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1 La mente prigioniera e gli spiriti liberi Conversazioni sull’esperienza morale nel Novecento Aperte a tutti gli interessati I. I Grandi Edificatori e l’Idea di Europa: Edmund Husserl e Altiero Spinelli Mercoledì 10 ottobre ore 16-18 I. Breve introduzione al ciclo. Organizzato dal Centro Internazionale di Ricerca per la Cultura e la Politica Europea L’idea di Europa in certo modo il filo conduttore del ciclo. Anzi di più – l’ideale cosmopolitico di cui quello federalista europeo è un nucleo. Beck, U. Grande, E. (2006), L’Europa cosmopolita. Società e politica nella seconda modernità, Carocci, Roma N.B: La distinzione togliattiana di Cosmopolitismo e Internazionalismo: Togliatti., P. “Rinascita” luglio agosto 1945, ripreso da S. Fassina, Blog, 30 agosto 2018) Ideale cosmopolitico, antinazionalista e antisovranista (in opposizione non solo al sovranismo dei nostri giorni, ma anche al “nazionalismo metodologico” standard nella teoria e filosofia politica) già nella

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La mente prigioniera e gli spiriti liberi

Conversazioni sull’esperienza morale nel Novecento

Aperte a tutti gli interessati

I. I Grandi Edificatori e l’Idea di Europa: Edmund Husserl e Altiero Spinelli

Mercoledì 10 ottobre ore 16-18

I. Breve introduzione al ciclo.

Organizzato dal Centro Internazionale di Ricerca per la Cultura e la Politica Europea

L’idea di Europa in certo modo il filo conduttore del ciclo. Anzi di più – l’ideale cosmopolitico di cui quello federalista europeo è un nucleo.

Beck, U. Grande, E. (2006), L’Europa cosmopolita. Società e politica nella seconda modernità, Carocci, Roma

N.B: La distinzione togliattiana di Cosmopolitismo e Internazionalismo:

Togliatti., P. “Rinascita” luglio agosto 1945, ripreso da S. Fassina, Blog, 30 agosto 2018)

Ideale cosmopolitico, antinazionalista e antisovranista (in opposizione non solo al sovranismo dei nostri giorni, ma anche al “nazionalismo metodologico” standard nella teoria e filosofia politica) già nella scelta delle figure – tutte, senza eccezioni europee e “cosmopolitiche” oltre che europeiste.

(Se evidente per Spinelli, lo diventerà anche per figure come Silone e Olivetti, entrambi vicini a Spinelli fin dagli anni del loro incontro nel confino svizzero ; a maggior ragione, vedremo, per Chiaromonte, apprezzato da personaggi come Arendt e Mary Mc Carthy, Miloz e Camus; per non parlare di Milosz stesso, e di Jeanne Hersch dal ’68 per alcuni anni Direttrice della Sezione filosofica dell’UNESCO e curatrice dell’’Antologia mondiale della libertà

Hersch, J. (1968), tr. it, Il diritto di essere un uomo – Antologia mondiale della libertà, Mimesis 2015

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“La mente prigioniera”. Prigioniera di cosa? “Spiriti liberi” da e per cosa?

Milosz, C., (1953), La pensée captive, Préface par K. Jaspers,Gallimard, Paris 1953., tr. it. La mente prigioniera, Adelphi 1981

(scritto nella Parigi della guerra fredda e della polemica Sartre Camus – quando Camus pubblica l’Homme revolté, critica acutissima della prigionia mentale non solo stalinista…)

Certo, i totalitarismi indigeriti, la guerra fredda, le ideologie che accecano (attualizzazione vedi Phenomenologylab: tolgono la vista dei fatti e la vista delle idee. Ma l’indicazione di un compito che si pone oggi anche a noi: la rivoluzione intellettuale e morale oggi necessaria a rifondare le aspirazioni alla giustizia nella libertà che tradizionalmente si danno il nome di “Sinistra”.

Il filo che lega gli “spiriti liberi” fra loro è il pensiero della civiltà incompiuta. Incompiuta in quanto continua contraddittoriamente a fondarsi sull’accettazione della selva geo-politica il costituzionalismo nazionale come ultima frontiera “nazionalismo metodologico” il sovranismo “di sinistra”

(non è solo il continente Spinelli, che questa sinistra ignora: ma il cuore stesso della miglior Resistenza italiana ed europea, il pensiero dei Rossi, dei Valiani, dei Chiaromonte, dei Silone, degli Olivetti, dei Camus, dei Milosz. E dietro a questi, le radici di carta dell’Europa e della democrazia la grande tradizione filosofica, sotto due aspetti che sono il nostro filo conduttore:

La profondità e fragilità delle radici della democrazia nell’esperienza morale degli individui;

Il compimento concreto dell’universalismo morale come dissociazione del concetto di democrazia da quello di nazione.

Una civiltà incompiuta la nostra anche in quanto il pensiero filosofico non ha ancora illuminato in profondità questi due temi

I nostri autori da questo punto di vista i pionieri e i modelli: la loro presa di distanza dallo storicismo che è il terreno comune delle tradizioni “liberale” (crociana) e socialista (e comunista); la loro opera di pionieri di un’assiologia completamente estranea alla tradizione hegeliana di destra e di sinistra

Oggi : Husserl e Spinelli

Poi: una costellazione la cui stella centrale è Simone Weil (Chiaromonte e l’esportazione de L’Iliade, poema della forza, 1941 apparsa nei Cahiers du Sud a

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Marsiglia, portatata da Chiaromente a New York e pubblicato su “Politics” nel 1945 Milosz; Camus; Silone; Olivetti.

II. Husserl e Spinelli. Un incontro storicamente solo possibile – idealmente necessario fra due giganti. Il grande Edificatore e il “Funzionario dell’Humanitas”

1. Il pensiero della civiltà incompiuta

Non so se Altiero Spinelli si sia mai, nelle sue sterminate letture, imbattuto nelle conferenze husserliane sull’Europa, che sono poi confluite nella Krisis – anzi nei suoi primi sette paragrafi. E’ possibile, anzi probabile. Ma non è questo il punto.

Il punto è che cosa abbiano in comune questi due giganti: il massimo filosofo e il più geniale politico del Novecento (nota sulla grandezza ancora non abbastanza compresa di Altiero Spinelli).

E quello che hanno in comune è proprio il pensiero della civiltà incompiuta che entrambi identificano con l’idea di Europa. Che cosa definisce la civiltà che entrambi identificano con l’Europa, non l’Europa di fatto ma l’Europa ideale, l’idea di Europa? In che cosa questo ideale di civiltà è incompiuto, non solo nel senso di non realizzato, ma anche nel senso di non pensato fino in fondo?

E’ l’eccedenza dell’ideale sul fattuale, e del diritto sul potere. Un’eccedenza possibile e mai necessaria, anzi perennamente a rischio, che vive solo nell’impegno di quegli uomini che Husserl chiamava i funzionari dell’humanitas e Spinelli gli edificatori.

Secondo questa idea, Europa più che un continente è una società animata da un doppio movimento di liberazione:

dall'ovvio e tradizionale verso il dubbio critico e la ricerca di ragione,

dal potere dell'arbitrio al governo della legge.

Questo doppio movimento si chiama filosofia nella terminologia di Husserl: filosofia è la forma di vita che ha permesso di inventare la scienza e la democrazia. I due aspetti della filosofia: ragione teorica e ragione pratica, nel loro intreccio e nella radice in ultima analisi etica di entrambe.

In che modo è incompiuto il pensiero stesso di questa civiltà, la sua filosofia? Qui per capire la tesi che vi vorrei proporre occorre capire chi è il “mio” Husserl.

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Husserl fu attaccato da Kelsen – sulla dicotomia fatto-valore ( Kelsen, H. (1996) Le ‘contenu théorique’ des normes chez Husserl, Ch. 52.)

Pierre Manent, filosofo politico allievo di Raymond Aron, in un suo corso di filosofia politica del 2001 assume questa dicotomia come la premessa stessa di tutto il pensiero contemporaneo1, e soprattutto sviluppa l’idea di Kelsen:

H. Kelsen (1933) Assolutismo e relativismo nella filosofia e nella politica, in: La democrazia, Il Mulino, Bologna ***

Il relativismo dei valori è il senso stesso di quella forma di vita, e non solo di governo politico, che è la democrazia: se vogliamo, il senso di una civiltà democratica.

Se ci interroghiamo seriamente su quali sono le sole autorità che tutti quelli che si riconoscono in una civiltà democratica, o che non vorrebbero rinunciarvi, riconoscono e debbono riconoscere, dobbiamo rispondere: la scienza e la libertà, che si riferiscono rispettivamente al regno dei fatti e a quello dei valori.

La scienza moderna, che sia della natura o delle cose umane, avrebbe alla base quel progetto al quale prima di Hume Machiavelli ha dato parole chiare: in ogni ambito, scientifica è la ricerca di come le cose effettualmente stanno, e non di come dovrebbero stare. Solo sulla base di questa premessa, e quindi al prezzo di escludere dal suo ambito i beni e i mali che dipenderebbero dai punti di vista, la scienza ha il diritto di esigere il consenso universale, ed è anzi la sola a esigerlo sulla scena pubblica. L’autorità politica che mette in questione quella scientifica si ridicolizza oggi, diversamente che ai tempi di Galileo.

D’altra parte la democrazia è una forma di civiltà e non solo un sistema di governo non solo perché pone almeno questo vincolo universale di realtà alle pretese di autorità non fondate in ragione (ad esempio religiose, tradizionali eccetera), ma perché toglie ogni carattere vincolante ad altre pretese d’autorità non fondate in ragione. Questo è il senso ultimo della libertà politica, come in una civiltà democratica viene intesa: che le leggi e le istituzioni non hanno altra origine che nella volontà degli umani (e non nella natura o nella mente di Dio).

Come scrive Manent, “la democrazia mette in opera e mette in scena questa sovranità umana” (13).

E’ difficile non concordare con questa analisi, almeno per quanto riguarda scienza e libertà. Eppure questa analisi sembra avere un prezzo salatissimo: verità e quindi ricerca di ragione sono possibili solo nella sfera del pensiero teorico (scienza),

1 P. Manent, Cours familier de philosophie politique, Gallimard, Paris 2001, pp. 9-22.

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mentre in quella del pensiero pratico non c’è alcun vincolo di verità né di ragione (libertà). Non ci può essere conoscenza dei valori, non ci può essere ragione pratica – se non, come anche si dice, semplicemente strumentale, o tecnica. Come se la civiltà democratica avesse, ampliando la sfera della libertà e quindi della sovranità umana, “politicizzato” anche l’etica, il diritto, l’estetica, e qualunque altra sfera di valori2. A partire dalla sfera pubblica democratica non possiamo che approdare allo scetticismo assiologico generalizzato.

Questa opinione sembra mainstream non solo nell’approccio del liberalismo politico classico, di cui Manent è un esponente, ma anche in quelli delle sinistre, mondiali e locali.

La percepiamo negli stessi filosofi che hanno lanciato un giusto appello alla nostra responsabilità nei confronti dell’Europa, molti dei quali si richiamano a maestri come Max Weber, che vedeva nelle nostre convinzioni di valore semplicemente la voce del “demone” in noi – e naturalmente di demoni ognuno ha il suo, è una questione di fede e non certo di conoscenza.

La sentiamo nelle varie versioni di una filosofia post-moderna che del relativismo in materia di valori si fa un vanto di superiore mitezza e tolleranza, e accusa la stessa ragione di essere violenta, e il suo universalismo dei diritti di essere una maschera della tirannia (la tirannia dei valori appunto), idea diffusissima anche nel mondo delle sinistre angloamericane ad esempio, alimentate dagli studi post-coloniali.

La possiamo pensare al modo di Nietzsche e di Foucault, di Schmitt e di Agamben, a proposito di politicizzazione della nuda vita.

Siccome non sono fatti, i valori sono sempre maschere di qualche volontà di potenza, specchi per le allodole che ci distolgono dal vero problema, quello a cui l’essenza della politica si riduce: la natura puramente fattuale, arbitraria, razionalmente ingiustificabile, fondata sulla nuda forza, della “sovranità”.

A mio avviso, la grandezza di Husserl sta nella radicalità con cui combatte le premesse di questa concezione della democrazia. E questo mi consente anche, en passant, di promuovere il libro che è appena uscito, il mio primo e solo su Husserl, un autore che pure studio da circa quarant’anni.

Questo libro l’ho chiamato Il dono dei vincoli, e l’ho scritto per aiutare chi lo insegna e chi lo studia a leggere Husserl per quello che è, l’isolatissimo e geniale scopritore dei vincoli dati alla politicizzazione della vita.

2 Questa è peraltro letteralmente una tesi di Kelsen: cf. H. Kelsen (1933) Assolutismo e relativismo nella filosofia e nella politica, in: La democrazia, Il Mulino, Bologna ***

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Colui, tanto per fare eco a Pierre Manent, che nella libertà dei moderni ha bensì visto la messa in scena della sovranità esclusivamente umana sulle cose umane: ma scoprendo anche che questa messa in scena si riduce a puro teatro e finzione se non riconosce nell’esperienza e cognizione dei valori il vincolo senza il quale la cosa pubblica si disgrega e l’obbligazione senza di cui la vita diventa guerra. Il mio Husserl, per intenderci, è quello che si interroga sulla validità di tutte le norme, e lungi dal ricondurla al volere di chi le impone la riduce alla verità delle proposizioni relative alle proprietà essenziali e alle qualità di valore. E’ quello che riconosce agli antichi di aver ben fondato l’eidetica del vero, cioè la logica, e ai moderni di essere ancora in debito dell’altra metà del compito, l’eidetica del bene, o l’assiologia. Infine è quello che, lungi dal rimproverare ai moderni la scienza galileiana, rimprovera loro precisamente “l’assurdo scioglimento” della ragione teorica dalla ragione pratica, quando il loro intreccio aveva fatto grande ancora l’illuminismo. Rimprovera loro, precisamente, la riduzione della vita pubblica a urto di volontà arbitrarie invece che a “luogo della disputa intorno alla verità”.

2. Altiero Spinelli

Bibliografia essenziale:

(1984) Come ho tentato di diventare saggio – I. Io, Ulisse, Il Mulino(1987) (a c. di E. Paolini) Come ho tentato di diventare saggio – II. La goccia e la roccia, Il Mulino(1944), in collaborazione con E. Rossi, Prefazione di E. Colorni, Il manifesto di Ventotene, Presentazione di T. Padoa Schioppa, Oscar Mondadori 2006(1993) Machiavelli nel secolo XX – Scritti del confino e della clandestinità 1941-1944, A c. di P. Graglia, Il Mulino(1985) Il progetto europeo, Introduzione di M. Albertini, Il Mulino(1991) La crisi degli stati nazionali, a c. di L. Levi, Il Mulino

P.S. Graglia (2008) Altiero Spinelli, Il Mulino

Due ragioni dell’incomprensione della grandezza non solo pratica ma anche teorica del pensiero di Spinelli .

1.La nostra ignoranza. Spinelli non è solo Ventotene né solo l’influenzatore dei politici che firmeranno il Trattato di Roma (1950). E’ anche l’uomo dell’epopea del Coccodrillo, che porterà poco dopo la morte di Spinelli al Trattato di Maastricht

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Ci sono tre periodi in cui l’idea federalista di Europa, in quanto opposta a quella funzionalista3 che prevalse allora e prevale oggi, acquistò uno slancio spettacolare:

- L’inizio: l’influenza diretta o indiretta che Spinelli esercitò sui leaders politici autori dei primi passi, dalla Comunità Economica del Ferro e dell’Acciaio (1952) fino al Trattato di Roma (1957): Churchill, De Gasperi, Adenauer4;

- Il period di mezzo: da Roma fino alla prima elezione democratica del Parlamento Europeo (1980), fino al Single European Act (1986), Maastricht (1992) e alla nascita ufficiale dell’Unione Europea. Spinelli muore nel 1986: ma il processo costituzionale in vista deka creazione di uno Stato democratico sovranazionale e federale non sarebbe neppure cominciato senza lo sforzo epico che Spinelli fece per far approvare dal Parlamento la bozza di trattato per l’Unione Europea (1984). Questa vittoria fu segita dal Famoso endorsement da parte del president francese Mitterrand. Spinelli scrisse:

“Parliament recalls that the draft adopted is a Treaty in form and should therefore be adopted according to the proper procedure for treaties. But, in content, it is a Constitution, a fundamental law and should therefore be adopted according to the rules of the democratic assembly of the political body being created.”5

- Infine, la corsa finale verso la Costituzione. Spinelli era morto, ma niente cme la Carta dei Diritti dell’Unione Europea esprime la syua filosofia; le “Common

3 The functionalistic approach aims at a gradual integration of European States (and not necessarily only the European ones) by the adoption of common rules and institutions governing ther economic activities. At a global level it is mainly bound to the work of David Mitrany (1888-1975), who was very influential with his book A Working Peace System (1943), and motivated several generations of “neo-functionalists” in the Seventies and the Nineties, when the modern “disregard for constitutions and pacts” through “a spreading web of international activities and agencies” , predicted by this book, became evident on a daily basis. Yet the construction of the EU is more directly bound to the thought and activity of Jean Monnet (1888-1979), who – thanks to the unconditional support of the French Foreign Affairs Minister Robert Schuman - is the actual “father” of the first institutions of the EC (European Coal and Steel Community, European Economic Community, EURATOM), and the man who persuaded EC governments to turn their regular summits into The European Council. Differently from Mitrany, Monnet thought that the gradualist approach of functionalism, far from being incompatible with federal institutions, would foster the process of their construction. See J. Monnet (1962), A Ferment of Change, in Brent and Stubb 2003, pp. 19-44; D. Mitrany, A Working Peace System, in Brent and Stubb 2003, pp. 99-120.4 Even in the Treaty of Rome, which essentially institutes a common market or rather the beginnings of it, the Preambles testify the presence of Spinelli’s thought at least in the last clause:“INTENDING to confirm the solidarity which binds Europe and the overseas countries and desiring to ensure the development of their prosperity, in accordance with the principles of Charter of the United Nations,RESOLVED by thus pooling their resources to preserve and strengthen peace and liberty, and calling upon the other peoples of Europe who share their ideal to join their effortsHAVE DECIDED to create an European Economic Community” (Nelsen and Stubb 2003, p. 17). On the other hand, the idea of an European Constituency is quite clear in Spinelli’s printed works already in the early Fifties, not to mention the Ventotene Manifesto. Cf. following footnote. On the historical and ideal background of the first Treaties see J.P. Gouzy (2004), The Saga of European Federalists During and After the Second World War, http://www.thefederalist.eu/site/index.php?option=com_content&view=article&id=521&lang=en.

5 A. Spinelli, Forward to J. Lodge (ed,) European Union: The European Community in Search of a Future, Foreword by A. Spinelli, St Martin Press, New York 1986, p. xviii, our italics. Cf. A. Spinelli, Une Constituante Européenne, Pensée Française – «Fédération » Nos 9-10, 1957; Pourquoi je suis Européen, « Preuves », No. 81, Novembre 1951.

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Provisions” di Maastricht (1991) riflettono le idee costituionaliradicate nel suo pensiero, e questo è prfino più vero nel Trattato di Lisbona (2009).

- La seconda causa della sottovalutazione di Spinelli è la sottovalutazione del teorico politico rispetto al politico pratico: Spinelli teorico della separazione fra democrazia e principio nazionale. IL NOSTRO TEMA

3. Altiero Spinelli e L’argomento assiologico della democrazia

Altiero Spinelli nel suo Diario europeo 1948-1969 definisce il federalismo “un

canone di interpretazione della politica”: non soltanto un criterio d’azione, dunque,

ma anche di conoscenza. “Tutta l’opera di Spinelli è espressione dell’esigenza di

abbandonare il paradigma nazionale, con il quale la cultura dominante interpreta la

realtà politica”, rileva un suo commentatore6.

Tutti dovrebbero conoscere l’incipit del Manifesto di Ventotene:

“La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della

libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un

autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un

grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale, che non lo

rispettassero”.

Ecco come ragiona Spinelli. In termini di interna coerenza del principio

universalistico di civiltà definito in tutta la sua radicalità dall’Illuminismo europeo.

C’è un momento, pensa Spinelli, in cui questo principio di civiltà urta contro

l’organizzazione delle società umane in Stati nazionali: perché tutti, anche quelli

democratici, sono minati dalla polarizzazione della società in interessi organizzati

“che si precipitano sullo Stato e lo paralizzano quando sono in equilibrio, e ne

rafforzano sempre più il carattere dispotico, quando un gruppo o una coalizione di

gruppi ha potuto sopraffare l’avversario e prendere il potere”.

6 L. Levi, Introduzione a A. Spinelli, La crisi degli Stati nazionali, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 9-10

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Questa polarizzazione degli interessi organizzati, che Spinelli, sulla scorta

dell’economista Lionel Robbins, chiama “sezionalismo”, è la forza che corrode le

democrazie:

“Oggi lottare per la democrazia significa rendersi anzitutto conto che occorre

arrestare questa insensata corsa, non solo italiana, ma europea, verso una società

polarizzata in interessi organizzati… “

E fra questi evidentemente oggi sono in primo piano i gruppi economici

multinazionali, ma anche gli incongrui legami della politica interna agli stati con le

economie locali: globalizzazione e intrecci locali di interesse pubblico e privato.

Per mostrarvi il carattere assiologico di questo argomento devo leggervi un altro

passo, scritto nel 19427: un testo magnifico sul modificarsi dell’ordine vero di

priorità nella realizzazione dei valori politici man mano che la loro stessa

realizzazione mette a repentaglio la stessa civiltà che con quei valori si è realizzata:

“Nell’armonia continuamente variabile dei molteplici fini scaturenti

dall’ordinamento della civiltà europea, a volta a volta alcuni di essi acquistano

un’importanza preminente, dando il tono a tutti gli altri. Proprio a causa della

reciproca relazione esistente fra tutti, non è però possibile procedere ogni volta a

realizzare in modo esauriente quello centrale, creando tutti gli ordinamenti necessari

per renderlo operante in pieno, e poi passare man mano agli altri. Al contrario, dal

modo stesso in cui si vien lavorando, nasce un continuo spostamento nell’ordine dei

valori, e l’attenzione si deve concentrare su un altro punto”.

Qui tre principi di un’assiologia razionale sono ben chiari:

1.La differenza fra i valori e i beni che li realizzano: e che ne sono sempre incarnazioni

parziali, relative e condizionate. E’ l’istanza anti-giacobina e antitotalitaria

7 A. Spinelli, Gli Stati Uniti d’Europa e le varie tendenze politiche, ora in A. Spinelli, Il progetto europeo, a C. di M. Albertini, Il Mulino, Bologna, 1985, p. 65

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dell’assiologia, quella che impedisce di confondere la giustizia col comitato di

salute pubblica o con la repubblica dei soviet, e disarma il fanatismo;

2.L’insieme delle relazioni essenziali (orizzontali) che esistono fra i valori di una stessa

sfera: ad esempio in quella politica fra rule of law o spirito delle leggi

(legittimazione legale del potere), libertà politica o partecipazione alla

determinazione delle leggi, eguaglianza o pari opportunità di accedervi

3.Le relazioni verticali o di ordinamento: da notare il carattere oggettivo, non

opzionale, dell’ordinamento di priorità che pure muta man mano che i valori

prioritari vengono in parte realizzati.

L’esemplificazione che Spinelli stesso fornisce rende ancora più limpidi questi

punti:

“Così, prima ancora che si fosse esaurito il compito civilizzatore delle monarchie

assolute…lo stabilimento dell’impero della legge all’interno delle singole nazioni,

diventò preminente l’esigenza di far partecipare strati via via più larghi dei popoli

alla determinazione delle leggi stesse. E, avviata la formazione di ordinamenti

politici liberi, si spingeva al primo piano il processo contro le disuguaglianze

sociali”.

Così si capisce meglio anche il famoso incipit di Ventotene. Questa decritta in

qualche riga è la storia della parziale e drammatica realizzazione dei valori

costitutivi delle civiltà democratiche moderne: e questa a sua volta è parte di quel

“codice”, altrimenti detto di quell’ideale – “secondo il quale l’uomo non deve essere

un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita” che è il principio di

libertà e il valore in funzione del quale stanno tutti gli altri. Dove vi prego di por

mente anche a quel termine, “centro di vita”. Nel codice della civiltà risuona

indubbiamente la nozione kantiana dell’età adulta dell’uomo, l’età della ragione e

dell’autonomia – quando l’uomo diventa sovrano di se stesso, capace di dare a se

stesso la legge. Ma la parola importante è “vita”. Autonomo centro di vita. Vita

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preziosa e fragile, che deve poter fiorire come ogni vita umana, secondo ciò che per

ciascuno ha più valore e più senso – ma la possibilità almeno di questa fioritura la

dobbiamo a ciascuno, anche e soprattutto al bambino che oggi gioca nel fango

davanti ai fili spinati d’Europa.

In altre parole, in questa visione di ragione i valori della buona politeia, i valori

politici, sono subordinati in definitiva all’etica – senza ovviamente il minimo

pericolo che questo possa significare “Stato etico”! E’ la stessa subordinazione

che avviene con la costituzionalizzazione dei diritti dell’uomo, che gli vanno

riconosciuti indipendentemente dal suo avere o no una cittadinanza. Quindi, e

meglio, è il riconoscimento di ciò che alle persone come tali è dovuto, perché è

questo il senso normativo incondizionato e universale che è implicito nella parola

“codice”, con il “grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale che

non lo rispettassero”: qui è l’ideale che giudica del reale e della storia, e non

viceversa. In una parola si esprime il profondo carattere anti-storicistico, anti-

crociano, dell’idea spinelliana d’Europa.

E ora possiamo venire alla conclusione dell’argomento, che è appunto il solo mezzo

di realizzazione di questa civiltà ideale, e la sola speranza di sopravvivenza della sua

costituzione politica, la democrazia.

“Credere che il male scaturente dall’anarchia internazionale guarirà da sé, e che si

debba continuare a occuparsi delle cose secondo il vecchio ordine, è fare la politica

dello struzzo. Abbandonata a sè, l’anarchia internazionale si risolve nella

distruzione della stessa civiltà moderna…Non rendersi conto di ciò significa

comportarsi irrazionalmente, o, per adoperare una parola più semplice,

stupidamente”.

4. Conclusioni su fatti, valori, idea di Europa

L’argomento assiologico della democrazia ha un duplice scopo: essere un

argomento costruttivo in difesa degli Stati Uniti d’Europa, che in verità è piuttosto

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radicale nella critica delle forze che per difesa dell’Unione Europea intendono la

difesa di questo organismo intergovernativo, che non è affatto una democrazia

sovranazionale; ed essere un argomento razionale e non l’appello a un demone,

un esempio di esercizio di ragione assiologica.

Chiarire quest’ultimo punto è quanto ci resta da fare per concludere, Cosa c’entra il

progetto politico federalista con la ragione assiologica?

Prima di tutto, l’argomento fa certamente riferimento a un’ideale di civiltà che

indubbiamente viene alla luce e si afferma gradualmente in Europa. E tuttavia non

c’è la più vaga allusione a una questione di identità europea. Al contrario, il

principio di libertà di cui parla l’incipit di Ventotene parla di fini liberamente scelti

in base a valori, e questo “liberamente” va preso molto sul serio: come nota

giustamente il suo massimo studioso, “Spinelli, pur essendo italiano, non considerò

affatto l’Italia come una realtà da accettare prima ancora di averla sottoposta

all’esame della ragione, né come un vincolo per la sua volontà”8. Ma lo stesso si

potrebbe dire per l’Europa!

Qual è dunque l’idea di Europa che possiamo condividere se prescindiamo da

qualunque preoccupazione identitaria?

Spinelli e Husserl sembrano trovarsi ad avere esattamente la stessa idea di cosa sia

Europa. Europa è la patria che rinuncia alle radici.

Che cosa significa questa battuta? Ecco come ragiona Husserl, proprio negli

anni più tragici della sua Germania, quelli che nel nome della radice, della terra e

del sangue, la stavano conducendo al nazismo. Husserl descrive una normale

conversazione. Siamo in due o tre, e abbiamo una cosa davanti. Questa cosa è

davanti agli occhi di tutt’e tre, e possiamo scambiarci i punti di vista per vederla

ciascuno come la vede l’altro. Questa situazione è la cellula della ricerca. Ma

Husserl va avanti e dice: supponete che di fronte a noi ci sia un male –non mancano 8 M. Albertini, introduzione a Spinelli (1985), cit., p. 10.

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oggi gli esempi sotto gli occhi di tutti. Che la verità che stiamo cercando sia quella

non di un semplice giudizio di fatto, ma anche di valore. Allora le cose si

complicano.

“le motivazioni provenienti dall’esperienza e in generale dall’evidenza della

cosa si mescolano con motivazioni di minor valore, con quelle che sono così

profondamente radicate nella personalità che già il loro metterle in dubbio

minaccia di “sradicare” la personalità stessa, la quale ritiene di non poter

rinunciare a loro senza rinunciare a se stessa – cosa che può portare a violente

reazioni d’animo”9.

Husserl sta allargando l’idea di ricerca alla conoscenza morale, giuridica,

politica: sta semplicemente variando sul tema del “sapere aude”- con una nuova e

sofferta consapevolezza di quanto sia difficile il passaggio alla maggiore età: dalle

care certezze della comunità d’origine all’autonomia del pensiero adulto, quando

uno scopre il “minor valore” delle motivazioni cui aderiva con tutto il cuore, ma che

non sono giuste.

Ecco come Husserl ribadisce il concetto dello sradicamento:

“Il pensiero non è giusto perché io o noi, per come siamo, non possiamo non

pensare in questo modo; semmai, solo se un pensiero è giusto, è giusto anche il

nostro pensare, e noi stessi siamo giusti”10.

Insiste, dunque, spietato:

“E non importa che piaccia o meno a me o ai miei compagni, che ci colpisca

tutti “alla radice”: la radice non serve”11.9 E. Husserl, L’idea di Europa, trad. it. Cortina 1999, p.92, corsivo nostro.10 Ibid., p. 9211 Ibid., p. 92, corsivo nostro.

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A meno, forse, che non se ne trovi una nuova, una patria rinnovata, una radice

di pensiero, e di pensiero scritto: una radice di carta, come la Carta dei valori

dell’Unione Europea, ratificata col Trattato di Lisbona nel 2009, e di concezione

completamente spinelliana.

Dov’è l’identità con Spinelli? Molto semplicemente, nel fatto che anche per

Spinelli la nazionalità, pur essendo un dato identitario anche significativo, che

come tale certamente giocherà la sua parte nelle motivazioni di quell’autonomo

centro di vita che è la persona, è, rispetto all’ideale di civiltà, non un vincolo di

ragione ma un vincolo irrazionale, un dato contingente, un fatto arbitrario. Se

è un valore (patria) è un valore costitutivo di un ethos fra gli altri che una civiltà

deve contemperare e tutelare con i loro ultimi soggetti, gli autonomi centri di vita:

non costitutivo del fondamento etico della civiltà stessa.

Un ultimo breve approfondimento del senso della dicotomia classica fatti-

valori è indispensabile a capire questo punto.

La tesi classica di Hume ha due aspetti: uno afferma l’irriducibilità dei valori

ai fatti, del dover essere all’essere, insomma dell’ideale al reale – e per questo

aspetto la tesi è difficilmente contestabile. Ne facciamo uso ogni volta che troviamo

irritante chi assolve l’evasore fiscale perché così fan tutti, o chi zittisce uno che

difende un ideale perché non è realistico. L’altro aspetto, diverso e indipendente ma

che Hume mescola con il primo, nega che ci sia nella realtà qualcosa di

corrispondente ai predicati di valore e disvalore, come bello o brutto, giusto o

ingiusto, buono o cattivo: non c’è un posto per i valori nel mondo dei fatti, e di

conseguenza non c’è niente nel mondo che possa rendere vere o false le

proposizioni sui valori. Questo è l’aspetto scettico – se c’è una verità in materia di

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valori non è conoscibile – anzi nichilistico – non c’è alcuna verità in materia di

valori.

Il primo aspetto della tesi, dicevamo, è non solo indipendente dal secondo, ma

essenziale a capire meglio l’idea di una patria che rinuncia alle radici. Spinelli e

Husserl sembrano condividere un pensiero di cosa sia l’Europa come, abbiamo

visto, eccedenza dell’ideale sul fattuale, in due direzioni: teorica, o della domanda di

ragione sulla certezza di tradizione, e pratica, o del diritto sul potere. In quest’ultima

direzione, è l’ideale di una politica fondata in ragione, che spoliticizzi la vita e la

apra alla conoscenza: che restituisca serietà all’esperienza, aprendola alla

conoscenza del bene e del male.

Ma in questo senso l’idea d’Europa coincide con un’idea di filosofia di cui

l’insuperato paradigma resta Socrate, il maestro della vita esaminata, anzi di un

ideale di vita che pone al centro di ogni giornata, di qualunque occupazione e

relazione la conoscenza, cioè la ricerca di verità e di ragione.

Non Europa oder Christentum, - ma Europa ovvero filosofia, in un senso

però che più concreto e incarnato non potrebbe essere: un’incarnazione normativa

certamente incompiutissima, quella dell’UE, ma che per compiersi e non sciogliersi

non avrebbe altra via che vincolare la democrazia all’universalismo morale e

cosmopolitico, liberandola dal morso dei piccoli Leviatani infuriati.

5. Epilogo in cielo

A questo punto molti di voi potrebbero pensare che l’idealismo – nel senso del

difendere l’eccedenza dell’ideale sul reale – di Spinelli (che pure si credeva un

realista) era eccessivo: e allora apprezzereste molto una bellissima pagina di Carlo

Levi, che nel suo grande romanzo L’orologio, scritto mentre questo fra i fondatori

del Partito d’Azione dirigeva l’Italia libera, subito dopo la fine del governo Parri nel

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novembre del ’45, e assisteva all’improvviso, lancinante svaporare delle speranze di

palingenesi italiana legate alla Resistenza, così descrive Spinelli che con Vittorio

Foà irrompe nella redazione romana del giornale:

“Avevano entrambi passato in prigione molti anni, tutta la giovinezza; e ne erano

usciti mentre tutto il paese era fuori da ogni legge consueta, in piena guerra

civile….Erano ancora pieni della strana santità delle carceri, disumana e rarefatta

come l’aria delle alture…librati in un cielo glorioso e intellettuale, sotto cui, milioni

di miglia più in basso, si stendeva pigra e nebbiosa la terra: un cielo eccitante e

limpido, che essi pensavano fosse, e chiamavano, la politica….Avevano avuto tanto

tempo per guardarlo, quel cielo… Quando quelle inferriate erano cadute… ed essi

erano stati portati sulle ali del vento che passava sull’Europa, in alto, nel bel mezzo

di quel cielo, essi avevano ritrovato… la realtà stessa che li aveva accompagnati nel

tempo senza fine della prigione. Volando, come aquile solitarie, tra quelle

correnti…ebbri di movimento, essi si sentivano in patria, si sentivano nel cuore

stesso del mondo, nel centro della sola vera realtà. Erano realisti”12.

Forse molti di voi penseranno che Spinelli possa essere considerato realista solo in

questo senso. Invece io penso che Spinelli abbia lasciato nella realtà quotidiana di

ciascuno di noi una traccia vividissima, e precisamente una traccia tanto importante

quanto simbolica. A proposito di alto e di basso. Guardate il frontespizio del nostro

passaporto. La scritta UNIONE EUROPEA sta sopra la scritta REPUBBLICA

ITALIANA. La disposizione spaziale del nome sulla pagina ha un senso profondo.

Indica l’alto. Un senso che eccede la realtà e le dà la direzione. Basta il frontespizio

di ciascuno dei nostri passaporti a dirci l’Europa che abbiamo in mente, quella che

solleva un po’ il nostro sguardo da terra, cui lo fissa la nostra sfiduciata tristezza. E

che solleva un po’ anche… il cuore, dall’avvilimento in cui questa politica presente

l’ha precipitato.

12 C. Levi, L’orologio, Einaudi, Torino 1950, 2015

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Anche questo avvilimento, per concludere, ha un senso preciso e profondo, che la

filosofia può illuminare. Esso indica il basso. Indica l’Italia politica di oggi. E cioè il

paese che più di ogni altro tradisce e rovescia il moto verso l’eccedenza dell’ideale

che gli edificatori hanno identificato con l’anima d’Europa. Forse ora possiamo

meglio capire perché il paese che più di ogni altro OGGI ha abolito l'eccedenza

dell'ideale sul fattuale, del dubbio e della domanda sul twit e sulla sovranità

dell’ignoranza, come del diritto sull’arbitrio del potere, è lo stesso che ha inventato

il fascismo.

Dovremmo ricordarcelo. Si legge troppo "storicisticamente" il fascismo, legandolo a

vecchie immagini sbiadite, fez e camice nere e parlamento occupato. Ma quelli sono

solo i modi, le forme. La sostanza è proprio una sorta di allergia profonda (sotto

specie di disprezzo:  per le anime belle, i moralisti, i giustizialisti, le eli.) nei

confronti di chi distingue l’ideale dal reale e il dover essere dall’essere:

l’intolleranza per il solo aspetto della dicotomia di fatto e valore che costituisce una

inconfutabile verità. Una verità che i filosofi hanno scoperto, e per sempre.