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Bimestrale web gratuito a cura del Centro Studi e Ricerche Storiche “Silentes Loquimur” - Luglio 2012 numero 2 WEB NOTIZIE, TESTIMONIANZE e DOCUMENTI del Centro Studi e Ricerche Storiche“Silentes Loquimur” – 33170 Pordenone (Italia) Via Div.Folgore 1, Casella Postale 335 Biblioteca: - 33170 Pordenone - P.ta Ottoboni 4, tel: 0434209008-FAX 0434081649 e.mail: [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] SITO: www.silentesloquimur.it (Istituto di notevole interesse regionale, L.R.n.17/2008, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia) e ( Patrocinio Regione del Veneto, Provvedimento 5.2.2009) Perché un WEB-NOTIZIE ? Un sito non può essere solamente il “museo” di un Istituto, ove si conservano le memorie degli eventi, l’elenco delle pubblicazioni, che trasportano nella “STORIA” le “storie”. Un sito “storico” deve generare dibattito, non blog sterili che vengono gestiti dai soliti ignoti, trasformandosi in piccoli o grandi club, né essere il supporto di “profili”o di gruppi di “amici”. Un sito “storico” attraverso la comunicazione reciproca, via e-mail, deve personalizzare l’approfondimento, la scoperta, la ricerca della verità , preda dei “silenzi dei vivi”, delle “rimozioni”, delle “negazioni”. Un sito “storico” deve concorrere alla costruzione della ricerca e nella distribuzione della ricerca per rendere vivo il concetto della libertà, che è soprattutto cammino per un confronto da condividere attraverso i risultati del dibattito. Da qui l’idea di costruire un notiziario bimestrale per ritrovare i popoli e la loro Storia. Il notiziario avrà un percorso su canali di interesse che si modificheranno in ogni numero, ma che si proporranno nelle pagine. a) L’intervento del “ricercatore” b) Memorie della “Guerra Civile Italiana” con foto e documenti, riguardanti le “Vittime” c) Analisi di “documenti originali” reperiti da archivi privati, donazioni, acquisti, relativi al Confine Orientale, con contenuti e finalità contrapposte d) L’Europa dei Popoli, Storie dei “popoli martiri” e) Le pagine e le notizie del Centro Studi e Ricerche Storiche di Oderzo (TV) A seconda dell’e-mail suggerita sarà risposto a tutti, vista la complessità degli argomenti entro 2 o 3 giorni . Ed ora Vi lascio alla lettura ed ai Vs, commenti, a presto! Centro Studi e Ricerche Storiche “Silentes Loquimur” Centro Studi e Ricerche Storiche “Silentes Loquimur” - Sede Sociale: Via Div. Folgore, 1 – 33170 Pordenone Sede Operativa: Piazzetta Ottoboni, 4 33170 Pordenone - Tel. 0434 209008 – Fax 0434 081649 e-mail: [email protected] - [email protected] - [email protected] - [email protected]

03 storie 2 2012

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Bimestrale web gratuito a cura del Centro Studi e Ricerche Storiche “Silentes Loquimur” - Luglio 2012 numero 2

WEB NOTIZIE, TESTIMONIANZE e DOCUMENTI del Centro Studi e Ricerche Storiche“Silentes Loquimur” – 33170 Pordenone (Italia) Via Div.Folgore 1, Casella Postale 335Biblioteca: - 33170 Pordenone - P.ta Ottoboni 4, tel: 0434209008-FAX 0434081649

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(Istituto di notevole interesse regionale, L.R.n.17/2008, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia) e ( Patrocinio Regione del Veneto, Provvedimento 5.2.2009)

Perché un WEB-NOTIZIE ?Un sito non può essere solamente il “museo” di un Istituto, ove si conservano le memorie degli eventi, l’elenco delle pubblicazioni, che trasportano nella “STORIA” le “storie”.Un sito “storico” deve generare dibattito, non blog sterili che vengono gestiti dai soliti ignoti,trasformandosi in piccoli o grandi club, né essere il supporto di “profili”o di gruppi di “amici”.Un sito “storico” attraverso la comunicazione reciproca, via e-mail, deve personalizzarel’approfondimento, la scoperta, la ricerca della verità , preda dei “silenzi dei vivi”, delle“rimozioni”, delle “negazioni”. Un sito “storico” deve concorrere alla costruzione della ricerca enella distribuzione della ricerca per rendere vivo il concetto della libertà, che è soprattutto cammino per un confronto da condividere attraverso i risultati del dibattito.Da qui l’idea di costruire un notiziario bimestrale per ritrovare i popoli e la loro Storia.Il notiziario avrà un percorso su canali di interesse che si modificheranno in ogni numero, ma che si proporranno nelle pagine.a) L’intervento del “ricercatore”b) Memorie della “Guerra Civile Italiana” con foto e documenti, riguardanti le “Vittime”c) Analisi di “documenti originali” reperiti da archivi privati, donazioni, acquisti, relativi alConfine Orientale, con contenuti e finalità contrapposted) L’Europa dei Popoli, Storie dei “popoli martiri”e) Le pagine e le notizie del Centro Studi e Ricerche Storiche di Oderzo (TV)A seconda dell’e-mail suggerita sarà risposto a tutti, vista la complessità degli argomenti entro 2 o 3 giorni . Ed ora Vi lascio alla lettura ed ai Vs, commenti, a presto!Centro Studi e Ricerche Storiche “Silentes Loquimur”

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____Storie@Storia___pag.2____________________________________________

INDICE:

pag. 1 Perchè un WEB-NOTIZIE ? Introduzione del Nostro fondatore, Marco

Pirina

pag. 3 Ultime notizie, a cura di Bruno Vajente

pag. 4 Foibe ed ESODO..i responsabili non furono solo i partigiani jugoslavi di Tito,

a cura di Marco Pirina

pag. 6 I preve e la guerra civile, a cura di Giovanni Pietro Crosato

pag. 9 Le Due Olimpiadi segrete disputate nei Lager nazisti, a cura di Augusto

Dell’Angelo

pag. 12 Pirateria, a cura di Mario Conforti

pag. 15 Novità Editoriale: “Porzus: due volti della Resistenza”

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___________________________________________Storie @ Storia pag. 3______

ULTIME NOTIZIE

A CURA DI BRUNO VAJENTE

ESTERO - Dopo 20 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in località Obernjak, sull’altura della Medvednica a Nord di Zagabria è stata rinvenuta una fossa comune. Ritrovati i resti di 36 persone uccise (molte delle quali presentavano fori di proiettili sui loro crani, segno inconfutabile di esecuzione con arma da fuoco). Accanto ai resti sono stati rinvenuti anche beni di proprietà degli stessi: sul posto sono intervenuti l’unità speciale per le riesumazioni del ministero croato della Difesa, forze di polizia, esponenti del dicastero dei reduci. Le autorità croate ritengono che si trattino di pazienti e di personale dell’ospedale per malattie polmonari Brestovac (nosocomio dell’Ndh attivo nel periodo bellico dislocato sulla Medvednica nel territorio indipendente della Croazia guidata dal leader ustascia Ante Pavelic). A guerra finita le armate di Tito presero possesso dell’ospedale e prelevarono circa 170-210 persone (tra malati, personale medico e parasanitario) scomparsi nel nulla… si dice che siano stati ammazzati dai titini per aver combattuto con le truppe dell’Asse.

ITALIA – Faedis (Ud) ) «La grande storia della Resistenza ha avuto anche ombre, macchie e la più grande è l’eccidio di Porzûs»…«la strage (di Porzûs) resta fra le più pesanti ombre che siano gravate sulla gloriosa epopea della resistenza». … : queste sono le parole, nel suo discorso presso il Municipio di Faedis, del Presidente Giorgio Napolitano che ha riconosciuto la tragedia che si è consumata a Porzus nel febbraio del 1945 dove partigiani garibaldini comunisti hanno ucciso partigiani osovani che si opponevano ai disegni espansionistici dell’Armata Jugoslava. In loro onore e ricordo è stata scoperta una targa dal Capo dello Stato nella piazza di fronte alla chiesa: dispiacere e rammarico per il fatto che il Presidente non sia salito alle malghe ma soddisfazione per l’aver riconosciuto questa tragedia. Un riconoscimento formale che, tuttavia, non spazza via ideologie e convinzioni che hanno portato a compiere quel misfatto terribile.

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___________________________________________Storie @ Storia pag. 4______

FOIBE ED ESODO: I RESPONSABILI NON FURONO SOLO I PARTIGIANI JUGOSLAVI DI TITO

A CURA DI MARCO PIRINA

Nuovamente siamo chiamati a ricordare, con una Legge dello Stato, la “Giornata del ricordo”, dedicata alla tragedia delle Foibe e dell’Esodo e mi sento chiedere nei convegni e negli incontri con gli studenti, come mai il “silenzio dei vivi” ha soffocato, per oltre 50 anni, il ricordo degli orrori e delle tragedie del nostro confine orientale.Oltre 20000 scomparsi, dei quali 5000, secondo i dati del Governo Militare Alleato, finiti nelle foibe, voragini di origine carsica, riempite di corpi di uomini e donne rei di essere italiani, vittime di un progetto di pulizia etnica, unito al disegno del comunismo internazionalista di Stalin, condiviso dai ”compagni” comunisti italiani.Un disegno che siamo in condizioni di provare nei suoi passaggi fondamentali: gli accordi segreti, i cedimenti inconsapevoli del CLNAI, l’eliminazione dei nemici, partigiani dell’Osoppo, a Porzus, il 7 febbraio 1945, o dei difensori dei confini della Patria, i militi del Reggimento “Tagliamento” o i bersaglieri del “Mussolini” o i marò della X MAS.Un disegno perseguito con tenacia ed ambiguità dal PCI e da Palmiro Togliatti, attraverso la complicità con Padri della Patria, che vendettero la sovranità nazionale e condannarono a d un esodo senza ritorno oltre 350000 uomini e donne.Già nell’ottobre 1942, come riferito dal Prof.Tone Ferenc, professore universitario sloveno, nella sua pubblicazione “La capitolazione dell’Italia – Maror 1967, eminenti personaggi friulani trattavano con gli sloveni per la creazione di formazioni militari unificate… poi nell’ottobre del 1943, convocato dai partigiani veneti, Urban Vratusa, futuro ministro della Repubblica Federativa di Jugoslavia, formò a Vicenza la Missione Slovena, con il compito di stipulare accordi militari tra i partigiani comunisti del nord est ed il IX Corpus Sloveno del Maresciallo Tito.La Missione Slovena “Berto”, come da documento dello stesso Vratusa, prot.2269/77, incontrò LUIGI LONGO, FERRUCCIO PARRI, LEO VALIANI, MARIO LIZZERO, e riuscì, dopo un lungo colloquio diplomatico, a fare dare l’approvazione a questo progetto dal CLNAI, come da documento, tenuto riservato per decenni, e riportato alla luce, dopo lunghe ricerche, negli archivi preclusi ai ricercatori della VERITA’, datato 17.7.1944.Nel documento il CLNAI “prende atto con soddisfazione degli accordi stipulati tra il Comando Generale delle Brigate Garibaldi ed il Comitato del IX Corpo d’Armata dell’Esercito di Liberazione Nazionale Jugoslavo (NOVJ).

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L’accordo determinerà il passaggio delle Divisioni Garibaldine Comuniste Natisone e Triestina nel IX e la creazione di un Comando paritetico, costituito da due comandanti militari, di cui uno italiano, “Sasso” Mario Fantin e di due Commissari Politici, di cui uno italiano, “Vanni” Giovanni Padoan, coinvolto nel processo di Porzus, scomparso ai primi di gennaio di quest’anno, e darà in qualche modo il via libera ai gappisti di “Giacca” Mario Toffanin, della Federazione del PCI di Udine di compiere la strage dei partigiani osovani, a Porzus e a Bosco Romagno, con l’accusa di essere riluttanti all’annessione non solo della Venezia Giulia ma anche del Friuli, sino al Tagliamento.Una serie di passaggi formali, per riconoscere i diritti degli jugoslavi sulle nostre terre, tra i quali l’ordine del giorno del 18 Aprile 1945 della Divisione Garibaldi Natisone che recita “…Trieste ed il Litorale appartengono per diritto naturale e per decisione del popolo della nuova Jugoslavia democratica e popolare e chiunque osasse tentare di spezzare questa unione sorta dalla lotta comune, sappia che noi garibaldini del glorioso IX Corpo dell’Armata Jugoslava, la difenderemo sino alla completa distruzione di ogni forza ostile…” (Lubiana, IZDG b,251,fasc.I/4)Il resto lo conosciamo: migliaia di uomini e donne italiani, percossi, seviziati, infoibati, fatti sparire, trascinati nei campi di sterminio di Borovnica, Lepoglava, Maribor, Skofia LoKa, Aidussina, aperti sino al Febbraio del 1950 (rif: Testimonianza Freddi Luigi). Tutta la documentazione, decine di fogli ingialliti, non comunicati al popolo italiano, sono pubblicati insieme nella ristampa del volume “Sognare una Patria” edito dal Centro Studi e Ricerche Storiche Silentes Loquimur di Pordenone. E poi 350000 esuli, privati con la violenza dei loro beni e del loro futuro, costretti ad andarsene e a subire il ludibrio dei comunisti italiani a Bologna, a Venezia ad Ancona e ovunque arrivarono con le loro poche cose, raccolte in voluminosi fazzoletti.Una storia vergognosa, sancita da un vergognoso trattato di pace, chiamato in ballo, nella data scelta per il ricordo, un ricordo che non può appartenere solo agli istriani, ai fiumani, ai dalmati ed ai giuliani, ma che resta una pagina poco conosciuta per gli aspetti rimossi dal silenzio dei vivi o dei vincitori.

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__________________________________________Storie @ Storia pag. 6______

I PREVE E LA GUERRA CIVILE

A CURA DI GIOVANNI PIETRO CROSATO

In una mattina del 1938 i primi che si trovarono di fronte alla scuola elementare dettero, forse distrattamente, uno sguardo a quella scritta propagandistica del regime fascista. Come si soleva fare allora ovunque, anche nel territorio della Parrocchia era stata scritta una di quelle frasi altisonanti che facevano parte della retorica del Regime. Una di quelle che avrebbe dovuto ammaestrare il popolo ma che invece non destava che uno sguardo distratto. Un altisonante e retorico “ABBIAMO TIRATO DIRITTO SIN QUI! EBBENE, IO VI DICO E VI PROMETTO CHE COSI’ FAREMO DOMANI E SEMPRE”. Era solo una di quelle che ancor oggi si trovano in qualche casa dell’epoca, incuranti e resistenti anche alle varie mani di vernice “democratiche” che cercavano di coprirle. Quella mattina, al contrario, mentre la osservarono, furono colti da un senso di sorpresa che si trasformò subito in uno smarrimento dettato dal timore delle conseguenze di quello che stavano osservando.Quella scritta era stata, infatti, alterata. Chi aveva potuto fare questo e percè?Per dare una risposta dovremmo fare un passo indietro nel tempo.Iniziamo, viceversa, col fare delle debite premesse. Il periodo della guerra civile dal 1943 al 1945 nella nostra vallata è rappresentato – nella conoscenza popolare – dall’ufficiale dell’esercito tedesco Alois Schintlholzer e dall’operazione culminante nel rastrellamento dell’agosto 1944 nella Valle del Biois. Da qualche tempo si è inserita anche d’impeto – dopo anni di oblio – quella vicenda delle morti del Col di Pezza. Si tratta, occorre affermarlo, sempre e comunque di vicende che lasciano l’amaro in bocca. Ora, cogliendo anche l’occasione dell’anno sacerdotale indetto da Sua Santità Benedetto XVI in occasione del 150° anniversario dei “dies natalis” di San Giovanni Maria Vianney, ho ritenuto di fornire qualche spunto per una conoscenza di alcune persone che sono rimaste quasi nell’ombra. Che hanno, al contrario, certamente dato un grande lustro alla vallata e che ne hanno anche indubbiamente diretto in un certo senso anche la politica. Si tratta dei sacerdoti che vi vennero ad esercitare il proprio Ministero in quei difficili anni. Nella Chiesa si era appena riusciti a festeggiare quel Concordato del 1929 che già erano sorti i primi problemi. Già erano sorte le prime diatribe con quel Premier vicino. Nella nostra vallata nel 1935 era giunto a Falcade il nuovo parroco. Si trattava di don Giovanni Uccel. Il religioso aveva trovato nella zona quella solita presenza della nomenclatura del partito che avrebbe dovuto tenere a redini e controllare la popolazione locale. Avrebbe, perché anche quest’apparato del partito alla fin fine non cercava che di passare la giornata senza che avvenisse qualcosa di particolare. Cercare di evitare dei problemi e non andarsi a cercare quelle che

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usualmente sono chiamate “rogne”. Un insieme di persone che cercava, pertanto, di tirare a campare. Che si trovava ad agire in una vallata in cui anche quel prendere la tessera del partito era, per la maggior parte di quelli che la possedevano quasi un obbligo, un che di tassa che si doveva “pagare” per avere la possibilità d’essere assunti in determinati lavori, principalmente statali. Naturalmente questa situazione era giunta, e non potremmo certo aspettarci una cosa diversa, alle orecchie della nomenclatura del capoluogo, ma forse anche colà manco s’interessavano troppo di quella zona. Un insomma che facessero quello che volevano.In mezzo a questa situazione s’inserisce la figura del nostro don Giovanni. Non si trattava certo di una persona accomodante e lo dimostrò con quelle omelie domenicali. Quelle prediche, come le chiama la gente, che non disdegnava di infarcire di qualche reprimenda verso quella nomenclatura locale che certamente non apprezzava troppo quelle attenzioni. Una situazione che da questi non aveva intensione di prendere di petto, per non creare una situazione di attrito con la Chiesa, sia pure locale.Non volevano certo avere tra le mani quel difficile problema da gestire. Magari confidando nella prima occasione favorevole in ci, approfittando di un suo passo falso avrebbero potuto sbarazzarsi del loro avversario, facendolo trasferire in altra zona. E alla fine il motivo giunse. Perché quel parroco aveva creato attorno a sé un gruppo di giovani che condividevano le sue idee. Saranno quei giovani da cui poi, in seguito, sorse quel gruppo di partigiani che avrebbe dovuto operare a Falcade, ma che ebbero vita grama per quella vicinanza a loro ingombrante dei partigiani garibaldini, di matrice comunista, di Caviola.E ora ritorniamo a quella mattinata in cui la popolazione era rimasta sbigottita davanti alla scritta. Qualcuno aveva corretto quel DIRITTO in CINGHIA, e il senso era naturalmente variato. Partì, naturalmente, una denuncia del fatto alla locale Caserma dei Carabinieri. Erano, naturalmente, partite le indagini dei carabinieri della locale Stazione. Investigazioni che, però, di là da puntare su una serie di persone che erano entrate ed uscite dal novero dei sospettati non s’erano risolte in un nulla di fatto. Ad un certo punto, tuttavia, una serie di indizi puntarono sul locale Parroco che, pertanto, venne convocato in caserma dei carabinieri. I militari ritennero, pertanto, doveroso sentire il don Giovanni Uccel per avere delle delucidazioni, in quanto aveva probabilmente intuito da che ambito era venuta quella mano che aveva effettuato la modifica della scritta murale. Solo che avrebbero dovuto prestare maggiore attenzione a che, sia pure non per loro volontà, la notizia avesse tanto clamore.Con il risultato che la querelle superò i confini del Comune, dove peraltro il sacerdote era spalleggiato dal Fol Ernesto, futuro primo Cittadino nel dopoguerra, che aveva informato il Vescovo Mons. Giosuè Cattarossi. Si trattava di una semplice convocazione che fu trasformata, nel chiaccherio locale, in un atto ben più grave? Non lo sapremo, forse, mai.Si rischiava una sollevazione popolare in difesa del parroco e l’intercessione del Vescovo portò all’immediata, chiamiamola, liberazione del religioso. I militari avevano visto bene? Questa è una domanda che non potrà mai, forse, avere una risposta definitiva. Chi afferma in senso positivo non vede certo nel parroco stesso quel writer, ante litteram, politico ma semplicemente afferma che forse l’autore della presa in giro politica si potrebbe rintracciare tra quei giovani che seguivano le idee del religioso.Resta che, forse in conformità a quel compromesso tra potere religioso e civile il sacerdote che certamente non aveva smesso la sua missione “politica” anche dopo la convocazione in caserma dei

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carabinieri, venne, inevitabilmente, rimosso dalla sua Parrocchia per partire quale Cappellano Militare nel 7° Reggimento Alpini, Battaglione Feltre.Quella nomenclatura politica locale da un lato non poteva certamente abbozzare per quella situazione, senza perdere la faccia a Belluno, e dall’altra capiva che quella era certamente l’occasione favorevole per sbarazzarsi di quel, politicamente, pericoloso prete.Don Giovanni fu inviato dapprima in Montenegro e poi in Francia a Digne. Colà, il 24 maggio del 1943, morì a causa di un incidente stradale mentre viaggiava su un camion militare. Il suo incarico fu dapprima occupato, come Vicario Sostituto, da don Cesare Pampanin e poi dal neo Parroco don Igino Serafini. Egli assunse il suo compito nel 1943 proprio in tempo per vedersi passare davanti tutta la guerra civile e quel rastrellamento dell’agosto del 1944.Quella dela scritta alterata è certo una storia lontana, una di quelle che è scomparsa dalla memoria della gente. Anche la Curia bellunese, a mia richiesta, mi ha cortesemente risposto che nulla esiste nell’archivio della Curia riguardo ai fatti sopra citati. Ormai, però, era arrivata la guerra civile. La mano non sarebbe più stata “armata” di un pennello, ma del più funesto fucile. La parola sarebbe, infatti, passata alle armi.

Figura: al centro Don Giovanni Uccel.

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______________________________________________Storie @ Storia pag. 9___

LE DUE OLIMPIADI SEGRETEDISPUTATE NEI LAGER NAZISTI

DOPO DECENNI DI RIGIDITÀPOTREBBERO ESSERE RICONOSCIUTE DAL CIO

A CURA DI AUGUSTO DELL’ANGELO

Ho sempre avuto in uggia il rigorismo burocratico dei mammasantissima.

Perciò mi ribello al fatto che il Cio (Comitato olimpico internazionale) abbia finora snobbato le due edizioni dei Giochi disputate durante la guerra nei campi di sterminio tedesco. Ora che la trentesima tornata delle Olimpiadi si disputerà a Londra dal 27 luglio al 12 agosto, va ricordato che le numero 12 e 13 furono cancellate per gli eventi bellici. Ma ebbero luogo lo stesso fra i prigionieri dei Lager. E pertanto, pur finora misconosciute, dovrebbero riavere la dignità che meritano. Teatro delle gare tre campi di prigionia al confine fra Germania e Polonia: Langwasser, Gross Born e Woldenberg.Le disputarono i reclusi di quei luoghi di morte, molti dei quali destinati alle camere a gas.In quei giorni del sonno della ragione issarono il vessillo a 5 cerchi e tennero in tal modo vivo lo spirito decoubertiano. Basterebbe questo per convincere il vertice del Cio.Scene di autentico agonismo come nel film “Fuga per la vittoria” che racconta una partita di calcio tra detenuti in un altro Lager. Anche in quel caso a far da spettatori i compagni di sventura degli atleti, con gli aguzzini incaricati del controllo. Armati fino ai denti, sulle torrette.Il Museo dello Sport di Varsavia conserva numerosi cimeli di quelle gare e ora anche quello olimpico di Losanna intende dedicarvi uno spazio, cioè ridare dignità a quelle due edizioni “clandestine” dei Giochi.Sembrano favorevoli ad alzare il velo dell’oblio anche Jacques Rogge, presidente del Cio, e l’italiano Mario Pescante, componente dello stesso organismo.Ma perché finora il vertice “a 5 cerchi” si è sempre rifiutato il riconoscimento dimostrandosi burocraticamente inflessibile?Quelle Olimpiadi nei Lager, dissero, non rispettavano i presupposti necessari: multinazionalità (ma a Langwasser, per esempio, c’erano prigionieri-atleti di 7 Paesi: Francia, Belgio, Jugoslavia, Polonia, Olanda, Gran Bretagna e Norvegia) e specialmente il fatto che i Giochi devono essere una festa della pace (e invece era in atto una guerra terribile).

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Resta comunque l’evidenza che l’unica bandiera che sventolasse in quei giorni nel mondo fosse quella nei Lager.

Testimone di quelle Olimpiadi dimenticate è uno degli organizzatori delle prove di Woldenberg: Arkadiusz Brzezicki, tenente della riserva internato all’inizio del conflitto e uscito soltanto a guerra ultimata.

Ora ha 103 anni e voller quelle prove di sport e di coraggio. Lui non potè partecipare in quanto era schermidore e l’arte nobile era una disciplina vietata.Ricorda che in quella cappa di oppressione e di brutale rigore dei nazisti il vessillo fu confezionato utilizzando uno straccio e dipingendo i 5 cerchi ad acquerello.Campi recintati da filo elettrico illuminati soltanto dalla luce dello sport. I cimeli di quelle gare, custoditi nel museo di Varsavia, ci regalano un tuffo al cuore. La bandiera, come una Sacra Sindone, è ormai sbiadita, le coppe ricavate dalle gavette, annulli postali realizzati in modo fortunoso, medaglie di cartone, gagliardetto circondato dal filo spinato: con la coppa sui generis era il premio per il vincitore.Ma com’erano le prove? Un misto di ardimento, sport e furbizia. Il tutto “condito” dalla paura.

Dopo la prima edizione, nel 1940, quattro anni dopo i tedeschi erano più morbidi: infatti avevano capito che stavano perdendo la guerra.

In questa seconda tornata fu addirittura organizzata una specie di cerimonia inaugurale con esposizione del vessillo olimpico, stavolta preparato con stracci e sciarpe donati dalla Croce Rossa.Persino qualche tedesco gli rese omaggio. Furono presenti ben 466 atleti-prigionieri.Nel timore di sommosse o di fughe, oltre alla scherma, era vietato il salto con l’asta (qualcuno poteva superare la recinzione…).Tanti gli episodi commoventi. Un ufficiale che non si era tagliato la barba dal giorno in cui era stato internato se la rasò per onorare la cerimonia inaugurale.Fu un parroco norvegese a procurare i palloni e gli attrezzi per le gare. Un altro inventò gli inni nazionali suonati di nascosto con un’armonica e, non essendo disponibile un peso regolamentare, si inventò il lancio della pietra. In pieno spirito decoubertiano non era importante vincere, ma partecipare.Per condividere quella tragedia con un momento di svago. Per occupare la mente, sentirsi vivi, per non impazzire.

Questi sono valori veri e il Cio dovrebbe collocare le Olimpiadi nei Lager nel posto che meritano.

(tratto da Periodico - Anno 5 – Numero 55 “Friulinewspaper” pagg.12-13)

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Per approfondire la tematica dei campi di prigionia si propone la lettura dell’ultima pubblicazione edita dal Centro Studi e Ricerche Storiche “Silentes Loquimur”: “Prigionieri 1943-45 Volume Sesto” di Marco Pirina.

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______________________________________________Storie @ Storia pag. 12__

LA PIRATERIA

A CURA DI MARIO CONFORTI

La pirateria è un fenomeno tanto antico quanto attuale. I pirati sono esistiti da sempre. Oggi, a parte il fascino che la storia ci ha tramandato, il fenomeno sta assumendo dimensioni preoccupanti per il suo riacutizzarsi in maniera esponenziale.

Con il termine pirateria si indica quell’attività di depredazione compiuta in danno di navi mercantili, la cui origine coincide addirittura con la nascita della navigazione. Il termine pirata deriva dal greco peiraties, ovvero “colui che cerca la sua fortuna nelle avventure”.

Già ai tempi dell’antica Grecia e durante il periodo dell’impero Romano le acque del Mar Mediterraneo venivano attraversate da predoni del mare, tanto che le città della Grecia adottarono particolari “misure di sicurezza” per difendersi dalle azioni di pirateria, arrivando anche ad attrezzare delle navi scorta. L’Egeo, con le sue migliaia di isole, era un luogo ideale per nascondersi. Ma i pirati greci non rappresentavano solo un pericolo per la stessa Grecia ma erano una vera e propria minaccia per le navi fenice che trasportavano materie pregiate come ambra, argento e rame.

Nel 1 secolo a.C. i pirati divennero un vero e proprio flagello per le navi mercantili del Mediterraneo tanto che nel 67 a.C. la flotta di Pompeo Magno riuscì ad accerchiare i pirati ma non riuscì a liberare i mari dalle scorribande dei pirati.

Pirati temuti furono anche i vichinghi. Sin da tempi remoti le tribù delle coste della Scandinavia assaltavano e depredavano i mercantili e quando cominciarono ad avventurarsi in pieno oceano fu facile per loro saccheggiare anche le coste. Le navi vichinghe erano leggere e veloci e rendevano le loro incursioni devastanti. La leggenda narra che nel XIII sec. il pirata vichingo Eustachio, detto il Monaco, avesse fatto un patto con il diavolo, che gli permettesse di rendere invisibile la sua nave. A nulla servì quando tentò di invadere l’Inghilterra; venne catturato e decapitato. Nel XIV sec. Il pirata Stortebeker era il terrore del Baltico. Per entrare a far parte della sua flotta, l’aspirante pirata doveva bere in un solo sorso un gran boccale di birra. La leggenda vuole che quando questo famigerato pirata venne catturato scoprirono che l’albero della sua nave era interamente d’oro.

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Ma i pirati più noti, quelli a cui sono dedicati racconti, storie e trasposizioni cinematografiche, sono venuti solo più tardi, con la scoperta dell’America e i conflitti di potere tra le nazioni europee. In tal senso va citato il film “Pirati dei Caraibi – La Maledizione della Prima Luna” che ha reso famoso l’attore Johnny Depp e la serie televisiva ispirata da Salgari “Sandokan e le Tigri di Mompracem”.

Il simbolo si chiama Jolly Roger, la bandiera nazionale dei pirati americani ed europei, raffigurata come due tibie incrociate sovrastate da un cranio bianco su sfondo nero. L’utilizzo era soprattutto sotto l’aspetto di guerra psicologica. Infatti l’obiettivo di un pirata era quello di catturare la nave avversaria intatta e il suo carico; sventolare il Jolly Roger era il modo per intimorire l’avversario e costringerlo alla resa senza combattere. Se la nave decideva di affrontare l’abbordaggio la Jolly Roger veniva ammainata e veniva issata, al suo posto, una bandiera rossa che indicava come la conquista sarebbe avvenuta con la forza.

Bisogna precisare che la vita a bordo, in presenza di molti marinai di riserva imbarcati per essere utilizzati quali equipaggi dei vascelli catturati, era piena di contrasti. Il lavoro a bordo non mancava per la costante manutenzione della nave. Ma tra una scorreria e l’altra trascorrevano interminabili settimane di noia animate dalle numerose risse tra membri della ciurma. Ecco perché il capitano doveva incutere non solo rispetto ma anche paura. Vi era il divieto di giocare d’azzardo e l’obbligo di provvedere al lavaggio della propria biancheria.

Vi furono anche donne pirata che si vestivano, bevevano, combattevano e bestemmiavano come gli uomini. Le due più famose passate alla storia furono l’inglese Mary Read e l’irlandese Anne Bonny.

Diversi sono i termini usati nel tempo per indicare i pirati:

• pirateria: indica l’attività di quei marinai, denominati pirati che, abbandonando per scelta o per costrizione la precedente vita sui vascelli mercantili, abbordano, depredano o affondano le altre navi in alto mare o nei porti, sui fiumi o nelle insenature;

• bucanieri: (detti anche Fratelli della Costa) nel XVII sec. alcuni coloni di varia origine europea occuparono l’isola di Tortuga, vicina a Santo Domingo. Questo lembo di terra dalla forma di tartaruga divenne il più noto covo della storia dei pirati. Dall’usanza di cuocere la carne sopra il braciere chiamato boucan nella lingua indigena i pirati che infestavano questa zona vennero chiamati bucanieri. Questi erano esseri feroci, impavidi e incuranti della morte. Uno dei più famosi fu Henry Morgan, passato alla storia come il pirata Morgan;

• filibustieri: alcuni pirati della Giamaica, con base a Port Royal, soprattutto di origine inglese, venivano chiamati nel 1674 (data in cui re Carlo II nominò Sir Henry Morgan e vicegovernatore della Giamaica, dove divenne proprietario terriero) freebooters (inglese saccheggiatori) dall’olandese vrijbuiter (vrij=libero buiter=bottino) che in lingua italiana si trasformerà in filibustieri;

• Saraceni: i famosi pirati Mussulmani del Mar Mediterraneo;• Corsari: persone al servizio di un governo, cui cedevano parte degli utili, ottenendo in

cambio lo status di combattente (lettera di corsa) e la bandiera (che lo autorizzava a

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rapinare solo navi mercantili nemiche e ad uccidere persone ma solo in combattimento). In origina la “lettera di corsa e rappresaglia” era un’autorizzazione del sovrano, concessa al proprietario di un mercantile, con la quale si prevedeva che, nel caso in cui la nave o il carico andassero rubati o distrutti, il mercante potesse reagire attaccando a sua volta il nemico per rifarsi delle perdite. In un secondo momento i governi si resero conto che questo poteva essere un mezzo efficace per contrastare i commerci delle potenze rivali in tempo di guerra. Molte navi corsare furono armate da società private. Famosi furono i corsari inglesi sir Francis Drake e Henry Morgan che assaltavano i porti spagnoli nelle Americhe e attaccavano i galeoni carichi di oro ed argento diretti verso la Spagna. Non tutti sanno che Giuseppe Garibaldi praticò per un certo periodo la “guerra di corsa” in Sudamerica. Famoso fu l’ammiraglio ottomano, della marina da guerra di Istanbul, Khayr al Din Barbarossa. Durante i due conflitti mondiali passarono alla storia navi militari tedesche che compirono azioni contro il naviglio delle nazioni considerate nemiche. In alcuni casi si trattava di navi dall’origine militare come la SMS Emden e la SMS Mowe (1^ guerra mondiale) e la Admiral Graf Speed (2^ guerra mondiale). In altri casi si trattava di navi mercantili poi armate e camuffate per passare inosservate; la più famosa è la SMS Atlantis. Gli Inglesi per arginare questo fenomeno diedero ordine di lanciare il segnale “QQQ” all’atto di essere attaccati da dette navi, distogliendo numerose navi da guerra per la ricerca di questi “corsari”;

• Stati Barbareschi (Algeri, Tripoli e Tunisi): pirati profughi della Penisola Iberica, che praticavano la guerra di corsa nei confronti delle navi provenienti da Venezia e Genova..

La pirateria nel senso più antico del termine prosperò per circa tre millenni, le guerre di corsa si conclusero nel XIX secolo anche grazie all’avvento delle navi a vapore e delle navi della marina Inglese e Statunitense ce per la loro velocità riuscivano a battere le navi pirata che facevano ancora affidamento sulla propulsione a vela.

Tuttavia la pirateria è ancora un fenomeno attuale: i pirati del Terzo Millennio non sono poi così diversi dai feroci corsari di un tempo, solo che invece di usare le spade hanno a disposizione armi da fuoco e imbarcazioni potentissime; inoltre non usano più la famosa bandiera.

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______________________________________________Storie @ Storia pag. 15__

NOVITÀ EDITORIALE:

Autore: Marco CesselliFormato: cm 16×22Pagine: 174

Il 7 febbraio 1945 due formazioni di GAP garibaldini del Friuli, dipendenti da uno stesso Comando, quasi nelle stesse ore furono protagoniste di due ben diverse azioni di guerra: mentre a Udine 21 gappisti attaccavano audacemente le locali carceri e ne sgominavano, senza subire perdite, il munito presidio liberando così tutti i prigionieri politici ivi rinchiusi, a poco più di 20 chilometri a nord e precisamente nelle malghe di Porzûs tra Faedis e Attimis, un distaccamento gappista di 100 uomini catturava un intero Comando delle Divisioni Osoppo (formazioni partigiane facenti capo alla Democrazia Cristiana e al Partito d’Azione) e lo passava per le armi sotto l’accusa di attesismo e intesa col nemico.

Diciassette gli osovani uccisi “da mano fraterna nemica”: due gli scampati.

Viene qui ricostruita la storia di questo episodio, fra i più amari della Guerra di Liberazione ma assai illuminante per capire quali furono gli aspetti più contraddittori e drammatici della nostra Resistenza.

Riedizione integrale del libro datato 1975

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