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Prof. Monti – classe IV – l'Europa al bivio – a.s. 2016 - 2017 1 L’Europa al bivio 0. per iniziare - Invece di cominciare subito con la ripresa del nostro percorso storico, proviamo a tratteggiare, attraverso uno sguardo d’insieme, un quadro generale relativo ai secoli dell’epoca moderna. Quello che faremo sarà dunque di provare a dipingere una sorta di sfondo - alcuni dei tratti più generali di un’epoca, certo non tutti! - sopra al quale potremo poi disporre come figure gli avvenimenti di maggior rilievo. In questo modo vedremo che, fra il ’500 e l’800, vecchio e nuovo, tradizione e modernità non solo si combattano in forza di ragioni tanto solide quanto antitetiche, ma mirino talvolta a fondersi in una sintesi originale. Il (forse) inevitabile fallimento di questo ambizioso tentativo spalancherà le porte alla contemporaneità. 1. Brevissima ripresa - Giacomo I Stuart diventa re di Inghilterra nel 1603, inaugurando quella “sfortunata” dinastia che vedrà uno dei suoi membri, meno di cinquant’anni dopo, morire giustiziato: Carlo I, nel 1649. - Avete discusso lo scorso anno dei difficili rapporti fra Giacomo I e, successivamente, Carlo I e il Parlamento inglese (Camera dei Lord e Camera dei Comuni). Ricorderete che vi erano anche numerosi problemi in ambito religioso, in particolare rispetto alla difficile convivenza fra cattolici, anglicani e presbiteriani scozzesi. - Il Parlamento, dopo aver costretto alla fuga il cattolico Giacomo II, offrì la corona allo Statolder (presidente della repubblica) d’Olanda, Guglielmo III d’Orange (re nel periodo 1689-1702), protestante che aveva sposato una figlia di Giacomo II. Guglielmo, all’atto dell’incoronazione, dovette giurare di rispettare una Dichiarazione dei diritti che prevedeva alcune fondamentali garanzie: libertà dell’individuo, libertà di stampa e di espressione, libertà di culto all’interno della fede riformata, prerogative del Parlamento in relazione alle imposte e al potere legislativo. - In un secolo si passò, attraverso due rivoluzioni, dalla “classica” monarchia assolutistica per diritto divino ad una monarchia parlamentare. Sovrana in senso stretto divenne la legge e non più il re. Si trattava, in Europa, di una vera e propria eccezione, ripetuta solo nelle Province Unite d’Olanda (stato repubblicano). Occorre però non esagerare i caratteri democratici di questo Paese: occorre ricordare che il Parlamento inglese rappresentava solo gli strati più elevati della società e che progetti di introduzione del suffragio universale maschile erano stati del tutto accantonati. 2. Sostare al bivio - Volendo fare una rapida ricognizione di quanto avete studiato lo scorso anno, avrebbe certamente notevole rilievo, fra la metà del 1500 e la metà del 1600, il nuovo autoritarismo caratterizzante i

1 - la cultura europea al bivio · - Invece di cominciare subito con la ripresa del nostro percorso storico, ... sotto il titolo di Rivoluzione scientifica, ... nella Divina Commedia

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Prof. Monti – classe IV – l'Europa al bivio – a.s. 2016 - 2017

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L’Europa al bivio

0. per iniziare - Invece di cominciare subito con la ripresa del nostro percorso storico, proviamo a tratteggiare, attraverso uno sguardo d’insieme, un quadro generale relativo ai secoli dell’epoca moderna. Quello che faremo sarà dunque di provare a dipingere una sorta di sfondo - alcuni dei tratti più generali di un’epoca, certo non tutti! - sopra al quale potremo poi disporre come figure gli avvenimenti di maggior rilievo. In questo modo vedremo che, fra il ’500 e l’800, vecchio e nuovo, tradizione e modernità non solo si combattano in forza di ragioni tanto solide quanto antitetiche, ma mirino talvolta a fondersi in una sintesi originale. Il (forse) inevitabile fallimento di questo ambizioso tentativo spalancherà le porte alla contemporaneità.

1. Brevissima ripresa - Giacomo I Stuart diventa re di Inghilterra nel 1603, inaugurando quella “sfortunata” dinastia che vedrà uno dei suoi membri, meno di cinquant’anni dopo, morire giustiziato: Carlo I, nel 1649. - Avete discusso lo scorso anno dei difficili rapporti fra Giacomo I e, successivamente, Carlo I e il Parlamento inglese (Camera dei Lord e Camera dei Comuni). Ricorderete che vi erano anche numerosi problemi in ambito religioso, in particolare rispetto alla difficile convivenza fra cattolici, anglicani e presbiteriani scozzesi. - Il Parlamento, dopo aver costretto alla fuga il cattolico Giacomo II, offrì la corona allo Statolder (presidente della repubblica) d’Olanda, Guglielmo III d’Orange (re nel periodo 1689-1702), protestante che aveva sposato una figlia di Giacomo II. Guglielmo, all’atto dell’incoronazione, dovette giurare di rispettare una Dichiarazione dei diritti che prevedeva alcune fondamentali garanzie: libertà dell’individuo, libertà di stampa e di espressione, libertà di culto all’interno della fede riformata, prerogative del Parlamento in relazione alle imposte e al potere legislativo. - In un secolo si passò, attraverso due rivoluzioni, dalla “classica” monarchia assolutistica per diritto divino ad una monarchia parlamentare. Sovrana in senso stretto divenne la legge e non più il re. Si trattava, in Europa, di una vera e propria eccezione, ripetuta solo nelle Province Unite d’Olanda (stato repubblicano). Occorre però non esagerare i caratteri democratici di questo Paese: occorre ricordare che il Parlamento inglese rappresentava solo gli strati più elevati della società e che progetti di introduzione del suffragio universale maschile erano stati del tutto accantonati.

2. Sostare al bivio - Volendo fare una rapida ricognizione di quanto avete studiato lo scorso anno, avrebbe certamente notevole rilievo, fra la metà del 1500 e la metà del 1600, il nuovo autoritarismo caratterizzante i

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conflitti religiosi – si può, in relazione al periodo, parlare dell’esistenza di “Stati confessionali” – che sembrano annullare la sensibilità laica emersa con Umanesimo e Rinascimento (basti pensare ad una figura come quella di Erasmo da Rotterdam). L’importanza della religione appariva in quell’epoca ben maggiore e ben diversa rispetto a quanto non accada oggi. Pensiamo alla Riforma luterana (e anche alle altre riforme in campo religioso!) e a tutto ciò che ne scaturì in ambito sociale e politico. - Diciamo che dalla Pace di Augusta, del 1555, sino alla pace di Westfalia, del 1648 si può parlare di “secolo delle guerre di religione”. In quali altri modi potremmo caratterizzare questo secolo? Altri elementi essenziali furono:

1) le nuove rotte del commercio (il ‘600 è, come sapete, il grande secolo dell’espansione olandese) che favorirono i contatti degli europei con mondi e abitudini nuove;

2) tra la metà del ‘500 e l'inizio del ‘700 l’imporsi delle cosiddette scienze positive (fisica, chimica, biologia, matematica, ecc.) con la prima diffusione della idea di progresso come noi ancora oggi lo intendiamo. Queste importanti novità, che possiamo genericamente porre sotto il titolo di Rivoluzione scientifica, non si impongono senza che la cultura “tradizionale” reagisca con forza: a questo riguardo i casi di Giordano Bruno e Galileo Galilei, cui faremo cenno, sono emblematici;

3) L’emergere di nuove teorie relative alla costituzione della società e al fondamento del potere politico, giusnaturalismo e contrattualismo (vedremo poi che cosa questi termini significhino) avranno un'enorme importanza, soprattutto in relazione alla Rivoluzione americana e alla successiva Rivoluzione francese;

4) Di grande importanza fu anche l’ampliarsi di pratiche che noi definiremmo “barbare” e “superstiziose”, “medievali” (anche se il Medioevo era finito da un pezzo!) come la caccia alle streghe e i relativi processi e, più in generale, il clima di intolleranza e sospetto che permeò buona parte del ‘600.

Questi elementi – significativamente di segno opposto, con “progresso” e “regresso” – ci giustificano nel dire che i primi secoli della modernità sono quelli in cui l’Europa si trova di fronte ad una sorta di bivio: da una parte si continua a guardare con nostalgia al passato, ai capisaldi di una cultura che comincia a mostrare delle evidente crepe, dall’altra sempre maggiori novità lottano per farsi spazio e ottenere riconoscimento.

3. Dogmatismo religioso e pensiero scientifico

A questo riguardo qualche breve esempio sarà sufficiente a rendere l’idea (tratteremo alcuni dei personaggi qui solo accennati in modo più approfondito in filosofia): - Siamo nell’anno 1600: il celebre filosofo Giordano Bruno, a Roma, viene arso vivo dalle autorità ecclesiastiche a causa delle sue idee innovative in campo cosmologico e del suo rifiuto di ritrattarle. Nello stesso periodo, un altro filosofo italiano, Tommaso Campanella, viene imprigionato per eresia e si salva solo fingendosi pazzo, resistendo alle peggiori torture. Galileo Galilei viene a conoscenza di tutti questi fatti...

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- Anno 1633: Galileo Galilei, è costretto all’abiura di fronte ai cardinali che l’hanno processato e ritenuto colpevole: quello di Galileo non fu un pentimento sincero, ma un quasi inevitabile atto di sottomissione. Già nel 1616 la difesa del sistema eliocentrico di Copernico (risalente al 1543) gli era costata un’ammonizione e una diffida. Con l’ascesa di Papa Urbano VIII (1623), suo antico estimatore, Galileo sperava di trovare maggiore tolleranza, ma si sbagliava... Egli morirà ad Arcetri (Toscana), in esilio, nell'anno 1642 e verrà sepolto senza cerimonie. - Sempre nel 1633: il filosofo e scienziato René Descartes (Cartesio) conosce bene la vicenda legata a Galileo e rinuncia alla pubblicazione di un suo trattato, ove difendeva vigorosamente il moto della Terra. Sia chiaro: non solo il cattolicesimo, ma anche le religioni riformate non tardano a condannare le nuove idee copernicane. Il divieto di trattare del moto della Terra verrà revocato, da parte della Chiesa Cattolica, solo nel 1755. Perché questo “accanimento”? Vediamo...

4. Una nuova visione dell’universo - La teoria geocentrica aveva, come ben sapete, radici millenarie ed era stata sistematizzata prima da Aristotele e poi da Tolomeo, raggiungendo un alto grado di complessità e raffinatezza matematica, per poi essere fatta propria dai Padri della Chiesa: questa teoria pareva infatti, in linea di massima, confermata dalle Sacre Scritture, inoltre ben si integrava con la concezione gerarchica e antropocentrica del mondo propugnata dalla Chiesa. - Abbiamo già avuto modo di vedere, lo scorso anno, in cosa consistesse questa visione, ma diamone comunque un breve riassunto. A un perfetto ed eterno mondo celeste, cui Dio corrisponde analogicamente, faceva da contrasto il mutevole e imperfetto mondo terrestre, cui corrisponde l’altrettanto imperfetto essere umano (il quale però, ricordiamolo, era comunque pensato come centro e fine della creazione, fatto com'era ad “immagine e somiglianza” di Dio). Questa è la stessa visione che troviamo proposta, per esempio, nella Divina Commedia di Dante Alighieri. La Terra è al centro del mondo perché è la dimora dell’uomo, che è il centro e culmine di tutta la creazione. - Galileo e molti altri filosofi, con le loro osservazioni teoriche e sperimentali, contribuivano a smentire il geocentrismo e l’ideologia di cui sopra, avvalorando l’ipotesi di Copernico. Anche gli astri sono fatti di comune materia, opaca e irregolare, non di luminoso e liscio etere. Viene a cadere ogni distinzione qualitativa tra i Cieli e la Terra, presupposto fondamentale per una trattazione scientifica di carattere quantitativo. Il Sole, e non la Terra, costituisce il centro (del sistema): si passa così dal geocentrismo all’eliocentrismo. Infine, cosa ancora più sconvolgente, si assiste all’affermazione che il sistema solare non esaurisce affatto l’universo nella sua interezza, ma ne costituisce solo una minuscola parte (Giordano Bruno). L’argomento dell’infinità dell’universo (che, più avanti, sarà recuperato in termini positivi, ovvero come “prova” evidente dell’immensa grandezza di Dio) rende molto più difficile il tentativo di sostenere una visione gerarchica dello stesso. In particolare: che fine fa l'uomo in un universo infinito? Qual è il suo posto?

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Almeno in parte, l’idea di un universo costruito da Dio al solo scopo di servire l’uomo, un universo “su misura” insomma, risulta poco credibile alla luce delle nuove teorie. Le parole che seguono, parole del celebre filosofo e scienziato Blaise Pascal, rendono bene l'idea di quanto l'immensità dell'universo potesse risultare inquietante in relazione all'importanza dell'uomo nel mondo:

“ Non so chi mi abbia messo al mondo, né cosa sia il mondo, né che cosa io stesso. Sono in un’ignoranza spaventosa di tutto... Vedo quegli spaventosi spazi dell’universo, che mi rinchiudono; e mi trovo confinato in un angolo di questa immensa distesa, senza sapere perché sono collocato qui piuttosto che altrove, né perché questo po’ di tempo mi è dato... Da ogni parte vedo soltanto infiniti, che mi assorbono come un atomo e come un’ombra che dura un istante, e scompare poi per sempre. Tutto quel che so è che debbo presto morire; ma quel che ignoro di più è, appunto, questa stessa morte, che non posso evitare ”

- Attenzione: Galileo, così come tutti i pensatori dell’epoca, non era certo ateo, anzi! Nel difendersi egli cercò di far vedere come le verità di fede e le verità scientifiche si potessero conciliare: a suo avviso la Sacra Scrittura non può errare, ma può essere sbagliata la sua interpretazione: questo accade anche perché la Bibbia non è certo stata scritta solo per uomini colti, ma anche per essere compresa da persone ignoranti, insomma dalla gente comune. È proprio per farsi capire da tutti, che le Sacre Scritture utilizzano, dice Galileo, molte immagini e metafore, dunque essa non va intesa alla lettera! Il mondo naturale invece, pur provenendo anch’esso da Dio, esattamente come la Scrittura, non si cura della doti di comprensione degli uomini, quali che siano e l’unico modo per comprenderlo è quello di utilizzare il linguaggio della scienza moderna, la matematica. La conclusione che occorre trarre da tutto ciò, suggerisce Galileo, è che chi interpreta la Scrittura deve farlo in modo da accordarsi con le scoperte della scienza. Nonostante le sue precauzioni, pare che Galileo di fatto sminuisca la Scrittura, trasformandola in una sorta di fonte storica, dunque discutibile, come tutte le altre. La Chiesa del tempo riteneva di non poter accettare questo fatto, dato che continuava a proporsi come la depositaria unica della parola di Dio, cioè della Verità.

5. Cultura e società tra ‘500 e ‘600

- La “nuova cultura”, cui abbiamo fatto cenno, si trova in grave difficoltà fra ‘500 e ‘600 a causa dei conflitti religiosi e del connesso radicalismo. Come abbiamo appena visto, molti intellettuali dell’epoca sono costretti a fare un “passo indietro” rispetto al Rinascimento. Dalla Riforma di Trento in poi il clima culturale è cupo e repressivo: non emerge più la fiducia nell’uomo caratterizzante il Rinascimento, ma la subordinazione dell’uomo a Dio. - Un contrasto analogo si ritrova nell’ambito della filosofia politica: la nuova centralità della religione porta molti alla condanna del pensiero di Machiavelli (che aveva teorizzato l’autonomia della politica...), mentre altri vedono lo Stato come puro apparato di potere secolare (Jean Bodin, Thomas Hobbes) che si pone al di sopra di tutte le fazioni, anche di quelle religiose. - Già nel corso del ‘500, la rottura dell’unità cristiana aveva evidenziato il problema della legittimazione del’autorità sovrana. In particolare fu in Francia, dilaniata dalle guerre di religione, che si fece strada la teoria dei “monarcomachi”: la resistenza nei confronti di un re tiranno è legittima e giusta.

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A questi si contrapposero i cosiddetti “politici”, i quali sostenevano la necessità di un rafforzamento del potere sovrano. - È in questo contesto che Jean Bodin (1530 – 1596) scrisse la sua opera monumentale, Sei libri della repubblica, nella quale definisce la sovranità come il “potere assoluto e perpetuo che è proprio dello Stato”. La sovranità è assoluta – a dire che il sovrano è sciolto (absolutus) da ogni vincolo nell’esercizio del suo ruolo, né è tenuto al rispetto delle leggi – né può essere messa in dubbio o essere sottratta da chicchessia. Il potere assoluto, a parere di Bodin, avrebbe costituito un antidoto contro il caos minacciato dalle continue guerre. Ecco che al sovrano spetta anche il potere legislativo (oltre a quello esecutivo) e il diritto di vietare ogni controversia religiosa. Vi sono solo alcuni limiti: verso il basso il rispetto della proprietà privata e del bene comune, verso l’alto il rispetto della cosiddetta “legge divina” e di quella naturale. - In Italia, un ex gesuita di nome Giovanni Botero (1544 – 1617) coniò la ben nota espressione “ragion di Stato” nell’opera omonima del 1589. Questa “ragione” si riferisce a tutte le pratiche necessarie alla conservazione dello Stato medesimo, anche a discapito di ragioni etiche: una azione politica, infatti, non deve essere valutata in se stessa come giusta o sbagliata, ma solo in rapporto al fine perseguito. Insomma: se un’azione di per sé ingiusta (censura, persecuzione per motivi politici o religiosi, ecc.) può condurre alla salvezza dello Stato – da lui identificato senz’altro con il bene dei “cittadini” – ecco che essa diviene lecita. - I giusnaturalisti, nel corso del ‘600 elaborarono una serie di dottrine intorno a due concetti ripresi dalla classicità e dal mondo medievale: il diritto naturale e il contratto sociale. Il primo, stabilisce che per natura, quindi prima della costituzione di ogni società regolata da leggi, ogni uomo è dotato di alcuni diritti inalienabili: sono buoni esempi la protezione della propria vita e quella dei propri interessi. Il contratto sociale, invece, è quel patto volontariamente sottoscritto dagli uomini che avrebbe dato origine a tutti gli Stati. Alla base del patto c’è l’utilità collettiva, utilità che il sovrano ha il dovere di perseguire. Una simile idea potrebbe apparirci come scontata, ma si trattava di un principio davvero rivoluzionario: il sovrano non è tale a partire dalla volontà di Dio, ma a partire dal consenso del popolo. Questi due concetti furono sviluppati in direzioni non solo diverse, ma addirittura opposte! Il primo esempio è quello di Thomas Hobbes (1588 - 1679) che giunge alla teorizzazione dello Stato assoluto, il secondo è quello di John Locke (1632 – 1704) che conclude allo Stato liberale. In estrema sintesi: Hobbes: concezione pessimistica dell’uomo (bramosia naturale e ragione naturale) à si giunge alla “guerra di tutti contro tutti” (homo homini lupus) à si pone rimedio cedendo ogni diritto ad una autorità suprema, una “persona artificiale” (lo Stato, detto anche “Leviatano” o “Dio mortale”) Locke: nello stato di natura non c’è guerra perenne, ma instabilità (perché manca un’autorità che possa stabilire torti e ragioni) à gli individui trasferiscono allo Stato un solo diritto fondamentale: quello di farsi giustizia da soli à questo fa sì che il contratto sociale non sia irreversibile e che il potere dello Stato sia separato in differenti organi. In ogni caso, hanno la preminenza la libertà e i diritti individuali.

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6. Religione e politica in un’epoca di transizione - Quanto abbiamo detto sin qui riguarda, di fatto, solo le élite intellettuali: il popolino incolto viene poco o per nulla toccato da tutte queste discussioni. Come in ogni epoca storica, la cultura popolare ha caratteri suoi propri, peculiari, spesso anche assai lontani da quelli della cultura ufficiale. Lo scorso anno abbiamo parlato anche di questo, quindi limitiamoci a pochi cenni. - La religione popolare della campagne, per esempio, continua ad essere ricca di credenze derivate dalla cultura pagana: riti di fertilità del terreno, credenze nella magia e nelle forze della natura, di volta in volta benigne o malefiche, processioni e rituali per invocare la pioggia o il bel tempo... - La caccia alle streghe tocca il suo apice, in tutta Europa, tra il 1580 e il 1640: molte migliaia di donne vengono messe al rogo. La Chiesa, nel tentativo di continuare ad imporre la propria visione tradizionale, talvolta nutre e sostiene queste credenze popolari, anche assolutizzando il nemico: non redimibile, non convincibile, solo da distruggere... Il male diviene quasi uno sfondo oscuro contro il quale possa campeggiare, con maggior chiarezza, l’esempio positivo della legge stabilita, tradizionale, da obbedire in piena sicurezza e senza discussioni. - Si pensi anche alla caccia agli untori, favorita dalle pestilenze, ancora frequenti nel ‘600. - Ricordiamo anche la persecuzione degli Ebrei.

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Introduzione all’Illuminismo "L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare solo a se stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Sapere aude!" Immanuel Kant (fine ‘700) "L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l'obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata splende all'insegna di trionfale sventura" Max Horkheimer e Theodor W. Adorno (Dialettica dell'illuminismo, 1947)

1. DIFFUSIONE E CONSUMO DELLA CULTURA: ASSOCIAZIONI, PERIODICI, LETTURA Il Secolo dei Lumi fu il secolo dei salotti, club, dei gabinetti di lettura, tea-houses e coffee-houses, delle associazioni nate per il miglioramento delle scienze o dell’agricoltura... Un po’ ovunque le persone colte cominciarono a riunirsi per discutere, leggere e commentare il contenuto di riviste (stabilmente stampate dalla fine del ‘600 in poi). Chi sono i convenuti? Nobili, mercanti, ecclesiastici, professionisti: in questi salotti tutti i partecipanti sono eguali, diversamente da quanto accade fuori, nel mondo. Si formò una microsocietà, egualitaria e protesa verso il nuovo, all’interno della macrosocietà, ancora fortemente legata a vecchi modelli culturali. Durante il ‘700 in tutta Europa, soprattutto nelle grandi città, nacquero associazioni laiche che si diedero il compito di diffondere la cultura tramite la libera socializzazione. In cambio di una quota annuale, i soci avevano accesso a biblioteche ben fornite e riviste in quantità: tutto materiali su cui discutere. - Un altro fattore (che accenniamo solamente) che contribuì alla diffusione delle nuove idee fu la massoneria. Si tratta di un’associazione segreta, fondata in Inghilterra attorno al 1720, che ben presto si diffuse in tutta Europa perseguendo ideali di tolleranza universale. - I ceti, o corpi, lo sappiamo, erano piuttosto chiusi: aristocratici, mercanti e artigiani, uomini di cultura, ecclesiastici. Ogni corpo costituiva un gradino a se stante della scala gerarchica sociale, un sistema basato, nel complesso, sulla ineguaglianza dei diritti. L’appartenenza a un corpo era fondamentale per garantirsi dei diritti: oggi chiamiamo quei diritti col nome di “privilegi”, ma all’epoca si parlava di “libertà”, come ben sapete. La libertà non era basata sull’uguaglianza, ma, anzi, rappresentava il possesso di qualche diritto peculiare e specifico, qualcosa di cui non tutti potevano godere.

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Con le nuove istituzioni di socializzazione questi mondi separati hanno la possibilità di mescolarsi: almeno all’interno del circolo, tutti erano eguali. Comincia così a formarsi una società nella società, una società basata su regole nuove e diverse, dove il rango come valore lascia posto al merito individuale. Si trattava di “isole” di uguaglianza e libertà, piccole repubbliche aperte a chiunque potesse permettersi di pagare la quota e fosse possessore di una sufficiente cultura: per lo meno saper leggere e scrivere, magari in più lingue. Occorre comunque fare attenzione: non dobbiamo formarci un’immagine troppo idilliaca dell'Illuminismo, infatti le caratteristiche appena citate erano possedute da un numero assai limitato di persone! È comunque assai significativo il fatto che, fra 1680 e 1780, il numero delle persone capaci di leggere aumentò di dieci volte. Si trattava sempre di una piccola minoranza della popolazione, certo, ma il cambiamento fu netto. In genere, nell’Europa cattolica l’alfabetizzazione fece progressi più lenti rispetto ai paesi aderenti a qualche fede riformata (si ricordi, a questo riguardo, l’importanza del principio luterano della “libera interpretazione”: il fedele deve accostarsi direttamente alle Sacre Scritture, senza essere obbligato ad avvalersi della mediazione del clero). Pochi i lettori, dunque, ma in grande aumento; pochi in grado di aderire a queste associazioni culturali, ma il fenomeno fu comunque assai importante ed esteso se paragonato a quanto scarsa fosse la circolazione dell’alta cultura sino a quel momento. Naturalmente le persone appartenenti a diversi corpi sociali avevano anche prima l’opportunità di incontrarsi, in particolare in occasione delle cerimonie religiose. Grandi erano però le differenze fra le due situazioni: in chiesa si stava passivamente in ascolto della parola di Dio, quindi le distanze permanevano inalterate. Nei gabinetti culturali si era invece protagonisti attivi della discussione e questo favoriva il mescolarsi delle persone. La socializzazione, poi, consentiva l’orgoglioso sfoggio delle virtù personali, soprattutto le capacità intellettuali, cosa che normalmente non poteva accadere. L’interesse maggiore, nel ‘700, si concentrava sulle acquisizioni delle scienze, la nuova frontiera del pensiero filosofico. Ampia fu anche la discussione relativa ai contrasti fra ragione e fede.

2. SCIENZA E FILOSOFIA FRA ‘600 E ’700 Nel ‘600 le “parole d’ordine” della scienza, come vedremo meglio in filosofia, riguardavano i nuovi strumenti tecnici (per esempio il cannocchiale, il barometro, il termometro, ecc.) e il metodo scientifico/sperimentale, metodo che porta a numerose scoperte che contraddicono direttamente il dettato della tradizione e della religione. Inghilterra e Olanda erano, all’epoca, i paesi ove gli scienziati avevano maggior libertà di azione e di espressione. Il metodo scientifico trovò nel concetto di “esperimento” uno dei suoi dati fondanti. Il filosofo inglese Francis Bacon attribuiva enorme rilievo alla pratica, sostenendo che i fenomeni della natura vanno osservati (con opportuni strumenti) e classificati, per poi formulare ipotesi da verificare tramite la sperimentazione. Nel ‘700 gli scienziati e i loro risultati cominciarono a destare l’interesse di un più vasto pubblico. La “vocazione sperimentale” cominciò a divenire “patrimonio comune”, talvolta anche al prezzo di alcune semplificazioni e banalizzazioni. Tutto questo interesse, comunque, favorì l’applicazione pratica delle scoperte scientifiche. In effetti, al “pubblico colto” interessavano soprattutto i risvolti pratici: tecniche agrarie, macchine, cure mediche, ecc. Oltre che per i suoi risvolti pratici, la scienza interessava però anche come strumento di critica in ambito politico-sociale e religioso. Per esempio, l’autoritarismo di

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cui abbiamo tanto parlato in relazione al ‘600 (pensate alla figura di Luigi XIV), comincia ad essere sentito come mortificante della libertà e intelligenza umana. La riflessione filosofica viene, in questo periodo, orientata con forza anche contro il potere della tradizione culturale (anche filosofica!) e del dogma religioso. - centri di diffusione della cultura: salotti, ecc. - Interesse verso la divulgazione, che diventa quasi un dovere morale (cosmopolitismo), un compito del dotto: la ragione che illumina le tenebre del dogmatismo, della ignoranza, della superstizione... - Ecco che, al di là dei suoi contenuti (interesse per la scienza e, soprattutto, per gli aspetti più pratici), la cultura diviene strumento di critica politica e religiosa.

3. DALLA FILOSOFIA ALLA CRITICA DELLA SOCIETÀ Gli illuministi sostenevano che, alla base della ragione (che è quel “Lume naturale” a tutti comune, da guardare come guida dell’agire di ogni uomo) c’è l’esperienza sensibile (è questo, il “sensismo” di Condillac: la sensazione fisica sta alla base di ogni sapere): è quanto D’Alembert scrive nell’introduzione alla celebre Enciclopedia. Solo l’osservazione sperimentale, si pensa, può dare cognizione esatta delle cose. Il connubio di ragione e di esperienza, come gli scienziati del ‘600 avevano illustrato tramite i loro successi, costituiva per i philosophes la strada maestra del progresso del genere umano. Altri illuministi, più radicali (La Mettrie, Helvétius, d’Holbach) , partendo da questo presupposto sensista giungevano a sostenere che non esiste nulla se non la materia (materialismo), si spingevano, così, a negare idee ormai consolidate da molti secoli, idee come quelle di “anima” e di “Dio” (ateismo)! Per d’Holbach la parola “creazione” è priva di senso: la materia, come voleva Aristotele, esiste da sempre e l’universo è una “catena ininterrotta di cause ed effetti”. Un altro filone di pensiero illuminista fu quello utilitaristico e individualista, che sottolineava l’importanza della felicità terrena, dunque del piacere contro il dolore (Hume, Bentham, Beccaria). Dalla equilibrata ricerca dell’utile personale, poi, può derivare “la massima felicità per il maggior numero di persone”. Ogni individuo deve essere libero di inseguire la propria felicità, in ogni campo. Nel campo dell’economia, questo significa che la funzione dello Stato è solo quella di eliminare ogni vincolo alla libera contrattazione e attività economica. Il mercato non ha bisogno di essere governato, ma si regola naturalmente grazie alle leggi naturali della domanda e dell’offerta. Una naturale "mano invisibile", sostiene Smith, fa sì che l'azione di ciascuno vada al di là delle intenzioni dell'individuo, spesso egoistiche, contribuendo al benessere generale. Questo è il liberismo di Adam Smith, così come viene espresso nel suo testo "Ricerche sopra la natura e la causa della ricchezza delle nazioni". A gettare le basi della teoria liberista di Smith (contro il sistema tradizionale delle corporazioni) fu, in Francia, la scuola fisiocratica (Francois Quesnay), la quale individuava nell’agricoltura la fonte di ogni ricchezza. Alla base di tutto ci sarebbe la libera circolazione delle derrate agricole. Si tratta, nel complesso, di una visione dell’uomo ottimistica, un uomo teso alla conquista di una felicità terrena, dove il bene coincide con l’utile. Al progresso umano, all’opera di rischiaramento, certo si oppongono i limiti della nostra natura, limiti che però, almeno in parte, si possono ridurre (per esempio allungando la durata della vita). Si

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ritiene, in generale, che la debolezza dell’uomo non derivi però solo dalle malattie e della morte, ma anche da molte istituzioni umane, oltre che dal fanatismo. Agli occhi degli illuministi, la storia passata appare sovente come una infinita serie di crimini e inutili violenze, causate dall’oscuramento della ragione. Pensiamo, per esempio, alle guerre di religione, alle morti e distruzioni che esse causarono... - Fu in particolare Voltaire a scagliarsi contro il fanatismo. Si pensi al caso di Jean Calas – un Ugonotto torturato e condannato a morte (1762) per motivi religiosi: il Trattato sulla tolleranza che Voltaire scrisse proprio in quell’occasione, nel 1763, e la sua campagna di propaganda contro ogni sorta di pregiudizio religioso giunsero addirittura a far sì che il caso venisse riaperto, Calas riabilitato e la sua famiglia indennizzata. - Gli illuministi non materialisti, non atei, ricavavano dai loro studi storici il rifiuto di una religiosità imposta dall’alto, alimentando una fede personale e interiore, informata solo dalla propria ragione. Questo è il deismo (elaborato dall’inglese John Toland): esso propone una religiosità che non abbisogna di alcuna chiesa, di alcun precetto, di alcuna rivelazione, ma solo della ragione (la ragione è sufficiente a dimostrare o almeno ad indicare come probabile, secondo molti autori, l’esistenza di un Dio creatore e ordinatore della natura). Toland riteneva che le diverse religioni avessero un nucleo comune – la cosiddetta “religione naturale” contro la “religione positiva” o “rivelata” – la quale faceva comprendere a chiunque l’esistenza di un Dio creatore, tanto del mondo fisico quanto dei principi morali, al di là di ogni rivestimento costituito da rituali, preghiere, dogmi indimostrabili e sostenuti con l’inganno, la paura, la superstizione. Molti, lo abbiamo visto, si spinsero oltre questa cauta posizione, dichiarandosi agnostici o atei, sentimenti però che i più giudicavano dannosi in relazione all’ordine sociale, percependoli come un rifiuto troppo radicale dell’autorità costituita. Il rifiuto dell’autoritarismo e della sudditanza, nato in tema di religione, si estende presto alla vita civile e laica. Non ci sono solo dogmi religiosi assurdi, ma anche leggi assurde. Ma le leggi sono espressione dei sovrani, sovrani che pretendono di proporsi come poteri assoluti, divinità tutte terrene...

4. IMMAGINARE IL FUTURO La celebre Encyclopédie venne pubblicata in diciassette volumi fra il 1751 e il 1772 dai suoi curatori, Denis Diderot e Jean D’Alembert. Si tratta di un dizionario delle scienze e delle arti, illustrate come strumenti necessari all’uomo che vuole rendere migliore la propria vita. Nell’Enciclopedia viene sovente messa in dubbio la verità divina, così come presentata dai Testi Sacri. Viene, invece, elogiata la tolleranza e la libertà di pensiero e di espressione. In essa si arriva addirittura a sostenere che il potere politico è legittimo solo se ha il consenso di chi è governato. Non a caso, l’opera viene ben presto proibita e, per un certo periodo, viene pubblicata in modo clandestino. La sua storia è dunque assai travagliata. L’Europa fra ‘600 e ‘700, salvo Inghilterra e Olanda, è governata da regimi assoluti, regimi che presupponevano la derivazione dell’autorità sovrana direttamente da Dio. La sfida dell’illuminismo all’autoritarismo è radicale: pure molti sovrani riescono, almeno in parte, a fare proprie le tendenze illuministiche, realizzando riforme e al contempo mantenendo il proprio ruolo: si tratta del cosiddetto “assolutismo illuminato”. Deve comunque essere ricordato, a questo riguardo, che gli illuministi non avevano un’unica visione del potere (come di tutto il resto, in effetti!). Alcuni ritenevano, come Voltaire, che almeno

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in via temporanea il mondo dovesse venire “illuminato” dall’alto: il potere assolutista dei sovrani era giustificato affinché questi potessero essere liberi di realizzare le necessarie riforme: l’assolutismo illuminato di cui sopra avrebbe dovuto volgere la propria forza contro i corpi privilegiati e, soprattutto, contro le pretese di dominio della Chiesa. Altri, come Charles de Secondat, barone di Montesquieu ("Lo spirito delle leggi", 1748) sostenevano il modello politico inglese, cioè un equilibrio fra potere monarchico e potere dei ceti più elevati, rappresentati in un Parlamento (separazione dei poteri). È questa la base del costituzionalismo liberale, antistatalista e con una concezione elitaria della politica. Assai diversa la posizione di Jean Jacques Rosseau, il quale prospetta una completa rifondazione della società: la sovranità spetta al popolo, il quale la “consegna” a dei rappresentanti costantemente revocabili. Tale rappresentanza dovrebbe compiere la “volontà generale”, punto di incontro fra tutte le volontà singole: qui troviamo le fondamenta della moderna tradizione democratica. Infine, alcuni illuministi inglesi (Hume, Bentham) ritenevano che i privati potessero contribuire al benessere generale perseguendo semplicemente il proprio benessere (utilitarismo, cui abbiamo già fatto cenno), tramite il rispetto delle regole naturali del mercato (Smith) contro l’invadenza dello stato e delle leggi. Da quanto detto dovrebbe apparire piuttosto chiara la complessità e ricchezza di idee e suggestioni che l’Illuminismo promosse. I suoi esponenti certamente fecero breccia in una società gerarchica e calcificata, negletta ad ogni innovazione, sostenendo la valorizzazione della ragione umana come unica strada per il perseguimento di una vita migliore. A questo riguardo, ritorniamo alla celebre definizione di Kant: “L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare solo a se stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro.” Bene, l’opera degli illuministi ha davvero permesso all’uomo di uscire da questo “stato di minorità”? Lo abbiamo già detto: l’illuminismo fu un fenomeno elitario. In effetti, questa ventata di novità, di liberazione, di presa di responsabilità, toccò una fascia ben ristretta della popolazione. L’illuminismo ebbe, inoltre, i suoi limiti: le donne, di solito, non vennero prese in grande considerazione. Gli illuministi furono in effetti una piccola minoranza, ignorata dalla più parte della popolazione, alle prese con problemi ben più immediati, e incoraggiata da sovrani ai quali pareva di aver trovato il modo per imporre ancor più il proprio ruolo. I paesi nei quali l’illuminismo ebbe più successo furono quelli in più rapida trasformazione, quelli che si stavano avviando verso la Rivoluzione Industriale. Naturalmente si trattò di un processo con caratteristiche peculiari da luogo a luogo. In Inghilterra esso parve quasi come la naturale prosecuzione del secolo della rivoluzione scientifica, mentre in un contesto più tradizionalista come quello francese ebbe valenza di maggior radicalismo politico. In Italia, ebbe per lo più il valore di reazione alla Controriforma, dunque con una spiccata connotazione anticuriale.

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La Rivoluzione francese

1. Introduzione

« Sfogliando il libro di storia, o meglio il racconto dell’infelicità dell’umanità, il giovane incontrerà in continuazione re, grandi nobili e dappertutto gli oppressi, a ogni pagina il popolo considerato come un branco di animali. »

Circa due secoli fa, questo è il prologo di un manuale di storia utilizzato in Francia dopo l’introduzione del sistema scolastico statale obbligatorio. La scuola per tutti, ricchi e poveri, era una novità alla quale ci si abituò a stento. Prima della Rivoluzione, in Francia come altrove, il mestiere dello studente era riservato a pochi: ciò che era un privilegio (una "libertà"!) da ricchi, ora è un diritto comune. Questa, con cui abbiamo cominciato, è una delle opportunità che la Rivoluzione ha portato con sé. Il brano citato, che dipinge il passato di re e nobili come un passato di ingiustizie, dà l’idea di come vi fosse la consapevolezza di vivere qualcosa di nuovo e di opposto a ciò che viene proprio in quegli anni chiamato “antico regime”. La Francia divenne una repubblica nel 1792, con una costituzione che parla di libertà individuale e uguaglianza: aspirazioni che solo in parte verranno realizzate e che, anzi, dopo il 1799 verranno ampiamente contraddette. Quel libro di testo, già dopo pochi anni, suonava ingenuo...

2. Verso la Rivoluzione Abbiamo visto come nell’Europa della seconda metà del ‘700, i sovrani dell'assolutismo illuminato tentarono di eliminare i privilegi fiscali dei ceti privilegiati: nobili e alto clero. Così accadde anche in Francia, ma senza successo. Alla vigilia del 1789 il 2% della popolazione francese deteneva fra il 35% e il 40% delle proprietà fondiarie (cioè i terreni agricoli), che costituivano la principale fonte di ricchezza della nazione (la più parte della popolazione era, infatti, impegnata in attività legate all’agricoltura). Questo 2% della popolazione (1,5% nobili e 0,5% clero) o non pagava tasse o ne era in buona misura esente. Il peso della fiscalità ricadeva, proprio come abbiamo visto in relazione all’impero Asburgico, sul cosiddetto "Terzo Stato": contadini, commercianti, artigiani, capi manifatturieri, salariati...

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I primi due Stati, come se non bastasse, spesso potevano richiedere tributi ai contadini (le tradizionali giornate di lavoro, le corvées, o altro), occupavano le cariche dello Stato, esercitavano le funzioni di giudici. La situazione economica e sociale quando Luigi XVI (1754-1793, re dal 1774) cominciò a regnare si trovava ormai a un punto di svolta. Dopo diversi decenni di prosperità nel commercio e nell’industria, l’economia tendeva a ristagnare. Ad essere più colpiti furono i contadini – sempre più vessati dalle tasse statali e dai contribuiti da versare a nobili e chierici – e i lavoratori salariati urbani, ridotti alla povertà dall’aumento dei prezzi dei beni primari. La società era sempre più polarizzata: da un lato fame e la miseria, dall’altro lusso e sfrenatezza. I cattivi raccolti del 1788 e 1789 porteranno all’estremo questa situazione. Il bilancio statale era in pessime condizioni, né si poteva pensare di accrescere le entrate: chi già pagava le tasse non poteva pagare di più! L’unica possibile soluzione, come già accaduto in Austria, era quella di modificare la distribuzione del prelievo fiscale, estendendo la tassazione. Diversi controllori delle finanze (l'attuale ministro dell'economia) si avvicendarono, seguendo due strategie alternative.

-1- La prima, di ispirazione fisiocratica, ebbe per interpreti Turgot (1775-1776) e Calonne (in carica nel 1786) e consistette in una politica economica liberista (ricordate le teorie dell'economista inglese Adam Smith!): eliminazione dei vincoli al commercio e nella piena realizzazione della proprietà privata della terra, interventi che a loro avviso avrebbero accresciuto la ricchezza del Paese e dunque la base imponibile. Vi fu anche l'imposizione di una tassa fondiaria senza esenzioni.

-2- L’altra strategia di intervento fu quella messa a punto da Jacques Necker (1776-1781), il quale mirò a ridurre la spesa pubblica, colpendo gli sprechi dell’apparato burocratico, dei costi della corte, dei regali e dalle pensioni che Luigi XVI distribuiva ai suoi favoriti. Nel 1781 Necker giunse a rendere pubblico il bilancio dello Stato (in questo modo gli sprechi della corte vennero conosciuti da tutti e divennero oggetto di pubblica riprovazione): questo atto, di non poco coraggio, gli costò il posto. La stessa cosa era accaduta a Turgot prima di lui.

Facendo leva sui parlamenti (come sicuramente ricordate, i parlamenti erano in Francia tribunali aventi il diritto di sospendere l’esecuzione dei decreti sovrani) nobili e clero erano negli anni precedenti riusciti a bloccare tutte le riforme in materia fiscale. Notate l’ironia: i parlamenti si presentavano come difensori del popolo contro la esosità del re, come paladini di una più giusta distribuzione delle tasse! Nel 1787 il Parlamento di Parigi rifiutò, per l’ennesima volta, di approvare le nuove imposte: il re allora decise di scioglierlo, ma dal paese sorse la protesta (da parte di tutti e tre gli stati...), che indusse il sovrano a cedere e a convocare gli Stati Generali per il maggio 1789. Questa, per il re, era una mossa quasi disperata: pensate che l’ultima convocazione di questa antica istituzione era avvenuta nel 1614, quasi 180 anni prima! Gli Stati Generali altro non erano se non un’assemblea costituita da rappresentanti eletti dai tre stati. Negli intendimenti del re, l’assemblea avrebbe dovuto prendere decisioni importanti per risolvere finalmente la questione del risanamento pubblico.

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Clero e nobiltà, assai astutamente, continuarono a guidare la protesta, pur essendo animati dalla recondita intenzione di non cambiare nulla. La convocazione degli Stati Generali, però, generò grandi aspettative nella popolazione e molte voci si levarono, affidandosi ai tradizionali elenchi delle lamentele (cahiers de doléances), documenti nei quali si dovevano indicare per iscritto i motivi di malcontento e le proposte di soluzione. In tutta la Francia la popolazione si mobilitò, ovunque si discusse il da farsi, poco per volta emerse un’opinione pubblica relativa alla situazione, opinione alternativa a quella proposta dai Parlamenti. Si vede qui l’importanza che l’Illuminismo aveva avuto nei decenni precedenti: lo spirito di critica ne era emerso assai acuito e andava a colpire non solo il re, ma anche i primi due stati, detentori di privilegi che apparivano agli occhi del popolo sempre meno giustificabili! Non da trascurare fu anche l'interesse che, soprattutto in Francia, aveva destato la Rivoluzione americana di non molti anni prima! Nel gennaio 1789 l’illuminista abate Emmanuel Joseph Sieyès (1748-1836) pubblicò un testo dal titolo Che cos’è il terzo stato? nel quale attaccò nobili e clero, accusandoli di parassitismo. Egli sostenne la necessità di leggi uguali per tutti, piena libertà di pensiero ed espressione, sovranità al popolo, eliminazione degli stati. La monarchia, a suo avviso, si sarebbe dovuta trasformare da istituzione esistente per “grazia divina” ad espressione di un contratto liberamente accettato, e dunque revocabile (monarchia costituzionale). Oltre al primo e al secondo stato, Sieyès criticò anche l’assolutismo regio: in effetti egli indicava stati e monarchia assoluta come poli contrastanti, ma complementari: in fondo la figura di un re legittimato dalla volontà divina non era forse la migliore delle assicurazioni per i ceti privilegiati? Sieyès propose tre importanti domande, le cui risposte avrebbero dovuto guidare al cambiamento:

« Che cos’è il Terzo stato? Tutto! Che cosa è stato sinora nell’ordinamento politico? Nulla! Che cosa chiede? Di contare qualcosa! »

Perché il Terzo stato è "tutto"? Semplice: il Terzo stato costituisce la stragrande maggioranza della popolazione, inoltre solo il Terzo stato è attivo, perché è l'unico a lavorare e a produrre! Perché il Terzo stato conta "nulla"? Per capirlo basta guardare la composizione degli Stati Generali. Si trattava di tre assemblee distinte, ciascuna con il medesimo numero di deputati: le diverse deliberazioni venivano prima discusse e votate all’interno di ogni singola assemblea, poi, in una seconda e decisiva votazione, ogni assemblea esprimeva un singolo voto! Questo, in concreto, significava che il 98% della popolazione contava la metà del 2% della popolazione! In attesa che i lavori assembleari cominciassero, alcuni esponenti del Terzo stato chiesero due modifiche al regolamento: un raddoppio dei loro rappresentanti (da 300 a 600) e l’istituzione di un’ unica assemblea, all’interno della quale votare “per testa”. Si pensava e sperava che tra i nobili – ma soprattutto fra i chierici – si manifestassero defezioni individuali rispetto all’orientamento di massa, in modo che alcune proposte del Terzo stato potessero ottenere l’approvazione assembleare. Il re, su consiglio di Necker, aderì alla prima richiesta, ma non alla seconda! In questo modo, ancora una volta, non sarebbe cambiato nulla.

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Nel frattempo la tensione salì. Esasperati dalla fame, gli abitanti di un quartiere popolare di Parigi manifestarono nell'aprile 1789: chiesero la riduzione del prezzo del pane e appoggiarono le rivendicazioni del Terzo stato. Sul terreno rimasero 300 vittime, colpite dall’esercito: questo fu il primo segnale di una mobilitazione popolare di massa, che nei mesi seguenti avrebbe scandito gli eventi, contribuendo a far sì che le ragionevoli richieste del Terzo stato sfociassero nella rivoluzione.

3. La Rivoluzione Gli Stati Generali erano da poco riuniti quando il Terzo stato e quei membri degli altri due Stati che simpatizzavano con loro, decisero di costituirsi come rappresentanza unica del paese, giurando di non sciogliersi sino all’ottenimento di una costituzione (costituzione che contemplasse l’abolizione degli ordini e la sovranità popolare). Il re avrebbe voluto far immediatamente chiudere tale assemblea, autodefinitasi “Assemblea nazionale costituente”, che si riuniva in un salone detto della Pallacorda, ma venne anticipato dall’insurrezione popolare. Il 14 luglio 1789, il popolo parigino assaltò ed espugnò la Bastiglia, prigione simbolo del dispotismo monarchico, arrivando addirittura a costringere il re a rendere omaggio alla coccarda bianca, rossa e blu che i rivoltosi avevano assunto a simbolo. Nei giorni successivi tutta la Francia si mobilitò, destituendo le autorità in carica. Nei municipi delle città venne istituita la Guardia Nazionale (una milizia civica armata che era espressione della popolazione e contrapposta all’esercito regio), mentre nelle campagne i contadini si ribellarono ai signori, reclamando l’abolizione di tutte le vessazioni che subivano. Alla fine di luglio era ormai chiaro che una doppia rivoluzione è in atto: quella dei membri dell’Assemblea costituente (costituita dagli strati più alti del Terzo Stato: mercanti, professionisti...) e quella popolare, spinta dalla fame e dalla miseria. Di fatto le due rivoluzioni convissero a lungo, portando allo smantellamento delle istituzioni di antico regime e anche della monarchia: come sappiamo, la Francia diverrà una repubblica... In seguito alle rivolte di luglio, la Costituente in agosto proclama l’abolizione dei diritti feudali (cioè dei diritti signorili), dei titoli nobiliari e di ogni privilegio fiscale. Alla fine dello stesso mese, viene diffusa la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, la quale fissava i principi di libertà di fronte alla legge degli individui e del diritto di partecipare alla legislazione. Questo documento pareva realizzare nei fatti le aspirazioni del Terzo Stato. La Rivoluzione era finita? Molti lo pensarono, ma fu ancora una volta il popolo a prendere l’iniziativa. Nell'ottobre del 1789, infatti, vi fu una marcia popolare sulla reggia di Versailles, provocata dal rincaro dei prezzi e dal rifiuto del re di firmare le deliberazioni dell’agosto, appena ricordate. La marcia si concluse con il trasferimento forzato della corte e del re a Parigi, sotto il controllo della Costituente e del popolo. Da questo momento, la pressione del popolo sull’Assemblea fece sì che le sue scelte cominciassero a divenire più radicali. Come abbiamo già ricordato, la Rivoluzione era nata sotto la guida della porzione più ricca del Terzo stato – e le ragioni di questa Rivoluzione sembravano, ormai, venute meno – ma a questo punto il popolo povero chiese di più: diventare il vero depositario del potere, esercitandolo tramite strumenti democratici.

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Ovunque sorsero una serie di club: luoghi di riunione e discussione aperti a chi era dalla parte del nuovo ordine. Essi contribuirono ad organizzare in un vero e proprio movimento il desiderio della popolazione di essere protagonista della politica. Nel frattempo all’interno della Costituente, si formarono fazioni che si riferivano all’uno o all’altro di questi club. Il club dei Giacobini si riuniva in un collegio di frati domenicani (che erano chiamati proprio “giacobini”): il loro orientamento era radicalmente repubblicano (volevano, cioè, il passaggio dalla monarchia alla repubblica) malgrado la loro estrazione borghese. In seguito il termine “giacobini” si estese e fu usato per indicare in genere tutti i “rivoluzionari radicali”. Il club dei Cordiglieri si riuniva in un convento di francescani, chiamati appunto “cordiglieri”. Erano, in effetti, ancora più radicali dei giacobini ed avevano una base popolare. Vi era, poi, il club della cosiddetta “Società del 1789”, al cui interno si distingueranno, a partire dal 1791, i più moderati Foglianti che auspicavano il varo di una monarchia costituzionale.

Assemblee, dibattiti pubblici, lettura di giornali periodici, votazioni, manifestazioni… Così era la vita dei club e ad essa prendeva parte ogni strato sociale. Molte persone cominciavano a prendere gusto per la politica, che era vista non più come riservata solo ai tecnici e agli strati più elevati... La cittadinanza cercava la possibilità di partecipare alla gestione del potere pubblico da parte di una cittadinanza non più disposta all’obbedienza passiva. Il movimento superò i confini dei club, sfociando addirittura in riti e cerimonie di una nuova religione, il culto della dea Ragione, che rifiutava il principio della sottomissione all’autorità predicato dalla religione cristiana tradizionale. Su questo sfondo magmatico, la Costituente cercò di portare avanti la sua attività legislativa, ora facendosi influenzare dalla “piazza”, ora arginandola. Nel 1791 venne promulgata la Costituzione. Si trattava di un testo assai moderato, che selezionava gli elettori per censo (cioè in base alla loro ricchezza) con un sistema a doppio grado (cioè con due votazioni), in contrasto alla logica egualitaria, ed affidava al re l’esecutivo e il diritto di veto sui provvedimenti legislativi emanati dalla rappresentanza nazionale. Si tennero le prime elezioni politiche, ove ben pochi votarono al secondo grado (colpa della distinzione fra cittadini attivi e passivi: non potevano votare le donne e, in generale, gli strati più umili della popolazione). Questa politica, pure assai "conservatrice" dello status quo, suscitò l’ostilità di molti aristocratici, che abbandonarono la Francia. Il clero, poi, era spaccato al suo interno e, per lo più, risultava ostile al nuovo governo. Alcune leggi del 1790, infatti, ne avevano ridotto l’autonomia e alterate le funzioni. Prima del 1789, la Chiesa aveva rappresentato una sorta di Stato nello Stato, con le sue immunità e ricchezze. Ora i beni ecclesiastici vennero requisiti, statalizzati, e infine venduti a privati. Inoltre i sacerdoti vennero trasformati in funzionari statali, tenuti a prestare giuramento alla Costituzione e alla nazione. Molti religiosi si rifiutarono di compiere tale passo e, proprio come molti nobili, emigrarono.

4. Il passaggio dalla monarchia alla repubblica Abbiamo detto che parte delle persone appartenenti ai vecchi ceti privilegiati - Primo e Secondo stato - hanno abbandonato il paese. Essi, però, sono ora pronti ad organizzare una controrivoluzione con l’appoggio degli altri sovrani europei: di fronte al radicalizzarsi della rivoluzione, infatti, emerge in Europa il timore che essa si possa allargare ad altri Paesi.

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Nel giugno 1791 anche Luigi XVI, con la moglie Maria Antonietta d’Asburgo, cercò la via della fuga, probabilmente con l’intenzione di chiedere aiuto all’estero. La fuga però non fu bene organizzata e, prima che il re con i suoi famigliari potessero oltrepassare il confine francese, venne scoperto e ricondotto a Parigi. La notizia della tentata fuga si diffuse molto in fretta – anche se, ufficialmente, si parlò di un "tentato rapimento" – e il prestigio del sovrano ne soffrì enormemente. Ormai divenuto a tutti gli effetti un ostaggio, nel settembre 1791 Luigi XVI diede il proprio consenso alla Costituzione la quale, come sappiamo, dava all’Assemblea nazionale il potere legislativo. Nel frattempo la crisi economica si faceva sempre più grave: i club premevano sull’Assemblea nazionale perché emanasse provvedimenti atti a migliorare le condizioni di vita del popolo, che continuavano a peggiorare. Si temeva, inoltre, che i Paesi che avevano accolto gli emigrati dichiarassero guerra alla Francia. Molti, in questa situazione di estrema difficoltà, cominciarono a dichiararsi apertamente favorevoli alla instaurazione della Repubblica. In effetti, nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, oltre alla libertà e all’uguaglianza, si citava anche la fraternità. Qual era il senso di questo termine? Se, tradizionalmente, i sudditi di un sovrano erano descritti come figli sottoposti all'autorità paterna, autorità che derivava da Dio stesso, ora la sottolineatura passava alla fratellanza allo scopo di sottolineare l'uguaglianza dei diritti fra tutti i cittadini, diritti che anche il sovrano era tenuto a rispettare. Nell’aprile del 1792, l’Assemblea legislativa dichiarò preventivamente guerra all’Austria, che più di tutti pareva preparare l’invasione della Francia (e non a caso: sul trono austriaco sedeva un nipote di Maria Antonietta, Francesco II). Quasi subito, a fianco dell’Austria, si schierò la Prussia. La dichiarazione di guerra doveva essere approvata dal re e Luigi XVI, pur sapendo bene che la Francia si trovava ad essere del tutto impreparata a un conflitto militare, approvò la scelta. Per quale ragione? Il sovrano francese sperava in una sconfitta: il fallimento militare avrebbe infatti segnato la sconfitta della Rivoluzione, cosa che avrebbe consentito al re di recuperare tutti i poteri perduti. La guerra, proprio come era nelle previsioni e desideri di Luigi XVI, prese subito una brutta piega per la Francia: già nell’agosto del 1792 le truppe nemiche erano ormai accampate fuori Parigi. Fu di nuovo il popolo di piazza, gli abitanti della capitale, a intervenire con forza. Una enorme folla invase la residenza del re – a ragione sospettato di essersi accordato con i nemici – costringendo l’Assemblea legislativa a dichiararne l’arresto e a indire nuove elezioni, questa volta a suffragio universale maschile e non più in base al censo, come stabilito dalla Costituzione del 1791. La Convenzione nazionale espressa da queste nuove elezioni, avrebbe dovuto trasformare la monarchia in repubblica e decidere sulla sorte del re. Ma da chi era composto questo "popolo di piazza" a Parigi? Venivano chiamati “sanculotti” (perché portavano pantaloni lunghi e non al ginocchio, come i ricchi) e provenivano per lo più dal mondo dell’artigianato e del piccolo commercio: gente già abituata dal tempo delle corporazioni alla solidarietà reciproca. Diffidavano dei ricchi e dei nobili e ambivano a limitarne il ruolo e l’importanza. Il re era per loro solo il maggiore fra i signori. La Convenzione nazionale fu, all’inizio, composta dal partito dei Montagnardi (più radicali, espressione dei sanculotti parigini) e da quello dei girondini (più moderati, erano contrari all’accentramento dei poteri a Parigi e sostenevano posizioni federaliste). I deputati non schierati da una parte o dall'altra appartenevano invece alla cosiddetta Pianura (erano la maggioranza). I più, comunque, accettarono l'idea che il re avesse tradito la Francia: in una cassaforte, infatti, si trovarono delle lettere che dimostravano al di là di ogni dubbio le vere intenzioni del sovrano!

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Dopo una lunga e accesa discussione, si giunse a pronunciare un verdetto di condanna a morte. La condanna sarà eseguita nel gennaio 1793 (con la ghigliottina, strumento da poco introdotto). Da qualche mese la Francia, precisamente dal 21 settembre 1792, era stata dichiarata Repubblica: l’esecuzione sancisce questa nuova situazione. Tutto doveva essere nuovo: dopo il crollo della monarchia, la Convenzione modificò persino il calendario! I nomi dei mesi mutano e la storia ricominciò, idealmente, da zero, con la data del 21 settembre 1792, appunto. Questo fu l’anno I della repubblica. Ora, però, la Francia è più che mai in lotta con l’Europa intera. Gli anni successivi: dopo le sconfitte iniziali, le sorti della guerra presero una buona piega per l’esercito rivoluzionario, nonostante l’allargarsi della coalizione avversa. L'adozione di nuove tecniche di battaglia (la linea orizzontale di fuoco viene sostituita con l'assalto diretto) portò buoni frutti con numerose vittorie. La situazione politica e sociale continuò però ad essere molto difficile: il Paese era ridotto alla fame, anche a causa della guerra, inoltre si era diffusa la falsa convinzione che l’istituto della tasse fosse stato cancellato. La situazione si aggravò anche a causa dell’inflazione, dovuta all’abnorme aumento di emissione dei cosiddetti assegnati (anche in piccolo taglio) e della loro conseguente veloce svalutazione. L’emissione era cominciata alla fine del 1789: essi dovevano servire all’acquisto dei beni nazionali sequestrati, in modo da sopperire al debito pubblico. Il Tesoro, però, era stato quasi subito costretto a smettere di corrispondere i relativi interessi e anche da qui ebbe avvio la svalutazione. I cittadini cominciarono a venir pagati dallo Stato con gli assegnati invece che in moneta sonante, ma gli assegnati valevano sempre meno e la gente cominciò ad utilizzarli per i normali acquisti quotidiani... A questo punto i club premono sul governo perché intervenga in modo deciso, anche a costo di limitare i principi libertari della rivoluzione. Mentre il movimento dei sanculotti parigini si radicalizzava sempre più, in provincia e in campagna cominciarono anche ad emergere, visto che le cose non andavano bene, dei sostenitori del ritorno al passato. Nel febbraio del 1793 il governo dichiarò la leva generale per difendere la patria: ecco che i controrivoluzionari insorsero nella regione della Vandea (anche contro l’offesa recata alla sacra figura del re e contro la religione di stato: le novità furono vissute da molti come un oltraggio alla tradizione!). La repressione di questa rivolta fu assai sanguinosa e costò qualcosa come 150.000 vittime. La mobilitazione popolare, come vediamo, si dimostrò a questo punto di segno opposto, "reazionario". Ma qual è il confine fra rivoluzione e controrivoluzione? Che garanzie c’erano di poter criticare il nuovo governo, senza per questo essere considerati sostenitori dell’antico regime? Furono in molti, accusati di aver tradito la Rivoluzione, a pagare con la vita: gli ideali di uguaglianza, libertà e fratellanza sbandierati dai rivoluzionari parevano, paradossalmente, più lontani che mai!

5. Dal Terrore al Consolato Nel 1793 La Convenzione cerca di venire incontro alle esigenze del popolo affamato: si stabilì un "tetto" sia ai salari (pagati in assegnati) che ai prezzi dei beni di prima necessità: si trattò del cosiddetto maximum. Venne, inoltre, approvata una nuova Costituzione con un diritto elettorale assai più esteso di quanto non avvenisse nella Costituzione del 1791. Contemporaneamente, però, si emanarono

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misure assai dure relative all’ordine pubblico, misure che portarono alla repressione di quelle pratiche di democrazia che erano state l’anima della Rivoluzione. La Costituzione dell’anno I, di fatto, non entrò mai in vigore. Non vi fu maggiore democrazia, come in essa si prevedeva, ma il governo di fatto diviene una sorta di dittatura: chi era ritenuto reo di tramare contro la patria e la Rivoluzione veniva giustiziato sommariamente. Nella Convenzione il partito della Gironda – più moderata, ostile all’egemonia parigina rispetto alla provincia e ostile al maximum – venne neutralizzato dal partito della Montagna: molti suoi capi vennero ghigliottinati. Nell’estate del ’93, a peggiorare le cose, divampò nel sud del Paese la rivolta “federalista”, che aveva per obiettivo quello di sottrarre le province al controllo egemonico di Parigi e del suo governo, ritenuto troppo influenzato dai sanculotti. A questo punto, la Convenzione ordinò l’arruolamento di tutti i giovani maschi tra i 18 e i 25 anni, formando un enorme esercito di 700.000 uomini: esercito destinato a stroncare sia la rivolta interna che la coalizione europea controrivoluzionaria. Si trattava di un esercito popolare: in parte malvolentieri, ma in parte animati dal desiderio di difendere la patria e le conquiste della Rivoluzione, i giovani francesi combatterono ora contro altri francesi ora contro le potenze straniere. Soddisfare i bisogni degli strati più umili aveva voluto dire mettere a rischio la libertà economica (maximum) e persino la proprietà privata (uno dei punti fermi nei quali la borghesia francese si riconosceva, identificando con essa il diritto a esercitare la politica). Il dissenso interno, lo abbiamo visto, venne represso e la repressione giunse al culmine fra l’inverno del ’93 e la primavera del ’94, quando alla guida del Comitato di salute pubblica (istituito nell’aprile ’93 con lo scopo di sorvegliare l’attività dei ministri del Consiglio esecutivo) troviamo il celebre Maximilien Robespierre (1758-1794), montagnardo assai aperto alle rivendicazioni sociali della piazza. Il periodo di influenza di Robespierre fu quello cosiddetto del “Terrore”: la repressione, oltre alla Gironda, cominciò a colpire anche molti esponenti montagnardi. Moltissime furono le esecuzioni di veri o presunti traditori della Rivoluzione: 1.400 persone in pochi mesi! Robespierre stesso non sopravvivrà al Terrore da lui scatenato: il 27 luglio 1794 viene arrestato per ordine della Convenzione e giustiziato il giorno dopo, senza alcun processo. Robespierre aveva emanato misure rigidissime per dare coesione sociale alla patria, minacciata all’interno e all’esterno… È difficile mantenere l’equilibrio fra libertà ed eguaglianza! Queste misure, ben presto, non vennero più ritenute utili: alla fine del giugno 1794, infatti, l’esercito francese aveva ottenuto una grande vittoria contro l’esercito prussiano e la guerra, dunque, volgeva al meglio. La patria non pareva più in imminente pericolo, cadeva dunque la necessità di una politica così rigida e spietata: Robespierre, che tanto aveva fatto comodo, ora non serviva più e divenne così un comodo “capro espiatorio”... Abbiamo detto del Terzo Stato: esso promosse e difese la Rivoluzione, ma era tutt’altro che omogeneo al suo interno. Sotto Robespierre avevano avuto maggior ascolto le componenti più popolari, disposte a rinunciare alla libertà d’azione pur di ottenere giustizia sociale e fratellanza. Cessato il pericolo, l’iniziativa poté tornare nelle mani degli strati più ricchi del Terzo Stato, i quali non desideravano certo di assecondare i sogni di uguaglianza sociale radicale dei sanculotti e dei montagnardi! Caduto Robespierre, per alcuni anni il potere si trovò ad essere gestito da un Direttorio di cinque membri nominato dalla Convenzione. La vita economica venne di nuovo liberalizzata.

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Venne inoltre revocata la Costituzione dell’anno I (cioè la costituzione del 1793) e venne emanata una nuova Costituzione (dell’anno III - 1795): essa restrinse drasticamente il diritto elettorale, con una soglia censitaria simile a quella della Costituzione del 1791. Vediamo qualche dettaglio relativo alla Costituzione del ’95. I cittadini, come già previsto nella Costituzione del ’91, erano anche qui divisi in passivi e attivi: i primi sono definiti passivi a causa del reddito, troppo basso o addirittura nullo: costoro non potevano votare. I cittadini attivi, invece, erano tutti coloro i quali avevano un reddito sufficientemente elevato da poter votare. La nuova costituzione prevedeva che tutti i cittadini attivi eleggessero 30.000 grandi elettori: tutte persone dotate di un reddito elevato. I grandi elettori, a loro volta, dovevano eleggere il Corpo legislativo, costituito da due assemblee: il Consiglio dei Cinquecento (500 deputati) e il Consiglio degli Anziani (altri 250 deputati). Il Direttorio, eletto dal Corpo legislativo, doveva esercitare il potere esecutivo. Nei pur rigidi limiti della nuova costituzione, la Francia sperimentò per qualche tempo la partecipazione dei cittadini all’esercizio del potere senza patire i drammi e le violenze del precedente periodo di emergenza. Pareva che la Rivoluzione potesse finalmente assestarsi in un assetto politico e sociale nuovo. Le cose, però, andarono diversamente... Fra ’94 e ’96 non mancarono infatti nuove agitazioni popolari. Nel 1796, in particolare, un gruppo di Giacobini radicali guidati da Gracco Babeuf organizzò una cospirazione (la cosiddetta “Congiura degli Uguali”) contro il governo. Questo tentativo di esercitare pressione popolare sul governo, come era accaduto per altri tentativi simili, venne subito stroncato. Sul versante opposto a quello dei Giacobini, ripresero slancio i filomonarchici, al punto tale da riuscire vittoriosi nelle elezioni del ’97! Il Direttorio, non potendo accettare tale risultato elettorale, lo annullò indicendo nuove elezioni per l’anno seguente, sperando che gli elettori premiassero la loro politica moderata, ma questa volta furono i Giacobini di “sinistra” ad avere la meglio e di nuovo le elezioni vennero annullate. La situazione politica, come dovrebbe essere evidente, restò incerta e l’esercizio della sovranità popolare rimase assai difficoltoso. Sul fronte esterno, soprattutto militare, le cose parevano invece andar meglio. Gli eserciti francesi, infatti, cominciarono ad ottenere successi anche al di fuori dai confini della Francia: i generali, giorno dopo giorno, acquistarono così quella popolarità che i politici andavano via via smarrendo... Fra questi generali c’è Napoleone... Napoleone, come vedremo, compì grandi conquiste (istituendo nelle zone conquistate, come l’Italia, repubbliche con istituzioni simili a quelle francesi) e tornò in patria dopo la spedizione d’Egitto, nell’ottobre 1799. Nel novembre 1799 vi fu un colpo di stato. Il Direttorio si rivelò incapace di controllare tanto la sinistra giacobina quanto la destra filomonarchica, accadde così che il 9 novembre tre membri si dimisero, mentre i deputati che rifiutarono di accogliere Napoleone vennero dispersi dall’esercito. I deputati rimasti votarono la consegna del potere a tre consoli: Ducos, Sieyès e Bonaparte. Con il Consolato, la rivoluzione intesa come partecipazione dei cittadini alla gestione dello Stato, poteva dirsi finita. Ebbe inizio l’età napoleonica.