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1 Rassegna storica crevalcorese · 2018. 3. 12. · 1 M. PERANI, Tre manoscritti ebraici copiati a Crevalcore tra il XV e il XVI secolo, «Rassegna storica crevalcorese». Rivista

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Rassegna storica crevalcoreseè stata realizzata

con il contributo di:

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Rassegna storica crevalcorese

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dicembre 2007

Comune di Crevalcore

Istituzione dei Servizi Culturali Paolo Borsellino

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Rassegna storica crevalcoreseRivista dell’Istituzione dei Servizi Culturali Paolo Borsellino di Crevalcore

COMITATO DI REDAZIONEMagda Abbati, Massimo Balboni, Gabriele Boiani, Paolo Cassoli, Nicoletta Ferriani, Barbara Mattioli, Yuri Pozzetti, Carla Righi, Roberto Tommasini.

Direttore resp.Paolo Cassoli

Progetto GraficoPaolo Cassoli

Informazioni e comunicazioni

Istituzione dei Servizi Culturali Paolo Borsellino

Via Persicetana 226 - 40014 Crevalcore (Bo);

tel. 051.981594, fax 051.6803580

e mail: [email protected]

Quinto numero, distribuzione gratuita

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SOMMARIO

In questo numero (a cura della redazione) 6

STUDI E RICERCHE

Mauro Perani Nuovi dati sul manoscritto Mosca, Guenzburg 786, copiato da Osea Finzi a Crevalcore nel 1505 9

Guido Antonioli La vipera che Melanesi accampa. L’avvento della signoria dei Visconti a Crevalcore (1350-51). 17

NOVECENTO

Gabriele Boiani Una donazione per l’archivio storico L’archivio del PCI di Caselle 37

Roberto Tommasini I cinema di Crevalcore 51

ESPERIENZE DIDATTICHE

Carla Righi Un viaggio a Roma nel Seicento Laboratorio di storia delle classi terze della Scuola media “G. Mazzini” di Sant’Agata Bolognese 99

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In questo numero

Pubblicato, a causa dell’esiguità dei fondi disponibili, a un anno di distanza dal quarto numero, che era dedicato, come si ricorderà, alle celebrazioni pertiane, que-sto quinto fascicolo della rivista reca contributi che crediamo di grande interesse per i cittadini crevalcoresi.

La sezione Studi e ricerche contiene i saggi di Mauro Perani e Guido Antonioli. Mauro Perani con il suo contributo “Nuovi dati sul manoscritto Mosca, Guen-zburg 786, copiato da Osea Finzi a Crevalcore nel 1505”, completa ed integra il precedente articolo apparso nel terzo fascicolo di Rassegna storica crevalcorese con le riproduzioni fotografiche del manoscritto di Mosca di cui si trascrive integralmente il colophon sciogliendo definitivamente il dubbio relativo alla data.

Guido Antonioli ci illustra le vicende che accompagnarono e seguirono, nel 1350, la fine della signoria dei Pepoli e l’avvento di quella dei Visconti, esaminando-ne i risvolti a livello locale mediante l’analisi dei registri del vicariato di Crevalcore che ci restituiscono, ammantato del linguaggio burocratico tipico dei documenti amministrativi e giudiziari, uno spaccato di vita sociale dell’epoca.

Per la sezione Novecento, Gabriele Boiani tratta la cessione all’Istituzione Culturale Paolo Borsellino di una raccolta di materiale librario ed archivistico appartenuta alle sezioni del Partito comunista di Caselle e Bolognina. I documenti, che vanno dagli anni ’40 agli anni ’80, sono di notevole interesse sia per chi intenda occuparsi di contratti agrari, salari degli operai agricoli, tipologie di coltivazioni, sia per chi vo-glia studiare il clima di acceso scontro sociale del secondo dopoguerra.

Roberto Tommasini ci presenta, in un lungo articolo riccamente illustrato, la storia dei cinema di Crevalcore, dal primo esperimento di Kinematografo Edison, svoltosi nel Teatro Comunale nel lontano 1896, fino agli anni recenti. Ci mostra volti e ricostruisce atmosfere che non mancheranno di suscitare i ricordi di tanti crevalcoresi non più giovanissimi.

Infine, per la sezione Esperienze didattiche, Carla Righi ci parla di un lavoro svi-luppato dalle classi terze della scuola media G. Mazzini di Sant’Agata Bolognese su un manoscritto conservato presso l’archivio della Partecipanza: un quaderno contenente il diario della missione a Roma effettuata nel 1675 da tre Santagatesi, incaricati dalla Comunità partecipante di sollecitare presso la curia romana la positiva conclusione della controversia che la opponeva ai conti Caprara.

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Studi e Ricerche

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Fig. 1 – Il manoscritto di Mosca, copiato a Crevalcore: incipit decorato di Esodo.

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PremessaIn un mio recente studio1 ho illustrato i tre manoscritti ebraici che, come

si legge nei rispettivi colophon, furono copiati a Semàch Lev Boloniese, in ebraico letteralmente “Allegralcore” che indica la località di Crevalcore in provincia di Bologna. In questa sede intendo approfondire lo studio del secondo di questi tre manoscritti copiati, secondo il tenore letterale del colophon, ad Allegralcore bolognese. Per le attestazioni di questo nome, di cui ho trattato nel mio precedente studio in questa rivista, rimando al Tiraboschi2 e a Manfré3. Evidentemente i due prestatori ebrei residenti a Crevalcore, dove copiarono per proprio uso tre manoscritti ebraici rispettivamente nel 1428 il primo, nel 1505 e nel 1508 il secondo, dovevano avere recepito questa tradizione non lontana nel tempo, se tutti e due usano in ebraico la forma corrispondente ad Allegralcore.

Il Ms. di Mosca copiato da Osea Finzi a Crevalcore nel 1505Veniamo ora al codice ebraico del quale, nel mio studio precedente, non mi

era stato possibile interpretare tutti i dati per la scarsa qualità della riproduzione

1 M. PERANI, Tre manoscritti ebraici copiati a Crevalcore tra il XV e il XVI secolo, «Rassegna storica crevalcorese». Rivista dell’Istituzione dei Servizi culturali Paolo Borsellino di Crevalcore, n. 3, giugno 2006, pp. 8-29.

2 G. TIRABOSCHI, Storia dell’Augusta Badia di San Silvestro di Nonantola aggiuntovi il codice diplomatico della medesima illustrato con note. Opera del Cavaliere Ab. Girolamo Tiraboschi consigliere di S.A.S. presidente della Ducale Biblioteca e della Galleria delle Medaglie e Professore onorario dell’Università di Modena. In Modena, presso la Società Tipografica, 1784, vol. I, p. 251.

3 G. MANFRÉ, Il toponimo “Crevalcore”. Storia e leggenda, «Strada maestra, Quaderni della Biblioteca comunale “G.C. Croce” di San Giovanni in Persiceto», n. 32, primo semestre 1992, pp. 58-67.

MAURO PERANI*

Nuovi dati sul manoscritto Mosca, Guenzburg 786,

copiato da Osea Finzi a Crevalcore nel 1505

* Professore Ordinario di Ebraico, Università di Bologna, Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali, Direttore del “Progetto Ghenizà italiana”, Presidente della Euro-pean Association for Jewish Studies (www.eurojewishstudies.org), Segretario dell’Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo (www.aisg.it). Il presente articolo costituisce una versione ridotta del saggio pubblicato su “Materia giudaica” XII/1-2 (2007), pp. 251-256, disponibile anche all’indirizzo Internet www.humnet.unipi.it/medievistica/aisg/AISG_05Materia/XI-1-2%20del%202006/XI1-2-201pp437.pdf

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in microfilm di cui ero in possesso. Si tratta del manoscritto conservato a Mosca presso la Biblioteca Statale Russa, Collezione Guenzburg, n. 786. Il manoscritto è membranaceo, misura mm. 150 x 110 ed è composto da 35 fascicoli quinioni per complessivi 350 fogli e 700 pagine. Il campo scrittorio è di mm. 90-95 x 80-85, compreso il Targùm. Il manoscritto non presenta la masora parva e magna, e lascia da questo intendere la sua destinazione all’uso liturgico, come conferma anche l’indicazione degli inizi delle Haftaròt – ossia dei brani profetici che nella liturgia ebraica del sabato seguono la lettura della sezione settimanale del Pentateuco – nei margini superiore e inferiore, vale a dire nel luogo solitamente destinato alla masora magna. Il codice si trova in cattivo stato di conservazione, con diversi fascicoli slegati per rottura delle cuciture; esso contiene il testo della Toràh, in grafia quadrata di tipo italiano con vocali e accenti, il testo del Targùm o versione aramaica del Pentateuco di Onqelos nei margini esterni di ogni pagina (a sinistra nel recto e a destra nel verso) in grafia semicorsiva italiana senza vocali; nei margini inferiore e superiore l’indicazione dell’inizio delle Haftaròt relative al brano biblico della pagina; la Toràh si conclude al f. 327r dove il copista ha evidenziato con dei tratti di penna il suo nome הושע (Hošea‘, in realtà il nome affine [Ye]hoshua, con obliterazione della yod iniziale tramite due punti soprascritti - Fig. 4). Al f. 327v compare il colophon, in un inchiostro sbiadito che ha assunto un colore marrone chiaro. Al f. 328r inizia il testo delle Haftaròt per le principali festività ebraiche. È presente una foliazione recente a matita da f. 1r al f. 342v. Gli incipit dei cinque libri del Pentateuco sono ornati da pregevoli fregi policromi a inchiostro azzurro, verde e ciclamino che li abbelliscono (si veda Esodo, Fig. 1; Levitico Fig. 2; Numeri Fig. 3), ma purtroppo quello del libro della Genesi, che si intravede essere stato il più bello e riccamente miniato, è stato completamente annerito dall’umidità, presentandosi scuro ed illeggibile. Nel testo ebraico della Toràh compaiono dei taghìn ossia le coroncine tipiche che ornano alcune lettere ebraiche come accade normalmente nel Sèfer Toràh, in particolare sulla lettera ebraica he, che ha sopra due o tre trattini, come ad esempio nella parte finale di Numeri (vedi Fig. 3).

Le ultime righe del colophon, proprio quelle che contengono luogo e data in cui è stata completata la copia del manoscritto, non erano prima leggibili nelle riproduzioni fornitemi dallo Institute of Microfilmed Hebrew Manuscripts, annesso alla Jewish National and University Library di Gerusalemme; ci venivano tuttavia in aiuto le informazioni forniteci da Senior Sachs che compilò un sintetico catalogo dei codici della collezione Guenzburg, mentre questa si trovava ancora temporaneamente a Parigi4. Sachs non riporta il colophon per esteso, ma si limita a registrare che il nostro manoscritto era stato copiato: qui ad Allegralcore bolognese

4 S. SACHS, Reshimat sefarim kitve-yad be-otzar ha-sefarim shel Guenzburg (Lista dei manoscritti della Biblioteca Guenzburg), manoscritta, [Parigi] 1882.

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… nell’anno (5)265 equivalente all’anno cristiano 1504 o 1505 senza indicazione del mese.

Nel luglio del 2006, in occasione del Congresso quadriennale della European Association for Jewish Studies celebrato a Mosca, ho avuto la possibilità di esaminare de visu il manoscritto presso la Biblioteca Statale Russa e ho potuto integrare completamente quanto non ero riuscito a leggere in precedenza nel colophon. Tra i dati che ho potuto rilevare, c’è il giorno e il mese in cui fu terminata la copia, ossia il 13 di Adar, sciogliendo così il dubbio sulla data che risulta essere il 17 febbraio 1505. Ecco il testo integrale del colophon nell’originale ebraico, in cui si riproduce la disposizione reale, seguito da una trascrizione del medesimo, per evidenziare la sua struttura metrica in rime baciate, e quindi presentando una versione italiana:

5 Nelle tre parole El (Dio), Elohah (Dio) ed elay (verso di me) è presente il nesso alef-lamed.6 Gios. 1,8. Il copista cambia il testo biblico dalla tua bocca con dalla mia bocca anche per esigenze

di rima.7 Sal. 19,15; la waw iniziale non compare nel testo biblico.8 Abbreviazione di li-frat qatan ossia: secondo il computo abbreviato, senza indicare le migliaia.9 Gen. 49,18. Questa citazione biblica è decorata da un fregio al di sotto, terminante in basso

con un giglio fiorentino.

Traslitterazione

1. Wà-tišlàm kol hà-melakàh Toràt Adonay baràh we-zakàh2. ‘ìm ha-Targùm ‘arukàh be-kòl ha-Haftaròt temukàh3. gàm niqqùd we-tà‘am le-chikàh ke-‘àl yedé ‘anàw semukàh4. èt ha-kòl ‘asù yadày le-hìtpa’èr èl Elohàh aëer panàw elày ha’èr5. wa-ašèr ‘ad kòh berekàni we-zikkàni le-hatchil u-lle-ašlim?chen chinnàni

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Fig. 2 - Il manoscritto di Mosca, copiato a Crevalcore: incipit decorato di Levitico.

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Fig. 3 - Il manoscritto di Mosca, copiato a Crevalcore: incipit decorato di Numeri.

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6. kèn yechonnèni wè-yinnagèni ‘almùt u-le-Toratò ehgèh ‘ad mùt7. anì we-zar‘ì we-zèra‘ zar‘ì bè-chuqqotàw u-mišpatàw le-ro‘e‘ì8. u-ve-mitzwotàw we-‘edotàw li dibbèq ka-ašer yidbàq ha-ezòr le-hachavèq9. lo-yamùš sefer ha-Toràh ha-zèh mi-pi we-yihyù le-ratzòn imre-fì.10. Anokì hu tze‘ìr ha-mechoqeqìm Hošèa‘ Fìnzi, yišmerèhu Tzurò we-Go’alò, b. k. morènu Rabbì Dawìd,11. zikronò le-chayye ha-‘olàm ha-ba, ketavtìw li-šemì pòh Semach Lev Boloniese we-šillamtìhu 12. be-šelošàh ‘asàr le-chòdeš Adàr šenàt reš-peh’’qof li-feràt qatàn,13. L-yšuatèka qiwwiti Adonay.

Traduzione

1. È terminata tutta l’opera della Toràh del Signore, pura e perfetta2. ordinata con il Targùm e arricchita con tutte le Haftaròt,3. ed anche con la puntazione vocalica e l’accentazione (sapore)10 al suo palato, come per mezzo dell’Umile (Mosè) concessa. 4. Tutto questo hanno fatto le mie mani per rendere gloria a Dio, che ha fatto risplendere il suo volto verso di me5. e che fino a questo punto mi ha benedetto e mi ha reso meritevole di iniziare (l’opera) e di portarla a compimento, ed a me ha fatto grazia,6. così abbia pietà di me e mi guidi nella giovinezza in modo che io possa meditare nella sua Toràh fino alla morte, 7. io e i miei discendenti e i figli dei miei figli, per rendermi a Lui vicino con i suoi decreti e le sue leggi. 8. Per mezzo dei suoi precetti e dei suoi statuti egli a me si unirà, per legarmi strettamente a lui come una cintura che aderisce stringendo;9. Non si allontani il libro di questa Toràh dalla mia bocca (Gios. 1,8), Ti siano gradite le parole della mia bocca (Sal. 19,15),10. io il più giovane fra gli scribi Osea Finzi, figlio dell’onorato maestro il signor David, 11. che il suo ricordo sia nella vita del mondo avvenire, l’ho scritto per me qui ad Allegralcore bolognese e l’ho completato12. il 13 del mese di Adar dell’anno 265 (=1505) secondo il computo abbreviato.13. Nella tua salvezza ho sperato (Gen. 19,18).

Come si può vedere, le linee 2-9 hanno gli emistichi in rime baciate e seguono una scansione in metrica, anche se non regolare.

Le ornamentazioni policrome che decorano gli incipit dei cinque libri della Toràh sono pregevoli e rispecchiano moduli stilistici tipici del tardo Quattrocento italiano, ma ancora documentati agli inizi del secolo successivo. Questi fregi, infatti, possono essere collocati tra Bologna e Ferrara verso la fine del XV secolo. Il repertorio e lo stile sembrano essere in linea con la decorazione libraria di origine ferrarese, che poi si diffonde in tutta l’Emilia e dunque anche a Bologna e contado: forse

10 Il copista gioca sul doppio senso di ta‘am che significa accento ma anche sapore.

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rispecchiano la variante più felsinea. Cronologicamente, questi stilemi iniziano verso la fine degli anni Settanta-inizio degli Ottanta del Quattrocento, ma poi rimangono più o meno stabili fino a fine secolo; si trovano anche in seguito nel Cinquecento, ma divenendo più rari. Qualitativamente sembrano dignitosi anche se non eccelsi: trattandosi di una Toràh scritta da un copista non professionale, è possibile che Osea Finzi, dopo averla copiata, se la sia fatta arricchire nei punti più rilevanti da un decoratore di livello medio, forse attivo in zona, non troppo lontano da Crevalcore11.

È difficile dire se il nostro Osea Finzi che copia a Crevalcore due manoscritti, rispettivamente nel 1505 e nel 1508, appartenga alla stessa famiglia dei Finzi di Bologna, poi passati a Mantova, a cui appartiene Consiglio/Yequtiel Finzi che, settantasette anni prima, nel 1428 aveva copiato, sempre a Crevalcore, il commento di Mosè Narboni al Moreh ha-Nevukim, la famosa Guida dei perplessi di Maimonide. Solo una accurata indagine storica potrà portare nuova luce su questo punto. In questa nota mi è bastato dare la lettura completa del Colophon e presentare le miniature del manoscritto, di cui ho ottenuto le riproduzioni digitali dalla Biblioteca Statale Russa a caro prezzo e non senza fatica.

Fig. 4 - Mosca, Biblioteca Statale Russa, Ms. Guenzburg 786: f. 327r, ultima pagina del Deuteronomio; particolare della prima riga del testo biblico, in alto a destra, dove è evidenziato il nome del copista Hošea‘ od Osea.

11 Ringrazio l’amico Fabrizio Lollini, storico della miniatura, per i preziosi suggerimenti fornitimi.

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Fig. 1– Archivio di Stato. Registro vicariati. MCCCLXXVIIII. Liber factorum oficii providi viri Pini de Goçadinis vicarii castri Crevalcorii pro primis [...]

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GUIDO ANTONIOLI

La vipera che Melanesi accampa.

L’avvento della signoria dei Visconti

a Crevalcore (1350-51).

Questo breve intervento è incentrato sui riflessi che la fine della signoria dei Pepoli e l’avvento della dominazione forestiera dei Visconti, alla metà del XIV secolo, hanno avuto sulla comunità di Crevalcore.

Dal settembre 1347 Bologna era retta dalla signoria di Giacomo e Giovanni Pepoli, figli di Taddeo, che nel 1337 si era insediato al potere a spese delle fragili istituzioni comunali. I Pepoli dovevano la loro potenza principalmente all’enorme ricchezza accumulata dal padre di Taddeo, Romeo, tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, con una serie di spregiudicate operazioni finanziarie. I mezzi accumulati dal creatore della grandezza della famiglia erano stati usati dai figli, e in particolare da Taddeo, per accentuare sempre di più l’influenza sul comune, che nel 1334 era rinato dopo gli anni travagliati della signoria ecclesiastica di Bertrando del Poggetto (1327-1334). Sempre presente nei gangli vitali del potere, e in particolare nelle balìe che periodicamente il comune istituiva per ovviare alle difficoltà finanziarie, Taddeo, con l’aiuto determinante del fratello Zerra, ottenne il controllo della città e la nomina a signore nell’estate del 13371.

Il decennio della signoria di Taddeo Pepoli fu caratterizzato per Bologna da un sostanziale ripiegamento su se stessa. Dopo che Bertrando del Poggetto aveva sfruttato le risorse della città per tentare di creare un grande stato guelfo nell’area padana, Taddeo rinunciò a qualsiasi disegno espansionistico, limitandosi ad un’oculata gestione dell’esistente. Il potere pepolesco era basato non su vincoli di carattere feudale, ai quali i campsores Pepoli si sentivano del tutto estranei, ma

1 Sulla signoria di Taddeo Pepoli e su quella dei figli mi permetto di rinviare ai miei lavori: G. ANTONIOLI, Conservator pacis et iustitie. La signoria di Taddeo Pepoli a Bologna (1337-1347), Bologna 2004; ID., “Un epilogo: la signoria di Giacomo e Giovanni Pepoli a Bologna (1347-1350)”, I quaderni del M.AE.S., 10 (2007), pp. 57-90. Per la figura di Romeo Pepoli si veda M. GIANSANTE, Patrimonio familiare e potere nel periodo tardo-comunale. Il progetto signorile di Romeo Pepoli banchiere bolognese (1250 c.-1322), Bologna 1991; per la signoria ecclesiastica di Bertrando del Poggetto L. CIACCIO, Il cardinal legato Bertrando del Poggetto in Bologna (1327-1334), Bologna 1905.

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2 ASBo, Comune, Estimi, serie II, b. 259. Vi è una busta di denunce per ciascun quartiere, dato che i nuovi cittadini venivano ascritti d’autorità a un quartiere e a una cappella; in totale le denunce sono 144.

sulla creazione di un compatto gruppo di potere, accomunato dal forte legame con la famiglia dominante, che ricompensava la fedeltà con la concessione di uffici pubblici e di incarichi politici. Inoltre Taddeo, che era doctor legum, aveva istituito lo strumento della supplica, attraverso cui qualsiasi cittadino poteva rivolgersi a lui per ottenere direttamente giustizia o per modificare una sentenza del giudice ordinario. L’istituto della supplica contribuì grandemente a rafforzare la popolarità di Taddeo, creando attorno al regime pepolesco un sentimento di concordia ed equità.

I figli di Taddeo, Giacomo e Giovanni, che divennero signori alla morte del padre nel 1347, mostrarono presto di avere modeste qualità politiche. Le difficoltà economiche di Bologna e del contado furono accentuate nel 1348 dalla comparsa della Peste Nera, che colpì duramente il tessuto produttivo, formato dalle società d’arti. Alcune categorie, come i notai, a causa del loro stretto contatto con i testatori, pagarono un tributo assai alto al morbo. Molti conduttori di dazi, che avevano visto i loro introiti fortemente diminuiti dalla peste, ottennero facilitazioni e sgravi da parte del comune. Anche i malpaghi delle collette furono esentati dal versare quanto dovuto, e questo indica certamente uno stato di grave sofferenza economica della città.

Il contado fu duramente colpito, anche se la storiografia recente sulla Peste Nera tende a evitare un quadro troppo fosco della situazione. Alcune comunità minori chiesero e ottennero sgravi fiscali per fare fronte all’impoverimento diffuso; poiché tale situazione di difficoltà appariva ormai endemica, nel gennaio 1347 Giacomo e Giovanni Pepoli emanarono un decreto con cui tali sgravi relativi al pagamento delle tassationes e all’acquisto del sale venivano estesi a tutte le comunità del contado, e non solo a quelle che ne avevano fatto richiesta tramite una supplica.

Di fronte al calo e all’impoverimento della popolazione i signori scelsero nel 1350 di rinfoltire il numero dei cittadini. Tra il settembre e l’ottobre vennero emanati più di cento decreti attraverso cui si concedeva la cittadinanza a numerosi fumanti. Il provvedimento fu seguito immediatamente da una revisione dell’estimo dedicata appositamente ai nuovi cittadini, in modo da stabilirne con chiarezza l’imponibile. La documentazione permette di seguire agevolmente la procedura: il nuovo cittadino presentava una denuncia nella quale dichiarava, attraverso una formula convenzionale, di venire estimato per la prima volta. A ciò seguiva l’elenco dei beni e la dichiarazione della stima fatta. Nella parte inferiore della cedola uno dei notai della curia dichiarava di aver esaminato la denuncia e fissava la cifra d’estimo, quasi sempre accrescendo la stima del contribuente2. I patrimoni che emergono da questi estimi sono relativamente modesti e formati quasi esclusivamente da terreni ubicati nel contado; anche nelle cifre imposte dal notaio raramente si

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superano le 100 lire, e molti non dichiarano nulla. Complessivamente i nuovi cittadini sembrano provenire da quel gruppo di fumanti che, nonostante la crisi del contado, era riuscito a salvaguardare un piccolo patrimonio fondiario, garantendosi una situazione economica moderatamente agiata. L’azione dei signori procedeva dunque nella direzione di rafforzare attorno a sé il consenso, assicurandosi la gratitudine di chi veniva elevato da fumante a cittadino, con i conseguenti cospicui privilegi. La rapidità con cui alle concessioni di cittadinanza fecero seguito i nuovi estimi fa ipotizzare che vi fosse un interesse per la signoria nell’avere contribuenti cittadini piuttosto che fumanti, e che i primi fossero maggiormente colpiti sul piano fiscale, ma ciò rimane dubbio e contrasterebbe con la tendenza del comune a gravare soprattutto sui contribuenti del contado3. Si può immaginare che, se non fosse intervenuta la repentina fine della signoria, questi provvedimenti sarebbero stati seguiti da altri analoghi, in modo da rinfoltire ulteriormente i ranghi della cittadinanza, dopo i gravi vuoti aperti dalla pestilenza.

La fine della signoria pepolesca maturò improvvisa nell’estate del 1350. Entrati in urto con il rettore pontificio Astorgio di Durfort, i fratelli Pepoli pagarono a caro prezzo il sostanziale isolamento in cui si trovava Bologna nei rapporti con le altre potenze italiane. Il rettore cercò di sconfiggere i rivali Pepoli con l’inganno e, convocato Giovanni Pepoli presso il proprio accampamento in Romagna per un incontro diplomatico, con l’inganno lo fece arrestare (luglio 1350). Il prigioniero, incarcerato a Castel S. Pietro, riuscì a farsi liberare in cambio di 20.000 fiorini, ai quali egli prometteva di aggiungerne altri 60.000, lasciando un figlio e un nipote a garanzia del pagamento. Giovanni Pepoli si era accordato con il capitano della rocca, che gli aveva promesso di far ribellare l’esercito pontificio e di consegnargli alcune personalità rilevanti, che sarebbero dovute servire da pedine di scambio con il Pepoli. Scoperto il progetto e giustiziato il capitano, a Giovanni, benchè rientrato a Bologna, non restava che cercare una soluzione per pagare il riscatto rimanente. Si fece strada in tal modo il progetto di vendere la città ai Visconti con i quali i signori di Bologna avevano consolidato l’alleanza già stretta da Taddeo negli anni precedenti. Si palesava così tutta la pericolosità di questo legame, che da parte viscontea era nato con il segreto intento di conquistare la città. In ottobre venne conclusa la trattativa di vendita e il 23 Galeazzo Visconti prendeva possesso di Bologna con un forte esercito4.

Nell’ambito della cessione del distretto di Bologna ai Visconti un discorso a parte va fatto per Crevalcore, S. Giovanni in Persiceto e S. Agata. Questi tre

3 Su questi temi cfr. F. BOCCHI, “Le imposte dirette a Bologna nei secoli XII e XIII”, Nuova rivista storica, 57 (1973), pp. 273-312.

4 Per queste vicende si vedano i resoconti delle cronache bolognesi del citato Corpus chronicorum Bononiensium, nonché A. SORBELLI, La signoria di Giovanni Visconti a Bologna e le sue relazioni con la Toscana, Bologna 1902.

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centri costituivano una roccaforte dei Pepoli dal punto di vista patrimoniale; fin dai tempi di Romeo la famiglia aveva accumulato qui un notevole patrimonio fondiario. In occasione dell’emancipazione del figlio Giacomo nel 1338, Taddeo gli aveva donato numerosi beni posti nelle vicinanze di S. Giovanni5; inoltre i due figli del signore, tra 1338 e 1346, acquistarono assieme oltre 2.000 tornature di terreni, prevalentemente boschivi e vallivi, nei pressi di Crevalcore6. Tra di essi vi erano probabilmente quelli che nel 1342 vennero utilizzati da Taddeo per creare la nuova universitas di Valbona, una sorta di borgo franco destinato a colonizzare un territorio incolto, e dove si sperava di attirare manodopera attraverso una serie di forti agevolazioni fiscali7.

Questi elementi aiutano a capire come mai, al momento della cessione della signoria ai Visconti, Giacomo e Giovanni indicassero con chiarezza, in un decreto del 24 ottobre, che essi, pur riconoscendo in anticipo la validità delle decisioni che il consiglio del popolo avrebbe preso – con ovvio riferimento all’acclamazione dei Visconti – ribadivano che in ogni caso mai il consiglio del popolo avrebbe potuto revocare la sovranità dei due fratelli Pepoli su Crevalcore, S. Giovanni, Nonantola e S. Agata; una posizione certamente “difensiva”, che mirava a tutelare le ultime vestigia del potere pepolesco nel bolognese8.

La signoria dell’arcivescovo di Milano Giovanni Visconti ebbe la legittimazione del consiglio del popolo, supremo organo cittadino, e si presentò con caratteri di netto rinnovamento rispetto al passato. Questo cesura è ben visibile anche a livello archivistico, dove si nota la scomparsa dei decreti pepoleschi a favore della serie delle riformagioni e provvigioni cartacee viscontee, che iniziano dal 24 ottobre 13509.

Nei patti di vendita della città furono stabilite, per i fratelli Pepoli, condizioni molto favorevoli, tra le quali spicca la sovranità, con mero e misto imperio, sui castelli di S. Giovanni, Crevalcore, Nonantola e S. Agata. Giacomo e Giovanni Pepoli sarebbero entrati a far parte dell’entourage visconteo, mantenendo un solido radicamento nell’area sopra menzionata. Tuttavia i Visconti avevano stipulato questa clausola in malafede, attendendo soltanto l’occasione giusta per annettersi Crevalcore e le altre località pepolesche. E’ d’altra parte chiaro che i nuovi dominatori avrebbero mal tollerato la nascita di una enclave potenzialmente ostile all’interno dei loro territori. Nel giugno 1351 Giacomo Pepoli venne incarcerato

5 ANTONIOLI, Conservator, cit., p. 67.6 Ibidem, p. 74.7 Ibidem, p. 152; cfr. la trascrizione del decreto signorile in appendice.8 Si veda in appendice il testo del decreto. 9 Sugli inizi della signoria viscontea a Bologna il lavoro di riferimento è G. LORENZONI, Conquistare

e governare la città. Forme di potere e istituzioni nel primo anno della signoria viscontea a Bologna (ottobre 1350-novembre 1351), tesi di dottorato in Storia Medievale, Università di Bologna 2004.

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con l’accusa di aver tentato di introdurre a Bologna delle truppe fiorentine, destinate a rovesciare il regime visconteo; i suoi beni vennero confiscati ed egli fu mandato prigioniero a Milano. E’ assai probabile che l’accusa fosse pretestuosa; certamente essa permise a Giovanni Visconti di impadronirsi rapidamente delle quattro località. In una lettera del 2 settembre 1351 l’arcivescovo ordinava ai suoi rappresentanti a Bologna che le terre di S. Giovanni, Crevalcore, S. Agata e Nonantola fossero considerate a tutti gli effetti di pertinenza del comune di Bologna10. Può darsi che Crevalcore fosse stata occupata assai rapidamente, forse persino prima della congiura di Giacomo Pepoli, perchè esistono dei mandati di pagamento a favore di alcune persone che avevano custodito il castello per conto del comune di Bologna fin dal maggio 135111.

Fig. 2. Giovanni Visconti, incisione settecentesca. Nato verso il 1290 da Matteo Visconti, divenne arcivescovo di Milano nel 1342. Fu signore di Milano a partire dal 1339. Si inimicò il papa, ma grazie alla protezione del re di Francia iniziò una spregiudicata politica espansionistica che portò il biscione visconteo nelle città di Genova e Bologna, fino a lambire il territorio di Firenze. Morì il 5 ottobre 1354, all’età di 64 anni.

10 SORBELLI, cit., p. 457. Giovanni Pepoli, a differenza del fratello, aveva invece accettato la tutela politica dei Visconti ed era diventato collaboratore dell’arcivescovo.

11 LORENZONI, cit., p. 83.

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Nei registri del vicariato, che analizzeremo tra poco, vi sono tracce della disgrazia di Giacomo Pepoli. In data 29 luglio 1351 il vicario visconteo Giovanni di Meletolo ordina al nunzio del comune di Bologna di recarsi presso il massaro di Crevalcore per sequestrare i beni di Giacomo Pepoli fino alla somma di 600 fiorini, e così pure quelli del suo sostenitore Rubeus de Liaçariis12.

Il 6 dicembre 1351 il vicario di Crevalcore, Giovanni Scaccabarozzi, proibisce a chiunque, sotto pena di 100 lire di bolognini, di compiere ruberie e furti nella dimora dell’arcivescovo a Crevalcore, che in precedenza era appartenuta a Giacomo Pepoli. Da questo breve decreto si può arguire che questo edificio, confiscato dai Visconti, fosse oggetto di saccheggi in quanto considerato ancora dalla popolazione di pertinenza pepolesca13.

Il nuovo regimeI Visconti governarono la città di Bologna attraverso tre ufficiali principali:

il podestà, il capitano o luogotenente del signore e il vicario generale. Il primo corrispondeva alla tradizionale magistratura, che era sempre stata eletta con continuità al vertice del comune. Il capitano svolgeva a tutti gli effetti le veci del signore, con un ampio spazio di libertà sul piano dell’azione politica. Non è casuale che per tale motivo la carica fosse sempre assegnata a esponenti della famiglia Visconti: prima Galeazzo, che la tenne fino al dicembre 1350, poi Bernabò, fino all’aprile del 1351, e infine Giovanni Visconti da Oleggio, che rimase nella carica di capitano fino al 1355, quando si insignorì personalmente della città.

Il vicario del signore era una carica già esistente sotto la signoria pepolesca; di fatto i Visconti non fecero altro che confermarla, pur affidandola a uomini di loro completa fiducia. A differenza del capitano, il vicario svolgeva compiti meramente amministrativi, come già era accaduto al tempo di Taddeo Pepoli.

Molti degli ufficiali del comune sotto la signoria viscontea erano uomini di fiducia dell’arcivescovo di Milano, spesso provenienti da altre città dello stato milanese; tuttavia alcune famiglie vicine ai Pepoli, come i Bianchi, i Bentivoglio e i Bonacatti, continuarono a collaborare con il nuovo regime, mentre un fedelissimo di Giacomo e Giovanni Pepoli, Masino di Egidio Tebaldi, nell’aprile 1351 si vide confermare nella carica di notaio all’ufficio dei Memoriali14; analogamente Giacomino di Pietro Angelelli, già esponente della curia notarile pepolesca, fu

12 ASBo, Vicariati, Crevalcore, mazzo 1, reg. 1, c. 4v.13 Ibidem, reg. 3, c. 6v.14 LORENZONI, cit., pp. 208-09 e 132-133.

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convocato più volte tra i sapienti nominati dalla nuova signoria15. Tutto ciò sembra dimostrare che, pur nella discontinuità tra i due regimi signorili, sia mancata la volontà, da parte dei Visconti, di procedere a una completa e totale rottura con il periodo precedente; inoltre i nuovi dominatori avevano interesse a sfruttare, per quanto possibile, la competenza di coloro che avevano già ricoperto uffici sotto il precedente regime.

L’istituzione dei vicariati. Le difficoltà economiche del contado bolognese e la necessità di alleggerire le

spese a carico del comune spinsero la nuova signoria alla creazione di una nuova distrettuazione del contado, basata sui vicariati, che andavano a sostituire le vecchie podesterie di bandiera, circoscrizioni territoriali formate da più comunità, che si erano delineate fin dalla seconda metà del XIII secolo. La riforma venne preparata da una commissione di nove cittadini, le cui deliberazioni, approvate dalla signoria, confluirono poi negli statuti del 135216.

Il vicario era nominato dal signore e durava in carica sei mesi; la sua familia era costituita da un notaio e quattro famuli17. La sua giurisdizione si estendeva alle cause di valore inferiore alle 5 lire di bolognini (pari a 100 soldi). Ogni causa non

15 Ibidem, p. 208. Ad esempio Brunino Bianchi è preposto all’ufficio delle biade, continuando quindi ad occuparsi di problemi annonari come al tempo dei Pepoli (LORENZONI, cit., p. 253). Anche altre figure vicine ai Pepoli collaborano con i Visconti: Bono Magnani, cognato di Riccardo Fantuzzi, è spesso tra nominato tra i sapienti e gli anziani (LORENZONI, cit., passim); Tettalasina Flamenghi è nominato sapiente circa la distribuzione del sale (ibidem, p. 303); Tommaso e Michele Schiasse ricoprono la carica di anziano (ibidem, p. 288); Guido e Pietro Lambertini vengono più volte chiamati a incarichi di responsabilità (ibidem, pp. 404, 406, 415). Il dottore in diritto canonico Giovanni di S. Giorgio viene impiegato come ambasciatore (ibidem, p. 294), mentre Giacomo Mezzovillani, che era stato molto vicino ai Pepoli, è nominato sapiente (ibidem, p. 301).

16 Cfr. L. CASINI, Il contado bolognese durante il periodo comunale (secoli XII-XV), Bologna 1909, pp. 277-79. Per questa redazione statutaria cfr. la seguente edizione parziale: Gli statuti del Comune di Bologna degli anni 1352, 1357; 1376, 1389 (Libri I-III), a cura di V. Braidi, 2 voll., Bologna 2002 (= Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna, Monumenti istorici. Serie Prima. Statuti) (d’ora in avanti: Statuti). Le norme relative all’istituzione dei vicariati si leggono nel vol. I, pp. 98-135.

17 I nuovi vicari dovranno giurare sui Vangeli “quod ipsi sunt fideles et devoti reverendissimi in Christo patris et domini domini nostri domini Iohannis, Dei gratia sancte ecclesie Mediolanensis dignissimi archiepiscopi, civitatum Mediolani, Bononie et cetera domini generalis” (Statuti, vol. I, p. 98). E’ evidente dunque il rapporto di fedeltà molto stretto che lega il vicario al signore, senza più alcun riferimento alle istituzioni comunali; viceversa negli Statuti del 1376, dopo la restaurazione del comune, il medesimo giuramento riesumerà – quasi in una dimensione “archeologica” – il linguaggio politico comunale di inizio secolo, usato ancora negli anni 1334-1337, dopo la cacciata di Bertrando: i vicari dovranno infatti giurare “quod ipsi sunt veri amatores comunis et populi Bononie et presentis status libertatis” (Statuti, vol. II, p. 793).

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poteva durare più di un mese, e le sentenze dovevano essere depositate entro 15 giorni presso l’ufficio del disco dell’Orso. Il vicario aveva competenza per quanto riguarda la tutela e l’amministrazione dei beni dei minorenni, per una somma non superiore alle 20 lire. Egli doveva inoltre perseguire e far catturare i banditi e i ribelli presenti nella sua giurisdizione. Il suo salario era di 180 lire di bolognini, e al termine del suo ufficio veniva sottoposto a sindacato, secondo la tradizione delle magistrature comunali18. Compito del vicario era anche quello di tutelare gli abitanti posti sotto la sua giurisdizione da eventuali soprusi da parte di magnati o altri uomini potenti, e da indebite richieste, da parte di costoro, di prestazioni personali di carattere feudale19.

La riforma portò una notevole semplificazione e razionalizzazione amministrativa, con il passaggio da quattordici podesterie di bandiera a soli sette vicariati, aventi la residenza nei seguenti centri: Castelfranco, S. Giovanni in Persiceto, S. Pietro in Casale, Budrio, Castel S. Pietro, Monzuno, Savigno. Il comune di Crevalcore era compreso nel vicariato di S. Giovanni in Persiceto, che annoverava anche le comunità di Bagno, Padule Sala e S. Agata20.

I registri del vicariatoCome ha osservato Luigi Casini, i registri del vicariato di Crevalcore

costituiscono un perfetto esempio delle forme con cui si è verificato nel contado il trapasso dall’una all’altra signoria. Il primo registro, cartaceo come tutti gli altri e dotato di una sovracoperta pergamenacea, è di grande formato e riporta la seguente intestazione:

Hec sunt acta agitata et facta coram provido et discreto viro domino Reondino Vicecomite potestate terre Crevalcorii pro reverendissimo patre et domino d. Iohanne de Vicecomitibus, Dei et sancte Mediolanenssis ecclesie gratia dignissimo archiepiscopo ac domino generali civitatis Mediolani, Bononie et castri Crevalcorii et cetera domino generali, et scripta per

18 CASINI, cit., pp. 279-81.19 Statuti, vol. I, p. 110: “Teneantur etiam dicti vicarii toto posse prohybere ne aliqui habitantes in

eorum castris, terris, locis et villis eorum vicariatibus subditis et curiis dictarum terrarum opprimantur, molestentur vel agraventur de facto ab aliquibus nobilibus vel potentibus in comitatu habitantibus vel ab aliquibus aliis, tam civibus quam forensibus, habitantibus in dictis terris, pro aliquibus angariis vel perangariis, carigiis, operibus personalibus vel cum animalibus. Ipsoque subditos totis viribus deffendere debeant ab omnibus violenciis et illicitis exactionibus et extorsionibus, et si predicta per se facere non possent propter potenciam extorquencium, notificare teneantur domino capitaneo, potestati et vicario Bononie sine mora, et eorum auxilium invocare.” La curatrice degli statuti trascrive – secondo me erroneamente – “perangariis” con “per angariis”, che non dà senso.

20 Statuti, vol. I, p. 118.

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me Lodoychum condam Francisci de Monterinçoli notarium et nunc notarium et officialem dicti domini Reondini potestatis, sub annis domini millesimo .iii. .Li. indictione .iiii., diebus et mensibus infrascriptis21.

Come si vede, non siamo ancora in presenza di un vicario, bensì di un podestà, che tuttavia non è un qualsiasi ufficiale del comune, bensì Reondino Visconti, membro della potente famiglia milanese. Questa scelta denota il ruolo centrale di Crevalcore nei tempi immediatamente successivi al trapasso dei poteri; considerando che la cittadina poteva ospitare ancora dei fautori dei Pepoli, si era ritenuto opportuno affidarla ad un parente del signore.

Gli atti di questo primo registro partono dal 21 luglio 1351; il giorno seguente è registrata una lettera dell’arcivescovo Giovanni con la quale l’ufficio di podestà viene mutato in quello di vicario, a sancire in tal modo definitivamente il trapasso di regime22.

Il secondo registro, di formato assai minore del primo e anch’esso cartaceo, è privo di sovraccoperta pergamenacea e presenta sulla carta iniziale alcuni disegni raffiguranti la vipera che divora un saraceno, simbolo araldico dei Visconti, accanto a varie probationes penne.

Il registro, che inizia con atti del 17 settembre 1351, reca a c. 1r la seguente intestazione:

Hec sunt acta agitata et facta coram provido et discreto viro domino Reondino Vicecomite potestate terre Crevalcorii pro reverendissimo patre et domino d. Iohanne de Vicecomitibus Dei et sancte Mediolanenssis ecclesie gratia dignissimo archiepiscopo ac domino generali civitatis Mediolani, Bononie et castri Crevalcorii et cetera domino generali et scripta per me Lodoychum condam Francisci de Monterinçoli notarium et nunc notarium et officialem dicti domini Reondini potestatis. Sub annis domini millesimo .iii. .Li. indictione .iiii., diebus et mensibus infrascriptis23.

Il terzo registro, di dimensioni identiche al precedente, è anch’esso cartaceo e privo di sovraccoperta. Gli atti in esso contenuti iniziano dal 3 dicembre 1351; l’intestazione è la seguente:

In Christi nomine amen. Hec sunt quedam acta agitata et facta coram sapienti et discreto viro domino Iohanne de Schachabaroçiis de Mediollano, honorabili vicario terre Crevalcorii et alliarum pertinenciarum ipsius pro reverendissimo in Christo patre et domino domino Iohanne Viçecomite, Dei et sancte Mediollanenssis eccllesie dignissimo archiepiscopo, ac civitatis Mediollani, Bononie et Crevalcorii et alliarum domino generalli, et scripta per me Lodoycum condam Francisci de Monterinçoli notarium et nunc notarium et officiallem dicti

21 ASBo, Vicariati, Crevalcore, mazzo 1, Reg. 1, c. 1r.22 Ibidem, reg. 1, c. 6r; per il testo di questa lettera cfr. l’appendice. E’ in errore CASINI, cit., p. 285,

scrivendo che la lettera è datata 26 luglio. 23 Ibidem, reg. 2, c. 1r.

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domini Iohannis vicarii sub annis domini millesimo .iii.c quinquagesimo primo, indictione quarta, diebus et mensibus infrascriptis24.

Come si vede, nel dicembre 1351 Reondino Visconti risultava sostituito, nella carica di vicario, da Iohannes de Schachabaroçiis di Milano; il passaggio del testimone può essere letto nell’ottica di una progressiva “normalizzazione” di Crevalcore e della sua situazione interna, una volta sopite le residue velleità pepolesche.

L’attività del vicario si esplicava grazie al supporto di un nunzio, che svolgeva il compito fondamentale di notificare i provvedimenti del vicario ai diretti interessati; in particolare tramite questa figura il convenuto veniva chiamato a giustificarsi degli addebiti presso il vicario. Nei registri troviamo formule del tipo “Rettulit Riçardus numptius se cytavisse et personaliter invenisse (aliquem)”. Altro compito caratteristico di questa sorta di “ufficiale giudiziario” era quello di pignorare i beni di coloro che non avevano pagato la multa alla quale erano stati condannati.

Al vicario potevano essere indirizzate suppliche da parte dei cittadini; questa usanza, diffusa a Bologna prima sotto la signoria ecclesiastica di Bertrando del Poggetto e successivamente sotto quella di Taddeo Pepoli, era un prezioso strumento di governo, che permetteva al signore di concedere una deroga alla legge municipale o al diritto comune, solitamente in materia di volontaria giurisdizione. Diffusissime nella Bologna pepolesca, le suppliche sono invece scarse nei registri del vicariato, probabilmente perché la sua giurisdizione non superava le cause di 100 soldi, come si è detto. Ad ogni buon conto il vicario Giovanni Scaccabarozzi si limita a definirsi “cognitor” di una supplica ricevuta, lasciando intendere che l’autorità di decidere in merito alla richiesta spettava esclusivamente al signore di Milano25.

Accanto al vicario e al nunzio agiva il notaio, che per tutti e tre i registri in questione è Lodoychus condam Francisci de Monterinçoli; egli, oltre ad essere ovviamente responsabile della tenuta dei registri, poteva affiancare il vicario in compiti di maggior responsabilità, come l’escussione di testimoni. Questa attività era resa possibile dal fatto che il notaio, per la sua preparazione professionale, era un uomo di discreta cultura, mentre d’altro canto la natura delle cause discusse presso il vicario, come vedremo, era tale da non richiedere sempre elevate competenze giuridiche.

Entrando nel merito del contenuto dei registri, va detto subito che sarebbe sbagliato attendersi dal resoconto delle cause uno spaccato vivo e palpitante di storia della mentalità o della cultura materiale. Il linguaggio stereotipato della

24 Ibidem, reg. 3, c. 1r.25 Ibidem, reg. 3, c. 19v: supplica presentata in data 14 dicembre 1351, nella quale lo Scaccabarozzi

si definisce congiuntamente “vicarius et potestas terre Crevalcorii”.

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Fig. 3– ASBo, Vicariati, Crevalcore, mazzo 1, reg. 2, c. 1r

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giustizia tardo-medievale e più ancora la forma mentis burocratico-amministrativa dei suoi operatori, a partire in questo caso dal vicario, rendono nel complesso piuttosto monotono il contenuto dei registri, come del resto accade a tutta l’analoga documentazione contemporanea. A ciò si aggiunga che Crevalcore era pur sempre un centro periferico, che non poteva competere con Bologna per vivacità culturale e sociale.

Il contenuto delle inquisitiones del vicario mostra una realtà quasi esclusivamente rurale, in cui le liti tra gli abitanti erano motivate sopratutto da danni dati sulle proprietà altrui, da furti di bestiame o di attrezzi, oppure da debiti connessi alla compravendita di beni di prima necessità (cereali, vino, suppellettili ecc.).

Per fare un esempio, si veda in data 4 dicembre 1351 (c. 2v) il caso di un certo Perondus Guillelmi de Nicholis, che accusa il beccaio Stephanus di avergli recato danno con un bue su un suo terreno posto in località “La Schina Rosa”, “scalpedando et corodendo dictum bladum”, cioè danneggiando i cereali che erano stati seminati nel campo. Il danneggiato valuta il danno subito 20 soldi; il beccaio, citato dal nunzio, compare e chiede di nominare due uomini che valutino questo danno, dicendosi pronto eventualmente a risarcirlo. Poco dopo il vicario, intervenendo personalmente, respinge questa richiesta e impone a Stephanus di provare entro 10 giorni la propria innocenza; in caso contrario si procederà contro di lui “secundum formam iuris”. E’ interessante notare che lo stesso beccaio, probabilmente per ritorsione, accusa Guillelmus, padre di Perondus di avergli sottratto un “falçone”, da identificare con uno strumento agricolo, probabilmente un tipo di falce o di mannaia.

Ma che questo Stephanus fosse poco rispettoso delle proprietà altrui parrebbe testimoniarlo un’altra accusa analoga, portata contro di lui da Gerardinus Petri Petrioli, confinante di Perondus e anch’egli danneggiato da un bue del beccaio26. E’ facile vedere in queste liti l’esito di modesti rancori tra vicini, che non trovavano modo di comporsi per via amichevole.

Un caso simile è quello di d.na Bona condam Guillelmi, la quale denuncia i danni subiti da un tale Brettorius Morus, che avrebbe invaso un suo terreno posto presso Crevalcore in località “Lo Pinzon”, e qui “schalvando” alcuni salici e devastando le viti che vi erano appoggiate avrebbe recato un danno stimato in 10 soldi di bolognini27.

Rimanda indirettamente alla viticultura anche il furto di una botte, sottratta alla casa “illorum de Ambroxiis”, che viene confermato anche da alcuni testimoni28.

26 Ibidem, reg. 3, c. 2v-3v.27 Ibidem, reg. 2, c. 6v28 Ibidem, reg. 2, c. 8r.

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Fig. 4– ASBo, Vicariati, Crevalcore, mazzo 1, reg. 3 c. 1r

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Si veda anche la lite che spinge Laurentius mag. Chambii a denunciare un tale Bergonginus, i cui beni erano stati confiscati a seguito di un reato, con l’accusa di detenenere illegalmente una sua capra “brinata çingiata de albo”; l’accusatore evidenzia che la controparte aveva l’animale in soccida, ma che la proprietà spettava a lui. Per appurare la verità, il notaio del vicario compie una serie di inquisitiones dalle quali risulta che i testimoni, appellandosi anche alla “publica vox et fama”, dànno ragione a Laurentius29.

A volte i registri forniscono un piccolo campionario degli oggetti della vita quotidiana, come nel caso dei pignoramenti compiuti dal nunzio Riçardus: tra i beni pignorati si annoverano ad esempio una zappa (“çapa”) e una lancia (“lancea”), sottratti a Petrus Ragacinus perché non aveva pagato due soldi; nella stessa carta si legge anche che il nunzio Dainexius aveva pignorato a Gerardinus de Goso una “piola” (sorta di lancia corta), a Tomax Arçimanus una “toaglia” e a Iohaninus Balugola un “falcinelus”. Si noti la presenza di armi, la cui detenzione era molto diffusa e di fatto tollerata, nonostante le numerose disposizioni statutarie in contrario30.

Attraverso questi pochi esempi abbiamo dunque, sia pure in forma modesta e limitata, uno spaccato della vita quotidiana del tempo, che in una località del contado come Crevalcore aveva prevalentemente caratteri rurali e fortemente conservativi. Fonti come questi registri, se indagate in modo sistematico, possono essere preziose per la storia locale; si pensi, ad esempio, alla possibilità di ricostruire la microtoponomastica del tempo, la storia di particolari edifici oppure l’idrografia del territorio. Si tratta solo di alcune indicazioni di massima, in direzione delle quali potrebbe orientarsi in futuro l’analisi di queste fonti troppo spesso dimenticate.

29 Ibidem, reg. 2, c. 11r-v.30 Ibidem, reg. 3, c. 8r.

Fig. 5– ASBo, Vicariati, Crevalcore, mazzo 1, reg. 3 c. 1r: particolare dell’intestazione.

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APPENDICE DI DOCUMENTI

ASBo, Comune, Governo, Signoria Pepoli, Provvigioni cartacee, reg. 15cc. 12r-13r (1342 febbraio 23)

Die .xxiii. februarii31./

Item prefatus dominus dilletissimorum filiorum suorum Iacobi et Iohannis a se / emancipatorum iustis suplicationibus inclinatus, proponentium se po/sidere et ex veris ac iustis titulis et causis acquisivise quasi totum teritorium / seu terenum confinibus qui infra subiciuntur incluxum et terminatum, quod / diversis particolaribus nominibus discripbitur, uno tamen generali nomine “Gralegum” / nuncupatum, positum et situatum in comitatu Bononie, inter seu intra / curias terrarum Sancti Iohannis in Persiceto, Crevalcorii et Sancte Agate / et in ipsarum terrarum curiis seu alterius earum, quasi totum teritorium et terenum / incultum esse et totum inhabitabile et dexertum, et inde aut / in illo transseuntibus vel paschulantibus omni quasi tempore umbrosum et / periculoxum, desiderantium etiam illud totum ad terras cultas seu / pratora vel nemora reducere, et prout eis possibile32 fuerit, et / comunis ac eorum utilitas suadebit, ibidemque hedificia domorum / fieri facere, ut habitantes et cultores reperiantur in eisdem, et contracta / tota, et etiam terre predicte circumvicine in securiori statu maneant / et fructus, redditus ex eis percipiantur tam eis quam popullo Bononie pro/futuri; dicentium etiam predicta comode fieri non vallere, nixi dictum terrenum ab aliis terris at ab aliis comunibus circumvicinis, et earum curiis et guardiis segregetur, et liberum efficiatur, et habitantes / qui pro tempore ibidem habitaverunt gaudeant congrua immunitate / et libertate, saltem pro tempore de quo magis videbitur convenire, ut habi/tatores habeantur, terra quam per se sit et perpetuo habeatur, et speciali / imponendo nomine perpetuo nuncupetur. Advertens igitur predicta non solum / ad dictorum filiorum suorum honorem et comodum, set etiam tocius rei publice / civitatis Bononie pertinere, et posse verisimiliter redundare, et ut omni / profectu, honore, statu et hominibus prefacta civitas eiusque districtus / repleatur, omni auctoritate predicta qua fungitur, et omni via, iure et modo / quibus melius potest, providit, statuit et decrevit quod totum dictum teri/torium et terenum per eosdem filios suos acquisitum et aquirendum in circum/stanciis predictis terminatum et quatenus terminatur seu terminari / potest, super strata qua itur a terra Sancti Iohannis predicta ad terram Crevalcorii, / incipiendo ab ea parte que est versus dictam terram Sancti Iohannis33 / et eumdo directo quatenus a dicto termino continuando versus Crevalcorium usque34 [...] / eundo vero a dicta strata supra versus / dictam terram Sancte Agate usque35 [...] / eundo ad squadrum supra versus dictum

31 Decretum universitatis volencium venire ad habitandum super terreno Iacobi et Iohannis posito in curia Crevalcorii et Sancte Agate nel margine sinistro.

32 possibile, ms. posibele.33 Segue spazio bianco e segno di comma.34 Segue spazio bianco e segno di comma35 Segue spazio bianco e segno di comma

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36 dictos, ms. dicto.37 Segue et depennato.38 Segue se ripetuto. 39 esse, ms. esset, -t cancellata.40 Segue parola cancellata.41 presentibus, ms. presuntibus.

locum quatenus sub dictis / terminis dicte strate squadrando includitur et conprehenditur / (c. 12v) a dicta vero strata infra usque ad valles et ultra, quantum protenditur teritorium / comunis Bononie ad squadrum predictum. Et totum quidquid est inter seu infra dictos / terminos et confinia, et etiam totum quidquid est vel esse reperiretur, eciam extra / dictos terminos, quod in dictis acquisitionibus per eos factis vel fiendis contineretur / quatenus contiguum esset cum dicto terreno posito infra dictos36 terminos, vel / aliqua eius parte, sit et esse intelligatur ipso iure et facto et efficaciter / liberum, exemptum et exclusum a dictis terris supra nominatis, et aliis omnibus / adiacentibus in quarum vel alicuius earum curiis quoquo modo vel pro aliqua parte / positum esse diceretur vel reperietur; et ab ipsarum omnium terrarum et aliarum / tam specificatarum quam non, curiis ac territoriis, officialibus, iurisdictionibus / honeribus et gravaminibus realibus37, personalibus et mistis, ordinariis et extra/ordinariis et aliis quibuscumque et cuiuscumque generis, eciam si de potestatibus, / iudicibus seu notariis de banderia vel de sacho aut eorum salario ageretur. / Et sic eum liberavit, exemit et excluxit, ac liberat, eximit et / excludit, et territorium et terrenum per se liberum, et specialis terra / per se38 perpetuo sit et esse39 intelligatur, que Valbona debeat / nominari, et eius, in eius et de eius curia et guardia sit et esse inteligatur / perpetuo totum terenum et teritorium supradictum, quo ad omnia que de curiis / seu guardia terrarum, comitatus aut districtus Bononie disposita reperientur; / et quod omnes et synguli, qui40 non sunt vel erunt de iurisdictione / aut subiectione comunis Bononie, tempore quo ad habitandum venerunt ut infra, / qui habitaverunt seu ad habitandum venerunt in ipsa terra aut super / ipso territorio vel tereno, vel aliqua eius parte, sint et esse inteligantur / pro toto tempore viginti annorum continuorum a die qua habitare inceperunt / computando, liberi, immunes et exempti ab omnibus et singulis honeribus / et gravaminibus realibus ac personalibus et mistis, angarariis et perangarariis, / ordinariis et extraordinariis, et ceteris aliis omnibus cuiuscumque qualitatis / et generis impositis seu iniunctis aut imponendis seu iniungendis / per comune Bononie aut eius vices et auctoritatem obtinentes in civitatem Bononie aut / eius comitatu, territorio vel districtu aut suis subditis vel habitatoribus / eamdem, pro toto tempore supradicto, pro eo silicet tamen tempore quo ibidem / habitarent infra dictum terminum viginti annorum, nec ad aliqua talia / honera vel gravamina teneantur aut compelli posint vel debeant / quoquo modo, etiam pro hiis bonis que ipsi habitantes aquirerent in futurum, nixi quatenus de alterius non exempty honere vel gravamine trataretur, pro quo ipsa bona obligata dicerentur, et exeptis daciis et gabellis comunis Bononie presentibus41 vel futuris / que etiam infra dictum terminum viginti annorum solvere et subire / teneantur, sicut cives civitatis Bononie tenentur. Ita tamen / quod hac libertate vel immunitate reali vel personali non gaudeat / (c. 13r) aut ibidem habitare posit, aliquis qui sit, vel pro tempore fuerit, / bapnitus comunis

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Bononie pro malleficio aut confinatus vel interdictus ab ipsa / civitate aut eius districtus, vel rebellis aut inimicus dicti comunis / aut dictorum, pro tempore quo sic bapnitus <vel> confinatus fuerit, aut rebellis vel inimicus ut supra; posint etiam habitatores predicti et / eis liceat facere et habere comune et universitatem per se, et comune et / universitas censea<n>tur dicte terre, et officiales sibi facere et elligere / posint, prout et sicut dicti eius filii, aut ipsorum successores dusserint / disponendum vel comitendum. Ita tamen quod ipsa terra, universitas et / habitatores eiusdem perpetuo eciam infra dictum terminum viginti / annorum in quibuscumque iusticiam tangentibus, aut ad merum, / mistum imperium vel iurisdictionem pertinentibus, subesse, parere et / respondere debeant eidem domino conservatori et comuni Bononie, et eius / officialibus et ipsius et ipsorum legibus et statutis ac decretis et preceptis / et in ceteris aliis occurentibus, exceptis honeribus et gravaminibus antedictis; et etiam in eis et de eis ellapso dicto termino viginti annorum / immunitatis eis concesse, sicut alii cives dicte civitatis, aut homines / eius comitatus, territorii vel districtus, singula syngulis referendo, / prout eis posunt sine vicio adaptari, non obstante in premisis / vel aliquo premisorum aliquo iure comuni vel municipali civitatis Bononie / aut ipsius domini conservatoris decreto in contrarium quomodolibet faciente, / generali vel speciali, derogatorio vel non, eciam42 si de eo / oporteret fieri mentionem; quibus omnibus ante omnia derogavit et derogat, et pro specificatis haberi voluit et mandavit. //

ASBo, Comune, Governo, Signoria Pepoli, Provvigioni cartacee, reg. 42, c. 316r (1350 ottobre 24).

In Christi nomine amen. Eiusdem nativitatis anno millesimo trecentesimo quinquagesimo / indictione tercia, die dominico vigesimoquarto octubris in nonis et hora none. / Magnifici domini domini Iacobus et Iohannes fratres de Pepollis , omni auctoritate / arbitrio, iurisdictione et baylia quibus funguntur in civitate, comitatu et districtu Bononie / et omni alio modo, forma et iure quibus melius potuerunt et possunt, providerunt / ediderunt, declaraverunt, statuerunt, decreverunt, voluerunt et mandaverunt quod / omnia statuta, consuetudines, provixiones, decreta et ordinamenta comunis seu civitatis / Bononie, et alie quecumque leges quovis nomine nuncupentur, loquentes et loquentia / de aliqua forma vel solennitate servandis in conscilliis seu reformationibus seu reformationibus conscilliorum / sint deceptero cassa et anullata et nullius vigoris et momenti, ac etiam / ipsa cassaverunt, iritaverunt et anullaverunt. Et insuper voluerunt, edi/derunt, statuerunt et mandaverunt quod deceptero cum vocabitur conscillium generale civitatis / Bononie per precones comunis Bononie, seu aliquos ex eis, et per sonum campane, quod si in aliquo / reperiantur esse trecenti cives Bononie, quod ipsi omnes qui reperirentur in ipso conscillio/ sint et esse intelligantur de conscillio, et ipsi soli tantummodo faciant conscillium. / Et quod quicquid in ipso conscillio fuerit factum seu reformatum per existentes in eo conscilio / vel maiorem partem eorum perinde habeatur, valleat ac sorciatur effectum ac

42 Segue sine depennato.

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si / reformatum et factum foret per totum conscillium et per totum populum civitatis Bononie, et / ac si per ipsum populum factum foret, cum omnibus solepnitatibus que in ipso actu a quolibet / iure comuni vel municipali requirerentur, et ac si omnia statuta et ordinamenta, tam / sacrata quam non sacrata et quecumque consuetudines et observantie comunis vel populi Bononie / et contenta in eis vel solita observari intervenissent et servata fuissent, et ex nunc / ex plenitudine sue potestatis, auctoritate et baylie approbaverunt quicquid in ipso conscillio / factum et reformatum fuerit, non obstantibus aliquibus statutis, reformationibus et ordinamentis civitatis / Bononie, sacratis vel non sacratis, derogatoriis vel non derogatoriis, nec quovis alio iure comuni vel municipali quibus in quantum obviarent predictis vel alicui predictorum / voluerint esse derogatum, et si talia forent de quibus esset necessarium, mentionem facere / specialem et perinde habeatur ac si de eis et qualibet earum specialis mentio facta foret. / Salvo semper declarato et excepto quod per predicta vel alliqua predictorum qut per aliquod / conscilium ordinatum vel ordinandum prenominatis dominis Iacobo et Iohanni vel alteri / eorum non possint auferri dominium, potestas, iurisdictio, auctoritas vel baylia terrarum / Sancti Iohannis in Persiceto, Crevalcorii, Nonantulle et Sancte Agathe, aut alicuius / earum vel pertinenciarum suarum seu exercitium ipsarum vel alicuius earum. Et quod ipse terre / et quelibet earum et ipsarum iurisdictio, potestas, dominium, auctoritas et baylia ipsis dominis / integre et absolute remaneant, et in ipsorum dominio, potestate et exercitio sint, de quibus / nemini liceat se intromictere, et quod in aliquem alium transferri non possint modo / aliquo, iure vel causa ipse terre vel earum aud alicuius ipsorum dominium, iurisdictio, / exercitium vel baylia, quas terras et quamlibet earum cum suis curiis et per/tinentiis et earum et cuiuslibet earum dominium iurisdictionem, exercitium, potestatem / et bayliam ipsi domini sibi reservaverunt et reservatas et reservata esse voluerunt / et decreverunt //.

ASBo, Vicariati, Crevalcore, mazzo 1, reg. 1, c. 6r (1351 luglio 22)

Nos Iohannes Dei gratia sancte Mediolanensis ecclesie archiepiscopus ac civitatum Mediolani, Bononie et cetera dominus generalis. De circumspectione nobilis viri Reondini Vicecomitis conestabilis nostri equestris confisi, eundem ab hodierna die in antea usque ad nostre beneplacitum voluntatis in vicarium nostrum terre Crevalcorii, Bononiensis districtus, et partium que ipsi terre Crevalcori subesse noscuntur, et in officialem nostrum ad presidendum cum baneria sua custodie ipsi terre Crevalcori et partium predictarum tenore presentium deputamus, facimus et creamus, mandantes universis et singulis dictarum partium quatenus ipsi Reondino circa huiusmodi suum officium in omnibus honori nostro spectantibus pareant et intendant efficaciter tanquam nobis. Datum Mediolani millesimo trecentessimo quinquagessimo primo, die vigessimo secundo iulii, quarta indictione.

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Novecento

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Fig. 1– Crevalcore, Archivio storico. Mondine nelle valli di Crevalcore

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Nel 2004 le Unità di Base dei Democratici di Sinistra di Crevalcore, Caselle e Bolognina donarono all’Istituzione Culturale Paolo Borsellino una raccolta di materiale librario ed archivistico appartenuta alle sezioni del Partito comunista italiano. Il materiale era pervenuto alle Unità di Base a seguito delle note trasformazioni intervenute nel Partito comunista italiano, diventato PDS ed infine DS.

Il materiale è stato prodotto negli anni che vanno dal 1946 fino alla fine degli anni ’80.

Scopo della donazione è stato quello di evitare la dispersione di un patrimonio, costruito nei decenni, che può essere utile per studiare le vicende della storia recente di Crevalcore. Un’idonea collocazione ed un adeguato riordino del materiale possono favorire ricerche su periodi ed eventi che si stanno allontanando nel tempo e relativamente ai quali stanno scomparendo molti dei testimoni diretti.

Il materiale proveniente dalla Unità di Base di Crevalcore è quasi esclusivamente composto da libri e riviste. Sono presenti i testi classici del marxismo che ogni sezione del Partito comunista doveva avere, in particolare le opere di Lenin, Marx, Gramsci nelle edizioni degli Editori Riuniti. Sono presenti altresì alcune raccolte di riviste vicine al P.C.I. specializzate nei vari campi come Studi Storici, Democrazia e Diritto, Critica Marxista, Rinascita, Nuova Rivista Internazionale.

Manca quasi completamente in questa raccolta la corrispondenza della Sezione, nonché il materiale da essa prodotto come manifesti, relazioni, atti di convegni e conferenze, rapporti con gli iscritti, ecc. L’assenza di questo materiale, sicuramente il più interessante per il ricercatore o il curioso di oggi, è in parte spiegabile con la mancanza di cure appropriate per il mantenimento di un archivio.

La ragione principale è però un’altra. Nel 1964, nei mesi in cui furono denunciati dalla stampa (l’iniziativa fu del settimanale l’Espresso) i tentativi golpistici del generale De Lorenzo, il PCI temette che una svolta autoritaria nella politica italiana avrebbe, oltre che compromesso la propria operatività, messo a rischio la libertà e l’incolumità dei propri membri. In quell’anno compagni fidati furono incaricati di occultare tutti i documenti conservati presso le sezioni al fine di proteggere, per quanto possibile, l’identità degli iscritti e di salvaguardare la struttura organizzativa. Questi materiali, per la sezione di Crevalcore, non sono più stati recuperati; sembra,

GABRIELE BOIANI

Una donazione per l’archivio storico

L’archivio del PCI di Caselle

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dai ricordi dei testimoni, che in essi fossero contenuti i verbali delle discussioni, le relazioni delle assemblee e dei congressi,i materiali di propaganda prodotti, nonché la corrispondenza.

Il materiale proveniente dall’Unità di Base di Caselle è invece ricco di documenti. Vi è raccolta la corrispondenza della Sezione del Partito comunista italiano con la Federazione provinciale, con gli organismi comunali del medesimo partito, a volte con le Sezioni delle limitrofe località del Modenese. Non mancano manifesti e volantini relativi ad iniziative politiche organizzate localmente. La raccolta è interessante, in particolare per gli anni ’40 e ’50. Da quanto raccolto da questa periferica sezione di provincia è possibile osservare gli eventi della grande politica nazionale ed internazionale, ma anche uno sforzo quotidiano di donne e uomini che cercano di organizzarsi per cambiare le dure condizioni della loro esistenza.

Da questi carteggi si può anche tentare di ricostruire il mondo e la mentalità nel quale operavano le organizzazioni del Partito comunista.

Il contenuto delle lettere provenienti dalla Federazione provinciale è finalizzato soprattutto agli aspetti organizzativi del partito, ma a volte non mancano idee e progetti per innovazioni radicali.

Mi sembra molto interessante a questo proposito una lettera della federazione provinciale del PCI del 1 dicembre 1949: in essa si invitano le sezioni e le organizzazioni politicamente affini ad organizzare nelle giornate di Natale, Capodanno ed Epifania delle feste e delle manifestazioni alternative a quelle tipiche della tradizione cattolica.

Fig. 2– Crevalcore, Archivio storico. Caselle negli anni Cinquanta

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“…Bisogna che ci mettiamo al lavoro, (le forze e le capacità non ci mancano) per permettere a tutti coloro, che per tradizione escono di casa la notte di Natale, di avere una attrattiva che non sia quella della messa. E non solo, ma dobbiamo operare in maniera che si possa interessare altra gente, andare più lontano, giungere a persone che non hanno mai partecipato perché contrari alle forme rigide che la Chiesa impone, per trasformare la festa del Natale in una manifestazione popolare.

[...] L’intenzione deve essere quella di celebrare queste festività fuori dagli schemi della Chiesa, nelle forme nuove e nostre, senza per questo voler entrare in concorrenza con la chiesa, su un campo che non vuole essere il nostro.

Cosa fare?1°) Allestire un albero di Natale in una piazza (l’albero di Natale deve diventare il simbolo

tradizionale) in una via del paese o del rione, il più grande possibile, adorno di luci e di festoni colorati e scintillanti.

2°) L’albero di Natale così costruito, deve essere il simbolo attorno al quale andranno organizzate le più varie iniziative nella notte di Natale e seguenti. Ad esempio:

-Balletti elementari di giovani e ragazze, con canti, fisarmoniche, ecc-Recite di poesie sul Natale fatte da bimbi (cercare di trovare delle poesiole che parlino dei

bambini poveri, della pace, della fraternità, della lotta per il pane e il lavoro dei loro padri). Si possono premiare i più bravi.

-Raccolta di doni sotto l’albero per i bimbi poveri e per i carcerati politici-Distribuzione di un ramoscello di abete, quale simbolo del nostro Natale”

Il documento è ricco di suggerimenti organizzativi per realizzare questi programmi anche per le feste di Capodanno ed Epifania.

Si trattava, nonostante le ripetute affermazioni di non volere entrare in concorrenza con la Chiesa e la tradizione, di un disegno ambizioso, volto al rinnovamento radicale dell’identità di una comunità. E’ comprensibile che un tale tentativo avvenga in un periodo, come l’immediato dopoguerra, in cui c’è un grande desiderio di cambiamento e di messa in discussione di secolari rapporti sociali e delle tradizioni tipiche di quel mondo.

Risaltano in questa lettera, come in tante altre, gli inviti alle strutture del partito a rivolgersi in particolare alle donne ed ai giovani, affinché siano essi i principali protagonisti del rinnovamento della società.

E’ interessante anche un’analisi del linguaggio della corrispondenza proveniente dalla federazione. Nei primi anni del dopoguerra, in queste missive, ci si rivolge alle strutture periferiche con disposizioni perentorie, con direttive che lasciano poco spazio alle repliche. Le frasi non di rado sono sgrammaticate. Negli anni successivi i contenuti sono più articolati e caratterizzati da maggiore problematicità, la forma è più improntata al dialogo, gli errori grammaticali scompaiono.

La donazione proveniente da Caselle contiene però anche altro materiale assai interessante; quello relativo al Collettivo Braccianti di Caselle ed alla Lega Braccianti di Caselle, che si trova insieme al materiale del Partito comunista per la contiguità degli spazi adibiti alla conservazione della documentazione di queste forme associate e, soprattutto, perché spesso erano le medesime persone a produrle ed a conservarle.

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Il materiale relativo al Collettivo Braccianti di Caselle ed alla Lega Braccianti di Caselle è sicuramente il più ricco di tutta la donazione, probabilmente il più interessante per la sua originalità.

Vediamo brevemente come si costituiscono queste forme associate a Caselle.Nella zona di Caselle (ma ciò valeva anche per buona parte del restante territorio

crevalcorese, nonché degli altri comuni limitrofi) era molto diffuso il contratto di compartecipazione di terzeria. In conformità a questo contratto il compartecipante, che forniva il proprio lavoro per coltivare un terreno, riceveva dal proprietario un terzo del raccolto (che scendeva a circa il 29% al netto delle spese). Il bracciante terziario, in base al contratto agrario, non aveva l’alloggio fornito dal proprietario del terreno (come ad esempio nel contratto di mezzadria) e doveva quindi anche affrontare questo non piccolo problema. I terziari vivevano solitamente in modestissime case in affitto; rari erano i casi di coloro che possedevano la casa d’abitazione.

Si tratta, com’è intuibile, della categoria più povera, meno protetta e più esposta alle variabili dei raccolti, fra quelle che lavoravano in agricoltura.

Il contratto di compartecipazione in Emilia-Romagna era di origine antiche ed aveva avuto una diffusione alla fine dell’Ottocento durante la crisi agraria. Negli anni 30 del Novecento, terminati i grandi lavori di bonifica, il fascismo estese la

Fig. 3: – Crevalcore, Archivio storico. 1953: manifestazione nel Teatro comunale per la riforma agraria.

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compartecipazione sotto forma di terzeria.Non è casuale il diffondersi di questi contratti nei periodi citati. Infatti, il

contratto di compartecipazione, prevedendo un pagamento in natura, in un periodo come quello della crisi agraria fine Ottocento, riduceva di fatto i salari bracciantili. Il fascismo favorì la terzeria, per tentare di trasformare il proletariato delle campagne in un mondo più legato alla terra e meno alle organizzazioni bracciantili. Ovviamente per motivi opposti, le organizzazioni sindacali erano sempre state avverse ai contratti di compartecipazione.

Nella realtà di Caselle, nelle terre condotte a terzeria i proprietari preferivano le coltivazioni ad alto impiego di mano d’opera (fornita dal bracciante), come la canapa, perciò l’attività del terziario era particolarmente faticosa, oltre che scarsamente remunerata stante la ripartizione contrattuale del prodotto nella misura di 1/3 e 2/3 come si è detto.

Nella maggior parte dei casi i proventi del contratto di terzeria non erano sufficienti per le necessità del bracciante e della sua famiglia, perciò questi lavoratori spesso cercavano di lavorare anche in altre aziende agricole (del luogo, ma anche lontane, come nel caso delle mondine), come salariati. Questa realtà era inserita, almeno fino agli anni ’50 del novecento, in un contesto di sovrabbondanza di

Fig. 4– Crevalcore, Archivio storico. 1949: Lettera della Federazione comunista che sollecita la proiezione del documentario “Togliatti è tornato”.

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Fig. 5– Crevalcore, Archivio storico. Anni ’50: braccianti dopo la trebbiatura.

mano d’opera e quindi di cronica sottoccupazione.Dopo la fine della guerra e la Liberazione, i tradizionali rapporti fra proprietari

e lavoratori agricoli sono messi in discussione. Fra i braccianti, i terziari, ed anche fra i mezzadri vi sono molte attese di grandi cambiamenti.

A Caselle (come naturalmente anche a Crevalcore) c’è disoccupazione e sottoccupazione, dovuta alle difficoltà generali della crisi economica del dopoguerra, fenomeni aggravati dai giovani che tornano dalla guerra. La situazione nelle campagne si fa rapidamente assai tesa. I rapporti sociali ed economici, che erano stati bloccati dal fascismo, si fanno esplosivi.

I braccianti e i terziari, che vivono la situazione più difficile, in condizioni spesso di grande miseria, sono i più attivi a voler cambiare le regole che li costringevano al loro stato.

Negli anni dell’immediato dopoguerra non si assiste a vere rivolte contadine, ma ad un tentativo, sostenuto dalla forza del numero, nonché dal mutato clima politico e sociale, di cambiare le clausole dei tradizionali contratti agrari.

Il 1° ottobre 1947 è costituito il Collettivo braccianti di Caselle avente lo scopo di contrattare, con i proprietari delle terre, dei patti di compartecipazione collettiva, ove il compartecipante non è più il singolo terziario, ma il collettivo bracciantile. I nuovi contratti firmati sono più favorevoli ai braccianti, rispetto alla tradizionale

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suddivisione dei proventi dell’attività agricola. Questi nuovi accordi prevedono, infatti, una ripartizione dei prodotti, al netto delle spese, diverse per i vari generi:40% per grano, orzo, avena, segala, mais, bietole, patate, fagioli secchi, zucche, erba medica; 43% per canapa, lino, piselli, cipolle invernali; 45% per girasole, ricino, uva; 46% per i pomodori; 50% per cipolle primaticce; 60 per gli asparagi.

E’ evidente come la nuova divisione dei raccolti permette al bracciante un maggior guadagno di oltre il 10% rispetto alle regole previste prima del 1947. Inoltre ora il Collettivo riesce, a volte, a vendere direttamente i prodotti di propria pertinenza e, ove ciò non è possibile, ad esercitare un controllo nella fase di vendita delle derrate.

Il Collettivo di Caselle ha un numero di soci iscritti, negli anni 1948 e 1949, di circa 450 lavoratori, con una leggera prevalenza delle donne rispetto agli uomini. Esso ha dei contratti di compartecipazione con una quindicina di proprietari ogni anno, lavorando una superficie agricola di circa 800/900 tornature bolognesi.

Altri Collettivi simili si formano anche a Crevalcore ed in alcune frazioni. I proprietari, per la coltivazione dei loro terreni, non utilizzano solo questi tipi di contratto, ma anche la mezzadria e la conduzione in economia tramite salariati.

A Caselle i principali proprietari dei terreni con contratti di terzeria col Collettivo sono le aziende Melloni, Balboni, Cantarelli, Campagnoli, con appezzamenti interessati ai contratti di circa 80/100 tornature ciascuno.

Questi proprietari non sono certamente entusiasti della situazione che si crea

Fig. 6– Crevalcore, Archivio storico. Volantino anni ’50

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con la costituzione del Collettivo e con i nuovi contratti di compartecipazione, ma devono prendere atto della nuova realtà ed adeguarsi. Dopo gli iniziali scontri, segue però un periodo di relativa pace sociale fino alla metà degli anni ’50. Da questa data in poi, con la diffusione della meccanizzazio-ne agricola, il Collettivo è visto sempre più dai proprietari come un impaccio, un vincolo alle trasformazioni delle lavorazioni agricole. I proprietari preferiscono sempre più la conduzione dei terreni tramite salariati, figure più confacenti alle lavorazioni meccanizzate ed alle nuove colture, come il frutteto. Il Collettivo vede ridursi quindi la propria attività e di conseguenza il numero degli iscritti, ed entra in crisi. L’abbandono da parte del Collettivo delle terre che coltiva non avviene in maniera tranquilla, ma dopo manifestazioni di protesta, scioperi, occupazioni simboliche, come nell’azienda Pascolone nel 1955.L’ultima attività del Collettivo di Caselle è nella tenuta Malvasia, dell’azienda Cam-pagnoli, alla fine degli anni ’50.Il funzionamento del Collettivo braccianti ha prodotto una cospicua documenta-zione, presente nel materiale oggetto della donazione. Sono presenti soprattutto dei registri con indicati i nomi dei soci con le ore che ciascuno ha lavorato; sono elencate le attività svolte in ogni azienda agricola, i prodotti ottenuti e i relativi

Fig. 7– Crevalcore, Archivio storico. Volantino per la celebrazione della festa della donna. 8 mar-zo 1955

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riparti fra proprietario e collettivo.Il Collettivo non era l’unica forma associata dei braccianti di Caselle. I medesimi

braccianti che abbiamo già visto nel Collettivo, lavoravano altresì per aziende, enti, coltivatori diretti, mezzadri della frazione.

Nel materiale d’archivio si rileva a Caselle anche la presenza della Lega Braccianti, espressione, fino al 1948, del Sindacato Unitario e poi della CGIL. Essa aveva sede a Caselle presso la Casa del popolo.

La presenza di un corposo materiale d’archivio della Lega Braccianti è dovuta principalmente all’attività di gestione del collocamento della mano d’opera effettuato da questa organizzazione.

Come è noto le organizzazioni sindacali, immediatamente dopo la Liberazione, riprendono l’attività di gestione del collocamento del lavoro nelle campagne, attività che avevano esercitato negli anni precedenti l’avvento del fascismo. Per la verità, l’esercizio del collocamento da parte del sindacato era diffuso solo nel Nord Italia ed in particolare nella pianura padana, mentre era pressoché sconosciuto al Sud.

L’attività di gestione del collocamento da parte del sindacato terminerà nella primavera del 1949, quando sarà sancito per legge il monopolio del collocamento statale istituito l’anno precedente.

Fig. 8– Crevalcore, Archivio storico. 1952: elenco di lavoratori inviati dal collocamento a una azienda agricola per la raccolta e l’imballaggio della paglia

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A Caselle, negli anni 1945-1949 la Lega Braccianti gestisce il collocamento della mano d’opera, facendo funzionare un Ufficio di collocamento per l’avviamento al lavoro dei braccianti agricoli.

La Lega gestisce l’occupazione dei salariati conformemente alle difficili esigenze dell’epoca, in cui povertà e sottoccupazione sono le costanti nella maggior parte delle famiglie. L’avviamento al lavoro avviene quindi soprattutto secondo il criterio della suddivisione fra i molti lavoratori dello scarso lavoro disponibile.

Il lavoro è in gran parte nelle aziende agricole locali, ma in quegli anni del dopoguerra la Lega organizza anche il lavoro delle mondine in Piemonte e nella bassa pianura bolognese, nonché quella degli uomini nella raccolta del carbone fossile a Perugia.

La documentazione prodotta dalla Lega Braccianti consta soprattutto degli elenchi dei braccianti e delle mondine, dei fogli d’avviamento al lavoro dei lavoratori da occupare nelle aziende. Non manca, naturalmente, la documentazione relativa all’attività sindacale vera e propria della Lega.

Per terminare la rapida analisi della documentazione di Caselle, voglio citare ancora il materiale relativo alla gestione del Cral (relativamente ai primi anni ’50) e dei suoi rapporti in particolare con l’ENAL (ente dal quale formalmente dipendeva). La corrispondenza relativa permette di vivere il periodo della trasformazione delle realtà del tempo libero, dall’ente pubblico centralizzato alla

Fig. 9– Crevalcore, Archivio storico. Fine anni ’40: manifestazione contro gli agrari.

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rete dell’associazionismo democratico. Infine va segnalata la presenza di alcuni documenti relativi al funzionamento

dello spaccio della Cooperativa di consumo di Caselle.Si tratta di un materiale, come si è detto, interessante, meritevole di essere

analizzato e studiato; sufficiente, se opportunamente integrato con testimonianze orali, per ricostruire un periodo del nostro passato che si sta rapidamente allontanando nel tempo. Uno dei motivi di maggior interesse credo sia quello di poter studiare una comunità particolarmente coesa e con una precisa identità, come quella di Caselle, in un momento cruciale della sua storia, momento in cui avviene il passaggio verso la modernizzazione.

Organizzazioni come quelle dei braccianti di Caselle hanno avuto grandi meriti, sia per la ricostruzione economica e lo sviluppo del Paese, sia per avere dato, a donne e uomini semplici, degli obiettivi e degli strumenti di emancipazione. Queste

Fig. 10– Crevalcore, Archivio storico. 1955: manifestino della Lega braccianti.

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organizzazioni hanno contribuito ad evitare pericolose forme di ribellismo senza sbocchi ed a costruire, dal basso, una convivenza appresa con le forme della solidarietà e della democrazia.

Ciò che è avvenuto nel piccolo microcosmo di Caselle, negli anni del dopoguerra, è ben rappresentativo, mi pare, della strada percorsa dall’Italia verso la crescita civile e la democrazia.

Fig. 11– Crevalcore, Archivio storico. 1953: invito a un’assemblea sul frazionamento dell’azienda Barchessa

NOTA. Un ringraziamento al sig. Dino Vincenzi, custode del materiale proveniente da Caselle fino alla donazione. Dino è stato un protagonista dei tempi in cui sono stati prodotti i documenti e, per la sua memoria, la sua lucidità, la sua passione, è un testimone prezioso per chiunque desideri approfondire gli eventi.

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Fig. 12– Crevalcore, Archivio storico. 1948: quaderno di conti con i proprietari.

Fig. 13– Crevalcore, Archivio storico. Anni ’50: tavolata di contadini.

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Fig. 1. Pubblicità del Kinematografo Edison al teatro di Crevalcore (1896).

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Sul finire del 1896 l’impresario Italo Pacchioni chiedeva ed otteneva dal Sindaco di Crevalcore il permesso di proiettare per due serate “uniche straordinarie rappresentazioni di proiezioni animate col vero e americano kinematografo Edison”. Una novità assoluta, un successo immenso, almeno secondo il manifesto che pubblicizzava l’evento, annunciato per la sera di Sabato 14 Novembre 1896 alle ore 20 e per la Domenica seguente dalle 16 alle 20.

Il permesso era concesso per il meraviglioso teatro comunale decorato da Gaetano Lodi che entrava così nella storia come primo cinema di Crevalcore.

Dell’immenso successo e delle sensazioni suscitate da quella novità assoluta, i nostri concittadini non ci hanno tramandato memorie, e di cinema a Crevalcore se ne riparlava al termine del primo conflitto mondiale, epoca in cui la nuova forma di spettacolo si affermava al punto da rendere necessaria la predisposizione di due sale di proiezione.

La prima sala aveva trovato spazio in una “succursale” della Casa del Popolo. Nel 1908, attraverso una sottoscrizione popolare, le leghe dei lavoratori avevano acquistato un edificio sulla strada maestra del paese (attuale caserma dei carabinieri) per adibirlo a propria sede. Di quell’acquisizione faceva già probabilmente parte una costruzione accessibile da Via Mattioli, il cui piano terra era stato nel tempo adattato per attività ricreative; fra queste il cinema aveva assunto una parte rilevante, tanto che il locale era stato dotato di un proiettore cinematografico, acquistato, pare, al termine del primo conflitto mondiale.

La seconda sala di proiezione era stata ricavata all’interno del Margherita, un teatro costruito nel 1920 all’angolo fra Via San Martino e l’ultimo tratto di Via Sbaraglia; nell’edificio era inglobata una casetta che dava sui viali alberati che già circondavano il paese. A volere e a gestire il teatro fu un gruppo di soci di cui fecero parte Tonini Silvio, Guerzoni Pietro e Roveri Aldo. Incerta l’origine del nome, forse da cercare in legami con la “Margherita”, una società carnevalesca locale, organizzatrice di feste e veglioni danzanti.

Brillino le immagini sul tuo muro bianco! E quando pure ciò non fosse che un illusione passeggera, tuttavia fa la nostra felicità, quando, come piccoli bambinelli ingenui, restiamo lì davanti rapiti.

Johann Wolfgang Goethe, I dolori del giovane Werther

ROBERTO TOMMASINI

I cinema di Crevalcore

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La Casa del Popolo e l’annessa sala di proiezione avevano però vita breve: già dal 1921 iniziavano attacchi e devastazioni da parte degli squadristi fascisti. In uno di questi assalti, mobili e documenti venivano gettati in piazza e dati alle fiamme. Fra le poche cose scampate alla distruzione c’era il proiettore, sottratto al vandalismo squadrista da Alberto Vincenzi che lo nascondeva nella propria abitazione.

Vincenzi, poi, poco incline ad accettare il nuovo regime e per questo perseguitato, era costretto ad emigrare in Francia, mentre il proiettore prelevato da altri oppositori del regime abbandonava per sempre il territorio crevalcorese.

Il 6 Gennaio 1922 la “Galaverna”, organo d’informazione dell’Accademia degli Scalcinati, un gruppo di giovanotti della Crevalcore-bene e simpatizzanti fascisti, riportava il seguente articolo:

“Al Comunale – Un’ operetta graziosa ed un bene intenso spettacolo di beneficenza hanno rotto la monotonia dei veglioni i quali più che una iniziativa, rappresentano un mezzuccio troppo comune specie per fare della beneficenza. Ci permettiamo questo giudizio perché siamo convinti che da noi vi è modo di formare una compagnia filodrammatica la quale ridarebbe al nostro paese un po’ delle antiche e simpatiche occasioni di svago, certamente preferibili a tutti i veglioni e a tutti i cinematografi.

Fig. 2 Pagina della Galaverna

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Tanto più che ci pare evidente come ballare si possa benissimo fuori dal nostro gioiello teatrale, degno di migliore impiego.Al Margherita – Il magnifico nome di Filadoro ci ha adescati nella platea del Margherita. In verità ci pare il caso di non far motto di quest’artista perché in tal modo confermiamo l’impressione di quanti hanno saputo sopportarlo. Quando un paese è, come il nostro, dotato di due simpatici ritrovi, è dovere di chi ha le mani in pasta, di fornire alla cittadinanza rappresentazioni degne delle nostre tradizioni teatrali. Altrimenti resteremo il popolino che va in brodo di svariate giuggiole per i burattini o per il cinematografo.”

L’articolo che citava il “gioiello teatrale” del Lodi, il Margherita e la sua platea,

come i luoghi adibiti allora al divertimento Crevalcorese, rivela lo scarso interesse che il cinema, ancora muto, suscitava fra le classi benestanti, evidenziando come ad apprezzare la nuova arte fossero in prevalenza le classi popolari.

Ad occuparsi delle proiezioni al Margherita era Adolfo Ansaloni, di professione orologiaio, che, per il tempo necessario a consumare il pasto, affidava la manovella del proiettore al giovane figlio Marcello.

Quella dell’operatore non era l’unica attività nata con il cinema; spazi si erano creati anche per i professionisti degli effetti sonori che, con attrezzi vari o strumenti musicali, accompagnavano, quasi sempre in perfetta sincronia, le immagini mute proiettate sul grande schermo.

Fra gli specialisti del sonoro si ricordano ancora Augusto Roveri “Zucaréna” e Amedeo Preti, violinisti, e i signori Romeo Roveri e Giuseppe Petazzoni detto “Pizzoli”, rumoristi e musicisti, tutti impegnati nel cinema Margherita.

Nel 1922 gli squadristi si erano di fatto impossessati della Casa del Popolo che era stata trasformata nella sede del Partito Fascista locale.

Anche la sala attrezzata a cinema dalle leghe dei lavoratori era diventata del Partito Fascista che, fatti riparare i danni e acquistato un nuovo proiettore, l’aveva risistemata battezzandola “Cinema Italia”.

Le prime notizie sulla ripresa dell’attività del cinema, affidato in gestione al sig. Bellinelli Pietro, appaiono su due locandine che annunciavano le proiezioni da Dicembre del 1925 a Gennaio del 1926:

“I quattro Cavalieri dell’apocalisse”con Rodolfo Valentino; “La passione del Deserto”con Elena Kurti;“Il prigioniero di Zenda”. In crescendo di popolarità il cinema era diventato un irresistibile richiamo di

folla, tanto che anche il parroco, Don Bisteghi, decideva di sfruttarlo. Il Bollettino Parrocchiale della fine del 1929 a proposito della “Conferenza Missionaria” che si era tenuta in paese, riportava la seguente notizia: “ Doveva essere una conferenza, fu solamente una cinematografia, per la malattia improvvisa del Missionario padre Frassinetti. Riuscì ciò non ostante abbastanza bene, e con stragrande concorso. Un grazie di cuore a coloro

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che misero gentilmente a disposizione nostra la sala del Cinema Italia”. A distanza di quasi un anno, nell’Ottobre del 1930, un altro Bollettino

Parrocchiale annunciava: “DOPOLAVORO. I Sig.ri Avv. Montani, Dr. Sergio Nannini, Comm. Murè e Rag. Giorgi vennero in principio di Settembre ad inaugurare il Cinema Italia che fa parte di una serie di sistemazioni della casa del Fascio, per renderla degna sede del Partito e del Dopolavoro.La sala del Cinema era gremita di tutti i principali cittadini e di una vera folla di invitati. Parlò per primo il Comm. Murè che spiegò le direttive del Duce in merito al Dopolavoro;…”.

La Casa del Fascio e il cinema erano ancora legalmente di proprietà della società anonima che li aveva acquistati per conto delle leghe dei lavoratori, ma la cosa non turbava più di tanto i responsabili del Partito Fascista locale. La sala di proiezione era diventata un luogo ideale per le iniziative del dopolavoro: in essa era possibile assistere ai progressi e ai successi dell’Italia fascista, raccontata dai cinegiornali dell’Istituto Luce.

Il cinema Italia, inizialmente costituito dalla sola platea, veniva allungato e ampliato con una galleria, ricavata inglobando nella struttura l’appartamento situato al piano superiore, dal quale, grazie a provvidenziali pertugi, i giovani figli e nipoti del signor Armando Milzani si erano fino ad allora goduti gratuitamente

Fig.3-4 Locandine del 1925 del Cinema Italia

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gli spettacoli. L’inaugurazione di cui si racconta nel Bollettino Parrocchiale del 1930 si riferisce

con molta probabilità a quest’ampliamento perché, come già sappiamo, il cinema Italia aveva ripreso a funzionare almeno dal 1925. Sono scarse le informazioni relative all’inizio delle proiezioni all’aperto che qualcuno ricorda già a partire dagli anni ’30 .

Anche l’altro cinema crevalcorese non sfuggiva all’utilizzo a scopo religioso e benefico. Un Bollettino Parrocchiale del Dicembre 1930 riportava la seguente notizia con il titolo di “Serate al Cinema Margherita”:

“Nelle due sere del 10 ed 11 corr. -…la Direzione del Cinema Margherita à voluto proiettare la film di S. Teresa del Bambino Gesù dandone il ricavato al pane dei poveri di S. Antonio. Siamo lieti ora di dare il resoconto completo. Ricavato lordo delle due sere l. 508. Spese nel noleggio della film l. 198. Avanzo netto già passato a Mons. Arciprete la sera stessa, della proiezione l. 310. Da notarsi che tanto l’orchestra che il personale del teatro (operatore ed inservienti) si sono prestati gratis; come pure la Direzione del Cinema rinunziava al noleggio del teatro ed al rimborso delle spese per la luce. Il Comitato parroc. di Beneficenza ai poveri pubblicamente e sentitamente ringrazia tutti di tanta squisita generosità.”

Nel Luglio del 1931 l’esproprio della Casa del Popolo si avviava alla conclusione: la società anonima che si era costituita nel 1903 per acquistarla era posta in liquidazione dal Prefetto di Bologna che decideva di devolvere al Fascio di Crevalcore tutte le proprietà della suddetta società.

Nell’Ottobre dello stesso anno i Crevalcoresi partecipavano in massa all’avvento del cinema sonoro. Tracce di quell’avvenimento sono conservate nel Bollettino Parrocchiale:

“Abbiamo avuto al Cinema Margherita il film sonoro che ha attratto alle serate tutto Crevalcore, si dice che visto il gran successo ottenuto si stia trattando per far vedere ed udire ai Crevalcoresi un altro film sonoro spettacoloso a soggetto religioso. Fosse vero!”.

Spinto dalla concorrenza, a distanza di pochi mesi il Cinema Italia si dotava di un impianto sonoro. Il Bollettino Parrocchiale dava la notizia aggiungendo: “Ci sarà dato così di assistere a ottimi spettacoli sonori e parlati fatti da Case italiane le quali soddisfano completamente il gusto del nostro pubblico stanco ormai della frivola produzione straniera”.

Il dopolavoro si occupava anche di sport e gli spazi del Cinema Italia erano concessi alle diverse associazioni sportive locali. Nel 1932 venivano ospitate l’assemblea generale della sezione Combattenti Sport e l’assemblea generale dei soci della Sezione Sportiva Crevalcorese.

Nel 1933 la prima volta di un Crevalcorese sul grande schermo; enorme la partecipazione di pubblico alla proiezione del film “Camicia Nera” così raccontata dal Bollettino Parrocchiale di Giugno-Luglio:

“La magnifica film del Decennale della rivoluzione fascista è stata data a Crevalcore

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per varie sere consecutive e davanti ad un pubblico sempre “affollatissimo “. Questa visione del nostro paese prima, durante e dopo la guerra e dalla vittoria dei Fasci al presente è di una espressività veramente magica e superiore. Abbiamo visti molti occhi inumidirsi di pianto alla successione realistica delle tragiche vicende di questi ultimi anni. I crevalcoresi poi andavano al cinema con un malcelato orgoglio cittadino; il bruno e nerboruto prete delle campagne romane è invece un crevalcorese: Guido Preti”.

La partecipazione del nostro concittadino era stata occasionale. Infatti, Preti era l’autista del regista del film, Giovacchino Forzano, che lo aveva ritenuto adatto per il ruolo del prete; una attrazione fatale per un’amica del regista costringeva poi Preti ad interrompere bruscamente sia la carriera di autista sia quella cinematografica.

Nel Dicembre del 1933 al Cinema Italia la prima proiezione per le scolaresche. Circa 800 alunni delle scuole Elementari e di Avviamento si godevano un film muto su Antonio da Padova, dimostrando di gradire l’iniziativa a tal punto che il Segretario Politico Cav. Gino Crespi dava disposizioni perché si ripetesse l’esperienza con maggior frequenza.

Sempre in questo mese (ed era ancora una prima volta) il cinema era offerto come dono natalizio. Così racconta il Bollettino del Gennaio 1934:

“Nel giorno in cui veniva inaugurato il Presepio in ossequio al desiderio del Duce, venne celebrata con cerimonia religiosa e civile la giornata della Madre e del Fanciullo. Alla Messa parrocchiale l’Arciprete intratteneva il popolo, ma specialmente le madri, sull’alto, cristiano e patriottico concetto di questa giornata voluta dal nostro Duce, che ha intuite

Fig 6 Guido Preti nel film Camicia Nera

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le mirabili relazioni che vi sono fra il Presepio di Betlemme e le famiglie cattoliche dalle quali debbono venire i nuovi cittadini, i nuovi italiani sani e forti di mente e di corpo per sapere combattere e vincere le più belle battaglie della vita individuale e nazionale. Nello stesso giorno il Fascio di Combattimento distribuiva alle famiglie più bisognose 360 sporte piene di ogni ben di Dio: Farina bianca Kg. 2, farina gialla, Kg. 2 -Fagioli Kg. 1, Carne da brodo Kg. 1 -Riso Kg. 1 Pane Kg. 1;. Lardo 0,500. Si facevano inoltre assistere le madri ed i fanciulli alle proiezioni di un film, adatto alla circostanza.”

Lo “stato” dell’arte cinematografica locale era sintetizzata il 23 Novembre del 1934 da un documento dell’agenzia di Crevalcore della Cassa di Risparmio di Bologna, che riportava: “In riferimento a Prag.ma del 17 Novembre corr. n°63 ci pregiamo notificare che qui, in paese, esistono due sale adibite a cinematografo e precisamente:

Cinema Italia gestito dal sig. Bellinelli Sebastiano e Cinema Margherita gestito dal sig. Ferriani Mauro. Entrambi sono forniti di apparecchi moderni di proiezione a sonori ed in locali discretamente spaziosi.”

Il Cinema Margherita era passato di mano l’anno prima. La società che lo gestiva, sull’orlo del fallimento, lo aveva venduto al sig. Mauro Ferriani, detto “Mavren” che, dopo una vita trascorsa a far “iftide”, aveva ceduta la propria salumeria situata sotto il portico del comune per intraprendere l’attività di gestore di sala cinematografica. Partecipava all’impresa la figlia Maria, dai Crevalcoresi soprannominata “Mavréna”.

Fig.7 Mauro Ferriani in una foto degli anni 50

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La nuova gestione inaugurava le proprie attività nel 1934. Un giovanotto con funzioni di maschera era stato assunto per l’occasione: indossava una divisa e un berrettino su cui campeggiava la scritta “Cinema Margherita”, appositamente ricamata dalla signorina Ferriani.

Non sempre i comportamenti umani rappresentati sullo schermo cinematografico erano esempio di grandi virtù, almeno secondo Don Bisteghi il quale, per proteggere i propri parrocchiani dalle influenze nocive della nuova arte, sul suo Bollettino dava spazio soltanto alle notizie cinematografiche che trattavano di soggetti a carattere religioso. Per il 1936 troviamo così citato il Cinema Margherita per il film “La miracolosa tragedia di Lourdes” e per la premiazione di oltre un centinaio di famiglie nell’ambito della Festa della nuzialità e natalità; mentre il Cinema Italia era citato per aver ospitato, nell’ambito della conferenza di San Vincenzo, un dibattito sulla Sacra Sindone.

Certamente la programmazione nei nostri cinema era più varia e costante ed appassionava ed attraeva a tal punto, che una giovane crevalcorese, Giulia Cadore, si trasferiva a Roma per tentare la carriera cinematografica.

Fig.8 locandina del film: Tutta la città ne parla, timbrata dal cinema Margherita

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Breve biografia di Giulia Cadore tracciata dalla figlia Paola.

Mia madre nacque a Revere il 18/12/1916 da Desiderio Cadore e Luigia Bottura. Da piccola si trasferisce con la famiglia a Crevalcore, in Via Albertini per motivi di lavoro del padre. Lì frequentò la scuola fino alle superiori. Tra le sue attività preferite vi era il ballo e la recitazione, infatti partecipò, presso il teatro comunale, ad alcune rappresentazioni dove eseguì alcuni balletti di danza classica. Era, inoltre, molto brava a disegnare; in particolare, realizzava ritratti delle dive del cinema. La famiglia conserva ancora un tenero ritratto a matita del marito. La sua personalità impulsiva ed indipendente si manifestò sin da ragazzina. In paese gli amici ricordano il suo anticonformismo: mentre, all’epoca, tutti la Domenica usavano indossare il vestito “buono della festa”, lei invece lo indossava il Mercoledì

Fig.9. Giulia Cadore

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o il Giovedì ma giammai la Domenica, oppure, quando, di notte, durante una scorribanda notturna di giovinastri sotto le finestre di casa sua, dove c’era suo padre che ammalato riposava, si affacciò alla finestra chiedendo di smettere lo schiamazzo, alla risposta “nu a sem comunest e fem quel che c’as pèr” lei non esitò a prendere un catino pieno d’acqua e a buttarglielo addosso dicendo “anca mi a fag quel che m’per”. Nonostante la sua avvenenza e femminilità, in alcune occasioni si comportava come un vero maschiaccio: di nascosto dal fratello prendeva la motocicletta per guidarla. A tal proposito, si deve ricordare che fu una delle prime donne a conseguire la patente di guida per veicoli ed addirittura quella di categoria D per camion. Crescendo continuava a dimostrare interesse per il cinema e la recitazione, interesse che sua madre cercava di ostacolare. Un giorno, quando riferì a casa che si sarebbe presentato il suo fidanzato per chiederla in sposa, la mamma, che non era convinta di questo fidanzamento, le diede finalmente il permesso di andare a Roma a studiare come attrice e, detto-fatto, in due giorni partì, dimenticando fidanzato e matrimonio. A Roma si iscrisse al Centro Sperimentale di Cinecittà, dove studiò recitazione, dizione, portamento, danza ecc., avendo come colleghi Alida Valli, Elena Lazzareschi, Arnoldo Foà, Amedeo Nazzari, Gino Cervi ecc. Dopo un anno di studio, venne scritturata, con il nome d’arte Ilde Giulia Cadore tra gli attori non protagonisti, insieme a Gino Cervi, dal regista Camillo Mastrocinque per il film “Voglio vivere con Letizia” con la famosa Assia Noris, girato a Cinecittà nel 1937. Dopo pochi mesi girò, negli Caesar Studios di Roma, con Vincenzo Sorelli, il film “Crispino e la comare” (1938) in veste di prima attrice non protagonista, insieme ad Arnoldo Foà. Di lì a pochi mesi, nel Gennaio del 1939, uscì il suo primo film da protagonista “Tre fratelli in gamba”, girato presso i Titanus Studios di Roma dal regista Alberto Salvi. La critica si espresse molto favorevolmente, indicandola come “la promessa del cinema italiano: la nuova Garbo!”, ma nella realtà di tutti i giorni, pur essendo consapevole della sua bellezza, non amava esibirla con ostentazione e si comportava con estrema semplicità e spontaneità. Nel corso di quei due anni di studio e di intenso lavoro, che videro la sua veloce scalata al successo, durante la sua permanenza a Roma, frequentava insieme alle sue colleghe un ristorante, meta ambita dai giovani piloti dell’aviazione militare italiana, i quali facevano a gara per cercare di agganciare le belle ragazze presenti. Si era sparsa la voce che tra queste ve ne era una, bella, bionda ma inavvicinabile: un giovane pilota, anche lui ventenne, di Casteldario (Mantova), già medaglia d’argento al valor militare nella guerra di Spagna, raccolse la sfida e scommise con i suoi compagni che in tre giorni l’avvenente Giulia sarebbe caduta “giù come pel de fic” (giù come buccia di un fico). Il giovane pilota vinse la scommessa ma perse il cuore o, come amava raccontare, “ho vinto la scommessa ma ho perso la libertà!”. Per seguire il suo cuore e l’intrepido pilota, sposato dopo circa un anno di fidanzamento, il quale per lavoro dovette trasferirsi a Napoli, rinunciò alla carriera brillante che le si prospettava per intraprendere quella di moglie e di madre. A Napoli visse dieci anni molto intensi di vita matrimoniale e di grande amore per i due figli, anni brillanti di vita sociale, suonatrice di fisarmonica e campionessa di bridge presso il migliore circolo della Napoli bene, vacanze sulla neve da provetta sciatrice, allieva pilota di bimotori del marito, ottima cuoca per la sua famiglia (tirava la sfoglia da brava emiliana d’adozione facendo conoscere ad assaggiare agli amici partenopei i famosi turtlein). Quando usciva per la città con la sua vespa e per di più in pantaloni, oppure con la sua macchina decappottabile (la famosa Lancia Ardea fuoriserie, 10 esemplari in tutta Italia) creava scompiglio e meraviglia per le strade. Sempre in auto, prima con il marito e poi da sola con i figli, risaliva ogni anno tutta l’Italia per riabbracciare la mamma, i fratelli, i parenti e gli amici nella sua Crevalcore. Rimasta prematuramente, e tragicamente, vedova a soli 33 anni, pur potendo rientrare nel mondo del cinema (perché era ancora fresca la bellezza), avendo ancora amici e contatti, non ebbe più lo spirito per calcare le scene né per sposarsi nuovamente, e non manifestò mai alcun rimpianto di aver lasciato il cinema per seguire il marito. Morì a Napoli il 9/06/1984. Paola Ligabò

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Nel 1937 arrivano al Cinema Italia anche i primi “filmini” delle vacanze. Il facoltoso concittadino Abele Chiericati, di ritorno dall’Africa Orientale, per illustrare ai Crevalcoresi gli aspetti più interessanti del suo viaggio, organizzava una conferenza con tanto di proiezione, evento degno di risonanza che risaltava sull’unico notiziario locale dell’epoca, il Bollettino Parrocchiale:

“Al cinema Italia il 2 corr. alle ore 20,30 à tenuto una conferenza con proiezioni l’egregio amico nostro Sig. Abele Chiericati che è reduce dall’A.O .Il Chiericati è troppo noto ai Crevalcoresi perché abbia bisogno di una nostra presentazione. Egli ed i suoi fratelli hanno dato e danno una meravigliosa attività per la bonifica dei nostri terreni, hanno profuso tesori non solo di energie ma di denaro per rendere fiorentissime zone vaste del nostro territorio una volta coperto dalle acque stagnanti. Nella conferenza, che fu ascoltata da un pubblico stragrande rimasto attentissimo per due ore e che applaudì con calore e con convinzione, descrisse una sua escursione automobilistica Asmara-Cheren -Agordat -Barantin -Setit - Omagen. La sua parola fu efficacissima nella descrizione degli ambienti attraversati e lasciò in tutti la chiara visione dei luoghi tante volte sognati nella nostra infanzia e giovinezza. Ebbe poi spunti felicissimi nell’accennare al Re Imperatore, al Duce ed ai nostri grandi Condottieri. In ultimo si ebbe una vera ovazione”. In quell’anno, un imprecisato evento (probabilmente il fallimento della gestione

Bellinelli) determinava la chiusura del Cinema Italia e induceva i responsabili del Fascio locale a pensare una diversa destinazione d’uso per quegli spazi. A Luglio il Bollettino Parrocchiale riportava la seguente notizia: “Per i motivi che ormai i cittadini conoscono si è chiuso il Cinema Italia e crediamo di sapere che si pensa di farvi una bella sala-ritrovo per i dopolavoristi di Crevalcore, ed, in attesa, nel cortile del Fascio si sono approntati un campo di tennis e due splendidi giochi da boccie” .

La passione per il cinema vinse sulle altre e la sala di proiezione riprese a funzionare, gestita da tre signore già proprietarie di una osteria, nota in paese come quella delle “tre pippe” .

Il proiettore del Cinema Italia non era però rimasto inoperoso durante la chiusura: una sola sala di proiezione si era dimostrata insufficiente per i Crevalcoresi. Il cinema di Via Mattioli era stato utilizzato come succursale del Margherita e la stessa pellicola veniva proiettata a distanza di un’ora in entrambe le sale. In seguito i proprietari del Margherita acquisivano la gestione del cinema di Ravarino, tentando anche in questo caso di sfruttare, quando possibile, la stessa pellicola in entrambe le sale. Le proiezioni erano sfalsate di un’ora e dello scambio delle pellicole si occupava Marino Ferriani cugino della Mavrena, che con la bicicletta faceva la spola fra i due cinema o si incontrava a metà strada con un’altra staffetta. Inevitabili i ritardi nella “seconda” proiezione, immancabilmente accompagnati da fischi e sbeffeggi del pubblico spazientito.

Ai convegni religiosi, politici o sportivi si alternavano gli spettacoli dei burattini e, nella sala del Cinema Italia, avevano luogo due spettacoli alla settimana nel 1938.

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Figg. 10-11 calendarietto per il 1941 con i divi cinematografici dell’epoca, omaggio dei barbieri fratelli Bignardi.

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Lo scoppio della guerra non intaccava il potere di attrazione del cinema e ai film si aggiungeva l’informazione dei cinegiornali, resi obbligatori in tutte le sale dell’Impero.

Nel Giugno del 1943, mentre per l’esercito italiano la guerra cominciava a prendere una brutta piega, con un appello sul Bollettino Parrocchiale, Don Bisteghi lanciava un allarme sui contenuti dell’arte cinematografica: “ MAMME!, Prima di mandare al Cinema i vostri figliuoli pensateci ! I film immorali rovinano i vostri figliuoli.”

Più che gli appelli del parroco a rendere difficile l’accesso al cinema erano le restrizioni imposte dal Comando Militare Germanico che dal Settembre dello stesso anno imponeva il coprifuoco. Con l’avvicinarsi del fronte e l’inizio delle incursioni aeree le proiezioni cominciarono a diradarsi, fino a cessare completamente sulla fine del 1944. Durante l’occupazione tedesca il Cinema Margherita venne requisito dal Comando Militare Germanico che lo destinava all’intrattenimento delle truppe di stanza nella zona: nella sala erano proiettati film ed organizzati spettacoli in lingua tedesca.

Con la liberazione i cinema riaprivano le porte, inizialmente per ospitare comizi e assemblee delle nuove formazioni politiche, propagatrici di nuovi ideali e stili di vita. E nuovi ideali e stili di vita continuarono ad essere proposti dal cinema alla ripresa delle proiezioni, che di nuovo potevano contare sui film di produzione straniera, soprattutto americana, che cominciavano una lunga e duratura invasione.

Il Cinema Italia riprendeva le proprie attività con la proiezione del film “La Fanciulla delle Follie”.

Terminato il conflitto, i beni del Partito Fascista erano diventati proprietà del Demanio Pubblico: cosi pure la Casa del Fascio e il Cinema Italia. Il cambio di proprietà non modificava la conduzione del cinema che continuava ad essere gestito da Lodi Carolina, assistita dalla nipote Laura, ma soprattutto da Agostino Pizzirani, detto “Gustén” un uomo di enorme corporatura che dava l’impressione di essere incastrato nella piccola biglietteria, nella quale stava seduto sempre col cappello in testa.

Fra i suoi compiti c’era anche quello di mantenere l’ordine e il silenzio in sala, attività svolta con l’aiuto di una lunga bacchetta, con la quale al buio e all’improvviso riusciva a colpire i disturbatori fin nel mezzo della platea.

Il “bacchettatore” era comunque ben voluto da gran parte degli spettatori per la sua disponibilità a concedere l’ingresso anche a chi non poteva permettersi l’intero biglietto. Affetto,conserva ancora per il Pizzarirani, la socia di un tempo: Laura Lodi, che baciando la sua foto ricorda, quando già anziano, avvolto nel suo tabarro, “co un con d’gnoc sott a na lasena”, prendeva la corriera per recarsi a Bologna, presso le case di distribuzione, per definire la programmazione del cinema. Imprenditoria cinematografica di altri tempi. Cinema e ballo erano fra le grandi

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passioni del secondo dopoguerra e non potevano non tenerne conto i soci della Cooperativa “Combattenti e Reduci” di Crevalcore, quando iniziarono a progettare uno spazio in cui organizzare le proprie attività ricreative .

Principali promotori dell’iniziativa erano i due fratelli Luciano e Mario Poppi, detti “Fifini”, ex prigionieri di guerra e appassionati di cinema che, dall’iniziale idea di costruire un circolo per reduci ed ex combattenti, si erano spinti fino all’ambizioso progetto di creare un edificio fra i più grandi del paese da adibire a cinema, teatro e a sala da ballo.

Per la costruzione era stata individuata un’area di proprietà comunale, situata fuori Porta Bologna, fra via della Rocca e la circonvallazione .

Oltre che sui fondi della Cooperativa, i promotori contavano sul forte contributo della manodopera volontaria di soci e simpatizzanti.

Erano dell’autunno del 1948 i primi contatti con l’Amministrazione Comunale che dava parere favorevole per incrementare sia le occasioni di svago sia quelle di occupazione. Nel Novembre dello stesso anno venivano presentati in Comune la domanda di cessione dell’area e il progetto del fabbricato.

La Giunta Municipale, ritenendo l’iniziativa meritevole di incoraggiamento, con voto unanime dava parere favorevole e i soci della Cooperativa presieduta da Luciano Poppi iniziavano a scavare le fondamenta con vanghe e badili, proseguivano innalzando il muro perimetrale che si arrestava però all’altezza di un metro.

Fig.13 Laura Lodi Fig.12 Agostino Pizzirani

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Il notevole impegno di risorse da destinare all’opera aveva fatto nascere all’interno della Cooperativa timori e contrasti che si risolvevano solo con l’arrivo di nuovi soci: Setti Guido, Calzolari Tonino, Botti Maria, Molinari Areodante. Così il 19 Aprile del 1949 la Cooperativa rinunciava alla concessione dell’area fabbricabile, ma la chiedeva il giorno seguente a proprio nome e a quello dei nuovi soci .

La Giunta rinnovava il parere favorevole ribadendo incoraggiamento e appoggi. Nel Giugno del 1949 approvava in via di massima il progetto, concedendo ufficialmente l’area fabbricabile; si trattava di una superficie di circa 1650 metri quadrati, il costo era stato fissato in 366.500 lire, calcolate valutando lire 100 al metro quadro i 641 metri delle ex fosse e 300 lire il metro quadro la superficie rimanente. La progettazione dell’edificio era stata affidata al crevalcorese Giuseppe Malaguti, noto anche come “l’architetto di Asmara”, città dell’ex colonia africana in cui egli aveva trascorso un lungo periodo della propria attività lavorativa e dove aveva anche collaborato alla progettazione di un grande cinema. Evidenti le influenze dello stile coloniale nel progetto, tanto che i Crevalcoresi avevano scherzosamente battezzato la nascente struttura “il Fortino di Makkalè” .

Ricomposti gli aspetti societari, i lavori riprendevano sotto la direzione dello stesso Malaguti, ma si arrestavano di nuovo con i muri che arrivavano ai tre metri d’altezza. A bloccare le attività erano questa volta le osservazioni della Giunta Provinciale che, ritenendo il prezzo del terreno notevolmente inferiore a

Fig.14. Luciano Poppi

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quello corrente, ne richiedeva l’aumento a 420 lire il metro quadro. Un aumento consistente di fronte al quale nell’Ottobre del 1949 la società rinunciava nuovamente alle concessioni comunali e si scioglieva.

Per il cinema le speranze non erano finite. Una nuova società denominata “Firmamento” si costituiva per far proseguire i lavori. I temerari, tutti crevalcoresi (Botti Maria, Lugli Giuseppina, Malagoli Fernando, Sighinolfi Cesira, Trenti Umberto, Zagnoli Alma), accettavano l’aumento di prezzo e richiedevano all’Amministrazione Comunale, ottenendola, la concessione dell’area fabbricabile.

Il proseguimento dei lavori veniva appaltato ad un’impresa di costruzioni di Nonantola con la quale la nuova società sottoscriveva nel Maggio del 1950 un contratto che prevedeva la consegna dello stabile in cinque mesi al costo di 42.000.000: nei documenti la struttura da completare era identificata dai nomi “Cinema Firmamento “ e “Cinema Firmamento Sport”.

Alla fine del Gennaio 1951 i lavori erano terminati. Opere non preventivate avevano fatto salire a 50.000.000 il costo dell’edificio. Nel Settembre del 1951 veniva effettuata la visita di collaudo che rendeva agibile la struttura, identificata col nome di “Cinema Teatro Verdi”.

Le caratteristiche architettoniche dell’edificio contrastavano nel modo più assoluto con le costruzioni già esistenti in zona, ossia l’Ospedale Barberini e Porta Bologna, alla quale era legato da alcune colonne a base quadrata. Il contrasto era ulteriormente accentuato dal colore bianco con cui il cinema era stato dipinto.

Ampi spazi caratterizzavano l’interno della struttura a partire dalla sala d’attesa al cui centro era collocata la biglietteria. Ai lati di quella c’erano due scalinate simmetriche che consentivano l’accesso alla galleria. Sempre dalla biglietteria a pian terreno si sviluppavano due corridoi simmetrici che, correndo sotto la galleria, immettevano nella vasta platea. Complessivamente il cinema poteva ospitare 1280

Fig.15. Il Cinema Teatro Verdi (cartolina degli anni ‘50)

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spettatori seduti, 850 in platea e 430 in galleria.Nella parete opposta all’ingresso era stato costruito il palco, adatto ad ospitare

riviste, spettacoli, concerti e sul quale aveva trovato posto un enorme schermo per le proiezioni cinematografiche. Nella struttura erano stati ricavati, oltre ai camerini per gli attori, anche l’appartamento per un custode, un ufficio e un piccolo bar.

Le evoluzioni societarie e i problemi legati alla costruzione avevano fatto trascurare gli aspetti organizzativi e i soci si trovarono, ad edificio ultimato, senza le necessarie licenze per adibire la sala agli spettacoli cinematografici. Il numero di cinema esistenti sul territorio impediva la concessione di nuove licenze e a nulla valsero le richieste dei soci. Pare inoltre che il buon “Gusten” del cinema Italia, grazie a conoscenze altolocate, contribuisse ad ostacolare ulteriormente i temuti concorrenti.

I due piccoli cinema crevalcoresi si spartivano così tutti gli spettatori, molti dei quali, pur soddisfare la passione per il cinema, non esitavano ad assistere in piedi ad un’intera proiezione. In effetti erano poche le alternative allo spettacolo cinematografico e non era sempre facile godersi comodamente una proiezione: l’esigua capienza delle sale costringeva gli spettatori a lunghe file in qualsiasi condizione climatica. Dalle code sofferenti partivano esortazioni per accelerare l’emissione dei biglietti o per anticipare l’apertura. In qualche occasione le lamentele peggioravano la situazione: una volta la signora Mavréna, irritata dai commenti della fila, trovava il modo di tranquillizzarla innaffiandola con un’abbondante secchiata d’acqua.

Dall’appartamento dei Ferriani, situato a fianco del cinema, non piovevano solo secchiate d’acqua. I bambini respinti dalla bigliettaia perché non riuscivano a pagare l’intero biglietto, trovavano spesso soccorso nella signora Rondelli Elvira, seconda moglie di Mauro Ferriani e grande appassionata di cinema, che la domenica pomeriggio gettava ai piccoli mancati spettatori “cartoccini” con le monete necessarie a pagare l’ingresso.

Generalmente le proiezioni si effettuavano tre sere la settimana più il Sabato e la Domenica pomeriggio e sera. Per i film di grande successo come “La stirpe del drago” o “Il delfino verde”, i cinema aprivano anche la Domenica mattina e la sala si riempiva.

Il Verdi lavorava con l’unica attività consentita, il ballo. Una festa danzante fu il primo intrattenimento pubblico di una certa rilevanza che si svolse al suo interno. La festa, allietata dalla Radio Orchestra Zeme e dal buffet del bar Zanarini di Bologna, si tenne il 19 Febbraio del 1952.

Sul biglietto d’invito il Verdi era indicato solo come teatro. La serata era stata intitolata “Festa ONU”, sigla del motto latino Nobis Omnia Urgent che era nell’emblema della società organizzatrice, composta in gran parte da accaniti giocatori di carte che avevano come ritrovo il Bar della Stazione.

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Grande fu la partecipazione alla festa, in cui la “meglio Crevalcore” si trovò ad intrecciare danze e brindisi insieme a facoltosi cittadini, per lo più Bolognesi, che cosa insolita per quei tempi, riempirono di automobili il piazzale del cinema e i viali della stazione. Le danze rimasero per circa un paio d’anni l’attività principale del Verdi. La sottoscrizione di un abbonamento consentiva di ottenere la riduzione sul costo del biglietto, ma il ballo da solo non bastava e i proprietari cominciarono a cercare nuovi soci.

Il soccorso venne dalla parrocchia, la cui partecipazione alla società poteva favorire l’inserimento del Verdi nel circuito dei cinema parrocchiali. Era allora parroco Don Enelio Franzoni.

Nelle frazioni di Crevalcore esisteva un’unica sala a Palata: si trattava del Cinema Arena. Per gli altri piccoli centri del territorio le uniche occasioni di proiezione erano costituite dall’arrivo dei cinematografi ambulanti che, soprattutto nel periodo estivo, vagavano fra i piccoli paesi della zona.

Probabilmente di registi ed operatori ambulanti era il film proiettato nell’inverno del 1953 al Cinema Italia. Principali attrazioni della pellicola erano Crevalcore con le sue porte, i suoi portici e i Crevalcoresi, intervistati o ripresi nelle loro attività quotidiane. L’iniziativa, che contava di far presa sulla curiosità dei cittadini di vedersi e nel vedere il proprio mondo proiettato sul grande schermo, fu un successo e in molti corsero ad assistere alle proiezioni di quello che era il primo film sul nostro paese, (sarebbe veramente interessante poterlo recuperare).

Fig.16 La Signora Maria Ferriani - La Mavréna- alla biglietteria del Margherita

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Ma a destare grande scalpore fu l’arrivo a Bologna del colossal “Via col Vento”. Ricorda Gianfranco Kelly:

Quando nel 1949, cioè dieci anni dopo la sua nascita, “Via col vento” arrivò in Italia, fu proiettato in lingua originale, con sottotitoli, in soli due cinema: al Mignon di Milano e al Rivoli di Roma. Ci vollero altri tre anni perché il film, doppiato in italiano, fosse distribuito nelle sale di prima visione. Bisogna ricordare che la fama del film, dovuta a una grande operazione commerciale orchestrata dal produttore David O’Selznick, aveva raggiunto livelli mondiali.Sui giornali si parlava del colore, della musica e delle grandi interpretazioni di Vivien Leigh, Clark Gable, Leslie Howard e Olivia de Havilland. Da anni se ne annunciava l’arrivo in Italia. Finalmente fra il ‘52 e il ‘53 fu proiettato nelle città capozona e a Bologna se lo accaparrò il Cinema Imperiale in Via Indipendenza. Il signor Cesare Poppi era un impiegato comunale all’ufficio anagrafe del Comune di Crevalcore, una persona raffinata, distinta e amante della cultura: lui “Via col vento” lo aspettava da sempre. Organizzò un pullman per andarlo a vedere a Bologna e i Crevalcoresi risposero alla sua chiamata: 30 persone partirono per la proiezione serale. Il giorno dopo in paese non si parlava d’altro, era l’avvenimento del giorno. In quegli anni non c’era ancora la tv e al bar quelli che lo avevano visto raccontavano di Rossella O’Hara che mangiava le radici per sopravvivere, del mascalzone Clark Gable, della dolce Melania e di Ashley, quell’attore inglese “slavato” che era già morto durante la guerra e che le donne trovavano molto fine.Si citava la frase finale del film: “ Dopotutto domani è un altro giorno” sul cui significato non erano tutti d’accordo. La febbre di assistere al “più grande film di tutti i tempi” prese un po’ tutti, per cui il pullman cominciò a partire ogni sera sempre accompagnato, anzi diretto, dal signor Cesare Poppi. Durante il viaggio di andata il signor Poppi spiegava i momenti sui quali ci si sarebbe dovuti concentrare maggiormente e soprattutto non doveva “volare una mosca” nella scena in cui Rossella mangiava le radici. Arrivati al Cinema Imperiale venivano date le ultime disposizioni: non alzarsi per andare alla toilette se non nell’intervallo. Il film durava quasi quattro ore. Qualche Crevalcorese lo andò a vedere due volte, ma il signor Cesare Poppi non mancò a nessuna delle proiezioni: il suo piacere consisteva nel vedere gli altri che vedevano la sua scoperta. Erano belli anche i viaggi di ritorno durante i quali si commentava il film: una specie di cineforum ante litteram, diretto, al microfono del pullman, dal signor Poppi. Ovviamente nessuno si è mai azzardato a dire che non gli era piaciuto, nessuno di noi fece come Fantozzi con la Corazzata Potemkin. Non so che influenza possa aver avuto” Via col vento” sui Crevalcoresi che lo videro allora. Il baricentro politico non si spostò a destra anche se il film parteggiava per il sud. Ma sui nomi qualche influenza l’ha avuta. Un nostro caro amico, Franco Morselli, grande estimatore del film, anni dopo mise nome a una figlia “Melania”, in omaggio al personaggio interpretato da Olivia de Havilland. E sai quante Rossella ci sono in giro… soppiantate purtroppo oggi dalle “Sue Ellen” nate dopo il successo di “Dallas”. La tv ha rovinato anche la musica di “ Via col vento”: invece di Clark Gable arriva Bruno Vespa…Comunque è anche grazie alla tv se ogni tanto possiamo rivedere la dolce Melania, lo slavato Ashley, il duro Clark e …Rossella che, commuovendoci ogni volta, continua a mangiare le radici…

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“Via col vento” arrivò anche a Crevalcore ed ebbe un grande successo di pubblico. Il film venne proiettato al Margherita; gli spettatori erano corsi numerosi e con gran anticipo per assicurarsi il posto a sedere o anche in piedi, creando una fila che toccava Via Matteotti. Il film era stato diviso in due parti; la seconda fu proiettata a distanza di una settimana dalla prima. Era operatore al Margherita il Sig. Ernesto Ferriani detto “Ferrianen”. In quell’epoca si trasferivano dal Margherita al Verdi le proiezioni per le scolaresche.

Se l’ingresso della parrocchia era stato determinante per il Cinema Verdi, rilevante era il contributo che il cinema riusciva a fornirle.

Il cinema era la ricompensa per i giovani chierichetti, per i più bravi al catechismo, per i coristi e si era trasformato in un luogo di conferenze e dibattiti su temi religiosi e sociali, spesso introdotti da cicli di “cineforum” o da spettacoli teatrali.

Ancora i Bollettini Parrocchiali forniscono informazioni su alcune delle attività promosse nel 1954:

- “ Al Cinema Verdi, il 10 gennaio, abbiamo assistito ad un grazioso trattenimento offerto dai bambini dell’Asilo e delle Scuole. Molta buona volontà e applausi. Sempre cari e bravi i bambini!”- “Ricorrenza cinquantenaria - Conferenze- Grande Concerto al “Verdi”La sera di domenica 3 ottobre avrà luogo in Crevalcore un avvenimento veramente eccezionale: l’Immagine della Madonna venerata nella Chiesa della Concezione verrà portata processionalmente nella Chiesa parrocchiale dove resterà esposta durante tutto il mese d’ottobre alla venerazione dei fedeli. Rispettiamo con questo la tradizione secondo la quale ogni 50 anni detta Immagine viene rimossa dal Suo Altare.Ancora: nei giorni 6 e 7 ottobre, alle ore 20, nel Teatro Verdi, il Rev.mo Mons Salvatore Baldasarri, Insegnante di Storia Ecclesiastica al Seminario Regionale di Bologna, intratterrà il pubblico su argomenti mariani con quell’arte e profondità che l’hanno reso meritatamente celebre in tante città d’Italia.La sera dell’8 ottobre, alle ore 20, sempre al Teatro Verdi, Grande Concerto Sinfonico Corale in onore della B. V. Immacolata, con la partecipazione nella celebre Cappella Musicale dei Servi di Maria, diretta dal M.o P. Pellegrino Santucci. Verranno eseguite musiche di Rossini, Verdi, P. Martini, Handel”. Il Verdi era il luogo ideale per ospitare conferenze, durante le quali il proiettore

raramente restava inoperoso e un film gratuito era quasi sempre offerto come premio alla buona volontà dei partecipanti. Ecco come nel Bollettino del Marzo 1955 veniva proposto un ciclo di conferenze:

“Nelle sere 28, 29 e 30 marzo alle ore 20 il prof. D. Angelo Carboni terrà tre conferenze sulla Famiglia. Verranno trattati alcuni dei principali aspetti di questo importantissimo argomento. Una serata verrà dedicata al tema del divorzio, ritornato di piena attualità in questi ultimi mesi, dopo le discussioni al Parlamento sul così detto “Piccolo Divorzio”.L’interesse dell’argomento e la valentia di chi abbiamo chiamato per svolgerli, mi fanno pensare che interverrete in grandissimo numero, così da riempire il “Verdi”

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come nelle sere dell’ottobre mariano. Così come in ottobre, anche questa volta alle conferenze seguirà la proiezione di bellissimi films. Resta inteso che l’ingresso è gratuito per tutti.Nell’occasione, all’ingresso del Teatro verrà allestita, una Mostra del Libro, con possibilità per tutti di acquistare con sconto, qualche buon libro di sana ed utile lettura!”Da notare come i bollettini comincino a parlare di proiezioni a partire dall’Ottobre

del 1954: risaliva infatti a qualche mese prima l’inserimento del Verdi nel circuito cinematografico parrocchiale e, finalmente, poteva fregiarsi del titolo di cinema.

La prima proiezione sembra risalire all’Agosto del 1954 e aveva per soggetto le avventure di un gruppo di conquistadores. Si trattava di un film di “serie b” che lasciò delusi molti spettatori .

Ben presto però la Fox, l’Universale e la Paramount iniziarono a proporre, con qualche mese di ritardo dalle prime visioni cittadine, i principali film del momento a disposizione del circuito parrocchiale, che ovviamente garantiva sulla moralità delle pellicole proposte. Sulla moralità degli spettacoli presentati garantiva invece il parroco del paese . Nel ‘56 si esibiva sul palco del Verdi Rino Salviati, chitarrista e cantante; fra le attrazioni dello spettacolo c’era un gruppo di avvenenti ballerine. I giovani Crevalcoresi, accorsi numerosi, attirati sia dall’abilità del chitarrista sia dalle gambe delle danzatrici, si dovettero accontentare. Don Enelio, giudicando troppo osè le gambe scoperte, le aveva fatte rivestire da pudichi pantaloni.

Fig.17. Interno del Cinema Teatro Verdi gremito di spettatori.

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I soci proprietari del Verdi, approfittando del momento favorevole, decidevano di vendere il cinema e fra gli interessati all’acquisto, oltre alla parrocchia, spuntava anche il partito politico di maggioranza del paese.

La parrocchia si dimostrava più determinata. Ottenuta l’autorizzazione dalle autorità superiori, grazie alla vendita di un fondo che le era stato donato, riusciva a racimolare la cifra necessaria per acquistare il cinema.

Il clima politico dell’epoca influì sulla decisione dell’acquisto: con il cinema e la nuova Casa dei Giovani la parrocchia manteneva il contatto con la popolazione, in particolare quella giovanile, ed eliminava la possibilità che il moderno ritrovo finisse nell’orbita delle organizzazioni politiche della Sinistra .

Al fondo venduto, detto del “Macero Lungo” (lascito della famiglia Tomeazzi), era legato un vitalizio di 700.000 lire annue a favore di una collaboratrice dei donatori. Per effettuare la vendita fu necessaria l’autorizzazione della Prefettura, che trasferiva il vitalizio sulle rendite derivanti dall’attività cinematografica .

Naturalmente la parrocchia cercò di valorizzare il proprio investimento, riprovando ad ottenere quella licenza industriale che poteva fra l’altro permetterle una più ampia gamma di spettacoli. Incautamente alle rinnovate domande furono allegate le foto che mostravano il cinema in tutto il suo splendore: le dimensioni, i posti a sedere… Questi ultimi però erano quasi il doppio di quelli autorizzati ad un cinema parrocchiale. Successe un pandemonio e per continuare l’attività Don Enelio fu costretto ad eliminare un buon numero di posti a sedere, e da allora, il cinema fu sottoposto alle visite di controllo del Maresciallo che ogni Lunedì mattina verificava il numero legale delle poltroncine.

A far furore in quegli anni era il film “Senza tregua il rock and roll “ diretto da Fred F. Sears. Bill Haley scatenava l’entusiasmo dei giovani con il suo “One two three o’clock, four o’clock rock “. In molte sale cinematografiche le sedie erano divelte per dar spazio alla voglia di ballare degli spettatori. Si ebbero problemi anche al Cinema Italia, quando il film venne proiettato. Una delle prime file di poltroncine risentiva sensibilmente dell’entusiasmo dei giovani spettatori, ma il Signor Pizzirani con un meno coinvolgente suon di “scupazon” ripristinava l’ordine e la calma.

Verso la metà degli anni ‘50 in fondo a Via Cairoli spuntava un nuovo cinema all’aperto; si trattava dell’Arena Malpighi, subito ribattezzata dai Crevalcoresi col meno pomposo nome di “Carbone”, derivante dall’attività di carbonaio del gestore, Sig. Pecorari.

L’attività cinematografica era in ordine di tempo l’ultima iniziativa della famiglia Pecorari che, nel luogo dove fino a qualche anno prima sorgeva la Casa dei Giovani, aveva già organizzato un ritrovo danzante, trasformato poi in un circolo ricreativo in cui spiccavano le attività di osteria e di gioco del biliardo. Gli spazi disponibili erano stati rapidamente adattati alla nuova funzione. La camera di proiezione era stata ricavata nell’edificio più basso situato lungo Via della Rocchetta, panche e sedie

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avevano trasformato il cortile in platea, mentre la parete della casa che fronteggiava il cortile, dipinta di bianco, si era trasformata in un grande schermo. Il primo operatore fu Ottorino Pecorari. Il reperimento delle pellicole era uno dei problemi rilevanti della gestione, in quanto le più importanti case di distribuzione erano già impegnate da contratti con gli altri cinematografi locali: l’Italia con la Warner Bross, il Margherita con la Metro Goldwin Mayer e la Paramount. Al cinema di Via Cairoli restavano i film datati, di serie b o dai contenuti innovativi e sperimentali, una situazione all’apparenza sfavorevole che trasformava però il Carbone in una sorta di cinema d’essai, nel quale fra un film di vampiri e un “caplon” si poteva trovare un film premiato a Venezia o proveniente da oltre cortina: “La corazzata Potemkim”, film muto del 1925, fu una delle prime audaci proposte.

Per superare la concorrenza degli altri cinema, erano poi commissionati al pittore Giuseppe Candini enormi cartelloni pubblicitari dei film presentati. Le gigantesche locandine erano collocate in piazza all’imbocco di Via Cairoli: il primo film rappresentato dal Candini fu il film francese Manon.

Fin dagli inizi il Cinema Verdi si era dotato di un buon impianto sonoro e della possibilità di proiettare in cinemascope. Il primo film proiettato con questo sistema fu la “Tunica” nel 1956. Era operatore a quei tempi il già citato pittore Giuseppe Candini che in qualche occasione contribuiva a pubblicizzare i film in programmazione, realizzando enormi cartelloni pubblicitari che venivano appesi

Fig.19 Lo schermo del Cinema Carbone

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alla facciata del cinema. Agli effetti stereo del cinema contribuiva l’operatore che alzava o abbassava manualmente il volume delle casse, a seconda della direzione da cui il suono proveniva. Una caldaia da locomotiva, funzionante a carbone, garantiva un clima accettabile nei mesi invernali.

Una piccola comodità per gli spettatori era il deposito di biciclette del sig. Giovanni Breveglieri detto “Garibaldi”, a quell’epoca sempre pieno. I depositi di biciclette nei pressi dei cinema non erano gli unici a trarre vantaggi dall’attività cinematografica. All’imbocco dei vicoli che portavano ai cinema sostavano sempre pazienti i venditori di “brustolini”: la Dealbora, il sig. Poppi, la Signora Maria .

Assunto il ruolo di cinema, il Verdi non rinnegava quello di teatro, ospitando in quegli anni diversi spettacoli musicali e sul suo palco, oltre al già citato Salviati, si esibirono cantanti di fama come Consolini, Luciano Taioli e Nilla Pizzi. Non mancavano mai gli spettacoli di burattini di Leo Preti. Con l’acquisizione del cinema da parte della parrocchia erano invece cessate le attività danzanti, ormai ristrette ai veglioni di carnevale.

Intorno al ‘54 spuntava sul negozio di elettrodomestici del sig. Ferriani la prima antenna televisiva. La concorrenza del nuovo elettrodomestico era stata agli inizi irrilevante, ma poi dal piccolo schermo erano iniziate le trasmissioni di “Lascia o raddoppia”, il primo quiz televisivo…

Una sconvolgente passione travolgeva gli italiani che, rapiti dal nuovo genere di spettacolo, restavano inchiodati ai tavolini dei bar o riempivano le case di amici

Fig.20. Entrata del Cinema Carbone in via Cairoli.

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e conoscenti, possessori degli ancora rari televisori, lasciando al cinema i posti vuoti.

Per risolvere la crisi di spettatori al Verdi adeguarono la programmazione alla trasmissione televisiva : l’ora di inizio delle proiezioni era calcolata in modo che il primo tempo terminasse in coincidenza dell’inizio del quiz. A quel punto era introdotto nella sala un alto trespolo con le ruote, sulla cui cima si trovava collocato “una maestà” di televisore, ovviamente sintonizzato sull’appassionante quiz. Terminato lo spettacolo televisivo ripartiva il secondo tempo del film.

Il sistema fu adottato anche dal Cinema Italia, mentre la Signora Maria Ferriani del Margherita che da subito aveva considerato il televisore come un temibile concorrente al punto da non volerlo installare nella propria abitazione, restava fedele alla proiezione classica.

Il cinema aveva assunto all’interno della famiglia Ferriani un aspetto importante ed era difeso con determinazione dalle insidie della concorrenza. Verso la metà degli anni ’50, in risposta all’apertura del Carbone, era allestito un nuovo cinema all’aperto, il terzo del paese, che trovava spazio nel cortile situato a fianco del Margherita.

La “Mavréna” poi, mal tollerava le “birichinate” ai danni della sua sala e non potendo, da gentile signora, menar le mani come “Gustén”, puniva le scorrettezze come meglio poteva, arrivando a proibire l’entrata al cinema per un anno allo spettatore che aveva sorpreso ad asportare la locandina di un film.

Fig. 21. Giuseppe Candini.

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Al Verdi non potevano mancare le pellicole a carattere religioso e sullo schermo erano proiettati i grandi successi del momento: I dieci Comandamenti, Ben Hur, Marcellino pane vino, Nostra Signora di Fatima, Il Cardinale Lambertini: per i Crevalcoresi il Verdi era diventato “al cinema dal Prìt” e la parrocchia non perdeva occasione per affermarlo.

Una consuetudine erano diventati i cineforum; i dibattiti si svolgevano al termine del film animati da un oratore.

Di alcune di quelle iniziative restano tracce nei Bollettini Parrocchiali dell’epoca che così le raccontano :

- Febbraio 1957, al Teatro VerdiAbbiamo avuto a due riprese, in settembre e in novembre la proiezione gratuita di films con discussione e commento, fatto dai MM.RR. Can.co Prof. Giuliano Camerini e Alfonso Sonetti.- Luglio 1957 Teatro VerdiAnche nella scorsa primavera abbiamo tenuto le Tre Sere al Teatro Verdi, con conferenze del sempre brillante e bravo Don Luigi Martelli, che ha trattato dell’argomento, di studio in programma per l’Azione Cattolica in questo 1957: la Chiesa.-Luglio 1958 Cineforum“Il nostro Dott. Giuseppe Serra ci dice una sua impressione sul “Cineforum” esperimentato a Crevalcore.“Un applauso al Dott. Carlo Rimondi ed a Carlo Zucchini che hanno rispettivamente promosso e diretto un cineforum a Crevalcore [...]. Difatti tre pellicole di egregia fattura “Giustizia è fatta”, “Siamo tutti assassini”, “Luci della città” in visione al Verdi nella scorsa primavera, sono state viste, udite e vivacemente ed intelligentemente discusse sia sul piano estetico che su quello morale-

Fig. 22. La prima antenna televisiva sui tetti di Crevalcore.

Fig. 23. Il Cinema Margherita all’aperto.

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-Dicembre 1958, le tre sere al Verdi Le “ Tre Sere” con P. Toschi, il Dott. Toffoletto e il Dott. Morchiani.Ben riuscite: affollato il Teatro Verdi, specie nella sera del 28 ottobre dedicata al nostro Malpighi.Molta disciplina fra gli uditori come ebbi a rilevare al termine dell’ultima conferenza.Nonostante il dottor Marchiani abbia trattato argomento diverso da quello proposto, il pubblico ha seguito con notevolissimo interesse, toccato dalla foga dalla sincerità, dalla forza di convinzione, del giovane oratore. Come sarebbe opportuno ricordare sempre l’inciso con cui il dotto Marchiani giustificò il suo dire: che cioè, quando carri armati schiacciano operai che invocano di essere liberi in casa loro non si fa un’azione politica, ma una autentica barbarie, e parlarne diventa un dovere, com’è dovere di ogni uomo libero reclamare il rispetto dei diritto dell’uomo.-Dicembre 1959 Unione DonneIl convegno delle donne di A.C. della zona di S. Giovanni in Persiceto si è tenuta quest’anno a Crevalcore il 10 novembre 1959 al Teatro Verdi, che era gremitissimo (presenti 600) non ostante l’inclemenza del tempo e l’orario inadatto per delle donne (ore 14).

Cicli di cineforum furono anche proposti (1956 – 1960) dai giovani della parrocchia, ai quali Don Enelio concedeva gratuitamente la sala. Il giorno dedicato alle proiezioni era il Mercoledì, un giorno di riposo per il Verdi che, a differenza degli altri cinema che proiettavano tutte le sere, apriva al pubblico il Giovedì, il Sabato e la Domenica. Al ciclo di conferenze parteciparono fra gli altri il Direttore dell’Osservatore Romano e lo scrittore Pietro Bargellini.

Si era tenuto nell’autunno del 1958 “Il microfono d’oro”, un concorso organizzato da Destino Festa che, oltre a divertire ed intrattenere il pubblico, cercava di

Fig. 24 Tessera per Cineforum organizzati al Cinema Verdi.

Fig 25. Bigliettaie del Cinema Verdi

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individuare e far emergere i giovani talenti locali. I cantanti erano per l’occasione accompagnati dal gruppo musicale “Cunetta e i suoi Boys”.

Il concorso metteva in risalto le qualità canore della crevalcorese Mirna Chelli e decretò vincitrice Carmen Villani che sarà famosa a livello nazionale come cantante, così come Gianfranco Chelli come conduttore di spettacoli televisivi e opinionista tv.

Altra scoperta di quella manifestazione era stata il cinema Teatro Verdi, una struttura moderna, spaziosa che, spuntata quasi per miracolo sul suolo Crevalcorese, si dimostrava estremamente disponibile alle iniziative della gioventù locale.

La situazione era colta al volo da Gianfranco Chelli che, trasformatosi in impresario teatrale, iniziava la produzione di spettacoli che avrebbero finito col coinvolgere tutto il paese, in parte sul palco come attori o collaboratori, in parte in platea come spettatori. Tutto quanto faceva spettacolo, musica, canzoni, balli, recitazioni di brani teatrali e poesie; il varietà di Chelli si adattava alle doti degli artisti dilettanti. Collaboravano cucendo trame, sceneggiature ed effetti speciali Carlo Zucchini, Silvano Albertini e Gigi Suffriti, mentre l’autore delle scenografie era il pittore Giuseppe Candini. Attorno al Verdi si formava un gruppo di dilettanti che sulle locandine si definiva “Compagnia Instabile del teatro di Crevalcore”. Le prove si svolgevano di notte all’interno della biblioteca, che allora si trovava in Via Roma nel palazzo comunale e dove stranamente esisteva una macchina da cucire, con la quale gli attori, aiutati dal bibliotecario particolarmente creativo, confezionavano con stracci e cartoni abiti di scena all’apparenza perfetti.

Sul palco del Cinema Teatro Verdi erano così rappresentati “Vento d’Estate” nel 1959, “Missile d’argento” e “Autunno d’amore” nel 1960, “Crevalcorissimo” nel 1961, spettacolo che prendeva spunti dalle vicende storiche del nostro paese.

Fra il 1959 e il 1960, la scena dell’informazione Crevalcorese era ravvivata dalla comparsa di due nuovi giornali: Il Castello, mensile della Democrazia Cristiana, e Il Ranocchio, periodico locale indipendente sostenuto dai partiti di sinistra.

Si fossero chiamati Don Camillo e Peppone avrebbero immediatamente reso finalità e modalità dell’informazione che intendevano fornire, il principale argomento trattato dai due periodici era, infatti, la politica; non mancavano comunque notizie di cronaca, costume, sport e spettacolo.

A testimonianza del diffuso interesse per il cinema, trovava spazio, in entrambi i giornali, una rubrica di critica cinematografica.

Lo pseudonimo “Cineasta” celava l’identità dell’autore della “Cronaca del cinema” che appariva sul Castello. “Cineforum” era invece il titolo della rubrica tenuta sulle pagine del Ranocchio dal poliedrico Gianfranco Chelli.

Un articolo del Ranocchio dell’aprile 1960, ci riporta all’atmosfera dell’epoca, raccontando di uno spettacolo musicale che aveva avuto luogo al Cinema Verdi:

Serata della canzone al “Verdi”Sull’Italia di Riva, di Tortora e di Bongiorno, sull’Italia del «Musichiere» e di «Campanile

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Fig.26 Mirna Chelli in abito di scena.

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sera», di Fellini e di Tambroni, della «Dolce vita» e del campionato di calcio, sull’Italia della crisi ministeriale e del nuovo Governo, degli scandali e dei teddy-boys, di Modugno e di Rascel, sull’Italia «Romantica» e «Libera» delle terzine e dei juke-box, è scesa finalmente la primavera.Tra poco cominceranno le «smanie per la villeggiatura», la penisola sarà invasa dallo straniero, e biondissime fraulein verranno da noi in cerca d’amore. Ci passeranno vicine, in una corsa veloce verso il Sud e noi non ci accorgeremo di nulla. La nostra vita in provincia continuerà fra la casa e il lavoro, il cinema e l’apparecchio televisivo. La sera i vicoli si animeranno, la piazza brulicherà di giovani, e il viale della stazione sarà sempre la meta preferita dagli innamorati. I discorsi nei caffè saranno sempre gli stessi: si parlerà di nulla. Qualcuno si augurerà che cada il campanile per avere una giornata diversa dal solito. La settimana poi si concluderà con il grande passeggio domenicale, vera e propria sfilata di moda e di bellezza cui tutti partecipiamo, spinti quasi da un’atavica tradizione o da un impegno morale. Sono cosi rari dunque gli avvenimenti e le manifestazioni, e così limitati i divertimenti che per una volta ci occuperemo di uno spettacolo musicale che si presentava assai interessante soprattutto per la quantità e qualità degli interpreti. Quattro cantanti della radio e della televisione erano, infatti, riuniti in un music-hall presentato la sera del 30 marzo al Teatro Verdi di Crevalcore: Corrado Lojacono Stella Dizzy, Vera Nepy e Franco Franchi.

Fig.27. foto dello spettacolo Il Microfono d’oro, (1958). Sul palco, da sinistra: Carmen Villani, Gianfranco Chelli, Tino Festa , Mirna Chelli

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A queste vedette facevano poi da cornice altri cantanti e due orchestre. Diremo subito che lo spettacolo non è stato niente di eccezionale: una passerella di soli cantanti non poteva non stancare, come è accaduto infatti nel primo tempo riservato ai cantanti di contorno. Buono invece il secondo tempo. E’ iniziato con la piacevole esibizione del complesso degli Erranti che ha suscitato entusiasmo ed ha raccolto il favore del pubblico. Applausi a scena aperta hanno sottolineato i contorcimenti e le strozzature vocali di Silvi che indubbiamente possiede uno «stile» che va via via raffinandosi. Segnaliamo in particolare il chitarrista di questo complesso: il concittadino Mario Vignoli che oltre a possedere una perfetta tecnica strumentale è anche autore di belle composizioni. La miglior cantante della serata ci è comunque sembrata Stella Dizzy. La giovane e sofisticata cantante milanese ha dimostrato di possedere eccezionali qualità vocali interpretando meravigliosamente «My funny Valentine» in una elaborazione molto suggestiva.Bravi Lojacono, la Nepy, Franchi e la giovane cantante del complesso Pelizza: Wally Gatti. Cordiale successo. C. G.”L’estate del 1960 non portava solo le “smanie per la villeggiatura” una nuova

produzione di Gianfranco Chelli veniva a ravvivare la quiete paesana. Si trattava del già citato “Missile d’Argento”, che ripeteva il successo degli spettacoli precedenti.

Da un articolo de “Il Castello” che sottolineava anche gli aspetti a suo giudizio migliorabili, il racconto di alcuni momenti e interpreti dello spettacolo:

…Dopo Sanremo, Velletri e Castrocaro, anche Crevalcore ha il suo festival; venuto alla luce silenziosamente lo scorso anno, portato dal «Vento d’Estate», ha rinnovato la sua veste assumendo un carattere regionale. Il concorso, a suo tempo bandito, non ha purtroppo portato alla ribalta nuovi talenti, se si escludono i già noti elementi locali. …Lo spettacolo ha tenuto a battesimo «la Compagnia del Teatro Sperimentale di Crevalcore» che ha presentato quattro brevi atti di prosa, poesia, rivista e commedia musicale, rendendo così meno monotone le esibizioni canore dei concorrenti. Il festival si è articolato in due serate; i dilettanti, portati al microfono con signorilità e distinzione dal presentatore Gianfranco Chelli, nella serata di apertura sono stati scelti da una giuria di concittadini che ha indicato gli otto partecipanti alla finale. Il 1° premio è stato giustamente assegnato alla Sig.na Mirna Chelli che, ancora una volta, si è fatta ammirare per la sua bella voce presentando, con grazia e misura, alcune canzoni molto apprezzate dal pubblico; un secondo premio è stato attribuito ad una precoce urlatrice, la Sig.na Marisa Allegretti. Da segnalare la giovanissima Magda Balboni di Cento, ed il giovane ravarinese imitatore del compianto Fred Buscaglione; una citazione particolare per il complesso «Tre vampiri», che ha avuto nel fisarmonicista Fosco un ottimo esecutore di un applaudito brano di musica jazz.Specialmente nella prima serata non sono mancate le classiche «stecche», giustificabili, forse, per l’emozione del primo debutto.A distanza di alcuni mesi il palco del Verdi ospitava un nuovo spettacolo di

Chelli: “Autunno d’Amore”, a cui seguiva l’anno seguente “Crevalcorissimo”.Al Verdi si tenevano poi altri spettacoli che proponevano artisti locali già

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affermati, come l’orchestra “Teddy Rock” diretta da Erio Vaccari, o che davano spazio alle nuove “proposte”, come il ciclo delle “Serate del dilettante” nelle quali Licinio Corsini compiva i primi passi di una carriera di musicista che l’avrebbe portato a suonare nell’orchestra di Henghel Gualdi.

Alcune di queste serate erano organizzate da Ernesto Boiani, altro crevalcorese che, seguendo le orme di Chelli, si era improvvisato impresario teatrale.

Il Verdi era un punto di riferimento per i giovani e a trarne vantaggio era anche il bar del Cinema allora gestito da Dante Molinari, detto “bafi ad ghisa” che, dopo un avvio stentato, diventava luogo di ritrovo di quella generazione.

Nel 1961 il cortile in cui aveva trovato spazio il Cinema Margherita era messo in vendita e la “sala” all’aperto dovette essere smantellata. Nello stesso anno, quasi a consolazione di quella perdita, la gestione Ferriani era premiata con una medaglia d’argento dall’AGIS, Associazione Generale Italiana dello Spettacolo, con la seguente motivazione: “Per avere svolto attività cinematografica dal 1934 contribuendo per oltre un venticinquennio con appassionata e benemerita opera allo sviluppo e all’affermazione del cinema in Italia.” . Agli spettacoli di varietà e alle proiezioni del Verdi continuavano ad alternarsi le iniziative della parrocchia, così descritte e annunciate dai Bollettini Parrocchiali :

Befana 1961 “Anche quest’anno, puntuale come sempre, è giunta la Befana per i nostri bimbi da Roma, e più precisamente dalla casa del Comm. Primo Parrini. Quest’anno non si è fatto il pranzo, ma si è pensato ad un dono a tutti i bimbi.Difatti, nel pomeriggio del 6 gennaio, dopo uno spettacolo gratuito di burattini al Verdi, ai bimbi intervenuti è stato distribuito un bel sacchetto di roba buona.Al benefattore dei nostri bimbi, il grazie più cordiale ed il saluto più affettuoso!”Marzo 1962 “Ben riuscite le tre sere per i giovani e le ragazze, nel gennaio scorso, che hanno dimostrato di gradire moltissimo l’esposizione, ora profonda, ora brillante, sempre interessante del Dott. Don Novello Pederzini, un esperto dei problemi giovanili e Giudice presso il Tribunale Ecclesiastico per le cause matrimoniali.I cento fra giovani e ragazze hanno concluso i loro incontri al “ Verdi” con la visione di un nitido, validissimo film: “I dialoghi delle Carmelitane”.All’inizio degli anni ‘60 si trovarono a godere di una limitata fama cinematografica

alcuni crevalcoresi: Emilio Malaguti, in arte Emil Crysler, già della Compagnia del teatro di Crevalcore che, partito alla volta di Cinecittà, riusciva ad avere ruoli di comparsa nei film “Francesco d’Assisi” e “Il ladro di Bagdad”; Licigno Corsini, casualmente “inserito” in un film poliziesco mentre suonava in un locale Bolognese, finiva pure immortalato nella locandina del film.

Numerosi crevalcoresi, apparivano invece come intervistati in un film-documentario americano che raccontava di Crevalcore come del paese più comunista d’Italia.

Al Carbone l’attività si era intanto estesa agli spettacoli teatrali; il palco era stato ricavato a lato della platea che, grazie ad alcuni teloni, era protetta dalle eventuali

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Fig. 28. Gianfranco Chelli e Carmen Villani, prove per lo spettacolo Crevalcorissimo del 1961

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intemperie. Fra gli spettacoli presentati: “La piccola Vedetta Lombarda” e “Il Fornaretto di Venezia”.

Agli inizi degli anni ‘60 il Cinema Italia era passato alla gestione di Laura Lodi, che si avvaleva della collaborazione del sig. Martelli, già proprietario di cinema nel bolognese. Era l’epoca dei primi Western all’italiana che attiravano folle di spettatori. Per controllare la ressa davanti al cinema dove si proiettava il film Per un pugno di dollari si rendeva addirittura necessario l’intervento dei Carabinieri.

A metà degli anni 60 il Cinema Italia lanciava un’iniziativa pubblicizzata con lo slogan “due film per 50 lire”. L’operazione ebbe un discreto successo; i Crevalcoresi subivano ancora una forte attrazione per il cinema. Una passione che li faceva restare dalle otto a mezzanotte seduti su scomode sedie di legno, in un ambiente umido, saturo di fumo di sigarette, che affaticava i polmoni e la vista, ad emozionarsi davanti a vecchie pellicole rigate e consumate che spesso si spezzavano interrompendo atmosfera e proiezione.

I Crevalcoresi ricordano il Cinema Italia con affetto, ma anche come la più scalcinata delle tre sale di proiezioni. Era più curata la gestione del Margherita, ma il servizio e i comfort migliori erano quelli offerti dal Cinema Verdi, gestito alla maniera delle grandi sale cittadine. Oltre alla bigliettaia, si alternavano nell’attività

Fig. 29. Enea Albertini e Mirna Chelli, in un momento di Crevalcorissimo

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Gianna Bastia e Romana Azzolini. C’erano, con tanto di divisa, le maschere che accompagnavano gli spettatori con la torcia, ruolo ricoperto nel tempo dai signori Ivo Albertini, Convertino Ardizzoni, Gaetano Serrazanetti. C’era Fabio Ghelfi, ragazzo, in papillon e giacca bianca, che girava fra il pubblico per vendere caramelle, affiancato nei mesi estivi per qualche stagione dal venditore di gelati e bibite ghiacciate Carlo Arduini.

Nel 1964 il cineforum organizzato al Verdi dalla parrocchia, manifestazione nota col nome delle “Tre sere”, compiva 10 anni e mentre “La fontana della Vergine” di Ingmar Bergman apriva il ciclo di proiezioni di quell’anno, si iniziava a pensare ad una edizione speciale per festeggiare il traguardo raggiunto.

Nel Maggio del 1965 si tenne con gran successo il Festival Nazionale di Crevalcore, una sorta di Sanremo locale, organizzato e presentato da Gianfranco Chelli (nel frattempo diventato commentatore per la Rai) che riusciva ad ottenere per la modica cifra di lire 350.000 la partecipazione allo spettacolo di Mike Buongiorno. Il festival, vinto da Paola Musiani, seguita da Paolo Mengoli, si chiudeva con un quiz, condotto in sala dal già mitico “Mike”. Grande successo ed entusiasmo nei circa 1600 spettatori, fra i quali spiccava Don Enelio che alla fine abbracciava, felice di gioia, il giovane produttore dello spettacolo.

Sempre nello stesso anno Gianfranco Chelli organizzava, ispirandosi allo Zecchino d’oro, la prima edizione del “Ranocchio d’oro” per il quale otteneva la partecipazione di un altro mito televisivo dell’epoca, il grande imitatore Alighiero

Fig.30. Erio Vaccari e la sua orchestra in uno spettacolo al Cinema teatro Verdi

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Noschese che, pur febbricitante, contribuiva al successo dello spettacolo. Fra i giovanissimi partecipanti crevalcoresi c’erano Edy Bratti e i gemelli Onelio e Massimo Zabbini che arrivarono secondi cantando un brano delle celebri gemelle tedesche: “La notte è piccola per noi”. Vinse il concorso un coro di un paese vicino con la canzone “John Brown” .

Nel 1966 Gianfranco Chelli proponeva al Verdi uno spettacolo musicale con Giorgio Gaber. Non si ripeteva il successo degli spettacoli precedenti e agli organizzatori restarono l’amaro in bocca e i conti in rosso.

Nasceva nel 1968 il Carnevale dei Bambini, una manifestazione curata dalla Società Tarnein che aveva fra i promotori principali Don Ivo Manzoni, il parrocco nel frattempo subentrato a Don Enelio Franzoni.

Le prime edizioni del carnevale, caratterizzate da sfilate e premiazioni di mascherine, avevano trovato nel palco del Cinema Verdi il luogo ideale per il loro svolgimento. Per il carnevale il Cinema continuò a rappresentare un importante punto di riferimento anche dopo il 1971, anno in cui la manifestazione si arricchiva delle sfilate dei carri allegorici. Dal Bollettino Parrocchiale dell’epoca il resoconto dell’evento:

“Carnevale dei bimbi - Più sfavillante che mai, la terza edizione del Carnevale dei bimbi crevalcoresi. Il Teatro “Verdi”, gremito di bimbi il giovedì grasso, con centinaia di mascherine in concorso, offriva uno spettacolo unico.Le bellissime giornate di sole hanno premiato i bimbi, gli organizzatori ed i costruttori di sette carri allegorici che, affollati di bimbi, hanno girato le vie del paese seguendo le

Fig.31. locandine del cinema Margherita sotto i portici

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Fig.32. locandine pubblicitare del cinema Italia

orme del maestoso “Re Tarnein” e della sempre più bella .. “Marmizlèra”.Bordate di coriandoli e caramelle hanno accolto, in piazza, le innumerevoli mascherine che componevano il corso mascherato. Veramente gustose le “zirudelle” pronunciate all’arrivo di ogni carro dopo che Re Tamei, dal balcone del Palazzo Comunale, aveva aperto il corso con la sua “arringa” in dialetto crevalcorese”.La presenza della parrocchia fra i promotori del Carnevale faceva riaprire

il Verdi alle danze. Veniva nuovamente concesso alle società carnevalesche di organizzare i tradizionali veglioni danzanti all’interno del Cinema che, per quelle occasioni, assumeva ogni volta sembianze diverse. Allestimenti spettacolari duravano, come nelle fiabe, la magia di una notte. Memorabile, nel Carnevale del 1972, l’allestimento effettuato dalla società “Carezza Notturna” che utilizzò 16 chilometri di tessuto per trasformare la sala. Negli anni ‘70, al Verdi iniziava il ciclo degli spettacoli organizzati e recitati dai ragazzi della Casa dei Giovani, promossi e coordinati dal giovane cappellano Don Giuseppe. A dare il via a quegli spettacoli fu, nel Dicembre del 1973, “Musical”, un concerto in cui, a fianco dell’attrazione principale rappresentata dal complesso dei Nomadi, si esibirono i principali gruppi musicali locali: “Angelico Lombrico”, “Demon’s Wizard”, “Farmacia di Turno” e “Evasione verso l’infinito”.

Seguirono poi, dal Marzo del 1974, una serie di spettacoli che Don Giuseppe sintetizzava così sulle pagine del Bollettino Parrocchiale:

“QUESTO UOMO NOI LO CONOSCIAMO “Il suo significato: ha tenuto uniti

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una trentina di giovani in un lavoro di ricerca sugli aspetti più trascurati e meno conosciuti del nostro paese, li ha fatti pensare col lavoro e con le prove, ha riunito circa seicento persone con le quali si è dialogato.. la sera stessa dello spettacolo”; “UNA VITA QUALUNQUE”: spettacolo che ha visto ragazzi e ragazze di terza media interrogarsi su alcuni valori della vita. Come per lo spettacolo precedente tutto è stato realizzato da loro ed è stato presentato a circa seicento persone la sera del 15 Maggio. La gioia di questi ragazzi che erano al loro primo lavoro del genere è il più bel commento a ciò che hanno fatto.“GIOVANNA D’ARCO”: è un’opera di Paul Claudel che un gruppo di ragazzi sui 15-16 anni ha tradotto dal francese e rielaborata. Verrà presentato al pubblico la sera di Venerdi 7 Giugno, alle ore 21, presso il Cinema-Teatro Verdi. Ai ragazzi ha detto molto: ci auguriamo possa creare interesse anche in coloro che parteciperanno.Un commento al tutto: si tratta di lavori in cui i giovani hanno tentato di interrogarsi e coi quali hanno creato... un ponte di comprensione... con l’ambiente più adulto che li circonda.Quello che ora dico vuole essere senza asprezza: è auspicabile che le persone di Crevalcore si rendano conto e sappiano apprezzare ciò che di genuino nasce fra di loro. Credo che se c’è qualcuno che va capito e sostenuto sia proprio il ragazzo soprattutto perché è ancora capace di compiere il miracolo di un discorso... non settario... pur dicendo con chiarezza quello che pensa.L’incasso netto realizzato verrà al più presto affisso alla porta della Chiesa e pubblicato

Fig.33. Biglietteria del Cinema Verdi.

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nel prossimo Bollettino: il tutto è stato usato per le spese della Casa dei Giovani”.Continuavano il ciclo il recital “...E l’uomo fu”, spettacolo allestito nell’ambito del Congresso Eucaristico di zona che in quel periodo si teneva a Crevalcore, e lo spettacolo “Alfa-Omega morire per vivere”, caratterizzato dalle musiche del complesso “Angelico Lombrico”. Grande successo di pubblico ebbe lo spettacolo presentato al Verdi in quegli anni dal gruppo internazionale di “Viva la Gente”. Nei primi anni ‘70 il Cinema Italia cambiava nuovamente gestione; a rilevare la

licenza industriale dalla signora Lodi era il Centro Utenti Cinema Emilia Romagna che continuava l’attività di proiezioni per un paio di anni. In quel periodo i gestori del Cinema Verdi tentavano di ottenere sia la licenza industriale del Cinema Italia sia la gestione del cinema Carbone. Nessuno dei progetti di espansione arrivava in porto: a farli naufragare erano la parificazione delle norme che regolavano le diverse licenze cinematografiche, la situazione finanziaria del cinema all’aperto e la crisi di pubblico che cominciava a intravedersi.

Nel 1975 il Margherita, rimasto “orfano” della sua proprietaria, era affittato ad un ravarinese, già gestore di diverse sale cinematografiche nel modenese, il quale rinnovava il cinema nell’aspetto e nella programmazione. La ristrutturazione non risparmiava l’antico nome e l’insegna al neon a forma di margherita che dalla fine degli anni ‘50 stava appesa a Porta Modena. Forte di un nuovo ingresso, dell’interno rivestito di moquette, di più comode poltroncine e di un nuovo impianto di riscaldamento, il cinema, ribattezzato Maxim’s, affidava il proprio rilancio alle pellicole osè.

Nel 1978 il Cinema Verdi era coinvolto in una contestazione contro la guerra in Vietnam. A scatenare le proteste dei pacifisti era il film “Berretti Verdi” di John Wayne, che sosteneva l’intervento americano in Vietnam. La pellicola aveva già scatenato proteste e manifestazioni in mezzo mondo. Nella notte precedente alla proiezione un giovane pacifista, dipendente delle poste, con pennello e vernice era riuscito ad imbrattare le locandine del film, ad attaccare manifesti di protesta sulla facciata del cinema e a scrivere sull’asfalto del piazzale antistante frasi di condanna della guerra in Indocina.

Televisione, nuove mode e nuovi stili di vita determinarono sul finire degli anni ‘70 una crisi generale dello spettacolo cinematografico dalla quale neanche i cinema crevalcoresi uscirono indenni.

Si spegneva lentamente il Cinema Carbone che, senza dare troppo nell’occhio, non riapriva più le porte all’arrivo dell’estate. Chiudeva definitivamente il Cinema Italia: le previsioni degli incassi rendevano improponibile la ristrutturazione dell’umido e cadente edificio; resisteva a fatica il Maxim’s, dopo la ristrutturazione a base di moquette e di pellicole osè, mentre il Cinema Verdi, per sopravvivere, giocava la carta del ridimensionamento. L’idea era partita da Viterbo Garuti, quasi un ‘fratello’ del cinema. Era, infatti, cresciuto fra le mura del Verdi nell’appartamento del custode e da sempre e volontariamente aveva collaborato alla gestione. Il

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Fig. 37. Un momento dello spettacolo Alfa-Omega morire per vivere.

Fig. 34. Volantino pubblicitario dello spettacolo Il Ranocchio d’oro

Fig. 35. Manifesto dello spettacolo “Questo uomo noi lo conosciamo”

Fig. 36. biglietto per lo spettacolo Musical , autografato da Augusto Daolio, cantante dei Nomadi

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ridimensionamento che prevedeva il sacrificio dell’ampio ingresso e della galleria a favore di una palazzina, trovava interessati sia il presidente dell’Edilcoop, sig. Giuseppe Malaguti, sia i proprietari del Cinema. In una fredda mattina di Dicembre del 1981, dopo una trentina d’anni di onorata carriera, il Verdi offriva ai numerosi passanti e curiosi lo spettacolo della propria parziale demolizione. Una ruspa spazzava via facciata, ingresso, sala d’aspetto, galleria e un mare di ricordi; al loro posto sorgeva un palazzo, più intonato almeno con gli edifici circostanti.

In attesa della ristrutturazione e per ravvivare la vita culturale del paese alcuni politici locali, rilevando l’ìnsufficenza di una sola sala cinematografica, proponevano per il periodo estivo l’organizzazione di Cineforum. L’idea trovava spazio anche sul Notiziario di Crevalcore del Dicembre 1982 che sotto il titolo “Crevalcore: povertà di idee culturali, cosa propon-gono i socialisti “ riportava:

“Cinema. Una sala cinematografica è insufficiente. Ma in questo caso l’Amministrazione Comunale non può fare nulla.Però potrebbe contribuire in collaborazione con altri enti cittadini a dare il via a proiezioni di cineforum estivi, evitando una programmazione eccessivamente impegnata con films di difficile lettura, ma con films di qualità, per evitare ancora una volta che i cineforum siano praticati dalla solita “cerchia” cacciando nel riflusso il resto dei cittadini (che sono la maggioranza)...È un paese dove non esistono strutture sociali né culturali, né tanto meno di incontro, se si toglie la Biblioteca. Portare i giovani fuori da certi locali pubblici per avvicinarli a un mondo più a loro consono come può essere trovarsi insieme ed assistere a spettacoli di qualità è senz’altro un investimento sugli uomini. Cosa c’è d’altro di culturale a Crevalcore?” L’idea di un cinema estivo trovava diversi estimatori tanto che nel 1984 i gruppi

PCI e Sinistra Indipendente al governo del Comune destinavano 95.000.000 di

Fig. 38. Il Cinema Verdi, allestito per il veglione organizzato dalla Società Carezza Notturna.

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lire per l’acquisto del fabbricato ex-Cinema Italia. Nel 1987, dopo la potente “cura dimagrante” che aveva però lasciati intatti

platea e palco, il Verdi riprendeva le proprie attività di cinema, di teatro e di luogo di incontro della comunità cattolica del paese con la tradizionale Festa della Famiglia, con gli spettacoli organizzati dall’Asilo Stagni o dai ragazzi della Casa dei Giovani. A firmare il rogito della ristrutturata proprietà era il nuovo parroco Don Ivano che ne diventava responsabile per conto della parrocchia..

Circa in quel periodo chiudeva, e per sempre, l’ex Margherita. Anche nel suo caso il calo di spettatori aveva decretato l’inutilità delle ristrutturazioni. Al suo posto, un paio di anni più tardi, sarebbe sorto il bar “Arcobaleno”.

Grandi progetti continuavano invece a ruotare attorno all’area dell’ex Cinema Italia, individuata dall’Amministrazione Comunale come luogo ideale per la nuova biblioteca. Nel 1990 il Consiglio Comunale acquistava per 253.000.000 di lire l’immobile e relativo giardino posti fra Via Trombelli e Via Mattioli. Nell’immobile ristrutturato avrebbe dovuto trovar spazio la biblioteca, mentre il giardino, unito agli adiacenti spazi verdi dell’ex Cinema Italia e dell’ex proprietà Cavallini ne avrebbe costituito il parco. Il progetto però non aveva seguito. Mentre la nuova biblioteca trovava una diversa collocazione, l’area dell’ex Cinema Italia si trasformava in un groviglio di vegetazione spontanea e in un ricovero per gatti randagi.

Nel 2002 all’interno dell’Amministrazione Comunale si ridiscuteva di come utilizzare gli spazi verdi dell’ex Credito Romagnolo e dell’ex Cinema Italia fra Via Trombelli e Via Mattioli. Tra le proposte tornava a far capolino l’idea di riattivare il cinema all’aperto. Nel Maggio dello stesso anno un articolo sul quotidiano il Domani riportava: “Nell’area dell’ex cinema Italia, se vi sarà un interessamento da parte

Fig.39. Insegna del Cinema Margherita

Fig.40. Esterno del Cinema Maxim’s.

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Fig.41. Il cinema Verdi dopo la manifestazione di protesta contro il film Berretti Verdi .

Fig.42. Demolizione del Cinema Verdi.

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Fig.43. Locandina di Sogni Proibiti, lungometraggio con i gemelli Bencivenni.

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Fig.45. Vignetta dell’Eco della Palude n.33..Fig. 44. Cinema Italia abbandonato.

di privati, è prevista la possibilità di aprire un cinema all’aperto e una baracchina per gelati.” Con un intervento di circa 100.000 euro l’Amministrazione Comunale riusciva l’anno successivo a disboscare il cortile dell’ex cinema e ad adattarlo alle proiezioni cinematografiche; accordi con sponsor, gestori di bar e addetti alla proiezione completavano l’intervento.

Il Cinema ribattezzato “Nuovo Cinema Italia” era inaugurato nel Giugno del 2003: grande la partecipazioni dei Crevalcoresi all’evento, presentato e animato da Gianfranco Chelli.

Così la notizia del Resto del Carlino del 28/06/2003: “Riapre il Nuovo Cinema Italia …. Un avvenimento molto atteso, ma soprattutto sentito da migliaia di cittadini.Il rinato cinematografo sorge infatti nel cuore del centro storico e riporta alla memoria gli anni sessanta quando il cinema Italia era una delle più amate e frequentate sale cinematografiche della pianura bolognese”.Ed ecco ciò che scriveva il n.33 dell’Eco della Palude (piccolo, polemico

notiziario locale): “Nuovo Cinema Italia. Carica di nostalgia la serata di inaugurazione del nuovo Cinema Italia: e non poteva essere altrimenti per un tipo di spettacolo, il cinema all’aperto, in auge una quarantina di anni fa. La serata, condotta da Gianfranco Kelly, si è rivelata piacevole. Sul palco c’erano esperti di cinema internazionali: Cesare Bastelli, aiuto regista, Gino Pellegrini, scenografo, ed i gemelli Bencivenni, esperti locali, che erano sia sul palco che sullo schermo. Già è iniziata una programmazione che vedrà proiettati fino a Settembre una trentina di films. Buona l’iniziativa e tanto di cappello all’Amministrazione Comunale che è riuscita a realizzare il cinema (acquisto dell’area, del proiettore, dello schermo, delle

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seggiole ) con circa metà della cifra spesa per il parco della biblioteca”. La serata inaugurale della stagione estiva diventava una delle attrazioni per

i Crevalcoresi, arricchendosi ogni volta della collaborazioni di tanti cittadini, in particolare dei gemelli Bencivenni che, coinvolti dall’abilità di Gianfranco Chelli, davano vita sul palco e sullo schermo a divertenti intrattenimenti e lungometraggi. Si ripeteva il prodigio già accaduto al Verdi sulla fine degli anni ’50. Carrozzai, avvocati, studenti e falegnami si trasformavano in provetti attori, abili tecnici e capaci registi che aprivano la strada a quel mondo di fantasia, sogni, emozioni ed arte chiamato cinema che sempre dovrebbe aver un posto in ogni paese.

La presente ricerca storica si basa prevalentemente sulle testimonianze e la collaborazioni di tanti Crevalcoresi, che ringrazio, in ordine di apparizione.

Mario Garolini……… Bambino che sbirciava nel cinema Italia Marcello Ansaloni…… Piccolo operatore al Cinema Margherita Oliviero Mengoli …… Ballerino con abbonamento al Teatro Verdi Fabio Ghelfi ………… Venditore di caramelle al Verdi Angelo Zabbini …… Spettatore al concerto di Rino Salviati.Martino Pecorari …… Operatore al Carbone Laura Lodi ………… L’attraente bigliettaia del cinema Italia Gianfranco Chelli…… Il giovane show manMirna Chelli ………… Cantante vincitrice del concorso Missile d’argentoLoris Stancari………… Organizzatore di cineforum al Cinema Verdi Laura Lodi…………… L’attraente bigliettaia del cinema Italia Ovilio Scandellari…… Presidente della Società “Carezza Notturna” Licinio Corsini……… Concorrente alle serate del dilettante Claudio Arduini ……… Jack con Gim e John, boys di Carmen Villani in Crevalcorissimo Viterbo Garuti………… Inquilino del cinema Verdi Angelo Nadalini ……… Corista della parrocchiale di San Silvestro Giacomo Zambelli…… Un Angelico Lombrico Luciano Zaccaria …… L’uomo che trasformò il Margherita in Arcobaleno

Si ringraziano inoltre, per le informazioni e le fotografie: Franca Bergami, Magda Abbati, Luigi Donini e i gestori del Cinema Verdi, Iride Cugola,

Stefano Paladini, Paola Poppi, Gaetano Preti, Gabriele Gallerani, Daniele Parenti, Daniele Pizzirani, Paola Ligabò, Paolo Cadore, Maria Grazia Guerzoni. Un sentito ringraziamento va inoltre alla memoria di Gigi Sitta.

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Esperienze didattiche

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Fig. 1. Quaderno di viaggio di Don Gioseffo Maria Felicani. Il titolo completo recita: “Viaggio di Romma dell’Anno Santo 1675 fatto da me infrascripto D. Gioseffo Maria Felicani in compagnia di m. Domenico Riva e Gio. Battista Bonfioli alias Saibano dove si vede la spesa fatta tanto ad andarvi quanto à ritornare a casa e tutto l’operato in Roma nel spatio di misi n° sei e giorni 7 e quello s’è speso in detto tempo stato in Roma.”

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Questo breve contributo si articola in due parti: la prima riguarda il progetto “Viaggi a Roma: anno 1675, anno 2007”, realizzato dalle classi terze della scuola G. Mazzini di Sant’Agata Bolognese nello scorso anno scolastico, la seconda presenta uno studio nato sulla scia di quell’esperienza. L’oggetto di entrambe è un manoscritto conservato presso l’archivio della Partecipanza di Sant’Agata Bolognese1, di cui il presidente dell’ente, Rodolfo Zambelli, e la dirigente dell’I.C. locale, Angela Pessina, avevano da tempo colto le potenzialità, come fonte per gli studiosi e come strumento di educazione storica e civica per gli studenti.

Si tratta di un quaderno di quaranta carte che contiene il diario della missione effettuata nel 1675 da tre Santagatesi, incaricati dalla Comunità e dalla Università partecipante di sollecitare presso la curia romana la conclusione della controversia che le opponeva ai conti Caprara; l’estensore e capo della delegazione è il prete Giuseppe Maria Felicani. Nel diario si trovano i resoconti minuziosi dell’andata, della permanenza a Roma e del ritorno: luoghi, tempi, persone frequentate e incontrate, iter della causa, modalità di sopravvivenza nella grande città e rapporti epistolari con Sant’Agata, e inoltre una dettagliata documentazione delle pratiche devozionali e dei festeggiamenti collegati al giubileo2; particolarmente accurata è la registrazione delle spese, esempio ammirevole di responsabilità pubblica. Una testimonianza multiforme dunque, capace di suscitare curiosità e interrogativi in chiunque la avvicini, che esige tuttavia un paziente lavoro di ricerca per comunicare i suoi significati attraverso una barriera di secoli.

CARLA RIGHI

Un viaggio a Roma nel Seicento

Laboratorio di storia delle classi terze della Scuola media “G. Mazzini” di Sant’Agata Bolognese

1 Per la storia della Partecipanza agraria di Sant’Agata Bolognese vedi R.Zambelli, Storia della Partecipanza agraria di Sant’Agata e A. Barbieri, L’antichissima terra di Sant’Agata Bolognese, edizione a cura del Comune di Sant’Agata Bolognese,2002.

2 Nel 1675 il papa regnante era Clemente X. La cadenza dei giubilei era stata stabilita a 25 anni da Paolo III, nel 1470, vedi R. Fisichella, Gli anni santi attraverso le bolle (in traduzione italiana), Casale Monferrato,1999. Per un affascinante viaggio ideale con i pellegrini dei giubilei vedi l’ampio e documentatissimo saggio di G. Palumbo, Giubileo Giubilei. Pellegrini e pellegrine, riti, santi, immagini per una storia dei santi itinerari, RAI-ERI, 1999.

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Il progetto“Viaggi a Roma: anno 1675, anno 2007”Obiettivi: 1. Sviluppare il senso di appartenenza ad una comunità sociale e

politica; 2. Comprendere che la storia è il risultato di una ricostruzione del passato che si basa sulla capacità di interrogare e di interpretare le fonti.

Classi e insegnanti coinvolti: le classi terze della nostra scuola, composte da 48 alunni. Le insegnanti di lettere, l’insegnante di religione, gli insegnanti di tecnica, le insegnanti di arte. Gli insegnanti che hanno dato la disponibilità ad accompagnare le classi nel viaggio a Roma.

Contenuti: studio di una relazione di viaggio manoscritta, del 1675, conservata presso l’Archivio della Partecipanza di Sant’Agata; la città di Roma, oggi e nel passato; lo Stato italiano: confronto fra Statuto Albertino, Legislazione fascista e Costituzione della Repubblica; viaggio d’istruzione a Roma di due giorni; visita al Quirinale.

Collaborazioni: la dottoressa Beatrice Borghi, collaboratrice del professor Dondarini, dell’Università di Bologna, referente del Progetto de “Le radici per volare” e della “Festa della storia”, si è resa disponibile a svolgere una lezione introduttiva, a partecipare al lavoro di programmazione e di verifica. Il signor Rodolfo Zambelli, Presidente della Partecipanza agraria di Sant’Agata Bolognese ha messo a disposizione della scuola il documento; contribuirà finanziariamente alla realizzazione del viaggio a Roma; il Comune di Sant’Agata Bolognese produrrà le fotocopie della trascrizione del manoscritto su cui lavoreranno gli studenti e contribuirà finanziariamente alla realizzazione del viaggio a Roma.

Tempi e organizzazione delle attività: Ottobre – Gennaio: trascrizione del manoscritto ad opera delle insegnanti di lettere; Febbraio – Marzo: programmazione, lezione introduttiva sul viaggio e sul pellegrinaggio in età moderna; Aprile: viaggio d’istruzione a Roma; 2 Aprile – 9 Giugno: svolgimento dei laboratori pomeridiani nelle classi terze, in cui verranno analizzati alcuni aspetti del contenuto del documento; ricerca iconografica di fonti visive coeve; confezione di un prodotto multimediale di documentazione dell’attività; partecipazione alla giornata organizzata a Bologna per la presentazione dei lavori delle scuole; verifica finale.

Questo progetto è stato realizzato dalle classi 3A, 3B, 3C nel secondo quadrimestre dell’anno scolastico 2006-20073. Le insegnanti di lettere, Letizia Biccari, Adriana Carli, Carla Righi hanno trascritto il documento e predisposto le

3 Per ragioni di spazio si elencano per ogni classe solo gli alunni che hanno partecipato ai laboratori pomeridiani; 3A: T. Abatiello, M. Astolfi, M. Cosenza, M. Esposito, M. Gherardi, C. Giametta, B. Gray, D. Lo Galbo, G. Mercadante, M. Olmi, L. Piazza, C. Pizzi, M. Salerno, A. Santagiuliana, O. Taleb, A. Zambelli. 3B: B. Ballotta, H. El Lussi, F. Laganà, P. Laiso, A. Molli, A. Abdoulaye, V. Piccolo, A. Romagnoli, V. Speranza, L. Stanzani, F. Vecchi, M. Verde, A. Zecchi. 3C: L. Bongiovanni, C. Citak, A. D’Urso, M. Fiorini, G. Galiera, M.Govoni, L. Lugli, E. Nonato, D. Raimondo, A. Scorza, E. Serra, J. Tayaa, N. Veronesi.

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attività di laboratorio, organizzato le uscite didattiche e il viaggio a Roma, curato la presentazione dell’esperienza in varie sedi.

Le tre classi hanno operato su parti diverse del manoscritto, utilizzando di volta in volta le copie dell’originale o la trascrizione, affrontando rispettivamente l’analisi delle carte dedicate all’andata, alla permanenza a Roma e al ritorno, con particolare attenzione ai percorsi e ai luoghi, all’abbigliamento, all’alimentazione, ai rapporti epistolari della delegazione con Sant’Agata, alle monete.

In occasione della partecipazione ai Parlamenti degli studenti, uno dei momenti dedicati alle scuole nel più ampio progetto della Festa della storia4, indetti il 17 maggio a palazzo D’Accursio, sei ragazzi, in rappresentanza dei compagni, hanno esposto le sintesi seguenti.

Il manoscrittoNel grande quadro storico del Seicento si inserisce la vicenda di una piccola

comunità, quella di Sant’Agata, e di una istituzione, la Partecipanza Agraria, che affrontano in una decennale controversia la nobile famiglia dei conti Caprara.

Tali illustri e nobili conti, che vantavano parenti ed appoggi politici non solo a Bologna ma anche nel Granducato di Toscana e nella stessa Roma, avevano nel territorio santagatese molte terre e, in virtù di tali possedimenti, intesero appropriarsi pure dei “beni comunali” della Partecipanza, sollevando in tal modo la reazione della comunità del piccolo paese.

Ha così inizio la cosiddetta “magna lite”, ossia la disputa che, con alterne vicende, vide contrapporsi i nobili conti da una parte e i santagatesi dall’altra, dal 1636 al 1679, anno in cui venne finalmente riconosciuto il pieno diritto dei Partecipanti alle loro terre. Negli ultimi anni della controversia, e precisamente nell’Anno Santo 1675, una commissione di Partecipanti, guidata dal sacerdote don Gioseffo Maria Felicani insieme con Domenico Riva e Giovan Battista Bonfiglioli, si reca a piedi a Roma per sostenere e sollecitare risposte sulla vertenza e su altre questioni riguardanti la piccola comunità. Tale viaggio è minuziosamente documentato in tutti i suoi momenti (andata, permanenza a Roma e ritorno) da un diario scritto con bella grafia dal sacerdote che è a capo della missione.

Il lavoro delle classi terze della scuola Secondaria di Primo Grado di Sant’Agata prevede quindi proprio la lettura di tale manoscritto ed una analisi dello stesso attraverso la divisione dei compiti, nello specifico una classe si occupa del viaggio di andata, una della permanenza a Roma, l’ultima del viaggio di ritorno. Il viaggio

4 La Festa della storia è stata ideata da Rolando Dondarini, docente di Storia Medievale e di Didattica della storia dell’Università di Bologna “come occasione di confronto e di proposta sulle molteplici forme di divulgazione della storia svolte in Italia e in Europa”, R. Dondarini, Sulle tracce della nostra storia, in Un passamano per san Luca. Pellegrinaggi protetti. Solidarietà civiche e realizzazioni architettoniche sulle vie della fede, a cura di B. Borghi, Bologna, 2004.

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di andata si svolge dal 13 al 26 marzo del 1675, via Firenze (in 14 giorni i nostri “pellegrini” percorrono 220 miglia, come è scritto); la permanenza a Roma dura oltre sei mesi, cioè fino al 30 settembre, giorno nel quale il nostro bravo e simpatico sacerdote prende e da solo la via del ritorno, questa volta attraverso la strada di Loreto, ritorno che avverrà 1’11 ottobre dello stesso anno, dopo aver percorso 289 miglia, come è scritto.

Il quadernetto racconta di tantissime cose: luoghi, persone, usi, avvenimenti che si svolgono nella preziosa cornice della Roma dell’Anno Santo, assieme a considerazioni personali ed incarichi quotidiani dell’autore del manoscritto: le sue “visite”, le sue Messe, per vivi e per defunti, le sue comunicazioni attraverso la scrittura di numerosissime lettere, la Scala Santa fatta per se stesso e per altri membri della Comunità che egli così onestamente rappresenta...

Il manoscritto è inoltre un documento ricco di informazioni sui vari tipi di monetazione esistente: soldi, testoni, giulii, baiocchi ricorrono spesso nella quotidianità di un gruppo di eroi nostri conterranei che non doveva disporre certamente di grandi capitali, tanto da dover accettare addirittura un generoso prestito da parte degli stessi avversari. E tante altre informazioni si hanno su vestiario, alimentazione, cura del corpo... Barilli di vino allungati con l’acqua per fare economia, fichi e melloni quale omaggio ai potenti per ingraziarseli, scofoni, candelle di sevo, quinterni di carta: non si tratta del semplice racconto di un viaggio, bensì del racconto delle difficoltà che all’epoca si incontravano e di come tali difficoltà venivano affrontate con caparbietà e con tenacia. Attraverso la lettura del quaderno abbiamo potuto vedere e capire cosa voglia dire ricevere informazioni storiche da una fonte: il racconto del passato direttamente da chi quel passato lo ha vissuto.

Don Gioseffo Maria Felicani prende quindi la strada del ritorno da solo ed è forse questo il momento del racconto più ricco di umanità: gli imprevisti, la solitudine e gli incontri non sempre felici gli fanno spesso provare sentimenti di autentico sconforto che fanno sì che egli si lasci andare al pianto.

Dopo la visita alla Santa Casa di Loreto e in seguito ad altre tappe che possano alleviare la fatica del viaggio, il nostro “eroe” giunge finalmente nella sua e nella nostra Sant’Agata “a hore 23” ed annota tra le ultime parole che il suo quaderno racconta “tutto il viaggio di Roma tanto nell’andare e tanto nel ritornare e la sua spesa, dove chi leggerà vedrà il tutto”. Forse con quel “chi leggerà” non intendeva arrivare così lontano nel tempo...

Sant’Agata e la Partecipanza agrariaIl manoscritto su cui abbiamo lavorato è un diario di viaggio. L’autore è un

Santagatese, vissuto nel Seicento, che si recò a Roma per rappresentare “il popolo partecipante” nella lite che lo opponeva ai conti Caprara.

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Abbiamo cercato di rispondere a due domande:-cosa si intendeva con l’espressione Sant’Agata, nel Seicento?-che cos’era il popolo partecipante?Nel Seicento non esisteva il Comune come lo intendiamo oggi, cioè

un’istituzione di governo locale che esercita la sua autorità su tutti i cittadini residenti in un territorio ben definito. Sant’Agata era una Comunità del Contado di Bologna, a sua volta sottomessa all’autorità del Papa.

La Comunità aveva avuto origine nell’Alto Medioevo, ma nel tempo questa parola aveva rappresentato realtà diverse.

Nell’Alto Medioevo la comunità era una realtà di fatto, cioè un insieme di famiglie che si autogovernavano. Queste famiglie erano dedite all’agricoltura. La terra era proprietà della potente Abbazia di Nonantola e, poiché era in gran parte incolta, coperta di boschi e paludi, gli abati avevano concesso alle famiglie vaste aree, con l’obbligo di bonificarle e dissodarle, in cambio di un modesto canone. La terra era stata assegnata alle famiglie in modo collettivo, perché non era allora pensabile affrontare opere tanto gravose in pochi. Queste terre, gestite in modo comunitario, sono il nocciolo dell’attuale Comune e una parte di esse continua ad essere gestita in modo collettivo dagli eredi di quelle famiglie, attraverso l’istituto della Partecipanza.

Per comprendere la nascita della Partecipanza bisogna proseguire con la nostra storia. Nel XII secolo, cioè nel Basso Medio Evo, del nostro territorio si impadronì il Comune di Bologna che provvide a fortificare l’insediamento principale: il castello di Sant’Agata. La Comunità cominciò a coincidere con un territorio e ad essere una realtà amministrativa, dipendente da Bologna.

Alla fine del Medio Evo il tessuto economico si differenziò: agli agricoltori si aggiunse un certo numero di artigiani e di piccoli mercanti. Anche il potere non venne più esercitato in modo egualitario dai capi famiglia; si differenziarono i ruoli e i compiti: un gruppo di persone a rotazione, a capo delle quali stava il Massaro, eletto ogni sei mesi, si occupava dell’amministrazione, assumendone la responsabilità nei confronti del governo bolognese.

Nello stesso periodo, e più ancora nel corso del Cinquecento, si ebbe un processo di differenziazione nella proprietà della terra: tra le famiglie originarie, quelle che gestivano i beni comuni, ce ne furono alcune che acquisirono proprietà private, arricchendosi; inoltre, iniziò la penetrazione dei nobili e dei ricchi borghesi bolognesi: Caprara, Pepoli, Albergati, sono solo alcuni esempi di famiglie bolognesi che avevano delle “possessioni”, cioè possedevano della terra, nel territorio dell’attuale comune. Cittadini bolognesi, nobile e anche il clero, allora molto numeroso e potente, erano privilegiati, non pagavano le tasse; su di essi il governo della Comunità non aveva praticamente nessun potere.

Nel 1508 il governo della Comunità, per volere di Bologna che intanto era

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passata sotto il dominio del Papa, si trasformò in una oligarchia. La trasformazione fu regolata da appositi Capitoli, in base ai quali fu istituito un Consiglio di 24 membri, del quale fecero parte le famiglie originarie più ricche. La carica di Consigliere divenne ereditaria.

Si creò così una spaccatura tra le famiglie originarie rappresentate in Consiglio e quelle escluse e nacque un conflitto. Il Consiglio si arrogava il diritto di decidere sulle terre comuni, ma le famiglie povere si costituirono in Università partecipante e riuscirono a imporre una gestione comune.

L’Università partecipante o Partecipanza riuscì a difendere le terre comuni anche contro l’Abbazia di Nonantola che rivendicava i suoi antichi diritti e, nel Seicento, contro i Caprara, nella famosa controversia che passò alla storia santagatese come “magna lite”. La “magna lite” è appunto la causa del viaggio a Roma raccontato nel manoscritto di cui ci siamo occupati.

Il diritto della Partecipanza a gestire le terre comuni fu sancito nel 1712.Nel 1797 fu insediata a Sant’Agata la prima Municipalità, cioè un governo

locale di tutti i cittadini, secondo le idee della Rivoluzione francese portate in Italia da Napoleone.

Attualmente le Partecipanze emiliane sono sei: Sant’Agata Bolognese, San Giovanni in Persiceto, Nonantola, Cento, Pieve di Cento, Villa Fontana. Non esistono più le Partecipanze di Crevalcore, Budrio e Medicina.

A Sant’Agata, le famiglie originarie che si dividono i beni comuni sono 18. La ripartizione dei terreni si fa ogni 18 anni. A capo della Partecipanza vi sono un Consiglio e una Giunta. La Partecipanza è un ente autonomo, ma i partecipanti sono cittadini di Sant’Agata, come tutte le altre persone che lì hanno la residenza.

Sant’Agata nel SeicentoII Cinquecento si chiude con un periodo di carestia e di difficoltà per la zona

del persicetano e di Sant’Agata in particolare, terra di confine tra le ambizioni di Modena e Bologna. In particolare, una testimonianza del 1601 afferma che la Casa del Comune era stata occupata per circa quattro anni dai soldati dell’esercito del Papa, arrivati per opporsi ai modenesi; tutti, comunque, patiscono la fame anche perché la Muzza (attuale Muzzonchio) non ha un percorso stabile e spesso le sue acque straripano e allagano i terreni del Comune e della Partecipanza, rovinando i raccolti. In questo periodo la Comunità e l’Università Partecipante sono ancora unite e si provvede periodicamente alla nomina di un Massaro.

Nel 1607 inizia la presenza dei frati agostiniani a Sant’Agata e da loro prende il nome uno dei luoghi “cardine” della topografia del paese: l’antica chiesa di Santa Maria in Strada diventa per tutti la “chiesa dei frati”, che esiste ancora oggi, mentre i frati non ci sono più da tempo. Nel territorio del Comune aumentano gli insediamenti e permane la necessità di difendere i confini, infatti si ritiene

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opportuno costruire una strada che colleghi il centro abitato a Crocetta e consenta gli spostamenti dei soldati di guardia lungo la Zena e la Muzza. Continue sono le contese con i Comuni vicini, soprattutto per l’utilizzo delle acque dei diversi canali per l’agricoltura o per il funzionamento dei numerosi mulini esistenti. Si sa che diversi gruppi di soldati hanno soggiornato per periodi più o meno lunghi nel territorio del Comune, gravando sulla Comunità e facendo razzia di oggetti vari alla loro partenza. I terragli vengono periodicamente rinforzati, la porte ristrutturate: ciò indica una continua necessità di difendere in modo adeguato almeno il Castello, il centro urbano.

In questi stessi anni viene costruito l’edificio dell’oratorio della Madonna di San Luca e si inizia a pensare ad una nuova costruzione per la chiesa parrocchiale, che viene completata nel 1629.

La peste che devasta a più riprese l’Europa del Seicento tocca anche Sant’Agata: nel 1630 si hanno notizie di diversi casi di malattia, mentre la carestia dilaga. Si parla di 18.000 vittime nel contado di Bologna. Negli anni successivi, il nostro territorio vede scontri continui tra eserciti di diversi signori locali, che appartengono ai diversi schieramenti in campo in Europa per la guerra dei Trent’anni (1618 - 1648). Capitani di ventura ed eserciti mercenari percorrono la nostra pianura e provocano continue devastazioni, razzie e saccheggi che sfiancano la popolazione. Per avere qualche entrata supplementare la Comunità concedeva lo sfruttamento

Fig. 2. Uno dei cartelloni realizzati dalle classi che hanno partecipato al progetto.

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a pagamento della pesca nel canale che circondava il castello, dei gelsi per nutrire i bachi da seta, di alcuni locali interni alla porta di sopra; la suddivisione delle “Parti” era senza dubbio l’entrata principale.

Una grossa lite (la Magna Lite) interessò a lungo la Comunità e l’Università Partecipante contro la nobile famiglia dei Caprara, in merito ad un fondo particolarmente importante. Si concluse nel 1679, anche grazie al diretto interessamento del Papa, dopo vicende complesse e lungaggini che possono solo essere intuite dal manoscritto di cui ci occupiamo. Proprio nel 1679 è nuovamente possibile riprendere il normale ciclo dell’assegnazione delle divisioni novennali dei “beni comunali”.

A chiusura del secolo, proprio per sottolineare come la grande Storia entri a sconvolgere la vita quotidiana di un paese agricolo che chiedeva solo di essere dimenticato dai potenti per vivere un po’ in pace, si ha notizia di santagatesi arruolati per far parte dell’esercito che difende la cristianità (Vienna è assediata) dai Turchi.

Il 30 maggio, presso il teatro F. Bibiena, l’esperienza è stata presentata alle famiglie e ai cittadini. Hanno partecipato Rolando Dondarini e Beatrice Borghi dell’Università di Bologna, il presidente della Partecipanza agraria, Rodolfo Zambelli, il sindaco Daniela Occhiali e la dirigente dell’istituto comprensivo Angela Pessina.

Alla volta di Roma Giuseppe Maria Felicani rimase assente da Sant’Agata per 213 giorni; partì il 13

marzo 1675 assieme ai compaesani Domenico Riva e Giovanni Battista Bonfiglioli e, per la via di Toscana, raggiunse Roma il 26 marzo; lasciò la città il 30 settembre, da solo, e fece ritorno, per la via di Loreto, l’11 ottobre. Percorse 220 miglia all’andata e 289 miglia al ritorno. La prima domanda che ci si pone, leggendo la relazione, riguarda la scelta di una via diversa e più lunga per il ritorno. Accanto alle motivazioni religiose, il 1675 era un anno santo e Loreto era una meta importante nel circuito delle reliquie, pesarono senz’altro ragioni pratiche: il secondo itinerario era interno allo Stato della chiesa, le strade erano più comode. Nel 1739 Charles De Brosses, autore del celebre Viaggio in Italia, percorse la stessa strada da Bologna a Roma5; facendo seguito a svariate lamentele per i disagi subiti, giunto quasi alla fine del percorso, racconta come non avesse mai trovato “niente di più orribile, niente di più faticoso della strada da Siena al lago di Bolsena” e pertanto avesse maturato il proposito di passare al ritorno per la Marca di Ancona, nonostante ciò

5 Ch. De Brosses, Viaggio in Italia. Lettere familiari, Bari, 1973. Il viaggio fu compiuto nel 1739, il testo fu pubblicato nel 1799. Il percorso da Bologna a Roma viene documentato nelle lettere XXIII e XXVIII.

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comportasse un allungamento del cammino. Lo stesso autore inoltre, descrivendo la giornata di posta fra Bologna e Firenze, segnala la difficoltà di alcuni tratti dell’Appennino Toscano, ad esempio la discesa da monte Giogo, che ovviamente sarebbero risultati maggiormente ardui al ritorno6. La scelta di una via più comoda si impose forse in considerazione del fatto che il prete avrebbe dovuto affrontare il viaggio di ritorno da solo. Le due modalità di viaggio, andata con amici fidati, ritorno con compagni occasionali e solo in alcune tappe, si riflettono nella qualità della scrittura, preciso ma essenziale il primo resoconto, espressivo e partecipato il secondo7. Un confronto tra i due richiederebbe ben altro spazio; qui si analizzano alcuni aspetti del viaggio da Sant’Agata a Roma.

Non fu un pellegrinaggio. Coi pellegrini i tre viandanti ebbero in comune il fatto di camminare dall’alba al tramonto, quasi sempre a piedi, ma l’abbigliamento che comprendeva accanto al tradizionale bordone anche un fucile, l’itinerario percorso e soprattutto i tempi, ci fanno comprendere come essi viaggiassero spinti dall’urgenza del loro compito e dalla preoccupazione di non gravare sulla Comunità con spese inutili. La relazione, organizzata per giornate, è molto precisa: fornisce informazioni sulle miglia percorse, sulle località attraversate, sulle soste nelle osterie e sulle spese relative, sulle chiese dove il prete celebrò le messe di un lascito testamentario, sulle condizioni meteorologiche. Il viaggio si svolse in quattordici giorni, ma poiché i tre Santagatesi portatisi a Bologna il giorno 13 marzo vi rimasero per due giorni, possiamo ridurre a dodici giorni la sua durata, undici dei quali da Bologna a Roma. Come si è detto, nel manoscritto è indicata chiaramente la distanza percorsa: 220 miglia, di cui 207 da Bologna a Roma, ma non si precisa a quale miglio si faccia riferimento; ipotizzando che si tratti del miglio bolognese, pari a 1900 metri8, si avrebbe una lunghezza di 418 Km, 393 da Bologna a Roma; tenendo conto che il percorso più breve indicato dalla carta stradale da Bologna a Roma è attualmente di circa 380 Km i conti tornano; ma ciò non è sufficiente per rappresentarsi il viaggio nel suo sviluppo, per l’ovvia considerazione che la rete stradale si è ampliata e modificata dal ‘600 ad oggi. Seguendo le scrupolose indicazioni fornite dal Giuseppe Maria Felicani sulle località raggiunte via via, si arriva a una lunghezza di 435 Km circa, 405 da Bologna a Roma. Si tratta di dati tutto sommato compatibili. Il patrimonio di conoscenze e di esperienze costruito nei secoli da mercanti, corrieri, pellegrini, pemise ai tre Santagatesi di individuare la via più breve per raggiungere Roma. Le loro qualità personali li sorressero

6 L’attuale statale 65, della Futa, fu aperta sul versante toscano negli anni 1749-53, Guida d’Italia del T.C.I., Toscana, 1974, p. 325.

7 Il diario del viaggio di andata richiede tre carte, cinque carte più una facciata sono necessarie per il racconto del viaggio di ritorno.

8 Trattato elementare d’aritmetica, a cura di A.C., Torino, Paravia, 1880.

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nel compimento di una vera e propria impresa9. Ad eccezione della distanza da Sant’Agata a Bologna, percorsa con due cavalli, e del tratto Monterosi - La Storta, percorso in diligenza, marciarono a piedi, a una media di quasi 39 Km al giorno, in una stagione poco favorevole, a volte sotto la pioggia e la neve. Seguendo le indicazioni della relazione si può individuare sulla carta attuale l’itinerario del viaggio10. Esso si articola lungo strade che mantengono ancora una grande importanza, come la Via Cassia, e altre strade, diventate col tempo secondarie; il tracciato di alcune vie, e di nuovo si potrebbe portare la Cassia come esempio, è stato modificato successivamente. La quasi totalità dei centri abitati è ancora esistente11, così come le chiese citate. Le osterie dove la delegazione alloggiò o si fermò per pranzare hanno a volte nomi suggestivi, il Pavone, il Giglio... spesso il loro nome coincide con quello di una località attualmente segnalata dalla carta stradale, Pietramala osteria, Giogo osteria, Bargino osteria; del servizio da esse fornito si dà spesso una efficace valutazione12; quando la località raggiunta è un castello, molte volte viene preferita un’osteria fuori mura, probabilmente per non essere vincolati agli orari di apertura delle porte.

Un’ ultima considerazione a proposito della misura del tempo. Spesso si trovano annotazioni sulle ore, ad esempio l’ora di arrivo in una località : “…giungessimo a Viterbo Città a hore 23”; essendo che il calcolo delle ore, in Italia, fino all’Età napoleonica, era effettuato a partire dal calar del sole13, si può presumere che l’arrivo in città fosse avvenuto verso le 18, così come intorno alle 9 è da collocare l’arrivo a Roma: “Adì 26 detto giorno di martedì entrassimo in Roma a Dio piacendo la mattina a hore 15”.

9 Un esempio simile è quello citato da G. Cherubini, Pellegrini, pellegrinaggi, giubileo nel Medioevo, Napoli, 2005, pp. 55,56: due religiosi, nel 1504, da Bologna raggiunsero Roma per presentare una supplica al papa; impiegarono dodici giorni; le località citate fanno pensare a un’identità di percorso.

10 Nel 1675 l’itinerario comportava l’attraversamento del Granducato di Toscana. Il primo confine si trovava in località Le Filigare ove si trova ancora il fabbricato della dogana pontificia; si rientrava nello Stato della chiesa a Radicofani.

11 San Lorenzo vecchio o san Lorenzo Castello come viene denominato nella relazione fu abbandonato successivamente per malaria; San Lorenzo nuovo fu costruito per volontà di Pio VI negli anni 1775-79. Guida d’Italia del T.C.I., Lazio, 2005.

12 Mi hanno incuriosito le annotazioni sull’osteria della Posta, a Radicofani, perché divergono da quelle solite; ecco cosa risulta nella Guida d’Italia del T.C.I., Toscana, 1974, p. 611: “Presso l’abitato, lungo la vecchia Cassia che lo aggira a O e a S, di fronte a una fontana tardo-rinascimentale con stemma mediceo, sorge il cosiddetto Palazzo la Posta, villa medicea di gusto manieristico con prospetto a doppio ordine di logge. Sorta come casa di caccia di Ferdinando I, fu poi da lui trasformata in albergo-dogana tra il Granducato e lo Stato pontificio. Vi sostarono, tra altri personaggi, Montaigne, Chateaubriand, Pio VI, Pio VII, e Dickens.”

13 Per la misura del tempo è interessante perché riferito al nostro territorio il saggio intitolato “Amarsi al tempo che si sgarbiva la fava. Le opere e i giorni in campagna e in città”, in O. Piccoli, Storie di ogni giorno in una città del Seicento, Bari, 2000.

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1r.Adi 13 marzo 1675A laude e gloria di S.D. M. e della Beata sempre Vergine Maria e di tutti i santi gloriosi della corte celestiale si partissimo il detto giorno che era mercordì da casa doppo havere prima celebrato la S. Messa e si fermassimo in S. Giovanni un poco, per andare a Roma per la nostra lite de Beni Communali con li SS.ri Conti Caprara, quali eravamo in tre, cioè messer Domenico Riva, Giovanni Battista Bonfiolo e io infrascritto D. Gioseffo Maria Fellicani e eravamo a cavallo in duoi imprestatoci da nostri Amici e andassimo a Bologna, dove fossimo necessitati trattenersi 3 giorni per causa del cattivo tempo, e spendessimo la sera per i duoi stalatici lire una e soldi sei £ 1.6 Adì 14 detto si spese per corame per fare acconciare le scarpe a messer Domenico Riva soldi dieci £ .10e più si spese per una valisa comprata a uso per servirsene nel viaggio per le nostre robbe e arnesi lire una e soldi quindici dico £ 1.15e più si spese per la mia dimissoria soldi dodici £ .12e più si spese per un calamaro, zucchetto, focile e altre cose soldi sedici dico £ .16e più si spese per tre Bordoni soldi tredici £ .13e più si spese soldi dieci per l’ordine havuto dal Signore Cardinale che non fosse molestato messer Giovanni Matteo Ottani per l’aquarella fattali d’havere comperato il formento delli beni Communi dico £ .10e più si spese soldi otto per duoi bolli di legalità fatti mettere a due scritture per portarle a roma dico £ .8 e più £ 6.10

1 v.più per havere speso in vitto delli 13 14 e 15 detto fra tutti tre all’hosteria di Carlo Rossi, per non aversi potuto partire a causa del tempo cattivo lire quattro e soldi sedici dico £ 4.16

Miglia 13Adì 16 detto giorno di sabbato andai a celebrare la S. messa con li sudetti miei Compagni per Cattarina Riari alla Madonna della vita e all’hore 11 uscissimo tutti tre di Bologna per Stra Stefano e s’inviassimo verso Pianoro tutti 3 a piedi, quale passato facessimo collazione all’hosteria nova posta tra Pianoro e Loiano Borghi e spendessimo in tutti tre soldi vintiduoi dico £ 1.2 d’indi proseguissimo il nostro viaggio e la sera giungessimo a Pietramala hosteria dove alloggiassimo e spendessimo fra tutti tre soldi trenta £ 1.10Notasi che da Pianoro a Loiano si trova una fontana che getta aqua Limpida per una botte di Marmo Miglia 25Adì 17 detto giorno di Domenica si partissimo la mattina assai per tempo et arrivassimo ad una Chiesa posta a Collina detta di Rifreddo Borgo dove celebrai la S. Messa per Cattarina Riari et arrivassimo a Fiorenzola dove incominciò a nevicare gagliardamente, e gionti a Giogo hosteria ivi facessimo collatione dove spendessimo tutti tre soldi trenta cinque dico £ 1.15 D’indi proseguissimo il nostro viaggio e gionti a Scarperia Castello incominciò a piovere assai forte in modo tale che fossimo sforzati alloggiare la sera a Ponte hosteria dove spendessimo £ 1.18 £ 11.1

Miglia 20

Viaggio di Romma dell’Anno Santo 1675da Sant’Agata a Roma

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2r.Adì 18 detto giorno di Lunedì la mattina si partissimo dalla detta hosteria, et arrivassimo a Fiorenza a hore 16 sonate, dove celebrai la S. Messa per Cattarina Riari nella Chiesa della Santissima Annonciata all’Altare del Soccorso e poi usciti dalla Città longi un miglio e mezzo in circa desinassimo all’hosteria del Galluzzi, e spendessimo baiocchi n.° 25 dico

£ 1.5d’indi proseguissimo il nostro viaggio, e la sera alloggiassimo passato S. Cassiano Castello all’hosteria di Bargini, e spendessimo fra fichi e puomi comprati nel viaggio con la cena in tutto £ 2

Miglia 24Adì 19 detto giorno di Martedì e festa del glorioso S. Gioseffo mio Avocato la mattina se partissimo dalla detta hosteria di Bargini et arrivassimo a Castel S. Donato de Poggi dove celebrai la S. Messa per me nella Chiesa della B. Vergine della neve e desinassimo fuori del sudetto Castello all’hosteria della Castellara de Chianti e spendessimo 3 Giuli dico £1.10D’indi proseguissimo il nostro viaggio e giungessimo la sera a Siena Città, dove alloggiassimo fuor di Città alla prima hosteria detta il Pavone, e spendessimo 32 baiocchi, e duoi in bevere per viaggio, che fanno 34 dico £ 1.14

Miglia 22Adì 20 detto giorno di Mercordì in Siena qui fossimo sforzati a trattenersi sino doppo mezzogiorno, per essere piovuto tutta la notte a Cielo aperto e sino al detto mezzogiorno e con tale occasione hebbi comodità di fare conciare le mie scarpe che spesi baiocchi undici dico £ .11 Et in detta mattina celebrai la S: Messa nella Chiesa di S. Giorgio all’Altare di S. Carlo per la Cattarina Riari £ 7.

2v.Doppo pranzato proseguissimo il nostro Viaggio con tutta celerità per una spierà di sole comparsa e passassimo Buonconvento, dove alloggiassimo alla prima hosteria, che non trovassimo se non di notte e spendessimo baiocchi n.° 30 dico £ 1.10

Miglia 15Adì 21 detto giorno di Giovedì si partissimo dall’hosteria passato buon Convento et arrivassimo a S Quirico Castello, dove celebrai la S. Messa nel Duomo all’Altare di S. Andrea de Padoa per una persona devota che mi diede (se non fallo) 5 o 6 crazie? per elemosina, e poi desinassimo all’hosteria della Campana incontro il Duomo, e spendessimo baiocchi 24 tanto stassimo bene in 3 £ 1.4D’indi proseguissimo il nostro Viaggio et giungessimo la sera lontani al Re di Cofano un miglio, dove albergassimo all’hosteria detta della macina longa la più disgradata che habbiamo ancor trovata e spendessimo in tutto baiocchi 24 dico £ 1.4 Miglia 18Adì 22 detto giorno di Venerdì si partissimo dalla detta hosteria et giungessimo al Ré di Cofano accompagnati da una neve spaventosa mischiata con vento impetuosissimo a segno tale che non si vedevamo l’un l’altro, e si fermassimo all’hosteria della Posta, dove celebrai la S. Messa per la Cattarina Riari in detta hosteria di sopra in capo ad una gran sala, dove era una Capelina fornita con tutti li suoi paramenti e questa per comodità de forestieri , d’indi partiti arrivassimo ad un’altra hosteria detta l’hosteria novella, dove desinassimo, e spendessimo baiocchi 33 dico £ 1.13 £ 5.113r.Pransati si partissimo , et arrivassimo ad Aqua pendente a hore 22 in circa dove passavamo per mezzo, e si fermassimo a bevere et andassimo sino a S. Lorenzo Castello,

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dove arrivassimo ad hore 2 di notte, et alloggiassimo all’hosteria delli tre Leoncini dove spendessimo in cena et havere bevua in Aqua pendente in tutto baiocchi £ 1.12

Miglia 22Adì 23 detto giorno di sabbato arrivassimo a Bolsena Città, e celebrai la S. Messa nel Duomo, chiamato S. Cattarina Christina per la Cattarina Riari e facessimo un poco di collatione all’hosteria del Giglio, e spendessimo solamente baiocchi £ .14D’indi partissimo et arrivassimo a Monte Fiascone Città due hore doppo mezzogiorno et andassimo ad una bettola tutti stanchi per reficiarsi un poco e spendessimo in bevere e magnare baiocchi n.° 15 dico £ . 15d’indi partiti giungessimo a Viterbo Città a hore 23 et alloggiassimo all’hosteria della Corona, e spendessimo in cenare e dormire baiocchi n° 24 dico £ 1.4

Miglia 20Adì 24 detto giorno di Domenica per essere piovuto tutta la notte e per piovere anco la mattina con vento impetuosissimo si fermassimo in Viterbo dove dissi la S. Messa nel Duomo chiamato S.Lorenzo per la Cattarina Riari e poi andassimo a magnare un poco che non si fece un prò al mondo per causa di detto cattivo tempo e spendessimo baiocchi 22 dico £ 1.2Di poi partissimo da Viterbo et giongessimo a Ronciglione Castello la sera accom-pagnati £ 5.7

3v.sempre da pioggia e vento, et alloggiassimo all’hosteria dell’orto, dove spendessimo per asciugarsi e cenare in tutto baiocchi n.° 40 dico £ 2.

Miglia 10Adì 25 detto giorno di Lunedì et festa della Santissima Annonciata si partissimo da Ronciglione et arrivassimo a Monte rosi Borgo dove celebrai la S. Messa per l’anime del purgatorio nella Chiesa della Madonna e poi andassimo a desinare all’hosteria dalle 3 rose, e spendessimo baiocchi £1.5 Subito partissimo in diligenza, et proseguissimo il nostro viaggio con ogni sollecitudine, et arrivassimo alla storta hosteria lungi da Roma miglia 9 dove alloggiassimo et nella cena, et dormire spendessimo baiocchi n.° 37 dico £ 1.17

Miglia 22Adì 26 detto giorno di martedì entrassimo in Roma a Dio piacendo la mattina a hore 15 et doppo visitato S. Pietro et altre Chiese andai per afre segnare la Dimissoria e per esser troppo tardi non potei e bisognò aspettare alla sera et in detto giorno non celebrai messa per detta causa £ 5.2

Miglia 9Si che a partirsi da S. Agata et arrivare a roma per la detta strada di Toscana facessimo come si vede a giornata per giornata in tutto miglia n.° 220 a piedi dico miglia 220 e più come si vede in spesa di vitto fra tutti e tre a giornata per giornata a partirsi da Bologna et arrivare in Roma spendessimo in tutto lire vinti nove e soldi cinque, dico £ 29.5

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