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9 api La contrattazione territoriale e di “prossimità”: l’esperienza del Trentino nel quadro dell’evoluzione normativa 1 La prof.ssa Stefania Scarponi ha introdotto il tema del convegno, dal titolo “La contrattazione territoriale e di “prossimità”: l’esperienza del Trentino nel quadro dell’evoluzione normativa”, rilevando, innanzitutto, la diversa natura e provenienza dei materiali normativi che sono oggetto di discussione nell’incontro. Infatti, nella situazione di “dinamismo contrattuale” e della conseguente mappatura di quello che avviene territorialmente, è necessario soffermarsi e tale tema merita un momento di confronto. In particolare, i materiali oggetto di attenzione riguardano sia l’evoluzione normativa sia l’evoluzione dei protocolli e dei veri e propri contratti collettivi, oltre che legislativi a livello nazionale e territoriale, nel peculiare contesto della Provincia autonoma di Trento dove c’è uno Statuto di Autonomia . Vi è, pertanto, un problema di coordinamento tra le fonti e un problema di relativo sviluppo e interpretazione; sotto il profilo di cronologia storica, con riferimento alla contrattazione collettiva, va, oltremodo, ricordato che la contrattazione aziendale in deroga alle garanzie a tutela del lavoro non è una novità nel sistema giuslavoristico, in quanto 1 Sintesi a cura di Alberto Mattei del convegno svoltosi il 26 settembre 2013 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento. Nota di lettura: le parole sottolineate in azzurro rimandano a pagine interne dell’osservatorio, oppure a pagina esterne, la cui pagina principale è richiamata in nota [aggiornamento: 29/30 novembre 2013]. Progetto di ricerca finanziato nell’ambito del bando post-doc 2011 della Provincia autonoma di Trento. 1

 · Web view... problematica del diritto tributario; la contrattazione di prossimità, del diritto del lavoro, sia del rapporto di lavoro sia sindacale, e sui conseguenti profili

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La contrattazione territoriale e di “prossimità”: l’esperienza del Trentino nel quadro dell’evoluzione normativa1

La prof.ssa Stefania Scarponi ha introdotto il tema del convegno, dal titolo “La contrattazione territoriale e di “prossimità”: l’esperienza del Trentino nel quadro dell’evoluzione normativa”, rilevando, innanzitutto, la diversa natura e provenienza dei materiali normativi che sono oggetto di discussione nell’incontro. Infatti, nella situazione di “dinamismo contrattuale” e della conseguente mappatura di quello che avviene territorialmente, è necessario soffermarsi e tale tema merita un momento di confronto.In particolare, i materiali oggetto di attenzione riguardano sia l’evoluzione normativa sia l’evoluzione dei protocolli e dei veri e propri contratti collettivi, oltre che legislativi a livello nazionale e territoriale, nel peculiare contesto della Provincia autonoma di Trento dove c’è uno Statuto di Autonomia. Vi è, pertanto, un problema di coordinamento tra le fonti e un problema di relativo sviluppo e interpretazione; sotto il profilo di cronologia storica, con riferimento alla contrattazione collettiva, va, oltremodo, ricordato che la contrattazione aziendale in deroga alle garanzie a tutela del lavoro non è una novità nel sistema giuslavoristico, in quanto la legislazione dell’emergenza degli anni ottanta, nonché i provvedimenti sul mercato del lavoro dei primi anni duemila, avevano già previsto tale possibilità.Tale scenario, tuttavia, apre diverse questioni: quale margine di legittimità, quali soggetti titolari a negoziare, quale efficacia soggettiva del contratto collettivo, qualora esso sia poi separato: è un tema non nuovo che ha dato origini a diversi filoni giurisprudenziali e dottrinari.In tema contrattuale, di recente, è da richiamare l’Accordo interconfederale tra CGIL, CISL, UIL e Confindustria del 28 giugno 2011 che ha stabilito procedure e regole derogatorie a livello aziendale e ha stabilito quali

1 Sintesi a cura di Alberto Mattei del convegno svoltosi il 26 settembre 2013 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento. Nota di lettura: le parole sottolineate in azzurro rimandano a pagine interne dell’osservatorio, oppure a pagina esterne, la cui pagina principale è richiamata in nota [aggiornamento: 29/30 novembre 2013].

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soggetti sono abilitati a questo tipo di negoziazione; subito dopo l’art. 8 con il d.l. 138 del 2011, poi convertito nella l. 148 del 2011, introducendo la cd. contrattazione di prossimità, ha una portata dirompente e apre, in maniera più estesa, il terreno su cui opera la contrattazione in deroga, oltre che riconoscere efficacia erga omnes a tali intese e individuare soggetti legittimati a negoziare. In questo modo, però, vengono stravolte le regole che le parti sociali stesse si erano date nel giugno del 2011, salvo che le parti stesse, pochi giorni dopo l’approvazione dell’art. 8, il 21 settembre 2011, hanno approvato una “postilla” all’accordo interconfederale di pochi mesi prima, in teoria chiudendo le ipotesi di contrattazione di prossimità.Nei fatti, invece, tale contrattazione di prossimità si è sviluppata come un fenomeno carsico2: la norma è intesa come veicolo di espansione della contrattazione a livello aziendale, alterando il rapporto tra le fonti, ma anche dei vari a livelli della contrattazione collettiva, quindi rimanendo un punto discusso e controverso.Un ulteriore intervento è avvenuto, in seguito, con il protocollo nazionale sulla produttività, come atto di indirizzo, della fine del 2012, non sottoscritto unitariamente, con clausole che riconoscono una competenza derogatoria che può riguarda alcune materie tipiche del rapporto di lavoro (es.: orari); anche in questo caso, sorgono alcuni dubbi: come si inserisce lo sviluppo di questa contrattazione aziendale in deroga rispetto a questo atto di indirizzo? Ancora, in quali modalità, dove si sono cornici in quei territori come il Trentino in cui c’è la concertazione?

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Il prof. Giorgio Bolego3, nella prima relazione del convegno dal titolo “Produttività e detassazione nella contrattazione di prossimità”, ha sottolineato che la contrattazione di prossimità è una delle tematiche più importanti al momento del diritto sindacale italiano, che tocca l’evoluzione

2 Tra i primi autori ad analizzare l’evoluzione applicativa di tale contrattazione L. Imberti, A proposito dell’art. 8 della legge n. 148/2011: le deroghe si fanno, ma non si dicono, in Giornale di Diritto del Lavoro e di Relazioni Industriali, 138, 2013, p. 255 ss. 3 I materiali oggetto di analisi di questo intervento sono consultabili alla seguente pagina dell’osservatorio: http://www.dirittisocialitrentino.it/?p=4912

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del sistema delle relazioni industriali e dell’assestamento delle fonti del diritto del lavoro. Nella sua relazione si sofferma su tre temi e istituti diversi non riconducibili ad un’unica materia: la produttività, materia dell’economia; la detassazione, problematica del diritto tributario; la contrattazione di prossimità, del diritto del lavoro, sia del rapporto di lavoro sia sindacale, e sui conseguenti profili di legittimità.Breve premessa, prima di tutto: la struttura e disciplina dei rapporti collettivi. In Italia non esiste una legge sulla contrattazione collettiva; le relazioni industriali si “giocano” sui rapporti di forza, sviluppate in applicazione del principio della libertà sindacale ex art. 39 cost., 1 comma4. Non ci sono regole giuridiche cogenti e lo svolgimento delle relazioni è informale: tale modello ha retto e funzionato bene in presenza di coesione tra le parti sociali, fin tanto che la contrattazione collettiva ha avuto efficacia acquisitiva.Una regolamentazione è stata introdotta, dalle parti, nel luglio 1993: ripartizione delle competenze (nazionale e aziendale), efficacia non reale ma meramente obbligatoria. Vi è quindi stata una sfasatura: modello informale del 39, co. 1, affiancato dal modello rigido e gerarchizzato degli accordi interconfederali del 1993; il sistema sindacale è quindi stato caratterizzato da un’ insuperabile debolezza di fondo.Tale debolezza è emersa chiaramente dal caso Fiat e dal mutato ruolo della contrattazione collettiva, in una situazione di spaccatura sindacale: in quella fase, l’azienda ha manifestato l’esigenza di regole maggiormente adatte alla struttura organizzativa. Il caso Fiat, in sostanza, voleva stabilire regole derogatorie, peggiorative più con riferimento al contratto collettivo nazionale che rispetto alla legge.In base a tale circostanza e tale quadro, si può discutere sulla contrattazione decentrata: la prossimità, locuzione nuova, è coniata nel 2011 con la formula in rubrica dell’articolo “sostegno alla contrattazione collettiva di 4 A norma del quale “l’organizzazione sindacale è libera”. I successivi commi affermano: “ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.

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prossimità”, evocando una particolare tecnica legislativa volta a promuovere comportamenti ritenuti virtuosi che consistono nel perseguire determinati obiettivi in maniera specifica previsti dal testo di legge (“maggiore occupazione”, “qualità dei contratti di lavoro”, “adozione di forme di partecipazione dei lavoratori”, “emersione del lavoro irregolare”, “incrementi di competitività e di salario”, “gestione delle crisi aziendali e occupazionali”, “investimenti e all’avvio di nuove attività”). Si tratta di vincoli di scopo che permettono alla contrattazione collettiva di intervenire in chiave derogatoria su materie che riguardano l’organizzazione del lavoro, puntualmente identificate nella stessa norma (“impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie”; “mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale”; “contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro”; “disciplina dell’orario di lavoro”; prima della riforma Fornero, “modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro”).In sintesi, alla contrattazione di prossimità è consentito attenuare rigidità legislative che attengono agli aspetti principali del rapporto di lavoro al fine di perseguire obiettivi, come gli incrementi di occupazione e di resa più efficiente del sistema aziendale, al fine di ampliare il potere organizzativo del datore: è una forma di manifestazione del decentramento dell’autonomia delle parti, ma è la legge che riconosce ampia margini, con efficacia generalizzata.Il fenomeno, però, non è nuovo dal punto di vista giuridico: le deroghe anche di carattere peggiorativo sono numerosissime, dalla legislazione degli anni settanta e ottanta dell’emergenza, poi, nel terzo millennio, nei decreti come il 66 del 2003 si contano 38 rinvii alla contrattazione collettiva di qualsiasi livello, su tutte le materie che attengono alla disciplina dell’orario di lavoro; 82 sono i rinvii nel decreto 276 del 2003; così anche numerosi rinvii anche nella disciplina del 368 del 2001 relativa al contratto di lavoro a tempo determinato.

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La portata innovativa dell’art 8 è la seguente: prima gli interventi derogatori erano circoscritti, ora invece si fa riferimento a istituti che incidono sull’organizzazione di lavoro e a rapporti lavorativi in corso, in quanto l’ordinamento italiano si presenta troppo rigido rispetto alla flessibilità funzionale, rispetto quindi allo stesso rapporto di lavoro.Quale effetto? le deleghe da legge a contrattazione provocano un effetto di “balcanizzazione”: regole non certe, ma appunto deroghe, particolaristiche, del singolo contesto produttivo. E’, in sostanza, un processo di territorializzazione: prima un processo top down, dalla legge al particolare, ora opposto dal particolare alla legge, ossia bottom up, come segue l’osservatorio trentino nella rassegna in proposito.Si tratta di realtà particolari, con profili di criticità: partire dal particolare per guardare al generale. La disciplina di legge non scompare, ma è emblema del diritto del lavoro “riflessivo” che lascia alle parti sociali individuare e intervenire sul campo di azione: si guarda alla realtà sociale, per guardare agli strumenti, procedure e soggetti, al fine di intervenire per uscire da situazioni di crisi.E’ un processo di aziendalizzazione, inoltre, non solo ex art. 8: ma anche nell’ accordo interconfederale tra CGIL, CISL, UIL e Confindustria del 28 giugno 2011, pur riconoscendo il compito al contratto collettivo nazionale di uniformità trattamenti basi, alla contrattazione decentrata viene data la possibilità di intese modificative delle norme contrattuali5; l’altro accordo separato (non sottoscritto da CGIL e dalle associazioni delle piccole imprese) del novembre 2012, in cui le parti firmatarie riconoscono “l’obiettivo comune di sviluppare un sistema di relazioni industriali che crei condizioni di 5 Testualmente “i contratti collettivi aziendali possono attivare strumenti di articolazione contrattuale mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi. I contratti collettivi aziendali possono pertanto definire, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro. Ove non previste ed in attesa che i rinnovi definiscano la materia nel contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’azienda, i contratti collettivi aziendali conclusi con le rappresentanze sindacali operanti in azienda d’intesa con le organizzazioni sindacali territoriali di categoria espressione delle Confederazioni sindacali firmatarie del presente accordo interconfederale, al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa, possono definire intese modificative con riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro. Le intese modificative così definite esplicano l’efficacia generale come disciplinata nel presente accordo”.

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competitività e produttività tali da rafforzare il sistema produttivo, l’occupazione e le retribuzioni”, sottolineando, dall’altro, la necessità di rafforzare la contrattazione territoriale e aziendale, con la tecnica coinvolgimento del settore pubblico tramite la detassazione.Pertanto, si stabilisce delegare alla contrattazione collettiva decentrata le competenze derogatorie, tramite incentivo: lo Stato si rende disponibile a mettere a disposizione risorse sotto forma di premio di produttività.Anche questa soluzione non è nuova: introdotto con il decreto legge 93/20086, riconoscendo la possibilità di detassare voci di retribuzione riconducibili al salario di produttività, non a tassazione ordinaria ma separata nella misura del 10%; e tale misura è stata reiterata negli anni successivi.Tuttavia, la detassazione ha avuto una tendenza di ridimensionamento: nel 2008 si poteva detassare tutto (es.: salario per orario notturno) poi restringimento con regole. Nel 2012, da un lato, si è concordato l’accordo sulle linee di produttività, ma anche decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del gennaio 2013 si sono fissate delle regole per stabilire le regole da rispettare per accedere al salario di produttività, poi, ulteriormente, anche la circolare dell’ Agenzia Entrata n. 11 del 30 aprile 2013.La soluzione prevista è: per accedere alla detassazione del salario di produttività è necessaria la definizione di indicatori qualitativi e quantitativi finalizzati a misurare efficienza e innovazione, grazie all’apporto della contrattazione territoriale. L’altra strada postula almeno una misura su almeno di tre di quelle previste dal decreto presidenziale del gennaio: sono previste in quest’ultimo quattro linee intervento (ridefinizione orari, distribuzione flessibile ferie, impiego nuove tecnologie informatiche, misure e programmi per fungibilità delle mansioni e inquadramento del lavoro): la contrattazione decentrato doveva intervenire ad almeno tre di queste aree, per circoscrivere l’ambito della detassazione.Tuttavia, è intervenuto l’accordo interconfederale del 24 aprile 2013, unitario, che supera tale selettività: l’accesso alla detassazione può avvenire in tutte le ipotesi in cui il contratto di lavoro decentrato o territoriale 6 Testo è consultabile alla seguente pagina del sito esterno richiamato, Normattiva: http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2008;93

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preveda una ridefinizione dell’orario di lavoro, venendo meno la necessaria previsione di almeno tre previste dal decreto di gennaio.Bisognerebbe, come evidenziato dal protocollo del novembre 2012, su fattori extralavorativi: costi energia, trasporti, ecc...fino alle innovazione di processo e prodotto nelle strutture produttive. Nella parte prescritta dell’accordo del novembre 2012, tuttavia, questi aspetti non vengono considerati.Il decentramento può essere oggetto di critica quando avviene solo sul lavoro e non sugli aspetti extralavorativi: vi è un rischio poi di carattere collusivo, la detassazione a favore di entrambi, lavoratore e datore, scaricando sul pubblico i costi; inoltre, un secondo rilievo: il tema della detassazione e della prossimità non tende a tutelare le imprese in concorrenza, ma imprese in concorrenza con altre misure volte a ridurre la tutela dei lavoratori7. A livello territoriale, vi sono le linee guida de 5 dicembre 2012, in cui sono previste, tra le altre cose, agevolazioni in materia di IRAP per imprese; e così anche legge provinciale n. 6 de 1999 con procedura negoziale: in questo caso, l’accordo diventa un requisito necessario per l’ottenimento dei contributi e, quindi, assume valenza autorizzatoria al fine dell’ottenimento del finanziamento provinciale.

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Nel secondo intervento, il dott. Sergio Vergari8, dirigente del Servizio Lavoro della Provincia, dal titolo “La concertazione sociale in Trentino”, il discorso si è allacciato all’intervento precedente, sulla dinamica contrattuale in atto.In questi termini, vi è stato un processo di territorializzazione del diritto del lavoro, accompagnandosi l’ulteriore dinamica di rapporti non più bilaterali, ma anche trilaterale con il governo pubblico.Infatti, il contesto trentino richiama l’esperienza concertazione sociale trilaterale; e non si può non fare i conti con un quadro di riferimento più 7 Come sottolinea V. Bavaro, L’aziendalizzazione nell’ordine giuridico e politico del lavoro, in Lavoro e Diritto, 2, 2013, p. 213 ss.8 I materiali oggetto di analisi di questo intervento sono consultabili alla seguente pagina dell’osservatorio: http://www.dirittisocialitrentino.it/?p=4924

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ampio, con altri due elementi: diffusione di pratiche concertative e prerogative dei sistemi di governo esistenti sul territorio. In tali termini, la contrattazione collettiva, più in generale, vive anche dei condizionamenti, dei gradi di maggiore o minore sviluppo di pratiche concertative, collegate a loro volta a esistenze di prerogative di minore o maggiore del governo pubblico.La concertazione sociale non può che essere fatta a livello territoriale, in quanto è anacronistico pensare che si possa tornare indietro con pratiche centralizzate. Da qui a maggior ragione, sul territorio trentino, la concertazione trentina ha avuto maggior modo di svilupparsi, al fine di delineare gli sbocchi della bilateralità in ragione di quella trilaterale.Il territorio trentino è contraddistinto da un livello di concertazione molto evoluto che, per certi versi, ha ostacolato la contrattazione bilaterale, ma ciò non è di per sé un aspetto negativo e nemmeno scontato: le pratiche concertative implicano notevoli fatiche; si rinunciano a logiche rivendicative, che impongono una responsabilità compartecipata tra attori sociali e istituzionali per impegni, appunto, istituzionali-sociali.Tali pratiche sono più giustificate e più facili nei governi in cui c’è più debolezza politica; viceversa, nel territorio, le pratiche concertative si rafforzano mano a mano che vi è rafforzamento del governo. Gli elementi chiave sono: diffusione di esistenza della concertazione a livello di sistema, linea di tendenza e aspetto valoriale.Concertazione sociale nel contesto trentino è un metodo di governo nei fatti, ma anche dichiarato e organizzato: negli anni 2000 protocolli di intesa sono stati sottoscritti dalla parti, nei quali si ipotizza il metodo concertativo come metodo di governo. Vi è una precisa vocazione del sistema di mettersi assieme: ciascuno nel proprio ruolo, a cominciare nel 2004 tavoli di lavoro (sistema scolastico, politiche di lavoro, ecc…): le parti hanno voluto dichiarare di lavorare in una logica trilaterale compartecipata, a maggior ragione nel periodo della crisi.Si sono voluti toccare temi più vasti: interesse dell’impresa a stare sul mercato, la tutela del cittadino debole, come i vari protocolli anticrisi. La concertazione sociale trentina è multiforme e ben radicata, non solo nei

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protocolli che ne sanciscono il valore, ma nello stesso ente provinciale che lo riconosce, in quanto radicato e invalicabile. Le parti sociali oggi sono coinvolte, a tutti i titoli possibili, nel governo dell’economia e del territorio: per esempio, nelle politiche del lavoro sulla l. 19 del 19839, le politiche del lavoro sono assunte con decisioni trilaterali degli attori, non così sovrapponendosi all’ente provinciale, ma rispettando in maniera evoluta. Tali soluzioni sono nate negli anni ottanta, ma si sono conservate nel tempo, a differenza di altri territori.E’ importante mettere in chiaro che è significativo il livello di sviluppo della concertazione trilaterale sociale, anche assolvendo gli obiettivi della contrattazione bilaterale, e così giustificandosi lo sviluppo minore di quest’ultima.La pratica di coinvolgere le parti sociali nella politica pubblica si è andata estendendo: dal tavolo appalti a partire dal 1998, ma anche temi sulla sicurezza sul lavoro, dove si è costituire un comitato a livello provinciale individuato come sede fondamentale per l’ideazione di misure più specifiche.In sostanza, questo coinvolgimento ha favorito la pratica di aggressione dei problemi a tutto tondo: prima il sistema davanti, poi le misure da adottare; ancora, operativamente, protocolli di intesa nel corso degli anni: crescita della relazione tra le parti; poi, le procedure negoziali e patti territoriali.Sul valore di questi strumenti si può dire questo: le procedure negoziali non esistono altrove; mettono in luce la disponibilità dell’ente pubblico nella gestione delle pratiche amministrative, così da avere un contraltare di quelli che sono i benefici attesi: sono diffuse e incidono notevolmente a livello territoriale, in particolare sugli investimenti in ricerca; dal punto di vista del lavoro, garantiscono la salvaguardia occupazionale, e coesione sociale nelle diverse imprese.

9 Testualmente all’art. 1 della legge del 1983: “La Provincia autonoma, nell'esercizio delle proprie competenze, attua interventi di politica del lavoro al fine di contribuire a rendere effettivo il diritto al lavoro e l'elevazione professionale dei lavoratori ai sensi degli articoli 1, 4 e 35 della Costituzione. A tal fine promuove l'orientamento e la formazione professionale dei lavoratori, controlla ed indirizza la mobilità del lavoro, osserva e orienta il mercato del lavoro, contribuendo a rimuovere gli ostacoli che impediscono l'accesso al lavoro di tutti i cittadini e particolarmente dei giovani, delle donne e dei disabili. La politica del lavoro è inserita nella politica di sviluppo economico-sociale territoriale, armonizzata con gli interventi di politica settoriale, finalizzata al mantenimento e potenziamento dei livelli occupazionali. Nell'elaborazione e nell'attuazione della politica del lavoro la Provincia ricerca la partecipazione delle forze sociali e particolarmente delle organizzazioni”.

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Sui patti territoriali il livello di coinvolgimento delle parti sociali è stato limitato fino a oggi: vi sono logiche disomogenee e difficilmente componibili; nel territorio trentino nascono per mettere la logica concertative nel quadro della programma di sviluppo provinciale all’interno della legge 6 del 1999; ciò non è da leggere in negativo, semmai la partecipazione limitata è giustificata dal fatto che le parti sociali sono sempre presenti nello sviluppo delle politiche del lavoro, fino al punto della loro partecipazione allo sviluppo della legislazione provinciale, tramite il ricorrente utilizzo delle audizione nella formazione delle leggi.Inoltre, due sono gli elementi della concertazione: da un lato, la trasparenza, inteso come metodo dichiarato da perseguire con chiarezza e il livello di partecipazione si misura in maniera trasparente; dall’altro, la stabilità con coinvolgimento dei corpi intermedi. Le parti sociali, infatti, non sono più parti contrattuali, ma soggetti definibili come istituzionali - politici, portatori di interessi generali, non più particolari.Il sistema di concertazione sociale trentino è percepito come un valore, che deve mirare a pratiche di assunzione responsabilità solidale e mirare alla coesione sociale da salvaguardare come bene prezioso. Il rapporto sindacato-governo ha due sbocchi: lo sciopero come denuncia della criticità, oppure concertazione come superamento dell’ostacolo, quindi omogeneità di scopo.E’ da rimarcare che il metodo concertativo è impegnativo: nel corso degli anni novanta, la ragione della forte concertazione sociale è sfociata nella pratica del dialogo sociale, con però obiettivi diversi.Infatti, la pratica del dialogo sociale consisteva nell’accontentarsi di dialogare con chi ci sta: nel territorio provinciale si dialoga con tutti, con coloro che sono effettivamente rappresentativi della collettività.Inoltre, l’ambito di operatività della concertazione sociale è il seguente: l’orizzonte di riferimento è la politica pubblica (lavoro, economia, politiche sociali, ecc..) con allargamento progressivo per la guida alla redistribuzione delle risorse; le pratiche concertative hanno interessato anche gli altri ambiti, nella regolamentazione dei rapporti di lavoro. Sull’apprendistato si è fatto una scelta non allineata con protocolli (quota parte del pubblico e quota parte della contrattazione collettiva) nelle intese

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trentine del febbraio 2013; così anche nel protocollo di intesa nel 2013 in materia di appalti pubblici, si è inciso, a livello trilaterale e non bilaterale, in maniera particolarmente significativa, sulla regolazione dei rapporti di lavoro.Lo stesso accordo trentino sulla produttività del 2012 delinea un obiettivo comune e di sistema come riferimento: la concertazione, con riferimento al sistema economico e al tema della crescita della produttività, incide su competenze pubbliche sia private. Così si adotta una pratica trilaterale concertativa di sistema, andando a delineare, appunto, un sistema e un concerto di attori, dove ciascun elemento è correlato ad un altro, tramite un percorso di diverse misure e di accompagnamento (credito, ammortizzatori sociali, agevolazioni IRAP).Vi è uno spazio d’interesse comune anche con il sistema di welfare, tramite la compartecipazione pubblico-privato: è il caso del protocollo per assistenza sanitaria integrativa con la costituzione di un fondo territoriale, così prefigurando, a partire dal 2012, la costruzione di un sistema territoriale e abbandonando gli agganci alla contrattazione nazionale; ciò al fine dell’esercizio per prestazioni migliorative, per entrare in un nuovo sistema locale che consente un rafforzamento a livello territoriale.Ancora, a livello aziendale, merita menzione l’accordo sulla gestione della chiusura della Whirpool: l’azienda, la Provincia e le parti sociali dipingono, nell’estate 2013, le misure da tenere, operando attraverso la declinazione dell’obiettivo comune (occupazione), così da allacciarsi l’una con l’altra (riqualificazione professionale, riconversione industriale del sito). In sostanza, si ha un ulteriore avanzamento, prevedendo un superamento del’accordo aziendale attraverso una logica trilaterale per l’azienda.Quanto la concertazione sociale ha aiutato lo sviluppo territoriale e quanto ha dato impulso alla contrattazione territoriale? Sul primo punto si po’ rispondere affermativamente: gli atti della Provincia sono orientati verso una logica di sistema, non più settoriale, in quanto vi è una capacità di affrontare a tutto tondo i problemi; più difficile rispondere sul secondo punto, prima cosa che viene in mente è: a che punto è la situazione?

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Vi è un coinvolgimento della contrattazione bilaterale nell’alveo della concertazione trilaterale: tali pratiche hanno aiutato la contrattazione. L’accordo trentino sulla produttività ha dato impulso alla contrattazione di secondo livello, oltre che i benefici dello Stato anche quelli della Provincia per la riduzione dell’IRAP (es.: settore artigiano).Inoltre, sempre in tale logica, vi è la decisione della Commissione Provinciale per l’Impiego di dare sviluppo ai contratti di solidarietà che fanno parte della contrattazione territoriale: vi è stata la loro implementazione nell’ultimo biennio dentro un sistema di impulso della concertazione; così anche il Progettone, figlio della stagione della concertazione, che ha dato impulso ad una contrattazione di tipo autonomo.La deriva futura è lo sviluppo della bilateralità in una logica di coerenza con il sistema, certamente nell’obiettivo di una crescita anche dei diritti di cittadinanza tout court; da una visione di redistribuzione delle risorse pubbliche a una visione di passaggio partenariato pubblico-privato per la costruzione di nuovi strumenti di welfare mix (protocollo su sanità integrativa e la nuova competenza sugli ammortizzatori sociali vanno in questa direzione). Il territorio trentino è nelle condizioni di costruire questa nuova prospettiva per fare in modo che l’impatto non sia negativo, all’interno di una dimensione finanziaria nuova, anche con leve fiscali provinciali, con un saldo positivo per tutti gli attori di sistema, compresi i diritti dei cittadini.

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Nel terzo intervento, il prof. Riccardo Salomone10 dal titolo “Contrattazione e produttività del lavoro dei soci di cooperativa”, affronta un tema specifico, il lavoro dei soci di cooperativa, dove ci sono alcune questioni che meritano di essere considerate. Prendendo spunto dalla precedente relazione, vi è una condivisione di spirito sul territorio localizzato, come appunto luogo di elaborazione progettuale per le politiche del lavoro, ma ci si chiede se la logica

10 I materiali oggetto di analisi di questo intervento sono consultabili alla seguente pagina dell’osservatorio: http://www.dirittisocialitrentino.it/?p=4964

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istituzionale incida positivamente su quella negoziale riuscendo a perseguire una dimensione offensiva. In altre parole, ci si chiede dubitativamente: la dimensione della concertazione e quella della contrattazione segue una dinamica e un obiettivo di coesione sociale-istituzionale che mostra il suo lato virtuoso, ma lo stesso si può dire rispetto ad una dimensione che guarda ad uno sviluppo sociale-economico-produttivo di un territorio che non è solo coeso, ma che punta a dare una spinta verso il futuro?Un territorio virtuoso da comparare: Germania. Si tratta di un paese che mostra di aver lavorato sulla coesione in ottica difensiva, ma che mostra di aver operato anche sulla dimensione dello sviluppo economico produttivo in chiave offensiva. Vi è stata, infatti, un’opera di intervento sul lavoro per servizi all’impiego, per le politiche occupazionali – dimensione istituzionale difensiva – e, dall’altra parte, la Germania ha lavorato con un processo di grande spazio di autoriforma del sistema di relazioni sindacali e all’autonomia delle organizzazioni sindacali, in una logica offensiva di sviluppo. Nell’ultimo decennio, la legge sindacale tedesca ha consentito di aprire ad un sistema molto flessibile, per esempio con le clausole di uscita, ma in un sistema negoziale puro, a differenza degli incroci informali e legislativi-contrattuali italiani. In altre parole, prendendo spunto da questa comparazione, enfatizzare dimensione concertativa rischia di soffocare la dimensione negoziale-contrattuale.Per venire al tema oggetto della relazione, il contesto specifico della cooperazione in Trentino può rappresentare il simbolo di passaggio da una logica difensiva a una offensiva. Va ribadito, intanto, che la prossimità non è un tutt’uno indistinto: pensare alle dinamiche di decentramento non significa costruire un’uniformità del tutto, a livello più basso. Il processo del decentramento regolativo ha subito un’accelerazione in materia di produttività e a favore della contrattazione di secondo livello: essa va indirizzata alla crescita della produttività aziendale, sia per le aziende standard sia per quelle cooperative.Il decreto presidenziale, già menzionato, del gennaio 2013 quando afferma:

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“Nel limite delle risorse di cui al comma 481 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), per il periodo dall'1 gennaio 2013 al 31 dicembre 2013, le somme erogate a titolo di retribuzione di produttività, in esecuzione di contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale (di seguito denominati, a tutti i fini di cui al presente decreto, "contratti"), ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda, sono soggette a un'imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento.”

Tale tecnica dell’agevolazione si innesta sulla contrattazione collettiva in esecuzione della quale si ha una dinamica di valorizzazione della produttività, sia che derivi dal sistema negoziale sia da quella legale.In sostanza, è il tentativo di tenere insieme il percorso di autoriforma da parte sindacale, a partire dall’accordo del giugno 2011, sia quello di riforma da parte del legislatore, con la contrattazione di prossimità. In questi termini, l’art. 8 non è poi così anomalo rispetto alle logiche del sistema, perché la direzione del sistema è quella di lavorare verso una valorizzazione delle intese a livello territoriale e aziendale, rispetto a quello nazionale. Se queste intese hanno una deroga spinta dipende da come si intende da come si intende il processo di correzione e autocorrezione.Sempre sul dato legislativo, la circolare Ministero Lavoro dell’aprile 2013 sulla somma della retribuzione per produttività, così misurando la dimensione territoriale e aziendale, afferma che è alle voci a cui si può guardare vi sono “ristorni ai soci delle cooperative nella misura in cui siano collegati ad un miglioramento della produttività “.Si tratta di un piccolo elemento che finisce per curvare, con una dimensione diversa, il sistema cooperativo per l’impresa non cooperativa. Il ristorno è utilizzato per valorizzare la produttività; e tale aspetto non compare nel modello legale, ma neanche in quello negoziale.In seguito, è da menzionare l’accordo sindacale interconfederale del maggio 2013: la relazione è tra contrattazione collettiva e produttività, immaginando che questo modello funzioni in relazione alla modifiche dell’orario di lavoro; mentre la disciplina ministeriale lavora sulla

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dimensione peculiare delle cooperative, le parti sociali replicano il modello delle imprese industriali classiche. Nello stesso mese, a livello territoriale, l’accordo trentino delle cooperative: il modello prende atto della tendenza dell’ordinamento alla valorizzazione della produttività da collegare alla dimensione decentrata; il modello curva ad alcune specificità trentine (l. p. 25 del 201211) rispetto alla disciplina fiscale. Tale modello, in sostanza, consente la detassazione anche alle imprese che non hanno una dimensione sindacale sviluppata al loro interno, così da rientrare nel sistema dei benefici in relazione a trattamenti retributivi ed economici.Se si guarda alla legislazione nazionale in tema di cooperative (la 142 del 2001) si vede la costruzione di un modello, ai sensi dell’art. 3, co. 2 che prevede:

Trattamenti economici ulteriori possono essere deliberati dall'assemblea e possono essere erogati:a) a titolo di maggiorazione retributiva, secondo le modalità stabilite in accordi stipulati ai sensi dell'articolo 2; b) in sede di approvazione del bilancio di esercizio, a titolo di ristorno, in misura non superiore al 30 per cento dei trattamenti retributivi complessivi di cui al comma 1 e alla lettera a), mediante integrazioni delle retribuzioni medesime, mediante aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato […].

In questi termini, la retribuzione del socio nella sua parte ulteriore viene dalla contrattazione o viene dalla dimensione dello scambio mutualistico, propria del ristorno. Può essere che il ristorno venga perseguito, nei regolamenti interni, per valorizzare la produttività, per agevolare fiscalmente e dal punto di vista previdenziale, inserendosi in una logica di scambio mutualistico; la produttività del lavoro dei soci può essere letta in connessione alle diversità di situazioni (non solo il parametro dell’anzianità, ma anche articolazione tempo, beni aziendali, presenza, ecc…)Per questo, vi è uno spazio di manovra costruttiva e non difensiva, all’interno di un sistema che valorizza quell’elemento. In conclusione, il dato che emerge è fisiologico: l’art. 8 è coerente con ciò che è accaduto e sta accadendo; manca invece la creatività, dal basso verso l’alto, il bottom up.11Testo di legge che si può consultare alla seguente pagina esterna: http://www.consiglio.provincia.tn.it/banche_dati/codice_provinciale/clex_documento_camp.it.asp?pagetype=trov&app=clex&at_id=24091&type=testo&blank=Y&ZID=1520960

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La prof.ssa Stefania Scarponi, al termine della relazione, sottolinea l’aspetto del perseguimento degli obiettivi e dei vincoli di scopo con lo strumento della deroga: è necessario verificare che l’impresa attui o meno. La perplessità sull’art. 8 non è sulle ragioni di dinamicità a monte, ma nel modo a valle con cui tale strumento è stata elaborato a livello legislativo. La legislazione sindacale tedesca c’è e da certezza, ma anche perché è un sistema riconosciuto all’interno, non informale come quello italiano.

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L’ultima relazione del dott. Alberto Mattei dal titolo “La contrattazione di prossimità alla luce dell’art. 8 d.l. 138 del 2011” sulle risultanze empiriche e sui problemi che ha sollevato questa norma, sul fronte giurisprudenziale e su quello contrattuale-applicativo.Il grado di applicazione di tale di tipo di contrattazione, a partire dalla sua introduzione nell’ordinamento con l’art. 8 del d.l. 138 de 2011, poi convertito in l. 148 del 2011, consente di mettere a fuoco l’effettiva risultanza pratico-operativa di tale strumento, con particolare riferimento, agli obiettivi previsti dalla legge che ne ha disciplinato l’introduzione; alle materie e agli ambiti oggetto di regolazione da parte delle aziende e delle rappresentanze sindacali; all’autonomia di queste ultime che stipulano i contratti ex art. 8 e al loro grado di coordinamento rispetto alle organizzazioni sindacali nazionali.Com’è stato proposto in dottrina, il nesso stretto è tra il concetto di “prossimità” e quello di “deroga”: la prossimità non solo è ciò che non è nazionale, in quanto viene rimarcata “la vicinanza degli stessi alla situazione da regolare”12 a livello aziendale o territoriale, ma è ciò che giustifica la deroga, rappresentando “l’istanza di specializzazione organizzativo-produttiva”13.Per cercare di comprenderne la portata d’impatto che ha sul sistema è 12 B. Caruso, A. Alaimo, Diritto sindacale, Il Mulino, Bologna, pag. 208.13 V. Bavaro, Azienda, contratto e sindacato, Cacucci, Bari, 2012, pag. 142.

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necessario considerare distintamente il formante legislativo, quello giurisprudenziale, per poi soffermarsi su quello contrattuale-applicativo.La norma, entrata in vigore nell’agosto 2011, era rientrata a far parte di quegli interventi volti a fare fronte alla crisi economico-finanziaria all’interno del decreto n. 138 “recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”, a seguito della raccomandazione dalla Banca Centrale Europea dei primi di agosto, nella lettera firmata congiuntamente dall’allora Presidente, Jean-Claude Trichet, assieme al suo successore, Mario Draghi, rivolta al Governo italiano.Nel corso della conversione in legge n. 148 del settembre 2011, oltre all’inserimento del riferimento all’Accordo interconfederale tra CGIL, CISL, UIL e Confindustria del 28 giugno 2011, si è specificato il criterio maggioritario relativo alla sottoscrizione delle intese con efficacia erga omnes, ossia “nei confronti di tutti i lavoratori interessati”.L’aspetto che è sembrato non emergere dai numerosi interventi in dottrina (ved. in proposito la bibliografia digitale in tema sull’osservatorio), a fronte del potenziale impatto che la contrattazione di prossimità può assumere all’interno del sistema, è l’assenza di un efficace monitoraggio di cui questa norma non dispone. S’intende, in altre parole, l’assenza nel testo di una qualsiasi forma di “controllo” pubblico di questa.A questo aspetto ha cercato di sopperire il recente decreto legge n. 76 del 28 giugno 2013, laddove ha previsto una disposizione di rilievo (art. 9, co. 4 ad integrazione dell’art. 8) concernente l’obbligo di depositare presso la Direzione Territoriale competente per territorio, ai fini di validità, le intese di prossimità. La consegna delle intese all’ente pubblico consentirebbe, una volta effettuato, di monitorare – perlomeno – il grado effettivo d’implementazione di tale contrattazione, oltre che di porsi in linea con quanto previsto in tema di deposito dei contratti collettivi che prevedono la detassazione ai sensi dell’art. 3, co. 1 del DPCM del 22 gennaio 2013, nonché nell’esperienza comparata, come nel caso della Spagna, che lo prevede all’art. 82 dello Estatuto de los Trabajadores, così responsabilizzando le parti firmatarie mediante una procedura di pubblicità14.14 L. Serrani, L’obbligo di trasparenza nella contrattazione collettiva di prossimità, in M. Tiraboschi (a cura di), Interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare

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Tuttavia, nel corso della conversione parlamentare del decreto 76 in legge 15 , l’art. 9, co. 4 è stato cancellato, così facendo riemergere le problematiche di “clandestinità”16 di tale tipo di contrattazione, che solo un’opera di monitoraggio in rete può provare a supplire.La giurisprudenza, a seguito dell’emanazione della norma nel 2011, ha avuto modo di intervenire, sia in modo indiretto sia, da ultimo, in modo diretto.In maniera indiretta, nell’ambito del contenzioso FIAT, a cominciare dall’inizio del 2012, il Tribunale di Torino, nel dichiarare l’antisindacalità da parte dell’azienda nei confronti di un’organizzazione sindacale, ha dichiarato lecita la caducazione dell’operatività del contratto collettivo nazionale del settore gomma a favore del contratto collettivo specifico di primo livello sottoscritto dalla maggioranza delle organizzazioni sindacali, in forza dell’art. 8, norma che per il giudice torinese è “indotta dall’accordo interconfederale del 28 giugno 201117.In maniera differente, pochi mesi dopo, il giudice del lavoro di Larino, con riferimento all’interpretazione dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori correlata alla configurazione del criterio maggioritario necessario a dare efficacia generale ai contratti in deroga, rilevando che si tratta di una “norma sulla quale, se letta in termini assoluti, potrebbero addensarsi pensantissimi dubbi di legittimità costituzionale”, ha escluso che i contratti sottoscritti ai sensi dell’articolo 8 possano in maniera integrale sostituirsi ai contratti nazionali applicabili all’impresa, in quanto la norma “riguarda contratti aziendali e territoriali di secondo livello, non contratti – come il CCSL – di primo livello”18.giovanile e della coesione sociale. Primo commento al decreto legge 28 giugno 2013, n. 76, Adapt Labour Studies e-Book series, 10, 2013, pag. 169 ss.15 Legge 9 agosto 2013, n. 99.16 A. Lassandari, Il limite del rispetto della Costituzione, in Rivista Giuridica del Lavoro, 3, 2012, pag. 511.17 Nel testo del provvedimento si legge “a giudizio del decidente il nuovo regime ha escluso la possibilità il nuovo regime ha escluso la possibilità dall’estate del 2011 di coesistenza di più contratti collettivi operanti presso uno stesso comparto aziendale, di gruppo o territoriale che sia, apprezzato come unitario dai rappresentanti dei lavoratori interessati, premiando i contratti collettivi e le intese sottoscritte dalle OO.SS. che si presentino come maggioritarie”, così decreto Tribunale Torino, 23 gennaio 2012.18 Ancora, un altro giudice, rilevando la “caratterizzazione speciale" della norma, rileva che questa ribadisce un principio generale in base al quale le rappresentanze sindacali aziendali, ai sensi dell'art. 19 dello Statuto dei lavoratori, "presentano un nesso di dipendenza organica con le organizzazioni sindacali più rappresentative" (Tribunale di Bari, 20 aprile 2012); mentre, qualche settimana dopo, il giudice del lavoro torinese, non ha ritenuto di

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Dall’ordinanza da cui è nata la pronuncia di incostituzionalità dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, il Tribunale di Modena, nel giugno del 2012, ha affermato che l’articolo 8 “nel momento in cui ridefinisce le regole della contrattazione di prossimità, privilegia il criterio maggioritario, dunque implicitamente scartando la possibilità che un sindacato certamente maggioritario come la FIOM possa essere escluso a favore di sindacati minoritari (seppur firmatari) […] proprio l’articolo 8 citato rivela l’incoerenza di un sistema rappresentativo sul piano nazionale o territoriale (e tale è certamente la FIOM) di stipulare contratti territoriali o aziendali anche in deroga, in specifiche materie, alla contrattazione di categoria e alla normativa di legge e, dall’altro, preclude al medesimo sindacato di costituire RSA ove non abbia sottoscritto un contratto collettivo applicato in azienda”19.Il paradosso sollevato dal giudice modenese svela la complessità che “scaturisce dall’intreccio e dal mancato coordinamento tra più fonti legislative (art. 8 della legge n. 148/2011 e art. 19 dello Statuto) e contrattuali (l’Accordo interconfederale del 2011)”20. La norma, nella sua portata dirompente e destrutturante, incide sui rapporti tra legge e contrattazione collettiva, nei suoi molteplici profili: nei negoziatori, nelle materie concordate, nei livelli contrattuali e nella loro efficacia soggettiva; scaricandosi così, di fatto, sulle “spalle degli interpreti” anche la verifica di compatibilità costituzionale21. Riprova ne sia, non solo, il superamento del vaglio di costituzionalità con la pronuncia n. 221 del 2012, laddove la Corte costituzionale non ritenendo l’articolo 8 lesivo del riparto di competenze tra Stato e Regioni, ha precisato comunque che si tratta di norma con “carattere chiaramente eccezionale”, ma anche, la prima giurisprudenza di merito che si è pronunciata in maniera diretta sull’articolo 8. Infatti, il giudice del lavoro di Venezia, nel luglio 2013, all’interno di una controversia riguardante la presunta illegittima decurtazione dello stipendio

pronunciarsi sull'art. 8, in quanto "ritiene questo giudice che il ricorso debba essere accolto innanzitutto alla normativa generale dei contratti, il che esime dall'affrontare le successive questioni poste" (Tribunale di Torino, 5 giugno 2012).19 Ordinanza Tribunale Modena, 4 giugno 2012.20 B. Veneziani, Presentazione, in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, 3, 2012, pag. 455.21 B. Veneziani, cit., pag. 459.

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di lavoratori all’interno di una società cooperativa, ha “ricondotto” l’intesa, sottoscritta dalle sigle sindacali in rappresentanza della maggioranza dei lavoratori, “alla tipologia di accordi introdotta dall’art. 8”, con conseguente applicabilità erga omnes.Dalla breve panoramica legislativa e giurisprudenziale della norma presa in esame, non si può che convenire sulla situazione d’incertezza che crea tale tipo di contrattazione, sul lato della permanente “clandestinità” svolta “nell’ombra”22, dovuta alla mancata previsione di pubblicità dal lato legislativo, e nell’oscillazione giurisprudenziale.A partire dall’osservatorio trentino si è tentato, anche per queste ragioni, di andare incontro all’esigenza di monitoraggio di effettiva applicazione dell’articolo 8, secondo una classificazione che cerca di dare un ordine di esperienze finora messe in atto, reperibili in rete, richiamate in contributi scientifici o giornalistico-divulgativi.Vi è innanzitutto un “uso fisiologico” dell’articolo 8, in linea con le previsioni e i vincoli sopra menzionati, esempi ne sono: quello sottoscritto da un’azienda e le organizzazioni sindacali sull’utilizzo degli impianti di produzione nella giornata di domenica, sull’indennità sabato e sull’utilizzo della somministrazione di lavoro a tempo determinato; un altro in materia di classificazione dei lavoratori, introducendo, tramite una deroga alla contrattazione collettiva, due nuove posizioni professionali; più inoffensivi che fisiologici sono quegli accordi, da un lato, sulla gestione dei trattamenti economici che possono usufruire d’incentivi fiscali e retributivi sulla retribuzione variabile che richiama l’articolo 8, e in un altro dove la norma viene richiamata unitamente all’ accordo del giugno 2011, in quanto “può offrire nuove possibilità in materia di politiche occupazionali e dei redditi in quanto intendono anche incentivare la contrattazione di secondo livello”; ancora, un’intesa sugli impianti audiovisivi all’interno di un istituto bancario, la quale, ancorché la finalità non rientri tra le ipotesi della contrattazione di prossimità ma comunque in linea con le previsione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, pone una deroga rispetto ai soggetti sindacali stipulanti. Inoltre, ha carattere programmatico, poiché non ancora applicabile, quell’accordo sugli “assetti organizzativi, come possibili aree di discussione

22 L. Imberti, cit., pag. 270.

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e intervento”, laddove “in via temporanea e per un periodo prestabilito, potrà essere previsto un demansionamento con adeguamento della retribuzione in caso di ipotesi di internalizzazione di attività compiute da fornitori esterni”, che tocca il profilo delle mansioni assieme ad un altro accordo, più attuativo in realtà dell’intesa sulla produttività del novembre 2012 che dell’art. 8 (non espressamente menzionato nel testo), il quale, con riguardo alla stabilizzazione di operatori autonomi nel settore del marketing, ha previsto la loro collocazione al settimo livello come dipendenti e con l’eventuale mutamento di mansioni, dovuto al passaggio da un profilo all’altro, che non configura violazione dell’art. 2103 c.c.23, “essendo tutte le mansioni […] considerate equivalenti tra loro”.Tuttavia, l‘introduzione, a livello contrattuale, di una nozione di equivalenza delle mansioni, può scontare l’assenza di conformità con “corretti criteri di bilanciamento costituzionale”, dal momento che è necessario tenere distinto il confine tra interpretazione del concetto di equivalenza, facendo ricorso anche alle previsioni collettive, rispetto ad una previsione, come quella sulla contrattazione di prossimità, che consente all’autonomia collettiva di dare una definizione di un parametro decisivo per la tutela della professionalità dei lavoratori24.A differenza di un uso fisiologico della norma, ve ne può essere un utilizzo patologico: è il caso dell’accordo, in materia di contratti a termine, sottoscritto all’interno di una compagnia telefonica di livello nazionale che supera la soglia dei trentasei mesi per l’utilizzo di tale tipo di contratto, ponendosi potenzialmente in contrasto non con la previsione nazionale (art. 5, co. 4-bis del d.lgs. 368 del 2001), quanto con la clausola 5 del’accordo quadro europeo sul contratto a termine; un’intesa che elimina gli intervalli di tempo tra un contratto a termine e l’altro; un accordo che eleva il periodo di prova da venti giorni a otto mesi, ponendosi in violazione con la 23 A norma del quale “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo.”24 A. Lassandari, cit., pag. 511.

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Convenzione OIL sul licenziamento25; così ancora l’accordo che riguarda anche la liberazione del vincolo di solidarietà negli appalti, dove più di un dubbio emerge sulla possibilità di deroga con riguardo a “diritti e crediti di cui non sono titolari i lavoratori, ma l’Erario e gli Enti previdenziali”.Sconta una difficoltà di classificazione – sicuramente peculiare e anomala rispetto alle previsioni della normativa sul contratto di prossimità – il percorso di stabilizzazione intrapreso all’interno di un’azienda specializzata in produzione di calze, la quale, a fronte della presunzione assoluta di subordinazione per gli associati in partecipazione introdotta nella legge n. 92 del 2012, ha posticipato di un anno gli effetti di tale legge, al fine di garantire maggiore occupazione, per consentire un “percorso ragionato di stabilizzazione dei contratti anche in applicazione delle leggi vigenti in materia contrattuale”; invece, senza l’esplicita menzione dell’art. 8, ma sempre ai fini della stabilizzazione dei lavoratori non dipendenti, è la posticipazione degli effetti della legge n. 92 del 2012 presso un ente di formazione. Sempre con l’obiettivo di stabilizzazione, ma non seguendo il percorso dell’art. 8, bensì quello parallelo ex art. 2 della legge n. 863 del 1984 che prevede la contrattazione in materia di solidarietà espansiva, sono state previste nel 2013 intese volte ad includere nelle realtà aziendali lavoratori autonomi o associati in partecipazione con assunzione a tempo indeterminato e apprendistato di quest’ultimi e contestuale riduzione dell’orario di lavoro del personale già dipendente.In sintesi, il grado di evoluzione della cd. contrattazione di prossimità è, come visto, monitorabile sia sul piano legislativo, sia giurisprudenziale nonché contrattuale-applicativo, grazie anche all’apporto della rete internet e ai canali di diffusione che consentono l’interoperatività di uno strumento come l’osservatorio trentino sui diritti sociali del lavoro.

Tuttavia, gli usi finora avuti di tale tipo di contrattazione denotano un grado di incertezza non solo in termini di effettiva portata e compatibilità anche costituzionale della norma, a cominciare dalla “rimozione del

25 Intese richiamate e analizzate nell’intervento di A. Perulli, Articolo 8 della legge n. 148/2011. Deregolazione del diritto del lavoro e ricadute sulle esperienze negoziali, Tavola rotonda promossa da CGIL-Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale-Ediesse, Roma, 4 aprile 2013.

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carattere stesso dell’inderogabilità della legge”26, come rovesciamento del sistema delle fonti, ma di incertezza anche rispetto ai vincoli, più o meno correttamente rispettati, della contrattazione di prossimità nella sua evoluzione applicativa.

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Nel dibattito conclusivo la prof.ssa Stefania Scarponi si chiede se il tema del deposito dei contratti di prossimità possa o meno essere previsto a livello provinciale; per il dott. Sergio Vergari si è voluto, a livello nazionale, eliminare il controllo e, sul piano legislativo, non ci sono competenze provinciali legislative in tema. Altro, però, è pensare ad un accordo tra le parti per organizzare un sistema di deposito (non tanto) amministrativo pubblico, ma delle parti socio-istituzionali per l’attuazione dell’art. 8 “territoriale”, cioè una sorta di meta-accordo sulle regole con all’interno il tema del deposito, la verifica dei vincoli di scopo per lo sviluppo, la competizione sociale e sana concorrenza tra le imprese. In questo senso, è una linea di sviluppo che merita di essere pensata.La moltiplicazione di contenuti e accordi, quindi di deroghe che s’inseguono in maniera frastagliata azienda per azienda, all’interno del stesso settore, portano a pensare al rischio del “diritto domestico”, con problema di concorrenza legittima o meno tra imprese, prefigurando rischio di conflitto sociale.Inoltre, sul rischio di non essere innovativi a livello territoriale, il dott. Vergari ha sottolineato il sistema di concertazione mira a mettere insieme le parti né come né su cosa devono decidere le parti, ma aperto alle innovazioni reciproche. Ciò che ha prodotto il territorio si vede: il reddito di garanzia, articolazione degli orari di conciliazione vita-lavoro, la nuova competenza sugli ammortizzatori sociali, accesso al credito per le imprese, ecc…Si tratta di interventi che mirano all’unità, in forma di responsabilità sociale e territoriale, per crescita, innovazione e coesione. Né un esempio la firma

26 F. Scarpelli, Il contratto collettivo nell’art. 8 d.l. n. 138 del 2011: problemi e prospettive, in L. Nogler, L. Corazza (a cura di), Risistemare il diritto del lavoro. Liber Amicorum Marcello Pedrazzoli, Franco Angeli, Milano, 2012, pag. 721.

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CGIL all’accordo trentino del dicembre 2012 a differenza della mancata firma del novembre 2012 a livello nazionale.Per il prof. Riccardo Salomone, come osservatore esterno al sistema, il dubbio su offensività-difensività è legato alla possibilità di individuare un fattore di rischio del territorio, in considerazione delle potenzialità inespresse che possono essere anche ricondotte alla dimensione difensiva.E’ intervenuto anche il segretario confederale della CGIL del Trentino, Franco Ianeselli, sottolienando che è importante distinguere le politiche del lavoro per cui c’è previsione di legge, con la l. 19 del 1983, ma il resto è affidato alla volontà delle parti: i punti da capire sono i vantaggi e gli svantaggi, quali attori e contenuti, nella concertazione diffusa e informale. C’è un ambito di concertazione delle politiche sociali, di derivazione comunitaria (es.: FSE), non definita a livello legislativo, in quanto c’è volontà informale delle parti; tra i vari ambiti, numerosi protocolli di intesa (es.: politiche per la casa). Un nodo critico è la notevole discussione prima della sottoscrizione dei protocolli, ma una scarsa verifica sull’attuazione. In questo senso, strumenti come gli osservatori possono aiutare. D’altronde, ancora, lo strumento innovativo della procedura negoziale non è frutto di protocolli, ma di concertazione sociale diffusa, poi incanalata in legge. Competenza, inoltre, è quella delle comunità di valle, anche in quel caso forme di concertazione sociale, finora non attuate per problemi amministrativi diversi.Replicando, il prof. Giorgio Bolego ha fato presente che le procedure negoziali non sono in accordi e protocolli, ma in legge. C’è un rischio di alterazione del profilo della professionalità nella contrattazione di prossimità: non sarà tanto la certificazione a risolvere tutti i problemi, ma è necessario evitare dubbi interpretativi e applicativi per gli operatori giuridici è importante.La prof.ssa Stefania Scarponi pone l’accento, inoltre, anche il ruolo e il vaglio della magistratura (es.: equivalenza delle mansioni e rischio) e necessarietà di un momento di un controllo istituzionale.Infine, Paolo Pettinella, dell’Ufficio Sindacale e del Lavoro della Federazione Trentina della Cooperazione, sottolinea la mancanza di

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previsione della normativa di un necessario deposito che forse è legato al rischio, in un momento di crisi per l’economia, del mancato rispetto dell’erogazione della retribuzione e di una possibile relativa contestazione da parte dell’ente previdenziale. Inoltre, un ulteriore fattore di rischio è che la cooperazione sia appiattita sul livello confindustriale: ora è necessario vedere le sorti imprese, ora per sopravvivere, con compartecipazione in termini espansivi; il punto è concepire dal punto di vista delle relazioni sindacali e di cultura nell’impresa non più contrapposizione di interessi e conflittualità, in particolare a livello categoriale, ma comunanza di interessi tra lavoratore e imprenditore.

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