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Prologo.
Mosca, gennaio 2007
Rupert Guysman pensò che il freddo polare in genere fosse una calamità inutile e fastidiosa, ma che
doverlo sopportare in Russia, in gennaio e a causa delle conseguenze di uno stupidissimo libro per
ragazze, fosse davvero troppo!
Sbuffò sonoramente: il quarto taxi che tentava di fermare stava sfilando via senza prestargli
attenzione. Possibile che in quella stramaledetta città non ci fosse uno straccio di Guardiano
disponibile per andare a prenderli?
Gemette rassegnato, di quel passo non avrebbero mai più lasciato l’aeroporto!
Al diavolo il Consiglio e quella idea balzana per cui certe incombenze toccavano a lui: Suvvia,
Rupert, del resto Nadja ha un debole per te e poi nessuno è più esperto di te quando si tratta di
diplomazia!
Ma per favore!
Mentre meditava atroci vendette nei confronti dei suoi superiori, si girò con sguardo torvo verso
l’edificio alle sue spalle. Sarah era appoggiata al muro e lo fissava con un’aria di compatimento. Gli
si avvicinò, chiamando anche lei un taxi. Rupert guardò sua moglie, infastidito e alzò gli occhi al
cielo: lei credeva sempre di poter risolvere la situazione, ma questa volta la vedeva grigia…
Un attimo dopo sgranò gli occhi.
Sarah gli faceva segno dall’interno di un taxi, che si era fermato di fronte a loro immediatamente
dopo che lei lo aveva chiamato.
- Vieni tesoro?-
Sbuffò di nuovo e le salì accanto:
- Cosa farei mai senza di te, cara.-
Le baciò la mano, ricacciando indietro il fastidio, poi si rivolse in russo al tassista:
- Metropol, spasibo.1-
Tornò a guardare Sarah:
- La tua presenza al mio fianco in questa missione è quanto mai fondamentale-
Lei lo guardò e sorrise.
- Lo so, la mia presenza al tuo fianco è sempre fondamentale! Tu da solo ti saresti già fatto
uccidere!-
Lui sospirò:
- Non prenderti troppe libertà signora Guysman. Però ammetto che sei sempre utile… quanto meno
per sperare di mantenere intatte le mie capacità mentali!-
Fissò fuori dal finestrino con l’umore più nero che gli era possibile.
Il clima peggiorava a vista d’occhio, il quartiere più esclusivo di Mosca si avvicinava e lenti fiocchi
di neve presero a cadere fitti sulla strada.
Rupert osservava il cielo grigio che sfilava veloce sopra di loro, lo sguardo intenso e il volto tirato.
Nonostante l’apparente frivolezza della situazione, era sulle spine.
- L’ignoranza dei mortali riguardo al mondo soprannaturale è inquietante!-
- Inquietante e pericolosa! -
- Beh, non c’è da meravigliarsi. Non vedono più in là del loro naso!-
Si fissarono in silenzio, poi il Guardiano tornò a osservare la strada:
1“ Grazie”
- Una donna scrive una storia fantasy e scatena l’ira dei vampiri più potenti, temuti e rispettati della
Terra! E’ pazzesco, dai!-
- Diciamo che i vampiri sono una razza particolarmente suscettibile. E Nadja e Rashka ne sono i
degni rappresentanti!-
Sorrisero entrambi e per qualche minuto calò di nuovo il silenzio.
Sarah però ben presto si mosse a disagio, torcendosi le dita delle mani abbandonate in grembo e poi
sistemandosi più comodamente sul sedile:
- Certo è che un re è un re e dovrebbe avere ben altri motivi per irritarsi che queste sciocchezze.-
Rupert scosse la testa:
- Questo è un punto di vista valido per noi che siamo nati quarant’anni fa, ma quando stai al mondo
per più di duemila anni, evidentemente tutto prende un altro peso, non trovi?-
Lei fece una smorfia:
- Possibile. Non avevo considerato questa prospettiva… e sai cosa ti dico? Mi pare che questa
potrebbe essere la nostra carta vincente di oggi.-
Lui ora si girò a guardarla:
- Cioè?-
- Dobbiamo riuscire a convincerli che si tratta di un banale disguido. Dobbiamo far accettare loro la
nostra prospettiva. Del resto quanti libri sono stati scritti sui vampiri negli ultimi due secoli? Perché
prendersela proprio per questo? -
Rupert tornò a guardare fuori con un sorriso amaro sulle labbra:
- Perché questa volta i vampiri sono i buoni!-
Sarah aggrottò la fronte, poco convinta:
-E perché questo dovrebbe essere un problema?-
- Perché i vampiri fondano il loro potere sulla loro fama e non tollerano che essa venga sminuita. Su
questo basano il rispetto che incutono in quelli come noi! -
- Hai ragione.-
***
Le porte del Metropol si aprirono dando riparo ai due Guardiani mentre fuori imperversava ormai
una tempesta in piena regola.
Sarah si scrollò di dosso la neve, visibilmente infastidita.
-Pensi che questo clima allucinante possa essere il benvenuto dei nostri ospiti?-
-Può darsi. Beh, diciamo che in Russia la cosa passa inosservata, perciò non possiamo esserne
certi.-
Si avvicinarono al bancone di radica della reception, Sarah si guardava intorno, fingendo
indifferenza e recitando la parte della brava mogliettina, tutta lezzi e meraviglia. La hall era una
profusione di luci e marmi splendenti.
Rupert si rivolse alla giovane hostess:
- Suite imperiale, prego. Siamo attesi.-
La ragazza sbiancò impercettibilmente, udendo la loro richiesta. Poi scosse i lunghi capelli rossi e
chiese con voce incerta:
-Chi devo annunciare?-
-Guysman, siamo i signori Guysman. Grazie-
La giovane donna fece una telefonata, voltando loro le spalle. La sua voce, tesa e reverente, risuonò
nitida alle orecchie allenate dei due Guardiani e trattenere la tensione divenne più difficile. La
receptionist si girò a guardarli, tremando appena.
-I Signori vi aspettano, Sergjej vi accompagnerà.-
- Grazie.-
Un ragazzino biondo e slavato con la divisa da facchino gli si fece incontro con l’aria di uno che
avrebbe preferito bruciare all’inferno piuttosto che scortarli alla loro destinazione, Sarah gli rivolse
un sorriso incoraggiante e Rupert si fece ancora più nervoso. Il viaggio in ascensore sembrò durare
un’eternità e quando le porte finalmente si aprirono, i due Guardiani si lanciarono uno sguardo di
reciproco incoraggiamento uscendo sul lussuoso pianerottolo interamente ricoperto di tappeti e
broccati. Non appena l’ascensore si richiuse, portandosi via un sollevatissimo Sergjej, i due si
voltarono verso la grande porta di mogano che troneggiava di fronte a loro. In un istante le loro
espressioni preoccupate si trasformarono in una maschera di allenata sicurezza.
***
Sarah bussò e dall’interno della stanza giunse una voce profonda che con tono annoiato disse: -
Avanti- in un inglese strascicato.
Rupert aprì la porta lentamente e fece un passo nell’ingresso, seguito dalla moglie, ad accoglierli
una meraviglia di sete illuminate dalla luce calda di centinaia di candele. I due entrarono con
discrezione nel salotto della suite. Dal divano di pelle scura pendeva una cascata di capelli corvini e
stagliata contro lo specchio chiaro della finestra un’ombra alta e scura volgeva loro le spalle.
All’improvviso una voce cristallina e seducente ruppe il silenzio e una macchia indistinta di bianco
candido e nero intenso si fece loro incontro.
- Rupert, Rupert, il mio piccolo Guardiano!-
Una magnifica donna che prima era distesa sul divano, si gettò tra le braccia di Rupert, che rimase
impietrito per la sorpresa.
- Che piacere rivederti.-
Lei si allontanò appena per scrutarlo con attenzione. Il suo viso perfetto era in qualche modo
distorto, immobile, come scolpito. Un lampo di sconforto attraversò i suoi occhi gelidi:
- E’ passato un solo istante e già hai perso la tua giovinezza. E’ un vero peccato che io non abbia
mai potuto renderti uno di noi, ora saresti ancora giovane e bello come quando ti ho conosciuto…-
Al suono sognante di quelle parole dall’aria sensuale e intensa, Sarah si irrigidì, stringendosi al
fianco del marito, ma rimase zitta.
Una voce profonda come il suono di un oboe si diffuse nella stanza e l’ombra di fronte alla finestra
si mosse sinuosamente, voltandosi a fissarli:
- Nadja… non si dicono le bugie.-
Una massa di capelli d’argento frustò l’aria e un sorriso intrigante illuminò gli occhi neri di un
giovane uomo, erano scuri come il buio in contrasto con la pelle lunare.
- Rupert!-
L’uomo si rivolse al Guardiano con un cenno secco e glaciale, poi sorrise a Sarah:
- E’ sempre un vero piacere, mia cara.-
Si spostò ad una velocità inumana verso la donna e le prese la mano tra le sue. Sarah sussultò al
contatto con la sua pelle gelida e rabbrividì suo malgrado, quando lui le baciò delicatamente il
palmo.
Rupert trattenne a stento la sua irritazione, il vampiro si era soffermato a contatto con la pelle della
moglie un secondo di troppo e respirava il suo odore, con gli occhi chiusi e un’espressione
indecifrabile.
Sarah liberò gentilmente la mano dalla presa di ghiaccio e si schiarì la voce:
- Rashka, non posso dire di condividere lo stesso piacere.-
- Combattiva come sempre, vedo-
Rise e si scostò lentamente.
- Accomodatevi, vi prego.- Nadja indicò le ampie poltrone con un gesto teatrale. - Avete già
mangiato? Posso ordinare qualcosa se volete.-
Rupert sorrise ironico.
- Nadja, mia Signora, sono decenni che ti ripeto che non abbiamo gusti simili! Grazie comunque per
la tua premura.-
La vampira tornò a stendersi sul divano, ridendo gioiosamente e recuperò il bicchiere pieno di un
liquido scuro appoggiato sul tavolino di cristallo. Accavallò le lunghe gambe, fasciate da un vestito
grigio di panno, talmente aderente da far risaltare le sue forme perfette. Si ravviò i capelli e chiuse
gli occhi azzurri con aria divertita e appagata.
Rupert ruppe gli indugi con tono scocciato, rifiutando la poltrona che gli era stata offerta:
- Il motivo per cui siamo qui mi sembra quanto meno irritante, vista la futilità della questione. Siete
davvero sicuri che valga la pena di tanto dispiegamento diplomatico?-
Sarah si lasciò cadere su una chaise longue d’angolo dopo essersi tolta il pesante soprabito e averlo
fatto cadere tra le mani di Rashka, che non aveva smesso di fissarla, con una luce ferina nello
sguardo.
Rupert come al solito era stato troppo sbrigativo e mirava dritto al nocciolo della questione: Rashka
aveva il potere di fargli perdere il controllo della situazione, ma lei conosceva fin troppo bene i due
signori della Notte. Quell’incontro sarebbe stato un balletto, non certo un match di boxe da strada.
Doveva tenere a bada suo marito in modo che fosse lei a decidere come aprire le danze! Accavallò
le gambe con aria sicura e sostenne lo sguardo del vampiro con un sorrisetto spavaldo. Spostò con il
dorso della mano i ricci biondi e la pesante collana che le avvolgeva il collo si spostò con essi,
rivelando il ciondolo di platino con il simbolo del Consiglio, che era rimasto nascosto sotto la
maglia sottile. La luce delle candele si riflesse sui piccoli granati che ne ricoprivano le estremità
mandando sinistri bagliori cremisi.
Come aveva immaginato questo bastò ad attirare l’attenzione dei due vampiri, mentre la domanda
di Rupert ancora galleggiava nell’aria, inascoltata.
Rashka, sorridendo, si avvicinò e con la mano sfiorò il ciondolo a pochi millimetri dalla sua pelle:
- Bel gioiello!-
La sua voce era roca.
- Grazie.-
Rupert ridacchiò. Sembrava aver colto la strategia della moglie, reggendole finalmente il gioco.
- Rashka. In duemila anni di vita non hai ancora imparato che le apparenze ingannano.-
- E tu Rupert, non hai ancora imparato che delle vostre apparenze non mi importa nulla! Per me alla
fin fine, siete soltanto polvere.-
- Davvero? E allora perché siamo qui?-
- In realtà volevo soltanto una scusa per rivedere tua moglie!- La voce del vampiro era colorata da
una pericolosa malcelata irritazione.
Sarah, con fare annoiato, proseguì la danza:
- Sul serio? Pensavo che tu non avessi bisogno di scuse. Di norma, quello che vuoi te lo prendi
senza chiedere… Sbaglio?-
Lo scampanio della risata di Nadja spezzò il silenzio teso e costrinse Rashka ad ammorbidirsi: come
al solito le due donne tenevano le corde del gioco, impedendo ai rispettivi mariti di impiccarcisi. Il
vampiro si volse a guardare la neve, con le spalle di nuovo rilassate, poi appoggiò una mano sul
vetro e contrasse impercettibilmente le dita: la neve prese a cadere più fitta e il vento a soffiare con
maggior violenza, testimoniando l’irritazione del suo padrone.
Sarah sorrise: la neve e il freddo erano davvero opera di Rashka!
Rupert tornò all’attacco:
- Sprecare le vostre risorse per prendervela con una scrittrice di libri per ragazzi, non è decisamente
nel vostro stile, inoltre rischiereste di attirare l’attenzione, del tutto inutilmente…-
- Ciò che è utile o inutile per il nostro popolo è una decisione che spetta soltanto a noi. Quella
donnetta con le sue mezze verità ferisce il nostro orgoglio. Non possiamo accettare che vada avanti
a costruire simili castelli in aria.-
Rashka strinse i pugni e tornò a voltarsi verso il Guardiano.
Rupert deglutì: Rashka aveva le sue ragioni e lui non poteva fingere di non condividerle.
- Capisco il tuo fastidio, tuttavia questo vostro capriccio comprometterebbe l’equilibrio tra il nostro
e il mondo degli umani in maniera irreversibile e intollerabile. Il Consiglio sarebbe costretto ad
intervenire e tu non vuoi una guerra, vero?-
Lui proseguì come se non l’avesse sentito davvero:
- Ci dipinge con gli occhi gialli e mielosi sentimenti umani. E’ intollerabile!-
Sarah intervenne con una battuta, nel tentativo di stemperare la tensione.
- E’ vero, ma devi ammettere che non avete mai avuto vittime tanto disposte a concedervisi.-
Rashka fu di fronte a lei in un istante, fissandola negli occhi. Le sibilò sul viso, tutt’altro che
divertito.
- Dovresti sapere che la caccia è parte integrante della nostra natura, ciò che dici per noi non è
un’attenuante, è un’offesa!- Nadja parlò, senza nemmeno aprire gli occhi:
- Tuttavia, mio caro, dovresti valutare la prospettiva che ti offre la nostra amica, avere stuoli di
uomini disposti a tutto per compiacermi è stato un lusso che rimpiango in questa noiosa modernità.-
Rupert sorrise: Rashka poteva anche fare la voce grossa, ma era la sua Signora ad avere l’ultima
parola su tutto.
- E dunque Rashka, intendi proseguire questo battibecco o preferisci seguire i saggi consigli della
tua Regina?-
Si voltò per un attimo, inchinandosi a Nadja e il vampiro raggiunse di nuovo l’ampia finestra:
- Il mio parere lo conoscete, ma la mia parola non ha valore quando c’è la mia Signora!-
Si inchinò a Nadja con lo sguardo ardente di rabbia e poi tornò a guardare la neve, i pantaloni della
tuta che pendevano larghi sulle gambe, i piedi scalzi e le braccia conserte sul petto, lasciato nudo
dalla vestaglia aperta.
Nadja, con calcolata lentezza, appoggiò il bicchiere ormai vuoto e si alzò con grazia dalla chaise
longue. Il suo volto non mostrava più alcuna traccia della spensierata sensualità di pochi istanti
prima. Gli occhi azzurri erano gelidi e inflessibili, il viso spigoloso e serio:
- Il mio amore ha ben espresso alcune delle motivazioni del nostro disappunto. Tuttavia, Rupert, hai
ragione: non vogliamo la guerra… voi altrimenti a quest’ora non sareste più in vita. La mia
decisione è semplice e irrevocabile: accetteremo che questo scempio della verità venga portato
avanti e ci tapperemo il naso. Ma se qualcuno dei nostri fratelli o dei nostri amici dovesse decidere
altrimenti, non interverremo per fermarlo. La responsabilità sarà interamente nelle vostre mani e
questo è il massimo che sono disposta a concedere.-
Rupert soffocò un sospiro di sollievo e sorrise:
- Una splendida regina non può che conoscere la saggezza. E’ molto più di ciò che mi aspettavo e te
ne sono grato, anche a nome del Consiglio.-
Sarah si alzò. Ora aveva fretta di andarsene. Si avvicinò a Rashka, abbassandosi per raccogliere il
suo cappotto, gettato su una poltrona. Gli sfiorò le spalle e lui ghignò senza voltarsi:
-Alla prossima, sladost’2-
Sarah si rimise il cappotto e se ne andò senza rispondere, stringendo la mano del marito.
2 “Dolcezza”
Capitolo 1.
Londra, Giugno 2011
- Basta! Questa è l’ultima goccia, la mia pazienza ha un limite e questo piccolo, inutile … umano
l’ha sorpassato da tanto, tanto tempo!-
Christopher sbatté la rivista di cinema sul tavolino di cristallo che si crepò debolmente per la
violenza del colpo.
Nathan sobbalzò colto alla sprovvista, trattenendo i canini che uscivano automaticamente,
rispondendo alla scarica di adrenalina, ma non si preoccupò di alzare gli occhi per vedere cosa
stesse succedendo. Del resto, aveva smesso ormai da mesi di ascoltare il suo Sire blaterare minacce
alla volta del giovane ragazzino biondo che campeggiava sull’ennesima copertina.
Christopher ne era estremamente infastidito, a lui invece faceva solo venire fame!
Il povero ragazzo, in fondo, non aveva nessuna colpa, a parte il fatto di essersi preso l’onere di
interpretare un personaggio irritante e discutibile, che aveva già da un pezzo fatto fumare di rabbia
vampiri ben più potenti di Christopher.
Il Sire, scuotendo i capelli neri, sbatté una mano sulla cassapanca di legno alla sua sinistra e pose
fine al suo andirivieni, che durava istericamente ormai da qualche decina di minuti.
- Ho deciso… Andrò in Russia, parlerò con Rashka e mi farò dare carta bianca, visto che loro non
vogliono sporcarsi le mani, impegnati come sono a flirtare col Consiglio. Bene! Allora ci penserò
io! Del resto mi merito qualche libertà, con tutto quello che ho fatto per la nostra razza.-
Nathan mise giù lentamente il libro e sollevò lo sguardo di cristallo su Christopher:
- Mettiamo pure che Rashka ti dia il suo consenso, come la mettiamo con Nadja?-
L’altro fece per rispondere, ma si bloccò di colpo con la bocca semi aperta, in pochi secondi un
ghigno si dipinse sulle sue labbra e illuminò gli occhi chiari:
- Non c’è problema, la mia Signora ha un debole per le cose belle!-
Nathan pensò che le cattive abitudini erano dure a morire, ma si augurò che questa volta l’arroganza
non finisse per strangolare il suo audace creatore. Schioccò la lingua:
- Ah beh, allora… quando partiamo?-
- Adesso.-
***
Nella stanza buia, la lieve luce delle candele illuminava appena le pareti di roccia grezza, ma il
calore provocato dalle fiammelle era appena percettibile e non bastava a riscaldare l’ambiente.
Sinuose lingue di ghiaccio avvolgevano gli anfratti tra pietra e pietra. L’aria era gelida e pesante di
umidità e qualunque essere umano sarebbe stato schiacciato dal peso opprimente che gravava su
quegli spazi bui e immensi. Un essere umano sarebbe stato atterrito dall’odore dolciastro e
persistente del sangue che si mescolava a quello del muschio.
Christopher però umano non lo era più da qualche secolo e ora provava soltanto il consueto
formicolio dell’eccitazione: la voce delicata e sensuale della sua Regina arrivava ormai nitida alle
sue orecchie e quando raggiunse la pesante porta scura in fondo al corridoio e mise la mano sul
battente rabbrividì, scosso da capo a piedi dalla risata che proveniva dall’interno.
Senza bussare o aspettare di essere invitato, Christopher spalancò la porta, ostentando una sicurezza
che un attimo prima lo aveva invaso con intensità e che ora, con la stessa intensità, lo stava
abbandonando.
Trovarsi di fronte alla sua Regina e al suo sposo era sempre stato un misto di gioia e terrore, questa
volta però, nonostante fingesse il contrario, il terrore tendeva a prevalere.
Maledisse mentalmente Nathan che lo aveva aspettato fuori, appoggiato con indolenza al
muraglione esterno del castello, con il suo dannato libro schiacciato sugli occhi. Non era mai
riuscito a capire perché un vampiro dovesse immaginare di essere un elfo: era una cosa del tutto
priva di senso!
Codardo!
Scosse la testa, ritrovando la concentrazione e si profuse in un inchino profondo, sperando di
rallegrare i volti dei due vampiri che lo stavano fissando con un misto di noia e fastidio, immobili in
fondo al salone.
- Mia Signora, il vostro schiavo vi rende omaggio.-
Tenne la testa più bassa possibile, gli occhi chiari spalancati e i capelli corvini sparsi intorno a lui
come un sipario.
La regina squittì con il consueto tono svenevole.
- E’ sempre un piacere rivederti, Christopher, fratello mio.-
Lui proseguì il rituale senza schiodarsi dal posto, si rivolse a Rashka e gli fece il medesimo
profondo inchino:
- Rashka, mio Signore, vi porgo i miei omaggi-
- Christopher… il tuo tempismo è sempre incredibilmente fuori luogo, rimpiango il giorno in cui la
mia Signora ha deciso di privare queste porte di chiavi!-
Fece svolazzare la pesante veste di velluto rosso, mentre si girava con un movimento pieno di
stizza.
Nadja sorrise divertita e si alzò dal triclinio con movimenti sinuosi. Si diresse lentamente verso il
suo ospite, facendo dondolare i fianchi, fasciati in una veste di velluto verde, ricoperta di ricami
d’oro e d’argento.
Si fermò di fronte a Christopher ancora piegato su se stesso e lasciò che i capelli neri le ricadessero
sulle spalle, mentre sfiorava con la mano opalescente la sua testa, attese che lui le baciasse il palmo
secondo l’antica consuetudine, poi sorrise.
Christopher si alzò, la complessa cerimonia del saluto lo infastidiva da sempre: un inutile spreco di
tempo. Si scostò i capelli dal viso, legandoli in una lunga coda e si rassettò il vestito nero di foggia
ottocentesca che gli conferiva un aspetto decisamente bohemien.
Nadja lo squadrò, il sorriso ancora sulle labbra:
- Non fare caso alla simpatia del mio compagno, è una cosa che si impara ad apprezzare solo col
tempo. Che cosa ti ha portato nella desolata Siberia, amico mio?-
- Sono venuto a chiedere alle Vostre Maestà il permesso di risolvere un problema che ormai mi
affligge da tempo.-
I due vampiri lo fissarono con sguardo interrogativo e Christopher proseguì:
- Sono qui per chiedervi carta bianca, nel gestire una situazione spinosa, offrendovi ancora una
volta i miei servigi.-
Rashka alzò gli occhi al cielo.
- Ancora una volta temo che i tuoi servigi ci porteranno guai infiniti ed infinite faide. Che cosa vuoi
con esattezza?-
- Voglio il permesso di dare una lezione a Robert Patterson!-
Per qualche minuto nella sala calò il silenzio.
Christopher, supponendo che i suoi Signori non riconoscessero il nome, decise di precisare:
- L’attore che interpreta l’insopportabile vampiro dagli occhi gialli!-
Il silenzio tuttavia si protrasse ancora senza che le espressioni dei due cambiassero in modo
percettibile.
Dopo un tempo infinito Rashka batté le mani, scoppiando a ridere. La sua voce profonda fece
vibrare il pavimento:
- E io che pensavo che te la fossi presa con qualcuno dei clan scozzesi come al solito! No! Questa
volta ti vuoi mettere addirittura contro il Consiglio dei Guardiani!- Smise di ridere all’improvviso e
un lampo scuro gli attraversò gli occhi. - E’ molto peggio di quello che credevo!-
Nadja intervenne con voce piatta e melliflua.
- Ti rendi conto che ci chiedi qualcosa di estremamente pericoloso? La diplomazia richiede
compromessi, Christopher.-
- Mia signora, non è mia intenzione ucciderlo. Per lo meno, non subito. Voglio soltanto renderlo
uno di noi.-
Rashka sollevò le sopracciglia, confuso.
- L’onore della vita eterna?-
Christopher rispose, con gli occhi che brillavano.
- Sì, solo per vedere la sua faccia nel momento in cui scoprirà cosa vuol dire veramente essere un
vampiro.-
Fece una pausa, cercando di controllare la tensione:
- E poi… forse… lo ucciderò.-
Cercò gli occhi di Nadja e poi aggiunse con un ghigno:
- A meno che Voi non lo vogliate al vostro fianco, mia Regina.-
Rashka sobbalzò e Nadja si affrettò a rispondere, non senza ricambiare educatamente il sorriso:
- Il mio fianco è già ottimamente coperto, Christopher, ma grazie per l’offerta.-
Strinse la mano al suo compagno nel disperato tentativo di placare la sua ira, che ormai sentiva
montare irrimediabilmente. Dover gestire Christopher era fin troppo noioso, senza che si
aggiungessero anche i fastidi di una rissa tra maschi.
Tornò seria e sentenziò:
- Hai il nostro consenso, ma non il nostro appoggio. Torna pure nella tua terra e fa ciò che ritieni
opportuno... senza dimenticare la discrezione!-
Sull’ultima parola la sua voce vibrò, l’eco di millenni di comando.
Christopher non aggiunse una parola e si affrettò ad allontanarsi con un’espressione trionfante sul
viso. Rashka se ne accorse:
- Fratello!-
Lo inchiodò sul posto con quella semplice parola, tanto era intrisa di disprezzo e di indicibili
minacce.
- Sappi che la tua Signora quasi sei anni fa ha placato la sua ira perché non era interessata alla
guerra.- Si avvicinò a Christopher e proseguì sibilando: - Il nostro proposito non è cambiato. Non
andare troppo oltre, fratello mio. Se saremo costretti a scegliere tra le armi e la tua vita, non
esiteremo a sacrificarti!-
Christopher si guardò alle spalle, Nadja aveva raggiunto il suo uomo e ora guardava lui con la stessa
spietata serietà dipinta sulla curva minacciosa delle labbra.
Al vampiro non restò altro che andarsene, mentre un rivolo gelido di paura gli si faceva largo alla
base del suo collo.
Capitolo 2.
Maeve uscì dalla sede della sua congrega con aria leggermente cupa. Era stanca e preoccupata e non
aveva voglia di passare la serata con sua madre e gli altri, fingendo di essere allegra.
Erano un paio di settimane che Roy era andato via e anche se sapeva perfettamente che lui doveva
essere vivo, non poteva sapere in che condizioni si trovasse davvero.
E in ogni caso l’astinenza da lui non poteva mai essere troppo prolungata. Sentiva la sua mancanza!
La stanza dei rituali si trovava nel piano interrato e quando emerse a livello della strada, si guardò
intorno, strizzando gli occhi per riabituarsi alla luce del pomeriggio.
Poco distante, appoggiato alla parete della casa, c’era qualcuno. Si avvicinò di più e sussultò.
Non poteva crederci! Era proprio Roy, che sollevava una mano e le faceva un cenno di saluto.
Gli si avvicinò senza parole e lui le sorrise:
-Ehi!-
- Ciao! Che cosa ci fai qui?-
- Sono venuto a prenderti!-
Si lanciò tra le sue braccia e lo strinse. Poi si allontanò, fissandolo alla ricerca delle tracce lasciate
dalla missione appena conclusa.
- Mi sei mancato!-
Lui le sorrise ancora, un sorriso ampio e pieno di calore, poi la sollevò da terra e le diede un bacio
tra la guancia e il collo, facendola rabbrividire. Si avvicinò al suo orecchio, sussurrando:
- Anche tu!-
Maeve si ritrasse di colpo:
- Oh, ma dai! Non ci credo!-
- Cosa?-
- Sai di birra!-
Cercò di allontanarlo e lo fissò con aria disgustata, mentre la stanchezza tornava ad assalirla, più
forte di prima. Lui le lanciò uno sguardo strafottente:
- Può darsi e allora?-
- E allora sono le cinque del pomeriggio! Non puoi essere già ubriaco!-
Roy sbuffò, infastidito:
- Oh ascolta, Maeve! Per favore! Sono stato via due settimane… due settimane di merda, sono
tornato e non ho fatto che litigare con mio padre, perciò, visto che è venerdì sono uscito e mi sono
fatto una birra… Penso di meritarmelo! –
Lei scosse la testa e fece per allontanarsi, dandogli le spalle:
- Fai come vuoi.-
- E comunque non sono ubriaco!-
- Certo, come no!-
Lui la raggiunse in fretta e la strattonò, afferrandola per il braccio:
- Non puoi semplicemente essere contenta di vedermi?-
- Credimi! Mi piacerebbe tanto, ma da un po’ di tempo a questa parte la cosa è impossibile!-
Roy la lasciò andare:
- Ma dai! Smettila di fare la stronza sostenuta! Non sai fare altro che tenermi il muso… Ti ho detto
che non sono ubriaco.-
- No, non la smetto e tu sei ubriaco, perciò vai a casa, fatti una doccia gelata e torna più tardi! Ok?-
Lei si allontanò di nuovo a passo più svelto e lui rimase a guardarla. Maeve pensò che si fosse
arreso, ma ovviamente si era sbagliata e alzò gli occhi al cielo quando lo sentì urlare:
- Non vuoi sapere del tuo grande amore? Eh?-
Si girò, fronteggiandolo con le braccia strette attorno al corpo:
- Oh Roy! Per favore! Sul serio, sono stanca, sono… sono stufa marcia di tutte queste cose! Di che
diavolo stai parlando?-
Lui le si avvicinò con calma e le mani ben affondate nelle tasche:
- Del biondino, del tuo biondino… il tizio.-
Maeve lo fissava, rassegnata e esasperata:
- Quale biondino? Non capisco! Di cosa stai parlando?-
- Ma sì, che hai capito! L’attore, il biondo, com’è che si chiama… il vampiro.-
Sgranò gli occhi, incredula. I suoi vaneggiamenti erano sempre più preoccupanti:
- Roy, ma sei scemo? Di chi… Robert Patterson?-
- Ecco, brava, Robert Patterson!-
Lo fissò, scioccata:
- E che cosa centra adesso Robert Patterson?-
- Ah beh! Ti ricordi quando ho detto che se fossi stato un vampiro, io l’avrei ammazzato?-
Maeve fece due passi indietro, scuotendo la testa:
- No, Roy. No, io continuo a non capire! L’unica cosa che capisco è che sei fuori di testa e che,
forse, non sono più in grado di aiutarti da sola.-
- Ma no! Mi sto riferendo all’ultima news dei vampiri di Londra, ne parlavano al Creatures poco fa
come se niente fosse!-
Lei rimase zitta, con un’espressione più che eloquente e lui proseguì, come stesse dicendo qualcosa
di ovvio:
- Hanno deciso di trasformarlo!-
Per un istante, Maeve contemplò la folle idea che lui fosse serio e che non stesse affatto
vaneggiando. Sbiancò:
- Cosa?-
- Sì, vogliono prenderlo e trasformarlo.-
- Stai scherzando?-
Roy le rispose, finalmente soddisfatto di averla lasciata senza parole:
- No! Non sto scherzando. Mi piacerebbe tanto, ma non sto scherzando.-
Maeve sentì il sangue gelarle nelle vene: era serio davvero.
- E… e tu che cosa intendi fare?-
Lui alzò le sopracciglia:
- Io? Io niente, niente di niente, ovviamente, che cazzo vuoi che faccia io!? Non faccio proprio
niente: lo prendono e lo trasformano.-
Maeve lo guardava, scioccata:
- Roy! Non puoi lasciare che facciano una cosa del genere! Tu… tu non puoi farlo!-
- E perché no?-
Sgranò gli occhi e non poté evitare di mettersi ad urlare:
- Perché sei un Guardiano, maledizione! Non puoi lasciare che un essere umano venga
vampirizzato sotto i tuoi occhi!-
- Ma non è affatto sotto i miei occhi! –
Prese un respiro profondo e cercò di dominarsi:
- Roy!-
Lui scosse la testa e poi, la guardò, con la testa piegata da una parte:
- E che cosa dovrei fare? Sentiamo…-
- Beh, non lo so, magari fare… rapporto al Consiglio! Insomma credo sia una specie di…
violazione o come accidenti la chiamate voi, oppure no? E’ una cosa normale, voglio dire… Si
permette ai vampiri di fare degli esseri umani quello che vogliono quando vogliono! E’ così?-
- Maeve… noi non ci facciamo i cazzi delle altre razze… proteggiamo l’equilibrio, noi!-
Lei rimase impassibile a fissarlo:
- A me risulta che siete stati creati per difendere gli esseri umani!-
Roy sbuffò e liquidò in fretta la discussione:
- Senti, io non andrò al Consiglio per questa storia, ok? Non ci vado per questa faccenda e non ci
vado per nessun’altra faccenda.-
- Ma perché?-
- Vuoi sapere cosa mi risponderebbero? Vuoi sapere cosa mi direbbe mio padre?-
Lei rimase senza parole ad aspettare, Roy alzò le braccia al cielo:
- Mi direbbe che non si può fare uno stracazzo di niente, ecco cosa mi direbbe! Mi risponderebbe
che… se… “se non c’è una denuncia ufficiale, oppure una avvenuta violazione… un’evidente
avvenuta violazione, noi non possiamo intervenire, non possiamo fare niente”!-
La guardò, ma la strega non sembrava per niente colpita:
- Ti spiego come funziona: sostanzialmente, o viene qualcuno a denunciare questa cosa e quel
qualcuno non sono io, naturalmente! Oppure il signorino viene trasformato e poi noi interverremo,
faremo multe, diremo cose, eccetera eccetera… il sacro fuoco della diplomazia!-
- Ah, fantastico! E a te la cosa sta bene.-
- Sì, a me la cosa sta bene.-
Lei annuì con calma, poi esplose:
- E da quando, maledizione, ti sta bene?-
- Da quando mi sono rotto i coglioni di fare guerra con il mondo, Maeve. Sono io che sono stufo!-
Lei lo guardò, amareggiata:
- No, io non ci posso credere! Io non ci posso credere! Passi le tue giornate a… a fare la guerra, a
ribellarti, sei… ubriaco dalla mattina alla sera! Fai le cose più assurde tanto per far impazzire tuo
padre e sbandierare la tua ribellione e poi? Succede una cosa del genere e tu non intervieni? Oh,
no… fai tanto il paladino della giustizia: “gli umani andrebbero difesi e rispettati, i Guardiani
stanno tradendo la loro natura, stanno sbagliando tutto… Accidenti… ” e tutto il tuo repertorio di
lamentele e poi finalmente puoi fare qualcosa per dimostrare tutto questo coi fatti… e non fai
niente!… Io non ti riconosco più! Non ti riconosco più, Roy-
Lui rimase calmo e apparentemente impassibile:
- No, Maeve, tu non hai capito, io non posso fare niente!- Alzò la voce gradualmente e diede un
calcio ad un sasso, mandandolo a conficcarsi nel tronco di un albero: - In questo come il altre mille
e cinquecento cose, ho le mani legate.-
- Tu non ti sei mai lasciato legare le mani, mai!-
Lui sospirò e sembrò prenderla sul serio per la prima volta:
- E che cosa dovrei fare, sentiamo…-
Maeve fece una risata secca:
- Salvarlo, evidentemente!-
Il Guardiano sgranò gli occhi:
- Salvarlo? Secondo te io dovrei salvarlo?-
- Sì, tu dovresti salvarlo, Roy-
- E come?-
- Ah… beh… non lo so… insomma… vai lì e, fai quello che fai di solito, ti metti tra lui e i
vampiri!-
- Magnifico! Pensavo che un po’ ci tenessi a me! E che cosa faccio, sbaraglio a mani nude tutti i
vampiri di Londra?-
- Non lo so, il guerriero sei tu!-
- Ma certo. Tra l’altro evidentemente tu pensi che in una conversazione da bar siano stati dati orari,
date, indicazioni precise… e quindi io so perfettamente dove andare!-
- Ok, ci sono alcuni dettagli da rivedere… però… una soluzione la troviamo, no?-
Roy sollevò le sopracciglia, poco convinto:
- La troviamo?-
- Sì: se non vuoi una mano dal Consiglio, ti do una mano io.-
Lui la guardò con tenerezza:
- Ah Maeve…Lascia stare, dai! Scusa, non avrei neanche dovuto parlartene!-
- No no no, Roy, invece hai fatto bene, hai fatto molto bene!-
- Non sono d’accordo, è meglio che ci lasciamo questa conversazione alle spalle.-
La casa di Maeve si stagliò in fondo alla strada: - Entra a casa e… ci vediamo domani… sarò
sobrio, te lo prometto!-
- No! Non ci vediamo domani! Tu adesso entri con me, ti bevi un… litro e mezzo di caffè, dopo di
che decidiamo che cosa fare, ok? Possiamo farlo, una soluzione la troviamo! Davvero, dico sul
serio.-
***
Robert gettò la giacca di pelle sulla poltrona sbuffando, si stiracchiò, allungando la schiena
irrigidita. Possibile che un semplice giro per la sua città potesse ridurlo in quello stato?
Tornare a casa era sempre stato un conforto, un momento in cui non pensare a nulla, per distaccarsi
soprattutto dai personaggi che interpretava, dalle loro incerte visioni del mondo. Era un momento
per essere solo se stesso.
Ma ormai, da quando William Carter era entrato nella sua vita, un vero “se stesso” non c’era più.
Si era perso definitivamente qualche anno prima e da allora era alla disperata ricerca di quello che
era diventato, ma gli indizi erano scarsi e le persone attorno a lui tendevano a mandarlo nella
direzione sbagliata.
Si sfilò il maglione che andò a far compagnia alla giacca e si strofinò gli occhi appesantiti. Si era
guardato attorno tutto il giorno, preoccupato di poter scorgere qualcuno che lo guardasse in modo
strano o che accennasse ad avvicinarlo.
Gli occhiali scuri non lo avevano abbandonato un istante, nemmeno nel suo negozietto di dischi
preferito, che non cambiava mai: polveroso, caldo, accogliente, pieno di musica blues. Era un posto
straordinario, con la sua penombra accattivante, che però gli aveva affaticato gli occhi, mentre
leggeva i titoli di vinili che ormai conosceva a memoria, praticamente al buio, nascosto dietro le
lenti nere, come un ricercato!
Il collo e le spalle scrocchiarono, irrigidite dalle ore di tensione, mentre si sfilava anche la maglia
nera.
Incontrò il suo riflesso nel lungo specchio di fronte a lui e rimase immobile a guardarsi, scrutando
nei profondi occhi verdi alla ricerca di una traccia di qualcosa di familiare, qualcosa che lo facesse
sentire bene, che gli facesse dire: “Ehi, Rob! Bentornato a casa!”
E invece tutto ciò ce vide fu William, il suo alter ego cinematografico, il maledetto vampiro che
aveva avuto la malaugurata idea di accettare di interpretare, così, tanto per gioco e che invece aveva
fatto innamorare le ragazze di tutto il mondo e che si era portato via la sua serenità.
Anche adesso nell’intimità della sua stanza, nel luogo dove solo lui aveva il diritto di entrare, gli
sembrava che il ragazzo allo specchio fosse un estraneo. Non servivano gli occhi gialli e il cerone
che gli mettevano a chili durante le riprese.
Ciò che vedeva assomigliava molto di più a William che a Robert.
In realtà non sapeva neanche lui se si trattasse di una sua paranoia o meno, ma la sensazione era
proprio quella: un estraneo allo specchio.
Percorse con lo sguardo l’intera figura che lo fissava immobile: la maglia pendeva moscia come una
macchia scura appesa al braccio immobile e inerte lungo il fianco, pallido, quasi grigio.
Ebbe quasi un moto di soddisfazione nel vedere quanto trascurato e in disordine fosse William in
quel momento. Proprio lui che curava con attenzione il suo aspetto, che era sempre impeccabile:
l’unica cosa che potesse fare Robert per vendicarsi della sua invadenza era trascurare il proprio
aspetto appena ne aveva la possibilità. Gli piaceva immaginare di averlo indispettito.
Fece un sorrisetto, ma gli sembrò invece che a sorridere fosse William: un sorriso che gli rendeva
chiaro quanto fosse patetico e inutile il suo tentativo.
Scosse la testa e imprecò. Che cosa gli stava succedendo? Davvero stava per ingaggiare una muta
guerra con il proprio riflesso nello specchio? Forse era il caso di tornare alla realtà perché quello
che vedeva non era altri che se stesso, legato a doppio nodo con ciò che aveva accettato per la tanto
sospirata notorietà.
William non esisteva. Era solo una stupida fantasia da romanzetto rosa mascherato da fantasy.
Robert invece sì ed era l’unico con cui avrebbe dovuto prendersela davvero.
Tornò a osservarsi: le spalle erano curve sotto il peso della fatica che sentiva di portarsi anche
dentro, sul petto, quella che a volte gli impediva di respirare, quella che normalmente cercava di
annegare in un bel bicchiere di whisky chiaro.
Si riscosse all’improvviso: quella sera non poteva contare nemmeno su quello, il suo minibar era
semivuoto, il familiare sapore acre e caldo del malto non lo avrebbe cullato, ricordandogli chi era
davvero.
-Maledizione!-
Imprecò a bassa voce e si sfilò velocemente anche i jeans, dando volutamente le spalle allo
specchio.
Quello che aveva visto non gli piaceva e lo aveva guardato fin troppo.
Afferrò la tuta grigia leggera che usava come pigiama e che giaceva abbandonata sul pavimento
accanto al letto sfatto e arruffato. Infilò i pantaloni e la casacca, ma lasciò la cerniera aperta, non
aveva voglia di chiuderla: un altro smacco all’eleganza del vampiro!
Sbuffò, afferrò le sigarette nella tasca della giacca e uscì sul balcone, rabbrividendo al contatto dei
piedi nudi con il tocco gelido del pavimento.
Si piegò per proteggersi dal vento che insisteva a spegnergli l’accendino e riuscì ad accendere la
sigaretta, espirò la lunga boccata lentamente, godendosi il sapore della nicotina, lo spasmo che gli
invadeva i polmoni.
Si appoggiò alla ringhiera, il metallo gelido che premeva contro la stoffa leggera che gli avvolgeva
le braccia, i capelli ramati scompigliati dal vento freddo delle serate londinesi.
La vista da casa sua era mozzafiato, le luci del centro in lontananza e un’infinita distesa di tetti e
camini, avvolti da una pigra foschia. Aveva un che di magico, come diceva lo spazzacamino di
Mary Poppins.
Sorrise e scosse la testa.
La sua vita ultimamente era talmente costellata di cose assurde, che, a paragone, una donna che
volava aggrappata ad un ombrello sarebbe stata una lieta parentesi di normalità… senza considerare
il perfetto aplomb inglese con cui si sarebbe librata tra la nebbia della sera. Ridacchiò.
Forse si sarebbe sentito a casa!
Lo sguardo gli cadde su una indistinta macchia biancastra nel prato sotto casa, nel buio confuso del
dopo tramonto, strizzò gli occhi e gli sembrò di scorgere qualcosa sulla superficie sgualcita.
Improvvisamente un ricordo gli attraversò la mente, lasciandolo con gli occhi spalancati e una
smorfia di fastidio dipinta sulle labbra sottili.
Era un cartello e lo conosceva fin troppo bene.
Qualche tempo prima aveva fatto l’errore di andare a casa in taxi dopo essere sfuggito ad un gruppo
di ragazzine urlanti. Quando era sceso dall’auto ne aveva ritrovata qualcuna ancora dietro di lui e
non aveva potuto entrare in casa per quasi un’ora. Aveva fatto il giro dell’isolato portandosele
dietro come il pifferaio con i topi. Una di loro gli aveva sventolato in faccia quel maledetto cartello
tutto il tempo e ricordava, come fosse successo pochi minuti prima, quanto si fosse infuriato: se
Paul, la sua guardia del corpo, non le avesse allontanate, probabilmente si sarebbe messo a urlare e
ad insultarle.
Scosse la testa, era scritto in rosso: “William, mordimi”.
La trasformazione era completa: non solo quando si guardava allo specchio non si riconosceva, ora
non era più nemmeno padrone del suo nome!
Distolse gli occhi dalla carta ormai sfatta dalla pioggia e fissò lo sguardo sul mozzicone che
bruciacchiava tra le sue dita: si era fumato almeno tre tiri di filtro.
Lanciò via la sigaretta e stette a guardarla cadere dal balcone: se avesse potuto essere davvero un
vampiro, probabilmente si sarebbe tolto qualche soddisfazione! Altro che uomo perfetto! Fanculo!
-Ma che diavolo…- Borbottò tra sé. - Ragazzo mio, tu stai davvero perdendo il cervello per pensare
una cosa del genere!-
***
La casa di Maeve era la classica villetta inglese su due piani, semplice: due camere e un bagno al
piano di sopra, un salottino e una cucina di sotto. Sul retro della casa, un piccolo orto magico
profumava di mille aromi diversi che entravano dalla finestra aperta.
Roy gesticolò, sgranando gli occhi, mentre la strega si avvicinava con la caraffa del caffè:
- Maeve! Ok, ci sono, va bene, basta! Non darmene più, ok? Non sono più ubriaco, sto bene, sono
lucido e sto seguendo tutto quello che mi dici… se mi versi un’altra tazza mi esplode il cuore, va
bene?-
Lei lo soppesò con lo sguardo:
- Ok, va bene, mi fido… ma adesso parliamo di Robert.-
Lui sospirò e sollevò le sopracciglia:
- Di Robert?-
- Sì…-
Maeve non sembrava aver colto e lui si divertiva a prenderla in giro, più di quanto avrebbe voluto
ammettere:
- Il tuo amico Robert…-
- Piantala!-
Roy ridacchiò e fece un cenno di resa:
- Dai, spara! Avanti, sentiamo l’idea.-
- Beh, ehm… innanzi tutto… noi possiamo proteggerlo… insomma… gli… imponiamo una
protezione che… lo protegga nel caso in cui venga attaccato… quando e come verrà attaccato.-
Lui fece una smorfia di apprezzamento:
- Geniale, wow! No, no, sul serio, geniale! E… come pensi di farlo?-
Maeve lo fissò infastidita e fece per rispondere, ma si rese conto di non sapere cosa dire. Lu ne
approfittò e rincarò:
- Intendi mettergli un allarme per vampiri? Se si avvicinano suona? Una cosa del genere…-
Maeve sbuffò:
- Roy? Devi fare lo stronzo o ne parliamo seriamente?-
- Guarda che io sono serissimo, davvero, è solo che… ho la sensazione che tu non abbia le idee
chiarissime! Tipo… come lo proteggiamo?-
Lei drizzò le spalle, piccata e lo fronteggiò con aria di sfida, sorridendo soddisfatta:
- Con una runa-
Roy annuì:
- Ah… va bene, alla runa non avevo pensato… quale runa?-
- Beh, non lo so… magari una cosa come quella che hai tu, quella che ti ho fatto per quando vai
via.-
Lui sollevò le sopracciglia, pregustando la soddisfazione di smontarle l’ennesimo sfoggio di
sicurezza:
- Ah, quella che mi hai gentilmente marchiato a forza sul braccio e che ti avvisa se io muoio?-
Lei sbuffò:
- Ehm… ok… sarebbe troppo tardi, d’accordo. Allora… potrei… modificarla, potrei modificarla
e… e…-
Roy stava per prenderla in giro di nuovo, ma l’idea non era così assurda e tanto valeva sondare il
terreno:
- Potresti modificarla in modo che mi avvisi se lui è in pericolo?-
- Sì, sì sì sì, posso farlo. Certo, sì, perché no?-
Maeve era tremendamente contenta e questa volta distruggere i suoi piani fu appena meno
divertente. Sbuffò:
- Mi avviserebbe in caso di qualunque genere di pericolo? -
La strega tornò seria e sconsolata:
- Ah, beh, no, non va bene.-
- No, non va bene.-
- Potrebbe essere… una runa che… ti avvisa…-
- Che mi avvisa quando… quando… quando mi avvisa Maeve?-
Lei lo fissò, sempre più irritata e Roy si rese conto all’improvviso che forse aveva trovato la
soluzione
- Quando lui si spaventa, tipo reagisce all’adrenalina!-
Maeve sorrise timidamente e lievemente scoraggiata:
- Quando lui si spaventa… solo che lui si spaventa spesso.-
Si alzò e si avvicinò al lavandino, prendendo un bollitore dallo scolapiatti. Roy le rispose
compiaciuto:
- Eh sì, lo so… in che senso?-
- Nel senso che… beh… dicono che abbia delle specie di crisi di panico quando si avvicina alle fan
o alla folla…-
Roy la fissò scioccato
- Stai scherzando!-
- No.-
- Ha delle crisi di panico…-
- Sì.-
- Perché si avvicina alle fan.-
- Sì.-
Lui sgranò gli occhi:
- Davvero?-
Lei lo fissò senza capire perché fosse così scioccato:
- Sì-
- Maeve perché ti piace questo tizio?-
La strega alzò gli occhi al cielo e mise a bollire l’acqua sul gas.
- Roy smettila, ok? Va bene? Non sono tutti Action Man come te, d’accordo? Ce ne è di altri tipi…
lui è il tipo sensibile, eh? Tu sei il tipo Action Man, lui è il tipo sensibile!-
- Ah! Capisco, è sensibile…-
Maeve alzò gli occhi al cielo:
- Proseguiamo?-
- No, dai. Insomma… è una vita che cerco di ottenere il permesso di usare le mie facoltà per
ottenere la stessa cosa e lui fa il prezioso! Non è giusto!-
- Roy, sei la vergogna della tua specie!-
Lui annuì compiaciuto:
- Lo so, mio padre me lo ripete di continuo.-
Lei gli lanciò dietro l’accendigas che aveva ancora in mano e lui lo afferrò al volo:
- Va bene… torniamo a noi… direi che una runa “se si spaventa” non è per niente indicata.-
- Beh… no, forse no. Però non mi viene in mente un’idea migliore, onestamente.-
Lui sospirò:
- Beh, direi! Sono io quello che dovrebbe partorire strategie! Facciamo così, vada per la runa. Vada
per la runa “se è in pericolo” e nel frattempo cerco di pilotare una denuncia ufficiale.-
- Davvero?-
- Sì...-
Maeve batté le mani
- Ah! Ora sì che ti riconosco.-
- Già, del tutto spontaneamente ho tirato fuori il mio vero io!-
- Se solo la smettessi di voler dimostrare sempre qualcosa! Sei… sei una persona così…
straordinaria, Roy…-
Lui avvampò e si alzò di scatto, aprendo la finestra per uscire nel giardino e tirando fuori dalla tasca
un pacchetto di sigarette:
- Ah, piantala!-
- No, è vero!-
Si accese la sigaretta e uscì fuori, alzando la voce:
- No! Piantala di dire queste cose!-
- Perché?-
- Perché mi metti in imbarazzo e… perché… non sono vere-
Maeve uscì con un quaderno e una matita in mano:
- Sei un testone! Fammi vedere la runa per favore che provo a modificarla-
Lui sollevò la manica della maglia e stette a guardarla lavorare:
erano una coppia di amici decisamente strana!
Il figlio di un ministro del Consiglio dei Guardiani e una giovane strega specializzata nell’uso di
erbe e cristalli, con un talento per la guarigione. Normalmente entrambi avrebbero dovuto avere di
fronte un futuro prevedibile, costellato da persone della loro razza. Tuttavia né l’uno, né l’altra
erano inclini a seguire le regole e avevano trovato gioiosamente e reciprocamente nell’altro un
modo per dare scandalo. Questo era stato uno dei motivi per cui si erano lanciati anima a corpo
nella loro avversata amicizia, quando si erano incontrati a scuola, smascherandosi l’uno con l’altra.
Avevano superato gli ostacoli che qualunque membro delle rispettive congreghe si era impegnato a
mettere loro tra le ruote e ora erano più che fratelli, legati da un reciproco affetto, da una immensa
stima e dalla tacita promessa di condividere il più possibile le proprie esistenze, senza remore e
senza segreti.
Maeve era piccola, lui la superava di almeno una trentina di centimetri già da tempo, anche in quel
senso erano una coppia male assortita: lui alto, magro e biondo, lei bassa, scura e tutta curve. Si
scoprì a sorridere e la strega sollevò gli occhi su di lui:
- Che ti prende?-
- Niente, mi chiedevo… una volta modificata, ehm… Come… Insomma funziona a distanza, tipo
che tu me la metti addosso e io lo sento? Oppure… mi chiedevo… di che cosa hai bisogno…
per…questo? Magari… feticci, capelli, cose di questo tipo, no?-
Lei sgranò gli occhi:
- Roy, questo non è Hocus Pocus, cioè… una cosa del genere me l’aspetto da un ragazzino delle
elementari, non… da un Guardiano!-
Lui ridacchiò:
- Era solo per dire!-
Maeve lo spinse via e rientrò, lui la seguì ridacchiando:
- Dai! Era solo una battuta!-
- Sì, però non faceva ridere! E poi non credo che lui sia disposto a darmi una parte del suo corpo…
purtroppo-
Roy si ritrasse di colpo, mettendo le mani sulle orecchie:
- Aaah! No, Maeve, per favore… per-favore! Risparmiami-
- Scusa…- Ridacchiò - Te lo meriti!-
Roy iniziò a piagnucolare:
- Ma perché, perché? Perché? Non potevano decidere di attaccare… che cazzo ne so? Il Primo
Ministro, la Regina… non lo so, chiunque! No: Robert Patterson! Ma perché, perché?
Maledizione!-
- Oh poverino! Il tuo è un lavoro tremendo!-
- Sì, un fardello insopportabile!-
- Va bene, povero piccolo Roy! Stavamo dicendo? No, il feticcio non serve e in ogni caso non sarei
in grado, onestamente, di legarti a lui. Ehm… devo imporla a lui la runa. Devo imporre una runa
identica a lui e a te. -
- Ah. Ah, ok. Allora! Che problema c’è? Devi imporgli una runa! Gli mandiamo un sms e fissiamo
un appuntamento.-
Lei lo fissò, serissima:
- Ti ripeto che non è divertente. Non è divertente!-
Lui sghignazzò, mentre il bollitore cominciava a fischiare con insistenza. Roy spense il fuoco,
iniziando a preparare il tè, dal momento che Maeve non dava segno di essersi accorta di nulla. Era
un fiume in piena.
- Lo troviamo e gli spiego la situazione: lui è un uomo intelligente, capirà e poi gli impongo la runa.
-
Roy si girò a guardarla, con la bustina di tè in mano:
- Cazzo, ma certo! Perché non ci ho pensato prima? Tu vai, gli dici che c’è una banda di vampiri
che lo vuole vampirizzare e lui… che è un uomo intelligente… capirà.-
- Esatto.-
Lasciò cadere la bustina nell’acqua bollente:
- Maeve! Non ti è passato per la testa nemmeno per un secondo che potrebbe prenderti… come
dire? Per pazza?-
Lei sbuffò:
- Accidenti, però, come sei negativo! Ogni cosa che dico è un problema!-
- Sei tu che mi hai dato il caffè! Prima non ero negativo.-
- No, lo eri anche prima, ma in maniera molto, molto più molesta!-
- D’accordo. Potremmo mandare un’e mail al suo staff e gli chiediamo dove abita.-
Ancora una volta Maeve stava per rispondere, ma si bloccò con la bocca aperta e lo sguardo
illuminato da un’idea improvvisa:
- Io lo so dove abita!-
- Tu sai dove abita? -
- Sì-
Il Guardiano la fissava con gli occhi sbarrati:
- Perché sai dove… No! Non lo voglio sapere, non dirmelo.-
Lei cercò di parlare, ma Roy alzò le mani, gesticolando e allontanandosi:
- No! Non lo voglio sapere! Non me lo dire. Non me lo dire, per l’amor di Dio!-
- Comunque lo so davvero, potremmo aspettarlo a casa…non è una brutta idea. Dico sul serio… che
dici?-
- Maeve noi non abbiamo neanche idea se lui ci sia a casa o se ci tornerà.-
- Ma certo che c’è! E’ qui, a Londra, tornerà a casa di sicuro. Ti ricordi che te l’ho detto?-
-Me l’hai detto?-
- Sì, quando ti ho chiesto di portarmi a quella prima…del film…-
Roy finse di ricordare, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni:
- Giusto! Brava! Mi ero dimenticato. Potremmo andare a casa sua allora.-
- Oppure andiamo direttamente alla prima!-
- Ma non dovevamo salvarlo?-
- Sì, infatti lo salviamo alla prima.-
- In un cinema pieno di gente? Tu vai lì e gli imponi una runa.- Scosse il capo: - No!-
Lei sospirò:
- Chiaramente, non al cinema! Quando esce dal cinema…-
- Eh! Sai che non è una cattiva idea… potremmo imbucarci all’after party-
- Oh Roy, sei un genio! E’ ovvio!-
Lui non la ascoltava:
- Dobbiamo vestirci da camerieri, ma ce la possiamo fare… Se fai come ti dico.-
- Roy… io-ti-amo!-
- Sì, come no? Fammi assaggiare quel tè.-
Maeve gli porse la tazza, socchiudendo gli occhi soddisfatta:
- Questo tè è fantastico, Ceylon, il mio preferito!-
Roy fece un sorso, con fare professionale:
- Sì, non è male, ma rimango un sostenitore dell’Earl Grey.-