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C M Y K • Numero 2, Martedì 21 Giugno 2016 Il progetto di ricerche preisto- riche nell’Oasi di Farafra fu iniziato nel 1987 da Barbara E. Barich, al- lora Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza Uni- versità di Roma. Sin dall’inizio la concessione ufficiale del Ministero delle Antichità Egiziane ha com- preso l’intera depressione di Fara- fra, la più ampia del Deserto Oc- cidentale con i suoi circa 10.000 Kmq. Attualmente la Missione è co-diretta dalla stessa Barbara E. Barich e da Giulio Lucarini, Uni- versità di Cambridge e viene orga- nizzata nell’ambito dell’ISMEO con finanziamenti del MAE e dell’Università di Cambridge. Attraverso 20 missioni sul terre- no e studi dell’équipe multidisci- plinare l’Oasi di Farafra, un terri- torio inizialmente sconosciuto, ha conquistato il suo posto nella storia culturale nell’Egitto pre-protosto- rico saldamente ancorato alla ri- costruzione archeologica, geo- morfologica, paleo-climatica e bioarcheologica del territorio. Tut- to ciò è documentato dalla recen- tissima pubblicazione monografica “From Lake to Sand – The Ar- chaeology of Farafra Oasis” con il suo ricchissimo repertorio carto- grafico, topografico e l’ampia do- cumentazione grafica e fotografica, frutto dell’applicazione delle più attuali metodologie della ricerca sul terreno e dell’uso di archivi di- gitali. L’insediamento umano del ter- ritorio di Farafra, le cui prime tes- timonianze risalgono alla Middle Stone Age (Pleistocene Superiore), si andò sviluppando in forma continuativa dagli inizi dell’Olo- cene, raggiungendo la massima in- tensità nel Medio Olocene. Tra il 6600 e il 5000 cal a.C. l’Oasi do- cumenta una sequenza di abita- zione (scandita in tre fasi: A-C) le- gata a particolari condizioni favorevoli di umidità che alimen- tarono la presenza di laghi tempo- ranei (playas) presso i quali si orga- nizzarono dei veri primitivi villaggi. A questo sviluppo, che corrispon- de alla massima fioritura anche delle altre principali oasi del De- serto Occidentale - Dakhla e Kharga - seguono tra 5000 e 2500 a.C. fasi intermittenti di occupa- zione con ripresa di umidità fino al completo instaurarsi del deserto. Le indagini condotte soprattutto nella regione settentrionale della depressione di Farafra, intorno allo Wadi El Obeiyid, hanno eviden- ziato un altissimo numero di siti tra cui emergono per l’importanza delle strutture i villaggi di Hidden Valley e di Sheikh el Obeiyid, tes- timonianza della trasformazione in atto nella regione tra 5750 e 5300 a.C. con l’emergere di una cultura neolitica caratterizzata da maggiore complessità sociale. Questo è visibile sia attraverso le elaborate strutture di abitazione, sia attraverso lo sviluppo di un alto standard nella manifattura litica bifacciale. Sono note anche alcune grotte due delle quali, entrambe situate a pochi chilometri da Hid- den Valley, hanno restituito un bel complesso di pitture e incisioni di arte rupestre che ci tramandano il mondo simbolico delle genti che abitarono la zona. Nel Villaggio di Hidden Valley, dai numerosi focolari presenti nei fondi di capanna, si sono rinvenuti resti di graminacee spontanee della famiglia del miglio e del sorgo, sfruttati intensivamente attraverso una forma di raccolta organizzata, vera base dell’economia locale. Sorprendente è stato anche il rin- venimento di resti di caprini sin dagli inizi della sequenza di occu- pazione. La presenza della capra, estranea alle risorse autoctone nor- dafricane e importata in rapporto all’instabilità demografica del Vi- cino Oriente alla fine del 7° mil- lennio a.C., stabilisce significativi rapporti con le comunità delle re- gioni orientali e determina la tras- formazione dell’economia con l’introduzione del primo alleva- mento animale. In questo modo il territorio di Farafra viene a confi- gurarsi come sede di un processo economico che associa raccolta in- tensiva e pastoralismo. Una forma locale di adattamento economico neolitico che anticipa la vera eco- nomia agro-pastorale e che, nel corso delle fasi più aride dell’Olo- cene (>5000 a.C.), si spostò verso la Valle del Nilo e anche verso altre regioni dell’ovest nordafrica- no. Barbara E. Barich Missione Archeologica Italiana nell’Oasi di Farafra, Deserto Occidentale, Egitto Dionysias, oggi Qasr Qaroun, è un borgo fon- dato nel III secolo a.C. all’estremità nord-occi- dentale del Fayyum e abi- tato fino agli inizi del VII secolo d.C. Dal XVII se- colo il tempio fu confuso con il famoso labirinto descritto da Erodoto (poi correttamente localizzato ad Hawara) e fu visitato da molti viaggiatori e ar- cheologi. Negli anni ‘40 e ’50 del secolo scorso una missione franco-svizzera ha scavato le caserme che avevano ospitato un’unità militare inviata da Roma e alcuni quartieri con abi- tazioni e officine. Il nuovo progetto dell’Università di Siena, iniziato nel 2009 e ancora in corso, ha l’obiet- tivo di ricostruire la storia e l’archeologia del sito at- traverso nuove informa- zioni elaborate con metodi e tecniche non distruttivi (GPS satellitare, analisi delle immagini aeree e sa- tellitari, applicazioni geo- fisiche, rilievi con stazione totale, archeologia dell’ar- chitettura, mappatura e classificazione degli stru- menti in pietra e dei ma- teriali visibili in superficie, analisi archeometriche). Dionysias fu costruita durante il regno dei primi Tolomei, in parte sopra il lago Qaroun prosciugato dalle opere di bonifica del Fayyum e in parte su uno strato di calcarenite natu- rale. Il centro fu progetta- to con un impianto rego- lare, con un asse principale corrispondente alla via delle processioni (dromos) con un orienta- mento di 118, 5°. Gli iso- lati di forma quadrata o rettangolare furono piani- ficati usando il khet = 100 cubiti reali = 52.3 metri. Le vie avevano misure fisse a seconda della loro im- portanza, da 6.5 metri fino a 50 centimetri. All'interno degli isolati si trovavano le case-torri a cortile, due luoghi di culto che in base ai papiri pos- siamo attribuire ad Arpo- crate e a Bubaste, almeno tre terme, magazzini e gra- nai, botteghe, officine e oleifici. La maggior parte delle strutture furono costruite con la calcarenite locale, che si poteva cavare vicino al villaggio, seguendo 12 tipi di tecniche edilizie a seconda della destinazione degli edifici (per esempio i templi) e delle disponi- bilità economiche dei committenti. I mattoni crudi furono a Dionysias poco utilizzati, così come i mattoni cotti impiegati solo nei bagni pubblici. Del tutto assenti sono i materiali per l'edilizia im- portati da fuori come i marmi o i graniti egiziani. L'acqua per il villaggio era attinta, probabilmente attraverso ruote idrau- liche, da due canali artifi- ciali che scorrevano a sud della città e che servivano anche come vie di comu- nicazione e per il trasporto di uomini e merci. L’edificio principale del villaggio era il tempio, costruito nel II-I secolo a.C. e dedicato al dio-coc- codrillo Sobek, fino a oggi conosciuto solo attraverso alcuni disegni incompleti. Si articolava in 4 antica- mere e in un sacello con tabernacoli e nicchie. Ac- canto alle sale principali del piano terra si trovava- no altri ambienti: cappelle di culto, ripostigli per og- getti liturgici e una stanza per il guardiano accanto alla porta secondaria. At- traverso due rampe di sca- le si poteva salire al primo e al secondo piano con cortili e ambienti serviti da corridoi. In cima si tro- vava l'attico a cielo aperto con una cappella (wabet), per la celebrazione di par- ticolari riti. Il tempio era completato da un sacello esterno appoggiato al muro di fondo di cui sono rimaste poche tracce (“contra-temple”). In ag- giunta alle 23 stanze ac- cessibili, furono costruite almeno 30 cripte segrete, sotto ai pavimenti, dentro lo spessore dei muri e die- tro alle pareti. L'ingresso a questi am- bienti era nascosto da macchinosi sistemi di chiusura. Nei magazzini del Supre- me Council sono stati re- cuperati statue e rilievi rinvenuti durante alcuni lavori di restauro, insieme a centinaia di papiri e testi su cocci di terracotta (os- traka), che contribuiranno a fornire ulteriori dati sul villaggio e sul tempio in- sieme alle nuove informa- zioni che abbiamo ricreato con questo progetto ar- cheologico. Emanuele Papi Dionysias / Qasr Qaroun Questa Edizione de “Il Progresso Imparziale” e’ focalizzata sulle atti- vita’ delle Missioni Archeologiche Italiane in Egitto. Lascio quindi alla penna della Prof.ssa Giuseppina Capriotti, Ma- nager del Centro Archeologico Ita- liano al Cairo, il compito di illustrare tali attivita’. Pero’ la data del 21 Giugno, sol- stizio d’Estate, e’ anche la “Festa della musica” nel mondo: occorre quindi trattare anche tale argomen- to. La data e’ suggestiva, perche’ se- condo la tradizione, il giorno del solstizio e’ anche quello della “Porta degli inferi”, che prelude al racchiu- dersi della natura dopo la matura- zione delle messi e la nascita dei figli di quasi tutte le creature viventi. E cosa c’e’ di piu’ magico della musi- ca? Un linguaggio universale, che puo’ ispirare i piu’ opposti senti- menti e le reazioni piu’ imprevedi- bili nell’ascoltare: certo la musica non lascia indifferenti. Per l’Egitto ho pensato di celebrare la ricorrenza con una “guida all’ascolto” della famosa Aria “l’Alba separa dal- la luce l’ombra”, musica di Tosti su parole di D’Annunzio, insieme al gruppo di melomani “The Friends of Opera”. Con questa “guida” si intende non solo dare le informa- zioni essenziali sull’impostazione ar- monica della melodia, ma anche di- mostrare come Tosti scelse i motivi musicali nella maniera piu’ consona a commentare il testo misterioso della poesia, denso di riferimenti alla religione dei Faraoni. Ecco perche’ l’ho scelto, anche in occasione del centenario della morte del grande compositore (1916). Ma la celebrazione della musica italiana non finisce qui: il 24 all’Opera del Cairo, il Maestro Da- vide Crescenzi dirigera' l’orchestra dell'opera, durante il cosiddetto “Concerto di Ramadan”, nell'ese- cuzione del pezzo inedito “Sulle Onde del Canale”, una sinfonia commissionata dallo scrivente un anno fa al giovane compositore ita- liano Saverio Santoni. Come tutti ricordano, nell’estate 2015 venne inaugurato il nuovo Canale di Suez: si parva licet compo- nere magnis, mi venne in mente di ripetere cio’ che Verdi fece per cele- brare il primo canale di Suez alla fine dell’Ottocento: egli compose la sua celeberrima opera “Aida” per l’occasione. Nel nostro caso non avrei mai osato chiedere tanto, ma almeno una sinfonietta avrebbe po- tuto essere composta. Santoni ha composto una bella musica, accat- tivante, classica e moderna ad un tempo, amabile, romantica senza essere antiquata e sono certo che il pubblico egiziano la apprezzera’ molto. In questo caso il concerto del 24 giugno si aprira’ alle 21.30 all’Opera. Poiche’ la musica inter- essa tutti e, come dicevo, parla a tutti, ho anche pensato di dedicare i miei articoli settimanali del mese di giugno sul “Progrès” proprio agli argomenti musicali; non a caso ho iniziato, la scorsa settimana, con il racconto del Concerto di Pavarotti in Cina, in una specie di legame ideale tra il tema del mese di Mag- gio e quello del mese di Giugno. Paolo Sabbatini Archeologia e Musica ...Da Giza si prendeva un altro tram e si partiva per un lungo percorso in campagna. Le piramidi apparivano lontane, ci voleva tempo a raggiungerle, ci si preparava all’in- contro ed erano circondate da solitudine. Ma poi si poteva scalarle, sentire la dimen- sione dei singoli blocchi, ansimare fino alla vetta, e vedere dall’alto l’ordine delle necro- poli che le circondavano, e a oriente la città lontana, a occidente il deserto ancora vera- mente tale. Si poteva sentire direttamente il valore ultimo di quegli immensi monu- menti, la loro semplice razionalità opposta alla primordiale fluidità dell’ambiente che esse dominavano. ...Tutto l’anno era scandito dall’attesa, dalla presenza, dall’impiego dell’inondazio- ne. Al Cairo, se si passava allora sul ponte di Qasr el Nil, se ne sentiva la struttura fremere sotto i piedi (o sotto le mani se si toccavano i parapetti) allo sforzo di resistere alla spaven- tosa energia dell’acqua che in città scorreva, rapidissima, costretta fra le due sponde. Ma in campagna era un’altra cosa: i vil- laggi emergevano appena al di sopra di una distesa di quiete acque infinite, al massimo increspate dal vento. Le strade, sui vecchi argini, erano spesso sommerse anch’esse, e chi vi camminava metteva i piedi su un tracciato che conosceva a memoria. ...L’inondazione non c’è più, dopo la cos- truzione dell’ultima grande diga ad Aswân... Sergio Fabrizio Donadoni, El brugress ma- shi – Un Egitto di prima, in “Tra le palme del Piceno, Egitto Terra del Nilo”, 2002. Le missioni italiane in Egitto: una lunga tradizione punteggiata sì di scoperte, ma soprattutto intessuta di un impegno soli- do e spesso silenzioso, operoso e intelli- gente, al servizio dello straordinario patri- monio culturale della Terra del Nilo. E allora come parlarne senza pensare al grande decano degli egittologi italiani, Sergio Donadoni, che ha condiviso il suo percorso culturale fino allo scorso 31 ot- tobre, raggiungendo la bella età di 101 anni. L'aspetto austero, i gesti misurati ed essenziali di un antico sapiente o di un asceta dell'alto Egitto. Donadoni aveva conosciuto un Egitto che non c'è più e che rivedeva nel testo citato, concludendo: Se può parere che ogni tanto ci sia stata non solo memoria ma rimpianto, è evidente che questo è solo un fatto personale: in una conversazione fra due compagni di viaggio carpita su un treno sudanese, una frase mi è restata impressa, a esorcizzare la nostalgia : “el brugress mashi”. Speriamo bene . Così Donadoni ha attraversato quasi un secolo di egittologia, testimone di un'archeologia che cambiava insieme all'Egitto, traghettando un mondo di conoscenze e tradizioni. In un lavoro solerte e con lo sguardo acuto, che non privilegia lo scoop; con la dedizione che, volta a salvare i monumenti della Nu- bia, non si limitò ai grandiosi resti fa- raonici, ma salvò dalle acque anche le più umili chiese copte. L'archeologia che oggi le missioni ita- liane praticano in Egitto è forte di questa tradizione correndo tuttavia sull'onda delle tecnologie più avanzate. Esse lavo- rano nei vari ambienti che compongono il peculiare paesaggio del paese, dal sud, nell'area di Aswan, lungo la Valle, fino al Delta, per arrivare al Mediterraneo; dal deserto occidentale con le sue oasi, fino all'aspro deserto orientale con le sue cave e miniere e al Mar Rosso. Gli ambienti storici sono anch'essi i più vari, dalla preistoria, al periodo faraonico, all'epoca romana e a quella copta e isla- mica. Accanto all'impegno archeologico corre di pari passo quello per la conser- vazione e i restauro, secondo la più alta tradizione italiana. Si presenta qui una prima panoramica sul lavoro attuale delle missioni italiane in Egitto. Giuseppina Capriotti Vittozzi “El brugress mashi” L’archeologia italiana in Egitto Quand’ero ragazzo ebbi la fortuna di passare un po’ di tempo con mio nonno, che dopo essersi ritirato dal lavoro come portatore/ hamal ( a Genova si dice camallo) dentro un negozio di olive e olio a Beirut, si era ritirato nel nostro villaggio sulle colline dello Chouf nel Monte del Libano a fare le piccole cose a cui teneva: so- prattutto curare gli olivi in campagna. Andavo con lui ad aiutarlo, nei ter- reni dove si trovavano terrazze con olivi e qualche pianta di fico: erano puntellate con muri a secco, costruiti con pietre tagliate chi sa quando e messe una sopra l’altra. Costruire muri a secco è un tecnica comune a tutti i Paesi del Mediterraneo, per creare fasce in cui si coltivano le piante di olivo e gli aberi da frutta; nei contorni si piantano i fichi d'india e carrubi. La tecnica è semplice, ogni pietra deve avere il suo posto, e deve in qualche modo incastrarsi con la sua vicina. Perché parlo di questo? Perchè per fare i muri a secco ci vuole tanta pazienza, occorre scegliere le pietre e metterle in un ordine che sembra casuale ma deve essere perfet- to: altrimenti crolla tutto. Alla fine si ottiene un muro che deve sorreggere e contenere la terra su cui nascono gli olivi e le altre piante, resistendo a pres- sioni anche molto forti . Sembra una cosa banale fare un muro a secco, ma non lo è: trasportare le pietre , metterle con cura e diligenza e poi spostare a mano la terra dietro, sono lavori che necessitano attenzione, esperienza e maestria. Oggi abbiamo bisogno di costruire e proteggere le nostre piante, le nostre piante ci daranno frutto nel futuro: quindi possiamo dire che la cultura del semplice contadino, cioe’ quella di conservare il bene, e’ un esempio per la nostra quotidiana missione, fare con pazienza, curare quello che ab- biamo ereditato di conoscenza e sa- pienza. Fare le cose con coscienza rispettando le leggi e la natura, evita disastri: un muro non curato crolla e trascina con se’ le nostre piante. Biso- gna curare le cose e le persone con il rispetto degli altri. Per curare le sue piante di olivo, mio nonno metteva il “tutore” : un bastone di legno forte che doveva sostenere la pianta quando in inverno tirava vento e cadeva la pioggia. I nostri figli sono le nostre piante, dobbiamo educarli al rispetto del prossimo, farli crescere in terreno fer- tile di cultura educandoli ad avere rispetto per se’ e per gli altri, per le idee altrui e per le altrui culture. Mio nonno mi ha insegnato che giorno dopo giorno vanno osservate le piante e i muri a secco che le contengono. Portavamo sul dorso di un asino l’acqua per da bere alle piante piccole e all’inizio dell’autunno occorreva mettere concime. Poi si arava il terre- no e lo si puliva dai sassi e dalle erbac- ce, in modo che, quando le olive sa- rebbero mature, potessero cadere su un terreno pulito. Tante cose si imparano curando le olive e le piante. Ogni albero ha bisogno del suo spazio e della luce che deve penetrare nei rami. Così sono cresciuto, con tenacia e pazienza nel fare le cose e rispetto del prossimo. Dopo tanti anni non dimentico quelle giornate dedicate a portare l’ac- qua per le piante di olivo , e a control- lare e riparare il muro che contiene la terra fertile, pulita e curata. Dopo la mia infanzia e adolescenza sulle colline del Monte del Libano, nello Chouf, dove sono cresciuto e dove d’estate aiutavo mio padre nella falegnameria, una volta compiuti i mei studi di Liceo, ho studiato l’Ita- liano all’Istituto di Cultura Italiano di Beirut. In seguito il grande viaggio in Italia, per laurearmi in Ingegneria Civile alla Universita’degli studi di Genova. Dopo, tanti anni di lavoro in Italia come ingegnere e come diri- gente, avendo costitutito una bellissi- ma famiglia con una moglie italiana. Abbiamo cercato di fare crescere i nostri figli con la stessa cura che bisogna avere per una pianta di olivo. Oggi sono in Egitto come respon- sabile della mia società, una Coope- rativa CMC ( www.cmcra.com ) fat- ta di tante persone oneste che hanno deciso di lavorare insieme per costruire un futuro migliore. Ora la CMC sta facendo un lavoro importante: scavare due tunnel a Ismailia sotto i canali di Suez, per trasporti di persone e prodotti nella Penisola del Sinai. Nel progetto sono impegnati in Egitto più di trenta italiani, tra inge- gneri, tecnici e operatori, insieme ad altre tre imprese (una francese e due egiziane). Gia’ venti anni fa la CMC aveva realizato “El Salaam Syphon Under Suez Canal”, per portare l’acqua po- tabile nella Penisola del Sinai, dove spero potranno nascere piante che daranno tanti frutti. Amer El Abed A proposito di scavi... Editoriale Il Progresso imparziale Inserto mensile in lingua italiana del Quotidiano “Le Progrès Égyptien” dedicato alla cultura e all'attualità culturale • Scavo di una struttura da Sheikh el Obeiyid

Istituto Di Cultura - Ilcairoiiccairo.esteri.it/iic_ilcairo/resource/doc/2016/...Created Date: 9/29/2016 4:14:42 AM

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  • C M Y K

    • Numero 2, Martedì 21 Giugno 2016

    Il progetto di ricerche preisto-riche nell’Oasi di Farafra fu iniziatonel 1987 da Barbara E. Barich, al-lora Dipartimento di Scienzedell’Antichità della Sapienza Uni-versità di Roma. Sin dall’inizio laconcessione ufficiale del Ministerodelle Antichità Egiziane ha com-preso l’intera depressione di Fara-fra, la più ampia del Deserto Oc-cidentale con i suoi circa 10.000Kmq. Attualmente la Missione èco-diretta dalla stessa Barbara E.Barich e da Giulio Lucarini, Uni-versità di Cambridge e viene orga-nizzata nell’ambito dell’ISMEOcon finanziamenti del MAE edell’Università di Cambridge.Attraverso 20 missioni sul terre-no e studi dell’équipe multidisci-plinare l’Oasi di Farafra, un terri-torio inizialmente sconosciuto, haconquistato il suo posto nella storiaculturale nell’Egitto pre-protosto-rico saldamente ancorato alla ri-costruzione archeologica, geo-morfologica, paleo-climatica ebioarcheologica del territorio. Tut-to ciò è documentato dalla recen-tissima pubblicazione monografica“From Lake to Sand – The Ar-

    chaeology of Farafra Oasis” con ilsuo ricchissimo repertorio carto-grafico, topografico e l’ampia do-cumentazione grafica e fotografica,frutto dell’applicazione delle piùattuali metodologie della ricercasul terreno e dell’uso di archivi di-gitali.L’insediamento umano del ter-ritorio di Farafra, le cui prime tes-timonianze risalgono alla MiddleStone Age (Pleistocene Superiore),si andò sviluppando in formacontinuativa dagli inizi dell’Olo-cene, raggiungendo la massima in-

    tensità nel Medio Olocene. Tra il6600 e il 5000 cal a.C. l’Oasi do-cumenta una sequenza di abita-zione (scandita in tre fasi: A-C) le-gata a particolari condizionifavorevoli di umidità che alimen-tarono la presenza di laghi tempo-ranei (playas) presso i quali si orga-nizzarono dei veri primitivi villaggi.A questo sviluppo, che corrispon-de alla massima fioritura anchedelle altre principali oasi del De-serto Occidentale - Dakhla eKharga - seguono tra 5000 e 2500a.C. fasi intermittenti di occupa-

    zione con ripresa di umidità finoal completo instaurarsi del deserto.Le indagini condotte soprattuttonella regione settentrionale delladepressione di Farafra, intorno alloWadi El Obeiyid, hanno eviden-ziato un altissimo numero di sititra cui emergono per l’importanzadelle strutture i villaggi di HiddenValley e di Sheikh el Obeiyid, tes-timonianza della trasformazionein atto nella regione tra 5750 e5300 a.C. con l’emergere di unacultura neolitica caratterizzata damaggiore complessità sociale.Questo è visibile sia attraverso leelaborate strutture di abitazione,sia attraverso lo sviluppo di un altostandard nella manifattura liticabifacciale. Sono note anche alcunegrotte due delle quali, entrambesituate a pochi chilometri da Hid-den Valley, hanno restituito unbel complesso di pitture e incisionidi arte rupestre che ci tramandanoil mondo simbolico delle genti cheabitarono la zona.Nel Villaggio di Hidden Valley,dai numerosi focolari presenti neifondi di capanna, si sono rinvenutiresti di graminacee spontanee della

    famiglia del miglio e del sorgo,sfruttati intensivamente attraversouna forma di raccolta organizzata,vera base dell’economia locale.Sorprendente è stato anche il rin-venimento di resti di caprini sindagli inizi della sequenza di occu-pazione. La presenza della capra,estranea alle risorse autoctone nor-dafricane e importata in rapportoall’instabilità demografica del Vi-cino Oriente alla fine del 7° mil-lennio a.C., stabilisce significativirapporti con le comunità delle re-gioni orientali e determina la tras-formazione dell’economia conl’introduzione del primo alleva-mento animale. In questo modo ilterritorio di Farafra viene a confi-gurarsi come sede di un processoeconomico che associa raccolta in-tensiva e pastoralismo. Una formalocale di adattamento economiconeolitico che anticipa la vera eco-nomia agro-pastorale e che, nelcorso delle fasi più aride dell’Olo-cene (>5000 a.C.), si spostò versola Valle del Nilo e anche versoaltre regioni dell’ovest nordafrica-no.

    Barbara E. Barich

    Missione Archeologica Italiana nell’Oasi di Farafra, Deserto Occidentale, EgittoDionysias, oggi QasrQaroun, è un borgo fon-dato nel III secolo a.C.all’estremità nord-occi-dentale del Fayyum e abi-tato fino agli inizi del VIIsecolo d.C. Dal XVII se-colo il tempio fu confusocon il famoso labirintodescritto da Erodoto (poicorrettamente localizzatoad Hawara) e fu visitatoda molti viaggiatori e ar-cheologi. Negli anni ‘40 e’50 del secolo scorso unamissione franco-svizzeraha scavato le caserme cheavevano ospitato un’unitàmilitare inviata da Romae alcuni quartieri con abi-tazioni e officine. Il nuovoprogetto dell’Università diSiena, iniziato nel 2009 eancora in corso, ha l’obiet-tivo di ricostruire la storiae l’archeologia del sito at-traverso nuove informa-zioni elaborate con metodie tecniche non distruttivi(GPS satellitare, analisidelle immagini aeree e sa-tellitari, applicazioni geo-fisiche, rilievi con stazionetotale, archeologia dell’ar-chitettura, mappatura eclassificazione degli stru-menti in pietra e dei ma-teriali visibili in superficie,analisi archeometriche). Dionysias fu costruitadurante il regno dei primiTolomei, in parte sopra illago Qaroun prosciugatodalle opere di bonifica delFayyum e in parte su unostrato di calcarenite natu-rale. Il centro fu progetta-to con un impianto rego-lare, con un asseprincipale corrispondentealla via delle processioni(dromos) con un orienta-mento di 118, 5°. Gli iso-lati di forma quadrata orettangolare furono piani-ficati usando il khet = 100cubiti reali = 52.3 metri.Le vie avevano misure fissea seconda della loro im-portanza, da 6.5 metri

    fino a 50 centimetri.All'interno degli isolati sitrovavano le case-torri acortile, due luoghi di cultoche in base ai papiri pos-siamo attribuire ad Arpo-crate e a Bubaste, almenotre terme, magazzini e gra-nai, botteghe, officine eoleifici.La maggior parte dellestrutture furono costruitecon la calcarenite locale,che si poteva cavare vicinoal villaggio, seguendo 12tipi di tecniche edilizie aseconda della destinazionedegli edifici (per esempioi templi) e delle disponi-bilità economiche deicommittenti. I mattonicrudi furono a Dionysiaspoco utilizzati, così comei mattoni cotti impiegatisolo nei bagni pubblici.Del tutto assenti sono imateriali per l'edilizia im-portati da fuori come imarmi o i graniti egiziani.L'acqua per il villaggioera attinta, probabilmenteattraverso ruote idrau-liche, da due canali artifi-ciali che scorrevano a suddella città e che servivanoanche come vie di comu-nicazione e per il trasportodi uomini e merci. L’edificio principale delvillaggio era il tempio,costruito nel II-I secoloa.C. e dedicato al dio-coc-codrillo Sobek, fino a oggiconosciuto solo attraversoalcuni disegni incompleti.Si articolava in 4 antica-mere e in un sacello con

    tabernacoli e nicchie. Ac-canto alle sale principalidel piano terra si trovava-no altri ambienti: cappelledi culto, ripostigli per og-getti liturgici e una stanzaper il guardiano accantoalla porta secondaria. At-traverso due rampe di sca-le si poteva salire al primoe al secondo piano concortili e ambienti servitida corridoi. In cima si tro-vava l'attico a cielo apertocon una cappella (wabet),per la celebrazione di par-ticolari riti. Il tempio eracompletato da un sacelloesterno appoggiato almuro di fondo di cui sonorimaste poche tracce(“contra-temple”). In ag-giunta alle 23 stanze ac-cessibili, furono costruitealmeno 30 cripte segrete,sotto ai pavimenti, dentrolo spessore dei muri e die-tro alle pareti. L'ingresso a questi am-bienti era nascosto damacchinosi sistemi dichiusura.Nei magazzini del Supre-me Council sono stati re-cuperati statue e rilievirinvenuti durante alcunilavori di restauro, insiemea centinaia di papiri e testisu cocci di terracotta (os-traka), che contribuirannoa fornire ulteriori dati sulvillaggio e sul tempio in-sieme alle nuove informa-zioni che abbiamo ricreatocon questo progetto ar-cheologico.

    Emanuele Papi

    Dionysias / Qasr Qaroun

    Questa Edizione de “Il ProgressoImparziale” e’ focalizzata sulle atti-vita’ delle Missioni ArcheologicheItaliane in Egitto. Lascio quindi alla penna dellaProf.ssa Giuseppina Capriotti, Ma-nager del Centro Archeologico Ita-liano al Cairo, il compito diillustrare tali attivita’. Pero’ la data del 21 Giugno, sol-stizio d’Estate, e’ anche la “Festadella musica” nel mondo: occorrequindi trattare anche tale argomen-to. La data e’ suggestiva, perche’ se-condo la tradizione, il giorno delsolstizio e’ anche quello della “Portadegli inferi”, che prelude al racchiu-dersi della natura dopo la matura-zione delle messi e la nascita dei figlidi quasi tutte le creature viventi. Ecosa c’e’ di piu’ magico della musi-ca? Un linguaggio universale, chepuo’ ispirare i piu’ opposti senti-menti e le reazioni piu’ imprevedi-bili nell’ascoltare: certo la musicanon lascia indifferenti. Per l’Egitto ho pensato di celebrarela ricorrenza con una “guida all’ascolto”della famosa Aria “l’Alba separa dal-la luce l’ombra”, musica di Tosti suparole di D’Annunzio, insieme algruppo di melomani “The Friendsof Opera”. Con questa “guida” siintende non solo dare le informa-

    zioni essenziali sull’impostazione ar-monica della melodia, ma anche di-mostrare come Tosti scelse i motivimusicali nella maniera piu’ consonaa commentare il testo misteriosodella poesia, denso di riferimentialla religione dei Faraoni. Ecco perche’ l’ho scelto, anche inoccasione del centenario della mortedel grande compositore (1916).Ma la celebrazione della musica

    italiana non finisce qui: il 24all’Opera del Cairo, il Maestro Da-vide Crescenzi dirigera' l’orchestradell'opera, durante il cosiddetto“Concerto di Ramadan”, nell'ese-cuzione del pezzo inedito “SulleOnde del Canale”, una sinfoniacommissionata dallo scrivente unanno fa al giovane compositore ita-liano Saverio Santoni. Come tutti ricordano, nell’estate2015 venne inaugurato il nuovoCanale di Suez: si parva licet compo-nere magnis, mi venne in mente diripetere cio’ che Verdi fece per cele-brare il primo canale di Suez allafine dell’Ottocento: egli compose lasua celeberrima opera “Aida” perl’occasione. Nel nostro caso nonavrei mai osato chiedere tanto, maalmeno una sinfonietta avrebbe po-tuto essere composta. Santoni hacomposto una bella musica, accat-tivante, classica e moderna ad un

    tempo, amabile, romantica senzaessere antiquata e sono certo che ilpubblico egiziano la apprezzera’molto. In questo caso il concertodel 24 giugno si aprira’ alle 21.30all’Opera. Poiche’ la musica inter-essa tutti e, come dicevo, parla atutti, ho anche pensato di dedicare imiei articoli settimanali del mese digiugno sul “Progrès” proprio agliargomenti musicali; non a caso hoiniziato, la scorsa settimana, con ilracconto del Concerto di Pavarottiin Cina, in una specie di legameideale tra il tema del mese di Mag-gio e quello del mese di Giugno.

    Paolo Sabbatini

    Archeologia e Musica

    ...Da Giza si prendeva un altro tram e sipartiva per un lungo percorso in campagna.Le piramidi apparivano lontane, ci volevatempo a raggiungerle, ci si preparava all’in-contro ed erano circondate da solitudine.Ma poi si poteva scalarle, sentire la dimen-sione dei singoli blocchi, ansimare fino allavetta, e vedere dall’alto l’ordine delle necro-poli che le circondavano, e a oriente la cittàlontana, a occidente il deserto ancora vera-mente tale. Si poteva sentire direttamente ilvalore ultimo di quegli immensi monu-menti, la loro semplice razionalità oppostaalla primordiale fluidità dell’ambiente cheesse dominavano....Tutto l’anno era scandito dall’attesa,

    dalla presenza, dall’impiego dell’inondazio-ne. Al Cairo, se si passava allora sul ponte diQasr el Nil, se ne sentiva la struttura fremeresotto i piedi (o sotto le mani se si toccavano iparapetti) allo sforzo di resistere alla spaven-tosa energia dell’acqua che in città scorreva,rapidissima, costretta fra le due sponde.Ma in campagna era un’altra cosa: i vil-

    laggi emergevano appena al di sopra di unadistesa di quiete acque infinite, al massimoincrespate dal vento. Le strade, sui vecchiargini, erano spesso sommerse anch’esse, echi vi camminava metteva i piedi su untracciato che conosceva a memoria....L’inondazione non c’è più, dopo la cos-

    truzione dell’ultima grande diga adAswân...Sergio Fabrizio Donadoni, El brugress ma-

    shi – Un Egitto di prima, in “Tra le palmedel Piceno, Egitto Terra del Nilo”, 2002.

    Le missioni italiane in Egitto: una lungatradizione punteggiata sì di scoperte, masoprattutto intessuta di un impegno soli-do e spesso silenzioso, operoso e intelli-gente, al servizio dello straordinario patri-monio culturale della Terra del Nilo. Eallora come parlarne senza pensare algrande decano degli egittologi italiani,Sergio Donadoni, che ha condiviso il suopercorso culturale fino allo scorso 31 ot-tobre, raggiungendo la bella età di 101anni. L'aspetto austero, i gesti misurati edessenziali di un antico sapiente o di unasceta dell'alto Egitto.Donadoni aveva conosciuto un Egittoche non c'è più e che rivedeva nel testocitato, concludendo: Se può parere cheogni tanto ci sia stata non solo memoria marimpianto, è evidente che questo è solo unfatto personale: in una conversazione fradue compagni di viaggio carpita su un trenosudanese, una frase mi è restata impressa, aesorcizzare la nostalgia : “el brugress mashi”.Speriamo bene.Così Donadoni ha attraversato quasiun secolo di egittologia, testimone di

    un'archeologia che cambiava insiemeall'Egitto, traghettando un mondo diconoscenze e tradizioni. In un lavorosolerte e con lo sguardo acuto, che nonprivilegia lo scoop; con la dedizione che,volta a salvare i monumenti della Nu-bia, non si limitò ai grandiosi resti fa-raonici, ma salvò dalle acque anche lepiù umili chiese copte. L'archeologia che oggi le missioni ita-liane praticano in Egitto è forte di questatradizione correndo tuttavia sull'ondadelle tecnologie più avanzate. Esse lavo-rano nei vari ambienti che compongonoil peculiare paesaggio del paese, dal sud,nell'area di Aswan, lungo la Valle, finoal Delta, per arrivare al Mediterraneo;dal deserto occidentale con le sue oasi,fino all'aspro deserto orientale con lesue cave e miniere e al Mar Rosso. Gliambienti storici sono anch'essi i più vari,dalla preistoria, al periodo faraonico,all'epoca romana e a quella copta e isla-mica. Accanto all'impegno archeologicocorre di pari passo quello per la conser-vazione e i restauro, secondo la più altatradizione italiana.Si presenta qui una prima panoramicasul lavoro attuale delle missioni italiane inEgitto.

    Giuseppina Capriotti Vittozzi

    “El brugress mashi”L’archeologia italiana in Egitto

    Quand’ero ragazzo ebbi la fortunadi passare un po’ di tempo con miononno, che dopo essersi ritirato dallavoro come portatore/ hamal ( aGenova si dice camallo) dentro unnegozio di olive e olio a Beirut, si eraritirato nel nostro villaggio sulle collinedello Chouf nel Monte del Libano afare le piccole cose a cui teneva: so-prattutto curare gli olivi in campagna.Andavo con lui ad aiutarlo, nei ter-reni dove si trovavano terrazze conolivi e qualche pianta di fico: eranopuntellate con muri a secco, costruiticon pietre tagliate chi sa quando emesse una sopra l’altra. Costruiremuri a secco è un tecnica comune atutti i Paesi del Mediterraneo, percreare fasce in cui si coltivano le piantedi olivo e gli aberi da frutta; neicontorni si piantano i fichi d'india ecarrubi.La tecnica è semplice, ogni pietradeve avere il suo posto, e deve inqualche modo incastrarsi con la suavicina. Perché parlo di questo? Perchè per fare i muri a secco civuole tanta pazienza, occorre scegliere

    le pietre e metterle in un ordine chesembra casuale ma deve essere perfet-to: altrimenti crolla tutto. Alla fine siottiene un muro che deve sorreggeree contenere la terra su cui nascono gliolivi e le altre piante, resistendo a pres-sioni anche molto forti . Sembra unacosa banale fare un muro a secco, manon lo è: trasportare le pietre , metterlecon cura e diligenza e poi spostare amano la terra dietro, sono lavori chenecessitano attenzione, esperienza emaestria.Oggi abbiamo bisogno di costruiree proteggere le nostre piante, le nostrepiante ci daranno frutto nel futuro:quindi possiamo dire che la culturadel semplice contadino, cioe’ quelladi conservare il bene, e’ un esempioper la nostra quotidiana missione, farecon pazienza, curare quello che ab-biamo ereditato di conoscenza e sa-pienza. Fare le cose con coscienzarispettando le leggi e la natura, evitadisastri: un muro non curato crolla e

    trascina con se’ le nostre piante. Biso-gna curare le cose e le persone con ilrispetto degli altri.Per curare le sue piante di olivo,mio nonno metteva il “tutore” : unbastone di legno forte che dovevasostenere la pianta quando in invernotirava vento e cadeva la pioggia. I nostri figli sono le nostre piante,dobbiamo educarli al rispetto delprossimo, farli crescere in terreno fer-tile di cultura educandoli ad avererispetto per se’ e per gli altri, per leidee altrui e per le altrui culture. Miononno mi ha insegnato che giornodopo giorno vanno osservate le piantee i muri a secco che le contengono.Portavamo sul dorso di un asinol’acqua per da bere alle piante piccolee all’inizio dell’autunno occorrevamettere concime. Poi si arava il terre-no e lo si puliva dai sassi e dalle erbac-ce, in modo che, quando le olive sa-rebbero mature, potessero cadere suun terreno pulito.

    Tante cose si imparano curando leolive e le piante. Ogni albero ha bisogno del suospazio e della luce che deve penetrarenei rami.Così sono cresciuto, con tenacia epazienza nel fare le cose e rispetto delprossimo.Dopo tanti anni non dimenticoquelle giornate dedicate a portare l’ac-qua per le piante di olivo , e a control-lare e riparare il muro che contiene laterra fertile, pulita e curata. Dopo la mia infanzia e adolescenzasulle colline del Monte del Libano,nello Chouf, dove sono cresciuto edove d’estate aiutavo mio padre nellafalegnameria, una volta compiuti imei studi di Liceo, ho studiato l’Ita-liano all’Istituto di Cultura Italiano diBeirut. In seguito il grande viaggio inItalia, per laurearmi in IngegneriaCivile alla Universita’degli studi diGenova. Dopo, tanti anni di lavoroin Italia come ingegnere e come diri-

    gente, avendo costitutito una bellissi-ma famiglia con una moglie italiana.Abbiamo cercato di fare crescere i nostrifigli con la stessa cura che bisognaavere per una pianta di olivo. Oggi sono in Egitto come respon-sabile della mia società, una Coope-rativa CMC ( www.cmcra.com ) fat-ta di tante persone oneste che hannodeciso di lavorare insieme per costruireun futuro migliore. Ora la CMC sta facendo un lavoroimportante: scavare due tunnela Ismailia sotto i canali di Suez, pertrasporti di persone e prodotti nellaPenisola del Sinai.Nel progetto sono impegnati inEgitto più di trenta italiani, tra inge-gneri, tecnici e operatori, insieme adaltre tre imprese (una francese e dueegiziane).Gia’ venti anni fa la CMC avevarealizato “El Salaam Syphon UnderSuez Canal”, per portare l’acqua po-tabile nella Penisola del Sinai, dovespero potranno nascere piante chedaranno tanti frutti.

    Amer El Abed

    A proposito di scavi...

    Editoriale

    Il Progresso imparzialeInserto mensile in lingua italiana del Quotidiano “Le Progrès Égyptien” dedicato alla cultura e all'attualità culturale

    • Scavo di una struttura da Sheikh el Obeiyid

  • L’Università del Salento è impegna-ta in scavi archeologici in Egitto già dal1993, anno in cui il Centro di StudiPapirologici decise di impegnarsi nellaricerca sul campo in siti di epoca gre-co-romana del Fayyum. Dal 2001 haintrapreso un nuovo scavo a Dime es-Seba, l’antica Soknopaiou Nesos, uninsediamento nel deserto a nord delBirket Qarun, un grande lago oggi sa-lato che delimita a nord la depressionedel Fayyum, regione agricola situatanel deserto occidentale egiziano, a cir-ca 80 km a sud-ovest del Cairo. Ognianno la Missione, diretta dai prof. Ma-rio Capasso e Paola Davoli, lavora peroltre un mese sul sito con un team in-ternazionale composto da specialisti estudenti, archeologi, egittologi e papi-rologi. La Missione archeologica oltread aver estesamente documentato ilcentro abitato, che ha un’estensionedi 650 x 350 m e un’altezza comples-siva di una decina di metri, ha intra-preso lo scavo del tempio principale eha anche iniziato l’esplorazione dellesue necropoli. Grazie allo scavo ar-cheologico oggi sappiamo che l’inse-diamento, fondato nel III secolo a.C.,è stato più volte abbandonato e ricos-truito su se stesso fino al suo definitivoabbandono avvenuto nella metà delIII secolo d.C. per motivi ancora igno-ti, ma probabilmente connessi conl’approvvigionamento dell’acqua. Il

    tempio principale, dedicato al dio informa di coccodrillo Soknopaios, ven-ne edificato su una collina naturale chegià ospitava edifici in epoca pre-elle-nistica. Ad esso conduceva una stradapavimentata (dromos) ancoraconservata quasi interamente, chedall’estremità meridionale dell’abitatosaliva verso il santuario. Questo eraracchiuso da alte mura in mattoni cru-di ancora ben conservate e alte più di13 metri. Il tempio era il centro cultu-rale ed economico della piccola città,essendo sede di un importante cultodi una forma del dio Sobek. Nel corsodelle numerose feste che si celebrava-no durante l’anno e che duravanocomplessivamente ben 150 giorni lestatue delle divinità uscivano in pro-cessione lungo la via sacra, il dromos,che era stato costruito in modo da es-sere più alto rispetto alle vie circostantidi circa 3 metri. Ciò faceva sì che leprocessioni fossero ben visibili anchea distanza, su una sorta di palcoscenicolungo circa 400 metri costellato di mo-numenti, statue e chioschi con colon-ne.Il santuario, costruito in blocchi re-

    golari di calcare locale e secondo unaplanimetria simile ai templi di Edfu edi Dendera, è ora completamente inluce grazie agli scavi condotti tra il2003 e il 2014: di esso si conserva soloil piano terreno, dato che i blocchi con

    cui era costruito sono stati portati vianel corso dei secoli per essere riutiliz-zati altrove. Nonostante il pesantesmantellamento delle strutture mura-rie e i ricorrenti scavi clandestini, il tem-pio ha restituito un grande numero dioggetti, di testi e di dati, che consento-no di avere un’idea abbastanza precisadella vita religiosa e civile che si svolge-va tra le mura del temenos. Tra i ma-teriali rinvenuti vi sono diverse centi-naia di ostraka e papiri in demotico,copto e greco attualmente in fase dipubblicazione; numerosi frammentidi statue, alcune delle quali a grandezzanaturale, raffiguranti divinità e perso-naggi maschili e femminili, tra cui forseanche due sovrani tolemaici. Molti i

    mobili e gli oggetti utilizzati nelle ceri-monie, come naoi in legno decoraticon tarsie in vetro policromo, naoi inpietra, altarini per bruciare incensi eprofumi. Nel tempio erano sicura-mente custoditi anche oggetti preziosi,come dimostra la presenza di sei criptenascoste sotto ai pavimenti di alcunestanze. Tutte purtroppo sono statetrovate già violate e quindi private deiloro contenuti. Tra i rinvenimenti piùinteressanti si annoverano anche unaspada in ottimo stato di conservazionedatabile alla fine dell’epoca ellenistica,e due statue architettoniche che raffi-gurano due leoni di dimensioni e fat-tezze differenti, entrambi perfetta-mente conservati. L’eccezionalità delritrovamento riguarda non solo la raf-finata fattura dei leoni, le loro grandidimensioni (il loro peso stimato è di1,8 e 2,2 tonnellate) e l’ottimo stato diconservazione, ma soprattutto il fattoche essi fossero presenti in un tempiodi provincia quale è quello di Sokno-paiou Nesos. Tali sculture infatti eranoposte a guardia delle grondaie del tem-pio, come è ben noto nei grandi templigreco-romani dell’Alto Egitto.Nel momento in cui l’abitato venne

    abbandonato dalla popolazione allametà circa del III secolo d.C. anche iltempio venne chiuso, ma non privatocompletamente delle sue suppellettili.Queste vennero riutilizzate durante

    una fase di rioccupazione dell’area rac-chiusa dal temenos, tra il IV e gli inizidel VII secolo. In quel periodo la co-munità viveva solo all’interno del re-cinto templare e aveva trasformato ilsantuario in un edificio utilizzato peraltri scopi ancora non del tutto chiari.È evidente comunque che anche al-lora doveva trattarsi di un edificio im-portante, dato che alcuni suoi pavi-menti vennero restaurati e che unonuovo, realizzato con antichi monu-menti, venne approntato davanti alsuo ingresso laterale. L’ipotesi su cuistiamo lavorando è che potrebbe es-sersi trattato di una comunità monas-tica. Si tratta di un’importante scopertapoiché la presenza di una comunitàcristiana a Dime aprirebbe nuoveprospettive nello studio della diffusio-ne del cristianesimo nel Fayyum. Il Centro di Studi Papirologici, che

    ha da poco celebrato il ventesimoanno dalla sua fondazione, ha pubbli-cato, tra l’altro, il primo volume dedi-cato ai risultati dello scavo archeologi-co a Soknopaiou Nesos (SoknopaiouNesos Project I (2003-2009), Pisa-Roma 2012) e gli atti di una tavola ro-tonda internazionale dedicata al tem-pio (Soknopaios. the Temple andWorship, Lecce 2015), entrambi acura di M. Capasso e P. Davoli.

    Paola Davoli Mario Capasso

    Lo scavo archeologico dell’Università del Salento a Dime (Fayyum, Egitto)

    Martedì 21 Giugno 20162

    Il toponimo Kom Umm el-Athl, che inarabo significa “la collina delle tamerici”per la presenza che ancor oggi si può rile-vare di tali alberi nei suoi pressi, designauna vasta area archeologica che si trovanell’angolo nord-orientale del Fayyumnon lontano dalla moderna città di Ta-miyya, da cui dipende dal punto di vistaamministrativo. Bakchias si trova ai limitidel deserto, nei pressi di un villaggio dipoche centinaia di abitanti che prende ilnome di Gorein: vi si giunge grazie a unastrada che parte da Kom Ushim/Karanise costeggia un canale moderno, che correlungo il terreno coltivato, il quale ha presoil posto di uno più antico che originaria-mente giungeva fino alle chiuse di Illahune di lì al Nilo.Il sito si estende per circa 450.000 mq ed

    è diviso in due kiman separati dal letto diun antico canale ora completamente es-siccato. Qui sorgono i resti, per lo più inmattoni crudi, di un antico villaggio che inetà greco-romana prendeva il nome diBakchias, che in greco significa “La Bac-chiade” (= la città di Bacco) in onore deldio Bacco/Dioniso, divinità a cui i Tole-mei, nuovi signori dell’Egitto, erano parti-colarmente devoti: non sappiamo con pre-cisione quale fosse il suo nome durantel’età “faraonica” ma Koneus

    e Kem-ur sono due possibilità ora general-mente accettate.Malgrado la sua grande estensione, il sito

    in passato è stato in genere piuttosto tras-curato dagli studiosi, venendo scavato peruna breve stagione, nel 1896, da parte diuna missione britannica diretta da B.P.Grenfell, A.S. Hunt e D.G. Hogarth, al finedi cercare papiri greci, che in effetti vennerotrovati in buon numero. Per il resto ci si li-mitò a pubblicare una sommaria planime-tria del tempio principale del villaggio de-dicato al dio locale Sobek-nob-koneus, unaforma del dio coccodrillo Sobek adoratoin tutto il Fayyum.Qui ora lavora dal 1993, con campagne

    di scavo annuali, una missione archeologi-ca dell’Università di Bologna – inizialmen-te diretta dallo scrivente e attualmente dalprof. Enrico Giorgi –, dapprima in colla-borazione con l’Università di Lecce e poi, apartire dal 2005, con la “Sapienza” Uni-versità di Roma, sotto la direzione dellaprof.ssa Paola Buzi.Gli scavi condotti sul sito hanno consen-

    tito di “dare una nuova vita” a un villaggiodimenticato per secoli. Tra i risultati piùimportanti va segnalata la completa acqui-sizione della planimetria dell’insediamento,che mancava completamente. Molti sono

    gli edifici che sono stati scavati, tra i qualivanno menzionati vari templi prima sco-nosciuti, tra cui uno in pietra di imponentidimensioni, tutti situati nel kom nord. Inquest’area, certo la più antica, è stato ripor-tato alla luce un imponente granaio e i ba-gni pubblici di età romana. Entrambi, gra-naio e bagni, si trovavano nei pressi delcanale. Una delle scoperte più importanti,tuttavia, che permette di prolungare la vitadi Bakchias ben oltre il limite cronologicofino a poco tempo fa assegnato al sito, èquella di due chiese nel kom sud, che cihanno permesso di identificare per la pri-ma volta la fase cristiana del villaggio, primasoltanto ipotizzabile in base a scarsi indizi.Moltissimi gli oggetti d’arte e della cultura

    materiale che sono venuti alla luce, alcuniin puro stile greco e altri in stile egizianoclassico, tra cui due statue databili al regnodi Psammetico II (595-589 a.C.), a confer-ma del carattere multiculturale del nostrovillaggio che si ricava anche e soprattuttoda iscrizioni su papiro, ostraka e pietra, ingreco, in demotico e in caratteri geroglifici,le prime, queste, ritrovate a Bakchias, do-cumenti che ci hanno permesso di fissarnela cronologia tra il II millennio a.C. e l’iniziodell’epoca araba.

    Sergio Pernigotti

    Gli scavi a Kom Umm El- Athl/Bakchias (Fayum)La missione di studio e conserva-

    zione del Monastero di Abba Nefer aManqabad è un progetto dell’Uni-versità di Napoli, l'Orientale, in col-laborazione con La Sapienza, Univer-sità di Roma, e il Ministero egizianodelle Antichità.Il sito, che era stato scavato da col-

    leghi dell’ispettorato locale tra il 1976e il 2010, era ignoto ai più poiché,fino al 2012, dei risultati dell’attivitàarcheologica erano stati pubblicatisolo brevi resoconti.Il progetto italo-egiziano è iniziato

    nel 2011, ma la prima vera campagnasul campo è stata condotta tra set-tembre e ottobre 2014.Come dimostrano alcuni docu-

    menti e un imponente complessotermale che ne occupa la parte cen-trale, il sito cristiano, che si trova acirca 7,30 km a ovest di Asyut in Me-dio Egitto, fu fondato rioccupandoun castrum romano, da identificaremolto probabilmente con l’acquar-tieramento del cuneus equitum Mau-rorum scutariorum, di cui si hannonotizie fino alla prima metà del V se-colo. La fase bizantina consta di un nu-

    mero notevole di unità abitativedestinate a monaci – per la maggiorparte disposte su due piani, di cui unointerrato -, alcune chiese, un qasr enumerosi edifici di servizio (cucine,pozzi, bacini). Sia le strutture domestichesia gli edifici sacri sono decorati conelementi architettonici in pietra dinotevole pregio, pitture di elevata

    qualità artistica e iscrizioni di caratte-re religioso, in copto e greco-copto. Non mancano comunque testi ri-

    feribili al primo periodo islamico(testi dipinti in caratteri cufici e mo-nete del 130 dell’Egira) e altri attri-buibili ad una fase molto più tarda(monete dell’epoca di Mehmet II,inizio del XIX secolo). Nel 2014, la missione ha avviato

    l’analisi sistematica delle unità abita-tive che occupano il settore setten-

    trionale, dove rimaneggiamenti e am-pliamenti hanno fatto ipotizzare al-meno due o tre fasi di sviluppo delsito (collocabili, a livello preliminare,tra la fine del V e la prima metà delIX secolo), confermate dall’analisidelle pitture, degli elementi architet-tonici, delle iscrizioni e della cerami-ca, il cui studio è stato avviato nei ma-gazzini di Asyut e El-Ashmunein.Tra i materiali analizzati, è un nu-

    mero cospicuo di stele funerarie in

    copto, riutilizzate in epoca islamicanel pavimento di uno degli ambientidel complesso e rinvenute in ottimostato di conservazione. Le stele quasitutte complete e leggibili contengo-no, dopo l’incipit dedicato alla Tri-nità, i nomi degli arcangeli (soprat-tutto Michele, più raramenteGabriele), della Vergine e di alcunisanti. E’ interessante notare che i san-ti più frequentemente citati sono En-och, Geremia e Sibilla, vale a dire glistessi menzionati nelle stele funerariedel monastero di Apa Geremia a Saq-qara. Le stele sono state messe aconfronto anche con una serie di epi-grafi portate alla luce nel 1915 dall’esploratoreegiziano Ahmed Bey Kamal nella“necropoli a nord dell’antica città diManqabad”. Sulla effettiva posizionedi questa necropoli, l’archeologo egi-ziano non fornisce però ulteriori no-tizie per cui si renderà necessarioquanto prima richiedere un amplia-mento dell’area in concessione edestendere la ricognizione alle zonecircostanti.Infine l’identificazione, nel magaz-

    zino di El-Ashmunein, di due iscri-zioni geroglifiche – una di epoca fa-raonica identificata su un bloccoriutilizzato per l’intelaiatura di una fi-nestra, l’altra osservata solo su unafoto molto sfocata, attribuibile a epo-ca tolemaica o romana – fanno ipo-tizzare che la storia del sito possa ri-salire ad un’epoca molto più anticadi quanto immaginato fino ad oggi.

    Rosanna Pirelli

    Il progetto italo-egiziano di studio e conservazione del Monastero di Abba Nefer a Manqabad

    Medinet Madi, posta sul bordo sudoccidentale del Fayum, conserval’unico tempio del Medio Regno contesti geroglifici e scene scolpite che siapresente in Egitto; il sito archeologicoè ricco anche di altri monumenti delperiodo tolemaico, romano e copto. Questa “città del passato”, come

    suona tradotto in italiano il nome ara-bo “Medinet Madi”, si presenta con isuoi tre templi, la piccola cappella diIsis, i cortili tolemaici, il portale monumentale, le vie processio-nali (o dromoi) con statue di leoni e di sfingi, la straordinariapiazza porticata, l’ingresso monumentale antico dal lato sudcol grande altare, che fa accedere ai dromoi sud e nord condue chioschi. Il nome originario della città al tempo della suafondazione da parte del faraone Amenemhat III della XII di-nastia (Medio Regno; XIX secolo av.Cr.) era Gia, in epoca to-lemaica e romana ebbe il nome greco di Narmouthis “la cittàdella dea Ermouthis (Isis-Renenut)”. Tutti questi monumenti, che rendono eccezionale il sito di

    Medinet Madi, sono stati consolidati e restaurati in anni recen-tissimi grazie al progetto di cooperazione italo-egiziana “ISSEM”,tra il 2005 e il gennaio 2011; il progetto, completamente sov-venzionato dal governo italiano, affidato alla Università di Pisacon la direzione di Edda Bresciani e Antonio Giammarusti, èun esempio di felice collaborazione tra Cooperazione Italiana,Ministero Egiziano delle Antichità, Ministero del Turismo Egi-ziano, affiancati da esperti ed egittologi, italiani ed egiziani.La scoperta del sito archeologico di Medinet Madi si deve al

    papirologo dell’Università di Milano Achille Vogliano che ese-guì le ricerche dal 1935 al 1939, quando furono bloccate dalloscoppio della II Guerra Mondiale. Tra il 1966 e il 1969 gli scavifurono ripresi dall’Università Statale di Milano sotto la direzionedi Edda Bresciani dell’Università di Pisa; dal 1978 Kom Madicon Medinet Madi è diventato la concessione archeologicadell’Università di Pisa (direttore Edda Bresciani). Dal 1984 eper alcuni anni, l’esplorazione pisana di Medinet Madi si èconcentrata sulla zona sud-est del sito, individuando e studiando

    dieci chiese (VI-VII secolo). Nel1995-1999 la Missione pisana ha sco-perto e documentato, sul lato est delportale monumentale, un nuovotempio denominato tempio “C” (ri-ferito al tempio A, o tempio del Me-dio Regno, e tempio B o tempio tole-maico nord, scoperti da A. Vogliano)dedicato al culto dei due coccodrilli (idue Sobek); vi è collegato un edificiospeciale, unico finora in Egitto, una

    nursery per la schiusa delle uova e un primo allevamento deicoccodrilli sacri. Nel 2007 a est dell’area archeologica alla basedella zona archeologica, è stato ritrovato il castrumNarmountheos di epoca dioclezianea. La parte sud del dro-mos con l’altare e un nuovo chiosco che si aggiunge a quelloscoperto da Achille Vogliano, è stata portata alla luce nel 2006,con cinque nuove statue di leoni su zoccolo, due delle qualiportano iscrizioni greche con datazione (116 a.C.) e nome deldedicante, il greco Protarkhos figlio di Herodes. Eccezionale lascoperta all’ingresso del chiosco nord di una statua di leonessagradiente con criniera e un leoncino che succhia latte. All’estre-mità nord della corte è stato scoperto e in parte scavato ungrande pozzo (diametro m.20), certamente il pozzo del tempiotolemaico, inglobato nella corte porticata d’epoca romana cheha rispettato il pozzo tolemaico tagliando opportunamente loschema della corte.Nel gennaio 2011 il parco archeologico di Medinet Madi è

    stato inaugurato ufficialmente dal “Supreme Council of Anti-quities” (SCA), insieme con la pista, eseguita anch’essa dalprogetto “ISSEM”, che collega Medinet Madi con l’area delloUadi Rayan e dello Wadi Hitan. Il parco di Medinet Madimette a disposizione dei turisti anche il Visitor Center costruitodal progetto “ISSEM” rispettando il paesaggio; fornito di variservizi (dalla caffetteria al bookshop) il Visitor Center forniscele notizie sulla storia dell’area archeologica oltre a modelli inscala dei monumenti e dei reperti più importati, riproduzionigrafiche, pannelli fotografici e didattici.

    Edda Bresciani

    Medinet Madi nel FayumLa Missione archeologica italiana nel de-

    serto orientale egiziano, che opera confondi dell’Università degli Studi di Napolil’Orientale e con il contributo del MAECI,è nata nel 2011, su impulsodell’Ambasciatore di quel tempo, S.E.Claudio Pacifico, e della dott.ssa RosannaPirelli, responsabile all’epoca del CentroArcheologico Italiano presso l’Istituto Ita-liano di Cultura.Oggetto dell’indagine è la vasta area tra

    il Mar Rosso e la Valle del Nilo, limitata aNord dal Wadi Hamamah e a Sud dalloWadi Hammamat.. L’ampiezza della zonasu cui opera la missione è motivata dallanatura del progetto di studio, che indagacon diverse metodologie e con l’apportoe la cooperazione di diverse disciplineun’area che - grazie al suo potenziale eco-nomico e commerciale - ha rivestitoun’importanza cruciale nella storiadell’Egitto, dall'epoca preistorica a quellatardo-antica. L'area è tra le meno note di tutto il De-

    serto Orientale: la possibilità di riaffrontarerealtà archeologiche analizzate in anni lon-tani con nuovi mezzi di indagine e nuoveprospettive di studio, attente a tutte le fasidella presenza umana in questi territori,ha già portato ad alcuni primi, interessantirisultati, nonostante la brevità delle duesole missioni che è stato possibile sinorasvolgere sul campo, nel 2012 e nel 2015.A queste missioni hanno preso parte, oltrea chi scrive, Rosanna Pirelli, Andrea Man-zo, Marco Barbarino, Giulia Ciucci, An-drea D’Andrea, Ilaria Incordino, Anna

    Lena, Giulio Lucarini, Vincenzo Zoppi e icolleghi geologi dell’ Università del Cairo,Mohamed Hamdan e Yasser Medhat.I brevi cenni che qui si presentano sono

    il risultato del lavoro e della collaborazionedi tutti coloro che partecipano alla missio-ne: notizie più approfondite sono facil-mente reperibili on-line in: http://www.unior.it/userfiles/worka-

    rea_231/file Tra gli studi e le ricerche sinora condotti

    citiamo qui solo quelli relativi al sito indi-cato come ‘stazione greco-romana’, un in-sieme di edifici costruiti a circa 7 km dallacosta su una terrazza che sormonta ilWadi Gasus. Le tecniche costruttive, i ma-teriali impiegati, gli orientamenti delle varie

    costruzioni sono diversi, circostanza chenon aiuta a definire la loro datazione né lefunzioni e le relazioni reciproche, condi-zioni che avranno certamente conosciutonotevoli mutamenti nel corso della lungaoccupazione del sito, testimoniata dall’ab-bondante presenza di frammenti ceramiciche coprono un arco cronologico che vadal Medio Regno alla tarda età imperialeromana. La disponibilità di acqua, presen-te sul fondo dello wadi e ancora segnalatafino ad anni recenti dalla presenza di alcunialberi di acacia, fa supporre che il sito abbiaeffettivamente svolto la funzione di ‘sta-zione’, punto di sosta e di rifornimentoidrico per quanti arrivavano dal mare. De-finire la natura delle diverse attività che nel

    tempo vi sono state accolte non è facile,anche per le condizioni di conservazionedel luogo, pesantemente danneggiato dascavatori clandestini. Tali attività devonoperò aver compreso anche funzioni sacrali,come testimonia il fatto che uno degliedifici che compongono il sito accoglievadue iscrizioni rupestri, anch’esse databili alMedio Regno, rimosse dalla loro colloca-zione originaria in un’epoca non precisa-bile: il fatto che una delle iscrizioni sia rela-tiva a un sicuro ritorno da un viaggio permare ci fa capire la natura delle azioni e leaspettative di quanti si trovavano a passareper questo luogo. L’individuazione di unacoppetta miniaturistica integra, databile alIII-II secolo a.C., presso un altro degliedifici della ‘stazione’, potrebbe far ipotiz-zare la presenza di apprestamenti con fun-zioni sacre sin da età tolemaica.Più difficile – vista anche la mancanza

    di qualunque installazione produttiva– spiegare i motivi della presenza di unabbondantissimo numero di frammen-ti ceramici (circa 150 fondi) relativi allaproduzione di oggetti in faïence , rico-nosciuti nel corso della ricognizione:essi trovano precisi confronti con quellipubblicati dal sito di Memphis-KomHelul e sono probabilmente databili alI secolo d.C. Frammenti ceramici similia questi sono stati rinvenuti in Campa-nia, a Liternum e a Cuma, circostanzache apre altri, interessanti campi di in-dagine, sui quali si spera di poter lavo-rare in tempi brevi.

    Irene Bragantini

    La missione archeologica nel Deserto Orientale egiziano

    Il sito archeologico situato neipressi del moderno villaggio diZawyet Sultan, situato in MedioEgitto, sulla sponda orientale delNilo, a circa 7 Km a sud dell’odier-na città di el-Minya, conosciutoanche con il nome di Zawyet el-Maiyitin, Zawyet al-Amwat oKom el-Ahmar, corrispondeall’antica città di Hebenu, la capi-tale del XVI distretto dell’AltoEgitto. Il nucleo principaledell’area archeologica comprendeuna piramide dell’Antico Regno,situata all’entrata del sito, e alcunetombe dell’Antico, Medio e Nuo-vo Regno scavate nella falesia roc-ciosa. Intorno alla piramide si tro-va un insediamento abitativo diepoca romana, al di sotto del qualesono state individuate numerosetombe a pozzo ed alcuni resti dimastabe. Il sito di Zawyet Sultanha suscitato interesse fin dalla finedel XVIII secolo, quando i mem-bri della spedizione napoleonicain Egitto ne inclusero un breve re-soconto nella Description del’Égypte. Anche la spedizione fran-co-toscana, condotta da Jean-François Champollion e IppolitoRosellini, si fermò brevemente quinell’ottobre del 1828. La primacompleta ricostruzione topogra-fica, eseguita assieme alla riprodu-zione delle decorazioni parietali e

    delle iscrizioni delle tombe rupes-tri, si avrà solamente nel 1843 adopera di Richard Lepsius. I primi scavi archeologici veri e

    propri vennero eseguiti solo a par-tire dal 1912, quando a più ripresel’area fu indagata sistematicamen-te principalmente ad opera diRaymond Weill. Sebbene in tempi più recenti,

    Zawyet Sultan sia stata oggetto diulteriori studi ed indagini archeo-logiche (Patrizia Piacentini, Wer-ner Keiser-Günter Dreyer, BarryKemp), il sito manca ancora diun’analisi approfondita che per-metta di comprendere appienocome i monumenti e gli oggettirinvenuti si relazionino tra di loroe con i resti dell’antica Hebenu. Nel 2014, Richard Bussmann e

    Gianluca Miniaci hanno svilup-pato insieme il progetto di ripor-tare nuova attenzione sui resti diquesto sito archeologico creandouna missione archeologicacongiunta tra l’University CollegeLondon (UCL), l’Università diColonia, l’Università di Pisa, e ilMinistry of Antiquities del Cairo,iniziando nuovi lavori di ricogni-zione nell’area. La missione del 2015 si è

    concentrata principalmente sullasurvey topografica del sito, dedi-cando particolare attenzione alla

    piramide dell’Antico Regno, allatomba rupestre del funzionarioKhunes ed alla mappatura di uncentinaio di tombe a pozzo sparsein tutta l’area archeologica. La ri-cognizione ha ottenuto risultatiinaspettati che gettano nuova lucesulla storia finora poco conosciutadell’antica Hebenu, come la sco-perta di una necropoli, datata allaIII dinastia, grazie allo studio deimateriali ceramici rinvenuti inloco. Parallelamente alle attivitàdi ricognizione alcuni membri delteam stanno procedendo ad unlavoro di catalogazione e docu-mentazione degli oggetti prove-nienti dagli scavi di Weill a ZawyetSultan ed oggi conservati al Mu-seo del Louvre. L’analisi di questioggetti porterà un contributo si-gnificativo allo studio della storiadel sito, integrando così i dati rela-tivi agli scavi di Weill con le futureindagini della missione.

    Gianluca Miniaci Richard Bussmann

    Elena Tiribilli Cristina Alù

    Zawyet Sultan: l’antica Hebenu

  • C M Y K

    Martedì 21 Giugno 2016 3

    Umm al-Dabadib è un grande eremoto insediamento tardo-roma-no risalente al IV secolo AD, per-fettamente conservato dal suo iso-lamento e dal clima desertico.Sorge ai margini dell’Oasi di Khar-ga, nel Deserto Occidentale Egi-ziano, in posizione totalmente iso-lata, in una piana ai piedi dellascarpata, al termine di una pistache spesso scompare sotto la sabbiaspinta dal vento.Le oasi del Deserto Occidentalesono state collegate alla Valle dauna strada asfaltata solo a partiredagli anni ’60 del secolo scorso, elo studio sistematico delle antichitàpresenti in questa vasta porzionedell’Egitto è dunque iniziato intempi relativamente recenti. Ummal-Dabadib, in particolare, è rimas-to praticamente sconosciuto fino apochi anni fa, a causa delle notevolidifficoltà logistiche relative all’or-ganizzazione di spedizioni archeo-logiche.Dopo una visita casuale nel1998, mi resi conto che questo sitoapparteneva in realtà ad una catenadi insediamenti simili, totalmentesconosciuti al mondo scientifico.Insieme alla mia collega e amicaDr Salima Ikram, nel 2001 fon-dammo il progetto archeologicoNorth Kharga Oasis Survey, alloscopo di effettuare un primo rilievoa tappeto di tutte le antichità pre-senti nel nord dell’oasi. Nel corso

    degli anni abbiamo documentatonel dettaglio non solo Umm al-Dabadib, ma anche gli altri siti ci-vili, militari e religiosi che punteg-giano l’area. Abbiamo anchescoperto l’esistenza di notevoli restidi antichi sistemi agricoli, spessoserviti da acquedotti sotterranei deltipo chiamato qanat o manawir,che consistono di tunnel a pen-denza minima ma costante checonvogliano l’acqua dalle profon-dità della scarpata fino ai campi dacoltivare.Forte di questo patrimonio diconoscenze ed informazioni accu-mulate negli anni, nel 2012 è natala Missione Italiana a Umm al-Dabadib, allo scopo di studiare ilsito che, più di altri, presenta intattoil binomio insediamento-sistemaagricolo. Concepiti come due faccedella stessa medaglia, uno non po-

    teva esistere senza l’altro: Umm al-Dabadib offre un’occasione piùunica che rara per capire come fuprogettata e realizzata l’installazionedi una nuova comunità ai confinidell’Impero Romano.Nel corso delle prime tre spedi-zioni, abbiamo realizzato un rilievodettagliato dei resti archeologici.Per gli edifici abbiamo sperimen-tato con successo una tecnica foto-grammetrica evoluta e automatiz-zata che ci ha permesso di realizzareil rilievo 3D di tutto l’insediamentofortificato e del forte centrale in untempo molto contenuto – un as-petto di grande importanza quan-do si lavora in condizioni logistichecosì complesse, in assenza di acqua,corrente elettrica e spazi chiusi chenon siano tende. Per il sistema agri-colo abbiamo utilizzato una tecnicamista di rilievo GPS e di analisi

    delle immagini satellitari, e puntia-mo a ricostruire un sistema dina-mico che spieghi il funzionamentodell’intera installazione agricola.Le prossime spedizioni puntanoa svelare ulteriori dettagli sull’orga-nizzazione dell’insediamento forti-ficato, e sull’identità degli abitantidel sito. Il team della missione ècomposto da specialisti in una de-cina di discipline diverse, sia italianiche egiziani, che lavorano in strettacollaborazione tra loro e con le au-torità locali. Stiamo studiando lapossibilità di creare un’Area Natu-rale Protetta intorno al sito diUmm al-Dabadib e stiamo colla-borando al riconoscimento dell’in-tera oasi come UNESCO WorldHeritage Site.Per concludere, un dettaglio si-gnificativo. Durante la stagione2015 abbiamo guadagnato l’acces-so a due stanze sotterranee del forte,che hanno rivelato un’informazio-ne cruciale: l’edificio, visivamenteconcepito per avere un’apparenzaaggressiva e suggerire una presenzamilitare, probabilmente funzionavainvece come magazzino di scortealimentari. Questo significa che lìfuori, ai confini del mondo abita-bile, la vera garanzia per la soprav-vivenza non era necessariamenterappresentata dalle armi, ma piut-tosto da una buona riserva di ciboe acqua.

    Corinna Rossi

    Ai confini dell’Impero Romano :

    la Missione Italiana a Umm al-Dabadib (Oasi di Kharga)

    Il progetto AKAP è nato nel 2005sotto l’egida del British Museum edell’Università di Milano, quest’ultimasostituita nel 2008 dalla Sapienza Uni-versità di Roma e nel 2010 dall’Univer-sità di Bologna; dal 2008 invece la YaleUniversity è subentrata al British Mu-seum. L’interesse principale della missione èdi studiare le dinamiche di contatto trapopolazioni del medio (Nubia) e basso(Egitto) bacino del Nilo, dalla preistoriafino a tempi recenti. Le ricerche si sonoconcentrate in tre grandi settori: 1. lariva sinistra del Nilo da Qubbet el-Hawafino a c. 30 km a nord di Aswan (Wadiel-Tawil); 2. Wadi Kubbaniya, sulla rivasinistra, e Wadi Abu Subeira, sulla rivadestra del Nilo, le due maggiori vie dicollegamento con i deserti occidentale eorientale; 3. un settore del DesertoOrientale ad est di Kom Ombo, in par-ticolare Wadi al-Lawi. La varietà dellearee prese in esame ha permesso di indi-viduare siti anche al di fuori della valledel Nilo e avere quindi una prospettivaintegrata delle dinamiche di popola-mento della regione. Bisogna infatti ri-cordare che mentre gli antichi Egizi era-no principalmente agricoltori stabilitisilungo le rive del Nilo, le popolazioninubiane erano anche pastori nomadiche vivevano nei deserti circostanti. Numerosi sono i siti individuati graziealla ricognizione sul campo, allo studiodi piante satellitari e ai carotaggi geologicilungo la riva occidentale; cronologica-mente attestano una presenza umanacostante dal Paleolitico ai tempi moder-ni. Purtroppo la maggior parte di questisiti, dalle concentrazioni di frammenti

    di ceramica e strumenti litici, a stazionidi arte rupestre, a villaggi, città, cimiteri,tumuli, templi e monasteri, sono a rischio,a causa delle attività di edilizia lungo ilcorso del fiume, alla coltivazione di areea ridosso dei villaggi, allo sfruttamentominerario delle regioni desertiche. Spessoalle ricognizioni sul campo si sonoaggiunti scavi di salvataggio nei siti piùa rischio; questo ha permesso almeno disalvare i pochi dati, anche se spesso fuoricontesto, rimasti. Le ricerche si sonofocalizzate sui seguenti temi:1. La fase tardo pleistocenica/anticoolocenica e il passaggio da società di cac-ciatori-raccoglitori a società neolitiche. Numerosi siti riferibili a questo perio-do sono stati rinvenuti lungo la valle enegli wadi principali mentre ricerchedettagliate, sia di ricognizione e sia discavo, si sono svolte all’interno di WadiKubbaniya.2. Il periodo predinastico (c. 5000-3000 BCE), corrispondente alla nascitadi sistemi politici complessi sia in Egitto(con la Dinastia 0) e sia in Nubia (Grup-po-A). Numerosi siti sono stati individuati sialungo la valle che nei deserti, nell’ultimocaso riguardanti soprattutto stazioni diarte rupestre. Il villaggio e la necropoli di

    Nag el-Qarmila, a nord di Kubbaniya,sono stati parzialmente scavati.3. Siti Nubiani di epoca storica,contemporanei delle dinastie egizie, ilperiodo romano e medievale. I siti individuati sono soprattutto dicarattere funerario e arte rupestre. Trenecropoli Pan-Grave (contemporanei alSecondo Periodo Intermedio egiziano),sono stati scavati e analizzati in dettaglio.4. Arte rupestre. In questo caso nelcorso degli anni sono state introdottemetodologie innovative di rilievo digitale(fotogrammetria e ricostruzioni 3D deicontesti) che hanno affiancato le piùclassiche tecniche di documentazione(disegno a copia diretta e foto). Tra i siti di arte rupestre documentatiquello di Nag el-Hamdulab è di ecce-zionale importanza in quanto è la primarappresentazione ufficiale di un re egizio,probabilmente Narmer, della sua cortee dei rituali legati al giubileo regale e allaraccolta delle tasse.Un importante elemento della nostraattività di ricerca, infine, è costituito daltentativo di coinvolgere sempre più lecomunità locali nella salvaguardia delproprio patrimonio culturale..

    Maria Carmela Gatto Antonio Curci

    L’Aswan-Kom Ombo Archaeological Project (AKAP)

    Nel gennaio 2010 una missionedell’Università di Napoli, L’Orientale, haintrapreso un’indagine archeologica neltempio solare di Niuserra ad Abu Ghu-rab, nei pressi del moderno villaggio diAbusir. A distanza di oltre cento annidallo scavo di Borchardt, avvenuto nel1898, né il tempio di Niuserra né l’insie-me dei templi solari dell’Antico Regnosono stati ancora oggetto di un riesamecompleto. La presente ricerca sul camporisulta, pertanto, particolarmente impor-tante, soprattutto se si considera che quel-lo di Niuserra è, dei sei templi solari co-nosciuti dalle fonti epigrafiche, il meglioconservato e l’unico ancora benriconoscibile al giorno d’oggi. La mis-sione si è prefissa, come scopo principale,quello di verificare la planimetria generaledel monumento, servendosi dell’odiernatecnologia per il rilievo topografico (sta-zione totale e laser scanner 3D), e di ope-rare contestualmente un riesame globaledei dati archeologici ancora disponibili insitu. Dal 2010 ad oggi sono state acquisiteoltre 100 scansioni con laser scanner, in-tegrate da alcune nuvole di punti ottenutecon la metodologia image-based mode-

    ling. Il modello 3D realizzato consente diesaminare in dettaglio gli elementi archi-tettonici del tempio e di comparare i restiancora visibili con le ipotesi ricostruttiveformulate da Borchardt. L’acquisizione di 3 immagini radarCOSMO-SKYMED, nel quadro delprogetto ARCHAEOMODE , suppor-tato dall’Agenzia Spaziale Italiana e daquella Canadese e coordinato da A.D’Andrea, consentirà infine di integrare idati raccolti sul terreno con quelli rilevabilidalle immagini radar con l’obiettivo diindagare meglio e con nuovi strumentinon solo il complesso di Niuserra, maanche le aree circostanti. La ricognizione del sito e il riesamedella documentazione pubblicata daBorchardt hanno accompagnato il ri-lievo 3D. Un’attenta indagine dell’area che Bor-chardt definì “macello”, unitamente allarilettura di archivi papiracei ritrovati all'iniziodel Novecento nella zona di Abusir, sug-gerisce una nuova interpretazione di questaparte del tempio che, a differenza di quan-to affermato dallo studioso tedesco, po-trebbe non essere stata adibita a luogodella lavorazione della carne da offrire alla

    divinità solare, bensì a spazio di purifica-zione e consacrazione, tramite un vastosistema di acque lustrali, dei doni sacrificaliche includevano carne ed altre offerte ali-mentari; in base agli archivi dell’epoca,infatti, le offerte alimentari arrivavano pro-babilmente già lavorate (e dunque giàmacellate) dai contigui templi delle pira-midi. Il rilievo sul campo è stato integratodall'analisi della decorazione dei blocchiparietali provenienti dall’area della cosid-detta “cappella” e della “camera delle sta-gioni”, due piccoli ambienti di culto si-tuati nella zona meridionale del santuario.Tali blocchi, conservati principalmentepresso lo Staatliche Museum di Berlino,lo Staatliche Sammlung ÄgyptischerKunst Museum di Monaco di Baviera,ed il Museo del Cairo, presentano unadecorazione con scene legate alla celebra-zione della divinità solare, cui il tempioera dedicato e, soprattutto, al giubileo re-gale, probabilmente celebrato dal sovranoal compimento del suo trentesimo annodi regno, all'interno dello stesso tempiosolare.

    Andrea D’Andrea Massimiliano Nuzzolo

    Rosanna Pirelli

    Tempio solare di Niuserra ad Abu Gurab

    La missione Archeologica a Mersa/Wadi Gawasis de“L’Orientale” e della Boston University, ha iniziato nel2001, sotto la direzione di Rodolfo Fattovich e KathrynA. Bard, lo studio del sito da cui nel Medio Regno par-tivano le spedizioni verso la mitica terra di Punt, nel MarRosso meridionale. Il sito, sulla costa a Sud di Safaga, eragià stato individuato da Abdelmoneim Sayed dell’Uni-versità di Alessandria, nel 1976. Le indagini aMersa/Wadi Gawasis si inseriscono in un consolidatointeresse di ricerca de “L’Orientale” per i rapporti tral’Egitto e l’entroterra africano, che ha anche condotto aricerche archeologiche nel Sudan orientale e Etiopia set-tentrionale. Proprio nel Sudan orientale la Missione de“L’Orientale” già negli anni Ottanta e Novanta raccolseprove archeologiche di rapporti con l’Egitto nel III-IImillennio a.C. e che presumibilmente si svolsero tramiteil Mar Rosso. Tali rapporti erano spiegabili con la ric-chezza in materie prime (avorio, ebano, resine aroma-tiche) apprezzate dal commercio antico e che caratteriz-zavano la regione di confine tra Sudan e Eritrea. Lascelta di indagare Mersa/Wadi Gawasis voleva dunqueraccogliere ulteriori elementi circa le regioni del MarRosso meridionale coinvolte nel commercio egizianooltre a ricostruire le modalità con cui le spedizioni egizia-ne si svolgevano.Al fine di comprendere le ragioni che condusseroall’individuazione di questo specifico punto della costacome approdo ideale da parte degli antichi, è stata ela-borata un’accurata ricostruzione paleoambientale e, inparticolare, geoarcheologica mediante prospezioni geo-fisiche e carotaggi. Si è così potuto evidenziare come labaia fosse in antico assai più profonda di oggi e offrissequindi un’adeguata protezione da venti e correnti. Ilprogressivo insabbiamento della baia condusse poi all’ab-bandono dell’approdo probabilente già agli inizi del

    Nuovo Regno, fase cui risalgono le più tarde evidenze difrequentazione raccolte.Le imbarcazioni usate per la navigazione nel Mar Ros-so, stando a quanto racconta una delle iscrizioni rinve-nute a Mersa/Wadi Gawasis, dell’epoca di Senusert I,erano costruite a Coptos, smantellate, trasportate attra-verso il Deserto Orientale fino a Saw, antico nome diMersa/Wadi Gawasis, dove erano rimontate e prende-vano il mare. La complessità dell’operazione è resa ancorapiù evidente dal fatto che per la loro costruzione erausato il cedro, legno non disponibile in Egitto ma im-portato dall’attuale Libano. Alcuni materiali archeologicidi origine egea e cananea trovati a Mersa/Wadi Gawasispotrebbero addirittura suggerire che non solo il legnoma anche alcune maestranze del Mediterraneo orientalecontribuissero alla realizzazione delle spedizioni volutedai sovrani della XII dinastia. Le strutture dell’approdocomprendono lungo la costa dei piccoli sacelli comme-morativi del ritorno di alcune spedizioni e strutture sca-vate nella terrazza di roccia corallina, usate come magaz-zini e ripari. Una di queste, utilizzata come deposito digomene, ha conservato il suo contenuto fino ad oggi. Sualcune terrazze che digradano verso l’antica baia, eranolocalizzate aree amministrative, di lavorazione e di pro-duzione del cibo. Molte casse usate originariamente du-rante la traversata per contenere le “meraviglie di Punt”,come recita un’iscrizione ieratica su una di esse, sonostate lì rinvenute, come pure numerosi elementi del fas-ciame delle imbarcazioni, che forse si sperava di poterriutilizzare in successive occasioni. Lì sono stati ancheraccolti materiali provenienti non solo dal Sudan orien-tale, ma anche dalla costa eritreo-gibutina e yemenita.Quando il progetto italo-americano a Mersa/WadiGawasis fu avviato, alcuni studiosi ancora dubitavanodelle capacità marinare degli antichi egiziani. I risultati

    ottenuti non solo hanno ampiamente dimostrato chegli Egiziani effettivamente navigarono nel Mar Rosso,ma hanno anche messo in luce degli aspetti marinaridella cultura faraonica precedentemente insospettati,come ben evidenziato dall’epiteto “del Gran Verde”,con riferimento proprio al mare, attribuito a Osiride inuna delle iscrizioni di Mersa/Wadi Gawasis.

    Rodolfo FattovichAndrea Manzo

    Ricerche a Mersa Gawasis

    Il Centro (CIERA) è localizzato aipiedi della Cittadella del Cairo, a fian-co della moschea del Sultan Hassan,nel quartiere storico di Helmiah.Il Cairo storico, dal 1979, è nellalista UNESCO del Patrimoniodell’Umanità. Il rapporto del 1980ne ha evidenziato l’importanza sin-golare dei suoi monumenti, ma neha anche descritto le problematicheconservative, igienico-abitative e ur-bane, richiamando l’attenzione inter-nazionale al suo salvataggio.Fu in questo ambito che la prof.C.M. Burri, Direttrice dell’IstitutoItaliano di Cultura al Cairo, proposeil restauro della sama’khana, edificiocultuale ad impianto teatrale costruitodai Dervisci Mevlevi per la la cerimo-nia del sama’, rito principale diquell’Ordine ispirato al pensiero delpoeta mistico Galal ed Din Rumi(1207-1273). A tale scopo, la Burrisollecitò il Ministero degli Affari Esteriitaliano e promosse la visita dell’alloraRettore dell’Università di Roma “LaSapienza”, Antonio Ruberti, che pro-pose l’impegno di un consorzio divarie università italiane per lo studio egli interventi di restauro, una orga-nizzazione di base con un budget cheperò non fu mai attuata.Tuttavia, le attività, nell’area mo-numentale e archeologica dei Mevle-vi, ebbero inizio nel 1979 dallo scri-vente, come esercitazioni pratichecomplementari di corsi di restauroche era stato già chiamato a svolgere

    presso l’Università di Giza dal 1975 esuccessivamente di Belle Arti (Hel-wan), al Cairo.Le esercitazioni di restauro, inizial-mente svolte sulle pitture della sa-ma’khana, furono, nel tempo, rivoltead ogni elemento decorativo, strut-turale e archeologico dell’edificio. Le attività furono sviluppate attra-verso vari contributi: di ricerca con ilCNR italiano, di archeologia con ilMinistero degli Affari Esteri, di for-mazione con la Cooperazione allosviluppo; ed altri programmi, a volteanche minimi, ma sinergicamentediretti all’operatività del cantiere-scuo-la. Operatività produttiva, attraversole esercitazioni di studenti, ma princi-palmente, attraverso le attività per laspecializzazione del personaledell’EAO (oggi Ministero delle Anti-chità) che, con l’obbiettivo della for-mazione, ha di fatto fornito tutto il

    personale artigianale, dando così uncontributo essenziale all’organizzazio-ne che ha potuto svolgere ogni lavoro,sia strutturale che archeologico e res-taurativo con propri laboratori ed at-trezzature di cantiere.La sama’khana fu inaugurata nel1988 e in quel contesto fu istituito ilCentro Italo-Egiziano per il Restauroe l’Archeologia (CIERA).Nel 1991 Antonio Ruberti, tor-

    nato come Ministro dell’Università edella Ricerca Scientifica in visita allasama’khana restaurata, con emozio-ne, la definì, nell’intervista registratadall’Ansa, “…una perla di dedizionedi un singolo e di un gruppo per rea-lizzare risultati destinati a restare, noneffimeri, poiché il Centro è divenutoun laboratorio di formazione, prezio-so per l’Egitto”.Il CIERA, quindi, ha ampliato leproprie attività di diffusione della cul-

    tura della conservazione in Egitto edha promosso corsi di restauro in varieUniversità, oltre al Cairo, Qena, Kafrel Sheik, Tanta, Alessandria, Fayum.Inoltre, con il cantiere-scuola hacondotto, sotto la sama’khana, scaviarcheologici che hanno riportato allaluce insediamenti risalenti allaconquista araba e al periodo tulunideed hanno consentito il recupero deiresti della madrasa di Sunqur Sa’di,della quale è stato restaurato l’iwanprincipale. Attraverso il cantiere-scuolaè stato anche restaurato il mausoleodi Hasan Sadaqa ed il convento deidervisci Mevlevi e l’area d’interventoha raggiunto, ora, una estensione di10.000 mq.La mostra “Restauri e Restauratori”,ancora itinerante in Egitto e in Italia,presenta i lavori e le specializzazioniacquisite dal personale. Dal 2013, il CIERA ha avuto il ri-conoscimento di NGO in Egitto.Un nuovo progetto, promosso confondi di riconversione (IEDSP),consentirà di avanzare le attività, at-tualmente sospese estendendo quindilo studio ed il restauro al palazzo Qu-sun Yashbak Aqbardi. E’ un futurodi continuità e stabilità del CIERAaffidato all’attenzione di Istituzioni eSponsor, per la promozione della cul-tura della conservazione attraverso illavoro, che solo può assicurare la coscienzadelle conoscenze tecnologiche, lo svi-luppo sociale e l’occupazione.

    Giuseppe Fanfoni

    Centro Italo-Egiziano per il Restauro e l’Archeologia (CIERA)

    Cantiere scuola di specializzazione

    L’Isola di Nelson è situata 4 km al largodel Capo di Abuqir e 18 km ad Est di Ales-sandria. L’isolotto, che oggi misura soltanto350 metri di lunghezza, ai tempi di Ales-sandro Magno era la punta di un lungopromontorio connesso con la terrafermada un istmo stretto ed instabile. Le rovineritrovate sull’isola rappresentano soltantouna piccola parte di quello che nel passatofu un vasto sito archeologico, oggi sprofon-dato nelle acque del Mar Mediterraneo.Durante il periodo delle ultime dinastieindigene (XXVI-XXX din.) questo pro-montorio fu usato come necropoli dagliabitanti delle città di Canopo ed Eracleion,due grandi e ricche città ubicate a qualchechilometro di distanza dall’isolotto, oggi an-ch’esse finite sotto il livello del mare.Alla fine del IV sec. a.C. i coloni greci arri-vati con Alessandro costruirono sul pro-montorio un nuovo insediamento, sovrap-ponendolo all’antica necropoli: unaanomalia rispetto agli antichi costumi deiGreci, che hanno sempre evitato di costruirecittà nuove sopra zone cimiterialipre-esistenti. La posizione strategica delluogo può spiegare questa scelta: la cima delpromontorio era certamente uno dei postimigliori della baia per controllare il trafficomarittimo di Eracleion, che fu il più grandeporto d’Egitto sul Mediterraneo prima dellaFondazione di Alessandria.L’insediamento greco sull’Isola di Nelsonsi accrebbe durante il regno di Tolomeo I. Ilsuo nome antico è ancora ignoto, ma la

    speciale attenzione che il neonato regno to-lemaico dedicò al sito è dimostrata dallacostruzione di monumenti pubblici enor-mi. Mura di pietra spesse cinque metri fu-rono costruite per proteggere la parte orien-tale dell’insediamento, mentre sul latooccidentale fu eretto un grande monu-mento in stile dorico – probabilmente untempio – le cui colonne erano alte tra i 7 egli 8 metri. Nelle vicinanze fu realizzataanche una imponente cisterna pubblica pergarantire riserve idriche all’insediamento: lastruttura è lunga 26 metri e larga 13 e, con isuoi quattro bacini comunicanti ed una ca-pacità di circa 1000 metri cubi d’acqua, èprobabilmente la più grande cisterna proto-ellenistica del Mediterraneo destinata alla

    raccolta di acqua pluviale. Nonostante questiinvestimenti governativi, l’abitato grecosull’Isola di Nelson fu abbandonato alla finedel primo quarto del III sec. a.C. Nella par-tenza, gli abitanti lasciarono molti oggettid’uso quotidiano nelle case, dove gli ar-cheologi li hanno ritrovati indisturbati. Dalmomento che il sito non mostra segni diun vero ripopolamento durante i periodisuccessivi (tolemaico recente e romano), ilfenomeno potrebbe suggerire che la rivolu-zione geologica che trasformò l’antico pro-montorio in un isolotto avvenne proprioverso la metà del III sec. a.C. e può esserstata la causa dell’abbandono di questa partedel sito. Nel V sec. d.C. l’isolotto divenne una

    cava di pietra dove gli operai formarono unpovero insediamento che fu abbandonatointorno alla fine del VII sec. d.C., con la de-cadenza delle città di Eracleion e Canopo.Durante le guerre napoleoniche per ilpossesso del Mediterraneo la Baia di Abuqirdivenne nuovamente un obiettivo sensibilee l’Isola di Nelson giocò un importanteruolo strategico a causa della sua posizionegeografica. Dopo la “Battaglia del Nilo”(1798) la Marina Britannica occupò l’ “Isoladi Abuqir”, che i soldati ribattezzarono “Isoladi Nelson” proprio in onore del famosoammiraglio. Nel 1801 le truppe inglesi delGenerale Abercrombie usarono la baia diAbuqir come testa di ponte per la lorocampagna egiziana. Durante le operazionigli inglesi subirono molte perdite ed alcunisoldati furono seppelliti sull’isola. Parte diquesto “cimitero di Guerra” è stato scavatodalla Missione e nel 2005 i resti di una ven-tina di soldati britannici sono stati riseppellitinel Cimitero Militare del Commonwealthdi Shatbi, ad Alessandria d’Egitto.Grazie ai contributi dell’Istituto Italianodi Cultura del Cairo e di Edison-Egitto, cir-ca duecento oggetti archeologici trovati erestaurati dalla Missione Italiana sull’Isola diNelson sono oggi esposti in modo perma-nente dentro il Museo Archeologico dellaBibliotheca Alexandrina, in una sala appo-sitamente dedicata a questo sito archeologico(Nelson Island Hall), così importante per lastoria della costa alessandrina.

    Paolo Gallo

    Nelson Island, Baia di Abuqir – Governatorato di Alessandria

    • Pezzo di fasciame in cedro di una nave ecassette lignee per i prodotti di Punt se-condo millenio A.C.

  • Martedì 21 Giugno 20164

    Sulla sponda occidentale delNilo, di fronte alla moderna Luxor,l’antica Tebe, sorgono alcuni tem-pli posti lungo il confine tra i campicoltivati e l’area desertica e fatti eri-gere da alcuni sovrani del NuovoRegno. Chiamati Templi di Mi-lioni di Anni e dotati di uno speci-fico nome, erano dedicati al cultodel sovrano associato al dio Amon.La missione archeologica

    condotta dal Centro di EgittologiaFrancesco Ballerini, diretta daldott. Angelo Sesana, opera dal1997 nell’area a nord del tempiofatto costruire da Ramesse II enoto come Ramesseum. Qui sitrovano i resti non altrettanto im-ponenti, ma non per questo menosignificativi, del tempio del settimosovrano della 18a dinastia: Aakhe-perura Amenhotep, più semplice-mente noto come Amenhotep II(1428-1397 a.C.).L’archeologo britannico Flin-

    ders Petrie scavò in quest’area allafine dell’‘800, pubblicandone bre-vemente i risultati. In seguito il sitovenne abbandonato e fu soggettoa scavi clandestini che si aggiunse-ro a quelli del passato. Gli scavi delCEFB sono stati quindi intrapresicon lo scopo principale di indagare

    dettagliatamente quanto ancoraconservato del tempio, integrandoo modificando le scarne e spessoimprecise osservazioni di Petrie.Al termine della 18a campagna discavi questo obiettivo è ormai qua-si raggiunto.Il tempio e i suoi annessi occu-

    pavano un’area di circa 10.000 mq(90 m di larghezza per almeno110 m di lunghezza), circondatada un imponente muro in mattonicrudi dello spessore di circa 4,25m. Il tempio era dotato di due piloni

    in mattoni crudi, che davano ac-cesso ad altrettante corti. Dalla se-conda di queste una rampa inmattoni crudi conduceva all’inter-

    no del cortile colonnato, circon-dato da un muro di cinta in mat-toni crudi e da un muro più inter-no in blocchi di arenariaoriginariamente decorati. Le co-lonne, solo parzialmente conser-vate, erano probabilmente dispostesu due file. Dal cortile colonnatouna soglia in calcare dava accessoalla sala ipostila, dotata di due filedi cinque colonne e affiancata dauna serie di ambienti più piccoli,di cui si conservano solo le fonda-menta in arenaria. Infine si passavaalla parte più interna del tempio,che ospitava la statua del dio.Dell’alzato del tempio restano solopoche tracce, che lasciano peròimmaginare la raffinatezza dell’ap-

    parato decorativo.Annesse al tempio si trovavano

    numerose strutture ausiliarie inmattoni crudi, tra le quali sono statiindividuati i probabili resti di unascuola, di cucine e di altri ambientiproduttivi, utilizzati anche in unperiodo immediatamente se-guente all’epoca di Amenhotep II. Le ultime campagne di scavo

    hanno inoltre consentito di met-tere a fuoco l’intenso utilizzo e riu-tilizzo dell’area a scopo funerario.Sono state infatti scoperte alcunetombe precedenti l’epoca diAmenhotep II, delle quali 2 a cor-ridoio e 2 meno complesse in nic-chia o pozzo poco profondo data-bili dal Medio Regno all’iniziodella 18a dinastia, nonché 24 tom-be a pozzo, con una o due cameresepolcrali, databili al Terzo Perio-do Intermedio-Epoca Tarda.Questi contesti funerari, benchéspesso ampiamente saccheggiati,hanno comunque restituito ma-teriale di corredo utile alla loro da-tazione (vasi canopi, ushabti, amu-leti).L’ultima fase di occupazione at-

    testata sull’area risale all’epoca to-lemaico-romana.

    Angelo Sesana

    Il Tempio di Milioni di Anni di Amenhotep II

    I siti oggetto d’indagine del-la missione archeologicadell’Università di Padova edell’associazione CAIE aKom al-Ahmer e Kom Wasitsi trovano nella regione di Be-heira, a cinquanta chilometrida Alessandria d’Egitto e settedall’attuale ramo di Rosettadel Nilo. Kom al-Ahmer fudescritto per la prima voltadall’italiano Achille Adriani eindagato parzialmente nel1942 dall’ispettore egizianoAbd el-Mohsen el-Kashshab.Questi interventi portaronoalla luce numerosi oggetti,conservati ora nei magazzinidel Museo Greco-Romano diAlessandria, e dallo scavo ungrande complesso termale diepoca romana, le cui dimen-sioni sono di poco inferiori aquelle di Kom el-Dikka adAlessandria. Nel vicino sito diKom Wasit (2 km a nord),venne effettuato un piccolosondaggio esplorativo nel1944 da un altro ispettore egi-ziano, Labib Habachi, che in-dividuò un piccolo complessotermale di età ellenistica.Dopo circa settant’anni, sonoriprese le indagini in questidue siti: nel 2012 a Kom al-Ahmer e a Kom Wasit. AKom al-Ahmer inizialmentegli scavi si sono concentratein prossimità di strutture af-fioranti localizzate sulle pen-dici del kom centrale. Grazie

    alle evidenze messe in luce eallo studio dei materiali indi-viduati, è stato possibile data-re l’ultima fase di vita del sitoin epoca araba, tra il X e il XIIsecolo. Fra i manufatti ripor-tati in luce sono state riconosciutenumerose ceramiche d’im-portazione che denotano uncollegamento diretto tra Komal-Ahmer e il Mediterraneo.L’apertura di nuove aree d’in-dagine, in altri punti del sito,hanno permesso di datare lafase iniziale di frequentazioneall’età ellenistica.Il sito di Kom Wasit non ha

    subito rimaneggiamenti in etàmoderna, è stato quindi pos-sibile l’impiego di tecnichenon invasive come le prospe-zioni magnetometriche. I ri-sultati di queste indagini,combinate con foto dall’alto,hanno permesso di costruirela pianta virtuale della città an-tica. Nella parte centrale del

    sito è stata identificata unastruttura, lunga 115 metri, sul-la quale tra il 2014 e il 2015sono state aperte sette unitàdi scavo. I dati non invasivi e irinvenimenti suggerisconoche si tratti di un edificio pub-blico, forse un tempio, datatoa partire dall’età tardo farao-nica (VII sec. a.C.); è statoconfermato che è uno dei piùgrandi edifici pubblici noti nelDelta. Le ricerche a Kom Wa-sit nel 2016 si sono concen-trate sull’urbanistica della cittàellenistica con lo scavo diun’unità abitativa sulla som-mità del kom e di strutturepertinenti a terme a tholos el-lenistiche. Grazie ai dati fin qui raccolti,

    appare evidente che i due sitifurono abitati in periodi diver-si. Kom Wasit fu popolato al-meno dal VII sec. a.C. fino al Isec. d.C.; mentre Kom al-Ah-mer si data dalla seconda metà

    del III sec. a.C. fino all’epocaAraba. Considerata la vicinan-za dei siti e i periodi di occupa-zione, si ipotizza che ci sia statouno spostamento degli abitan-ti di Kom Wasit verso Kom al-Ahmer, probabilmente a causadel cambio di corso del ramodi Rosetta. Il mutamento dicorso dei rami del Nilo era fre-quente prima della costruzio-ne della diga di Aswan e le cittàdi una certa importanza sulDelta venivano trasferite pernon perdere la strategica vici-nanza con il fiume. Suggestivaè infine l’ipotesi che Kom Wa-sit prima e Kom al-Ahmer sia-no da identificare con l’anticaMetelis, l’unica capitale di no-mos di età greco-romana nonancora identificata in Egitto.La città, menzionata dai geo-grafi Strabone e Claudio To-lomeo, era localizzata nella re-gione di Beheria. La posizioneaccanto al ramo di Rosetta,l’impianto urbano, la presenzadi strutture di notevole impor-tanza, l’abbondanza di mate-riale d’importazione e il ritro-vamento, verosimilmente inuno di questi due siti, diun’iscrizione che menzionaMetelis sembrano confermarequesta identificazione, tuttaviamanca ancora una chiara testi-monianza in situ.

    Cristina Mondin Mohamed Kenawi Giorgia Marchiori

    Kom Al-Ahmer e Kom Wasit

    La signora Nada ha 40 anni,ha un problema con suo figlio ecerca sempre uno psicologo perrisolvere questo problema manon ne trova uno bravo. Un gior-no, guardando la TV, trova unannuncio che parla di uno psico-logo. Lei ha preso il numero diquesto dottore, l’indirizzo dellasua clinica e ci è andata. Signora Nada: Buongiorno!

    Vorrei incontrare il dottore.L’infermiera: Chi è lei? Signora Nada: Sono Nada

    Ragab, ho chiamato il dottoreper prendere un appuntamento.L’infermiera: Sì, sì, il dottore l’as-petta, prego. (La signora Nada entra dal

    dottore).Signora Nada: Buongiorno

    dottore! Il dottore : Buongiorno signo-

    ra! La prego di sedersi. Signora Nada (si siede): Gra-

    zie. Il dottore : Qual è il suo proble-

    ma? Signora Nada: Il problema è

    mio figlio. Il dottore : Suo figlio! E qual è il

    problema? Mi racconti, l’ascolto,prego.Signora Nada: Io e mio marito

    eravamo innamorati prima disposarci. Un mese prima del nos-tro matrimonio, mio marito ha

    fatto un incidente in cui ha perso ipiedi. Tutti i miei parenti mi han-no detto che è difficile sposare unuomo che non può camminare;ma c’era l’amore, e ho insistitoperché volevo continuare con lapersona che amavo. Dopo il ma-trimonio, io facevo tutte le cose:ma non sentivo mai di faticare,perché ero io che avevo sceltoquesta vita. Dopo un anno, è ve-nuto al mondo un bel bambino,Ali: credevo che lui fosse la miafelicità in questa vita ma ho sba-gliato. La mia stanchezza aumen-tava giorno dopo giorno, perchénon potevo tenere il mio bambi-no, mio marito ed il mio lavoronello stesso tempo.Questo ha fatto mio figlio più

    vicino a suo padre, e io soltantocome una banca o fonte di soldi,malgrado io abbia lasciato ora ilmio lavoro per stare con Ali. Soche ho sbagliato quando ho di-menticato che sono una madree non ho pensato anche a mio fi-glio. Ma che cosa dovevo fare?!Come potevamo vivere se io esuo padre stavamo a casa ?! Il dottore: Ma perché, Signora,

    non prova a parlare con suo figlioper fargli capire che la sua lonta-nanza da lui non era voluta, maera per potergli fornire una vitafelice?Signora Nada: Non mi ascolta

    mai! Ieri, quando è tornato dascuola, gli ho detto che volevoparlare con lui ma la sua rispostaè stata : “Lasciami in pace, perchévoglio parlare con mio padre diun argomento segreto”. Sonouscita dalla camera ma ho pro-vato ad ascoltare cosa dice e qualè questo argomento segreto,come dice ogni giorno! Ma nonho trovato nessun segreto,sempre le stesse parole di ognigiorno: “Ciao, padre mio! Comestai oggi? Il mio professore hadetto che io ero molto bravo oggima ci ha dato tanti compiti .....”.Così sono sempre le sue parole,racconta a suo padre ogni cosa indettaglio. Perché non fa così conme? Il dottore: Signora mia! Vedo

    che suo figlio non è malato.Questa è una cosa normale. Luiè vicino a suo padre perché, daquando è nato, ha visto semprelui, perciò racconta e parlasempre con lui. Ma lei deve...... Signora Nada: Dottore, se mio

    figlio è vicino a suo padre e parlasempre con lui, non è questo ilproblema! Il dottore: E allora, qual è il pro-

    blema?? Signora Nada: Il problema è

    che il padre di mio figlio è mortoda sei anni.

    Esraa Saleh Ahmed

    La parola agli studenti: il raccontovincitore, Universita’ del Cairo

    Nel 1917 S. E. Daninos Pacha,nella penisola di Abuqir presso il for-te Ramleh, in località Tabiet el Ram-lah, aveva scavato un complesso ar-cheologico da lui identificato con unbagno pubblico di età tolemaica. Lastruttura venne pubblicata in via pre-liminare qualche anno dopo da Eva-risto Breccia che ne accettò l’identi-ficazione già proposta dalloscavatore. Lo studio dell’evidenzaarcheologica oggi più verosimil-mente interpretabile come un com-plesso edilizio con funzioni produt-tive è stato ripreso nel 2010 dallamissione dell’Università di Torinodiretta da chi scrive. Purtroppo nelperiodo intercorso dalla primaconcessione dei necessari permessida parte dell’Autorità Egiziana adoggi non si è potuto realizzare cheun intervento preliminare: si auspicadi poter presto continuare lo studiodel complesso per arrivare in tempibrevi alla sua pubblicazione.Si tratta di edificio a pianta quasi

    quadrata di circa 24 x 23 m. com-posto da 17 ambienti disposti suiquattro lati attorno a un’area cen-trale libera da costruzioni. Le strut-ture sono ben conservate per untratto dell’alzato.Sul lato occidentale sono tre nuclei

    produttivi costituiti da vasche desti-nate alla pigiatura di vino, antistantialle quali, e digradanti a quote infe-riori verso il cortile centrale, sonobacini per la raccolta dei liquidi dicolatura. Di particolare interesse lacoppia di vani che Breccia descrive-va come vasca serbatoio con sotto-

    posta piscina accessibile tramite duescalette, oggi interpretabile comevasca per la pigiatura e sottostantebacino per la raccolta e decantazionedel mosto, della capienza di circa140 hl. Nell’ambiente nell’angolo sud oc-

    cidentale della struttura è ancora vi-sibile una base di pressa circolare perla premitura delle olive, già citata daBreccia e purtroppo danneggiata inanni recenti: la base era ancora in-tatta durante il primo sopralluogo,condotto nel 2003. Altre due basi dipressa, una circolare e una quadrata- anche queste già citate da Breccia -sono ancora presenti all’internodell’edificio. Il vano all’angolo nord occi-

    dentale ospita invece due vascheper abluzioni individuali, giàpubblicate qualche anno fa daPaolo Gallo. Gli ambienti dei lati orientale e

    meridionale ospitavano locali fun-zionali, alcuni dei quali si sviluppa-vano a quote inferiore al piano dicamminamento, erano chiusi da as-siti e accessibili tramite scalette di le-gno e botole e dovevano esseredestinati allo stoccaggio della pro-duzione della villa.La presenza di vani scalari sia sul

    lato orientale che su quello meridio-nale, unitamente alla notevole lar-ghezza dei muri permette di ipotiz-zare con buona verosimiglianza chealmeno parte della struttura presen-tasse un piano superiore, forse conun colonnato rivolto verso il cortilecentrale che doveva essere scoperto.

    Tra i materiali rinvenuti Breccia se-gnalava la presenza di “piccoli pilastriin calcare bianco rivestiti d’un finestrato di stucco, coronati da capitel-lini a volute dell’ordine corinzio econservanti tracce di policromia”, diun capitello corinzio in marmo, diuna sfinge frammentaria in granitoverde e di una colonnetta di marmoa spirale, che non sono ancora statirintracciati. Come già detto, Evaristo Breccia

    accettò l’identificazione dell’edificio,già proposta da Daninos Pacha, conun bagno pubblico di età tolemaica.La pianta con ambienti sui lati e cor-tile centrale, nonché la presenza distrutture di servizio, ne rende inveceormai certa l’identificazione piuttostocon edificio a destinazione duplice:residenziale, come parrebbero attestaregli intonaci ancora presenti in fram-menti sull’area e gli elementi archi-tettonici di pregio di cui parla Brec-

    cia, e produttiva, prevalentementevinicola e olearia.È noto come già dal momento

    della fondazione di Alessandria, emaggiormente in età romana, l’areacircostante il lago Mariut (l’anticonomo di Mareotis) fosse stata interessatada un sistema di sfruttamento agri-colo. Questa attività è attestata dallapresenza di numerose villae dotatedi strutture destinate alla produzio-ne vinicola, cui erano a volte asso-ciati ateliers per la fabbricazione dianfore vinarie. Veniva qui prodottoil pregiato vino mareotico, già esal-tato dalle fonti (Columella maanche Orazio, Strabone, Virgilio).Mancano al momento precisi ele-

    menti di datazione; la struttura do-vette comunque essere interessatada rifacimenti. La pianta del com-plesso trova interessanti riscontri infattorie di età macedone.

    Rosina Leone

    Tabiet el Ramlah

    La missione diretta da Marilina Betrò èattiva dal 2003. Finanziata dall’Universitàdi Pisa e dal MAECI, opera in una conces-sione nella necropoli dell’antica Tebe, difronte a Luxor, e comprende oggi cinquetombe rupestri, quattro delle quali, in pre-cedenza ignote, portate alla luce nel corsodegli anni dalla missione stessa. L’area è si-tuata nel settore di Dra Abu el-Naga, unodei più antichi della necropoli tebana, sededella necropoli regale prima che le tombedei faraoni fossero trasferite nella Valle deiRe. Primo oggetto di scavo e di studio è stata

    una tomba rupestre dipinta, la Tomba Te-bana 14 (TT 14), che il sacerdote Huy,addetto al culto del re divinizzato AmenofiI, scavò per sé e per la famiglia verso la finedel regno di Ramses II (ca. 1250-1200a.C.). Nell’ottobre 2004 fu scoperta – e poi in-

    teramente scavata – una seconda tomba,a nord-ovest della prima, denominata MI-DAN.05 (dall’acronimo della missione);più grande e antica di TT 14, si data pro-babilmente alla fine del XVI sec. a.C. Intorno alla sua corte si raccolsero nel

    tempo altre cappelle rupestri funerarie: sullato Nord, due tombe, probabilmentecontemporanee e appartenenti alla stessafamiglia, scoperte nel 2010 ma ancora nonscavate; sul lato Sud, in ordine di tempo, lastessa TT 14 e la piccola tomba E.

    Nel 2011 le indagi-ni nella corte diMIDAN.05 ri-velarono l’esis-tenza di un se-condo pozzofunerario, contre camere, per-tinente alla tom-ba: il suo scavo èstato portato a ter-mine nel 2014.Tutte le strutture

    hanno avuto molte-plici riusi nel tempo:nel caso di MIDAN.05,l’occupazione si estese finoall’età romana.

    TT14La tomba è costituita da una piccola cap-

    pella, interamente dipinta su pareti e soffitto,e da un settore funerario, che si addentranel sottosuolo attraverso gallerie e piccoliambienti scavati nella roccia e privi di de-corazione. Le scene della cappella illustranomomenti delle attività svolte da Huy nellasua funzione di sacerdote, di particolare in-teresse per lo studio del culto di Amenofi I,insieme a temi più tradizionali (il banchet-to, il funerale, il giudizio dinanzi al tribunaledivino).L’indagine archeologica del set-

    tore funerario, pres-soché completa-ta, ha messo inluce la sequenzadelle fasi di uso eriuso dell’ipogeotra la fine del II egli inizi del I mil-lennio a.C. Alcunidei rinvenimentihanno fornitotestimonianze as-sai interessanti deiculti legati alla fertilità

    e alla rinascita.

    MIDAN.05 Su questa tomba e sulla sua corte si

    sono concentrate le indagini più recenti.La tomba fu scavata nella roccia agli inizidel Nuovo Regno, non oltre il 1500 a.C.,e in seguito ampliata e modificata. Lapianta originale, uno dei più antichi esem-pi di tomba a T, presentava una finestra,elemento molto raro, condiviso dalle duetombe scoperte nel 2010 sul lato norddella corte. Nella fase di ampliamentodella tomba, nella prima metà della XVIIIdinastia, la finestra fu murata e gli ambientiinterni dipinti. Solo pochissimi resti diqueste pitture sono oggi preservati: partedel banchetto funerario, una scena di me-tallurgia e oreficeria, frammenti di motivi

    geometrici sui soffitti.Il settore funerario è costituito da due

    pozzi. Il più antico, profondo 4,50 m., è si-tuato all’interno della tomba e presentaquattro camere sul fondo. In una di questefurono rinvenuti numerosi frammenti disarcofagi del tipo detto rishi (“piumato”),diffuso nel XVI sec. a.C. Il pozzo P3, all’esterno, fu utilizzato tra la

    fine della XVIII e la XIX dinastia. Scavatonel corso della