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Il giornale del fareassieme della salute mentale di Trento Libera la m ente Mensile - Poste Italiane s.p.a. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2993 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) ART.1, comma 2, CNS Trento - Taxe Percue All’interno: Intervista a due “star” Rubriche Concorso letterario Il tema: Fiducia L’evento: Mercatino dell’usato, il bilancio giugno 2013 54

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Il giornale del fareassieme della salute mentale di TrentoLiberalamente

Mensile - Poste Italiane s.p.a. Spedizione in abbonam

ento postale D.L. 353/2993 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) A

RT.1, comm

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S Trento - Taxe Percue

All’interno:Intervista a due “star”RubricheConcorso letterario

Il tema:Fiducia

L’evento:Mercatino dell’usato, il bilancio

giugno

201354

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LiberalamentePeriodico d’informazione del Servizio di salute mentale di TrentoRegistrazione Tribunale di Trento n°1385 del 24/04/2009

EditoreAss. A.M.A. Salute mentaleVia Torre d’Augusto 2/1, 38100 Trento, tel: 0461/239640Redazione: Area del fareassieme, Via S. Giovanni Bosco,10 - Trentoe-mail: [email protected] - tel. 0461/902881

Direttore responsabile: Milena Di Camillo

Redazione: Anna Bacia, Antonio Saccoman, Camilla Cadenazzi, Francesco Bridi, Maria Elena Ghezzi, Nonna Renata, Ornella Gabrielli, Paolo Agostini, Patrizia Pontalti, Stefania Arici, Salvatore Biondo, Mimmo La Cava, Salvatore Capossela, Stefano Ricci, Fabrizio Chiesura, Valentina Paoli, Nancy Juarez, Claudio Agostini, Sara La Monaca, Alberto Cuoghi, Carlo Saverio Campagna, Linda Pines, Alice Sommavilla, Eleonora Barozzi, Sara Conci.Hanno collaborato: Giacomo Gardumi, Marco Potrich, Stefano Damiani, Ilaria Tinelli, Giuseppe Tibaldi, Rodrigo Ortiz Espinoza, Franca, Renzo De Stefani, Dezzi Fabio

Grafica a cura di: Carlo Saverio Campagna e Alberto Cuoghi

UN VICINOPER AMICO

Dedicare del tempo a utenti del Servizio in un clima di amicizia e condi-visione.

Stefania 0461 902886

GIOCHIAMODAVVERO

Calcio, pallavolo, trek-king, basket, nuoto e mol-to altro per divertirsi e mettersi in gioco.

Stefania e Paola 0461 902886

GRUPPI DI AUTO MUTUO AIUTO

Gruppo di utenti e fami-liari che si riunisce per condividere lo stesso pro-blema.

0461 902881 - 82 - 86

LEOPOLDO

Tavolo di confronto aper-to a tutti che raccoglie proposte, criticità e inno-vazioni.

Stefania 0461 902886

CICLI CON I FAMILIARI

Un’occasione di scambio di informazioni e saperi tra operatori e familiari.

0461 902881 - 82 - 86

PERCORSI DI CURA CONDIVISI

Strumento di monito-raggio e negoziazione tra utenti, familiari e operatori nelle varie fasi del percorso di cura.Stefania 0461 902881

GIÚ LAMASCHERA

Gruppo di sensibilizza-zione contro lo stigma e i pregiudizi.

Stefania 0461 902886

UTENTI FAMILIARI ESPERTI (UFE)

Utenti e familiari metto-no a disposizione la pro-pria esperienza in diverse aree del Servizio.

0461 902881 - 82 - 86

La prima notizia, che ci ha resi davvero feli-ci, è che il ‘mercatino dell’usato’, lanciato per finanziare la nostra rivista, è stato un succes-so, ben oltre le nostre, prudenti, aspettative. In apertura delle ‘news’ la cronaca di quella giornata e alcune riflessioni di commento.

Quanto al tema, ragionare e scrivere di ‘fi-ducia’ è stato stimolante ma meno semplice di quanto si potesse pensare (è pur vero che noi di Liberalamente siamo pericolosamente in-clini alle sfide ardite...): la fiducia si conquista, si può perdere... ma si può riconquistare? E cosa accade quando è la fiducia di un bambino ad essere tradita? E che dire della fiducia in se stessi: la difficoltà di arrivarci, di crederci, di non perderla e se sì di ritrovarla... e altro ancora. Intanto, ci prepariamo per il tema di luglio che sarà ‘la partenza’. Chi volesse dire la sua, basta che si metta in contatto con noi e le porte sono aperte.

Chiudiamo con ‘Caraliberalamente’, lo spa-zio aperto alle rubriche varie, alle lettere, opi-nioni, recensioni... anche qui è molto gradita la collaborazione di chiunque voglia entrare nel mondo di Liberalamente.

Buona lettura la redazione

L’editoriale

Come avere Liberalamente

* A CASA con abbonamento annuale di 20 € :

versamento sul c/c intestato “Ama salute mentale”

iban: IT18V0801301802000050354414 (Cassa Ru-

rale di Aldeno e Cadine), causale “Abbonamento

rivista Liberalamente - Sig. ...”;

* abbonamento annuale ON LINE di 10 € con

bonifico (come sopra) e comunicando il vostro in-

dirizzo e-mail a: [email protected].

Ulteriori informazioni all’ “Area del Fareassieme”,

via S. Giovanni Bosco, 10 - Trento.

Liberalamenteè curata da utenti familiari operatori e cittadini attivi

del Servizio di salute mentale di Trento

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News

La faccenda del mercatino è parti-ta come una scommessa, sul cui esito nessuno di noi aveva azzardato pre-visioni. Non avevamo infatti pensato ad un mercatino ‘normale’ (troppo facile…).

I nostri obiettivi erano ambiziosi: raccogliere fondi per sostenere la ri-vista, aprire la porte del Servizio di salute mentale a persone che, altri-

menti, mai sarebbero entrate, far loro conoscere il nostro bar interno, quel “Dolce&Caffè” che è risultato una pia-cevole sorpresa per molti.

Perciò quando, fin dall’apertura, ab-biamo visto arrivare la gente, ci si è al-largato il cuore. Non solo avevamo tro-vato persone disposte a donare oggetti, libri, cose di casa e altro ancora, per

aiutare il progetto di Liberalamente… ma tante altre stavano rispondendo al nostro invito, con curiosità e disponi-bilità. Un sorridente grazie ad amici e sostenitori, con la promessa di tenere tutti informati se, così come ci è stato chiesto, decideremo di ripetere questa esperienza o di inventarne altre. Sem-pre nel nome di Liberalamente.

Milena Di Camillo

“Signori e signore, venite al mercatino dell’usato al Servizio di salute mentale! Oggetti usati d’origine con-trollata” questo lo slogan che ha riempito le vie del-la città giovedì 30 maggio, con due menestrelli coin-volgenti che hanno pub-blicizzato l’iniziativa per la città.

Eh si, il mercatino è stato una vera e propria attività di fareassieme: dalla rac-colta degli oggetti, portati da tanti amici del Servizio di salute mentale, all’alle-stimento dell’atrio che ci ha ospitato (dalle prime luci dell’alba), non dimen-ticandoci della pubblicità e, chiaramente, della vendita.

Il Mercatino dell’usato d.o.c. è nato per sostenere e autofinanziare Libera-lamente, la nostra rivista, ed ha attirato curiosi che non solo hanno acquistato ma che hanno anche colto l’occasione per conoscere il Servizio e bersi un buon caffè al “Dolce e caffè”, il bar bianco che vi si trova all’interno.

Utensili, pentole, stovi-glie, vestiti, oggetti d’elet-tronica, libri e tanto altro ancora hanno riempito gli scaffali, i tavoli e ogni an-golo dell’ampio atrio del Servizio di Trento… Ma non solo: le voci, i colori, le persone, i sorrisi hanno

Mercatino dell’usato, un successo

Il commento

In molti hanno risposto al nostro invito

Ecco la locandina e alcune foto scattate

il giorno del “Mercatino dell’usato d.o.c.”

caratterizzato una giornata emozionante e, ammettia-molo, divertente.

Nonostante qualche in-toppo organizzativo (l’a-pertura alle 10 non è stata proprio rispettata… ma un po’ di ritardo ha aumentato la suspense), qualche primo momento di assestamento (non tutti siamo nati vendi-tori…), qualche borsa con oggetti da vendere rimasta in cantina (sarà necessario redarre una mappa per po-tersi orientare all’interno dei piani “bassi” a causa dei mille e più scatoloni che l’affollano) e una lista della merce in vendita che sem-brava un questionario da compilare, il Mercatino ha visto una buona partecipa-zione e, soprattutto, ha per-messo a Liberalamente di farsi conoscere e accogliere qualche nuovo abbonato.

Alla chiusura del mer-catino la fatica si è fatta sentire, ma è passata in secondo piano di fronte alla soddisfazione di essere stati parte attiva dell’intera giornata.

Nei giorni seguenti all’e-vento in tanti sono passati a domandarci “Ma il mer-catino dell’usato doc dov’è? Lo rifarete?”. Chissà… Li-beralamente libererà nuove idee.

Stefania Arici

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News

È stato presentato il 4 giugno al palazzo della Regione il video “Me Fago di Acqua2o”, il progetto, sostenuto dal Centro Stu-di APCAT e dal Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige, volto a sensibilizza-re gli studenti delle scuo-le superiori trentine sugli aspetti negativi dell’alcol, la sostanza che rappresenta la prima causa di morte tra i giovani e alla quale i giova-ni in età sempre più bassa si avvicinano.

Nel nostro territorio i dati evidenziano una situazione allarmante: circa un terzo della popolazione trentina ha abitudini di consumo considerabili a maggiore rischio. I gruppi di popo-lazione che più frequen-temente hanno un com-portamento ad alto rischio sono gli uomini e i giovani, ed il 10% della popolazione continua a mettere a repen-taglio la propria vita e quel-la degli altri guidando sotto l’effetto dell’alcol.

Giacomo Gardumi, ra-gazzo trentino di 27 anni,

accanito bevitore … di acqua, ha realizzato una canzone ed un video mu-sicale nel quale hanno preso parte dei ragazzi for-mati sulle problematiche alcol-correlate che svolgo-no sensibilizzazione nelle scuole rivolta ai loro stessi coetanei. Il video sarà dif-fuso negli istituti superiori trentini come base di par-tenza per una riflessione: “I ragazzi - spiega Gardumi - si sono subito dimostra-ti entusiasti nel proporsi come testimonial di questo messaggio. Se da un lato è vero che tanti giovani sono

facilmente spinti a consu-mare bevande alcoliche, ho notato in questi ragazzi una matura consapevolez-za dei rischi e una volontà di volersi immaginare una società diversa, come loro la vorrebbero. In un mon-do caratterizzato dalla rete, in cui siamo sovraesposti a stimoli ed informazioni di ogni tipo, credo stia di pari passo aumentando la liber-tà di scelta e di conseguen-za la possibilità di intercet-tare anche quei messaggi di impegno e coscienza mora-le che fanno riflettere i gio-vani”.

Abuso d’alcol, la cura in note “Sono gay”se ne parla

a teatroUn nuovo video di Giacomo Gardumi

Parlare di omosessuali-tà è ancora difficile. L’Uf-ficio giovani e servizio civile della Provincia ha proposto un laboratorio teatrale, per scoprire cosa significhi preparare uno spettacolo, ma anche per realizzare un percorso di parole ed azioni capace di far riflettere. Il labo-ratorio teatrale “Dalla scrittura alla scena” è così diventato spazio della scoperta, del confronto, della ricerca di un mez-zo, di uno strumento per una comunicazione au-tentica.

In una società dove il mostrarsi è comunque difficile, il palcosceni-co diretto da Antonel-la Fittipaldi della Nuda compagnia di Trento ha assunto il profilo di un luogo dove potersi pro-porre agli altri per come si è e non per come si do-vrebbe essere. Spazio per le proprie ed altrui op-portunità, per arricchire, in un reciproco scambio e significato le storie e i percorsi di ognuno.

“Padre perdona perché sono gay” è il titolo del-la performance proposta dai giovani che hanno partecipato al laborato-rio, diretti da Antonella Fittipaldi della “Nuda compagnia di Trento”, andata in scena al centro polifunzionale di via Pra-ti il 16 maggio, nell’ambi-to della seconda edizio-ne di “Ama chi ti pare”, iniziativa indetta da “la Nuda Compagnia” in oc-casione della IX Giornata internazionale contro l’o-mofobia.

Marco Potrich

L’immagine promozionale del video realizzata da Giacomo Gardumi

“Degni di nota” e di applausiIl 24 maggio è stata una

data importante per il coro “Degni di Nota”: ha infatti messo a segno la sua prima uscita ufficiale, con un con-certo alla festa del quartiere di Madonna Bianca.

Con un repertorio degno di una primavera in fiore, hanno riscaldato l’atmosfe-ra e soprattutto la giornata piovosa.

Partendo da una canzone creata ad hoc dagli stessi coristi e dal titolo “Degni di Nota”, appunto, sono poi passati alle melodie conosciute di “Papaveri e

papere”, “La gatta”, “Geor-die”, “Voglio vivere così”, “Il pescatore” e “Amapola”. Di particolare difficoltà è stato il pezzo “Ci vuole un fiore Medley”, che in circa una decina di minuti ri-prende varie canzoni che hanno come protagonisti i fiori. Infine, il coro ha ri-proposto “Quel mazzolin di fiori” nella versione tea-trale che già aveva riscosso successo all’inaugurazione della nuova sede del Servi-zio di salute mentale del 18 marzo. Il tutto è stato egre-giamente diretto dalla mae-

stra Clara, accompagnato dalla chitarra di Giacomo e impreziosito dal flauto di Nadia e dalle percussio-ni di Eleonora. Per tutti i coristi è stata un’occasione molto speciale per diver-tirsi e cantare insieme ma soprattutto per affermarsi una volta per tutte come un vero e proprio coro.

Ultima, importantissima, informazione: il 24 giugno il coro si esibirà ancora alla casa di riposo di Clarina alle ore 16,00.

Eleonora Barozzi

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Un esperimento alternativo quello di martedì 21 maggio…particolare per il luogo di svolgimento e di ritrovo. Il centro diurno del Servizio di salute mentale di Trento ha voluto allar-gare l’invito alla consolidata discussione filosofica ad altri uten-ti ed operatori, utilizzando come spazio di ritrovo e confronto la saletta dell’accogliente “Dolce& Caffè”. Un “caffè filosofico” con tema la libertà, guidato da Anna, filosofa volontaria al centro diurno. Che cos’è per noi la libertà? Quando ci siamo sentiti liberi? Quali emozioni abbiamo provato in quella situazione? Molti i punti di vista e le riflessioni condivise tra tutti i parteci-panti, interessanti le esperienze raccontate.

Una pecca dell’incontro? Le sedie non bastavano per i nu-merosissimi partecipanti. Per il prossimo incontro, marte-dì 18 giugno 2013, risolveremo certamente il problema; il prossimo tema sarà: “seguiamo la passione o la ragione?”. Vi aspettiamo numerosi.

Ilaria Tinelli

della loro vita; a tutti coloro che credono nel valore tra-sformativo della speranza e che vogliono dare sostegno a questa nostra iniziativa nel loro ambito di vita e di lavoro, chiediamo di offrire sostegno all’iniziativa (in qualsiasi forma).

Per chi volesse saperne di più: visitate il sito del Con-corso: www.storiediguari-gione.net ed iscrivetevi alla Newsletter oppure scrivete a [email protected].

Giuseppe Tibaldi

Storie di guarigione Un caffè filosofico

Gli Ufe trentini a Pavia

Concorso letterario nazionale Incontri al nostro bar

Appuntamento con “Se non son matti...son da legare”

Pavia, martedì 9 aprile. Visto il feedback positivo ottenuto nel 2012 dalla se-rie di conferenze ‘Se non son matti...son da legare’, gli studenti pavesi del Gruppo Kos hanno deciso di pro-porne una nuova dal titolo ‘Salute mentale e società: contatti tra passato e futu-ro’.

Grazie alla collaborazio-ne di tutti la serata, mode-rata dal professor Pierluigi Politi, è stata occasione di incontro e riflessione su molti temi che interessano la salute mentale nel suo divenire, ma che purtrop-po non sempre vengono considerati con adeguata sensibilità. Il senatore Da-

niele Bosone ha raccon-tato l’Italia che era, e che speriamo non sia più, degli Ospedali psichiatrici giudi-ziari, illustrando in seguito i punti chiave toccati nella relazione finale della com-missione d’inchiesta del Senato sul Servizio sanita-rio nazionale (che potete trovare sul sito http://www.senato.it/4097?testo_gene-rico=859). Nella seconda parte della serata l’attenzio-ne si è rivolta verso un fu-turo possibile che a Trento è già un importante presen-te: quello degli U.F.E. e del fareassieme. Il dottor Ren-zo De Stefani e gli U.F.E. Maurizio Capitanio, Mirel-la Gretter e Roberto Cuni

hanno raccontato scorci di una psichiatria diversa che accetta nel suo corpo ogni sua cellula - dal medi-co all’utente, dall’utente al medico - per muovere i pri-mi passi come organismo unito che solo alla fine di questo percorso di crescita potrà dirsi veramente ‘sano’.

Lo scopo di iniziative come questa è di far cono-scere diverse realtà e, anco-ra una volta, di combattere quel timore del ‘folle’ che forse non è altro che paura dell’ignoto, quella mainofo-bia (paura d’impazzire) che spinge i cosiddetti ‘normali’ a volgere lo sguardo altro-ve.

Stefano Damiani

Le esperienze personali di John Nash (“A beautiful mind”) o, in Italia, di Alda Merini hanno consentito a molti una diversa perce-zione dell’esperienza che viene definita psicotica: le loro vicende personali han-no consentito di percepire che si tratta di un’esperien-za che “cambia la vita”, ma che – molte volte – ha una natura transitoria e rever-sibile. In moltissimi casi, questa esperienza è solo una tappa, sia pure molto dolorosa, del viaggio esi-stenziale di una persona.

E’ stato proprio per fa-cilitare la moltiplicazione dei racconti autobiografi-ci di coloro che – pur non essendo famosi - sono “so-pravvissuti” all’esperienza psicotica.

Qualche anno fa era stata organizzata, a Biella, la pri-ma edizione del concorso letterario nazionale “Storie di guarigione”, in ricordo di Emanuele Lomonaco (che è stato il direttore dei Servizi di salute mentale del Biellese) con circa 600 partecipanti da tutta Italia. E’ venuto il momento di ri-provarci.

A tutti coloro che hanno avuto esperienze positive chiediamo di scriverle, o di farcele avere, se le hanno già scritte o pubblicate a li-vello locale (compresi i par-tecipanti alla prima edizio-ne del concorso, se hanno sviluppato ulteriormente i loro contributi); a tutti co-loro che conoscono perso-ne con esperienze positive di questo tipo, chiediamo di farsi interpreti di que-sta nostra proposta presso i loro amici che sono “so-pravvissuti”, proponendo loro di riaprire – per rac-contarla – quella parentesi

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Liberalamente 546

News

Le parole del disagio mentaleLa lettera: quale legame tra geni e ambiente?Una lettrice chiede:“Geni e ambiente, in che misura influiscono nello sviluppo della patologia?”

Vecchia questione, mai del tutto risolta e foriera di dispute partigiane non sempre equilibrate.

Sui fronti contrapposti stanno, agli estremi, chi vede la malattia mentale come esclusiva espressione di un vulnus genetico an-corché non fotografato nel-la sua identità cromosomi-ca e chi invece sostiene che ci si ammala solo per l’in-fierire dell’ambiente, vuoi attraverso la storia perso-nale, vuoi, nelle espressio-ni più “politiche” di questa posizione, attraverso le de-terminazioni sociali degli assetti societari ed econo-mici.

Vediamo, sapendo di at-traversare un campo mina-to, di provare a dire alcune cose di buon senso, condi-visibili (mi pare) dai più.

Innanzitutto, le malattie mentali non si ereditano come il colore degli occhi o la maggior parte delle malattie cromosomiche: la trasmissione sembra inte-ressare più la vulnerabilità che non la malattia, ne sia prova dirimente l’evidenza non infrequente di cop-pie di gemelli monovulari (quindi con identico pa-trimonio genetico) in cui solo uno dei due gemelli è ammalato. Ciò significa che quand’anche il DNA ci predisponga ad acquisire la malattia, la vita e le sue fa-vorevoli circostanze (quello che si definisce “ambiente”) possono farcela evitare.

Non mi addentro nella questione della responsa-bilità personale, ovvero quanto del merito dell’e-vitamento della malattia vada ascritto alla perso-na e quanto all’ambiente, trattandosi di questione complessa, ma credo che la discussione riprodurrebbe

specularmente quella che stiamo affrontando.

Se è vero che le malattie mentali non si ereditano con leggi deterministiche è altrettanto vero che vi sono forti evidenze di una familiarità che, pur sfron-data dalle determinazioni culturali che a volte la so-stanziano (è più facile dive-nire obesi in famiglie con regimi alimentari iperca-lorici senza dover invocare la genetica..), pare suggeri-re in alcune famiglie una vulnerabilità maggiore, ovvero una maggior pre-disposizione ad ammalare. Ciò è senz’altro vero per i disturbi dell’umore, ma vi sono suggestive evidenze anche nel campo delle psi-cosi maggiori.

La ricerca si è allora con-centrata su quali possano essere i fattori favorevoli e quali sfavorevoli al manife-starsi della malattia o even-tualmente alla sua evolu-zione favorevole una volta

manifestata.Qui il discorso sarebbe

lungo e ho già cercato di affrontarlo in precedenti contributi; mi limiterò qui a ricordare che la miglior prognosi si ha in quei paesi e quindi in quelle culture in cui il diritto di cittadi-nanza non venga messo in discussione dal manife-starsi della malattia, quelle in cui la comunità percepi-sca la diversità come porta-trice di potenziale valore e quelle in cui la competitivi-tà è bassa e di conseguenza lo stress è moderato.

Altrettanto si può dire in scala per quei microconte-sti (la famiglia innanzitut-to), la cui capacità di assor-bimento e di valorizzazione della diversità siano buone e l’emotività espressa dei suoi membri contenuta.

Claudio Agostini

Mandate le vostre domande a [email protected]

“Voci dal Lagorai” è un documenta-rio su un trekking in Lagorai al quale hanno partecipato utenti, familiari vo-lontari ed operatori del Servizio di sa-lute mentale di Trento facenti parte del gruppo Stella Polare: è stato proiettato il 23 maggio a Villa S. Ignazio.

Ad introdurre il video, c’erano Stefa-no Bertoldi dell’associazione A.M.A. ed il volontario Claudio Colpo della Sat di Cognola. Entrambi hanno sottolineato l’importanza di poter beneficiare di un contesto di “normalità” per le persone affette da un disagio, e di come la mon-tagna si presti a creare varie occasioni di contatto con la natura e di socializ-zazione tra le persone del gruppo. Que-sto nel video è molto chiaro, grazie sia alle riflessioni dei ragazzi e partecipanti,

sia alle riprese che hanno descritto mo-menti significativi dell’escursione, che ha visto protagonisti anche sei asinelli. Essi avevano l’importante compito di portare in groppa le tende; non sempre si lasciavano comandare dall’uomo, ma puntavano le zampe e difficilmente li si smuoveva.

Questo mi sembra indichi chiara-mente che gli animali siano in grado di farsi capire e non dobbiamo dare per scontato che essi sottostiano al nostro volere.

Per concludere, mi ha molto colpito ciò che i partecipanti raccontano a meta raggiunta: dicono di sentirsi diversi e che se sono riusciti ad affrontare quel-le montagne possono superare anche la sofferenza durante la crisi.

Ciò mi è rimasto impresso perché è proprio vero che le soddisfazioni ci aiu-tano ad alleggerire i problemi. Ricorda-re i passi fatti è di stimolo per andare avanti.

Anna

Un “folle” trekking sul LagoraiUn’esperienza del fareassieme è diventata film

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Liberalamente 54 7

l’intervista

Ripetereste questa esperienza, magari accettando di mettervi in gioco anche con un ruolo più impe-gnativo?

A: Certo! E’ stato così interessante conoscere persone nuove, e prendere parte alle riprese, che sicuramente ac-cetterei una nuova proposta.

R: Non vedo l’ora... Sono già pronta!

Alice Sommavilla

Qual è il film al quale avete parte-cipato, e qual era il vostro ruolo?

Anna: Il film si intitola “Vino Den-tro”, del regista Ferdinando Vicentini Orgnani. Ho interpretato la parte di una studentessa, allieva in un corso di sommelier. Le scene sono state girate a settembre dell’anno scorso e il film dovrebbe uscire prossimamente.

Renata: “Un giorno devi andare”, di Giorgio Diritti. La scena, in cui io interpretavo il ruolo di una monaca, è stata girata l’anno scorso, a San Ro-medio, e il film è uscito recentemente nelle sale.

Come siete approdate a questa esperienza?

A: Attraverso una mail, che è stata inviata a tutti i dipendenti dell’Isti-tuto Agrario di San Michele, dove lavoro, nel quale ci veniva pro-posto di partecipare, come com-parse, ad alcune riprese del film. Naturalmente ho accettato subito con entusiasmo!

R: Un conoscente era alla ricerca di una comparsa. Il caso ha voluto che avessi tutti i requisiti adatti per pre-starmi a questo ruolo, e così, quando me l’ha proposto, non ho certo detto di no!

E’ stato il vostro debutto da “attri-ci”?

A: Davanti alla macchina da presa sì, anche se abitualmente recito a te-atro.

R: La primissima volta in assoluto. Se si esclude la recita della quinta ele-mentare...

Renata e Anna, le nostre starComparse in due film, l’emozione del set

L’intervista di questo mese è un po’ “speciale”: Nonna Renata e Anna non sono infatti due star né personaggi conosciuti in tutto il mondo ma, per noi, sono due “personaggi” importanti, per le loro storie e

perché, tra l’altro, hanno avuto esperienze...cinematografiche.

Quali sono le cose che vi han-no colpito di più?

A: Sicura-mente la quantità di lavoro che c’è dietro alla realizzazione di una pic-cola scena. Non immaginavo che nel cinema fosse necessaria la presenza di così tanti “tecnici” e nemmeno la professionalità che occorre per rag-giungere la perfezione al momento del “ciak”.

R: Anche a me ha colpito la ricer-ca della perfezione. Per esempio, una scena di pochi minuti, può essere ri-petuta più e più volte nel corso di una giornata, fino a quando il regista non ritiene di aver raggiunto il livello ot-timale.

Che emozioni avete provato pri-ma e dopo questa esperienza?

A: Ero un po’ preoccupata dalla possibilità di commettere accidental-mente qualche errore, sarebbe stata davvero una figuraccia. Ma per fortu-na è andato tutto bene, e mi sono sen-tita molto soddisfatta, tanto da aver già sparso la voce tra i miei amici, così che possano essere i primi ad assistere al mio debutto sul grande schermo.

R: Più che preoccupata, trattando-si di un’esperienza completamente nuova, ero estremamente curiosa di scoprire cosa mi aspettava. Prende-re parte ad un progetto così grande, come un film, è stata una grande sod-disfazione, che mi ha lasciato dentro una gioia immensa. E poi, essere cir-condata da tutti quei bei giovanotti premurosi che si sono presi cura di me, è stato ancora più gratificante!

Chi sono Anna e RenataNonna Renata, al secolo Renata Bartoli Ricci, è una ragazza di 92 anni, fresca come un’adolescente, spiritosa e vivace, anche quando dice di sé che “sta diventando an-ziana”. Con la stessa generosità e curiosità che ha ispirato la sua vita - molta della quale condivisa con l’amatissimo Renato - partecipa alla vita di Liberalamente. Così come, ogni giorno, scrive il proprio diario. Al computer.Anna Bacia, 28 anni, è componente della redazione di Liberalamente. Lavora come impiegata e sta viven-do un’esperienza comunitaria. Ama lo sport, la musica e la lettura.Entrambe le nostre ‘star’, in momen-ti e situazioni diversi, hanno vissuto l’avventura del set, per quanto nel ruolo di comparse. Abbiamo così ritenuto interessante realizzare un’intervista doppia, mettendo a confronto le loro esperienze.

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Il tema

Liberalamente 548

Quando si varca per la prima volta la soglia del Centro di salute menta-le l’animo e la mente sono attraversati da mille ango-sce, preoccupazioni, spesso da sfiducia e disperazione. Non ci si arriva a cuor leg-gero, non è una passeggia-ta. Spesso si tratta dell’ulti-mo di una serie di tentativi di uscire da un tunnel infi-nito, una scelta obbligata da una vita complicata che noi non avevamo desiderato.

Non è per tutti così, ma quando io ho varcato la so-glia di via Petrarca, all’età di 31 anni, avevo la sensa-zione che sarebbe stato inu-tile, nessuno avrebbe potu-to aiutarmi. Avevo appena iniziato a vivere la vita ma mi sentivo di essere già fuo-ri gioco , vecchia, senza più risorse, un peso per la mia famiglia, una cittadina non di serie B ma di serie Z, pri-vata di ogni diritto di esse-re presa in considerazione. Perché? Perché nel giro di un mese avevo totalizzato ben due fallimenti di vario tipo: scolastico-professio-nale e affettivo (anche se quest’ultimo, in fondo, non ha comportato una perdita così grave). La mia conclu-sione è stata una sola: non valgo niente.

Appena iniziato il mio primo colloquio con lo psi-chiatra del Centro di salute mentale la mia attenzione si è soffermata soprattutto sui suoi occhi azzurri e credo di non aver ascoltato molto le sue parole. Perché, pur apprezzando il suo sforzo nel presentarmi un altro punto di vista della que-stione, la mia mente (o la mia sensazione) era tenace-mente aggrappata alla mia idea fissa “non c’è speranza – sono una donna finita – non ce la farò mai”.

Questo è andato avanti per molti anni (9). Non è che ci fossero solo dolori nella mia vita: ho cono-sciuto anche gioie, tanti momenti belli, le nozze, l’insegnamento non più precario. Ma in un ango-lino della mia mente c’era sempre in agguato il tarlo dell’angoscia, della depres-sione, della sfiducia nelle mie possibilità.

Sono ricaduta nella ma-lattia e sono dovuta torna-re, dopo anni di latitanza, con la coda tra le gambe, al Centro di via Petrarca. Ho ripreso a frequentarlo, per i colloqui e per le innume-revoli iniziative del “Fare-assieme”, ho portato la mia testimonianza in tante par-ti d’Italia e all’estero. Tante parole raccontate e sentite. Ma le parole che ricordo di più e che cito nei vari in-contri e convegni sono, ol-tre a “Il male passa”, “Abbia fiducia”.

Abbia fiducia, si fidi di me. Queste semplici parole, dette con sicurezza da una dottoressa, sono bastate a convincermi. Ho comin-ciato a crederci, ho creduto alle sue parole, alla sua tera-pia. Sono uscita dal Centro convinta che ce l’avrei fatta. E così è stato. Ce l’ho fatta.

Maria Elena Ghezzi

Fidarsi è bene non fidarsi è meglio… Siamo sicuri?

Credo, anzi, sono con-vinta che è meglio fidarsi, soprattutto se si intende instaurare un rapporto di qualunque genere esso sia, con chi ci sta di fronte (Dio, futuro amico/a, medico, professore, ecc.)

Fidandosi dell’altro si rende fertile un terreno pri-vo di tutto, preparandolo a nuove ed interessanti semi-ne e, probabilmente, a ge-nerosi raccolti…

Fidarsi è anche un af-fidarsi all’altro che potreb-be, in un momento critico, prendersi cura di noi: e chi non vorrebbe le attenzioni di un amico, di Dio se si sta soffrendo e di un medico se si è ammalati?

Se poi in un rapporto manca la fiducia, manca la base portante dello stesso che, a parer mio, a questo punto diviene inutile ali-mentare.

Dunque vi esorto a ve-stirvi di fiducia e andare in-contro alla vita per scoprire senza timori nuovi oriz-zonti e magari incontrare proprio quell’amico/a, Dio o medico che sia.

Linda Pines

Fiducia, è un dono o una conquista?

“Fidarsi è bene... non fidarsi è meglio!” così ammonisce un vecchio proverbio. Ma siamo proprio sicuri di poterci sempre affidare alla vecchia saggezza popolare? Non sarebbe, forse, più “salutare” allargare un po’ le nostre vedute dimostrandoci più fiduciosi verso gli altri?Di sicuro è fondamentale nella vita avere fiducia in se stessi, soprattutto

durante un percorso di cura per affrontare in maniera positiva e costruttiva le difficoltà.Ma cosa succede quando la fiducia riposta in qualcuno viene meno? E se le vittime di questo “tradimento” sono una bambina o un adolescente?Anche questo mese il tema scelto è complesso e molte sono state le interpretazioni e le riflessioni che

abbiamo raccolto. Nel prossimo numero, invece, affronteremo il tema della “partenza”, argomento non da meno in quanto a significato ma, forse, particolarmente adatto all’estate e al gran caldo che stanno per arrivare (si spera!).Chi volesse dire la sua, potrà scriverci a [email protected] oppure telefonare allo 0461 902881.

Fidarsifa bene

Credere nella possibilità di guarire

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Liberalamente 54 9

fiducia

“Lo devo dire a tutti i bambini! Devo dirlo a Luca! Subito!”

Questa è l’esatta reazione di una bambina di 10 anni alla drammatica scoperta che Santa Lucia non esiste… Lo so, un po’ tragica… ma se devo pensare a quando la fiducia che ave-vo riposto negli adulti è stata tradita, questo è l’esatto momento.

Torniamo all’inizio: giorno di scuo-la, amici, merenda a mezza mattina.. il mio compagno di banco, con fare altezzoso dice ad alta voce “Lo sanno tutti che Santa Lucia sono la mamma e papà”. Certo, come no… peccato che IO non lo sapessi! Trattengo le lacri-me.. è una scoperta scioccante. Per me Santa Lucia era magica: ogni anno mi stupiva con effetti speciali. Gli orsi vestiti da sciatori, il videoregistratore nascosto sotto i cartoni della pizza… certo, ha avuto anche qualche caduta di stile (tipo quel dizionario di italia-no che ho odiato con tutta me stessa perché non avevo chiesto in nessuna letterina), ma era proprio una gran signora questa Santa Lucia! Tornando a quel tragico giorno, finita la scuola

salgo in macchina con mamma e fra-tello. Tappa dal fornaio e Luca (mio fratello) scende a prendere il pane. E lì, si scatena il putiferio. Chiedo a mia mamma se è vero che Santa Lucia sono lei e papà e la risposta, ahimè, è affermativa. Il mio mondo crolla. Ini-zio a piangere e a dire che non è pos-sibile, che mi hanno detto una bugia e che, in quanto tradita, devo neces-sariamente svelare l’imbroglio e dirlo a tutti e, primo tra tutti a mio fratello.

Non volevo sentire ragioni: ti inse-gnano che non devi dire le bugie, e questa è una bugia! Non so come, mia madre riesce ad impedirmi di spif-ferare subito l’imbroglio mondiale a mio fratello che, ignaro di tutto, risale in macchina.

Non riesco a trattenere le lacrime.. come è possibile che si mantenga una colossale bugia a danno di tutti i bambini del mondo? Non so dirvi esattamente come mi abbia convinto (ammetto che il ricordo è un po’ offu-scato), ma quel giorno non ho svelato al mondo quel segreto. Per un paio d’anni anch’io ho vestito i panni di Santa Lucia per mio fratello e i miei cugini e, ammetto, che la sorpresa che leggevo nei loro occhi ogni 13 dicem-bre andava un po’ a sanare quella pic-cola ferita. Purtroppo per loro, i miei genitori hanno ancora molto da espia-re: ogni 13 dicembre infatti io ricevo la mia borsina di dolci.. e credo che si andrà avanti ancora per un po’… Cer-te cose non si dimenticano facilmente.

Stefania Arici

Per gentile conces-sione dell’autore, pub-blichiamo il testo del-la canzone di Giacomo Gardumi che, come altre, tratta di temi ‘impegnati’, al di là del tono scanzonato e dello ‘strumento’ dia-lettale. Questa canzo-ne ha a che fare con il nostro tema del mese.

Questa canzone tocca temi a cui tengo molto, il rispetto e la salvaguardia della nostra madre terra. Personalmente non mi fido di come l’umanità si sta comportando con il pro-prio pianeta; ma l’umanità sono io, sei tu, siamo noi, e se vogliamo può diventare il paradiso, di cui mi fido!

Il “tradimento” di Santa LuciaUna scoperta dolorosa che ritorna dall’infanzia

Giacomo non si fidaNO ME FIDO

Sarà che son nato ‘n April con Cernobyl ‘ndel 86 putei no me fido

Sarà che è sciopà tut a Fukushima ancor pri-ma a Iroshima no voi far la zima de ste robe no me fido

Sarà quel che sarà, Sara desmisiete l’è prima-vera e no sta crederghe che sia tut vera daverzi i oci e spera

Sarà che no ghe dago da ment a zerta zent se no ghè sol e vent no me fido

Sarà che ‘ntel Sahara i poderia piantar panei en mez a tende e camei ma i sceicchi magna-schei no i se fida

Sarà quel che sarà sarà che credo nele boze de vedro e che riuso el detersivo sfuso l’ozono no nol sbuso

Sarà quel che sarà, Sara desmisiete l’è prima-vera e no sta crederghe che sia tut vera daverzi i oci e spera

Spera che sta tera se la resta senza benza la zent la ghe pensa

Sarà che g’è problemi de panza tuta sta ab-bondanza masa robe che vanza del fastfood no me fido

Sarà che g’ho paura de ciaparme en rafredor ancor pegio en tumor scusa se i brusa le ‘mon-dizie no me fido

Entant sen chi a sonar, ma ti no fidete dei so-nadori che parla sol quando che i vol lori, l’è meio i muradori

Sarà quel che sarà, Sara desmisiete l’è prima-vera e no sta crederghe che sia tut vera daverzi i oci e spera

Spera che sta tera se la resta senza benza la zent la ghe pensa

Po na volta pensa che i semi i era pu che altro quei dela somenza

Spera che stasera se resten a pè torneren en drè

Sarà che i ne dis te vai en paradis se te fai el brao ma el paradis l’è chi se tel voi ti e me fido.

Giacomo Gardumi

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Liberalamente 5410

Il tema

Non tradire se stessiDeluso dal padre

Come fidarsi?Recuperare la delusione è difficile

La matita di Mimmo

Cos’è la fiducia? Forse una speranza o un lasciarsi “abbracciare” da qualcuno senza paure? Nasce for-se dal sentimento sincero e dal rispetto?La fiducia... una parola tanto udita ma ben poco scolpita. E allora ci si chiede: come fidarsi? Si può perdere la fiducia? E come riacquistarla?

Io penso che si può perdere la fiducia ogni giorno ma ri-acquistarla ogni notte. Se ti fermi a guardare le delusioni saranno sempre pari alle conferme e quindi...perché non fidarsi? Per soffrire di nuovo? Per timore di un altro tradi-mento? Perché rischiare? È meglio non fidarsi?

Io credo che le delusioni arriveranno sempre nella vita, ma se tu credi in te stesso (e devi imparare a credere in te!) non devi smettere di dare fiducia anche se ti faranno sen-tire tradito; fidati. Anche quando gli altri non si fideranno di te, fidati e così anche loro impareranno ad avere fiducia. Fidati anche se avrai paura di fidarti dopo le tante (e appa-rentemente infinite) delusioni e solo così incontrerai perso-ne di fiducia... Solo così imparerai dove lasciare la tua fede.

La fiducia può essere im-portante, importantissima. Mai tradire la fiducia che il padre ripone in te. Perché, se non altro, il genitore è potente. E te la fa pagare. Meglio allora optare per la più pallida fiducia della mamma. Che non lesinerà una carezza al figliolo ina-dempiente.

Io ho tradito mio padre con lo studio. Con la lette-ratura, con Leopardi.

Dopo avermi osannato per un’intera stagione, mio padre se ne venne con un “Non voglio geni in casa!” e mandan-domi a letto senza cena (piangente). Ah, se avessi capito quel che mio padre non voleva dire. Già, perché mio padre era un ermetico, e poco concedeva alla platea.

Con il mio involto di Leopardi sotto l’ascella, me ne in-volai a letto, piansi a dirotto ma fermo nel mio proposito: anche se i poeti non guadagnano, io ce la farò (come?).

Una morale da tutto ciò? Ma sì. Ed è questa: non tradire mai se stessi, pena il naufragio delle intenzioni e del look in compagnia.

Fabrizio Chiesura

Sara Conci

La fiducia in reparto“Il prossimo è come me”Anche i pazienti del reparto di psichiatria dell’ospedale

Santa Chiara, hanno espresso la loro opinione riguardo al tema del mese, la fiducia.

In tanti hanno affermato di riporre molta fiducia nel prossimo, così come nei medici del reparto. Un ospite commenta così: “Mi fido del prossimo perchè è come me. Il colore della fiducia è aragosta”.

D. sostiene l’importanza di aver fiducia in sé stessi perché “So che molte cose dipendono solo da me”. Da qui siamo passati ad affrontare un argomento che ha suscitato molto interesse ovvero il tradimento della fiducia. E. ha affermato che “Non c’è tradimento peggiore di quello di un amico”, mentre A. si è detto disposto a perdonare un tradimento “Ma solo se la persona che mi ha tradito dimostra davve-ro di essersi pentita e si impegna per riconquistare la mia fiducia”.

Alla richiesta di assegnare un colore che corrispondes-se alla fiducia, quasi tutti hanno risposto indicando il loro colore preferito, dando vita ad un gioioso arcobaleno di pensieri.

Infine, abbiamo ricevuto in dono da un paziente un in-segnamento preziosissimo, che ci ha spinti a riflettere: alla domanda “Ti fidi del prossimo?”, ha risposto “Sì, perché per ricevere bisogna dare”.

A. S.

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Liberalamente 54 11

fiducia

Se ho imparato qualcosa della vita, è che fidarsi della gente può essere una cosa pericolosa. Il “non sapere” se for-se questa persona, cosa oppure situazione ti tradirà o ti farà del male, crea un’atmosfera di diffidenza, che è normale e comune nell’essere umano, anche perché è una cosa di pura sopravvivenza e quindi un istinto.

Tuttavia la diffidenza aiuta a sopravvivere, anche se met-te le persone in uno status di solitudine, paura, e in qualche caso di paranoia. È per questa ragione che dobbiamo im-parare ad usarla quando ci può aiutare: ad esempio quando una persona strana ti offre una bibita per strada, noi ne diffidiamo semplicemente per evitare un potenziale pro-blema; ma se poi ci accorgiamo che quella persona indossa un’uniforme di una marca conosciuta di acqua frizzante,

allora sappiamo di poterci fidare e prendere la bibita.Perciò credo che la diffidenza sia una forma che ci aiuta a

diventare vecchi, che, però, quando ci può fare male, dob-biamo analizzare, pensare, ragionare e poi scegliere cosa fare, trasformando la diffidenza in una cosa istintiva ma ragionata.

Rodrigo Ortiz Espinoza

Un vecchio e navigato politico ita-liano diceva: “A non fidarsi si fa pec-cato, ma spesso s’indovina!”. Certo, da quando la “politica” da palestra della nobile arte del compromesso è di-ventata il luogo della corruzione e del potere, anche la fiducia ha smesso di regolare i rapporti tra le persone. Ar-rivando addirittura a condizionare il rapporto che ognuno ha con sé stesso. Eppure, pensandoci bene, sulla fidu-cia in noi stessi e nel prossimo si basa la possibilità stessa di immaginare il futuro, di promuovere il progresso. Se non abbiamo fiducia in noi stessi, non solo mortifichiamo la nostra intima umanità, ma priviamo il mondo del nostro contributo. Un mediocre che abbia fiducia nei propri mezzi, farà sicuramente più strada di un genio che non crede nei propri talenti. Così come se non concediamo credito alle persone che incontriamo, se siamo pregiudizialmente “guardinghi” nei confronti del prossimo, rischiamo di precluderci ogni possibilità d’incon-tro, di conoscenza reciproca, di col-laborazione nella definizione di un progetto comune. E’ vero, fidandoci troppo del prossimo si rischia anche (ed è sempre più vero!) di prendere delle “fregature”. A quanti mediocri ambiziosi e pieni di sé abbiamo affida-to ciecamente la gestione d’incarichi delicati ed importanti? Ma in definiti-va io penso che tra il rischio di rima-nere delusi da una fiducia mal riposta e quello di chiudersi ad una possibile

nuova relazione, ad un possibile svi-luppo di conoscenza, preferisco cor-rere il rischio di “prendere una fre-gatura”! Resterà all’altro (forse) il rimorso di aver tradito l’essenza stes-sa della civile convivenza. Ciò è tanto più vero nei rapporti con i giovani. Se dubiti sull’autenticità delle loro “sto-rie” e non vuoi passare per “fesso” è facile smascherarli e mortificarli. Ma se pensi che su quelle “storie” stanno costruendo la propria immagine e personalità, forse è meglio far tacere l’orgoglio e, dando loro fiducia, man-tenere vivo quel legame che nel tempo permetterà ad entrambi di crescere.

Stefano Ricci

I giovani meritano fiduciaTalvolta l’orgoglio va zittito

Social networkvinto un tabù

Fidarsi può essere pericoloso

Facebook è un social network che dà la possibilità di conoscere persone provenienti da tutto il mondo.

Nonostante i miei dubbi rispetto alla gestione che ha Facebook dei dati personali mi sono convinta ad iscri-vermi anche per riuscire a restare in contatto con delle amiche, che avevo conosciuto in vacanza a Caorle.

Un bel giorno, per caso, ho anche iniziato a giocare ad uno dei tan-ti giochi di questo social network. Questo ha comportato l’aumento delle persone all’interno della lista di amici.

Con la maggior parte i contatti erano solo ai fini del gioco, ma una ragazza mi ha suscitato curiosità e abbiamo iniziato a chattare. Più scorrevano i giorni e più i discorsi riguardavano fatti strettamente per-sonali soprattutto da parte sua, que-sto a dimostrazione della reciproca fiducia.

Agli inizi era incredibile come ci capivamo al volo, anche attraverso la condivisione di link o video da you-tube, si era creato un vero e proprio feeling.

La testimonianza più forte di que-sto legame è stata la voglia di incon-trarsi e conoscersi “dal vivo”, per dimostrare che il web non è solo pe-ricoloso per i casi di pedofilia e vio-lenza sempre attuali legati a internet.

Anna

No, Grazie!

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Liberalamente 5412

Il tema

C’era una volta una bambina di nome “Io”, che aveva paura di tutto. Non ci crederete, ma ogni volta che doveva fare qualcosa si preoccupava. “E se non ci riesco?”, “E se poi sbaglio?”, “E se mi faccio male?”.

Guardava invidiosa i suoi amici, che si tuffavano felici dagli scogli, cadendo in mare con uno spettacolare splash!. La piccola “Io” se ne stava in disparte, spaventata, fino a quando un giorno le si avvicinò un bambino di nome “Tu”.

“Perché non vai a nuotare insieme agli altri?” le chiese.“Perché ho paura...”“Sai tenere un segreto?”“Certo!”“Anch’io ho paura di tuffarmi dagli scogli”“Davvero?”“Si...”

Io e Tu si guardarono, vergognandosi un po’ delle loro pau-re, ma sentendosi anche sollevati, perché entrambi sentiva-no di aver trovato un alleato.

Trascorsero il resto dell’estate insieme, tenendosi ben lontani dall’acqua, ma parlando per ore di tutto ciò che li spaventava, e scoprendosi sempre più sciocchi, per tutte quelle paure che impedivano loro di essere felici. L’ultimo giorno delle vacanze, senza bisogno di dire nulla, Io e Tu si presero per mano e si avviarono verso gli scogli.

I due bambini sentivano finalmente di potercela fare. Saltarono insieme, emozionati all’idea di quello che stava succedendo: si stavano tuffando e avevano imparato a fi-darsi di loro stessi.

Il mare li accolse come un grande abbraccio caldo e sa-lato.

Insieme erano diventati più forti, talmente forti da vin-cere la sfida che poneva due piccoli bambini di fronte al grande, immenso, mare.

Fidarci di noi stessi è il primo passo per affrontare la vita senza paura. Non importa quanto vi sentiate piccoli e in-capaci. Ogni volta che vi capiterà di non sentirvi all’altez-za, ricordatevi sempre com’è andata a finire tra Davide e Golia...

Alice Sommavilla

Ma serve molta lealtà

Un tuffo dagli scogliStoria di due amici: Io e Tu Fiducia! Come posso fi-

darmi delle forze che an-cora mi sono rimaste, quel-le del cervello, in special modo? La memoria vacil-la, i ricordi si affievolisco-no vieppiù, la vita di tutti i giorni s’immiserisce e le idee volano al vento. Però: io ho tanta fiducia nei gio-vani, li so coinvolti in tanti lavori, anche gravosi, come, per esempio, coltivare le terre requisite ai mafiosi, vedersele bruciare e ricol-tivarle ancora. Vederli in prima fila dove c’è bisogno degli aiuti più vari, farsi lar-go fra i paurosi esempi che, come sterpi, cercano d’in-tralciare il loro cammino e proseguire fiduciosi spe-rando ancora in un domani migliore. Bella, bellissima gioventù nella quale biso-gna avere la massima fidu-cia e donarle tanto amore perché, senza amore, tutto si disperde e “la fiducia” va

a farsi benedire.Ringraziando la provvi-

denza, io sono sicura che possiamo riporre la più grande fiducia nel nuovo Papa non fosse altro che per il nome che ha scelto, un nome che è tutto un pro-gramma e che può andar bene anche per chi non ha più fiducia nella chiesa cat-tolica. W Francesco! Facci riacquistare quella fiducia che abbiamo quasi perso del tutto.

Nonna Renata

La fiducia è un senso di affidamento e di sicurezza basato sulla speranza e sul-la stima riposta in qualcu-no o qualcosa.

La sicurezza che si pro-va nei confronti di qual-cuno si ha se si crede che questa persona è onesta e non mancherà alle nostre aspettative: presentandosi puntuali agli appuntamen-ti, rispettando gli impegni, ecc. Di conseguenza meri-tare fiducia richiede lealtà e coerenza dei sentimenti manifestati con quelli effet-tivamente provati.

La fiducia è anche un sen-so che viene dalla misura delle nostre aspettative nei confronti di persone com-provate nella propria coe-renza comportamentale di cui quindi ci si fida comple-tamente.

Senza di essa non riusci-remmo nemmeno ad alzar-ci al mattino, ma ci serve perché fa in modo che mol-te azioni quotidiane siano compiute con un buon spi-rito d’animo.

Così facendo gli indivi-dui riescono a fare riferi-mento su alcune certezze e riescono ad indirizzare energie razionali verso una larga esperienza. La fiducia è quindi una prerogativa, come elemento dinamico, dei sistemi sociali.

Una frase di Giovanni Paolo II diceva “La fiducia non si acquista per mezzo della forza, neppure si ottie-ne con le sole dichiarazioni, la fiducia bisogna meritarla con gesti e fatti concreti”.

Antonio Saccoman

Bella, bellissima gioventù

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Liberalamente 54 13

fiducia

Le domande della redazione

Questa la domanda. Faci-lissima la risposta. È la cosa più importante! Senza se e senza ma. Prima di ogni al-tra cosa. Se c’è fiducia tutto, ma proprio tutto, nel nostro lavoro assume senso e signi-ficato. Se non c’è tutto passa senza lasciare traccia, come l’acqua nello scolapasta.

Nell’oceano infinito di Internet mi sono imbattuto in almeno un centinaio di definizioni o di aforismi in tema di ‘fiducia’. Tre mi han-no particolarmente colpito e mi sembrano utili al caso nostro.

1. La fiducia è bene, il con-trollo è meglio.

2. La fiducia non si acqui-sta per mezzo della forza. Neppure si ottiene con le sole dichiarazioni. La fidu-cia bisogna meritarla con gesti e fatti concreti.

3. La fiducia, come ogni

atto di amore, non si colloca né in piena luce né nelle te-nebre, ma in una penombra.

La prima serve a farci capire (e ce n’è ancora bi-sogno) quanto nelle pra-tiche della salute mentale siamo sempre a rischio di dare ragione (magari senza volerlo) all’autore di quella terribile prima riflessione. Di credere che attraverso il ‘controllo’ riusciamo a por-tare a casa buoni risultati e cioè buone ‘cure’. Di pensare che la fiducia può nascere per ‘forza’. O che comunque viene dopo, non è impor-tante.

La seconda ci riporta sulla retta via e ci ricorda, molto a ragione, che dobbiamo guadagnarcela la fiducia di Giovanni e di Maria, nostri utenti, spesso soli, disperati, arrabbiati, confusi. Non è facile, certo. È impossibile,

se non ne cogliamo l’impor-tanza. Se non cogliamo che la fiducia è la chiave che ci apre la porta della mente e del cuore di Giovanni e di Maria. È impossibile se quel guadagnarcela ci coglie impreparati o peggio disin-teressati, magari infastiditi. Pensando che nel manuale del bravo operatore altre sono le cose che contano.

La terza mi piace perché colloca la fiducia dentro una parola grande come l’amore e ne coglie tutto il chiaro-scuro. Fiducia che è l’affidar-si del bambino agli adulti da cui dipende, fiducia dell’in-namorato che si perde nella certezza dell’amato bene, fiducia di chi soffre le pene più grandi e trova la forza di consegnarle ad un altro es-sere umano perché ne sap-pia leggere con lui il destino. Con tutta la forza dell’amo-

re ma anche con tutta la sua fragilità.

Chiudo con una coinci-denza felice.

Alcune settimane, prima che mi venisse chiesto di scrivere queste righe par-lavo di fiducia e di speran-za con alcuni operatori del nostro Servizio. E forte del convincimento che sono le cose più importante del nostro fare pensavo ad una mattinata in cui gli ope-ratori del nostro servizio avrebbero, in una riunione dedicata, ascoltato e appre-so cosa vuole dire fiducia e speranza, dalla voce e dall’e-sperienza di 5 Giovanni e di 5 Maria.

Un impegno che prendo qui e a cui invito la reda-zione di Liberalamente per trarne un reportage di sicu-ro successo.

Renzo De Stefani

Abbiamo chiesto a Renzo De Stefani, responsabile del Servizio di salute mentale di Trento, di parlarci del tema del mese:quanto conta, per l’utente, la fiducia o la sua assenza nella cura del disagio mentale?

Fiducia, il senso della vita “L’ho ritrovata”Fiducia: credo che sia la parola

più bella e la più ostica di tutte. E’ quella che dà un senso alla mia vita, sia in senso positivo che in quello negativo. Soprattutto in quest’ul-timo significato, poiché sono una persona molto sospettosa, non cre-do molto nelle persone, sono dif-fidente e questo mi crea problemi di insicurezza e negli altri la mia mancanza di fiducia mette malu-more, li ferisce. Così il rapporto si complica, incespica, va avanti a rilento. Neanche sulle dita di una mano conto le persone di cui ho piena fiducia e comunque credo che neanche per queste metterei la mano sul fuoco. Però vedo che con queste persone i rapporti sono più lineari, vanno avanti bene. Vorrei tanto poter avere più stima delle persone con cui sono in rappor-to perché la relazione avrebbe più consistenza e sarebbe più proficua

ma purtroppo qualcosa mi blocca e tutto rimane lì in una specie di limbo. Chissà per il futuro. Abbiate fiducia.

Paky

Quando ero giovane mi fidavo di tutti; erano anche altri tempi ma anch’io mol-to ingenua. Poi varie batoste: il mio primo amore è venuto a rubare a casa mia, la mia migliore amica quando ero via di casa mi ha abbandonata (neanche fossi contagio-sa), chi mi aspettava dopo un po’ capiva che ero, dicevano, “un po’ fantasiosa” e mi cacciava fuori dalla porta (ero solo persa nel mio mondo fantastico e non parlavo).

Poi l’esperienza in psichiatria: non mi fidavo più di nessuno, né operatori, né medici, tantomeno delle persone, soltanto delle mie “voci”.

Ho avuto poi due dottoresse, che rin-grazio tanto per l’affetto con cui mi hanno curata, la dottoressa Scandola e la dotto-ressa Traverso. Dopodiché l’esperienza del Fareassieme, la decisione di non ascoltare più le “voci” e di fare l’Ufe, tutte esperien-ze che mi hanno ridato la fiducia nel mon-do. Certo stando attenta alle persone di cui mi posso fidare veramente.

Franca

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Liberalamente 5414

Caraliberalamente

Ingredienti:

• 5 uova• 150 gr di zucchero• 225 gr di farina di mandorle• 225 gr di carote tritate• 75 gr di farina 00

Di verso... in rima

Scorre lento il tempo,silente giace, di un passato glorioso,di un presente da sopprimere.Intanto invecchioma ripenso al passato,alzo la testa vado avanti.Dei miei sbagli non do spunto.La notte porta via il dolore,il vento porta via i pensieri, il sole ti riscalda.Cambiamenti, passaggio,di questa vita è rimasto il tempo futuro…

Dezzi Fabio

Nell’epoca moderna non ti puoi separare dal tuo telefono cellulare. Se in passato era stato inventato per le chiamate di emergenza, ora è diventato quasi una dipendenza.Ricevere un messaggino che non ti aspetti, da un’amica che senti raramente, è sempre una gioia ineguagliabile. Quindi con uso re-sponsabile e non esagerato anche il cellulare diventa un mezzo di comunicazione efficiente e rapido.

Belvetta

Rimuginando...

Peccati di gola

Procedimento:

Il primo passo è quello di preriscaldare il forno a 170°C. Montate le uova con lo zucchero fino a che lo zucchero non sarà completamente sciolto e il composto spumoso e raddop-piato di volume. Tritate le carote. A quessto punto aggiungete la farina di mandorle, le carote tritate e la farina bianca e me-scolate fino ad ottenere un composto omogeneo. Versate l’im-pasto in una tortiera precedentemente imburrata e ricoprite la superficie di pangrattato; cuocere in forno per 20-25 minuti. Spolverate la torta con zucchero a velo e granella di mandorle a piacimento.

Ilaria Tinelli

Torta di carote e mandorle

Il tempo

Agenda di redazioneLe prossime riunioni di redazione saranno il 12, il 19 giugno e il 3 luglio 2013 alle 15. Venite numerosi. Vi aspettiamo nella sala ri-unioni dell’ufficio del fareassieme in via San Giovanni Bosco 10 a Trento. Vi ricordiamo che le riunioni sono aperte a tutti co-loro che sono interessati a “fareassieme” a noi.

Il colore di Salvatore

Salvatore Capossela “Trento” olio su tela 50x70 - 2003*In permanenza nella gelateria in Ponte Cavalleggeri a Trento

Raffaele è un giovane scrit-tore che si cimenta senza pro-blemi, visto il suo talento, nel-la scrittura, con un argomento però tutt’altro che semplice: una storia di sofferenza e di disagio di coetanei che hanno fatto parte, prima e dopo di lui, di un gruppo di psicotera-pia per adolescenti.

La lettura, piacevolmente scorrevole, è di facile com-prensione e soprattutto ‘pu-lita’. Dove per pulita intendo priva di inutili descrizioni ma al contempo fornita di tutto il necessario tanto da non lasciare nulla per scontato e lasciando abbastanza spazio all’immaginazione. Insomma, scrive molto, molto bene.

Per quanto riguarda il tema trattato, Raffaele è stato partico-larmente chiaro e sincero nel descrivere quelle situazioni che per molte persone non sono per niente familiari. E “raccontarsi con sincerità è difficile e richiede coraggio”.

Leggendo questo libro il lettore si farà una chiara idea di cosa sia e come funzioni un gruppo ma soprattutto sarà capace di com-prendere meglio lo stato d’animo dei partecipanti. E questo non è certo poco!

Alberto Cuoghi

Letto per voi ...La stanza del gruppo

(di Raffaele Sivolella - Ed. Progetto Cultura 2012)

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Liberalamente 54 15

Caraliberalamente

Il cineforum di luglioTutti i martedì

alla Casa del Sole

2 luglioDramma della gelosia, tutti

i particolari in cronacaE. Scola9 luglio

Divorzio all’italianaP. Germi16 luglio

Don Camillo Monsigno-re...ma non troppo

C. Gallone 23 luglio

L’uomo venerdì - J. Gold30 luglio

Uomini e topi - G. Sinise

Vi aspettiamo alle 20

Ingresso libero

Tutti i venerdiin Reparto

5 luglioGetaway

R. Donaldson12 luglio

Gran TorinoC. Eastwood

19 luglioLa guerradei RosesD. Devito26 luglio

La vita è bellaR. Benigni

Vi aspettiamo alle 16

Ingresso liberoSe ti senti solo o hai perso la speranza, se pensi che non ci sia via d’uscita, non vergognarti, non nasconderti. ‘Invito alla vita’ è un numero verde attivo h24 che offre sostegno e ascolto a per-sone sofferenti.

A proposito di...lottaPrecisazione

“Causa sciopero il treno per Bologna è stato sospeso. Ci scusia-mo per il disagio”. Ora, se siete dei normali passeggeri, la vostra reazione sarà di comprensibile fastidio. Ma se siete degli studenti fuori sede, che quel treno avrebbero dovuto assolutamente pren-derlo, per poter sostenere un esame la mattina dopo, allora la storia cambia. Poniamo il caso che voi rientriate (come per anni ha fatto la sottoscritta) in quest’ultima categoria: la parola rasse-gnazione non è contemplata nel vostro vocabolario. Forti di tutta l’esperienza accumulata, vi imbarcate con lo spirito di sacrificio di un Samurai sul primo treno garantito, e sbarcate a Bologna a notte fonda, dopo aver sopportato stoicamente un tour ferroviario di tutte le principali città del Nord Est (compresa una breve sosta a Praga, già che eravate di strada...)

A quel punto, dopo aver percorso guardandovi le spalle il tra-gitto, rigorosamente poco illuminato, che dalla stazione porta al vostro appartamento, potete considerarvi arrivati.

Tutto quello di cui avreste bisogno è una doccia calda, e un po’ di riposo in vista dell’esame.

Ma la doccia è occupata dalla vostra coinquilina, che proprio quella sera ha deciso di sottoporsi ad un trattamento spa com-pleto, e il riposo si rivela ugualmente un miraggio, dato che il se-condo coinquilino ha organizzato in cucina una festa degna di un party hollywoodiano.

Rassegnati, stramazzate sul letto, e la mattina dopo avete giu-sto il tempo di darvi una rinfrescata, correre in aula e sostenere l’esame, con il professore che ha già deciso di bocciarvi, dando per scontato che le vostre occhiaie siano il risultato di una notte passata in discoteca, anziché sui libri.

Vi invito a conservare questo articolo, e a farlo leggere con at-tenzione a chiunque abbia il coraggio di dichiarare: “Bella, la vita dei fuori sede...!”

Alice Sommavilla

Nello scorso numero di Liberalamente abbiamo pubblicato la recensione del libro “Mille splendidi soli” di Khaled Hosseini, firmata da Linda Pines che, in chiusura del suo commento, ha scritto “Il romanzo dipinge quanto poco valga la donna per i mu-sulmani”.

Una frase che non è piaciuta ad Alice Sommavilla che, in so-stanza, la considera pericolosa perché potrebbe ‘istigare’ a pre-giudizi che non sono giustificati. ‘Che ne potrebbero pensare – si chiede Alice – i miei amici mussulmani’?

Concordo con Alice: quella frase, alla quale io non ho dato peso durante la lettura degli articoli prima della pubblicazione (e di questo mi scuso con i lettori e con Linda), è effettivamente az-zardata, forse frettolosa e non meditata. Non credo, infatti, che nasca da una convinzione ‘razzista’ di Linda ma, piuttosto, che sia legata all’indignazione per le ingiustizie contro le donne rac-contate dal libro.

Credo sia utile una precisazione: il Corano, che ispira la vita re-ligiosa ma al quale dovrebbe fare riferimento anche la vita civica e sociale dei Paesi mussulmani, non dà indicazioni di discrimi-nazione nei confronti della donna. Al contrario, ne promuove il rispetto e la dignità. Ma altra cosa è l’osservanza che del Corano viene fatta nelle singole comunità o qual è la ‘traduzione’ in leggi e norme che regolano la vita sociale. Non si può infatti negare che in alcuni Paesi mussulmani la vita delle donne sia più difficile che in altre o che ci possano essere ‘ leggi’ (ma anche usi e costumi) che ledono il diritto della donna a pari opportunità rispetto all’uomo.

Il problema, però, non riguarda solo i mussulmani. Che dire, infatti, dei vistosi ‘tradimenti’della parola di Cristo in Italia o nei paesi a religione cattolica (ma anche di altre religioni)? Tradimen-ti pesanti, manipolazioni strumentali, a tutto danno spesso dei soggetti socialmente più deboli. Come, appunto, le donne.

E che dire, ancora, dello scempio che il mercato (la ‘religione’ tutta pagana che così pesantemente sta condizionando il mondo) fa della donna, dei bambini, della dignità dell’individuo?

Dunque, stiamo tutti attenti alle generalizzazioni e ai luoghi comuni che finiscono con il diventare un’insidia per la crescita di tutti noi e la ricchezza delle nostre relazioni.

Milena Di Camillo

800-061650Numero Verde

Invitoalla vita

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La fiducia si trova in diffi-coltà nel momento in cui ci rendiamo conto che il male si può nascondere ovunque.

Zygmunt Bauman

La prima regola di ogni pre-dizione è che sia rassicuran-te. Questa è la prima vera funzione degli indovini: ri-dare fiducia in se stesso a chi l’ha perduta.

Carlo Castellaneta

Il dubbio o la fiducia che hai nel prossimo sono stretta-mente connessi con i dubbi e la fiducia che hai in te stesso.

Kahlil Gibran

Si è più spesso ingannati dal-la diffidenza che dalla fidu-cia.

Antoine Rivaroli

Non è tanto dell’aiuto degli amici che noi abbiamo biso-gno, quanto della fiducia che essi ci aiuterebbero nel caso ne avessimo bisogno.

Epicuro

Info: Area del fareassiemevia S. Giovanni Bosco, 10 - Trento

tel. 0461 902881e-mail: [email protected]