Queste figure professionalisaranno sempre più richieste nella ricostruzione della na-zione: una ricostruzione che dovrà essere ispirata a valoridi buon governo che contrastino la corruzione, a collabo-razione con la società civile, a efficaci strategie per lariduzione della povertà, a un efficiente sistema legale, atrasparenza, a responsabilità e a un accordo nazionale nellaridistribuzione della ricchezza del paese.

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Nella nostra vita gli unici cin-galesi che abbiamo vistosono soldati armati. Questa

semplice dichiarazione riassume il tra-gico lascito dell’infinita guerra etnicanello Sri Lanka tra il governo e l’eser-cito cingalesi e le Tigri di Liberazionedel Tamil Eelam (LTTE). Il giovane stu-dente tamil che ha detto ciò provienedal Vanni, la regione settentrionale con-trollata dall’LTTE. I famigerati “siste-mi di passaggio”, applicati rigorosa-mente da entrambe le parti in guerra,implicavano in precedenza che i tamilche abitano nelle aree contese a norde a est potessero lasciare quei luoghisolo raramente. Ora, grazie al cessateil fuoco, i tamil hanno riottenuto la lorolibertà di movimento.

Poiché sono state erette barriere fisi-che, si stanno realizzando visite perrendere la propria nazione, finora a lorosconosciuta, familiare alle persone.Ogni giorno, autobus pieni si spostanoda nord a sud in viaggi organizzati dagruppi religiosi, organizzazioni non go-vernative e altri. Gli abitanti del nordnon vedono l’ora di intraprendere que-sti viaggi, un’esperienza per loro rivo-luzionaria. Strade asfaltate e treni sonodue delle più sbalorditive sorprese peri bambini delle aree tenute sotto il con-trollo dei ribelli; non hanno mai vistotali spettacoli prima d’ora.

Ma questi programmi hanno un obiet-tivo più profondo del mero giro turisti-co; persone di etnie e religioni diversefinalmente si incontrano. Per la mag-gior parte di essi è la prima volta checiò avviene, in quanto i gruppi tamil,cingalesi e mussulmani, sono stati se-parati da antagonismo, diffidenza e ti-mori reciproci, accumulati in anni dimanipolazione politica, oppressione e

guerra. Le rivelazioni rese possibili at-traverso questi scambi, hanno felice-mente gettato nella confusione le no-zioni stereotipate. “Adesso sappiamoche nel sud ci sono persone che ci ac-colgono” prosegue lo studente tamil (ci-tato prima) che, insieme ai suoi amici, èstato salutato dalla popolazione cinga-lese con ghirlande, tradizionale ben-venuto riservato agli ospiti d’onore.“Abbiamo capito che siamo come voi.Prima avevamo paura che voi ci pote-ste marchiare come terroristi.” Non èun timore irrealistico: i tamil del nord edell’est sono stati spesso etichettati comeun pericolo alla sicurezza nazionale.

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Man mano che i negoziati politici perla pace procedono, le persone devonovenirsi incontro superando le divisionietniche e religiose, parlandosi diretta-mente, scoprendo, a loro vantaggio, laverità, dal momento che cercano ricon-ciliazione e giustizia. “C’è il bisogno diguardare a nuovi modi di creare com-prensioni e ponti. Dobbiamo costruirepunti d’incontro per le persone affin-ché la verità sia divulgata” dice PhilipSetunga, della Commissione per i Di-ritti Umani dell’Asia, con sede a HongKong. “Se il processo di pace diventa

una realtà, le persone devono farlo.Adesso è per lo più limitato ai politici,ma abbiamo bisogno di far capire allepersone che la pace riguarda il ricono-scersi, l’apprezzarsi e il capirsi, il rispet-to e la rimozione della diffidenza.

Questo è ciò che tale programma hacercato di fare lo scorso mese. 28 stu-denti tamil dei distretti di Mannar eVanni, che si trovano a nord, sono an-dati al sud grazie a un viaggio organiz-zato dal Segretariato dei Diritti Umanidi Setik e dalla Commissione Diocesanaper la Giustizia, la Pace e lo SviluppoUmano, a Kandy. Come il direttore delSegretariato dei Diritti Umani di Setik,Nandana Manatunga, ha spiegato, que-sto viaggio fa seguito ad altri intrapresida cingalesi e civili su al nord, i quali sisono dimostrati piuttosto controprodu-centi. “Il fatto di andare a nord e os-servare le persone come se fosseroanimali nello zoo comporta fastidio perloro”, dice P. Nandana. “Così, invece,abbiamo portato alcuni studenti delVanni a Kandy, per mostrare loro unmondo che non hanno mai visto prima,e per coinvolgere la comunità. Gli stessistudenti ci hanno detto di voler farequesto viaggio, molti di loro non sonomai usciti dai campi per sfollati”.

Nonostante l’inevitabile barriera dellalingua, il programma è stato un succes-so totale. P. Camillus Jansz, della par-rocchia di Ragala, vicino a Kandy, hadetto che l’intera comunità cittadina èstata spontaneamente coinvolta quan-do ha saputo della visita di 24 ore deglistudenti. “Li abbiamo accolti come unacomunità di chiesa: non pensavo che icittadini avrebbero fatto qualche cosa.Ho solamente detto che gli studentisarebbero venuti” dice P. Jansz. Con-trariamente alle sue aspettative, la gen-

Il cessate il fuoco tra il governo dello Sri Lanka e le Tigri di Liberazione del Tamil Eelam (LTTE) aprenuove possibilità e potenzialità per la popolazione di questo paese così diviso.

SRI LANKA

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te ha voluto contribuire. Due societàcommerciali hanno fatto una collettaper le spese del viaggio, e la popolazio-ne Hindu della città ha organizzato unprogramma culturale in un kovil (untempio), dove gli ospiti hanno condivi-so le loro esperienze e si sono scam-biati regali.

Così tamil, cingalesi e mussulmani stan-no capendo che, dopo tutto, sono ugualitra di loro, che condividono una comu-ne umanità. Il comprendere e l’accet-tare i temi più profondi, al momento indiscussione, per perseguire una pacedurevole sarà forse un po’ più difficileda realizzare. Molti tamil si domanda-no se i cingalesi siano consapevoli deidiritti collettivi che essi cercano: ugua-glianza senza discriminazione, esserericonosciuti come persone, autodeter-minazione, un risarcimento per le in-giustizie sofferte. Allo stesso modo, itamil spesso non sanno che anche icingalesi hanno sofferto dolorosamen-te durante questa infinita guerra, comeanche i mussulmani, e che tutti conti-nuano a soffrire sottostando a forze disicurezza e istituzioni statali costante-mente accusate di corruzione, brutali-tà e quasi totalmente prive di efficacia.

Concludendo, una fine al conflitto do-vrebbe fare perno su una buona volon-tà ad ascoltare, specialmente le vittimedella guerra, in una ricerca della veritàcirca un passato condiviso e sanguino-so, e ad affrontare realmente le impli-cazioni di una soluzione giusta per tutti,basata sulla legge. Nelle parole di P.Nandana: “Dobbiamo cercare unasostenibilità per la pace. Possiamo ot-tenere questo soltanto se tutti avrannouguali diritti e se ci sarà giustizia attra-verso riforme radicali. Se questa ne-cessità non verrà riconosciuta, avremola pace per un certo periodo, ma nonper sempre”.

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La regione dell’Africa occidentaleche comprende la Guinea, la Li-beria e la Sierra Leone, la co-

siddetta Unione del Fiume Mano, è unodegli angoli più poveri del pianeta.Alti tassi di analfabetismo, povertàestrema e debito estero soffocante co-stituiscono il panorama sociale eredi-tato da decenni di guerra, dittature ecorruzione.

La storia di questi tre Paesi è una sto-ria di tragedie e maltrattamenti. Le in-terferenze esterne da parte di StatiUniti, Gran Bretagna e Francia hannoavuto ripercussioni brutalizzanti neiconfronti delle tribù indigene, che sonostate cacciate dalle loro terre e oppres-se, mentre i colonizzatori si dividevano

le loro colonie senza avere riguardodelle realtà etniche e dei confini tradi-zionali. Dopo l’indipendenza, questaterra seminata con ineguaglianza hadato come frutto tirannia e conflitti. LaGuinea ha vissuto 26 anni di dittaturamarxista con Sekou Toure, e dalla suamorte è stata governata da Lasana Con-te, un ex generale che recentemente èpassato dall’essere un dittatore milita-re all’essere un “leader democratico”.

Il 2001 ha portato nuove speranze dipace nella regione: in Sierra Leone,dopo una crudele e interminabile guer-ra, un accordo di pace è stato firmatotra il governo e il principale gruppo ri-belle guerrigliero, il RUF. Tuttavia,mentre in Sierra Leone le armi erano

La regione dell’Africa occidentale, dilaniata dalla guerra, è stata abbandonata dalla comunità in-ternazionale. Il JRS sta aiutando le persone che vi abitano a ricostruire le loro vite.

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apparentemente messe da parte, il con-flitto in Liberia ancora una volta stavascoppiando e spargendo la sua tracciadi orrore e devastazione.

Nell’estate del 2001, il JRS ha visitatola regione con lo scopo di formare ungruppo di lavoro che potesse aiutare lemolte migliaia di rifugiati e altri sfollatia causa della guerra. Quando P. MateoAguirre SJ, direttore del JRS della re-gione, è giunto in Guinea, ha assistitoagli effetti devastanti che la guerra hainflitto al Paese, e ha deciso di ristabi-lire una presenza del JRS nella regio-ne. Il JRS precedentemente era statopresente in Liberia, ma aveva cedutola gestione delle suoi servizi a organiz-zazioni locali alla fine del 1999.

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AFRICA OCCIDENTALE

Alla fine del 2000 e al principio del 2001,l’area di confine tra la Guinea e la Li-beria ha sofferto molto a causa degliattacchi e degli assalti da parte deglieserciti di entrambe le nazioni e da partedei gruppi ribelli che lottavano in en-trambe le parti della frontiera. La cittàdi Guéckédou e dozzine di villaggi lun-go il confine sono stati distrutti. Dagennaio a marzo 2001, Guéckédou èstata scena di un confronto spietato trale truppe liberiane, i ribelli dell’ULIMO– che lottano per rovesciare il presi-dente della Liberia, Charles Taylor – el’esercito della Guinea – che inizialmen-te ha appoggiato i ribelli, ma poi si èscontrato anche con loro. A febbraio,aeroplani della Guinea hanno bombar-dato la città, spingendo la popolazionea fuggire. All’inizio di agosto, Guécké-dou, prima un centro economicamenteflorido al confine tra i tre Paesi, è statoabbandonato. Nella sotto-prefettura diDaro il massacro è stato perfino peg-giore. In alcuni villaggi sia i ribelli chel’esercito della Guinea si sono presi labriga di abbattere ogni singola casa.Gli abitanti dei villaggi sono corsi nellagiungla per scappare, sebbene nessu-no sappia il numero delle persone mor-te in quei mesi.

A novembre 2001, il JRS ha iniziato ilsuo lavoro in Guinea. In quel momentosono state prese due importanti decisio-ni. Prima di tutto, l’Ufficio Regionaleavrebbe avuto sede a Kolouma, un pic-colo villaggio che si trova al centro dellaforesta tra Guéckédou e Macenta, vici-no al confine con la Liberia e a sessan-ta chilometri dalla Sierra Leone. Laseconda decisione è stata quella di ini-ziare a lavorare con le migliaia di sfolla-ti. A causa del panorama insicuro, gliabitanti dei villaggi non sono stati in gra-do di mietere e coltivare i loro campi,creando un clima di forte carestia. Ètornato il tempo di rimuovere la terra conla zappa e di seminare riso, ma la gentesi trovava lontano nelle città, e coloroche erano rimasti spesso erano troppodeboli per fare il lavoro necessario perfornire il cibo necessario.

Alcune settimane dopo l’insediamentodel JRS, il progetto di distribuzione era

in piedi. L’équipe del JRS, compostada un volontario spagnolo e due suoredella Guinea, ha guidato due équipe cheavevano il compito di distribuire riso eolio di palma nella città di Guéckédoue in 20 villaggi confinanti con la Libe-ria. Le condizioni del Paese hanno resoil lavoro a volte estremamente difficol-toso e ne hanno ritardato lo sviluppo.Grazie alla distribuzione del cibo, mol-te persone sono tornate alle loro casee hanno ricominciato le loro vite, e icoltivatori sono stati in grado di lavora-re nei campi, assicurando la prossimastagione di raccolto.

Ma le case sono state distrutte e i tettidi lamiera sono stati perforati dai pro-iettili delle mitragliatrici. Ad aprile, 233rifugi in plastica sono stati distribuiti neivillaggi come misura provvisoria, e allafine di quel mese il JRS ha iniziato unProgetto di Ricostruzione. Il più bel ri-svolto di questo progetto è che, inun’area che ha serie tensioni etniche ereligiose, sono stati impegnati tutti i dif-ferenti gruppi etnici e i leader religiosiin uno sforzo comune. Il lavoro per lapace e la riconciliazione è uno dei piùimportanti obiettivi del progetto e stia-mo iniziando a vederne i risultati.

Sfortunatamente, come abbiamo ripa-rato un buco, un altro se ne sta apren-do non molto lontano. Alla fine dimaggio due grandi attacchi sono statiattuati da gruppi ribelli in Liberia perfar cadere il Presidente Charles Taylor.Questi scontri hanno provocato un no-tevole incremento nel numero dei rifu-giati che attraversano il confine per

andare in Costa d’Avorio e in Guinea.Anche prima delle recenti violenze,nella sola Guinea erano presenti quasi100.000 rifugiati liberiani, accolti in duegrandi campi: Kola e Kouankan. Talenumero è aumentato nelle scorse set-timane, e nel prossimo futuro verràaperto un terzo campo.

Le cause del conflitto in Liberia sonocomplesse e molte hanno ripercussionidi ampia portata per la pace e la stabi-lità dell’intera regione. Quando unadelle tre nazioni dell’Unione del FiumeMano sperimenta l’instabilità e la guer-ra, le altre due inevitabilmente ne subi-scono le conseguenze. Il JRS guardaquindi alla regione come a una cosa uni-ca, e intende a breve allargare i suoiservizi oltre agli attuali due progetti inGuinea. In Sierra Leone sarà richiestoun enorme sforzo per aiutare le miglia-ia di rifugiati che stanno ritornando alleloro case e che hanno perso tutti i lorobeni. In Liberia il lavoro sarà ancorapiù oneroso, poiché c’è ovviamente ungrande bisogno tra la gente e un realevuoto umanitario che necessita di es-sere colmato. Il JRS spera di essere ingrado di accompagnare e servire lemolte persone che sono state cacciatedalle loro case a causa della guerra edei conflitti della regione. Finché nonarriva la pace.

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Ci sono circa 50 milioni di persone che sono state costrette ad abbandonarele loro case nel mondo, 75-80% delle quali sono donne e bambini.

La Convenzione di Ginevra del 1951 definisce come rifugiato chi ha dovutoabbandonare la propria casa per paura di persecuzioni causate da razza,religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale o opinionipolitiche. Non viene fatta menzione alle persecuzioni in base al sesso, sebbenele donne siano sempre più spesso l’obiettivo delle violenze, dell’abuso dei dirittiumani e dello sfruttamento, e questo le conduca all’esilio e le privi anche deiloro pieni diritti di rifugiate. Le statistiche che seguono, forniteci dall’UNHCR,mostrano la vastità dei pericoli che donne e bambini rifugiati devonofronteggiare.

• La maggior parte delle persone scappano dalle loro case a causa diguerre e violenze. L’80% degli incidenti provocati da armi di piccolocalibro coinvolge donne e bambini.

• Le donne sono spesso soggette a diffusi abusi sessuali nei paesi dilaniatidalla guerra. In Bosnia e in Ruanda, per esempio, migliaia di donne sonostate stuprate durante i recenti conflitti in quei paesi.

• Più di 300.000 bambini, molti dei quali rifugiati di sesso femminile, sonoutilizzati come bambini soldato in combattimenti attivi nel mondo.

• Più di 16,4 milioni di donne hanno l’HIV/AIDS.• La maggior parte delle persone soggette alla tratta degli esseri umani

sono donne, molte delle quali costrette alla prostituzione e alla schiavitùsessuale da parte di bande di trafficanti senza scrupoli.

• Si stima che 1,3 miliardi di persone in tutto il mondo, di cui il 70% donne,vivano in assoluta povertà, con meno di un dollaro al giorno.

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