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Page 1: - iifito delle i(Platone scrive, nel libro VI della Repubblica, che chiunque abbi a che fare con la folla e le proponga programmi politici; opere letterarie o artistiche, deve uniformarsi

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e dovesse consigliare a un giovane un testoda leggere, il filosofo Mario Vegetti suggeri-rebbe la Repubblica di Platone, cui ha dedi-cato studi approfonditi. Se dovesse indicaretre autori canonici - a parte Platone - ci-terebbe Aristotele, Kant e Hegel; con un po-

® sto di riserva per Marx. Eppure nella nuovaStoria della, filosofia antica edita da Carocci, di cui Ve-getti è direttore scientifico con Franco Trabattoni, Plato-ne e Aristotele occupano solo un volume su quattro. L.appunto a partire da quest'opera che «la Lettura» hachiesto a due studenti magistrali di Filosofia e due diLettere classiche dell'Università Statale di Milano, tra i22 e i 23 anni, di «interrogare» Vegetti sulle questioni aloro avviso più interessanti in fatto di rapporti tra pen-siero classico e mondo attuale.

MARCO PELÜCCHI - Professore, perché una nuovaStoria dellafilosofia antica?

MARIO VEGETTI - Innanzitutto abbiamo ridistribu-ito i pesi, riducendo il rilievo del periodo classico (V-IVsecolo a .C.), che di solito fa la parte del leone , e amplian-do lo spazio della filosofia ellenistica e di quella dell'etàimperiale romana. Va superato il pregiudizio di Hegelper cui dopo Aristotele la filosofia antica entra in deca-denza. Al contrario il periodo ellenistico è fondamenta-le per l'etica, la logica, in fondo anche la fisica. E il pen-siero dell'età imperiale si sviluppa in un mondo globa-lizzato sotto il dominio di Roma , con un incontro-scon-tro tra filosofia, nuovi culti, religioni di salvezza che lorende ricco e problematico. Inoltre abbiamo ripristinatoun'attenzione alla storia della scienza in età antica, chenegli ultimi tempi si era ridotta, e abbiamo dato grandespazio alla politica.

MARCO PELÜCCHI - Che cosa significa riproporreun approccio storico alla filosofia?

MARIO VEGETTI-Non credo , come tendono a pen-sare gli ermeneuti , che l'unico oggetto della filosofia sia

la sua tradizione. C'è tutto un mondo là fuori che va in-terrogato, oltre i territori già esplorati dai nostri studi.Però se la filosofia perde il contatto con la tradiziones'impoverisce , perché nel pensiero antico c 'è un labora-torio enorme di problemi e soluzioni. Una storia dellafilosofia concepita in modo chiuso e specialistico rendeinaccessibile quel patrimonio, mentre noi abbiamo cer-cato di aprire le porte del laboratorio alla riflessionecontemporanea.

MARCO PROCOPIO -Ma ha senso fare filosofia og-gi?

MARIO VEGETTI - Quando una domanda pone unaquestione di senso, entriamo in campo filosofico. Chie-dersi se abbia senso fare filosofia è quindi di per séun'interrogazione filosofica. Da quando si è separatadalla ricerca scientifica, la filosofia si dedica al sensodell'esistenza, della politica, del passato, del futuro.Inoltre restano di sua pertinenza questioni di epistemo-logia, di teoria dell'argomentazione, di ontologia. C'èperò un altro punto che mi preme sottolineare, di frontealle chiacchiere che dominano la scena pubblica. Se c'èun lavoro che la filosofia può e deve fare, a partire dallascuola, è mettere ordine nel modo di pensare. Viviamoin un'epoca di grande disordine mentale. Si parla perslogan, frasi fatte, iterazioni retoriche. Ci si confrontacon gli strilli, le urla, gli insulti. Anche le persone inbuona fede faticano a costruire un ragionamento cheabbia pretese di validità generale . Se sostengo una tesi,devo definire quali argomenti la possono convalidare difronte all'interlocutore e quali invece eventualmentepermetterebbero di confutarla. Ma se mi limito a ripete-re degli slogan, il mio è un atteggiamento oppressivo.C'è quindi un bisogno disperato dell'ordine mentale chesolo la filosofia può dare. Succede a tutti i livelli, ma lospettacolo più eloquente sono i talk show televisivi: glistessi filosofi che vi partecipano non fanno che aggiun-gere confusione . Non per colpa loro: è il formato che ge-nera il caos. In quelle trasmissioni, se qualcuno cerca disviluppare un ragionamento, dopo due minuti lo inter-rompono. Così il pensiero viene di fatto impedito. Se la

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filosofia, oltre a riproporre le questioni di senso, riuscis-se a riordinare le forme della comunicazione, rendereb-be un buon servizio a tutti.

MARCO PROCOPIO - Ma perché studiare proprio lafilosofia antica?

MARIO VEGETTI - Me ne occupo da una vita, manon cessa di meravigliarmi la ricchezza delle discussio-ni e idee (alcune grandiose, alcune bizzarre, altre folli)proposte dagli antichi in fatto di etica, politica, metafisi-ca, teologia, cosmologia . E un ventaglio immenso di tesirivali. Ciò è avvenuto per-ché la filosofia antica è sta-ta la prima e per certiaspetti anche l'ultima for-ma di pensiero che si è svi-luppata senza presupporreun libro sacro, una rivela-zione, un'autorità di riferi-mento. Non c'era unaChiesa ad Atene, né qual-cosa di analogo . Quindi lafilosofia antica è il territo-rio della libertà di pensie-ro. Ciò vale anche per altrisettori del sapere. Adesempio in Grecia non esi-stevano facoltà di medici-na, quindi i medici eranoautoproclamati . Questoaveva degli inconvenienti, è chiaro, perché qualsiasiciarlatano poteva esercitare la professione. Ma la medi-cina classica, da Ippocrate a Galeno, ebbe uno straordi-nario sviluppo proprio perché non era obbligata a ri-spettare canoni fissi. Nell'antico Egitto, al contrario, ilmedico che praticasse una terapia non prevista dai librisacerdotali poteva essere punito anche con la morte.L'assenza di vincoli permetteva di sperimentare e deter-minava una forte competizione: i medici dovevano di-mostrare nei fatti di saper fare il loro mestiere . Lo stessoavveniva per il pensiero: il fascino della filosofia antica,

rispetto ad alare epoche, risiede nell'assoluta libertà delconfronto tra le idee.

FEDERICA GALANTE - Però Socrate venne condan-nato a morte con l'accusa di empietà.

MARIO VEGETTI - E vero. E c'è anche il caso di Anas-sagora, allontanato da Atene. D'altronde Platone lamen-ta spesso la pressione che la comunità politica, la vocedella folla, esercita sui singoli per indurli al conformi-smo. Resta però l'assenza di un libro dogmatico e diun'istituzione che lo faccia rispettare: questo è decisivo.

Il professor Mario Vegetti (a destra) e i suoiinterlocutori durante l ' incontro organizzatoda «la Lettura». A sinistra di Vegetti: Giulia Bernardinidi Varese ( 22 anni , studentessa di Lettere classiche)e Marco Pelucchi di Como ( 22 anni, studente diLettere classiche ). A destra del professore: FedericaGalante di Vignate in provincia di Milano (22 anni,studentessa di Filosofia ) e Marco Procopio di LameziaTerme in provincia di Catanzaro ( 23 anni , studente diFilosofia ). L'incontro si è svolto venerdì primo aprilenella sede del «Corriere» a Milano (Fotogramma)

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Persino sotto le grandi monarchie ellenistiche -regimiche peraltro io, un po' controcorrente, prediligo rispettca certi aspetti della democrazia classica - magari si do-veva rendere un tributo al re, ma nessuno era obbligatea essere stoico piuttosto che scettico o epicureo: la liber-tà di pensiero non era minacciata . Consentitemi qui ditornare alla medicina: proprio i sovrani ellenistici favo-rirono il progresso dell'anatomia attraverso la dissezio-ne dei cadaveri o addirittura la vivisezione dei condan-nati a morte , una pratica deplorevole , ma utile allo svi-luppo della scienza.

MARCO PROCOPIO - L'influenza omologante dellsfolla denunciata da Platone si avverte anche oggi?

MARIO VEGETTI - Nella polis c 'era una pressioneimmediata, perché ci si parlava faccia a faccia. Oggi kspinta al conformismo passa attraverso i media. Platonescrive, nel libro VI della Repubblica, che chiunque abbia che fare con la folla e le proponga programmi politici;opere letterarie o artistiche, deve uniformarsi ai suoi vo-leri. A me quel passo fa venire in mente i sondaggi. Qua-lunque politico oggi , prima di avanzare una proposta;commissiona un sondaggio per verificare l'orientamen-to. Il posto che aveva l'urlo della folla nelle assembleeateniesi è stato preso dalle indagini d'opinione, il cuiterribile effetto consiste nel registrare una normalitzche diventa subito normativa: tutti la pensano così equindi così bisogna fare. E un enorme inganno.

GIULIA BERNARDINI - Che ruolo deve assumerel'intellettuale in una situazione del genere?

MARIO VEGETTI - L'un problema antico. Platonescrive nella Lettera VII che ha deciso di andare a Siracu-sa, nel tentativo di convertire il tiranno della città alla fi-losofia, per non apparire un uomo capace soltanto diparole e non di azioni. Si parte da lì e si arriva all'impe-gno degli intellettuali novecenteschi , tipo Jean-Paul Sar-tre. Il mio parere personale è che ogni cittadino ha l'ob-bligo morale di partecipare alla vita pubblica. Ciò valeanche per i filosofi. Mi sembra più dubbio che l'intellet-

SEGUE A PAGINA E

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LE ILLUSTRAZIONIDI QUESTA PAGINAEDI PAGINA 5SONO DI SR. GARCIA

Il docenteNato a Milano nel 1937,

Mario Vegetti (nella foto inalto) è professore emerito

dell'Università di Pavia, doveha insegnato Storia della

filosofia antica. E autore diun ampio commento in sette

volumi alla Repubblica diPlatone (Bibliopolis, 1998-

2007), di cui ha realizzatoanche una traduzione con

relativa introduzione per laBur (2007). Tra le sue altre

opere: Il coltello e lo stilo(Il Saggiatore, 1979); L'etica

degli antichi (Laterza, 1989);Quindici lezioni su Platone

(Einaudi, 2003);Un paradigma in cielo. Platone

politico da Aristotele alNovecento (Carocci, 2009)

L"operaLa Storia della filosofia antica,

appena pubblicatadall'editore Carocci, è

un'opera in quattro volumi,realizzata sotto la direzione

scientifica di Mario Vegetti edi Franco Trabattoni. Il primo

volume, intitolato Dalleorigini a Socrate, è a cura di

Mauro Bonazzi (pagine 314,€ 29). Il secondo volume,

dedicato a Platone eAristotele, è a cura di Franco

Trabattoni (pagine 342,€31). II terzo volume

riguarda L'età ellenistica ed ècurato da Emidio Spinelli

(pagine 278, € 26). Il quartovolume copre il periodo

Dalla filosofia imperiale altardo antico ed è a cura di

Riccardo Chiaradonna(pagine 353, € 33).Ciascuno dei volumi

contiene contributi di diversiautori. Gli altri studiosi che

hanno partecipato allarealizzazione dell'operasono: Francesca Alesse,Thomas Bénatouïl, Aldo

Brancacci, Francesca Calabi,Elisabetta Cattanei, Tiziano

Dorandi, Filippo Forcignanò,Francesco Fronterotta,

Alberto Jori, Carlos Lévy,Alessandro Linguiti, Federico

Petrucci, Francesco Verde,Marco Zambon

CONTINUA DA PAGINA 3

tuale in quanto tale (non come cittadino, ma come per-sona dotata di una speciale competenza) possa svolgereun ruolo diretto in politica. Spesso di fronte ai problemiconcreti io non so che pesci pigliare, perché da filosofotendo a considerare le ragioni di entrambe le parti inconflitto. Così prendere una decisione diventa difficileper cui di solito è una scelta morale, non una riflessionefilosofica, che ci fa inclinare per una soluzione o l'altra.

GIULIA BERNARDINI - Si possono portare nella so-cietà le riflessioni maturate in ambito accademico?

MARIO VEGETTI - Oltre alle comparsale televisivedegli studiosi, oggi proliferano i festival culturali. Ma lepersone che vi assistono non dicono: vado ad ascoltareCacciari, Bodei o Vegetti. Dicono: vado a vedere. M'indu-ce a pensare che nei festival, più dei contenuti, conti lapartecipazione all'evento. Ma il guaio peggiore è chel'università, dopo le aperture degli anni Settanta, si è ri-chiusa su se stessa. Si è creato un discrimine tra probistudiosi, che non mettono mai il naso fuori dalle aule, epresenzialisti spettacolari, che sono sempre ai talkshow. Non è una situazione felice. Però dipende ancheda voi giovani. Un tempo gli studenti ponevano doman-de di senso. Oggi non più.

MARCO PROCOPIO - La nozione di felicità, centralenell'etica antica, oggi conserva lo stesso valore?

MARIO VEGETTI - No. Oggi la felicità è un senti-mento. Il rapporto con la persona amata, una sinfonia,un tramonto ci danno momenti di felicità. Per gli anti-chi la felicità è un impegno a trovare una forma annoni-ca di rapporto con l'esistenza, per stare bene con se stes-si e con gli altri. Richiede un lavoro lungo, faticoso, chedura una vita. Per Aristotele sarebbe stato assurdo dire:ho provato un attimo di felicità. E avrebbe consideratouna stupidaggine il diritto alla ricerca della felicità pro-clamato dalla Dichiarazione d'indipendenza americana.

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FEDERICA GALANTE - Oggi si tende a separare lagiustizia dai valori , mentre per Aristotele non si può sta-bilire che cosa è giusto senza una definizione di bene.Cosa ne pensa?

MARIO VEGETTI - Non credo che si possa costruireuna teoria della giustizia senza fare riferimento a valori:libertà, dignità, eguaglianza, tolleranza. Altrimenti ca-diamo nel positivismo , per cui la giustizia si risolve nelrispetto di norme puramente fonnali. Detto questo, siapre il problema di come individuare i valori. Possiamooggi accettare un'impegnativa ipotesi platonica per cuiil buono, il bello e il giusto sono idee che esistono a pre-scindere dalle norme vigenti? Direi di no: la questionedella loro oggettività e universalità è altamente contro-versa. Prendiamo la tolleranza. Non è detto che sia unvalore universale: per chi pratica una religione monotei-sta è difficile accettarla fino in fondo, perché la sua fedeè per definizione totalitaria. Se pensasse che tutti hannouna parte di ragione , non sarebbe un monoteista serio.Infatti il principio di tolleranza è stato imposto dall'Illu-minismo contro le tradizioni religiose. D'altronde noi ciproclamiamo tolleranti ma ci troviamo in difficoltà seincontriamo degli intolleranti. Tant'è vero che a volte libombardiamo in nome della tolleranza.

FEDERICA GALANTE - Perché Aristotele ha più suc-cesso di Platone tra gli studiosi di filosofia politica?

MARIO VEGETTI-Aristotele presenta una sobria te-oria della politica: spiega che cos'è la polis, come puòfunzionare, descrive le diverse forme costituzionali. Pla-tone non è un teorico, è un visionario, immagina altrimondi possibili. Noi abbiamo bisogno anche di utopia,senza la quale le teorie politiche diventano miopi e con-servatrici, però si capisce come mai gli studiosi preferi-scano Aristotele. La visione aristotelica è più consona alpensiero liberale oggi dominante: afferma una relativaindipendenza dell'individuo dalla comunità cui appar-tiene, difende la proprietà privata e la famiglia. Platonenon è democratico e tanto meno liberale. Aristotele de-storifica e naturalizza. Nel I libro della sua Politica tuttoesiste «per natura»: polis, famiglia, cittadino. Le formepolitiche, secondo Aristotele, non sono prodotti storici,ma entità naturali, come i fenomeni del regno animale ovegetale. Così la sua teoria, che pure riguarda la polis delAl secolo a.C., è diventata buona per tutte le stagioni, inquanto ipotizza una normalità astorica. In realtà si trattadi un dispositivo insidiosissimo , che legittima per natu-ra anche la schiavitù e la sottomissione della donna. Maspiega anche il duraturo successo di Aristotele.

MARCO PELUCCHI - La filosofia di epoca ellenisticae imperiale, prodotto di una realtà più vicina alla nostrarispetto alla polis, ha qualcosa da dire al mondo di oggi?

MARIO VEGETTI - Non in senso diretto : quegli au-tori non offrono soluzioni immediatamente trasferibilial giorni nostri . Però , secondo me , avremmo un gran bi-sogno di scetticismo: il primo passo per mettere ordinenel pensiero è sospendere l'adesione alle idee precon-cette. Sesto Empirico considerava lo scetticismo unapurga per la mente e credo che oggi una simile cura

contro slogan e luoghi comuni sia un valido punto dipartenza. Invece gli stoici, benché sostengano teorie chegiudico bizzarre, sono attuali per il loro rigore morale.Parlo meno degli epicurei, perché per loro non nutrograndi simpatie.

GIULIA BERNARDINI - Lo studio degli autori classi-ci a scuola serve ancora a formare i cittadini?

MARIO VEGETTI - Credo di sì, soprattutto perchéaiuta i giovani a prendere le distanze, a non pensare cheil mondo in cui vivono sia l'unico possibile . L'esplora-zione di una realtà diversa sollecita uno sguardo distac-cato, quindi più critico , sul nostro presente . Saremmomolto più poveri intellettualmente se non conoscessi-mo i classici. Non ne faccio una questione di radici iden-titarïe, che in realtà vengono sempre rimodellate, di ge-nerazione in generazione , a seconda dei nostri progetti.Si dice di solito che non c'è futuro senza passato ma iosostengo la tesi opposta : non c'è passato senza futuro. Cicostruiamo un passato, selezionando quello che ci inte-ressa della storia, in rapporto al futuro che vogliamo.Perciò le radici non sono un patrimonio da mettere incassaforte: per produrre cultura devono essere conti-nuamente reinterpretate e riplasmate.

MARCO PROCOPIO - Lei richiamava prima l'impor-tanza della scienza antica. Studiarne la storia serve soloal filosofi o anche agli scienziati?

MARIO VEGETTI - Ovviamente non si può fare il fi-losofo senza conoscere Aristotele, mentre un fisico puòignorare la fisica aristotelica. Tuttavia Ludovico Geymo-nat, uno dei miei maestri, si batté tutta la vita perché gliscienziati studiassero la storia delle loro discipline. Re-putava una ricerca scientifica consapevole del percorsoche ha portato allo stato attuale delle conoscenze senzadubbio migliore rispetto alla routine di laboratorio. Ilpericolo per gli scienziati è la parcellizzazione : fanno unlavoro meraviglioso ma rischiano di non avere una vi-sione d'insieme. Di recente, proprio sulla «Lettura», Ilfisico Carlo Rovelli ha scritto che la tanto deprecata Fisi-ca di Aristotele è importante anche, entro certi limiti,nella parte che riguarda la teoria del movimento, purchési faccia riferimento a corpi immersi in un fluido. Mi pa-re un esempio di come scienziati consapevoli possanoleggere utilmente le opere dei classici.

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FEDERICA GALANTE - Vorrei tornare al tema dellagiustizia. Nella Repubblica Platone ci presenta la posi-zione di Trasimaco, per cui la giustizia è l'utile del piùforte. E Socrate non riesce a confutarla definitivamente.Siamo condannati all'ingiustizia?

MARIO VEGETTI - Trasimaco sostiene che la leggecostituisce la norma di giustizia. Dato che a promulgarlasono coloro che detengono il potere, ne discende cheessi legiferano allo scopo di conservare e consolidare illoro predominio: perciò rispettare le leggi significa col-laborare al governo del più forte. Questa è la prima tesi,per certi versi imbattibile, di Trasimaco. La seconda af-ferma invece il conseguente prevalere dell'ingiustizia.Ed è assai più debole, perché se chi governa (un tirannoo una maggioranza democratica, poco importa) stabili-sce la legge in funzione del proprio potere, poi non hamotivo di trasgredirla. Infatti Socrate obietta a Trasima-co che ogni aggregazione umana deve rispettare dellenonne: anche una banda di ladri non può funzionare, sei suoi membri si derubano a vicenda. La prima tesi ci ri-porta invece alla questione dei valori: per confutarla bi-sogna dimostrare che esiste un ordine di princìpi uni-versali e oggettivi, le idee, indipendenti dalla legislazio-ne in vigore. Così viene meno l'identità tra nonna di leg-ge e nonna di giustizia sostenuta da Trasimaco. Ma perquesto occorre individuare un criterio di giustizia chepreceda la legge, in base al quale valutare se una normaè giusta o ingiusta, se va rispettata oppure no: un pro-blema filosofico di assai difficile soluzione.

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