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RELAZIONE MAGNIFICENZA NEL MITO DI FONDAZIONE DI CROTONE Nel corso del dialogo odierno ci soffermeremo su ciò che meno attiene a dati squisitamente storici ma che più affascina in merito alla fondazione di Crotone. Il nostro approccio, dunque, non sarà scientifico nel senso stretto del termine, bensì di carattere intuitivo poiché riconducibile a fonti parallele. Faccio un esempio per spiegarmi meglio: la cicogna! Coloro i quali hanno letto L’ultimo Re di Delfi sapranno già la risposta. Perché si dice che la cicogna porti i bimbi? Ovviamente nulla testimonierà storicamente che il volatile abbia mai trasportato un bambino ma, il mito della cicogna, sarà rivelatore di un avvenimento ripetuto nel tempo, di una tradizione, diventandone l’emblema stesso. Infatti la risposta è riscontrabile nel fatto storico secondo il quale, nelle case antiche in cui vi si trovasse un neonato, il focolare avrebbe dovuto ardere in maniera tale da riscaldare

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RELAZIONE

MAGNIFICENZA NEL MITO DI FONDAZIONE DI CROTONE

Nel corso del dialogo odierno ci soffermeremo su ciò che meno attiene a dati squisitamente storici ma che più affascina in merito alla fondazione di Crotone. Il nostro approccio, dunque, non sarà scientifico nel senso stretto del termine, bensì di carattere intuitivo poiché riconducibile a fonti parallele. Faccio un esempio per spiegarmi meglio: la cicogna! Coloro i quali hanno letto L’ultimo Re di Delfi sapranno già la risposta. Perché si dice che la cicogna porti i bimbi? Ovviamente nulla testimonierà storicamente che il volatile abbia mai trasportato un bambino ma, il mito della cicogna, sarà rivelatore di un avvenimento ripetuto nel tempo, di una tradizione, diventandone l’emblema stesso. Infatti la risposta è riscontrabile nel fatto storico secondo il quale, nelle case antiche in cui vi si trovasse un neonato, il focolare avrebbe dovuto ardere in maniera tale da riscaldare maggiormente l’ambiente. Il camino veniva alimentato con più legna e la cicogna che è un animale amante delle temperature più alte, approfittava del surriscaldamento dei comignoli per potervi nidificare sopra. In quel caso i passanti, riconoscendo il nido del volatile, avrebbero intuito che all’interno della casa vi si trovasse un bebè.

Nell’accingerci ad individuare i caratteri e le basi del Mito di fondazione di una città e nel tentativo di evidenziarne la magnificenza, non si può tralasciare di fornire, seppur in termini generali, la definizione e le attribuzioni di questo. Fra i vari significati che il termine ha assunto nel corso della storia, quello che attiene di più al contenuto del nostro incontro è sicuramente il valore ancestrale di idealizzazione di un evento o personaggio che, nella coscienza dei posteri e dei contemporanei,

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diviene carattere quasi leggendario esercitando un forte potere di attrazione sulla fantasia e sul sentimento di un popolo o di un’età.

Apparentemente l’esposizione di un mito non avrebbe nulla da spartire con l’archeologia in senso pratico e stretto ma ci agevola nel penetrare e comprendere dinamiche ed aspetti che, con il solo supporto della narrazione storica, andrebbero perduti. Il Mito, a differenza della Fiaba, che ha contenuto comunicativo enorme ma che si esaurisce nel momento stesso in cui il suo messaggio viene cristallizzato nei gesti dei contemporanei, è proiettato verso il futuro. Custodisce in sé la capacità di tramandarsi ed arricchirsi, grazie alla sua forma orale, di particolari sempre nuovi ed avvincenti affinché la narrazione sia degna del messaggio e della storia che racconta, veicolando attraverso i secoli valori e tradizioni …ma non solo. L’esposizione mitologica come dicevamo, ci chiarisce significati e concetti che altrimenti scomparirebbero restando sconosciuti, fornendoci dunque un’interpretazione a volte diversa da quella storiografica e contribuendo a farci avvicinare, attraverso un percorso alternativo, ad un’altra ipotetica realtà storica: Il mito, quindi, anche come strumento ausiliario di indagine.

Per un corretto approccio alla tradizione mitica, è necessario mantenere un atteggiamento super partes (laico per intenderci) rispetto a correnti di pensiero filo-religiose o politiche. A sostegno di ciò potremmo richiamare la persistenza di un’anima pagana che sorregge l’universo mitico. L’umanità non ha mai rinunciato alla sistemazione del mondo fatta dal paganesimo e non vi ha rinunciato nemmeno la maggior parte delle religioni che dal mito (appunto definito successivamente e volgarmente “paganesimo”) hanno attinto per generare le proprie radici e spesso i propri dogmi. Si pensi anche semplicemente a quello che rappresenta il giorno di Tule (solstizio d’Inverno sacro ai Celti) per il Cattolicesimo…ossia Natale…ma è anche la venerazione del Sol Invictus per i Romani e di Mitra per alcune culture orientali. Il calderone del paganesimo ha consentito la trasmutazione di bisogni in figure facilmente identificabili. Non volendo, le nuove correnti di pensiero filosofico-religiose, hanno nei secoli operato un sunto di alcuni dei più importanti miti del mondo classico il quale a sua volta lo aveva operato a mantenimento delle culture primordiali dell’umanità.

Ecco dunque se io vi chiedessi di chi parlo, citando un individuo di sesso maschile, generato da una vergine, dilaniato dai propri consanguinei, risorto dopo tre giorni in carne ed ossa, cosa mi rispondereste?

Osiride: ricomposto dalla sorella Iside, scalzò i fratelli che l’avevano martoriato, diventando divinità preminente in una determinata zona dell’Egitto.

E se a questa domanda ne aggiungessi un’altra parlando di un individuo dalla spiccata personalità, annunciato dagli astri come portatore di benefici per tutti i suoi simili, cosa rispondereste?

Pitagora: la radice del nome stesso lo indica come annunciatore di Apollo esattamente come accadde per il Cristo con Yahweh. Nato da una donna di nome Partenide (che vuol dire vergine) poi ribattezzata Pythais (Pitai) dal marito Mnesarco.

Come si può notare l’aggettivo mitico è spesso usato per personaggi che grazie alle proprie gesta lo hanno meritato.

È quindi un appellativo postumo appropriato per un’esperienza superba di vita di una persona realmente vissuta ma è valido anche per una determinata città che in un certo periodo della sua storia ha meritato di essere magnificata fin dalla narrazione della propria fondazione.

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CENNI STORICI SU CROTONE

Date le premesse, per un maggiore approfondimento, su ciò che riguarda la magnificenza rivelata dal mito (o dai miti sarebbe il caso di dire) della fondazione e della vita dell’antica città di Kroton, non possiamo che partire dai dati storici (pochi per la verità rispetto a quella che è stata l’influenza della città sul mondo). Innanzitutto la data di fondazione che è attestata all’ VIII sec a.C. Fin qui pochi hanno sollevato dubbi. 708\709 che è ormai la data riconosciuta convenzionalmente, oppure 718 che è quella fornita da EUSEBIO DI CESAREA (scrittore del I sec d.C.) ne IL CHRONICON ma che fonti di natura archeologica spostano intorno al 730\740 a.C. (a detta anche di PAUSANIA il quale legava a Sparta la nascita di Kroton).

Io però non contento, in questa sede, voglio divertirmi, cercando di innescare, nella mente di chi legge, alcuni dubbi già da subito (almeno ci provo) o meglio, cercherò di trovare nuovi spunti per dialoghi e riflessioni già a partire dalla data di fondazione, compiendo il primo passo nel mito.

Kroton come risaputo deve la sua nascita agli Achei i quali scelsero questi territori senza dubbio per la presenza di preesistenti santuari sul posto (sinonimo di una forma di cultura anteriore) e quindi della presenza di comunità stanziali che richiamano ad una precedente scelta dei posti, operata da altri, per motivi di salubrità e di risorse. Sia chiaro che le città antiche erano da definirsi “fondate” quando il popolo ecista instaurava i propri culti. Ma i colonizzatori che arrivarono fin qui come sapevano di queste terre? Chi trovarono? A spese di chi instaurarono i propri culti? Chi i protagonisti della ktisis (personificazione della fondazione che attribuisce memoria di ciò che vi era prima attraverso attribuzioni di gesta a personaggi eroici) di Crotone? Ma soprattutto chi erano gli Achei?

Prima di rispondere, compiamo un altro passo nel mito, partendo sempre da presupposti storici. Questa terra era già conosciuta come CROTONIATIDE ancora prima del sorgere di una città dal nome CROTONE. Un posto meraviglioso per salubrità, posizione geografica, i pascoli e le immense foreste caratterizzate da una peculiarità più unica che rara ossia la presenza di abeti in prossimità dello splendido mare. Fatto considerato come un miracolo dalle popolazioni antiche e che portò da subito a considerare sacri questi luoghi. Le ipotesi sul nome sono diverse. Alcuni sostengono derivasse da “crotos”, pianta diffusissima sul posto, ma dato che la mia ricerca si basa sullo studio e l’osservazione dei simboli, sono propenso a credere che il nome derivi dal verso caratteristico (CROCIDIO) dell’animale che imperversava in questi territori e cioè la GRU o l’AIRONE. A testimonianza di ciò e dunque a supporto della mia tesi, il volatile comparirà su diverse monete crotoniati di fianco al Tripode. Proprio le più celebri monete della possente Kroton verranno a sostegno più volte in questo mio viaggio ed in questo nostro dialogo. Infatti il nome stesso può ulteriormente richiamare un altro uccello presente su monete: L’ASSIOLO comunemente chiamato chiò (piccola civetta ancora visibile e udibile in tutto il Marchesato).

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COME SAPEVANO DI QUESTE TERRE?

La Protostoria di molte zone mediterranee ed europee ci porta a conoscenza di popolazioni e culture ormai mitiche (per rimanere in tema). Come tacere in questa sede dei PELASGI? I greci dell'età classica indicavano col termine il complesso delle popolazioni preelleniche della Grecia. Varie tradizioni conferivano ai Pelasgi una parte di primo piano nel processo preistorico del popolamento dell'Italia. Ad essi era attribuita la realizzazione delle mura poligonali dell'Italia centro-meridionale. Con estremo interesse vanno lette le iscrizioni in geroglifico del tempio funerario del faraone Ramses III (1193-1155) di Medinet Habu, che potrebbero contenere un chiaro riferimento, forse l'unico, archeologicamente documentato, all'esistenza reale del popolo dei Pelasgi. L'iscrizione descrive un attacco effettuato nell'8º anno di regno del faraone (1186 a.C.) da un'alleanza di cinque popoli stretta dopo aver distrutto la città di Ugarit (Siria): tra costoro compaiono i PELESET. Complessivamente, si attribuiva ai Pelasgi una vocazione migratoria e, in particolare, marinara. Eusebio, nel Chronicon, considerava quella dei Pelasgi una "talassocrazia" e gli riconosceva il dominio del Mar Mediterraneo, in un periodo che sarebbe iniziato novantanove anni dopo la caduta di Troia e sarebbe durato altri ottantacinque (secondo la cronologia di Eratostene di Cirene, tra il 1082 e il 997 a.C.).

Si faccia ora attenzione alle date.

-ISCRIZIONE EGIZIA 1186 a.C.

-Soprattutto si tenga presente il riferimento alla guerra di TROIA (1250\1194 a.C.)

Eratostene da Cirene ci dice che il periodo di splendore pelasgico va circa dal dodicesimo secolo all’undicesimo a.C. Ovviamente noi non abbiamo abbastanza fonti per giurare su una effettiva esistenza storica dei Pelasgi né siamo a conoscenza di fonti grazie alle quali affermare con certezza la storicità dei fatti bellici narrati da Omero e di conseguenza attingiamo dal mito (a proposito fu proprio Omero, secondo PLINIO IL VECCHIO, che mutò il nome Calipso in Ogigia di una delle cinque mitiche isole innanzi alle coste di Crotone). Uno di questi, coerente con ciò che ci siamo detti, parallelo ma ancorato strettamente alla tradizione omerica, è il primo dei miti di questi posti: FILOTTETE. Ricordato come il risolutore della guerra mossa ai troiani grazie all’arco di Ercole che gli era stato donato dallo stesso grande eroe, con cui uccise Paride, venne a morire in Calabria dopo aver fondato alcune città nella crotoniatide; PETELIA (Strongoli) e probabilmente KRIMISA (Cirò).

La leggenda narra che le navi achee di ritorno da Troia arrivarono in Calabria trasportando con sé alcune donne troiane, come schiave o spose, e che queste, stanche del continuo girovagare per mare, approfittando dell’assenza dei guerrieri, probabilmente in perlustrazione o caccia, diedero fuoco alle navi, ormeggiate in un punto di sosta sicuro, al riparo dai venti, a cui erano approdate seguendo il corso di un fiume che da quel momento prese il nome di NEAITHOS (NETO) che letteralmente vuol dire NAVI INCENDIATE.

Ma perché le navi achee non si fermarono in Patria?

Da qui parte una duplice chiave di lettura che intreccia il racconto omerico con la narrazione di un altro mito immortale: L’ENEIDE di Virgilio.

La risposta infatti potrebbe essere quella che vede navi greche all’inseguimento di fuggiaschi appartenenti alla famiglia reale troiana (moglie e figlio di Ettore) e non solo. Filottete morirà in Calabria non riuscendo nell’intento di raggiungere i nemici da cui scaturirà, attraverso Enea, la stirpe della Lupa. Tale racconto potrebbe rappresentare il passaggio di consegne fra i vecchi

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dominatori del mediterraneo (civiltà greca) rappresentata dall’ anziano e morente eroe e quella che da lì a qualche secolo, dalle ceneri e dai superstiti di Troia, sarebbe divenuto il grande Impero romano.

Ma io che sono un curioso di natura, a questo punto mi sono posto un’altra domanda: Perché Enea, o i suoi antenati non si fermarono per primi in questo posto così accogliente e salubre? Una risposta me la sono data. O non era poi così salubre (è celebre la salubrità di questi luoghi) oppure non era più tanto accogliente. Cosa poteva rendere, agli occhi dei troiani in fuga, una terra poco accogliente se non la presenza su di essa dei propri nemici? Abbandonando per un istante il mito diciamo che siano stati essi achei o popolazioni in rapporto di scambi commerciali con i greci, comunque si trovavano già qui. Sta di fatto che Enea non si fermò ma soprattutto, risulta chiaro a tal punto arrivati, che la conoscenza e l’importanza di questa terra slitta dall’ottavo secolo a circa il decimo secolo prima di Cristo.

CHI TROVARONO?

Una cosa che possiamo affermare con certezza è che gli Achei non trovarono queste terre disabitate.

G.B. de Nola Molise, nel suo Cronaca dell’antichissima e nobilissima città di Crotone ci mette a conoscenza del fatto che la città in epoche remote assunse anche il nome di IAPIGIA, in onore del valoroso re IAPIGE (o JAPIGE). Probabilmente anche qui ci troviamo innanzi ad una ktisis, in questo caso del popolo dei IAPIGI, un ceppo indigeno, che abitò queste terre prima dell’avvento dei greci. E non furono soli, infatti a dividersi i territori vi erano anche e soprattutto gli ENOTRI e gli AUSONI.

Di origine indoeuropea, gli Ausoni esistevano già intorno al 1600 a.C., cioè all'inizio del Bronzo medio. L'AUSONIA era il loro territorio, che si estendeva dal basso Lazio fino alla Calabria. Essi abitavano le terre della Campania fino al fiume Sele, mentre gli Enotri vivevano nel territorio a sud e gli Japigi nell'attuale Puglia (ad essi si affiancava un'altra popolazione enotria, quella dei Choni). Erano una popolazione osca (anche se relitti linguistici testimoniano che appartenessero allo stesso gruppo italico dei Latini, il latino-falisco) stanziata nell'Italia meridionale. Secondo alcuni scrittori antichi, come Antioco di Siracusa e Aristotele (che, probabilmente, deriva da Antioco), Ausoni e Osci sono sinonimi. Dopo l’arrivo degli Enotri si stanziarono definitivamente nelle regioni prospicienti il mar Tirreno (secondo ARISTOTELE): in particolare, facendo riferimento ad ANTIOCO, la zona tra Nola e Sorrento.

Gli ENOTRI sono un'antica popolazione dell'Italia preromana stanziata, attorno al XV secolo a.C., in un territorio di notevoli dimensioni, che da questi prese il nome, Enotria (dal nome di ENOTRIO figlio di Licaone), comprendente le attuali Campania meridionale, parte della Basilicata e la Calabria. DIONIGI DI ALICARNASSO dice che gli Enotri sono i più antichi colonizzatori provenienti dalla Grecia.

In mancanza di fonti dirette, le vicende storiche degli Enotri, come di altri popoli preromani, possono essere ricostruite unicamente sulla base delle notizie fornite da autori posteriori greci e romani, dei dati della toponomastica e dell'archeologia. Gli Enotri sarebbero giunti in Italia alle soglie dell'Età del ferro (XI secolo a.C.), e si distinsero in diversi rami fra cui Itali, Morgeti, Siculi e Choni.

Sempre secondo lo storico siceliota Antioco di Siracusa furono il primo popolo antico in Italia di cui si ebbe notizia e rappresenterebbero il ramo meridionale di uno strato etno-linguistico molto

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antico e diverso da quello proto-latino, che avrebbe occupato l'area tirrenica dalla Liguria alla Sicilia (strato ligure-sicano).

Girolamo Marafioti in Croniche, et antichità di Calabria, ci dice che «Dopo la morte di ENOTRIO, Enotria ebbe altro nome, e fu chiamata Italia, e Morgetia, e dopo questo nome fu detta Sicilia, Chonia, Iapigia, e Salentia, e poscia congiunta in un nome fu detta MAGNA GRECIA»

Ausoni ed Enotri rappresentano, secondo le fonti, le più antiche popolazioni italiche dominanti ed avevano nell'VIII secolo a.C. ormai raggiunto una loro stabilità territoriale.

Ovviamente il nome Magna Grecia è successivo alla colonizzazione achea. Ma fissiamo ora l’attenzione su uno dei nomi appena citati e cioè ITALIA. Di certo non il paese che conosciamo noi e che venne unificato nel 1861, ma una fetta bella grande del Belpaese comprendente parte della Campania, Puglia, Basilicata e Calabria. Come si può notare l’Italia corrisponde precisamente ai territori enotri fin qui discussi. Ma perché tale nome?

La spiegazione lampante viene fornita ancora una volta da un illuminatissimo ARISTOTELE, il quale ci dice: «Quella regione fu chiamata Italia da Italo, re arcade. . . Divenne Re dell’Enotria un certo Italo, dal quale si sarebbero chiamati, cambiando nome, Itali invece che Enotri. Dicono anche che questo Italo abbia trasformato gli Enotri, da nomadi che erano, in agricoltori e che abbia anche dato ad essi altre leggi, e per primo istituito i sissizi. Per questa ragione ancora oggi alcune delle popolazioni che discendono da lui praticano i sissizi e osservano alcune sue leggi»

(Aristotele, Politica, VII, 9, 2 [11]).

Anche Virgilio ci dice la sua nel merito: «Dagli Enotri cólta, prima Enotria nomossi: or, com’è fama, preso d’Italo il nome, Italia è detta.»

(Virgilio, Eneide III, 164).

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A SPESE DI CHI INSTAURARONO I PROPRI CULTI?

“QROTON NON È LA CITTÀ DI PITAGORA, MA LA CITTÀ IN CUI FONDÒ LA PROPRIA SCUOLA!”

Quella che avete appena letto è una mia ricorrente affermazione in quasi in tutti gli incontri a cui ho il piacere di partecipare. Può sembrare banale ma non lo è affatto, soprattutto in relazione al contenuto della nostra conversazione. Si perché, mi turba dirlo, nella piattezza culturale in cui siamo precipitati, sembra che la storia dell’antica e potente Kroton parta e si concluda al grande Filosofo di Samo, come se né prima e né dopo ci fosse stato nulla. Certo il declino del “dopo” è stato così rapido ed è così attuale da far pensare che, dall’occupazione romana in poi, la civiltà della popolazione in riva allo Jonio abbia smesso di evolversi…Ma prima di Pitagora? Il grande Maestro era stato già nella Crotoniatide in gioventù e rimase colpito da ciò che trovò. Culture assolutamente avanzate, frutti dell’unione fra sapienza achea e riti ed usanze indigene (come i citati sissizi). Ma facciamo un passo indietro.

Nel Peloponneso si erano già stanziate tribù come Ioni ed Eoli che rispettarono in linea di massima le usanze e la venerazione delle vecchie divinità, prima fra tutte la Triplice Dea, Madre di ogni cosa, adottando un compromesso: non dovettero abiurare il loro dio principale (assimilabile ad Apollo) purché lo riconoscessero semplicemente come figlio della Dea. Tali prime popolazioni contavano la discendenza dalla madre e si fusero con quelle indigene già stanziate nei luoghi. Ma quando dal nord arrivarono, attraversando la Tessaglia, gli Achei, tutto cambiò. Adoravano il Dio Padre, disprezzando la Dea. Ciò ebbe conseguenze enormi che portarono a cambiamenti radicali di usanze e riti. Da quel momento in poi venne instaurato un connotato patriarcale in seno alle comunità. I clan maschili soppiantarono quelli femminili e la paternità divenne l’unico elemento rilevante per tracciare una genealogia. Da ora in avanti fu sempre l’uomo a scegliere colei che chiama moglie. Quest’ultima ha divieto assoluto di accoppiarsi con altri. Lentamente il loro dio dei cieli (dio ariete o Dios), considerato inizialmente figlio della Triplice, soppiantò la madre stessa. La pretesa dei greci invasori fu che questa nuova divinità avesse preminenza e costrinsero gli indigeni ad un ulteriore compromesso. Egli divenne marito (per come inteso dagli Achei) della Dea e padre della prima divinità maschile che Ioni ed Eoli avevano importato. Il nuovo dominatore delle popolazioni del Peloponneso da quel momento in poi fu Zagreo… o meglio conosciuto come Zeus!

La domanda che mi pongo da sempre è: quale influenza hanno avuto le popolazioni indigene sui colonizzatori Achei? Quasi tutti gli amici archeologici negano questa possibilità asserendo che la presenza di altre popolazioni in queste terre non possa aver avuto un’impronta caratterizzante sulla cultura greca.

Innanzi a tale osservazione mi viene in mente un altro quesito: se alcune delle dinamiche descritte da me pocanzi sono avvenute in Madrepatria Grecia ai tempi delle prime invasioni ed hanno dato vita a nuovi popoli e culture, perché ciò non può essere assolutamente avvenuto anche a Crotone? Qualcuno mi ha spiegato che gli amici archeologi sono come i matematici. Due più due fa quattro perché così è scientificamente provato. Dunque se un archeologo opera uno studio, sul ritrovamento di un metro di una vecchia strada romana, ti dirà che oltre quel metro non potrà sostenere mai e poi mai che la strada stessa possa aver continuato il corso, perché non hai prove e né resti semplicemente perché non li hai trovati. Giustissimo dal punto di vista dello studio archeologico…ma si dà il caso che io non sia un archeologo.

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Le sacche di resistenza culturali (così le definisco) riuscirono a sopravvivere per secoli soprattutto in luoghi più lontani dal Peloponneso ed in cui l’influenza del dio montone e dei suoi precetti fu minima, grazie ai primi scambi commerciali ed ai primi avventurosi viaggi alla ricerca di terre migliori in cui proliferare. Sostengo che uno di tali viaggi abbia portato sulle rive dello Jonio una di queste sacche di resistenza culturali, propense ai riti ancestrali in onore della Natura e della Triplice Dea. Procediamo con ordine.

La fondazione di Crotone è strettamente legata al più grande eroe della mitologia classica: Eracle.

La leggenda ci dice che tornando dall’ Iberia, portando con sé i buoi di Gerione, fece sosta nella crotoniatide. Ad accoglierlo fu Kroton, figlio di Eaco e genero del re Lacinio. La notte subì il tentativo di furto dei buoi e nei tumulti sorti, Eracle uccise per sbaglio l’amico accorso in suo aiuto. Diede luogo a maestosi riti funebri, profetizzando la nascita, su quel suolo, di una magnifica città che ne perpetuasse il nome.

La storia dice che Miscello da Ripe, seguendo i dettami oracolari di Delfi, venne sulle rive dell’Esaro a fondare una illustre città. Mi sembra scontato che i nuovi coloni abbiano assunto, agli occhi degli indigeni, un ruolo da invasori ma tutto ciò non ebbe, per i primi tempi, conseguenze negative e fin tanto che i rapporti rimasero di buon vicinato, non si ebbe alcuno scontro. Quando la presenza achea sul territorio divenne massiccia, l’espansione per occupare, soprattutto a sud verso Capo Lacinio, conosciuto già come luogo sacro (vi era probabilmente un santuario indigeno), terre su

cui vivere e da cui trarre sostentamento, lo scontro fu inevitabile. A tal proposito mi risulta chiaro come l’allegoria di Ercole che uccide Kroton non sia altro che la testimonianza di un’avvenuta sottomissione in armi perpetrata dai greci a scapito dei locali. Scontri forse non voluti (morte per errore di Kroton) ma necessari per l’espansione coloniale. Curioso particolare riguarda gli indumenti da guerra dell’eroe di Tirinto. Infatti la pelle di leone e la clava sono attributi tipici del corredo dei sacerdoti di Apollo. Probabilmente il valoroso crotoniate Milone non indossò tali indumenti per emulare Eracle ma piuttosto come atto identificativo di una corrente di pensiero filosofica-religiosa che richiamava alla stessa del grande eroe mitologico.

Ad occupazione completata, gli Achei poterono instaurare definitivamente i propri culti e dichiarare fondata una nuova città. Ma stavolta quale dio divenne figlio di Zeus? O meglio quale sacca di resistenza culturale sopravvisse all’avvento dei greci?

Prima parlavamo dei sissizi, usanza enotria (quindi precedente alle colonizzazioni) ma anche il SALUTO AL SOLE tanto caro a Pitagora era un rituale ben conosciuto in queste zone prima dell’avvento greco. Lo stesso filosofo di Samo seguiva riti religiosi ed insegnava usanze non tipiche

della Grecia classica ma piuttosto della cultura orfica. E qui il cerchio si chiude. Come arrivarono i precetti orfici nella crotoniatide?

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IL VELLOD’ORO

Il più grande spunto in questa ricerca ce lo da un altro grandioso mito antico, magistralmente descritto da Robert Graves: IL VELLO D’ORO. Può essere considerato una sorta di genesi per tutta la mitologia classica e di sicuro è una pietra miliare per la mitologia in generale. Si pensi solo a tutto un elenco di protagonisti presenti in esso. Si tratta di personaggi che avranno un ruolo diretto o indiretto (attraverso la propria discendenza) nel mare dei successivi racconti epici e mitologici più importanti, primi fra tutti quelli di Omero.

ANCEO IL GRANDE (FIGLIO DI POSEIDONE)

ANCEO DI SAMO

ARGO DI ATENE (COSTRUTTORE DELLA NAVE)

ATALANTA DI CALIDŌNE

CASTORE DI SPARTA (FIGLIO DI ZEUS, LOTTATORE E AURIGA)

POLLÙCE DI SPARTA (FRATELLO DI CASTORE, PUGILE)

EUFEMO DI TENARO (NUOTATORE FOCESE)

GIASONE (FIGLIO DI ESONE RE DI IOLCO E COMANDANTE)

PELEO DI FTIA (PRINCIPE DEI MIRMIDONI)

ALCEO DI TIRINTO ED ORFEO IL TRACIO (MUSICISTA)

Trattasi di una narrazione orale già ampiamente conosciuta in Grecia nell’ottavo secolo prima di Cristo. Questo basterebbe a far vacillare le informazioni storiche date per certe ed attinenti alla nascita di Kroton la quale viene chiaramente e direttamente citata in Essa. Infatti il Vello, ritornando dalla Colchide, venne purificato, tramite abluzione, nelle acque di sette sacri fiumi. Il terzo fra questi era AISAROS; “Giasone a questo punto scelse Nauplio come navigatore e lui li portò senza incidenti a Crotone, dove le foche se ne stanno al sole sulla spiaggia indisturbate. Là il Vello fu lavato nel terzo dei sette fiumi prescritti, cioè nell’Esaro…”.

Prestate ora attenzione agli ultimi due nomi dell’elenco. Già! Si tratta proprio di loro: Alceo di Tirinto alias Eracle e Orfeo il cantore filosofo e poeta. Di Ercole abbiamo parlato in precedenza. Aggiungo che grazie alla narrazione del Viaggio per antonomasia, sappiamo per certo che le conoscenze apollinee ed ora anche i riti orfici fecero la loro comparsa nella crotoniatide prima che i coloni greci occupassero definitivamente questi posti, assorbendone miti e religioni.

CONCLUSIONI

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“A VOI LA PROSTITUA, A NOI IL GRANDE ERCOLE!”

La frase appena letta la ripeto spesso ai miei amici romani. Ovviamente si tratta di una battuta ma mi piace cogliere, nei due miti di fondazione distinti e separati una differenza sostanziale, tornando proprio al significato stesso della parola MITO. La differenza sta nei personaggi. A Roma la parola Lupa identificava davvero il mestiere più antico del mondo, a dimostrazione che a volte i miti si sbagliano (a guardare ora le differenze fra Roma e Crotone, senza scomodare imperi vari) però anche a conferma che le previsioni per Kroton e per il futuro evolversi della storia di questa città erano magnificenti, per come i narratori del mito la dipingevano.

Credo che ora sia più chiaro il mio atteggiamento verso Pitagora, quando sostengo che Crotone non fu la sua città bensì la città in cui, spontaneamente, decise di fondare la propria scuola e di conseguenza affermo che forse non era ancora il filosofo dalla fama imperitura che conosciamo quando invece Kroton era già una luminosissima ed ambita meta per tutti. Mi viene in mente la più bella delle storie che vuole degli apostoli impegnati a girovagare per il mondo con lo scopo di diffondere la parola del loro Maestro. Pietro e Paolo, i più importanti sostenitori degli insegnamenti di Gesù, dove si diressero? Nella città più famosa e maggiormente fervente, dal punto di vista culturale, del loro mondo conosciuto. Per concludere dico che anche Pitagora ebbe la possibilità di scegliere, fra tutti i posti del Mondo conosciuto, il più magnificente ed evoluto. Dunque se scelse Kroton, con la sua scuola medica ed i suoi atleti, un motivo ci sarà stato.

Gianluca Facente