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101 Misteri Della Sardegna - Gianmichele Lisai

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101 misteri della Sardegna che - Gianmichele Lisai

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  • 166

  • Prima edizione ebook: luglio 2011 2011 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-3270-2

    www.newtoncompton.com Edizione elettronica realizzata da Gag srl

  • Gianmichele Lisai

    101 misteri della Sardegna che non sarannomai risolti

    Illustrazioni di Fabio Piacentini

    Newton Compton editori

  • A tutti quelli che, con immensa pazienza, mi hanno aspettatoAd Anita il capitolo 51, perch quella promessa per il 2015

    ha ancora la forza di stare in piedi

  • IINTRODUZIONE

    misteri della Sardegna hanno radici lontane. sufficiente aprire un qualsiasi libro che parli diarcheologia per trovarsi improvvisamente sopraffatti da uninfinit di punti di domanda; tuttoper colpa di questa enigmatica civilt nuragica: una delle pi antiche e sconosciute del mondo,

    che ci ha lasciato in eredit pi di settemila torri di pietra, magnifiche, sparse lungo lintero territoriodellisola. Nessuno pu dire ancora con certezza a cosa servissero. Nessuno pu giurare di essere aconoscenza di come facessero a costruirle. Un discorso analogo applicabile a tutti i monumenti delperiodo, come le tombe dei giganti e i pozzi sacri, ma anche a quelli costruiti in precedenza, come leDomus de janas, tombe ipogee scavate in rocce spesso durissime, o lormai nota ziqqurat di MontedAccoddi, un caso unico in tutto il Mediterraneo, sulla cui origine si discute da pi di mezzo secolo.Questo libro, partendo proprio dalla preistoria sarda addirittura dal primo uomo che, circa 250.000anni fa, ha lasciato un segno della sua presenza sullisola traccia lintero percorso un popoloattraverso i misteri che ne hanno segnato lesistenza. Cos, dal pleistocene e dallarcheologianuragica, attraversando il mito e la storia antica, il passaggio dei greci, dei fenici, dei cartaginesi e,infine, dei romani, si arriva agli enigmi e agli intrighi dellepoca dei giudicati ovvero dei regnimedievali sardi. Sullo sfondo le crociate che portarono sullisola i cavalieri templari e ipersonaggi emblematici, come Eleonora dArborea, donna grandiosa quanto i segreti che custod, oAdelasia di Torres, regina di Sardegna inquieta e tormentata. E ancora, le scorribande di celebripirati, le storie di streghe destinate al rogo, i timidi tentativi di rivoluzione a inizio Ottocento, cuiseguirono le gesta dei primi banditi leggendari e lalba dei rapimenti: due elementi caratterizzantidella storia criminale locale, che accompagneranno la transizione dallepoca moderna a quellacontemporanea, dominata dai misfatti dellAnonima sequestri. Un ampio spazio sar dedicato aisegreti politici e militari: lisola, progressivamente militarizzata, divenne il quartier generale diGladio, la stay-behind italiana, unorganizzazione segreta paramilitare che agiva al fine di arginarelinfluenza sovietica nel nostro paese e per impedire al Partito comunista italiano di andare algoverno; e poi le zone grigie dei sequestri di persona, i casi Kassam, Melis, Soffiantini,accompagnati dalloscura vicenda dellipotetica rete del giudice Lombardini, che si uccise con uncolpo di pistola quando seppe del procedimento avviato contro di lui dai magistrati della Procura diPalermo. Per chiudere, infine, una sezione dedicata alla Sardegna fuori dal tempo: lisola dei ritiancestrali che, ancora oggi, arricchiscono questa terra di un fascino senza eguali nel mondo.

  • NLISOLA DEI MAMMUT

    ella seconda met degli anni Novanta, presso la grotta di Nurighe, nel territorio diCheremule, in provincia di Sassari, stato trovato un reperto osseo che ha rivoluzionato lastoria della Sardegna. Si tratta del fossile di una falange umana risalante a circa 250.000

    anni fa. Prima di questa sensazionale scoperta le pi antiche tracce di ominidi presenti sullisolarimandavano al Paleolitico superiore, ovvero a un periodo compreso tra i 36.000 e i 10.000 anni fa.Un bel salto temporale.Determinare con certezza a quale specie appartenesse Nur cos stato battezzato lantichissimoantenato sardo data lesiguit del reperto analizzato non possibile. Tuttavia lo si pu collocare,nella scala evolutiva, tra lHomo erectus e luomo di Neanderthal. Impossibile stabilire anche comeabbia fatto Nur a raggiungere lisola. Certamente la Sardegna, allepoca, formava un unico bloccocon la Corsica. Molto probabilmente tale blocco era cos vicino allattuale toscana da consentire ilpassaggio di genti in arrivo dai territori dellodierna Italia. Tuttavia non escluso che Nur sia natoproprio in Sardegna, discendendo da antenati giunti qui prima di lui, magari durante il grande esododei progenitori della razza umana che pi di un milione di anni fa si spostarono dallAfrica.Ma oltre a questo misterioso ominide chi popolava la Sardegna a quel tempo?Una delle creature pi interessanti era senzaltro il Mammuthus lamarmorae altrimenti dettomammut nano sardo unico caso di mammut rinvenuto nel territorio italiano. Una specie di piccoloelefante del quale sono stati ritrovati numerosi resti in varie zone dellisola. Era una razza endemica,ossia distinta da quelle simili presenti nelle altre parti del mondo. Endemico era anche ilPraemegaceros cazioti, il bellissimo cervo sardo sopravvissuto per oltre un milione di anni,superando tutte le fasi climatiche che hanno sterminato numerose altre specie animali, ma estintosiquando luomo sinsedi sullisola in modo pi massiccio. Stessa sorte che sarebbe toccata alCynotherium sardous, lantenato locale del cane. Giunto probabilmente in Sardegna durante unaglaciazione, si sarebbe evoluto e distinto geneticamente nutrendosi di animali di piccola taglia.Tra questi vi era il Prolagus sardous, una sorta di grosso coniglio con orecchie meno sviluppate.Anchesso endemico, nonostante fosse una preda piuttosto ambita, sembra sia stato lultimo animale ascomparire tra quelli del suo genere. Si pensa che sullisola di Tavolara sia sopravvissuto addiritturafino allOttocento.Passate in rassegna tutte queste specie, il cui endemismo stato determinato in tutta evidenza dallungo isolamento della Sardegna, verrebbe quasi spontaneo porsi una domanda: possibile che ancheNur, il primo uomo conosciuto di questa terra, fosse un purosangue?

  • SLE DOMUS DE JANAS: DOVE DIMORANOLE FATE

    ono quasi 2500 le domus de janas rinvenute in Sardegna, ma nonostante questa massicciadistribuzione sul territorio dellisola, e nonostante anni di studi approfonditi sulla lorostruttura, le antiche tecniche utilizzate per costruirle restano ancora oggi un mistero. Sono

    edifici di epoca prenuragica scavati nella roccia e, fatta eccezione per quelli ricavati da formazionicalcaree facilmente modellabili difficile immaginare come i popoli arcaici che abitavano lazona fossero in grado di perforare, e lavorare, una materia dura come il granito. Da quel che ci datosapere, infatti, al tempo venivano utilizzati solo strumenti in pietra. Ci troviamo quindi di fronte a deimonumenti incredibili che risalgono, presumibilmente, a un periodo compreso tra il IV e il IIImillennio a.C. Si pensa fossero delle tombe che riproducevano le abitazioni dellepoca, poichrappresentavano la dimora per la vita eterna, la casa, in sostanza, in cui proseguiva lesistenzaumana dopo la morte. Sono variabili sia per forma che per complessit: esistono domus de janas conperimetro circolare e rettangolare, ne esistono a camere singole e altre a pi vani, collegati dacorridoi, che in certi casi vanno a formare delle necropoli piuttosto articolate, in grado di contarefino a quaranta sepolcri. Hanno pareti interne decorate con disegni geometrici e bassorilieviraffiguranti creature divine. probabile che in questi luoghi si celebrassero dei veri e propri ritifunebri, dinumazione: la roccia scavata, come un ventre materno, accoglieva il corpo del figliodefunto, il quale veniva deposto in posizione fetale per propiziare una sorta di ritorno alle origini; unpercorso di rinascita, in pratica. In numerosi sepolcri, infatti, sono stati ritrovati scheletri umani lecui disposizioni lascerebbero intuire che i cadaveri fossero rannicchiati, con braccia e gamberaccolte allaltezza del petto. Si pensa, inoltre, che la salma venisse tinta di ocra rossa, cos come lepareti della tomba, e che accanto a essa fossero depositati gli oggetti della vita quotidianaappartenuti al morto e il cibo necessario per affrontare il lungo viaggio fino allaldil.Il nome domus de janas letteralmente significa case delle fate. Secondo le leggende locali, infatti,qui dimorerebbero le famose creaturine avvenenti, che vengono descritte alle volte come dellepiccole donne bellissime, raffinate e gentili, altre come delle piccole donne bellissime, chiassose edispettose. In entrambi i casi, tuttavia, si racconta che le fatine, proprio allinterno delle domus,custodiscano immensi tesori e passino le loro giornate a filare stoffe preziosissime con telai doro.Escono di rado per farsi vedere e solo da alcuni uomini nel cuore della notte, perch la loropelle, candida e delicata, non venga sciupata dalla violenza del sole.

  • LLE PIETRE DEI MORTI E LE PIETRE DEGLIDI

    a cultura megalitica sarda indiscutibilmente una delle pi importanti del mondo. Per trovareesempi di magnificenza simile a quella dellisola, come vedremo nei prossimi capitoli,bisogna spostarsi in territori molto lontani.

    Con cultura megalitica sarda non sintende soltanto quella legata al periodo in cui venivano edificatetorri e regge di pietra. Anche in epoca prenuragica, infatti, gi fiorivano spettacolari costruzioni dibasalto e di granito come i circoli megalitici, i dolmen e le alles couvertes, o ancora monoliti comemenhir e betili. Le aree in cui sorgono tali monumenti sono affascinanti e ricche di mistero: si pensafossero legate alla sfera del sacro e, pi precisamente, ai rituali funebri. I circoli megalitici, peresempio, erano delle vere e proprie tombe costituite da lastroni infissi nel terreno seguendo unperimetro, per lappunto, circolare, al centro del quale si trovava una cassetta per la deposizionedelle ossa. Anche i dolmen in tutta probabilit erano dei sepolcri: di struttura piuttosto semplice,erano formati da grosse tavole di pietra verticali, che ne costituivano le pareti, e da grosse tavole dipietra orizzontali, poggiate sulle prime come copertura. Le alles couvertes erano invece deicorridoi seminterrati, concettualmente simili alle tombe dei giganti (vedi capitolo 13), infatti molte diesse furono riammodernate in epoca nuragica con laggiunta della stele e dellesedra.Per quanto riguarda menhir e betili, i primi sono monoliti di forma fallica che possono raggiungerequasi i sei metri daltezza come quello di Monte Curru Tundu, a Villa SantAntonio, in provincia diOristano e in certi casi sono decorati con delle incisioni; i secondi sono monumenti di dimensioniminori ma solitamente pi lavorati: spesso hanno scolpite delle mammelle, un probabile simbolo difertilit, o dei volti, o ancora degli occhi, come a rappresentare lo sguardo della divinit che vigilasui defunti.Secondo una teoria molto suggestiva, in queste aree megalitiche sacre avveniva anche una sorta dirito di scarnificazione dei cadaveri, pratica molto diffusa tra vari popoli del passato. NellEuropaoccidentale, per esempio, si pensa che i corpi dei defunti fossero lasciati allaperto per esserespolpati dagli avvoltoi. In merito alla Sardegna sipotizza, anche sulla base dellanalisi di alcunireperti ossei, che le salme venissero esposte sulle lastre dei circoli megalitici e scarnificate tramiteprocessi di combustione o date in pasto ai rapaci. Un rito ancestrale molto affascinante e cruento ma ai tempi certamente necessario che si sarebbe protratto fino allepoca nuragica (basti pensarealle tombe dei giganti che, come vedremo, erano forse degli ossari collettivi) prima di esseresoppiantato da pi moderne cerimonie per linumazione.

  • CLA STONEHENGE ITALIANA

    ome si detto nel capitolo precedente, la cultura megalitica sarda indiscutibilmente unadelle pi importanti del mondo. Ma non certo lunica. Anzi, esempi simili a quelli presentisullisola sono cos diffusi nel resto del pianeta che fino a non molto tempo fa si pensava

    fossero il prodotto di una sorta di cultura megalitica globale. Se ne trovano in Europa, Africa, Asia eAmerica del Sud La loro origine misteriosa, nei secoli, stata fonte dispirazione per tutti i popolipresenti nelle aree interessate. Sono fioriti miti e leggende. Si sono cercate spiegazioni scientifiche,divine e soprannaturali. Cos, di volta in volta, di regione in regione, questi monumenti sono diventaticase di fate e di folletti, di demoni e di dei, opera di giganti o di raffinati astronomi che li avrebberodistribuiti seguendo la disposizione delle stelle. Il sito inglese di Stonehenge, per citare il piconosciuto al mondo tra quelli del genere, secondo alcuni studiosi era un vero e proprioosservatorio. Qui i massi sarebbero stati infissi nel terreno in modo tale da essere allineati condeterminati punti di solstizio ed equinozio. Gli archeologi fanno risalire questo complesso megaliticoa un periodo compreso tra il 2500 e il 2000 a.C., di poco posteriore quindi a quello del sito sardo diPranu Mutteddu, a Goni, in provincia di Cagliari, datato al Neolitico finale e collocato grosso modotra il 3200 e il 2600 a.C. Quella di Goni senza dubbio una delle aree archeologiche pi affasciantidellisola. Qui sono stati scoperti pi di sessanta menhir, ma chiss quanti potevano essere inorigine. Alcuni sono isolati, altri disposti in coppia, altri ancora allineati in lunghi filari, come leventi lastre che seguono un orientamento est-ovest, a simboleggiare forse il percorso solare. Sonopresenti domus de janas, tombe formate da circoli di pedras fittas (pietre fitte), come vengonochiamate nella lingua locale, e altre a corridoio. Tutto lascia pensare che Pranu Mutteddu fosse unavasta necropoli, un importantissimo luogo dedicato al culto dei morti nel quale menhir e betilirappresentavano le divinit.La teoria per cui tali complessi sarebbero frutto di una cultura megalitica globale ormai raccogliepochi consensi. Tuttavia colpisce il modo in cui, in epoche differenti e in luoghi cos distanti tra loro,luomo sia stato in grado di concepire opere tanto simili. Partendo dal presupposto che le zone con lamaggior concentrazione di dolmen e menhir sono nellEuropa occidentale in particolar modo inGran Bretagna, Irlanda e, pensate un po, Sardegna si possono tuttavia ipotizzare contatti tra i varipopoli. Non forse un caso quindi che sardi e celti abbiano molte affinit. Il sito archeologico diCarrowmore, per esempio, nei pressi di Sligo, in Irlanda, potrebbe benissimo essere in Sardegna enessuno se ne stupirebbe. composto da trenta tombe megalitiche (in origine si pensa fossero moltedi pi), quasi tutte di forma circolare, al cui centro si trovano dei dolmen nei quali venivano depostele spoglie dei defunti. Ma le analogie tra celti e sardi non finiscono qui. Le celebri cornamuseirlandesi deriverebbero infatti dalle triple pipes, aerofono composto da tre canne di differenti

  • dimensioni legate una allaltra, proprio come le launeddas, antico strumento musicale usato, comedimostrano le raffigurazioni di alcuni bronzetti, gi in epoca nuragica. Forti punti di contatto sitrovano anche tra le danze circolari celtiche e il ballo tondo sardo. E poi, come dire, risaputo cheentrambi i popoli possano vantare dei gran bevitori di birra.

  • TSARDEGNA E MESOPOTAMIA: LEZIQQURAT DI MONTE DACCODDI E DIURUK

    ra i monumenti archeologici pi misteriosi della Sardegna vi senza dubbio laltarepreistorico di Monte dAccoddi. Ma cosa lo rende tanto particolare rispetto alle altrestrutture presenti sullisola? La sua unicit. Sebbene anche ogni nuraghe, ogni pozzo sacro e

    ogni tomba dei giganti facciano, in un certo senso, storia a s, tutte queste strutture, con il loro caricodi differenze, compaiono in pi luoghi e in pi contesti. Laltare preistorico di Monte dAccoddi, alcontrario, non ha analogie con nessunaltra costruzione in tutto il Mediterraneo. Per trovare edificisimili bisogna spingersi fino ai territori che un tempo formavano la Mesopotamia. Stiamo parlando,infatti, di una ziqqurat. Tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo visto una ziqqurat: intelevisione, su qualche rivista o raffigurata sui libri di storia. Eppure non serve affrontare tantichilometri per poterne ammirare una dal vivo. Basterebbe spostarsi poco lontano da Sassari, sullastrada per Porto Torres, nella piana della Nurra. Qui, negli anni Cinquanta, in un terreno di proprietdellallora ministro della Pubblica istruzione Antonio Segni, il professor Ercole Contu ha riportatoalla luce questo monumento dinestimabile valore archeologico.

  • La ziqqurat di Monte dAccoddi molto simile a quella di Anu, nellantica citt sumera di Uruk.Anche le epoche di costruzione dei due monumenti dovrebbero pi o meno coincidere. una strutturaa gradoni, di forma tronco-piramidale, dotata di una lunga rampa daccesso che conduce alla cima

  • rettangolare. Sul lato destro della rampa si trova un altare di pietra, utilizzato forse per eseguire isacrifici. Sul lato sinistro, a poca distanza uno dallaltro, si ergono due menhir, uno di circa quattrometri e mezzo laltro di pi modeste dimensioni.Ledificio, realizzato in tempi remoti anche rispetto ai primi nuraghi, risalirebbe alla seconda metdel IV millennio a.C. Secondo gli studiosi era un antico luogo di culto, ma la sua origine resta unmistero poich in Sardegna, almeno ufficialmente, non sono state trovate altre strutture simili.Chi avrebbe costruito quindi questunica ziqqurat del Mediterraneo?Alcuni ricercatori ipotizzano una discendenza sumerica dellantico popolo sardo, ma resterebbecomunque da sciogliere il nodo fondamentale: perch un solo tempio a gradoni?In merito Leonardo Melis studioso contestato negli ambienti dellarcheologia ufficiale ma che ha ungran seguito di lettori e sostenitori nel 2010 ha dichiarato di aver individuato una seconda ziqquratnei pressi di Pozzomaggiore. La notizia stata diffusa dai quotidiani e dalle televisioni locali ma perlarcheologia ufficiale ledificio in questione altro non sarebbe che un semplice protonuraghe.A prescindere da quale ne sia stato il popolo costruttore, anche la ziqqurat di Monte dAccoddi,secondo una suggestiva teoria, sarebbe il prodotto di un calcolo astronomico; ovvero anticamente lasua simmetria riprendeva il disegno delle stelle della Croce del Sud corrispondenza oggi perdutapoich, rispetto a cinquemila anni fa, cambiato lorientamento dellasse terrestre.

  • PI TEMIBILI POPOLI DEL MARE: SHARDANAE NURAGICI

    er poter, non dico sciogliere, ma quantomeno smagliare appena lintricata matassa deiprossimi misteri archeologici della Sardegna occorre necessariamente fare cenno alle teorieriguardanti gli Shardana e la civilt nuragica.

    Si ritiene che gli Shardana facessero parte dei Popoli del Mare, una sorta di coalizione di naviganti-guerrieri che oper nel Mediterraneo tra il XIII e il XII secolo a.C. Antiche iscrizioni egizie, secondole quali due grandi faraoni, ovvero Akenaton e Ramsess II, si trovarono a fronteggiare le continueincursioni di questi proto-pirati, ne attesterebbero lesistenza. Ramsess II, a quanto pare, dopo averlirespinti trov con loro un accordo pacifico e, riconoscendone il valore militare, selezion alcuniguerrieri Shardana che andarono a formare un corpo scelto per la sua guardia personale.Secondo molti studiosi questo popolo di marinai-guerrieri proveniva dalla Sardegna. Esporre quitutte le teorie e le varie sfumature sulla questione sarebbe impossibile. Volendo restringere il campo,ed escludendo le ipotesi che negano la provenienza sarda, potremmo dire che gli Shardana secondoalcuni ricercatori erano i nuragici, secondo altri un popolo che, giunto sullisola, si sarebbesovrapposto alla civilt indigena, causandone forse la scomparsa.I principali indizi a favore della teoria generale sono forniti da alcune iscrizioni e da affreschi egizi,ma non sono sufficienti n per determinare con certezza che gli Shardana provenissero realmentedalla Sardegna, n tantomeno per farci propendere verso una delle due ipotesi sopra citate. In ognicaso, stando alle testimonianze tramandataci dagli egizi, le imbarcazioni degli Shardana erano moltosimili alle navicelle votive rappresentate nei bronzetti nuragici dellantica civilt sarda. Lo stessodiscorso vale per gli armamenti e per gli abiti dei guerrieri. In Sardegna poi sono stati ritrovati,durante alcuni scavi, pugnali e spade di rame che troverebbero riscontro in alcune raffigurazioni diaffreschi ancora una volta egizi. Sempre gli egizi definirono gli Shardana come il popolo delle isoleche stanno in mezzo al grande verde. Poich il grande verde non poteva essere altro che ilMediterraneo, il campo si restringerebbe alle seguenti ipotesi: Cipro, Creta, Sicilia, Sardegna,Corsica e Baleari. Partendo da questo presupposto si potrebbe facilmente individuare proprio laSardegna quale patria dorigine del misterioso popolo del mare. Ma per trarre tale conclusione illettore sar costretto a seguire, capitolo dopo capitolo, levoluzione di questo libro, almeno perquanto riguarda la parte storico-archeologica. Perch soltanto nel viaggio immaginario sulle naviShardana, accanto ai guerrieri di quellepoca remota, si pu tentare di dare una spiegazione aiprossimi misteri che tratteremo in questa sezione: com possibile che sia stato scoperto un villaggionuragico in Israele? Come mai le torri di pietra del Grande Zimbabwe sembrerebbero opera dellastessa mano che ha costruito quelle presenti in Sardegna? E come si spiega il ritrovamento di un

  • pozzo sacro, tipica costruzione nuragica, in Bulgaria?

  • CLE PIRAMIDI DEUROPA Hodie insula [] habetque passim antiquissimas ruinas in locis agrestibus et montosis instar rotundarum turrium in angustiamascendentium, quae robustissimis saxis sunt extructae, habentes ianuas angustissimas; intra vero muri mediam latitudinem sunt gradus perquos in altum conscenditur: prae se ferunt formam propugnaculorum. Incolae vocant huiusmodi ruinas nuraghos, fortassis quod reliquiaequaedam sint operum Noraci.

    on queste parole, il diciannovenne Sigismondo Arquer, nella primavera del 1549, descrissei nuraghi nel suo Sardiniae brevis historia et descriptio. Lo studioso, in sintesi, documentache nellisola si trovano numerose rovine di antiche torri di pietra, dalla forma circolare che

    si restringe verso la vetta, costruite con massi robustissimi, dotate di un piccolo ingresso e di unascala interna che porta alla sommit. Simili a fortezze, vengono chiamate nuraghi. Il loro nomederiva forse da quello di Norace, eroe della mitologia sarda che, giunto sullisola alla guida degliIberi, avrebbe fondato Nora, citt tradizionalmente considerata la pi antica della Sardegna.Potremmo ritenere ci che de relato afferma Arquer come il punto di partenza della secolaredisquisizione sullorigine del nome dei nuraghi, i monumenti megalitici pi grandi dEuropa chelUnesco, dal 1997, ha classificato come patrimonio mondiale dellumanit. Unaltra ipotesi, di pirecente concezione (Giovanni Spano nel XIX), sullorigine del nome di queste architetturestraordinarie, rimanderebbe alla radice fenicia nur-, che significherebbe fuoco, ovvero dimoradel fuoco o tempio del fuoco, in relazione a presunti riti legati a tale elemento. Oggi la teoriamaggiormente condivisa attribuisce a quella stessa radice (nur-) eredit morfologica delpaleosardo o comunque di un primitivo linguaggio di area mediterranea il bivalente significato dimucchio e di cavit, che conterrebbe in s la descrizione minima del nuraghe: un cumulo dipietre con uno spazio interno a forma di cupola.Quello etimologico solo uno dei misteri che circondano i nuraghi. Oltre a non avere alcuna certezzasullorigine del loro nome, infatti, gli studiosi ormai da secoli si affannano nel tentativo di definirnecon precisione la funzione (o meglio le funzioni). Fortezze? Torri di avvistamento? Regge?Parlamenti? Templi? Tombe-mausoleo? Osservatori astronomici?Per anni la teoria dominante, e ancora oggi quella pi accreditata, ha descritto i nuraghi come fortilizidi uso militare: torri edificate per il controllo e la difesa del territorio. Questa ipotesi, di recente, stata messa in discussione da alcuni studiosi che la ritengono riduttiva. Infatti, sebbenenellimmaginario collettivo i nuraghi non sono altro che delle torri isolate e di dimensioni modeste,approfondendo lo studio di questi edifici si scopre che in molti casi, attraverso complessearchitetture e collegamenti di cinte murarie, andavano a formare delle vere e proprie regge: strutturearticolate intorno alle quali spesso si sviluppavano estesi villaggi. Quindi il nuraghe, o il complessonuragico, poteva essere la casa del re, dimora del capo trib, o la sede in cui venivano prese le

  • decisioni della comunit, o ancora un luogo di culto, di sepoltura dei defunti, o un centro di vitaleimportanza per la quotidianit di chi vi abitava intorno nel quale erano convogliate pi attivit traquelle citate e magari altre che ancora non sono state prese in considerazione. Secondo una curiosateoria piuttosto recente i nuraghi avrebbero avuto una funzione principalmente astronomica.Sarebbero stati, insomma, degli osservatori distribuiti sul territorio dellisola in base allacollocazione delle stelle. Un po come le piramidi egiziane. Certo, laccostamento tra i due edificinon ha il minimo fondamento scientifico, ma alcuni punti di contatto, seppur epidermici, si possonoriscontrare. A prescindere dalle questioni legate agli enigmi del cielo, per esempio, proprio comeper le piramidi dEgitto, non siamo in grado di definire con certezza come i nuraghi fossero costruiti;come fosse possibile, insomma, che in un tempo cos remoto, una civilt avulsa dallodiernoprogresso tecnologico potesse portare massi tanto grandi fino a venti metri di altezza ed erigere torricos maestose. Un mistero in pi, quindi, nel mistero di questi monumenti, simbolo di un anticopopolo, emblema di una terra per certi versi impalpabile e destinata a custodire eterni segreti.

  • NUN VILLAGGIO NURAGICO IN TERRASANTA

    el 1992 lo studioso Adam Zertal ha scoperto in Israele, nei pressi della citt di Haifa, il sitoarcheologico di el-Ahwat: un villaggio fortificato esteso per circa tre ettari, protetto da muradello spessore di sei sette metri e caratterizzato dalla presenza di strutture in pietra che

    possiedono numerose analogie con le torri nuragiche. In seguito agli scavi effettuati, allanalisi deireperti rinvenuti, alle testimonianze tramandateci dagli egizi e dai testi sacri, Zertal avrebbe tratto laconclusione che el-Ahwat fosse un villaggio costruito dai guerrieri Shardana provenienti dallaSardegna, poich architetture simili, allepoca, si trovavano solo sullisola. Ma lo studioso checolloca il complesso in un periodo compreso tra la tarda Et del bronzo la prima Et del ferro nonsi limita soltanto ad attribuire la paternit della cittadella di el-Ahwat agli Shardana-nuragici; con lasua teoria si spinge ben oltre: essi, infatti, in quanto mercenari al servizio dellEgitto, sarebberogiunti in Israele con il compito di controllare quella zona strategica per conto del faraone. Allinternodella cinta muraria larcheologo sionista avrebbe individuato anche la residenza del capo,identificato in Sisara, un personaggio biblico che condusse numerose guerre in Terra Santa,seminando il terrore tra i popoli che vi abitavano. Secondo i testi sacri il condottiero sardo fuucciso, durante la battaglia di Meghiddo, da Giaele, una donna a lui molto vicina che scelse ditradirlo proprio nel giorno di quella storica disfatta.Lipotesi dellarcheologo israeliano ha scatenato in Sardegna un dibattito acceso: alcuni studiosilocali lhanno accolta con molto scetticismo, altri la sposano quasi completamente e altri ancora necondividono solo una parte. Le domande, in ogni caso, sono molte. Come mai, per esempio, lestrutture di el-Ahwat si presentano pi simili a dei protonuraghi piuttosto che alle costruzioniedificate in Sardegna nello stesso periodo? Probabilmente perch, rispondono i sostenitori della tesidi Zertal, il villaggio stato realizzato in poco tempo, quindi le architetture risultano molto menoelaborate. Inoltre i massi utilizzati, e reperiti inevitabilmente nella zona, erano di dimensioni assaimodeste rispetto a quelli di cui disponevano in nuragici in patria.Insomma, la materia bollente e magmatica. La questione fa discutere, far discutere ancora perlungo tempo e forse rimarr aperta per sempre.

  • NI NURAGHI DELLA GRANDE ZIMBABWE

    ellAfrica del sud, e pi precisamente nel territorio dello Zimbabwe, si trovano le rovine diunantica citt. Si pensa che un tempo sia stata il centro principale di una grossa regioneestesa tra gli attuali stati del Mozambico e, ovviamente, dello Zimbabwe. Il nome

    Zimbabwe, secondo alcuni studiosi, deriverebbe da ziimba remabwe, che nella lingua localesignifica grandi case di pietra. Lantica citt, infatti, detta Grande Zimbabwe, caratterizzata dallapresenza di poderose strutture megalitiche: una cinta muraria con un perimetro di 250 metri,unaltezza di 10 e uno spessore massimo di 5; una grossa torre tronco-conica, che supera i 9 metridaltezza e ha una base di quasi 6; alcuni templi e altre costruzioni di varia natura. La torre pigrande, in particolare, ricorda molto i nuraghi della Sardegna. C infatti chi ha ipotizzato che siastata opera degli antichi sardi, ovvero gli Shardana, i quali, onorando la loro fama di grandinavigatori, circumnavigarono lAfrica, o comunque batterono una buona parte di costa del grandecontinente. Il gi citato Leonardo Melis, nel suo libro Shardana: i popoli del mare prova a dare unaspiegazione sul perch gli antichi sardi si sarebbero spinti cos lontano con le loro rotte e, diconseguenza, su cosa li avrebbe indotti a costruire una citt in quella terra dAfrica.Gli Shardana detenevano il monopolio nel commercio del bronzo, metallo composto da una lega dirame e stagno. La Sardegna era ricca di miniere di rame ma per reperire lo stagno i produttori deicelebri bronzetti erano costretti a rivolgersi altrove. La soluzione pi comoda, per questo popolodel mare, fu appunto quella di navigare fino al Grande Zimbabwe, territorio ricco dellaltrominerale necessario per produrre la preziosa lega. Una volta raggiunto il luogo prescelto, dopo mesidi navigazione, poich i tempi di estrazione e di stoccaggio del metallo erano lunghi, gli Shardanacostruirono un villaggio, vi si insediarono e lo cinsero con alte mura per proteggersi da eventualiattacchi delle popolazioni locali.Unulteriore testimonianza dei presunti contatti tra gli antichi sardi e il continente africano, secondo isostenitori di questa teoria, sarebbe data dal fatto che sullisola sono stati rinvenuti bronzettiraffiguranti uomini dai tratti negri e, inoltre, antilopi, scimpanz e altri animali tipici dellAfrica emai esistiti in Sardegna. Come avrebbero potuto, quindi, gli scultori nuragici forgiare nel bronzo ciche era loro sconosciuto?

  • QUN POPOLO DI MARINAI-GUERRIERI?

    uando si parla degli antichi sardi come di popolo un composto da marinai-guerrieri bisognafare i conti con due problemi piuttosto rilevanti: non sono mai stati trovati n porti n relittidi navi riconducibili con certezza alla civilt nuragica. Questo nodo cruciale e fonte di

    dibattiti infiammati. Certamente la Sardegna, nellimmaginario collettivo, scolpita come una societagropastorale pi che marinara. In un certo senso cos, basti pensare al fatto che sullisola lacultura della pesca, nonostante i chilometri di costa, in tutta evidenza subordinata a quella dellapastorizia. Ci si deve in parte al fatto che, come ci insegna Sergio Atzeni con il suo romanzoPassavamo sulla terra leggeri, la progressiva colonizzazione della Sardegna da parte di genti venutedal mare, tra cui fenici e romani, costrinse gli indigeni a ritirarsi in zone dellisola sempre piinterne. Su cosa si basa quindi la teoria che descrive i nuragici o gli Shardana, o gli uni e gli altrise si fanno coincidere i due popoli come dei grandi navigatori?Al di l della questione gi affrontata delle testimonianze egizie, gli unici indizi archeologici a favoredi questa ipotesi sarebbero le celebri navicelle nuragiche e alcune ancore di pietra rinvenute lungo lecoste dellisola.Le prime fanno parte del vasto campionario di statuette in bronzo tipiche della cultura nuragica, icosiddetti bronzetti sardi, di datazione incerta ma, si pensa, risalenti a un periodo compreso tra ilIX e il VI secolo a.C. Sono delle piccole sculture che sembrano riprodurre alla perfezione anticheimbarcazioni, dotate spesso di un albero centrale e di protomi taurine o di cervo sulla prua. Avederle, anche solo in fotografia, sembrano non lasciare dubbi: rappresentano delle navi. Eppurealcuni archeologi ritengono che fossero delle semplici statuette votive, o tuttalpi delle lucerne, e chenon riproducevano affatto gli scafi costruiti dallantico popolo sardo.Le presunte ancore nuragiche, invece, sono state ritrovate in vari punti della Sardegna: a Capo Figari,nei pressi di Golfo Aranci, Capo Cominio, vicino a Siniscola e davanti allantica citt di Nora.Alcune pesano pi di cento chili, ci significherebbe che erano destinate a imbarcazione di grossedimensioni e che i nuragici solcavano in mari con scafi lunghi circa quindici metri.Sarebbe stato individuato anche un porto naturale, sfruttato forse dagli antichi sardi, a Cala delVino, nei pressi di Alghero, ma gli indizi sono scarsini: alcuni massi forati che potevano avere lafunzione di ancore e delle rocce utilizzabili, grazie alla loro morfologia, come bitte per lormeggio;inoltre nella baia sono presenti due nuraghi, la cui posizione strategica potrebbe far pensare cheservissero da punto dosservazione e di riferimento marittimo. Poca cosa se si pensa a qualidimensioni stiamo attribuendo alle navi. Da una civilt tanto evoluta, insomma, ci si aspetterebbeunorganizzazione portuale ben pi elaborata. Non si pu escludere, daltra parte, che le antichestrutture nuragiche, se mai esistite, siano state riutilizzate, e modificate, in epoca fenicio-punica eromana, e che quindi siano state coperte le tracce degli impianti originari.

  • NLIPOTESI SU UN RELITTO MISTERIOSO

    el 1982 un pescatore di spugne ha scoperto, a largo delle coste turche, il relitto di una naveche gli studiosi datano al XIV secolo a.C. Il carico dellimbarcazione consisteva innumerosi oggetti di altissimo valore archeologico tra i quali dei lingotti di rame con lo

    stesso marchio di altri trovati in Sardegna, statuette del dio Bes, venerato anche sullisola, armisimili a quelle conservate nei musei di Cagliari e Sassari, gusci duova di struzzo forate, anchequeste simili ad altre rinvenute nei siti localiChe sia proprio il relitto di una delle tanto discusse navi degli antichi sardi? E se cos fosse, comesarebbe finito nei fondali a largo delle coste turche?Intorno al 1350 a.C., proprio nel periodo cui risalirebbe limbarcazione, alcuni ambasciatoriShardana si sarebbero recati in Egitto per convincere Akenaton, decimo sovrano della dinastia XVIII,a rinnegare il politeismo e dedicarsi a una sola divinit: la Grande Madre. Effettivamente fu proprioquesto faraone che ruppe drasticamente con la tradizione religiosa dei suoi predecessori, imponendoal popolo egiziano un culto monoteista: non quello propostogli dagli alleati giunti dalle isole chestanno in mezzo al grande verde, ma quello della divinit solare Aton, gi venerata sulle sponde delNilo, insieme agli altri dei, dai tempi di Thutmose II, quarto sovrano della medesima dinastia.Sposa di Akenaton era la bellissima Nefertiti, un cui sigillo stato individuato tra i reperti rivenutinel carico del relitto.A questo punto va premesso che la nave in questione non era certamente egizia. Cos si tornaallipotesi di unimbarcazione appartenuta forse ai guerrieri Shardana, storici amici-nemici dellegenti del Nilo.Il reperto in s, chiaro, un indizio insufficiente per avere la certezza che quella nave abbia fattodavvero scalo in Egitto, ma quanto basta per proporre una ragionevole ipotesi: il sigillo era forse undono della splendida regina per i diplomatici Shardana.Ma come, in fine, si sarebbe consumato il tragico epilogo?Salpata dallEgitto la nave, anzich prendere la rotta per la Sardegna, avrebbe raggiunto lisola diCipro, allo scopo di concludere alcuni scambi commerciali. Ripartita da qui, sarebbe stata colpita dauna forte tempesta e, sospinta verso le coste Turche, affondata nelle acque del Mediterraneo.

  • CI GIGANTI DI MONTI PRAMA C un episodio che mi mette ancora i brividi. Fu quando con Enrico Atzeni scoprimmo a Monte Prama le grandiose statue nuragiche inarenaria ai bordi dello stagno di Cabras. Cera un sole bellissimo, poi il cielo improvvisamente si oscur, venne la tempesta mentre lestatue tornavano alla luce. Dio mio, gli dei nuragici si stanno risvegliando, pensai. Non lo dimenticher mai.

    on queste parole Giovanni Lilliu, il pi grande archeologo sardo, descrisse il momento incui iniziarono gli scavi nella necropoli di Monti Prama.Era il 1974 e la scoperta, avvenuta nei pressi di Oristano, fu del tutto casuale: un contadino

    mentre arava il suo campo dissotterr una grossa testa in arenaria. Fortunatamente, al contrario diquanto accade spesso in situazioni simili, il bravuomo anzich mettere tutto a tacere per evitaremagari che il suo terreno venisse sequestrato dalle autorit segnal la scoperta a chi di dovere, ecominciarono cos gli scavi che portarono alla luce quasi 5200 frammenti, comprese 15 teste e 22busti, appartenenti a 25 figure umane e 13 modellini di nuraghe, databili a un periodo compreso tralVIII e il X secolo a.C. La cosa che impression gli archeologi, prima di tutto, fu la dimensionedelle statue, che oscillava dai circa due metri delle pi piccole agli oltre due e mezzo di quelle pialte, il che conferiva a esse il primato non certo irrilevante di sculture a tutto tondo pi antiche delMediterraneo occidentale. Gli scavi dimostrarono inoltre che il luogo del ritrovamento era unanticanecropoli, formata da 33 tombe e collocata in una zona con una forte concentrazione di nuraghi. Siandava delineando un quadro che metteva in discussione molte teorie avanzate fino a quel momentosulla civilt nuragica, evidentemente sopravvissuta anche in epoca fenicia.

  • Le statue, definite dei giganti per via delle loro dimensioni monumentali, sono riconducibili allerappresentazioni dei bronzetti sardi. Sebbene gli studiosi si siano affannati nel cercare collegamenti eriferimenti con altre sculture antiche, quelle di Monti Prama sembrerebbero uniche nel loro genere,

  • figlie di unarte autoctona che non troverebbe riscontri in nessunaltra parte del mondo e opera, forse,di un solo artigiano/architetto al quale sarebbero state commissionate la progettazione e larealizzazione della necropoli.Quindici statue raffigurano dei pugili, sette sono gli arcieri e tre i guerrieri. Gli occhi sono formati dadue dischi, posti uno dentro laltro, e sono cos precisi da fare ipotizzare che siano stati realizzati conun compasso o uno strumento simile. Naso e arcate sopraciliari sono delineati con un tratto piuttostomarcato mentre la bocca appena segnata con unincisione sottile.Dopo la loro scoperta, queste colossali opere darte antica, per oltre trentanni sono stateabbandonate nei magazzini del Museo Archeologico di Cagliari. Incredibilmente la notizia delrinvenimento passata quasi sotto silenzio per un lunghissimo periodo e soltanto nei primi anni delDuemila stato predisposto il restauro dei frammenti. Le sculture sono state finalmente esposte alpubblico nel maggio del 2011 nel centro di restauro Li Punti, in attesa di essere riportate a casa:nel museo civico di Cabras.Attribuire a questi monumenti un significato preciso sembrerebbe impossibile. Considerando chefurono trovati eretti sui sepolcri, si pensa potessero raffigurare degli eroi nuragici, disposti aguardia e protezione dei defunti in una sorta di cimitero dellaristocrazia locale. Ci farebbesupporre, dato che le tombe rinvenute nella necropoli sono almeno 33, che le statue in origine fosseromolte di pi.Unaltra ipotesi che larea sacra di Monti Prama rappresentasse una sorta di olimpo nuragico e lesculture, di conseguenza, le divinit locali: quelle che si sarebbero risvegliate dal lungo sonno almomento degli scavi, scatenando la terribile tempesta ricordata da Giovanni Lilliu.

  • AI FLUSSI ENERGETICI DELLE TOMBE DEIGIGANTI

    nche le tombe dei giganti fanno parte delle numerose meraviglie architettoniche in pietradella Sardegna. La loro struttura molto particolare: sono formate da una camera che siestende in lunghezza per una misura che in certi casi pu raggiungere fino a quindici metri.

    Nei monumenti pi imponenti laltezza di questo corridoio pu arrivare a due metri. La facciata solitamente costituita da una grossa stele granitica, dotata di un piccolo ingresso, dai cui lati siestendono due bracci semicircolari, formati da lastroni conficcati nel terreno, che sembranoriprodurre la forma delle corna del toro. Secondo alcuni studiosi il disegno dellarchitettura sarebbededicato proprio allanimale, che in quellepoca, come dimostrato dai ritrovamenti di statuette votiveraffiguranti il Dio Toro, veniva venerato. Cos come veniva venerata la Dea Madre, anchessaampiamente stilizzata in statuette di varia natura. Unaltra ipotesi, infatti, che il disegno delle tombedei giganti raffiguri una partoriente della quale i due bracci della struttura rappresenterebbero legambe e sarebbe quindi un simbolo di fertilit, o di rinascita, di prosecuzione della vita dopo lamorte. La maggioranza degli archeologi, daltra parte, concorda nel ritenere le tombe dei giganti deimonumenti funerari (come si evince, per altro, dal nome a esse attribuito), poich al loro interno,durante gli scavi effettuati nel corso degli anni, sono stati ritrovati molti reperti ossei umani. Forseerano delle tombe collettive, collocate a una certa distanza dai villaggi, o forse ancora dei sempliciossari in grado di contenere i resti di pi di duecento corpi.Tuttavia, anche di questi antichi monumenti si detto molto senza riuscire a dare una spiegazioneunivoca sulla loro funzione, n sul loro significato preciso. Tombe oppure ossari? Edifici legati alculto femminile della Dea Madre o a quello maschile del Toro?In ogni caso non qui che risiede il vero mistero delle tombe dei giganti.Secondo alcuni studiosi esse sono situate in corrispondenza dei luoghi in cui si concentranomaggiormente i flussi energetici, cio quelle correnti invisibili che vengono rilasciate dalla terra eche luomo, in una sorta di processo osmotico, sarebbe in grado di assorbire. I bracci semicircolaridella tomba cio le corna del toro, o se preferite le gambe della madre partoriente sarebberodisposti proprio in coincidenza delle linee energetiche, cos da catturarne il flusso perimmagazzinarlo nelle lastre di pietra. Questultime, attraverso tale fenomeno, acquisirebbero dellepropriet curative (diciamo pure paranormali): in determinate condizioni, insomma, sarebbesufficiente mettere il proprio corpo a contatto con la stele, o in prossimit di essa, per trarrebeneficio.Non escluso che in passato le tombe dei giganti fossero utilizzate per i riti dincubazione, sia al finedi guarire malattie fisiche e infermit mentali, sia al fine di resuscitare i defunti, i cui corpi, una volta

  • distesi a contatto con la pietra, venivano riempiti della nuova vita trasmessa loro dalla Dea Madre.

  • CSARDEGNA E BALEARI: SA DOMU ESORCU E LE NAVETAS

    ontemporaneamente alla civilt nuragica, nelle isole Baleari si sviluppava quella talaiotica.Cos anche a Maiorca e Minorca venivano edificate torri e altre strutture megalitiche. Leprime, cio i talaiot, erano di fatto dei nuraghi, anche se di dimensioni mediamente inferiori

    e di struttura meno complessa rispetto a certe regge scoperte in Sardegna; le seconde, ovvero lenavetas, erano architetture si pensa duso funerario con caratteristiche molto simili a quelle delletombe dei giganti. Considerando ci che si detto fin ora in questo libro, in merito ai presunticontatti degli antichi sardi con gli egizi e perfino con popoli africani ben pi lontani, non sar certosconvolgente ipotizzare legami tra le due terre europee. Daltra parte isole Baleari e Sardegna sonodivise da un braccio di mare di appena 350 chilometri: una distanza ridicola per un popolo di abilinavigatori come quello che stato descritto.Un esempio abbastanza rappresentativo dei punti di contatto tra le due civilt ci dato da sa domu esorcu, di Is Concias, nei pressi di Quartucciu, e dalle navetas di Rafal Rub.La prima priva della stele tipica dei monumenti simili presenti nel nord dellisola formata dauna facciata a filari di pietra (caratteristica, questa, delle tombe dei giganti del meridione sardo) cheha unampiezza di circa dieci metri. Un piccolo ingresso immette nel corridoio, lungo circa otto metrie largo quasi un metro e mezzo per oltre due di altezza massima. La camera funeraria, infatti, tende adabbassarsi fino alla misura minima di un metro e settanta sulla parete di fondo. Vista dallesterno,date le dimensioni dei massi utilizzati nella sua costruzione, appare molto pi imponente: lungaquasi dodici metri e la sua larghezza, rispetto allo spazio interno, arriva addirittura a triplicarsi.Le navetas di Rafal Rub, nei pressi di Alaior sullisola di Minorca, nella concezione sono moltosimili al monumento appena descritto (e anche ad altre strutture sarde, come sa domu e sorcu diSiddi, nella Marmilla) sia come architettura, sia, si pensa, come funzione ovvero quella di edificiofunerario destinato a sepolture collettive. Analoghi sono lingresso architravato e i filari di pietra chefasciano la camera, disposti allo stesso modo. Analogo il profilo della tomba e anche i massisembrerebbero lavorati con la medesima tecnica del tutto plausibile, quindi anche se non si pu affermare con certezza che tra le due culture inpassato ci siano stati dei rapporti, o quantomeno si pu ipotizzare una discendenza da un popolocomunque. Basti pensare, daltra parte, che larea nord-occidentale della Sardegna era popolatadalla trib nuragica dei Blari, appartenente forse alla stessa etnia dei Baliares, cio coloro chediedero vita alla civilt talaiotica.

  • NTISCALI: UN VILLAGGIO NURAGICODALLE ORIGINI SCONOSCIUTE

    ella valle di Lanaittu, splendida perla del Supramonte contesa tra i territori di Oliena eDorgali, si trovano i resti del villaggio nuragico pi enigmatico della Sardegna: quello dimonte Tiscali, costruito allinterno di unimmensa dolina originata, si pensa, da un potente

    terremoto che avrebbe spaccato in due la montagna. Un riparo ideale per una popolazione costretta aritirarsi sempre pi nel centro della propria terra, cos da potersi meglio difendere dagli invasorigiunti via mare.Il primo insediamento nel sito risalirebbe a circa 3000 anni fa, ma data la sua posizione strategica fuutilizzato dalle popolazioni locali in varie epoche. Le strutture meglio conservate, infatti, si pensarisalgano a un periodo compreso tra il IX e l VIII secolo a.C., ovvero alla quarta fase della civiltnuragica. La cittadella divisa in due quartieri le cui capanne, tutte addossate alle pareti delladolina, sono circa quaranta, la maggior parte di perimetro circolare ma alcune di pianta rettangolare.Raggiungevano fino a quattro metri daltezza e le loro mura avevano lo spessore medio di un metro.Sono costruite in pietra e legno, formate da una stanza composta di massi calcarei reperiti nella zonae coperta con un tetto di rami di ginepro o di altri arbusti locali; una tecnica architettonicarudimentale analoga a quella utilizzata fino a non molto tempo fa dai pastori del Supramonte per larealizzazione dei pinnettos, i rifugi distribuiti lungo i percorsi della transumanza.Le capanne ancora visibili sono in uno stato di degrado, poich ai primi del Novecento la dolina fupresa dassalto dai cacciatori di tesori, che dovettero tuttavia abbandonare il luogo a mani vuotepoich non vi mai stata traccia di oggetti preziosi. Tra laltro, gli avventati clandestini, devono averfaticato parecchio per trovare il luogo dal momento che il punto di accesso al sito una strettissimafenditura nella roccia. Una sorta di ostacolo naturale che nascondeva il villaggio dal mondoesterno e consentiva la strenua difesa dei suoi antichi abitanti.Quello di monte Tiscali un esempio di cittadella assai diverso dai molti altri presenti sullisola. Ledifferenti tecniche costruttive utilizzate nella sua realizzazione e la datazione tarda, farebberosupporre che risalga allultimo periodo della civilt nuragica, forse perfino alla quinta fase, quandocon la conquista romana della Sardegna gli indigeni furono costretti a rifugiarsi in un quartiergenerale inespugnabile dellisola: una sorta di ventre materno in grado di custodire, nei secoli, leantiche e misteriose origini del popolo sardo.

  • MLORIENTAMENTO ASTRONOMICO DEIPOZZI SACRI

    isteriosi tanto quanto i nuraghi e le tombe dei giganti sono i pozzi sacri, antichissimitempli di pietra dedicati, si pensa, al culto dellacqua, poich costruiti nei pressi di fonti esorgenti. La loro struttura molto particolare: visti dallalto sembrano riprodurre il

    disegno di una serratura. Sono composti da un atrio, spesso recintato con grosse pietre, e da uningresso la cui gradinata conduce a un ampio spazio sotterraneo che termina in uno specchio dacqua.Ne esistono di due tipi: quelli a tholos, di perimetro circolare, che potremmo definire, con unasemplificazione, come dei nuraghi interrati; e quelli megaron, di forma rettangolare, che in alcunicasi sono dotati di pi stanze.I pozzi sacri scoperti fin ora in Sardegna sono circa quaranta. I pi antichi risalgono al XIII-XIVsecolo a.C. Come per i nuraghi, anche in questo caso la loro funzione reale resta un mistero dasciogliere. Gli studiosi sono tuttavia propensi a considerarli edifici religiosi intorno ai quali, indeterminati periodi dellanno, si riunivano i fedeli. Secondo alcuni ricercatori erano luoghi di cultodedicati della Dea Madre e alla sua manifestazione fisica, ovvero la luna, secondo altri eranodedicati alla somma divinit maschile della cultura nuragica, ovvero il Sardus Pater. Ma il veromistero di queste complesse architetture risiede in una loro caratteristica molto particolare: lascalinata che conduce nella stanza sotterranea, in determinati periodi dellanno, viene illuminata finoal fondo dove la luna in certi casi, e il sole in altri, si specchiano nellacqua. Tale fenomeno haappassionato molti studiosi i quali sono giunti alla conclusione che questi edifici siano il frutto di unelaborato calcolo astronomico che ne avrebbe determinato lorientamento. Cos, in certi pozzi come quello celebre di Santa Cristina, del quale parleremo nel prossimo capitolo ogni diciotto annie mezzo la luna, al momento della sua massima declinazione, si specchierebbe nellacqua sul fondodella stanza sotterranea, in altri, durante gli equinozi di primavera e dautunno, a specchiarsi sarebbeil sole, in altri ancora sole e luna si specchierebbero in corrispondenza dei solstizi dinverno edestate Una teoria che, nuovamente, sembra accostare lantico popolo sardo agli egizi. E proprioin Egitto, infatti, si trova un pozzo sacro molto simile a quelli presenti sullisola

  • QSARDEGNA ED EGITTO: I POZZI SACRI DISANTA CRISTINA E DI KOM OMBO

    uello di Santa Cristina il pi noto pozzo sacro della Sardegna: il pi suggestivo,misterioso, affascinante e meglio conservato dellisola. La sua struttura tronco-conica lo faapparire come un nuraghe sotterraneo, costruito con pietre di basalto finemente lavorate. Vi

    si accede tramite una scalinata, composta da venticinque gradini, che porta a circa sei metri e mezzodi profondit. stato scoperto nel XIX secolo, in localit Paulilatino, nei pressi di Oristano esecondo gli studiosi risalirebbe allEt del bronzo. La sua architettura ha delle impressionanti affinitcon quella di un pozzo rinvenuto in Egitto nel sito archeologico di Kom Ombo, un promontorio chedomina il Nilo e che fu in passato un punto strategico dal quale si controllavano i trafficicommerciali. Qui si trova un tempio che ha due ingressi, due porte e due stanze, poich dedicato adue divinit differenti. Si ritiene, infatti, che la parte destra delledificio fosse consacrata ai Sobek,gli dei con la testa di coccodrillo, mentre quella sinistra fosse per gli Haroeri, ovvero gli dei con latesta di falco. A poca distanza dal tempio si trova una struttura pi antica che riprenderebbe, sia nellaforma che nelle tecniche costruttive, il pozzo sardo di Santa Cristina. Dei presunti contatti tra lacivilt egizia e quella degli antichi abitanti dellisola abbiamo gi parlato. Ma le teorie a riguardo,come accennato, sono molteplici. In un contesto cos complesso ed enigmatico, ogni ipotesi, ognidomanda e ogni dubbio sono legittimi (purch sostenuti da indizi di una certa rilevanza). Per esempiosembra un po troppo azzardato ritenere che i costruttori dei pozzi sacri fossero una stirpediscendente da navigatori egizi giunti sullisola, o che i figli del Nilo e i nuragici avessero origine daun comune popolo sumero. Eppure anche questa ipotesi, per i pi relegabile alla sfera della purafantasia, da qualcuno presa in considerazione. A confermarla sarebbe proprio la presenza dellaziqqurat di Monte dAccoddi.

  • NSARDEGNA E BULGARIA: I POZZI SACRI DIBALLAO E DI GRLO

    el 1981 larcheologa Dimitrina Djonova ha scoperto, nei pressi del piccolo borgo di Grlo,in Bulgaria, un pozzo sacro. Come la stessa studiosa ha fatto notare, dopo il suo viaggio inSardegna del 1983 nel corso del quale visit i pozzi di Santa Cristina e la Funtana

    Coberta di Ballao il tempio bulgaro ha delle caratteristiche architettoniche molto simili a quelledelle strutture isolane. Anzi, tra i numerosi pozzi sacri rivenuti fuori dal territorio sardo, senzaltroil pi affine, sia per quanto riguarda le dimensioni, sia per la morfologia e per le tecniche costruttive.In particolar modo ledificio di Grlo sembra corrispondere alla Funtana Coberta, uno dei pi notie meglio conservati pozzi sacri della Sardegna.Funtana Coberta stato scoperto allinizio del secolo scorso nel territorio di Ballao, in provincia diCagliari. Ha una lunghezza di oltre dieci metri e una scalinata composta da dodici gradini checonduce a circa cinque metri e mezzo di profondit nel sottosuolo. Visto dallesterno presenta lacaratteristica forma a serratura di chiave di cui abbiamo parlato nel capitolo 16. Il suo gemellobulgaro, invece, si trova, come abbiamo detto, nelle vicinanze di Grlo, a pochi chilometri da Sofia il cui nome antico era Sardica (casualit?). Presenta la solita forma a toppa di chiave, la suascalinata composta da tredici gradini e conduce, anche in questo caso, a circa cinque metri e mezzodi profondit.I due edifici, insomma, sono pressoch identici per quanto riguarda le misure e contano quasi lostesso numero di gradini. Presumibilmente anche la loro funzione era la medesima, cio quella ditempli per il culto delle acque.Secondo larcheologa Djonova, il pozzo sacro di Grlo era dedicato alla divinit sumerica Enki, esarebbe pi antico di quelli presenti in Sardegna. Questa teoria stata ampiamente contestata damolti suoi colleghi sardi. Al di l delle gare pi o meno ragionevoli su chi ha fatto prima cosa, c dadire che il tempio di Grlo, almeno allo stato delle conoscenze attuali, un caso unico in tutto ilterritorio bulgaro, mentre la Sardegna conta pi di quaranta pozzi distribuiti lungo lintera isola.In ogni caso, n gli archeologi sardi n quelli bulgari sono in grado di dare una spiegazione a questacoincidenza. Qualche studioso ipotizza che il pozzo Grlo fu opera dei Traci i quali fondarono,per altro, la vicina citt di Sardica ma non vi alcun riscontro con le altre strutture megaliticheedificate da questo popolo.In assenza di una risposta incontestabile non resta che provare a capire se tra la civilt bulgara equella sarda esistano delle altre analogie. Abbiamo gi accennato alla questione dellantico nome diSofia, ma non tutto. Simili sono anche alcuni riti ancestrali legati al carnevale e alle mascherebarbaricine. Cos, come in Sardegna esistono i mamuthones e i boes, in Bulgaria troviamo i kukeri,

  • gli uni e gli altri rappresentanti uomini-bestia, vestiti di mastruche e con indosso grossi campanacci emaschere dal volto di animali antropomorfi o, se preferite, di uomini dai tratti zoomorfi. Anche inquesto caso forse gli indizi non sono sufficienti per ipotizzare una discendenza comune, ma citroviamo senzaltro di fronte a uno straordinario e inspiegabile punto di contatto etnografico.

  • UILLETTERATI O PRIMI SCRITTORI?

    naltra domanda fondamentale che difficilmente avr mai una risposta definitiva laseguente: i nuragici scrivevano?Certamente larcheologia ci dice che il pi antico documento scritto della storia occidentale

    riconosciuto ufficialmente come tale stato trovato in Sardegna. Si tratta di una lastra di pietradellVIII secolo a.C., rinvenuta nel 1773 a Pula, vicino Cagliari, nei pressi dellarea in cui un temposorgeva la mitica citt sarda di Nora. Secondo gli esperti il documento stato inciso dai Fenici iquali fondarono anche il centro urbano, si pensa, sui resti di un precedente insediamento nuragico.Fin dallOttocento gli studiosi si sono spesi nel tentativo di interpretare i segni della stele senzariuscire tuttavia ad allinearsi su una traduzione comune. Certamente nelliscrizione compare la scrittab-rdn o quantomeno sulla presenza di questa scritta gli studiosi concordano la cui traduzionesarebbe tra i sardi o in Sardegna o ancora un riferimento allampiamente citato popolo Shardana.Comparirebbe anche lincisione b-Tr, ovvero in Tartesso, cio la citt mitica che alcuniricercatori collocherebbero in Andalusia, ma che per altri potrebbe benissimo essere stata inSardegna, come vedremo nella seconda parte di questo libro. Gigi Sanna, studioso di epigrafianuragica molto noto sullisola, ritiene che la scritta b-Tr sia riferita a Tharros altra citt sarda diorigine fenicia risalente allo stesso periodo della stele di Nora e si spinge ben oltre affermando chei segni dellantica iscrizione sarebbero nuragici. Testimoni dellesistenza di un alfabeto sardo sonomoltissimi reperti da lui analizzati, tra i quali le tavolette in bronzo di Tzricotu (trovate a Cabras nel1995 e risalenti a un periodo compreso tra il XIII e il XII secolo a.C. quindi precedenti rispettoalla stele di Nora), altri cocci incisi, ritrovati in varie parti dellisola, e la stele in ceramica diPozzomaggiore, rinvenuta nei pressi della presunta ziqqurat citata nel capitolo cinque.La teoria del professor Sanna sullesistenza di un alfabeto nuragico ampiamente contestata da moltisuoi colleghi i quali ritengono, al contrario, che i sardi non sapessero scrivere affatto.In una posizione intermedia si colloca il glottologo Massimo Pittau, professore dellUniversit diSassari, esperto di lingua etrusca, sarda e protosarda, nonch autore di numerosi libri sulla civiltnuragica e fine conoscitore delle questioni legate alla storia e alla cultura della regione. Per Pittau un grave errore ritenere che vi fosse un vero e proprio alfabeto nuragico, anzi, forviante il principiodi partenza per cui i sardi, se capaci di scrivere, avrebbero dovuto farlo necessariamente con un lorosistema di segni del tutto originale. Ma ancora pi grave ritenere che una civilt evoluta ecomplessa come quella nuragica fosse illetterata o analfabeta. In sostanza, i sardi certamentescrivevano ma, pur comunicando nella loro lingua autoctona, utilizzavano gli alfabeti dei popoli con iquali avevano maggiori contatti nel determinato momento storico, ovvero, nellordine, si eranoserviti dellalfabeto fenicio, poi di quello greco e in fine di quello latino.

  • AIL MIO MATRIMONIO SARDO-ETRUSCO

    Vetulonia, un importante centro commerciale dellantica Etruria, oggi in provincia diGrosseto, sono stati rinvenuti numerosi vasi di origine sarda. Il fatto in s non insolito: dadecine di siti del centro Italia principalmente dalle tombe sono emersi vasi, bronzetti e

    navicelle nuragiche, cos come in Sardegna sono stati scoperti molti reperti etruschi. Da sempre, diconseguenza, si parlato dello stretto rapporto che devessere intercorso tra i due popoli.Il caso di Vetulonia, tuttavia, molto particolare. I vasi qui ritrovati sono circa quaranta ed quasicerto che un tempo fossero molti di pi. Alcuni sono stati importati dallisola, altri, stando agli esamieffettuati sulle ceramiche, sono stati fabbricati nel luogo, ma dalla stessa mano. Inoltre non si tratta dioggetti comuni, di uso quotidiano, bens di askos che, secondo alcuni archeologi, potevano contenereuna bevanda di mirto (derivata quindi dalla pianta sacra alla Dea Madre) utilizzata in determinatecerimonie religiose. Ci fa supporre che in questo luogo, dalla Sardegna, non fossero giunti solo glioggetti ma anche le genti: un folto gruppo che aveva portato con s arti a tradizioni. Oltre ai vasi,infatti, nel sito sono stati trovati bottoni, statuine e vari manufatti di tipo nuragico. Ma cosa eranoandati a fare questi sardi a Vetulonia? Forse quello che fanno ancora oggi quando lasciano lisola:erano andati l per lavorare. Pi precisamente, essendo esperti nellarte di modellare il rame, ilbronzo e altri materiali simili, si erano trasferiti l per lavorare i metalli, poich Vetulonia, tra il IX eVI secolo a.C., era il pi importante centro metallurgico dellEtruria.Che ci siano stati legami tra le due civilt, quindi, praticamente certo. Anzi, alcuni studiosiritengono addirittura che quella Etrusca si sia sviluppata da una costola di quella nuragica, ovveroche i sardi, raggiunte le coste tirreniche intorno al IX secolo, abbiano dato origine a una nuova stirpe,divenuta poi un popolo distinto. Magari, pi semplicemente, una colonia nuragica, giunta in centroItalia, si mescolata con la civilt indigena. Gli egizi, per esempio, nelle testimonianze che ci hannolasciato, accostano spesso Shardana e Tirreni, ovvero quelli che per molti studiosi furonorispettivamente sardi ed etruschi. Daltra parte numerosi reperti archeologici sembrerebberotestimoniare unantica tradizione di matrimoni misti tra queste due etnie. Quasi tutti i bronzettinuragici rinvenuti nei territori dellantica Etruria, infatti, si trovavano allinterno di tombe, forse didonne, forse sarde, forse date in mogli per consolidare le alleanze tra i due popoli. Ma poich similioggetti votivi spesso non sono identificabili propriamente come femminili, possibile che alcunetombe fossero di uomini sardi convolati a nozze con donne etrusche. Certamente di questi matrimonimisti se ne devono essere celebrati parecchi; primo fra tutti non in ordine di tempo ma di notoriet quello di Vulci, citt al confine tra Lazio e Toscana. Qui, nella necropoli etrusca di Cavalupo, inuna tomba stato trovato un corredo di miniature sarde in bronzo appartenuto a una donna, forse unasacerdotessa nuragica sposata con un principe etrusco: un matrimonio dinteresse tra nobili o unagrande storia damore.

  • PLENIGMATICO ALTARE RUPESTRE DISANTO STEFANO

    artendo dal paese di Oschiri, sulla strada per Tempio Pausania, sincontra il sitoarcheologico di Santo Stefano, che fu largamente frequentato sia in et preistorica che punica.Nella zona si trovano strutture megalitiche, un dolmen e un menhir, domus de janas e altri

    complessi prenuragici. Larea prende il nome dalla chiesa l presente, costruita nel XVI secolo, sipensa, sui resti di un antico tempio bizantino. Proprio davanti alla chiesa situata una roccia digranito, lunga circa dieci metri, sulla quale, in unepoca difficilmente individuabile con precisione,sono stati incisi dei misteriosi segni geometrici. Si tratta di numerose nicchie, ordinate su due file, didifferenti profondit e forme: alcune sono circolari, altre quadrate e altre ancora triangolari; certesono contornate da coppelle, mentre due hanno scolpite a loro interno delle croci greche. Gli stessisegni si trovano anche su altre rocce dellarea circostante, una di queste presenta una nicchiadiversa forse un sepolcro dal perimetro rettangolare e di dimensioni maggiori.Le incisioni di quello che stato chiamato altare rupestre di Santo Stefano, non avendo al momentoun termine di paragone, poich uniche nel loro genere, sono impossibili da interpretare. Forse lareafu un insediamento monastico bizantino, dove gli eremiti si ritiravano trovando alloggio nei tafonicircostanti e nelle strutture gi presenti in loco. Daltra parte, come accennavamo allinizio, nel sitosono presenti complessi prenuragici come le domus de janas, edifici che sono stati abbondantementeriutilizzati per molti secoli, anche in epoca romana. Secondo questa ipotesi la lavorazione dellaroccia risalirebbe quindi a un periodo compreso tra il VI e il IX secolo.A testimoniare lutilizzo sacro delle incisioni rupestri sarebbero oltre chiaramente alle crocigreche scolpite allinterno di alcune nicchie le coppelle che incorniciano una figura circolarescavata su un masso poco distante dallaltare: queste, infatti, sono dodici; quantit che potrebberimandare al numero degli apostoli di Ges Cristo. Nicchie e coppelle, stando a questa teoria,avevano quindi lo scopo di contenere offerte e oggetti votivi cristiani.Stando a unaltra teoria, invece, le nicchie rappresenterebbero delle porte in grado di mettere leanime dellaldil in contatto con i vivi. Ancora una volta, quindi, uninterpretazione presa inprestito dalla cultura degli antichi egizi. Tant che, in questottica, le figure triangolari potrebberosimboleggiare addirittura le piramidi.Lunica certezza, tuttavia, che ancora una volta ci troviamo di fronte allinspiegabile. Laltarerupestre di Santo Stefano un caso unico nel suo genere. Le misteriose incisioni che lo decoranopotrebbero rappresentare davvero qualsiasi cosa. Potrebbero perfino, come ha azzardato qualcuno,comporre una scritta: un messaggio che giunge da lontano, scolpito nella roccia.

  • AAL DI L DELLE COLONNE DERCOLE

    tlantide lisola mitica che Platone descrive nei dialoghi Timeo e Crizia. Per molti studiosi,questa terra antica e meravigliosa, non mai esistita, se non come frutto dellimmaginazionedel grande filosofo. Altri invece, da secoli e generazioni, esaminano i testi e le carte per

    individuare il luogo preciso in cui emergeva dalle acque. La storia nota: Ercole, prima di compierela sua decima fatica, eresse le celebri colonne, che divennero il limite invalicabile oltre il quale gliuomini non erano in grado di spingersi. Di l da questo limite si estendeva Atlantide, continente chesprofond negli abissi del mare in seguito a un terribile cataclisma. Aggiudicare un posto sullacartina geografica alle Colonne dErcole equivarrebbe quindi a trovare il magnifico continentesommerso (o in parte riemerso).Per molti anni e ancora oggi dalla maggior parte degli studiosi le Colonne dErcole sono statecollocate in corrispondenza dello Stretto di Gibilterra. Ma se, come ha teorizzato il giornalistaSergio Frau nel suo libro Le colonne dErcole, uninchiesta, esse corrispondessero al canale diSicilia, Atlantide non potrebbe essere che la Sardegna. Su cosa si basa questipotesi? La scintilla cheha innescato la prima riflessione di Frau scocc dalla lettura di un libro del professor VittorioCastellani, intitolato Quando il mare sommerse lEuropa, nel quale si descrivono i due canalipresenti nel Mediterraneo, ovvero quello di Gibilterra e quello di Sicilia. Questultimo, un tempo,era molto pi stretto poich la Tunisia aveva una maggior estensione territoriale e la Sicilia eraattaccata a Malta. Frau associ questa ricostruzione geologica allimmagine che, nel 476 a.C., ilpoeta Pindaro diede del tratto di mare in cui si trovavano le colonne, caratterizzato da fondali bassi emelmosi, proprio comerano al tempo quelli del canale siculo. Ma lanalisi non si limiterebbe solo aquestioni geografiche: quella sorta di confine naturale, infatti, divideva simbolicamente la civiltgreca dalla punica.A questi indizi se ne sommerebbero molti altri. Alcune fonti antiche, per esempio, descrivonoAtlantide come una terra disseminata di torri di pietra, e quale altra isola lo sarebbe pi dellaSardegna? Nessuna; su questo non possono esserci dubbi. Secondo Platone, inoltre, il miticocontinente a un certo punto collass, sprofondando nel mare, e di conseguenza le torri furono sepoltedal fango. Proprio ci che potrebbe essere accaduto al villaggio nuragico di Barumini il quale, forseinondato in passato a causa di uno tsunami, fu scoperto nel 1949 sotto una montagna di melma riccadi fossili di conchiglie marine. Frau, soffermandosi sui nuraghi, fa notare inoltre che le torridellinterno si sono conservate meglio di quelle collocate in prossimit delle coste, quindi piesposte rispetto allonda anomala, e attribuisce un significato anche alla ziqqurat di MontedAccoddi, testimonianza di un antico contatto con i popoli doriente, rimasto unico poichbruscamente interrotto dal cataclisma che colp la Sardegna ai tempi. Daltra parte anche i Fenici,quando giunsero sulla punta meridionale della penisola del Sinis, trovarono un villaggio distrutto, sui

  • cui resti edificarono Tharros, citt che, come vedremo nel prossimo capitolo, alcuni identificano conla mitica Tartesso.

  • CLA MITICA CITT DI TARTESSO

    ome abbiamo visto nel capitolo 19, sulla stele dellVIII secolo a.C. rinvenuta dove un temposorgeva lantica citt di Nora stata trovata, tra le altre, la seguente incisione: b-Tr, chesignificherebbe in Tartesso.

    Tartesso unantica citt mitica, collocata da Platone oltre le colonne dErcole, proprio comeAtlantide. La sua reale esistenza stata da sempre oggetto di dibattito. Molti studiosi lacollocherebbero in Andalusia. citata nellAntico Testamento, e nel libro del profeta Ezechieleviene descritta come un luogo noto per le sue ricchezze, costituite soprattutto da metalli moltopreziosi per lepoca, come argento, ferro, piombo e stagno. La civilt che la abitava, e che gi nel IImillennio a.C. poteva vantare un certo sviluppo, era erudita, viveva seguendo delle leggi scritte epossedeva una vasta letteratura. NellVI I I secolo a.C. si contese con i fenici il dominio delMediterraneo, e aveva rapporti commerciali con i greci. Fu una civilt florida che venne distrutta,nellultimo millennio prima della nascita di Cristo, dai Cartaginesi.Prendendo spunto dalliscrizione incisa sulla stele di Nora (b-Tr), alcuni studiosi hanno ipotizzatoche Tartesso non fosse in Andalusia, o in qualche altro posto a sud della penisola iberica come si sempre pensato, bens in Sardegna. Un altro documento, un coccio rinvenuto a Orani, riporterebbe lamedesima testimonianza. Effettivamente la civilt nuragica, proprio come descritto sopra, si sviluppintorno al II millennio a.C. e nellVIII secolo a.C. lisola fu colonizzata dai Fenici. La Sardegna,inoltre, era ricca di miniere di metalli e certamente fu al centro di attivit commerciali e di scambiocon altri popoli. Anche il periodo che vide la fine della civilt nuragica avrebbe aderenzecronologiche con la scomparsa di Tartesso. Ma secondo questipotesi in quale punto andrebbecollocata la citt mitica? Per assonanza potremmo supporre che coincidesse con Tharros, anticocentro urbano situato sulla punta meridionale della penisola del Sinis e edificato dai Fenici, sui restidi un precedente insediamento, nellVIII secolo a.C. Daltra parte in Sardegna esistono altri toponimiche ne richiamerebbero il nome, come quello attribuito al pi importante fiume dellisola: il Tirso.Unaltra possibilit che Tartesso fosse la stessa Nora, citt il cui nome deriverebbe da quello delsuo fondatore: Norace, eroe della mitologia sarda che di Tartesso fu re. Va per aggiunto, a onor delvero, che Norace, stando a quanto ci tramanda Solino, giunse in Sardegna alla guida degli iberiproprio da Tartesso. Il che ricollocherebbe la citt leggendaria nel sud della Spagna.Rimane cos aperto il problema dellincisione recante la scritta b-Tr. possibile che Norace abbia fondato sia Nora, cui diede il suo nome, sia Tharros, cui diede il nomedella sua patria?Forse Tartesso stava sullisola, o forse no. Forse in Sardegna esisteva una seconda localit conquesto nome, colonia di unetnia proveniente dalla mitica citt, o forse no. Certamente le ipotesi nonmancano, come non mancano le contraddizioni, in questo mistero destinato a rimanere aperto per

  • sempre.

  • DLISOLA DEI GIGANTI

    opo aver parlato nei due capitoli precedenti di isole e di citt mitiche parleremo ora di unastirpe epica: quella dei giganti che potrebbe aver popolato la Sardegna molti secoli fa, forseai tempi in cui Platone fa risalire il leggendario continente di Atlantide.

    Le prove concrete della loro esistenza, a dire il vero, non sono mai state evidenti e nessuno ha maimostrato reperti attendibili che possano ritenersi autentici. Esistono soltanto antichi racconti etestimonianze, quasi tutte di persone anziane che avrebbero scoperto nelle campagne e in alcunegrotte dellisola scheletri di esseri umani dalle proporzioni impressionanti: ossa di creatureantropomorfe che potevano raggiungere unaltezza di ben sette metri. Molte di queste testimonianzesono state raccolte nel territorio di Pauli Arbarei, un piccolo centro del Medio Campidano. La storiadi questa localit sembrerebbe legarsi ancora una volta al mito di Atlantide e a quella catastrofe dicui abbiamo parlato nel capitolo 22, che avrebbe sommerso, insieme al vicino villaggio nuragico diBarumini, lintera area. Pauli, infatti, in lingua sarda significa palude, e Pauli Arbarei sorgeproprio in un luogo in cui un tempo vi era una grande palude che stata bonificata nellOttocento. Iracconti tramandati dalla tradizione popolare locale, non a caso, narrano di questa terra abitata dagiganti come di una zona florida che fu sommersa da una grande onda proveniente dal mare.Sul tema sono stati scritti anche dei libri, tra i quali quello di Marcello Polastri, intitolato Il tempodei giganti, e quello di Luigi Muscas, intitolato Il popolo dei giganti. Figli delle stelle.Il primo una vera e propria inchiesta che raccoglie interviste di testimoni oculari, i quali affermanodi aver assistito a sensazionali scoperte: quelle di tombe contenenti enormi reperti ossei, e altririnvenimenti di scheletri giganteschi in vari luoghi dellisola. Tutte le prove di tali scopertesarebbero state fatte sparire, in qualche modo, per non mettere in crisi le teorie della scienzaufficiale.Il secondo libro, invece, stato scritto da un autore originario proprio di Pauli Arbarei, che sisarebbe appassionato allargomento in seguito a una scoperta fatta da lui personalmente: quandoaveva dieci anni, mentre portava al pascolo un gregge di pecore, si trov improvvisamente nel mezzodi un temporale. Si rifugi quindi in una grotta allinterno della quale vide un enorme corpomummificato. Tornato a casa rivel la sua scoperta al nonno e questi, per niente stupido, gli raccontalcune storie di quelle che circolavano in paese sul popolo dei giganti che anticamente aveva abitatola zona. Anche in questo libro sono presenti molte storie riportate da presunti testimoni oculari.Molto suggestiva quella di un signore di oltre novantanni il quale afferma di aver trovato, neglianni Cinquanta durante dei lavori di scavo, lo scheletro di una creatura antropomorfa che misuravapi di tre metri e teneva in una mano tre monete. Luomo racconta di aver raccolto le monete e diessersi recato dal parroco per consegnargliele. Il sacerdote, sentita la storia, promise che avrebbefatto esaminare i soldi e poi diede disposizioni affinch lo scheletro fosse distrutto. Delle monete non

  • se ne seppe pi niente e le ossa del gigante, come da ordine, furono fatte sparire.

  • ELA TERRA DEI LESTRIGONI: SARDEGNAVERSUS SICILIA

    se gli scheletri giganti descritti nel capitolo precedente fossero stati i resti dei terribilicannibali di cui narra Omero nel libro X dellOdissea?

    Sei giorni di seguito noi navigammo di notte e di giorno,al settimo arrivammo allaltissima rocca di Lamo,Telepilo Lestrigonia, dove il pastore che il greggeriporta allaltro d voce che, uscendo col suo, gli risponde.Un uomo che non dormisse due paghe l guadagnerebbe,luna i buoi pascolando, laltra le candide greggi:cos della notte e del giorno sono vicini i sentieri.In un porto magnifico entrammo; intorno scoscesae interrotta si leva una rupe da un lato e dallaltrocon due promontori agli estremi luno allaltro di fronte,sporgenti verso lentrata, e stretto risulta laccesso;tutti le navi ricurve fermarono l dentro il porto.Dentro la concava baia esse dunque stavan legatevicine; perch non mai in quel porto londa salzavao di molto o di poco, ma vera unargentea bonaccia.

    Odissea, libro X, vv. 80-94

    Cos, secondo lepico racconto, Ulisse approd con i suoi compagni nella terra dei Lestrigoni.Erano salpati dallisola di Eolo per la seconda volta, poich dopo la prima una tempesta li avevarespinti indietro.Narra Omero che il dio, benevolo nei confronti degli Achei, avesse chiuso dentro un otre tutti i venti,lasciando fuori solo una brezza docile che propiziasse il loro ritorno a Itaca. Lotre, questa eralunica raccomandazione, non avrebbero dovuto aprirlo per nessuna ragione. Il patto fu rispettatofinch Ulisse rest sveglio, a guardia di quel dono, ma quando alla vista di Itaca, ormai prossimo atoccare le terre della sua patria, leroe cedette al sonno, i suoi compagni, credendo che lotrecontenesse chiss quali tesori, lo aprirono e liberarono tutti i venti avversi. La terribile tempesta chesi abbatt su di loro trascin le navi indietro, fino al punto da cui erano partite. Cos Ulisse chiese aEolo una seconda possibilit, ma fu cacciato in malo modo per via delloffesa recata agli dei. Quindiripart e, solo con le proprie forze e con i suoi uomini, raggiunse la terra dei LestrigoniMa qual questa terra mitica?Poich gli Achei partirono dalle Eolie, secondo alcuni, giunsero in unaltra isola dello stesso

  • arcipelago. Ma se, come racconta Omero, navigarono per sei giorni improbabile che avesseropercorso un cos breve tragitto. Secondo unaltra ipotesi Ulisse e i suoi arrivarono nel luogo in cuioggi sorge labitato di Lentini, citt Siciliana nei pressi di Siracusa, la cui fondazione attribuita, daun mito locale, proprio ai Lestrigoni: popolo di giganti dedito allallevamento di pecore e di buoi.Certo, Lentini non proprio sul mare, e nel tratto di costa pi vicino non c nemmeno uninsenaturacome quella descritta da Omero: scoscesa e interrotta si leva una rupe da un lato e dallaltro condue promontori agli estremi luno allaltro di fronte, sporgenti verso lentrata, e stretto risultalaccesso. Questa descrizione, al contrario, sembra coincidere esattamente con quella della baia chein Sardegna detta di Ulisse: una cala molto stretta che si protende davanti al paese di PortoPozzo, tra Palau e Santa Teresa di Gallura. Gli abitanti della zona, sfidando i siciliani che tanti beiluoghi possiedono di quelli citati nellOdissea, sostengono sia avvenuto proprio qui lo sbarco degliAchei.

    Allora mandai dei compagni che andassero ad informarsiquali uomini, mangiatori di pane, in quel luogo vi fossero,[]e, fuori citt, simbatterono in una ragazza venutaper acqua, del lestrigone Antifate nobile figlia.[]E andandole vicino a parlare, chiesero a leichi fosse il loro re e su quale gente regnasse.E subito essa indic del padre leccelsa dimora.E nel palazzo famoso entrati, trovaron la mogliegrande come la cima dun monte, e nebbero orrore.Subito essa chiam dalla piazza Antifate illustre,suo sposo, che medit per essi una fine penosa.Preso di scatto uno dei compagni, il suo pasto ne fece.Balzati via, gli altri due arrivarono in fuga alle navi;lanci quello un grido per la citt: accorrevano gli altrichi di qua chi di l, i Lestrigoni poderosi,a migliaia, non simili a uomini, ma ai Giganti.Tempestavano quelli dalla scogliera con massienormi; e tra le navi sorgeva un orrendo frastuonoduomini uccisi e di scafi sfondati. In orribile pastocome pesci infilzati se li portavano via.

    Odissea, libro X, vv. 100-101; 105-106; 109-124

    Questa descrizione non dimostra nulla, ma inserita nellorizzonte culturale sardo molto evocativa.Le eccelse dimore, per esempio, altrove descritte come dallalto soffitto, potrebbero essereidentificate con i nuraghi, che raggiungevano fino a 25 metri ed erano costruiti con massi di pietra cheun uomo a stento pu alzare. Ma il riferimento pi immediato senza dubbio alle tombe dei giganti(vedi capitolo 13). In questi monumenti al di l del loro nome che richiama esplicitamente gliesseri mitologici sono state ritrovate moltissime ossa umane: resti, secondo la leggenda, deibanchetti di enormi orchi spaventosi. Da qui deriva il nome domu e sorcu, (casa dellorco) con cuivengono spesso indicati questi edifici.

  • NIOLEI, BALARI E CORSI: I PI CELEBRIPOPOLI DELLA SARDEGNA

    el II millennio a.C. la Sardegna era divisa in tre grandi aree abitate da numerose tribnuragiche. Come riporta Plinio il Vecchio, tra queste, Iolei, Balari e Corsi, erano i popolipi noti dellisola. Ognuno di essi, a suo modo, ha origini misteriose e spesso, per

    giustificarle, si ricorrere al mito. Cos gli Iolei, detti anche Iliensi, che occupavano la parte diterritorio compresa tra la Piana del Campidano e il fiume Tirso, sarebbero stati una stirpediscendente da esuli Troiani giunti in Sardegna durante la loro fuga al termine dellepica battaglianarrata da Omero. Da questi, infatti, deriverebbe il nome della citt di Oliena, un tempo chiamataIliena in ricordo di Ilio altro nome con cui era conosciuta Troia. Da sempre strenui difensori dellapropria patria, anche sul territorio sardo gli Iliensi mostrano il loro grande valore militare,combattendo prima contro i cartaginesi e poi contro i romani che sinsediarono nellisola. Insieme aiBalari, furono gli unici a non soccombere a tutte le dominazioni che al tempo sconvolsero gliequilibri delle trib indigene. Resistettero ripiegando sempre pi verso linterno, arroccandosi inquella fortezza naturale inespugnabile costituita dai monti della Barbagia. Fu cos che ebbe origine ilnome del popolo ancora oggi noto come barbaricino.Non meno valorosi furono i Balari, di discendenza iberica, arrivati in Sardegna, forse dalla citt diTartesso, sotto la guida di Norace, da cui deriverebbe la radice -nur, presente in numerosi toponimidellisola. Alcune fonti romane descrivono i Balari come discendenti di soldati mercenari che, giuntinellisola al servizio dei Cartaginesi, decisero di disertare e di formare unalleanza con gli Ioleistanziandosi nel territorio. Si pensa fossero della stessa stirpe dei Baliares, il popolo che nelle isoleBaleari diede vita alla civilt Talaiotica, affine a quella nuragica. I Balari erano mirabili guerrieri,costruivano splendidi vasi in ceramica e parlavano una lingua raffinata. Occuparono i territori checorrisponderebbero allattuale Logudoro, nella parte nord-occidentale dellisola, confinanti a sudcon larea controllata dagli Iolei e a nord con quella in cui regnavano i Corsi. Questi ultimirisiedevano nella zona comprendente lattuale Gallura ed estesero i propri domini allintera Corsica,nel sud della quale svilupparono la Civilt torreana, gemella di quella nuragica. Anche in questocaso, come stato per Iolei e Balari, sembra impossibile determinare con certezza una linea didiscendenza. Forse antenate dei Corsi furono alcune popolazioni liguri che, arrivate sullisola intornoal V millennio a.C., costituirono il nucleo pi antico tra le trib nuragiche.Molto probabilmente i vari gruppi etnici presenti in Sardegna furono spesso in lotta tra loro. Si puimmaginare che ognuno di essi, dalle vette di torri imponenti, controllasse e difendesse il proprioterritorio. Ma ci devessere stato un momento in cui, per fronteggiare le continue minacce in arrivodal mare, questi popoli si sono confederati, sviluppando una forte identit comune.

  • SCERCANDO METALLA, LA CITTROMANA SCOMPARSA

    i pensa che Metalla fu il pi importante centro minerario dellantica Roma: una cittdellimpero edificata nelliglesiente, zona ricca di giacimenti di piombo e dargento. I romani, cosa nota, utilizzavano in grande quantit il primo di questi materiali per fabbricare gli

    impianti idraulici, il secondo invece, pi prezioso e meno malleabile, era impiegato per produrre lemonete.La presunta collocazione di Metalla, anche se in termini piuttosto generici, viene fissatanellItinerario antonino, una sorta di stradario risalente al III secolo d.C. nel quale erano indicate ledistanze tra i vari centri dellimpero. Metalla era segnalata, procedendo verso il meridione, dopoNabui antica citt dellattuale guspinese, situata quindi nel primo tratto di quel territorio sud-occidentale sardo che, proseguendo con il Sulcis-iglesiente, costituisce larea mineraria dellisola.Poich Nabui e gli altri centri pi a nord citati nellItinerario antonino sorgevano lungo la costa, molto probabile che anche Metalla si trovasse in prossimit del mare, e che costituisse un importantescalo commerciale. Forse non era neppure una semplice citt, ma una regione pi ampia in cui eranopreviste molteplici attivit: lestrazione, la lavorazione e lo stoccaggio delle materie prime sulleimbarcazioni che, una volta cariche, navigavano verso gli altri nodi portuali dellimpero.Di Metalla scrive anche lanonimo autore della Cosmografia ravennate, opera dellVII secolo d.C.nella quale sono elencate tutte le citt fino allora conosciute. Nemmeno in questo caso ci vengonofornite indicazioni precise su dove sorgesse, ma linquadramento geografico dellItinerario antonino sufficiente per proporre alcune ipotesi. Forse il centro urbano era situato nella valle di Antas, comesosteneva Alberto La Marmora, generale del Regno di Sardegna e archeologo appassionato, il qualescopr nella stessa valle lomonimo tempio dedicato al Sardus Pater, dio da cui si presume discendail nome dellisola. Sempre in quellarea, ovvero nel territorio del comune di Fluminimaggiore, tra lealte dune interne della spiaggia di Portixeddu, sono stati trovati resti di scheletri umani, uno dei qualiaveva anelli di metallo alle caviglie. Questo dettaglio ha fatto supporre ad alcuni studiosi che sitrattasse di schiavi, sfruttati magari dai romani per il lavoro in miniera. Non lontano, inoltre,sarebbero presenti antichi impianti idrici in piombo. Si pu immaginare quindi che Metalla, con ilpassare dei secoli, sia stata sepolta dal tempo e dalla geologia sotto le alte dune di sabbia della zona.Un altro luogo, poco pi a sud, al quale si attribuisce lubicazione della citt Grugua, frazione diBuggerru. Qui presente una galleria, detta su presoni, ovvero la prigione, nelle cui pareti interneerano fissati anelli di ferro, utilizzati forse per incatenarvi gli schiavi sfruttati nei lavori delleminiere. Il rinvenimento di resti di edifici romani, di monete dellepoca, di attrezzi per la lavorazionedei metalli e di scarti minerali, lascerebbe supporre che vi fosse unintensa attivit di estrazione,

  • compatibile con le descrizioni a noi note di Metalla.Ma se la citt scomparsa, come si detto, non fosse stata un vero e proprio centro urbano bens unaregione pi estesa, si pu addirittura azzardare lipotesi che tutti questi luoghi, poco distanti unodallatro, fossero in essa compresi. Chiss che una lunga via romana non li collegasse al porto diSulci: limportante scalo romano, situato nellodierna SantAntioco, dal quale partivano le navi con iloro carichi di metallo.

  • NQUANDO GLI ELEFANTI DI ANNIBALEGIUNSERO IN SARDEGNA

    el 215 a.C., Amsicora, senatore della citt di Cornus, primo, di gran lunga secondo lostorico latino Tito Livio, per prestigio e ricchezza, si mise a capo di una rivolta contro iromani, che avevano esteso il loro dominio nel Mediterraneo colonizzando parte delle coste

    dellisola. Il condottiero, illustre esponente dellaristocrazia sardo-punica, reput propizio quelmomento, poich i romani, appena un anno prima, erano stati sconfitti da Annibale nella battaglia diCanne, dimostrando di attraversare un momento di crisi dovuto ai numerosi focolai di ribellionescoppiati in varie zone dellimpero. Amsicora, come prima cosa, coinvolse nellorganizzazione dellarivolta Annone, signore di Tharros il quale, di fronte alla possibilit di perdere le proprie terre,decise di affiancare nellimpresa il senatore di Cornus. Da questa citt partirono quindi due senatoriche avevano ricevuto lordine di recarsi a Cartagine per convincere Annibale a dare ai sardi il suoappoggio militare. Il condottiero punico mise a disposizione degli alleati sessanta navi, tredicimilauomini tra fanti e cavalieri, forse venti dei suoi elefanti e assegn il comando della missione alvaloroso generale Asdrubale il Calvo.Mentre le imbarcazioni cartaginesi navigavano verso la Sardegna, in direzione di Cornus, luogoprevisto per lepico scontro, ventiduemila legionari e milletrecento cavalieri romani, sotto la guidadi Tito Manlio Torquato, partivano da Kalaris, lodierna Cagliari, per raggiungere la medesimadestinazione dei punici. Amsicora intanto, con una parte del suo esercito, si era recato nelle montagnebarbaricine, in visita ai nuragici Pelliti che vi abitavano, allo scopo di ottenere anche da loro unappoggio militare. La trib dei Pelliti, daltra parte, sopravviss