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Talassemie intermedie / Dolore del bambino / Insonnia in età evolutiva / Consenso del minore / RGE 15.4 Comportamento dirompente / Ipertensione arteriosa / Test cutanei per allergeni alimentari / Dolore: miti e verità Trimestrale | Poste Italiane SpA – Sped. Abb. Post. DL 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, DCB Roma – Aut. GIPA/C/RM/26/2013 del 28/06/2013 – ISSN 2385-0736 | Un fascicolo 25 euro Rivista ufficiale di Formazione continua della Società Italiana di Pediatria Vol. 15 | n. 4 | ottobre–dicembre 2014

15.4 / Consenso del minore / RGE - sip.it · Talassemie intermedie / Dolore del bambino / Insonnia in età evolutiva 15.4 / Consenso del minore / RGE Comportamento dirompente / Ipertensione

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Talassemie intermedie / Doloredel bambino / Insonnia in età evolutiva/ Consenso del minore / RGE15.4 Comportamento dirompente / Ipertensione arteriosa / Test cutanei per allergeni alimentari / Dolore: miti e verità

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~ In caso di stanchezza, spossatezza o inappetenza

~ In periodi di crescita o sforzo psicofisico intenso

~ Per migliorare l’attività scolastica e lo studio

~ In caso di sindromi influenzali, nel periodo di convalescenza

~ Durante i cambi di stagione

~ In caso di attività sportiva intensa

~ Durante la terapia farmacologica

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Rivista ufficiale di Formazione continua

della Società Italiana di Pediatria

Vol. 15 | n. 4 | ottobre–dicembre 2014

[EditorialE]Alimentazione & Food EconomyLuciana Indinnimeo

Il pediatra moderno è sempre più impegnato a conoscere la natura del cibo in quanto risorsa di sviluppo per il suo piccolo assistito e talvolta causa di malattie > 141

[tutto su / 1]

Il trattamento dei disturbi da comportamento dirompente in età evolutivaSimona Rosina, Marco Lamberti, Massimo Ciuffo, Nadia Imbrigiotta, Antonella Gagliano, Dante Ferrara, Davide Vecchio, Giovanni Corsello

Una revisione della letteratura scientifica dedicata alle attuali possibilità terapeutiche disponibili per il trattamento dei DBD in età evolutiva > 142

[ComE si fa / 1]

Ipertensione arteriosa in età pediatrica: prevenzione, diagnosi e trattamentoAmedeo Spagnolo, Amalia Maria Ambruzzi, Mario Bianchetti, Marco Giussani, Silvio Maringhini, Maria Chiara Matteucci, Ettore Menghetti, Patrizia Salice, Loredana Simionato, Mirella Strambi, Raffaele Virdis, Simonetta Genovesi

Raccomandazioni congiunte della Società Italiana di Pediatria e della Società Italiana della Ipertensione Arteriosa > 150

[Pro E Contro]

Il ruolo dei test cutanei per allergeni alimentari nella dermatite atopicaElisabetta Calamelli, Giampaolo Ricci, Carlotta Povesi Dascola, Carlo Caffarelli

Il rapporto tra DA e allergia alimentare è da lungo tempo oggetto di interesse da parte della comunità scientifica > 156

[tutto su / 2]

Dolore in Pediatria: miti e veritàFranca Benini, Egidio Barbi, Luca Manfredini

In passato, il dolore nel bambino e soprattutto nel neonato/pretermineË stato spesso sottodiagnosticato e di conseguenza sottotrattato > 161

[ComE si fa / 2]

La terapia analgesica non farmacologica: alcune tecniche alla portata di tuttiPierina Lazzarin, Filippo Coccato, Maria Chiara Giglio, Grazia Ghiraldo, Paola Amoruso, Franca Benini

Sono qui descritte alcune tra le TNF che più frequentemente possono essere utilizzate soprattutto in ambito ospedaliero > 174

[Quiz] Test di autovalutazione > 180

In copertina ‘Fernand Halphen enfant’,

Auguste Renoir, 1880, olio su tela.Grand Palais - Musée d’Orsay, Parigi.

All’interno (pag. 142) ‘Un castello alieno’,

Bernardo, 6 anni pennarello e pastello su carta, 30x30 cm

(pag. 150) ‘Senza titolo’ (part.), Pietro, 3 anni,

pennarello su carta, 30x21 cm(pag. 161) ‘Una casa’, Ismaele, 4 anni,

pennarello su carta, 30x21 cm(pag 174) ‘Natale’ (part.), Sara, 10 anni

pennarello su carta, 30x21 cm

Fernand Halphen era figlio di Georges Halphen, ricchissimo mercante di diamanti, e di Henriette Antonia Stern, rampolla di una famiglia di banchieri. Fu un pianista di chiara fama e un compositore, ma morì ancora giovane al fronte, durante la Prima Guerra Mondiale. Quando aveva otto anni fu ritratto su commissione da Auguste Renoir (1841–1919), che negli anni Ottanta del XIX secolo era un artista molto richiesto dalle famiglie dell’alta società francese. Si può però dedurre che l’opera di Renoir non fu molto apprezzata dai coniugi Halphen, perché il costoso ritratto del bambino fu regalato a una ex governante di Fernand. Prima di tornare alla famiglia e nel 1995 essere venduta al Musée d’Orsay, la tela è passata per le mani del celebre mercante d’arte Jos Kessel e del collezionista Charles Pacquement. Sul sito web dell’istituzione museale parigina si legge: “Ai nostri giorni, le reticenze suscitate dalla pittura di Renoir possono destare stupore. È possibile che l’estrema franchezza della tavolozza del pittore, ben lontana dai colori smorzati dei ritrattisti maggiormente in voga in quel periodo, sia uno dei motivi di un simile atteggiamento. La semplicità del modellato, l’insistenza sui contorni indicano che (in questa opera, ndr) Renoir è ad uno stadio decisivo della sua evoluzione”.

~ In caso di stanchezza, spossatezza o inappetenza

~ In periodi di crescita o sforzo psicofisico intenso

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Il prontuario Dicofarm è

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Direttore Scientifico

Luciana IndinnimeoProfessore Aggregato di PediatriaDipartimento di Pediatria e NPIUniversità di Roma “Sapienza”e-mail: [email protected]

Comitato Editoriale

Sandra BrusaMaria Elisabetta Di CosimoDante FerraraPietro FerraraLuciana IndinnimeoRocco RussoAnnamaria StaianoPier Angelo TovoRenato VitielloUfficio Editoriale

David FratiIl Pensiero Scientifico Editore via S. Giovanni Valdarno, 8 - 00138 Romae-mail: [email protected]

Direttore Responsabile

Luca De FioreISSN 2385-0736

Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 311

del 5 maggio 2000

Progetto grafico e impaginazione

Chiara Caproni immagini&immagine - RomaStampa

Arti Grafiche Trisvia delle Case Rosse, 23 - 00131 RomaFinito di stampare nel mese di febbraio 2015

Società Italiana di Pediatria

via Libero Temolo, 4 - 20126 Milanotel. 02.45498282, fax 06.45498199cell. 340.4244544e-mail: [email protected]

Presidente

Giovanni CorselloVice Presidenti

Luigi GrecoAlberto VillaniTesoriere

Rino AgostinianiConsiglieri

Fabio CardinaleAntonio CorreraLiviana Da DaltDomenico MinasiAndrea PessionConsiglieri junior

Massimo BarbagalloElvira VerduciDelegato Sezioni Regionali SIP

Valerio FlaccoDelegato Consulta Nazionale

Costantino RomagnoliDelegato Conferenza Gruppi di Studio

Gian Paolo Salvioli

Rivista ufficiale di Formazione continuadella Società Italiana di Pediatria

di Luciana [email protected]

Questo editoriale è la prima parte di una riflessione sull’a-

limentazione che comprenderà a-spetti socioeconomici dell’alimen-tazione, moderni concetti nutrizio-nali del bambino e la relazione tra nutrizione-alimentazione e malattie. Il pediatra moderno, oltre ad avere solide basi nutrizionali, è sempre più impegnato a conoscere la natura del cibo in quanto risorsa per lo sviluppo (ma talvolta causa di malattie) del suo piccolo paziente.

In tutto il mondo e in partico-lare nella società occidentale il cibo sta assumendo sempre più una di-mensione antropologica e ha smes-so definitivamente le “vesti di pura necessità, per diventare l’oggetto di discussione a livello sociale”, come scrive l’economista Antonio Bel-loni. Oggi il cibo è nutrizione, co-municazione, marketing, pubblicità, semiologia, diritto, fisica, ecologia: molto più che una “semplice” espe-rienza sensoriale ed estetica. Un tempo la vita di un pomodoro si prospettava abbastanza tranquilla e lineare: nasceva e cresceva all’aperto, in un campo, magari in compagnia di qualche melanzana, attendendo solo di finire in un piatto insieme a qualche foglia di basilico. Oggi fin

dalla nascita è controllato, pesato e fotografato. Dopo qualche giorno può essere sulla copertina di un set-timanale, immortalato tra le mani di qualche vip che ne esalta virtù e benefici per la salute; ancora, può ritrovarsi in televisione, maneggiato come fosse un gioiello da un cuoco di fama, intento a mostrarne le ve-nature e descriverne la provenien-za; infine, magari dopo essere stato consumato, la sua immagine girerà ancora sul web in una preparazione culinaria speciale. Questi fenomeni sociali e antropologici legati al cibo e all’alimentazione hanno tutti in qualche modo un precipitato eco-nomico che viene perfettamente sintetizzato nell’espressione “Food Economy”.

L’anno 2015 sarà un anno im-portante per l’alimentazione, so-prattutto per due appuntamenti.

Il primo è rappresentato dall’Expo Mondiale di Milano dedicata proprio all’alimentazione nella quale, tra i vari argomenti in agenda, saranno trattati i corretti stili di vita alimentare, l’agricoltura

sostenibile e la riduzione dello spre-co alimentare. Il secondo evento, meno pubblicizzato ma non meno importante, è rappresentato dalla probabile conclusione nel 2015 del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), enorme patto economico su cui stanno trattando da un anno e mezzo Europa e Stati Uniti per scambiarsi più merci ‒ tra cui anche prodotti alimentari ‒ e servizi. Sarà creato presto un unico mercato agroalimentare per 800 milioni di consumatori.

È un dato di fatto che il cibo sia entrato nella grammatica operativa della finanza mondiale diventan-do un’altra “commodity” come il petrolio e le altre materie prime sottostando, oltre che alla legge della domanda e dell’offerta, anche a criteri speculativi impostati ad a-spettative di profitti crescenti o di giochi geopolitici.

In un’epoca di Food Economy noi pediatri non dobbiamo far-ci trovare impreparati di fronte a cambiamenti di questa portata e dobbiamo arricchire il nostro ar-mamentario professionale di nuove conoscenze idonee a raggiungere gli obiettivi di salute per i nostri bambini e le loro famiglie .

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Alimentazione & Food Economy

Caso clinico Titolo articolo anche lungo

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[ tutto su ]

Il trattamento dei disturbida comportamento dirompente in età evolutivaUna revisione della letteratura scientifica dedicata alle attuali possibilità terapeutiche disponibili per il trattamento dei DBD in età evolutiva.

Simona Rosina, Marco Lamberti, Massimo Ciuffo, Nadia Imbrigiotta, Antonella Gagliano1

Dante Ferrara, Davide Vecchio, Giovanni Corsello2

1 Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile – Università degli Studi di Messina2 Scuola di Specializzazione in Pediatria – Università degli Studi di Palermo

Introduzione

I disturbi da comportamento dirompente pos sono essere descritti come un continuum che emer-ge dal Disturbo Oppositivo-provocatorio (ODD)

e giunge al Disturbo di Condotta (CD). Entrambi que-sti disturbi possono associarsi al Disturbo da Deficit di Attenzione con Iperattività (ADHD) e, contempora-neamente, essere precursori del Disturbo Antisociale di Personalità (ASPD) (Loeber et al, 2000). Il Disturbo di Condotta e il Disturbo Oppositivo-Provocatorio costi-tuiscono un importante problema clinico in età evolutiva, data l’incidenza sempre crescente negli ultimi anni. Una puntuale revisione della letteratura effettuata da Hinshaw e Lee (2003) metteva in risalto come la prevalenza all’in-terno degli studi clinici di bambini e/o adolescenti con ODD variasse dall’1% del campione ad oltre 20%, mentre quella di popolazioni con diagnosi di OD da meno dell’1% ad oltre il 10% (TDMHSAS Best practice guidelines, 2013). Nel complesso possiamo affermare che i disturbi da com-portamento dirompente in età evolutiva comprendono un ampio spettro di problematiche comportamentali ed af-fettive. Questo articolo si propone di fornire una revisione delle attuali possibilità terapeutiche, sia farmacologiche che psicoeducative, disponibili per il trattamento di questi disturbi . Appare importante in particolare che il clinico consideri il farmaco come un irrinunciabile strumento di intervento da utilizzare soprattutto nei casi in cui i DBD possono costituire un elemento di rischio evolutivo.

Caso clinico

Antonio giunse alla nostra osservazione all’età di 14 anni e 7 mesi. Nella storia clinica si registrava

una diagnosi di Disturbo da Deficit di Attenzione/Ipe-rattività formulata presso un centro di salute mentale del territorio quando Antonio aveva 7 anni. Non era stato adottato alcun provvedimento terapeutico. Le modalità di comportamento si mostrarono da subito orientate a violare le norme sociali, ad attaccare aggressivamente o minacciare gli altri. In particolare si descrivevano atti di aggressione fisica, scatenati da frustrazioni e divieti, rivolti alla madre e al nonno materno, che rappresenta-vano le principali figure di riferimento affettivo e di con-trollo normativo. Seppure saltuariamente, il ragazzino si lasciava coinvolgere da un gruppo di coetanei in atti di bullismo e in atteggiamenti non aderenti alle norme sociali. L’inizio dell’attività sessuale era stato piuttosto precoce e il ragazzino aveva anche avviato il consumo di sostanze alcoliche e di sigarette. Frequenti erano le menzogne e le false promesse per ottenere vantaggi e permessi. La frequenza della scuola era incostante, con impegno accademico molto ridotto. L’affettività con-nessa agli eventi negativi era piuttosto piatta, con scarsa partecipazione affettiva, ridotte capacità empatiche e di decentramento, scarso interesse per i sentimenti e i desideri degli altri. Non sembrava mancare, però, l’in-sight rispetto ai suoi stati emotivi e cognitivi ed una certa quota, seppure emergente, di giudizio e critica dei suoi comportamenti. Tali modalità di comportamento erano presenti in tutti gli ambienti di vita del ragazzo e causavano compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale e scolastico. La situazione familiare risultava caratterizzata dalla separazione della coppia parentale originale, non più conflittuale e con ruoli e spazi affettivi sufficientemente definiti. Una fi-gura parentale di supporto molto significativa nella vita del ragazzino era il nonno materno.

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Si effettuò pertanto un colloquio con tutti gli adulti di riferimento del ragazzo, che si dimostrarono molto at-tenti, cooperativi e aderenti alle direttive. Si presero anche in considerazione le caratteristiche dell’ambiente in cui le modalità di comportamento indesiderabile erano sta-te emesse dal ragazzo. Infatti Antonio aveva frequentato gruppi di coetanei dissociali e problematici. Apparve chiaro che il comportamento atipico del ragazzo aveva lo scopo di aderire alle regole del gruppo, ma al tempo stesso era sintomatico di un sottostante e preesistente malfunziona-mento in termini comportamentali e neuropsicologici, non spiegabile semplicemente come adattamento al contesto sociale ed insorto molto precocemente (età pre-scolare). Venne così avviata una politerapia con acido valproico come stabilizzatore dell’umore e con un antipsicotico di ultima generazione (aripiprazolo) per il controllo dei com-portamenti aggressivi. Contemporaneamente si propose al ragazzo un ciclo di sedute di psicoterapia ad indirizzo cognitivo-comportamentale. Nei sei mesi successivi si os-servarono costanti e progressivi miglioramenti del quadro clinico. Il ragazzo continuò ad assumere con regolarità la terapia farmacologia con acido valproico e aripiprazolo. I colloqui di supporto furono interrotti per conclusione del ciclo.

A distanza di 6–12 mesi le condotte impulsivo-ag-gressive risultavano quasi completamente estinte; l’adat-tamento ed il rispetto delle regole sociali si era ampliato significativamente e non si registravano più comporta-menti evidenti di violazione delle regole comunitarie. Il ragazzo veniva avviato all’apprendistato di un’attività lavorativa e alla frequenza di una scuola serale. L’umore risultava sufficientemente stabile e la consapevolezza dei suoi e degli altrui stati emotivi e cognitivi era nettamente aumentata. Le dinamiche relazionali intra ed extra-fa-miliari erano notevolmente migliorate e il ragazzo aveva stabilito rapporti sereni con tutti gli adulti di riferimento.

Classificazione e descrizione dei dbd

Il DSM IV, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (APA, 1994), annoverava

tra i Disturbi Dirompenti del Comportamento:

· F90.0 Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperat-tività [314]

· F90.9 Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperat-tività Non Altrimenti Specificato [314.9]

· F91.8 Disturbo della Condotta [312.8]

· F91.3 Disturbo Oppositivo Provocatorio [313.81]

· F91.9 Disturbo da Comportamento Dirompente Non Altrimenti Specificato [312.9].

Il DSM-5 (APA, 2013) ha estrapolato il Disturbo da De-ficit di Attenzione/Iperattività da questo gruppo di disturbi, collocandolo tra i disturbi del neurosviluppo, e ha invece incluso nuove categorie diagnostiche che fanno riferimen-to alla condizione di difficoltà nel controllo degli impulsi. Le attuali categorie diagnostiche comprese all’interno dei Disturbi da Comportamento Dirompente sono le seguenti:

· F91.3 Disturbo oppositivo provocatorio [313.81]

· F63.81 Disturbo esplosivo intermittente [312.34]

· Disturbo di condotta- F91.1 Esordio Infantile [312.81]- F91.2 Esordio Adolescenza [312.32]- F91.9 Esordio Non specificato [312.89]

· F60.2 Disturbo antisociale di personalità [301.7]

· F63.1 Piromania [312.33]

· F63.3 Kleptomania [312.32]

· F91.8 Altri specificati disturbi dirompenti, da discontrollo degli impulsi e disturbi di condotta [312.89]

· F91.9 Altri non specificati disturbi dirompenti, da discontrollo degli impulsi e disturbi di condotta [312.9].

Si tratta pertanto di condizioni accomunate dalla presenza di una difficoltà nel controllo delle emozioni e nell’autoregolazione del comportamento, che si associano ad azioni che violano i diritti e l’incolumità altrui e/o sono in conflitto con le comuni norme della società. Questi disturbi sono maggiormente comuni negli uomini rispetto alle donne e vedono il loro esordio nell’infanzia o, al più tardi, in adolescenza. I sintomi-cardine si identificano, classicamente, nei maschi, nell’irrequietezza motoria con atteggiamenti di sfida, aggressività fisica e spesso violazio-ne delle regole (ad esempio vandalismo, furti ed indiscipli-na scolastica compresa la scarsa frequenza e l’abbandono), mentre nelle femmine si esprimono maggiormente con comportamenti caratterizzati perlopiù da menzogne, fughe scolastiche e condotte sessuali devianti come per esempio la facile promiscuità. È quindi fondamentale che la frequenza, la persistenza e la pervasività associati a tali comportamenti vengano rapportati ad età, sesso e cultura per definirne il grado di disfunzionalità ed evitare il gravo impatto sociale che ne può conseguire.

La novità più significativa introdotta dal DSM 5 è quella dell’individuazione dei tratti Calloso Anemozio-nali (CU), importanti per effettuare una sottotipizzazione all’interno della categoria ampia dei Disturbi dirompenti del comportamento (DCD).

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I tratti CU comprendono:1. mancanza di rimorso e senso di colpa (lack of re-

morse or guilt): il soggetto non si pente quando fa qualcosa di sbagliato ed ha una ridotta preoccu-pazione per le conseguenze negative delle proprie azioni;

2. mancanza di empatia(callous-lack of empathy): il soggetto non è interessato ai sentimenti degli altri; è freddo e insensibile ed appare preoccupato solo degli effetti su di sé delle proprie azioni, anche se esse possono causare danno agli altri;

3. assenza di preoccupazioni per le sue performance (unconcerned about performance): il soggetto non mostra preoccupazione per gli scarsi risultati sco-lastici, sul lavoro o in altre attività importanti, non fa alcuno sforzo per raggiungere i risultati anche quando gli obiettivi sono chiari, ma tipicamente dà la colpa agli altri per i suoi insuccessi;

4. appiattimento affettivo (shallow or deficient affect): non esprime sentimenti né mostra le sue emozioni agli altri, se non in maniera superficiale e non sin-cera, o quanto ciò gli procuri vantaggi (ad esempio per manipolare e intimidire gli altri).

Diversi studi dimostrano, infatti, come i tratti CU ab-biano una validità diagnostica non soltanto nel Disturbo di condotta ma anche negli altri disturbi da comporta-mento dirompente (Herpers et al, 2012).

Basi neurobiologicheLa base neurobiologica del comportamento aggressivo è il circuito neuronale che coinvolge l’amigdala e l’ipotalamo. L’amigdala è stata identificata come struttura centrale del circuito neurale coinvolto nella percezione della salien-za emozionale nelle espressioni facciali; sembra, quindi, che essa svolga un ruolo più generale nel processamento di tutte le forme di informazioni sociali salienti – oltre che dei segnali a valenza negativa o minacciosi – o nel-la decodifica di espressioni facciali di natura ambigua (Fitzgerald et al, 2006). L’amigdala esplica la sua azione attraverso le connessioni con l’ipotalamo che, a sua volta, agisce sul mesencefalo (tegmento ventrale e grigio peri-acqueduttale).

Aspetti neuropsicologiciSi ammette che alla base di questo gruppo di disturbo ci siano disfunzioni neurocognitive che compromettono la capacità di fare associazioni tra comportamenti e con-seguenze negative e positive o che generano una ridotta sensibilità alla punizione e/o alla ricompensa. Di conse-guenza, sia l’apprendimento di un comportamento ade-guato che la capacità di astensione da un comportamento errato risultano alterati (Matthys et al, 2012).

Un altro importante aspetto da tenere in considerazio-ne è quello relativo alla tipologia dell’aggressività (Vitiello & Stoff, 1998; Masi et al, 2011) che molto frequentemente si associa a questi disturbi e che può essere:

· predatoria: non impulsiva, finalizzata all’ottenimen-to di un vantaggio, programmata, spesso subdola e furtiva, spesso non associata ad uno stato affettivo significativo, è associata a basso arousal, ed a mag-giore rischio di evoluzione antisociale. L’obiettivo è ottenere il possesso di un oggetto (object-oriented) o il dominio su una persona (person-oriented);

· affettiva: impulsiva, associata a situazioni provo-canti esterne (reali o interpretate come tali), ha un elevato livello di arousal, disinibizione, instabilità affettiva, ha più rara evoluzione dissociale.

Comorbilità e outcomeI disturbi dirompenti del comportamento sono frequente-mente associati con il Disturbo da Deficit d’Attenzione/Iperattività, con i disturbi dell’umore sia di tipo depressivo che bipolare (Biederman et al, 2003), con il disturbo da abuso di sostanze e con il disturbo da discontrollo degli impulsi. L’alto tasso di comorbilità tra questi disturbi tro-va motivo nella condivisione di identici fattori di rischio e nell’influenza bidirezionale di ognuna di queste patologie (Masi et al, 2008). Se non adeguatamente e tempestiva-mente trattati questi disturbi tendono a progredire. Il grave impatto sociale che consegue a tali disturbi può manifestarsi con isolamento dalla comunità e successiva associazione a gruppi disfunzionali. Il frequente abban-dono scolastico e quindi il mancato completamento degli studi inasprisce il disagio sociale e può impedire un’ade-guata integrazione lavorativa. Le condotte aggressive-

I disturbi da comportamento dirompente possono essere descritti come un continuum che emerge dal disturbo oppositivo-provocatorio (ODD) e giunge al disturbo di condotta (CD).

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impulsive concorrono a possibili problematiche legali con gravi ripercussioni sia sull’individuo stesso che sui costi sociali che ne derivano.

Le forme ad insorgenza precoce sono più gravi perché hanno una maggiore tendenza a mantenersi in età adole-scenziale ed adulta con comportamenti antisociali. L’identifi-cazione precoce di bambini a rischio di disturbo del compor-tamento dirompente consente quindi di avviare rapidamente un percorso terapeutico integrato (Eyberg et al, 2008) ed interrompere la spirale negativa che ne può conseguire.

Trattamento non farmacologico

Il trattamento si basa su un intervento olistico il cui target non è soltanto il bambino ma anche la

famiglia, la scuola, il contesto sociale così come le figure professionali che intervengono nel progetto riabilitativo. Il trattamento dei DBD deve necessariamente compren-dere interventi volti a migliorare l’interazione genitore-figlio (Boggs et al, 2004) e un training per le abilità di problem-solving (Kulkarni et al, 2010).

Gli obiettivi del trattamento sono:

· riduzione dei comportamenti disfunzionali;

· ampliamento delle capacità di adattamento sociale;

· valorizzazione dei “punti di forza”;

· prevenzione del fallimento e/abbandono scolastico;

· inserimento in attività extracurriculari;

· indicazione di percorsi terapeutico-riabilitativi al termine del trattamento.

Il trattamento psicoeducativo si basa su:

· terapia cognitivo comportamentale

· parent training.

Terapia cognitivo comportamentale La psicoterapia cognitivo comportamentale individuale è utilizzata per aiutare i bambini e gli adolescenti a ridurre i loro comportamenti negativi ed oppositivi (Behavior Guide Staff, 2006). Essa è finalizzata ad implementare la capacità di autocontrollo ed autoregolazione del com-portamento, di attenzione, pianificazione e di gestione strategica delle attività tramite un approccio focalizzato sui processi cognitivi e di socializzazione. L’approccio comportamentale è caratterizzato da un dettagliato as-sessment delle risposte problematiche e delle condizioni ambientali che le elicitano e le mantengono, nonché delle strategie per produrre un cambiamento nell’ambiente circostante e quindi nel comportamento dei genitori. Durante un trattamento di tipo comportamentale, sia

le contingenze ambientale positive, sia quelle negative che incrementano o decrementano la frequenza di alcuni comportamenti sono identificate e quindi modificate nel tentativo di far diminuire i comportamenti “problema” e far aumentare quelli di tipo adattivo. Ulteriori obiettivi sono: la riduzione, fino alla scomparsa, del comportamen-to di evitamento delle situazioni (e quindi dei comporta-menti) che provocano disagio interiore; la ristrutturazione di pensieri e di credenze disfunzionali (Cognitive refra-ming); l’agevolazione e l’incentivazione delle personali capacità di far fronte alle problematiche (Coping).

Parent training Tale approccio terapeutico è volto al miglioramento delle capacità di gestione educativa del bambino e delle intera-zioni all’interno del nucleo familiare. Il parent training è suggerito infatti come una via per l’acquisizione di tecni-che di gestione dei comportamenti, provocatori e distrut-tivi e, al tempo stesso, come strumento di modificazione dei rapporti genitore/bambino in ambiente domestico (Kazdin, 2000). Il trattamento basato sulla modificazio-ne del comportamento dei genitori, si fonda sulla teoria dell’apprendimento sociale, ed è stata sviluppata per ge-nitori di bambini iperattivi, impulsivi, non cooperativi, oppositivi e aggressivi (Vio, Marzocchi & Offredi, 1999; Barkley, 2006). Esistono numerose evidenze a favore dell’idea che il trattamento integrato genitore-bambino si dimostra efficace nel produrre un miglioramento dei comportamenti disfunzionali (Boggs et al, 2004). Tali risultati sono confermati da Streiner e Remsing, 2007 e da Eyberg, Nelson e Boggs, 2008.

Trattamento farmacologico

La farmacoterapia non rappresenta la prima linea di intervento (Kazdin, 2000), ma nel trattamento

dei DBD riveste comunque un ruolo centrale, soprattutto con riferimento ai quadri di maggiore gravità ed in cui il rischio evolutivo è elevato. Ci si avvale dell’utilizzo di diver-si farmaci per controllare l’aggressività e i comportamenti dirompenti associati all’ODD e al CD, nonostante molte delle molecole non siano ancora state approvate per l’uso in età pediatrica e devono pertanto essere prescritte off label. Ulteriore obiettivo del trattamento farmacologico è il con-trollo dei sintomi e/o della disregolazione comportamen-tale in modo da implementare il beneficio dei trattamenti psicoeducativi (Bradley, 2004). Sebbene il razionale alla base dell’uso degli atipici per il controllo dei comporta-

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menti gravemente disturbanti sia sufficientemente solido, pochi trial clinici in età evolutiva sono ancora disponibili sull’efficacia e la sicurezza a breve e lungo termine della gran parte delle molecole utilizzate. Ciò è probabilmente attribuibile agli elevati costi da sostenere per uno studio clinico controllato e ai problemi etici che coinvolgono l’a-nalizzare popolazioni pediatriche.

Le categorie farmacologiche maggiormente utilizzate sono le seguenti:

· antipsicotici (tipici ed atipici);

· stimolanti;

· stabilizzatori dell’umore.

AntipsicoticiGli antipsicotici rappresentano una vasta classe di farmaci che comprende sia il gruppo degli antipsicotici classici (ti-pici) che e quello degli antipsicotici di nuova generazione (atipici). La caratteristica farmacologica chiave di tutti i neurolettici con proprietà antipsicotiche è la loro capacità di bloccare i recettori D2 della dopamina. I neurolettici di nuova generazione sono invece antagonisti serotonino-dopaminergici con proprietà antagonistiche dei recettori A2 della serotonina e D2 della dopamina. Il loro differente controllo serotoninergico del rilascio della dopamina è alla base della minore incidenza di effetti collaterali di tipo extrapiramidale. Numerose evidenze si sono accumulate sull’efficacia degli antipsicotici atipici sui sintomi impulsivi e aggressivi in età evolutiva (Loy et al, 2012; Pringsheim et al, 2012; Findling et al, 2008). Soprattutto il risperidone si è dimostrato efficace nel ridurre i sintomi comportamentali (irritabilità, aggressività, stereotipie) in pazienti pediatrici con disturbi da comportamento dirompente (Findling et al, 2004; Reyes et al, 2005, Pringhseim et al, 2012; Duhing et al, 2013). L’efficacia sui sintomi comportamentali sembra si mantenga anche a lungo termine (Loy et al, 2012). Anche l’aripiprazolo si è dimostrato un trattamento efficace e ben tollerato per bambini e adolescenti con ADHD e sintomi di disturbi di condotta (Ercan et al, 2012). La categoria degli antipsicotici atipici ha un minor rischio di effetti ex-trapiramidali; di contro è ampiamente documentato che si associa frequentemente ad effetti metabolici e ad aumento ponderale. Negli ultimi anni si sono accumulate numerose

segnalazioni di sindrome metabolica (modificazioni del metabolismo lipidico e glucidico ed incremento della pres-sione arteriosa) in bambini e ragazzi trattati con atipici, che appaiono più sensibili degli adulti a questo genere di effetti avversi (Dori & Green, 2011). Seppure appaiono piuttosto sicuri sul piano dei potenziali effetti avversi cardiovascolari, soprattutto relativamente alla possibilità di allungamento del tratto Qt (Germanò et al, 2013), è sempre utile sotto-porre i pazienti in trattamento ad un attento monitoraggio cardiovascolare.

PsicostimolantiGli stimolanti sono una classe di farmaci che implemen-tano le abilità attentive ed il controllo inibitorio, miglio-rando la capacità di aderire e di beneficiare degli interven-ti psicosociali (Klein et al, 1997, Coghill et al, 2013). Quelli utilizzati nella pratica clinica sono metilfenidato (MPH) e d-amfetamina, che agiscono prevalentemente rilascian-do dopamina dai terminali dopaminergici presinaptici. L’altra isoforma di amfetamina, la l-amfetamina, rilascia noradrenalina e dopamina con meccanismo simile. In Italia è attualmente disponibile solo il MPH (a breve e a lunga emivita). Tutti gli psicostimolanti si sono dimostrati efficaci sull’aggressività (Connor et al, 2002), soprattutto nei DBD in comorbilità con ADHD.

Stabilizzatori dell’umore Si dicono stabilizzatori dell’umore i farmaci attivi nel trattamento dei disturbi dell’umore caratterizzati da au-mento o da un abbassamento del tono dell’umore. Essi comprendono il litio ed alcuni farmaci usati anche come antiepilettici (valproato, carbamazepina, lamotrigina, to-piramato). La letteratura è concorde nel sottolineare che gli stabilizzatori dell’umore e gli antiepilettici possono ridurre i comportamenti aggressivi, impulsivi e discon-trollati che si associano a questi disturbi (Donovan et al, 2000). Il carbolithium in particolare sembra dotato di proprietà anti-aggressive (Rifikin et al, 1997).

Altre strategie terapeuticheLa clonidina è un farmaco agonista alfa 2 adrenergico che inibisce il rilascio di noradrenalina. Ha effetto anti-

Questi disturbi sono maggiormente comuni negli uomini rispetto alle donne, e vedono il loro esordio nell ’infanzia o, al più tardi, in adolescenza.

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pertensivo e può anche essere utilizzato nel trattamento dell’ADHD, soprattutto quando l’ADHD si associa a tic/Sindrome di Tourette. L’efficacia della clonidina nel trattamento dell’aggressività è stata indagata soprattutto in studi in aperto (Kemph et al, 1999). Hazell e Stuart, 2003 hanno utilizzato la clonidina come potenziamento della terapia con stimolanti con miglioramento del 50% dei pazienti trattati. L’effetto avverso più comunemente riportato è la sedazione.

Ancora in fase di approvazione, sono:

· lysdexanfetamina: profarmaco metabolizzato a d-amfetamina che favorisce il rilascio di dopamina e norepinefrina con miglioramento delle capacità attentive e azione sullo stato di allerta;

· guanfacina: agonista degli alfa 2A adrenergici con azione a livello della corteccia prefrontale che migliora l’attenzione e l’autoregolazione comportamentale.

Algoritmo terapeuticoRicercatori e clinici di tutto il mondo condividono le preoccupazioni che molti giovani con ADHD e/o di-

sturbi del comportamento dirompente (DBDS) non ricevano un trattamento adeguato, nonostante la di-sponibilità di terapie efficaci. In un articolo del 2004 sono state pubblicate le conclusioni di un consensus di esperti (selezionati dal Prof. Kutcher), che ha indicato le migliori strategie di trattamento precoce di bambini con ADHD (o disturbo ipercinetico, nei paesi preferen-do questa classificazione) e/o DBDS. Il trattamento di prima linea suggerito per l’ADHD senza comorbilità è stato quello di un farmaco psicostimolante accompagna-to da un intervento psicosociale. Per i pazienti ADHD in comorbilità con disturbo della condotta (CD) l’in-tervento psicosociale dovrebbe essere in combinazione con la farmacoterapia. Per quelli con CD invece, viene suggerito quale trattamento di prima linea l’intervento psicosociale, mentre la farmacoterapia aggiuntiva viene considerata quando l’aggressività e l’impulsività sono marcate e persistenti. La terapia con psicostimolanti in add-on all’antipsicotico di seconda generazione è consigliata solo come trattamento di terza linea dopo la monoterapia con stimolanti e l’utilizzo di stimolanti

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combinati con interventi comportamentali (Linton et al, 2013). Sebbene ulteriori studi siano comunque necessari per confermare l’efficacia e la tollerabilità a lungo di uso concomitante di antipsicotici e psicostimolanti nei bambini e negli adolescenti nella pratica clinica tale tipo di terapia è attualmente molto diffusa. Anche la gran parte dei pazienti in età evolutiva con disturbi da comportamento dirompente, associati a ritardo mentale, disturbi dello spettro autistico e sindrome di Tourette, presentano una riduzione dei sintomi comportamenta-li gravi (negatismo, ostilità, discontrollo dell’impulso, aggressività, agiti distruttivi, etc.) con l’associazione di una psicofarmacoterapia ai trattamenti psicoeducativi e psicoterapici (Amam et al, 2002; Budman et al, 2008).

discussioni e conclusioni Dai rilievi della letteratura appare evidente come il trat-tamento dei Disturbi da Comportamento Dirompente in età evolutiva debba prevedere l’uso in prima linea

di trattamenti non farmacologici basati sull’approccio psicoterapico cognitivo-comportamentale e sul parent training. Occorre però considerare che in molti casi tale strategia può risultare insufficiente, lenta a pro-durre effetti o difficilmente realizzabile. Spesso inoltre la disfunzionalità data dal disturbo rende necessario ottenere dei risultati in tempi rapidi per evitare che i comportamenti disfunzionali si cronicizzino o che si instauri un disturbo di personalità. Come seconda linea pertanto, soprattutto nel caso di comorbilità con ADHD o disturbi dell’umore, l’approccio terapeutico deve pre-vedere l’uso della terapia farmacologica. In questo caso, la classe di farmaci che gode delle maggiori evidenze scientifiche è quella degli antipsicotici atipici, dotati di una sufficiente efficacia e tollerabilità .

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Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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[ come si fa ]

Ipertensione arteriosa in età pediatrica: prevenzione, diagnosi e trattamentoRaccomandazioni congiuntedella Società Italiana di Pediatriae della Società Italiana della Ipertensione Arteriosa.

Amedeo Spagnolo1; Amalia Maria Ambruzzi2; Mario Bianchetti3; Marco Giussani4 [email protected]; Silvio Maringhini5; Maria Chiara Matteucci6; Ettore Menghetti7; Patrizia Salice8; Loredana Simionato9; Mirella Strambi10; Raffaele Virdis11; Simonetta Genovesi12 per conto del Gruppo di Studio Ipertensione Arteriosa della Società Italiana di Pediatria

Società Italiana di Pediatria (SIP), Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA), Società Italiana di Cardiologia Pediatrica (SICP), Società Italiana di Nefrologia Pediatrica (SINP), Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche (SICuPP)

1 ISFOL, già Istituto per gli Affari Sociali; 2 Direttivo Gruppo di Studio Ipertensione della SIP; 3 Department of Pediatrics – Mendrisio and Bellinzona Hospitals, University of Bern, Switzerland; 4 Pediatra di Famiglia Milano, Progetto PAB (Pressione Arteriosa Bambino), Segretario Gruppo di Studio Ipertensione della SIP; 5 Unità Operativa Complessa Nefrologia Pediatrica, Ospedale dei Bambini “G. Di Cristina” A.R.N.A.S. “Civico, Di Cristina e Benfratelli”, Palermo; Direttivo Gruppo di Studio Ipertensione della SIP; 6 Divisione di Nefrologia Pediatrica Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” IRCCS, Roma; Società Italiana di Nefrologia Pediatrica; 7 Direttivo Gruppo di Studio Ipertensione della SIP; 8 Cardiologia Pediatrica UO Cardiologia Fondazione Policlinico Ca’ Granda IRCCS Milano, Coordinatrice Progetto CHild; 9 Pediatra di Famiglia Milano, Progetto CHild; 10 Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione, Università di Siena; 11 Direttivo Gruppo di Studio Ipertensione della SIP; 12 Clinica Nefrologica e Dipartimento di Scienza della Salute Università Milano Bicocca. Progetto PAB (Pressione Arteriosa Bambino), Società Italiana Ipertensione Arteriosa

Caso clinico Titolo articolo anche lungo

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L e raccomandazioni congiunte della Società Italiana di Pediatria e della Società Italiana dell’I-pertensione Arteriosa1 sono la declinazione ita-

liana di quelle della Società Europea dell’Ipertensione Arteriosa2 e si rivolgono in particolare al pediatra di fa-miglia. Questa figura caratterizza l’assistenza al bambino nel nostro Paese e può essere una risorsa nella preven-zione, diagnosi e trattamento dell’ipertensione arteriosa. L’ipertensione è tra i principali fattori di rischio per le patologie cardiovascolari che sono la prima causa di morte e di spesa sanitaria nei paesi sviluppati. Poiché valori di pressione nel bambino tendono a mantenersi nel tempo3, una quota di ipertensioni dell’adulto si devono conside-rare diagnosticate tardivamente.

definizione

S i definisce iperteso un bambino che, ad almeno tre rilevazioni in occasioni diverse, ha una media

di valori sistolici e/o diastolici maggiori o uguali al 95° percentile per sesso, età e percentile di statura. Si parla di pressione normale alta se i valori sono superiori o uguali al 90° percentile ma inferiori al 95°. Anche se sono dispo-nibili valori di riferimento nazionali, la Società Europea dell’Ipertensione Arteriosa propone di utilizzare quelli degli USA4; perché l’ampio campione americano permet-te di considerare contemporaneamente età, sesso e statura. Inoltre è opportuno avere un unico riferimento piuttosto che differenti tabelle nazionali che creerebbero il parados-so di valutare diversamente lo stress vascolare a parità di pressione a seconda della nazionalità del bambino.

Prevalenza

Screening nazionali e internazionali eviden- ziano il 3,5–4% di soggetti con valori indicativi di

ipertensione5. Anche se solo la metà dei casi confermasse la diagnosi a successivi controlli, l’ipertensione arteriosa

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2Come si fa Ipertensione arteriosa in età pediatrica: prevenzione, diagnosi e trattamento

sarebbe tra le patologie più frequenti della seconda infan-zia e dell’adolescenza. L’incidenza di ipertensione in età pediatrica è destinata a crescere, sia per l’incremento di soggetti in eccesso ponderale sia per l’aumentata sopravvi-venza di bambini con basso peso alla nascita. Nei bambini ipertesi o con pressione normale alta è stato evidenziato un aumento della massa cardiaca. Anche in età pediatrica l’ipertensione essenziale è molto più diffusa rispetto alle forme secondarie. Queste ultime sono più frequenti solo nei primissimi anni di vita.

diagnosi

La modalità di misurazione della pressione nel bambino è sovrapponibile a quella dell’adulto, con

due specifici aspetti. L’altezza del bracciale dello sfigmo-manometro deve essere pari al 40% della circonferenza del braccio nel suo punto medio. Bracciali piccoli sovrasti-mano, quelli grandi sottostimano. L’altro aspetto è che la pressione diastolica è definita dalla scomparsa del battito. Anche gli strumenti per la rilevazione meritano attenzio-

ne. Poiché sono stati proscritti gli strumenti a mercurio, gli unici sfigmomanometri utilizzabili negli ambulatori pediatrici sono quelli aneroidi. È diventata quindi fonda-mentale la periodica taratura dell’apparecchio utilizzato, in quanto gli sfigmomanometri anaeroidi si starano molto facilmente. Le metodiche oscillometriche automatiche, con pochissime eccezioni, non sono ancora state validate per l’età pediatrica. Pertanto, se si utilizza uno strumento automatico è necessario confermare la misurazione con metodo ascultatorio e sfigmomanometro aneroide con-trollato di recente. Per quanto attiene al monitoraggio ambulatorio della pressione arteriosa delle 24 ore, questa metodica, al contrario che nell’adulto, in età pediatrica non è il gold standard per la diagnosi di ipertensione. Questo perché i valori di riferimento disponibili sono de-rivati da un campione numericamente limitato6. Tuttavia, nel campo della ricerca e nei centri clinici specializzati il monitoraggio pressorio è sempre più utilizzato e in mani esperte può fornire informazioni importanti:

· la sicurezza della diagnosi di ipertensione nei casi in cui il monitoraggio pressorio conferma i valori riscontrati dal pediatra;

La prevalenza di ipertensione essenziale in screening scolastici è elevata. Se anche solo la metà dei casi confermasse la diagnosi si tratterebbe di una delle patologie più frequenti nel bambino più grande.

Tabella II. Criteri orientativi per la diagnosi differenziale tra ipertensione essenziale e forme secondarie

Forma primitiva Forme secondarie

Esordio Più frequente nella seconda infanzia Spesso precoce

Riscontro Casuale alle visite di controllo annuali

Spesso la patologia di base è già nota

Valori di pressione arteriosa Moderatamente elevati Spesso marcatamente elevati

Sintomatologia associata Nessuna Relativa alla specifica patologia

Anamnesi familiare Spesso positiva per ipertensione essenziale

Rare le forme familiari

Eccesso ponderale Spesso presente Non frequente

Polsi femorali Presenti Ridotti o assenti nella coartazione aortica

differenza valori di pressione tra arti superiori e inferiori

Non presente Presente nella coartazione aortica

Sodiemia, potassiemia, creatininemia, esame delle urine, ormoni tiroidei

Normali Alterati in specifiche patologie

Ecocardiografia Normale (può essere presente ipertrofia ventricolare sinistra)

diagnostica in coartazione aortica (può essere presente ipertrofia ventricolare sinistra)

Tabella I. Principali cause di ipertensione secondaria nel bambino

• Nefropatia cronica

• Ipertensione nefrovascolare

• Coartazione aortica

• Iperaldosteronismo primario

• Sindrome di Cushing

• Sindrome adreno-genitale

• Ipertiroidismo

• Feocromocitoma

• Forme iatrogene

• Forme genetiche

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Come si fa Ipertensione arteriosa in età pediatrica: prevenzione, diagnosi e trattamento

Tabella III. Percentili pressori in funzione di età e altezza

maschi femmine

percentili altezza percentili altezza

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5 90° 104/65 105/66 106/67 108/68 110/69 111/69 112/70 103/66 103/67 105/67 106/68 107/69 109/69 109/70

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8 90° 107/71 109/72 110/72 112/73 114/74 115/75 116/76 108/71 109/71 110/71 111/72 113/73 114/74 114/74

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Per consultare le Raccomandazioni congiunte della Società Italiana di Pediatria e della Società Italiana della Ipertensione Arteriosa “Ipertensione arteriosa in età pediatrica: prevenzione, diagnosi e trattamento” in versione integrale complete di tutte le tabelle:  http://sip.it/formazione-aggiornamento/ ipertensione-arteriosa-in-eta-pediatrica-prevenzione-diagnosi-e-trattamento

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· informazioni riguardo la presenza o meno dell’an-damento nictemerale della pressione, con riduzione dei valori medi notturni, che dovrebbe essere mag-giore o uguale al 10%;

· la valutazione del “load” pressorio, cioè della per-centuale di misurazioni superiori ai valori di rife-rimento, che non deve superare il 25%;

· la valutazione della risposta al trattamento del sin-golo paziente, considerando ciascun bambino come controllo di se stesso.

Come per i nomogrammi delle misurazioni “offi-ce”, anche quelli del monitoraggio pressorio prevedono un’interpretazione dell’esame fatta in funzione del sesso e dell’altezza e/o età del bambino. Il problema clinico si pone quando la diagnosi derivata dalle misurazioni “office” e quella derivata dal monitoraggio pressorio delle 24 ore risultano diverse. Nell’adulto quando la pressione “office” è elevata e il monitoraggio normale si parla di “ipertensione da camice bianco”, mentre quando avviene il contrario la diagnosi è quella di “ipertensione masche-rata”. Questi concetti, in particolare il secondo, non sono facilmente applicabili nel bambino, mentre potrebbero esserlo nell’adolescente. È stato recentemente dimostra-to che bambini minori di dieci anni tendono ad avere i valori del monitoraggio pressorio superiori di quelli delle misurazioni “office”. D’altro canto i soggetti con iperten-sione transitoria, cioè con riscontro di valori elevati non confermati a successive ripetute misurazioni, tendono ad avere comunque una pressione più elevata dei loro coetanei in cui sono sempre stati trovati valori pressori nella norma. Anche in presenza di un monitoraggio pres-sorio nella norma avere valori di pressione “office” elevati (ipertensione transitoria) è una condizione che non va considerata come “normale”. Questi soggetti dovrebbero essere sottoposti a successivi controlli della pressione nel tempo e alla messa in atto di misure dietetiche-compor-tamentali, soprattutto in presenza di altri fattori di rischio cardiovascolare come una familiarità per ipertensione arteriosa o obesità.

Sintomatologia

Le forme secondarie si caratterizzano per la sintomatologia della malattia di base, mentre l’iper-

tensione essenziale non si accompagna ad alcun segno o sintomo. Valori di pressione aumentati in presenza di disturbi soggettivi, come ad esempio la cefalea, spesso sono interpretati come la causa dei disturbi mentre più verosimilmente ne rappresentano l’effetto.

diagnosi differenziale

Prima che entrassero nell’uso degli affidabili normogrammi per l’età pediatrica, venivano conside-

rati ipertesi solo i bambini con valori molto alti di pressione, quasi sempre associati a forme secondarie. Da qui è nato il preconcetto che nel bambino praticamente non esistesse l’ipertensione primitiva. Successivi studi hanno capovolto questo punto di vista. Pur essendo molto più frequente l’ipertensione essenziale, questa diagnosi può essere posta solo dopo aver escluso la presenza di una forma secondaria. La tabella I riporta le principali cause di ipertensione se-condaria. Nel bambino l’ipertensione da nefropatia, quella nefrovascolare e la coartazione aortica costituiscono dal 70 al 90% delle forme secondarie. La tabella II suggerisce dei criteri di distinzione tra forme secondarie ed essenziali. La normalità di pochi esami mirati (elettroliti, creatinina, esa-me urine, ormoni tiroidei) e la presenza dei polsi femorali, soprattutto in soggetti in eccesso ponderale con valori di pressione non particolarmente elevati, orienta la diagnosi verso una forma essenziale.

Caso clinico

Un bambino di dieci anni asintomatico, in per- fetta buona salute ma in discreto sovrappeso, si sotto-

pone alla annuale visita di controllo dal pediatra di famiglia che gli misura la pressione rilevando dei valori di sistolica superiori al 95° percentile (ma inferiori al 99°) per il suo

Un bambino con pressione elevata frequentemente avrà ipertensione da adulto, quindi sarà a rischio per patologie cardiovascolari, la prima causa di morte in Italia.

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Come si fa Ipertensione arteriosa in età pediatrica: prevenzione, diagnosi e trattamento

sesso, la sua età e la sua statura. Le misurazioni vengono ripetute in almeno altre due diverse occasioni conferman-do valori elevati. L’anamnesi familiare e quella patologica remota non richiamano fatti particolarmente significativi. Un accurato esame obiettivo risulta negativo. La normalità di alcuni esami ematochimici (sodio, potassio, creatinina, TSH ed esame urine) orienta la diagnosi verso una iper-tensione arteriosa essenziale che sarà confermata da una positiva risposta al trattamento dietetico-comportamentale. A completamento diagnostico viene richiesta una ecocar-diografia per valutare l’eventuale presenza di ipertrofia ven-tricolare sinistra quale iniziale danno d’organo e il profilo lipidico, la glicemia e l’insulinemia basale per escludere la presenza di altri fattori di rischio cardiovascolare.

Prevenzione e trattamento

I principi della prevenzione e del trattamento dietetico-comportamentale coincidono e si basano

sui seguenti punti: riduzione dell’eccesso ponderale, au-mento dell’attività fisica, riduzione del sodio nella dieta. Nel caso di ipertensione confermata vanno applicati con maggior rigore. La prevenzione andrebbe rivolta a tutti, tuttavia alcuni sono a maggior rischio. Tra questi quelli in eccesso di peso, i nati piccoli per l’età gestazionale, chi ha una familiarità per ipertensione, i bambini con elevati valori di pressione non confermati a successive rilevazioni. Il trattamento farmacologico è raramente necessario nei casi di ipertensione essenziale e non sostituisce quello dietetico-comportamentale che permette di ridurre le dosi dei farmaci. In generale il trattamento farmacologico viene prescritto da centri di secondo livello.

Compiti del pediatra di famiglia

La pressione arteriosa deve essere misurata nelle annuali visite di controllo. Se superiore al 90°

percentile si dovrà controllarla almeno tre volte in diverse occasioni. Nel caso di pressione normale alta è opportuno impostare un trattamento dietetico-comportamentale. Tale trattamento potrà essere intrapreso anche in presenza di una ipertensione confermata con esami ematochimici nella norma. In presenza di valori superiori al 99° percentile sarà invece opportuno inviare ad un centro di secondo livello. Una valutazione specialistica è suggerita anche in caso di mancata risposta al trattamento dietetico-comportamentale.

Centri di secondo livello

I centri di secondo livello devono garantire un approccio multidisciplinare. Sono necessarie compe-

tenze pediatriche, cardiologiche, nefrologiche, endocrino-logiche, dietologiche e, per casi selezionati, psicologiche. I centri devono avere esperienza nella valutazione del danno d’organo e accesso alla diagnostica per le forme se-condarie. Centri specialistici e pediatri di famiglia devono collaborare nel follow-up del bambino iperteso.

Conclusioni

Prevenzione, diagnosi e trattamento dell’iper- tensione devono iniziare in età pediatrica, superan-

do il preconcetto che l’età evolutiva sia esente da questa patologia. La misurazione sistematica della pressione evi-denzierebbe un numero non trascurabile di bambini con valori elevati, stimolando una adeguata risposta organiz-zativa con l’implementazione di centri di secondo livello. L’iniziale impiego di risorse potrà portare, nel tempo, a importanti risparmi umani ed economici .

Bibliografia1. Sito web della Società Italiana di Pediatria e sito web della

Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa http://sip.it/formazione-aggiornamento/ipertensione-arteriosa-in-eta-pediatrica-prevenzione-diagnosi-e-trattamento

2. Lurbe E, Cifkova R, Cruickshank JK, dillon MJ et al. Management of High Blood Pressure in Children and Adolescents: recommendations of the European Society of Hypertension. Journal of Hypertension 2009;27:1719-1742.

3. Chen X, Wang Y Tracking of blood pressure from childhood to adulthood: a systematic review and meta-regression analysis. Circulation 2008;117:3171-3180.

4. The Fourth Report on the Diagnosis, Evaluation and Treatment of High Blood Pressure in Children and Adolescents. Pediatrics 2004;114:555-576.

5. Genovesi S, Antolini L, Giussani M et al. Hypertension, prehypertension, and transient elevated blood pressure in children: association with weight excess and waist circumference. Am J Hypertens 2010;23:756-761.

6. Wuhl E et al. German Working Group on Pediatric Hypertension. Distribution on 24-hour ambulatory blood pressure in children: normalized reference values and role of body dimension. J. Hypertens 2002; 20:1995-2007.

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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Elisabetta Calamelli1

Giampaolo Ricci1

Carlotta Povesi Dascola2

Carlo Caffarelli21 UO Pediatria Dipartimento

di Scienze Mediche e Chirurgiche – AOU Policlinico S.Orsola-Malpighi,

Università di Bologna2 Clinica Pediatrica Dipartimento

di Medicina Clinica e Sperimentale – Università di Parma

L a dermatite atopica (DA) è una malattia infiammatoria cronica, multigenica e multi-

fattoriale, comune in età pediatrica. Il rapporto tra DA e allergia alimentare è da lungo tempo oggetto di interesse da parte della comunità scientifica. È stata frequentemente osservata la comorbilità della DA con una aller-gia IgE mediata verso gli alimenti1–6. Inoltre, le LG suggeriscono che vi sia un coinvolgimento degli allergeni alimentari nella patogenesi e nell’in-duzione delle riacutizzazioni della DA e che, in un numero limitato di casi, una dieta priva degli alimenti allergizzanti in causa può essere utile nel controllo della DA7, 8. Tuttavia su questo punto non vi è un accordo unanime e altri autori9 negano l’ esi-stenza di tale relazione limitandosi ad intraprendere le indagini diagno-stiche esclusivamente nei soggetti con DA che hanno anche reazioni agli alimenti diverse dalla DA. Nella diagnosi dell’allergia agli alimenti, la storia clinica può fornire indicazioni utili in merito all’alimento in causa, anche se i genitori generalmente ten-dono a sovrastimarne la frequenza10. I test cutanei skin prick test (SPT) e patch test (APT) sono tra le inda-gini più utilizzate per la rilevazione della sensibilizzazione agli alimenti, il cui accertamento definitivo si basa comunque sul gold standard che è il test di provocazione orale per a-limenti11, 12.

Skin prick test

In caso di reazione IgE-media ta al cibo, gli SPT costituiscono

il primo step del percorso diagno-

stico11, in quanto rappresentano una metodica a rapida risposta, di sem-plice esecuzione, non invasiva, meno costosa rispetto al dosaggio delle IgE specifiche (IgEs) sieriche. Gli SPT per alimenti possiedono un elevato potere predittivo negativo per le rea-zioni di tipo immediato. Un diametro del pomfo superiore a determinati livelli, specifici per ciascun alimen-to considerato, ha un elevato valore predittivo positivo per il challenge alimentare, anche se limitato alla popolazione studiata13, 14. Essendo la DA atopica una malattia a patoge-nesi mista IgE e non IgE-mediata7, è tuttora controversa l’utilità degli SPT come strumento diagnostico o di screening di allergie alimentari nei bambini con DA13, 15. L’ esecuzione degli SPT è stata proposta per: ac-certare gli alimenti che scatenano le riacutizzazioni della DA e della aller-gia alimentare IgE-mediata associata alla DA; identificare i bambini con-siderati ad alto rischio per le reazioni cliniche agli alimenti e per le malattie respiratorie allergiche; diagnosticare la DA (Tabella 1).

Identificazione di alimenti che scatenano esacerbazioni della dA

In alcuni pazienti con DA è stato descritto un peggioramento

delle lesioni eczematose dopo l’as-sunzione di determinati alimenti. In seguito al challenge alimentare infatti, alcuni bambini possono ma-nifestare molto rapidamente un rash pruriginoso, isolato o come parte di una reazione sistemica1. Altri bam-bini invece possono presentare una

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Pro e contro Il ruolo dei test cutanei per allergeni alimentari nella dermatite atopica

Tabella 1. Vantaggi e svantaggi per l’esecuzione degli skin prick test per alimenti nei bambini con dermatite atopica15

Possibili benefici Possibili detrimenti

1. diagnosi di comorbilità di allergia alimentare

1. Metodica non standardizzata

2. Possibile identificazione dell’allergene alimentare implicato nei flares

2. Rischio di incongrue restrizioni dietetiche, con conseguente possibile perdita di tolleranza o malnutrizione

3. Predittività delle reazioni avverse in occasione della 1° assunzione dell’alimento (es. uovo, arachidi)

3. Test non specifico per la diagnosi di dA

4. Individuazione di bambini a rischio di sviluppare allergopatie respiratorie

4. Possibile eccessiva medicalizzazione in caso di malattia lieve

5. Incremento dei costi sanitari

riacutizzazione di DA dopo 6–48 ore dal challenge16. Essa può essere pre-ceduta da una reazione acuta (IgE-dipendente) nel 45% dei soggetti1, mentre è isolata nel 12%–19%17 dei casi suggerendo un meccanismo di tipo non IgE-mediato. È stato os-servato un miglioramento della DA quando gli alimenti responsabili di reazioni immediate sono eliminati dalla dieta18. Nei bambini piccoli so-no soprattutto latte e uovo ad essere implicati, in quelli più grandi e negli adolescenti con pollinosi potrebbero essere presi in considerazione gli a-limenti implicati nella “pollen-food syndrome”7. D’altra parte nel consi-derare il nesso causale tra cibo e DA occorre tenere presente che alcuni studi mostrano che l’esito degli SPT non sempre è utile per prevedere la comparsa di DA dopo l’assunzione dell’alimento19 o il miglioramento delle lesioni cutanee dopo una dieta di eliminazione8, 20, 21. Questo potreb-be accadere proprio perché è coin-volta una reazione non IgE-mediata. Nel percorso diagnostico per identi-ficare gli alimenti responsabili delle reazioni eczematose non è corretto iniziare diete di eliminazione e pro-trarle anche per diversi mesi prima di

sottoporre il paziente ad un challenge alimentare. Si ritiene accettabile u-nicamente una dieta di eliminazio-ne breve (non più di 2–3 settimane) basata sul risultato degli SPT e/o del dosaggio delle IgE specifiche e/o delle indicazioni anamnestiche. Il miglioramento di sintomi cutanei dopo una dieta di eliminazione è in-sufficiente per dimostrare il ruolo di un determinato alimento nelle ria-cutizzazioni della DA. Il challenge alimentare rappresenta l’unica me-todica di riferimento per la diagno-si7. Quando al challenge non sono osservate reazioni di tipo immediato, come rash e prurito anticipatori delle lesioni eczematose, la somministra-zione dell’alimento dovrebbe essere proseguita per almeno due giorni e la rivalutazione del paziente dovrebbe essere effettuata a distanza di 24–48 ore7. La maggior parte dei pazienti con DA che seguivano diete di e-liminazione basate esclusivamente sulla positività dei SPT non ripor-tano reazioni avverse anafilattiche alla reintroduzione dell’alimento. Tuttavia, sono state descritte reazio-

ni anafilattiche alla reintroduzione dell’alimento escluso a lungo dalla dieta e che era precedentemente tol-lerato (ad esempio al latte vaccino), suggerendo che la stessa dieta po-trebbe aver favorito la perdita della tolleranza8, 22. Ciò implica che, in tali circostanze, la reintroduzione dell’alimento deve avvenire in am-biente protetto, nonostante i disagi per i pazienti e le famiglie e i costi per la struttura. Un altro problema estremamente raro, ma che può ve-rificarsi in caso di diete prolungate, è rappresentato da possibili carenze nutrizionali, con conseguenti deficit di crescita e kwashiorkor, quando lo schema dietetico di questi pazienti non è monitorato da un dietista18.

Identificazione di bambini con allergia alimentare IgE-mediata associata alla dA

Il 40%-90% dei bambini affetti da DA hanno SPT positivi per

alimenti23. Il 30–60% dei bambini con DA e IgEs positive per alimen-ti presenta reazioni immediate al challenge alimentare, questo è più frequente nei casi di DA di grado moderato-severo2, 4, 5, 24 e di esordio precoce6. Occorre sottolineare che il riscontro di SPT positivi non implica necessariamente una reazione clinica di ipersensibilità immediata. Esso è irrilevante se non si correla con una storia clinica suggestiva e confermata da un test di provocazione orale, che viene effettuato non solo per evitare reazioni potenzialmente pericolose, ma anche per evitare inutili diete di eliminazione. Il test di provocazio-ne orale non è necessario nel caso

• • •L’utilità clinica degli skin prick test (SPT) nei pazienti con dermatite atopica (DA) è tuttora oggetto di grande dibattito.

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il bambino abbia manifestato una pregressa reazione anafilattica a un alimento in associazione alla positi-vità dello SPT.

Test di screening per atopia

I bambini con uno SPT positi- vo all’uovo o alle arachidi che non

avevano mai assunto in preceden-za questi alimenti sono a rischio di reazioni immediate anche gravi alla prima introduzione25, 26, 27. Pertanto, gli SPT possono essere presi in con-siderazione soprattutto nei bambini considerati ad alto rischio (ad esempio affetti da allergia alimentare25 prima dell’inserimento dell’alimento nella dieta. In caso di SPT positivi la prima somministrazione di uovo o arachide va condotta in ambiente protetto. I bambini che sviluppano precocemen-

te IgE per allergeni alimentari hanno un rischio aumentato di sensibilizzarsi verso allergeni inalanti nelle epoche successive28. Inoltre, nei bambini con DA la positività a un anno di età dello SPT per l’uovo è associata allo svilup-po di allergopatie respiratorie, come rino-congiuntivite e asma allergico all’età di 6 anni29.

Gli SPT come strumento diagnostico per la dA

F ino ad ora non è stato identificato nessun marker spe-

cifico per la diagnosi di DA. La dia-gnosi infatti si basa principalmente su una combinazione di caratteristiche cliniche. Tuttavia, nonostante la po-sitività degli SPT sia annoverata tra i criteri minori identificati di Hanifin e Rajka per la diagnosi di DA, non

c’è alcuna evidenza che la positività degli SPT sia utile per la diagnosi30,

31. La sensibilizzazione ad allergeni alimentari può seguire l’insorgenza di DA, ma può anche precederla e predirne l’esordio. Inoltre, non è chia-ra l’esistenza di una correlazione tra numero di positività riscontrate allo SPT e la gravità della DA31, 32. Dati contrastanti sono stati riportati an-che sulla correlazione tra presenza di sensibilizzazione e persistenza della malattia, mentre studi longitudinali hanno dimostrato un’ associazione tra sensibilizzazione persistente e severità della DA33.

Patch test

I patch test servono per evocare una reazione di tipo ritardato.

Dopo l’applicazione epicutanea di

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allergeni, il patch test scatena una risposte mediata da cellule T. L’esame immunologico delle biopsie di lesioni provocate dal patch test mostra ini-zialmente un modello di citochine Th2 e dopo 48 ore un modello Th1 co-me nelle lesioni croniche dell’eczema atopico34. Nei bambini con eczema a-topico è stato evidenziato che la sen-sibilità, il potere predittivo positivo e negativo del patch test sono troppo bassi per poter essere raccomandato nella pratica clinica quotidiana per la diagnosi di allergia all’uovo e al latte vaccino35, 36, 37, 38.

I limiti dei test cutanei per alimenti

Un problema nell’esecuzione dei SPT è legato ai costi dell’e-

same, anche se essi restano conte-

nuti rispetto al dosaggio delle IgE specifiche sieriche per alimenti. Nel complesso, un’analisi dei costi/bene-fici suggerisce che non è consigliabile effettuare SPT nei bambini con DA lieve che seguono una dieta libera39. Gli estratti commerciali utilizzati per gli SPT per allergeni alimentari possono non essere standardizzati per quanto riguarda la potenza o il quantitativo di proteine o moleco-le allergeniche maggiori presenti40. Questo può incidere sulla sensibilità del test. Gli SPT effettuati con l’a-limento fresco sembrano possedere un’aumentata sensibilità e specifi-cità, in particolare per gli alimenti di origine vegetale11. Inoltre anche gli SPT effettuati con le molecole allergeniche possono incrementa-re la sensibilità del test. Tuttavia, gli studi che confrontano la diversa accuratezza diagnostica degli SPT

22. Flintermann AE, Knulst AC, Meijer Y, bruijnzeel-Koomen CA, Pasmans SG. Acute allergic reactions in children with AEDS after prolonged cow’s milk elimination diets. Allergy 2006;61:370–374.23. Johnke H, Norberg LA, Vach W, Host A, Andersen KE. Patterns of sensitization in infants and its relation to atopic dermatitis. Pediatr Allergy Immunol 2006;17:591–600.24. Eigenmann PA, Sicherer SH, borkowski TA, Cohen bA, Sampson HA. Prevalence of IgE-mediated food allergy among children with atopic dermatitis. Pediatrics 1998;101:e8.25. Caffarelli C, Cavagni G, Giordano S, Stapane I, Rossi C. Relationship between oral challenges with previously uningested egg and egg-specific IgE antibodies and skin prick tests in infants with food allergy. J Allergy Clin Immunol 1995;95:1215-20.26. Monti G, Muratore MC, Peltran A, bonfante G, Silvestro L, Oggero R et al. High incidence of adverse reactions to egg challenge on first known exposure in young atopic dermatitis children: predictive value of skin prick test and radio- allergosorbent test to egg proteins. Clin Exp Allergy 2002;32: 1515–9.27. Palmer dJ, Metcalfe J, Makrides M, Gold MS, Quinn P, West CE et al. Early regular egg exposure in infants with eczema: a randomized controlled trial. J Allergy Clin Immunol 2013;132:387-92.28. dean T, Venter C, Pereira b, Harsad HS, Grundy J, Clayton bC, Higgins b. Patterns of sensitization to food and aeroallergens in the first 3 years of life. J Allergy Clin Immunol 2007; 120:1166–1171.29. Kjaer HF, Eller E, Andersen KE, Høst A, bindslev-Jensen C. The association between early sensitization patterns and subsequent allergic disease. The DARC birth cohort study. Pediatr Allergy Immunol 2009;20:726–734.30. Hanifin JM, Rajka G. Diagnostic features of atopic dermatitis. Acta Dermatol Venereol 1980;92:44–47.31. Flohr C, Johansson SGO, Wahlgren CF, Williams H. How atopic is atopic dermatitis? J Allergy Clin Immunol 2004;113:150–8.32. Patrizi A, Guerrini V, Ricci G, Neri I, Specchia F, Masi M. The natural history of sensitization to food and aeroallergens in atopic dermatitis: a 4-year follow-up. Pediatr Dermatol 2000;17:261–5.

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• • •Gli SPT consentono l’identificazione dei soggetti a rischio di allergie alimentari e dell’allergene potenzialmente scatenante le riesacerbazioni.

• • •Gli SPT, se eseguiti da personale non esperto, possono portare a diete di eliminazione incongrue, con conseguenti possibili carenze nutrizionali, non escludendo anche un’eventuale perdita di tolleranza verso gli alimenti evitati.

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eseguiti con estratti commerciali, con l’alimento fresco o con le componenti molecolari nei bambini con DA non sono dirimenti, in quanto dovrebbero tener conto del fatto che molti pa-zienti che presentano reazioni aller-giche agli alimenti freschi possono tollerare lo stesso tipo di alimento a differenti livelli di cottura41. Diverse spiegazioni possono essere offer-te per i limiti legati all’utilizzo dei patch test35, 36, 37, 38. Una spiegazione può essere il fatto che i patch test sono eseguiti in maniera differente dai gruppi di ricerca da cui è stato testato. Sono impiegati gli estratti commerciali piuttosto che l’alimen-to fresco in quantità comunque non univoca e coppette di alluminio con diametri differenti (6,8 e 12 mm)42. Sono necessari ulteriori studi che confrontino le diverse metodiche u-tilizzate per standardizzare la tecnica e accertarne l’impiego clinico.

Conclusioni

Il trattamento cardine della DA è rappresentato prevalente-

mente dall’utilizzo di emollienti e corticosteroidi topici e, meno fre-quentemente, dalla terapia sistemi-ca. Tuttavia, ci sono evidenze che in un sottogruppo di pazienti nella prima infanzia gli alimenti possa-no scatenare reazioni eczematose a insorgenza tardiva. L’eliminazione degli alimenti in causa può portare ‒ in questo ristretto gruppo di casi ‒ a un miglioramento dei sintomi del-la DA, ma sempre in combinazione con un’efficace schema di trattamen-to topico e, quando necessario, di terapie farmacologiche. La pato-genesi della DA tuttavia, è molto

più complessa per essere ricondotta unicamente a un’allergia alimentare, in quanto sia le alterazioni di barrie-ra cutanea che la disregolazione del sistema immunitario rivestono ruoli chiave e determinanti nello svilup-po dei differenti endotipi di questa patologia. I pazienti che rispondono efficacemente ai trattamenti topi-ci con emollienti e idratanti e con modeste quantità di corticosteroidi topici non trovano beneficio da die-te di eliminazione, fatta eccezione per quei casi in cui siano riportate reazioni allergiche di ipersensibilità di tipo immediato verso un deter-minato alimento. Nei bambini con DA, quindi, gli SPT per gli alimenti possono essere effettuati per rilevare una sensibilizzazione IgE-mediata e stimare il rischio di reazioni im-mediate dopo la loro assunzione in particolare per quegli alimenti non ancora introdotti nella dieta. Una dieta a breve termine, seguita dalla reintroduzione dell’alimento se-condo uno schema definito e sotto stretto controllo dello specialista, dovrebbe essere effettuata nei casi ove si sospetti l’implicazione di un allergene alimentare. Una dieta di eliminazione protratta invece do-vrebbe essere prescritta solamen-te per quegli alimenti che hanno provocato reazioni avverse durante il challenge alimentare. Tuttavia ulteriori studi sono necessari per chiarire le diverse questioni irrisol-

te e le controversie sulla esecuzione degli SPT per alimenti nei bambini con DA, come l’utilità degli SPT nell’identificazione degli alimenti che aggravano la patologia, l’accu-ratezza diagnostica dei test con gli estratti, l’alimento fresco o con le componenti allergeniche, oppure quanto l’evidenza dell’utilità di una dieta di eliminazione nella prima in-fanzia possa essere trasposta anche per altri gruppi di età; infine l’analisi costo-efficacia dei diversi interventi. L’esecuzione degli SPT nei bambi-ni con DA può essere di utilità per identificare o escludere un’allergia a-limentare associata e nel riconoscere quei pazienti con sensibilizzazione atopica e che richiedono quindi un follow-up rivolto anche alla diagno-si precoce e alla prevenzione delle allergopatie respiratorie (Tabella 1). Tuttavia è doveroso rimarcare che gli SPT non dovrebbero essere eseguiti ed interpretati da un cli-nico senza competenze in ambito allergologico, in quanto una scar-sa accuratezza nella pratica clinica può portare a diete di eliminazione incongrue e prolungate e potenzial-mente pericolose per il paziente, creando confusione e apprensione nella famiglia e portando a ulterio-ri richieste di indagini e visite non necessarie. Quindi l’appropriatezza delle indicazioni all’esecuzione de-gli SPT, ma soprattutto le decisio-ni successive all’esito dell’indagini, dovrebbero essere prese da specia-listi esperti e guidate dalle evidenze scientifiche .

• • •Considerando la varietà delle fasi in cui si manifesta, la presentazione clinica della DA dovrebbe essere il punto di partenza per guidare il clinico nella decisione se effettuare o meno gli SPT.

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

Caso clinico Titolo articolo anche lungo

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Dolore in Pediatria: miti e verità In passato, il dolore nel bambino e soprattutto nel neonato/pretermine è stato spesso sottodiagnosticato e di conseguenza sottotrattato.

Franca Benini1

Egidio Barbi2

Luca Manfredini3

1 Responsabile Centro Regionale del Veneto di Terapia Antalgica e Cure Palliative Pediatriche, Dipartimento di Pediatria, Università degli Studi di Padova2 Responsabile Unità Sedazione Procedurale e Terapia Antalgica – Clinica Pediatrica Istituto di Ricerca Burlo Garofolo, Trieste3 Responsabile UOS Assistenza domiciliare e Day Hospital Dipartimento Emato-Oncologia PediatricaReferente per il Controllo del Dolore Cronico e le Cure Palliative Pediatriche - Istituto Giannina Gaslini, Genova

Introduzione

N el 1979 l’International Association for the Study of Pain adottò la definizione se-condo la quale “il dolore è un’esperienza sgra-

devole sensoriale ed emotiva, associata ad un danno tissutale reale o potenziale, o descritta nei termini di tale danno”, sottolineando che il dolore è un’esperienza complessa, che comprende dimensioni multiple, ma

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Tabella 1. IL DoLoRE NEL PRETERMINE, NEoNATo E BAMBINo: FALSI MITI E CoMPRoVATE REALTà

MITO REALTÀ EVIdENZE

I bambini più piccoli non sentono dolore. Il sistema nervoso dei bambini è immaturo e non è in grado di percepire ed esperire il dolore come negli adulti.

Il sistema nervoso centrale alla 24 settimana di età gestazionale possiede le capacità anatomiche e neurochimiche di condurre lo stimolo doloroso: • ineonatidalle36settimanedietà

gestazionale possono sentire e modulare il dolore;

• ipreterminesentonodoloreeinpiù hanno immaturità dei sistemi di modulazione.

Negli ultimi 2 decenni numerosi studi sperimentali e clinici (anatomici e biochimici) hanno dimostrato l’esistenza della percezione del neonato già dalla 24° settimana di gestazione (metà del II trimestre) 1. le strutture anatomiche e biologiche per

la trasmissione degli impulsi nocicettivi sono precocemente ben sviluppati;

2. al contrario i sistemi di modulazione segmentaria e discendente del dolore mostrano un ritardo nell’organizzazione neuronale e biochimica.

I bambini sono in grado di tollerare meglio il dolore rispetto agli adulti.

• Ibambinipiùpiccoliesperisconomaggiorilivelli di dolore rispetto a bambini più grandi

• latolleranzaaldoloreaumentaconl’età.

Il SNC immaturo non è in grado di modulare il dolore. Sono documentati effetti a lungo termine del dolore in epoca neonatale. L’assuefazione al dolore può causare danni anatomici al cervello pretermine .

I bambini si abituano al dolore o alle procedure dolorose.

I bambini esposti a ripetute procedure dolorose spesso manifestano un aumento dell’ansia e della percezione di dolore.

È dimostrato che il dolore (ripetuto e prolungato): • amplificalasensibilitàaldolore;• modificalacapacitàdiadattamento

postnatale;• influenzailcomportamentoalimentare;• influenzaillegameconigenitori.Studi hanno dimostrato come nei lattanti il dolore chirurgico non trattato ha portato a:• aumentodellecomplicanzecliniche;• prolungataospedalizzazione;• aumentodellamortalità.

I bambini non ricordano il dolore. I bambini sottoposti a ricorrenti stimoli dolorosi possono sviluppare instabilità emotiva, difficoltà nello stabilire rapporti interpersonali, incapacità a tollerare dolore anche di minima intensità.

La memoria fetale è sostenuta da risultati di esperienze tipo stimolo/risposta condotte durante la gravidanza sul feto.È dimostrato che il neonato (anche se pretermine) ha la capacità di memorizzare le esperienze dolorose:• lasensibilitàdelneonatoaldoloreèpiù

profonda rispetto al bambino più grande;• altolivellodiplasticitàdelSNC

poiché in stato di attivo sviluppo: le esperienze dolorose possono influenzare l’architettura finale del cervello adulto;

• lamemoriadeldoloresiimmagazzinanel SNC del bambino e ne condiziona le successive reazioni al dolore.

Il dolore è una esperienza “soggettiva” e quindi non può essere realmente misurato.

La severità del dolore può essere misurata grazie all’utilizzo di scale differenziate a seconda dell’età del bambino.

I bambini non sono in grado di spiegare dove sentono male.

I bambini possono non essere in grado di esprimere il dolore nella stessa maniera degli adulti. Comunque con l’utilizzo corretto di scale di assessment, i bambini sono in grado di esprimere ed identificare il dolore.

Studi hanno mostrato che i bambini di tre anni possono usare in modo accurato le scale del dolore.

Il comportamento dei bambini riflette l’intensità del loro dolore.

I bambini sono unici nel loro modo di far fronte al dolore. Il comportamento dei bambini non è un indicatore specifico del loro livello di dolore.

La somministrazione di farmaci analgesici può causare essa stessa dolore.

Attualmente ci sono a disposizione farmaci con buon effetto analgesico somministrabili per os o per via intranasale o rettale.

L’utilizzo di farmaci oppiacei nel bambino può creare dipendenza.

Non ci sono evidenze che i bambini ai quali sono stati somministrati oppiacei a scopo terapeutico siano diventati dipendenti.

Il rischio di depressione respiratoria nel bambino utilizzando oppiacei è maggiore del beneficio.

Il rischio di depressione respiratoria nel bambino è simile a quello degli adulti.

Studi clinici hanno dimostrato che il rischio di depressione respiratoria è < 0,1% nel bambino e < 0,09% nell’adulto.

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soprattutto è un’esperienza soggettiva, il miglior giu-dice della quale è il paziente stesso1. L’incapacità di comunicare verbalmente (per età e/o patologia) può limitare la possibilità di “dire” e “chiedere” per il proprio dolore ma non deve togliere e/o limitare un corretto approccio analgesico.2 Nel passato, il dolore nel bambi-no e soprattutto nel neonato/pretermine è stato spesso sottodiagnosticato e di conseguenza sottotrattato. Falsi miti (Tabella 1) hanno pesantemente condizionato l’ap-proccio al bambino con sintomatologia dolorosa, sia in ambiente ospedaliero sia in ambito domiciliare. Solo negli ultimi 30 anni, grazie a “rivoluzionarie” scoperte in ambito pediatrico, neonatale e fetale, l’atteggiamento nei confronti della gestione del dolore presenta evidenti miglioramenti, anche se, purtroppo, timori immotivati circa l’uso di alcune classi di farmaci (oppioidi maggio-ri) non permette ancora di controllare efficacemente la sintomatologia dolorosa in alcuni pazienti e in alcune situazioni cliniche3–13. Proprio per tale motivo, la legge 38/2010 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cu-re palliative e alla terapia del dolore”14 sancisce che le strutture sanitarie che erogano terapia del dolore e cure palliative assicurino un programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia (con particolare at-tenzione al mondo pediatrico).

Classificazione del dolore

La classificazione più frequentemente usata del dolore si basa sulla sua durata e sulla sua fisio-

patologia2, 15–18.

Forma acutaUna volta definito semplicemente in termini di durata (< 3 mesi), attualmente è visto come “un’esperienza spiacevole con aspetti sensoriali, emozionali e cognitivi, che avviene in risposta a un trauma tessutale”. A dif-ferenza del dolore cronico, di solito è associato a una patologia ben riconoscibile e significativa, e si risolve con la guarigione della malattia che lo genera. Generalmente è di tipo nocicettivo, ma può essere anche neuropatico. Presenta le seguenti caratteristiche:

· durata limitata, si accompagna a notevole reazione di stress (con risposta ormonale) che provoca effetti fisiologici ed emozionali negativi;

· importante funzione biologica di campanello d’al-larme (mettere in guardia contro la possibilità o l’estensione di un danno);

· di solito proporzionale al grado di danno tessutale, scompare con la risoluzione del danno;

· spesso associato a riflessi di protezione (retrazione dell’arto leso, paralisi antalgica, spasmo muscolare) e a risposte neurovegetative;

· cause: traumi, interventi chirurgici, procedure me-diche, stati acuti di malattia.

Stimolazioni dolorose ripetute anche brevi possono indurre delle modificazioni neuronali (rimodellamen-to) che inducono l’instaurarsi di dolore cronico, favorito anche dall’assumere alcuni comportamenti (posture ano-male, sedentarietà eccessiva).

Forma cronica Se prima veniva definito in base alla durata di 3/6 mesi dal momento dell’insorgenza o del previsto periodo di guarigione, attualmente si tende a distinguerlo come dolore che “perdura oltre il previsto periodo di guari-gione e si associa a livelli identificabili di malattia che spesso sono bassi e insufficienti a spiegare la presenza e/o l’estensione del dolore”. Cessa di avere un significato protettivo e di adattamento, ma piuttosto peggiora lo stato di salute e le capacità funzionali. Caratteristiche peculiari sono:

· perpetuato da fattori non collegati alla causa sca-tenante;

· poco associato a iperattività neurovegetativa;

· accompagnato da importante componente emotiva (irritabilità, isolamento sociale, depressione) e alte-razione del ritmo circadiano (disturbi del sonno), disturbi dell’alimentazione;

· cause: patologie croniche (oncologiche, reumatiche, dolori intercorrenti, fibromialgia, neuropatia);

A volte il dolore cronico compare senza alcuna causa apparente. Altre volte è scatenato da un danno iniziale, ma è perpetuato da fattori patogenetici e fisici non col-legati ad esso.

Forma episodica o ricorrente È caratterizzato da:

· accessi intermittenti per un lungo periodo di tem-po, con periodi liberi dalla sintomatologia algica;

· crisi dolorose variabili per qualità, intensità e fre-quenza nel tempo, essendo pertanto imprevedibili;

· difficilmente distinguibile dalla forma “acuta inter-mittente”, ma con impatto più severo sul benessere psico-fisico del bambino.

Esempi: emicrania, dolore da crisi falcemica, dolore addominale ricorrente.

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Tabella 2. CLASSIFICAZIoNE FISIoPAToLoGICA DEL DoLoRE

TIPO dI dOLORE ORIGINE dELLO STIMOLO LOCALIZZAZIONE CARATTERISTICHE RIFERIMENTO / IRRAdIAZIONE dEL dOLORE

dISFUNZIONE SENSORIALE ESEMPI

NocicettiVo

SOMATICOLo stimolo nocicettivo è evidente

superficiale Nocicettori di cute, sottocute, membrane e mucosa.

ben localizzato. Solitamente acuto (possibile bruciore e prurito).

Nessuno. Nessuna. • Ascessi;• traumasuperficiale(tagliecontusioni);• ustionesuperficiale(chimicaotermica);• dolorepost-operatorio.

profondo Nocicettori delle ossa, articolazioni, muscoli e tessuto connettivo.

Solitamente ben localizzato con dolorabilità alla palpazione.

Solitamente sordo, con indolenzimento o lancinante.

In alcuni casi il dolore è riferito alla cute sovrastante.

Nessuna. • Fratture;• crampimuscolari;• doloreosseodametastasi;• artrite;• tendinite;• episodivaso-occlusivifalcemici.

VISCERALE Nocicettori degli organi interni (cuore, polmoni, tratto gastroenterico, fegato, pancreas, pleura, peritoneo, reni, vescica).

difficilmente localizzato, diffuso. La palpazione della zona sovrastante può suscitare un concomitante dolore somatico.

Solitamente vago, sordo, con indolenzimento, crampi, tensione, pressione profonda, spasmi, contrazione o coliche. Sono spesso presenti nausea, vomito e sudorazione.

In alcuni casi il dolore proveniente dall’organo malato è trasmesso alle stesse radici con localizzazione cutanea. Può esserci irradiazione del dolore viscerale, ma non con distribuzione nervosa diretta.

Nessuna. • Colica;• Appendicite;• distensionevescicale;• aciditàgastricaostipsi;• stiramentodellaglissonianadametastasi

epatiche;• stiramentodellapleuraperpleurite

(polmonite o TbC).

NeuroPatico

MONO/POLI-NEUROPATIE Causato da danno del nervo affetto (qualsiasi lesione presente a qualsiasi livello tra le terminazioni libere ed il ganglio della radice dorsale).

dolore lungo il decorso del/i nervo/i periferico/i.

difficile da descrivere. Viene indicato con parole diverse: bruciore, pizzicore, dolore pungente; acuto o a scosse. Il dolore può essere persistente o ricorrente.

Percepito all’interno del territorio di innervazione del nervo danneggiato. Possono esserci radiazioni anormali.

Il dolore è associato ad una disfunzione sensoriale precisamente localizzata (disestesia, ipoestesia, iperestesia ed allodinia). Possono essere presenti parossismi tipo scosse elettriche.

• Malattiemetaboliche(diabete);• tossicità(chemioterapici);• infezioni(HIV,VZV:nevralgiapost-

herpetica);• trauma;• intrappolamentodelnervo(sindromedel

tunnel carpale);• malattieautoimmuni;• malattieereditarie.

dEAFFERENTAZIONE dovuto alla perdita dello stimolo afferente (lesione tra il ganglio della radice dorsale ed il rispettivo terminale centrale).

Localizzazione - segmentale o diffusa (tutto/metà/parte corpo).

Segni/sintomi simili a quelli presenti nelle mono/polineuropatie.

Segni/sintomi simili a quelli presenti nelle mono/polineuropatie.

• Doloredaartofantasma;• dolorepost-toracotomia.

CENTRALE Causato da una lesione primaria o da una disfunzione del SNC(lesione determinatasi a livello del SNC compreso tra il corno dorsale del midollo spinale fino alla corteccia).

due forme:• disestesiageneralizzata

“bambino intoccabile” • disestesia“amosaico”

(non “livello neurologico”).

• Ischemia(ictus);• Tumori;• trauma(lesionemidollare);• siringomielia;• demielinizzazione;• doloreassociatoasclerosimultipla.

Dolore procedurale Caratteristiche peculiari sono:

· causato da procedure invasive diagnostiche e tera-peutiche;

· è prevedibile e quindi può essere profilassato;

· si accompagna a notevole impatto emotivo (ansia, paura, stress).

Dolore terminale Sintomatologia che accompagna la terminalità di patologie inguaribili, è definito “dolore totale” e deve essere considerato la somma della componente puramente

fisica, degli effetti collaterali delle terapie (come la nausea e il vomito), della perdita di capacità fisiche e della soffe-renza psico-affettiva (solitudine, incertezza per il futuro, ansia, depressione, irritabilità, rabbia, paura della morte).

Classificazione basata sulla fisiopatologiaDa un punto di vista eziopatogenetico possiamo distinguere differenti tipi di dolore: nocicettivo, neuro-patico, psicogeno e misto (Tabella 2)2, 15–18. La distinzione clinica è estremamente utile per impostare un differente approccio terapeutico.

“Se sappiamo che il dolore e la sofferenza possono essere alleviati e, nonostante questo, non facciamo niente, allora noi stessi diventiamo dei carnefici” Primo Levi

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Dolore nocicettivo È provocato dall’attivazione dei nocicettori in risposta a uno stimolo nocivo (es. trauma, patologia, flogosi). Si distingue in viscerale (originato negli or-gani viscerali) e somatico (originato dalle strutture non viscerali), a sua volta distinto in superficiale (da cute, sottocute, membrane mucose) e profondo (da muscoli, tendini, articolazioni, fasce, ossa)19–21. Di-versamente che nel dolore neuropatico, la percezione dolorosa è strettamente correlata all’intensità dello stimolo e indica la presenza di un danno tessutale reale o potenziale.

Dolore neuropatico Il dolore neuropatico origina da anomalie della trasmissione degli impulsi secondarie a lesioni (trau-matiche, ischemiche, infettive, tossiche) disfunzioni

(metaboliche o condizioni immunomediate) del sistema nervoso periferico o centrale22–24. Viene anche definito “dolore patologico”, in quanto non ha una funzione di allarme, ma rappresenta la malattia. Quando si deter-minano delle modificazioni fisiopatologiche svincolate dall’evento causale iniziale, può instaurarsi uno stato di cronicità del dolore. Questo fenomeno consegue a un processo di sensibilizzazione centrale (“centralizzazione” del dolore) scatenata da una lesione nervosa, che porta a modificazioni nel sistema nervoso centrale destinate a persistere indefinitamente. Si spiega così perché il dolore neuropatico è spesso sproporzionato rispetto allo stimolo (iperalgesia, allodinia) o si presenta anche in as-senza di stimoli riconoscibili (dolore persistente, dolore diffuso). Caratteristiche sensoriali comuni estremamente suggestive di origine neuropatica della sintomatologia dolorosa sono:

· iperalgesia: aumento della risposta a uno stimolo normalmente doloroso (tattile o termico – soprat-tutto se freddo), con ridotta soglia di percezione del dolore; si distingue in:- primaria: se il dolore è sentito nella sede dov’è

applicato lo stimolo (dovuto alla liberazione di metaboliti algogeni); l’anestesia locale della zona abolisce la risposta dolorosa;

- secondaria: si riscontra in zone non diretta-mente interessate dal danno tessutale, le cui fibre afferenti convergono sugli stessi neuroni sui quali terminano le fibre afferenti della zona del danno tessutale. In genere la zona d’iperal-gesia secondaria circonda quella di iperalgesia primaria. L’anestesia locale della zona d’iperal-gesia secondaria non abolisce la risposta doloro-sa che, invece, è abolita dall’anestesia della zona d’iperalgesia primaria.

· ipoestesia: ridotta sensibilità ad uno stimolo;

· disestesia: alterazione (spontanea o provocata) spiacevole della normale sensibilità;

· parestesia: sensazione anormale (formicolio, piz-zicore o torpore) spontanea o provocata da uno stimolo solitamente non spiacevole;

· iperpatia: risposta abnormemente dolorosa ed e-sagerata a uno stimolo, specie se ripetitivo;

· allodinia: percezione dolorosa di uno stimolo nor-malmente innocuo (es. toccare delicatamente una zona provoca una sintimatologia dolorosa intensa). Se presente permette di essere certi della compo-nente neuropatica.

Tabella 2. CLASSIFICAZIoNE FISIoPAToLoGICA DEL DoLoRE

TIPO dI dOLORE ORIGINE dELLO STIMOLO LOCALIZZAZIONE CARATTERISTICHE RIFERIMENTO / IRRAdIAZIONE dEL dOLORE

dISFUNZIONE SENSORIALE ESEMPI

NocicettiVo

SOMATICOLo stimolo nocicettivo è evidente

superficiale Nocicettori di cute, sottocute, membrane e mucosa.

ben localizzato. Solitamente acuto (possibile bruciore e prurito).

Nessuno. Nessuna. • Ascessi;• traumasuperficiale(tagliecontusioni);• ustionesuperficiale(chimicaotermica);• dolorepost-operatorio.

profondo Nocicettori delle ossa, articolazioni, muscoli e tessuto connettivo.

Solitamente ben localizzato con dolorabilità alla palpazione.

Solitamente sordo, con indolenzimento o lancinante.

In alcuni casi il dolore è riferito alla cute sovrastante.

Nessuna. • Fratture;• crampimuscolari;• doloreosseodametastasi;• artrite;• tendinite;• episodivaso-occlusivifalcemici.

VISCERALE Nocicettori degli organi interni (cuore, polmoni, tratto gastroenterico, fegato, pancreas, pleura, peritoneo, reni, vescica).

difficilmente localizzato, diffuso. La palpazione della zona sovrastante può suscitare un concomitante dolore somatico.

Solitamente vago, sordo, con indolenzimento, crampi, tensione, pressione profonda, spasmi, contrazione o coliche. Sono spesso presenti nausea, vomito e sudorazione.

In alcuni casi il dolore proveniente dall’organo malato è trasmesso alle stesse radici con localizzazione cutanea. Può esserci irradiazione del dolore viscerale, ma non con distribuzione nervosa diretta.

Nessuna. • Colica;• Appendicite;• distensionevescicale;• aciditàgastricaostipsi;• stiramentodellaglissonianadametastasi

epatiche;• stiramentodellapleuraperpleurite

(polmonite o TbC).

NeuroPatico

MONO/POLI-NEUROPATIE Causato da danno del nervo affetto (qualsiasi lesione presente a qualsiasi livello tra le terminazioni libere ed il ganglio della radice dorsale).

dolore lungo il decorso del/i nervo/i periferico/i.

difficile da descrivere. Viene indicato con parole diverse: bruciore, pizzicore, dolore pungente; acuto o a scosse. Il dolore può essere persistente o ricorrente.

Percepito all’interno del territorio di innervazione del nervo danneggiato. Possono esserci radiazioni anormali.

Il dolore è associato ad una disfunzione sensoriale precisamente localizzata (disestesia, ipoestesia, iperestesia ed allodinia). Possono essere presenti parossismi tipo scosse elettriche.

• Malattiemetaboliche(diabete);• tossicità(chemioterapici);• infezioni(HIV,VZV:nevralgiapost-

herpetica);• trauma;• intrappolamentodelnervo(sindromedel

tunnel carpale);• malattieautoimmuni;• malattieereditarie.

dEAFFERENTAZIONE dovuto alla perdita dello stimolo afferente (lesione tra il ganglio della radice dorsale ed il rispettivo terminale centrale).

Localizzazione - segmentale o diffusa (tutto/metà/parte corpo).

Segni/sintomi simili a quelli presenti nelle mono/polineuropatie.

Segni/sintomi simili a quelli presenti nelle mono/polineuropatie.

• Doloredaartofantasma;• dolorepost-toracotomia.

CENTRALE Causato da una lesione primaria o da una disfunzione del SNC(lesione determinatasi a livello del SNC compreso tra il corno dorsale del midollo spinale fino alla corteccia).

due forme:• disestesiageneralizzata

“bambino intoccabile” • disestesia“amosaico”

(non “livello neurologico”).

• Ischemia(ictus);• Tumori;• trauma(lesionemidollare);• siringomielia;• demielinizzazione;• doloreassociatoasclerosimultipla.

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Tabella 3. TERAPIA FARMACoLoGICA – Classificazione oms

CLASSE MECCANISMO d’AZIONE FARMACO dOSAGGIO

farmaci aNtalGici

i gradino PARACETAMOLO • Bloccocentraleprostaglandine(comprese le COX-3);

• interazioneconsistemaoppioidergico (recettori µ1 e k);

• modulazionedelsistemaendocannabinoide;

• modulazionedelsistemaserotoninergico (aumento tono) ;

• azionesuirecettoriNMDAspinali;• inibizionedellaossidonitrico-

sintetasi (azione antiradicalica).

os: 20 mg/kg start, poi15 mg/kg ogni 4 ore rettale: 40 mg/kg start, poi20 mg/kg

ogni 6 ore ev: 15 mg/Kg/dose (1,5 ml/kg/dose)dose max: 90 mg/kg/die

(60 mg/kg/die se fattori di rischio o se tempi >48 ore)

antidoto: N-acetil-cisteina

FANS • Bloccocentraleprostaglandine;• bloccoperifericoprostaglandine;• inibizionerilasciomediatori

infiammazione.

Potenza bassa

IbUPROFENE os: < 6 mesi: 5 mg/kg/6–8 h >6 mesi: 7,5 mg/kg/6–8 h

rettale: supposta da 60 mg > 6 kg/8 hr supposta da 125 mg> 12 kg/8 hr

dose max: 40 mg/kg/dienon utilizzare < 3 mesi

KETOPROFENE os, rettale o ev: 2–3 mg/kg ogni 8 ore (oppure 6 mg/kg/ 24 ore ev in i.c)

dose max: 9 mg/kg/die

media NAPROXENE os: 5–10 mg/kg ogni 8–12 oredose max: 20 mg/kg/die

alta KETOROLAC TROMETAMINA

os: 0,2 mg/kg (max 10 mg) ogni 2– 3 oreev, im: 0,5 mg/kg start, poi 0,2– 0,3 mg/kg

ogni 4–6 oredose max: 3 mg/kg/die

INdOMETACINA os, ev: 1 mg/kg ogni 8 hdose max: 3 mg/Kg/die

ii gradino OPPIOIdI dEbOLI Agonisti oppiacei parziali COdEINA (utilizzata in associazione con il paracetamolo)

os, rett: 0,5–1 mg/kg ogni 4–6–8 hATTENZIONE:– non deve essere usata in bambini < 12 aa– non deve essere usata in tutti nei pazienti

con età compresa tra 12 e 18 aa che:– sono stati sottoposti ad interventi

di tonsillectomia e/o adenoidectomia;– sono noti per essere metabolizzatori

CYP2d6 ultra-rapidi;– hanno una compromissione

della funzionalità respiratoria; – deve essere usata alla dose minima efficace

per il più breve periodo di tempo.

TRAMAdOLO os: 0,5–1 mg/kg ogni 4–6–8 hev: 1 mg/kg ogni 3–4 h o 1,5 mg/kg ogni 6h;

infusione continua 0,3 mg/kg/h

OPPIOIdI FORTI • Bloccopresinaptico nella neurotrasmissione spinale;

• modulazioneeffettivastimolazionevie inibitorie discendenti;

• effettoperiferico;• effettoinibitoriorispostaimmune.

MORFINA CLORIDRATO (ev): bolo 0,05–0,1 mg/kg ogni 2–4 h; infusione continua 0,02–0,03 mg/kg/h

SOLFATO (os): rapido rilascio: 0,15–0,3 mg/kg ogni 4 h lento rilascio: 0,3–0,6 mg/kg ogni 8–12 h

OXICOdONE os: 0,1–0,2 mg/kg ogni 8–12 h

FENTANIL ev: bolo 0,001–0,002 μg/kg/h (max 5 gamma/kg in respiro spontaneo); infusione continua 0,001 μg/kg/h

intranasale

METAdONE os: 0,05–0,1 mg/kg ogni 8–12 h (schema posologico da modificare in rapporto alla durata della terapia)

ANTAGONISTA dEGLI OPPIOdI

Si lega avidamente (spiazzando il farmaco agonista) al recettore per l’oppioide non esercitando attività terapeutica.

NALOXONE Vomito incoercibile, prurito: 1–2 µg/ kg ev seguito da infusione ev di 1–2 µg/ kg/ ora

Depressione respiratoria: da 4 a 10 µg/ kg evL’effetto può essere transitorio, per cui

il paziente deve essere attentamente monitorato.

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Dolore psicogeno Il dolore di origine psichica deriva dall’anoma-la interpretazione dei messaggi percettivi normalmente avviati e condotti2, 25, 26. A seconda delle differenti carat-teristiche e dei vantaggi secondari (consci o inconsci) che il bambino/adolescente tenta di ottenere, possiamo distinguere 3 differenti tipologie:

· somatoforme o psicosomatico: espressione fisica di un problema psicologico. Rappresenta un mezzo incosciente tentativo di uscire dal disagio;

· fittizio o “consapevole inganno”: dentro un qua-dro di disagio rappresenta un mezzo cosciente di “richiesta di aiuto” al fine di ottenere vantaggi se-condari (ad esempio la perdita scolastica). Carat-teristica di questa tipologia di dolore psicogeno è

la discrepanza tra il racconto del paziente e l’obiet-tività clinica riscontrata durante l’esame obiettivo;

· Sindrome di “Münchausen by proxy”: i genitori, o inventando sintomi e segni che i propri figli non hanno (presunto “dolore” del bambino) o procu-rando loro sintomi e disturbi (ad esempio sommi-nistrando sostanze dannose), li espongono ad ac-certamenti, esami, interventi inutili e alcune volte dannosi (soprattutto dal punto di vista psicologico). La predisposizione di una documentazione clinica “ricca” che viene esibita a frequenti consulti con vari specialisti (“Doctor shopping”) e la grande familia-rità con termini medici sono caratteristiche peculiari di questa situazione, creata, mantenuta e utilizzata dal genitore per attirare l’attenzione su di sé.

Tabella 3. TERAPIA FARMACoLoGICA – Classificazione oms (segue)

CLASSE MECCANISMO d’AZIONE FARMACO dOSAGGIO

aNestetici locali

Per infiltrazione locale, per irrigazione di mucose, per assorbimento transdermico o per blocchi nervosi centrali e periferici.

blocco della depolarizzazione della membrana presinaptica, impedisce lo sviluppo del potenziale d’azione.

LIdOCAINA 1% dose massima 5–6 mg/kg – 0,5 ml/kg meno dolorosa se tamponata con sodio bicarbonato 1:10

EMLA emulsione eutectica di lidocaina 2,5% e prilocaina 2,5% base

2 g circa di crema e si copre l’area con bendaggio semipermeabile per almeno 60 minuti.

Effetto analgesico dura almeno per 1 ora dopo rimozione bendaggio

farmaci audiuVaNti

Utili nella gestione del dolore cronico (Neuropatico) /o terminale

Azione:1. producono analgesia (utili nel controllo del dolore neuropatico)2. Potenziano effetto oppioidi3. Contrastano effetti indesiderati oppioidi

ANTI CONVULSIVANTI

Soppressione scarica neuronale CARbAMAZEPINA 4 mg/Kg/die, fino a 10 mg/Kg/die in 2 sottodosi

Stabilizzatori di membranaantagonizzano la trasmissione nervosa

GAbAPENTINA 8-35 mg/kg/die in tre dosi

AMITRIPTILINA 1/5 dose Gabapentina in 2 somministrazioni/die

ANTI dEPRESSIVI Efficaci nella componente disestesia – allodiniaarto fantasmadisturbi del sonno dovuti al dolore

AMITRIPTILINA Dose iniziale 0,2–0,4 mg/Kg/die serale (aumentabile del 25% ogni 2–3 giorni fino a 1–2 mg/Kg)

bENZOdIAZEPINE • Ansiolisi;• amnesia;• ridottatensionemuscolare.

dIAZEPAM 0,05-0,2 mg/Kg/dose ogni 4–6 ore

LORAZEPAM 0,05-0,2 mg/Kg/dose ogni 4–6 ore

sedazione e amnesia(sedazione procedurale)Rapidità d’azione (ev: 2–3 min, os: 10-15 min) ed emivita breve antagonista: Flumazenil: 0.02mg/dose

MIdAZOLAM os: 0.2–0.5 mg/kg endonasale: 0.2–0.5 mg/kg rettale: 0.25–0.5 mg/kg im: 0.1–0.5 mg/kg ev: (1m-5aa) 0.05-0.1 mg/kg (6aa–12aa) 0.025–0.05 mg/kgVantaggi se co-somministrato

con altri farmaci (es. Fentanest, Propofol, Ketamina)

NEUROLETTICIrischio di reazioni extrapiramidali (distonie e acatisia).

• Agitazione• nausea–vomito.analgesico, antiemetico, antipsicotico

CLORPROMAZINA os: 0,5 mg/Kg/dose ogni 4–6 ore

PROMETAZINA os: 1 mg/Kg/dose ogni 4–6 ore

ALLOPERIdOLO (> 3 anni)

os: 0,05–0,075 mg/Kg/die in due-tre dosi

CORTISONICI • Aumentodellapressioneintracranica;• compressionespinale/nervo• metastasiossee;• nausea–vomito.

dESAMETASONE Edema cerebrale: carico di 0,1–0,2 mg/kg, poi 0,1-0,15 mg/kg /die diviso in 4 dosi (max: 4 mg/dose) sia os che ev

ANTISTAMINICI • Pruritosevero• nausea,vomito• sedazione.

IdROSSIZINA os: 0,5–1 mg/kg/dose ogni 8 h

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Dolore misto Vi può essere coesistenza di dolore nocicettivo e neuropatico, presentandosi con segni e sintomi evocativi di interessamento somatico, viscerale e neuropatico in-sieme o separatamente in momenti diversi.

Valutazione del dolore

La terapia del dolore non può prescindere dalla valutazione dello stesso. Misurare il dolore è

il primo passo per poter riconoscere e quindi alleviare la sofferenza2,15-17. Durante la raccolta dell’anamnesi, attra-verso domande rivolte direttamente al bambino (quando possibile per età e patologia) e/o ai genitori, è importante mettere in luce:

· precedenti esperienze dolorose e risposte messe in atto

· situazione affettiva e familiare

· descrizione del dolore attuale (sede, andamento, si-tuazioni esacerbanti e limitanti, risposta ai farmaci) e modificazione del ritmo circadiano e della qualità della vita (sonno, gioco, alimentazione, scuola, re-lazioni con familiari e amici).

Un sistema rapido per memorizzare quali caratteri-stiche del dolore occorre cercare è il sistema PQRST (a-cronimo di Provocazione, Qualità, iRradiazione, Severità, Tempo) che prende in esame:

1. Provocazione (Provocation/Palliation): da cosa è provocato il dolore? Che cosa lo fa peggiorare? Che cosa lo fa migliorare?

2. Qualità (Quality/Description): che tipo di dolore è? A cosa assomiglia?

3. iRradiazione (Region/Radiation): dove è il dolore? Dove si irradia?

4. Severità (Gravità) (Severity/Scale): quanto è forte? Qual è la misura del dolore?

5. Tempo (Timing/Type of Onset): c’è sempre o va e viene? Da quanto tempo dura?

L’attenta raccolta di informazioni sul dolore provato ne facilita la diagnosi (tipologia di dolore: nocicettivo vs neuropatico vs psicogeno) e quindi dà maggiori possibilità di riuscita al trattamento. È quindi importante consen-tire al paziente, per quanto possibile per età e condizioni cliniche, e/o ai suoi genitori di “narrare” l’esperienza do-lorosa vissuta.

La misurazione del dolore (renderlo quantificabile utilizzando strumenti adeguati, efficaci e validati dalla letteratura) permette di:

· valutare il livello di dolore attuale del bambino;

· analizzare l’andamento del dolore nel tempo;

· scegliere l’approccio analgesico più adeguato;

· monitorare gli effetti del trattamento scelto;

· utilizzare un “linguaggio comune” tra operatori sanitari per un approccio condiviso nella gestione del dolore (la misurazione del dolore deve produrre dei valori numerici confrontabili).

La misurazione del dolore deve essere effettuata tenendo conto della dimensione soggettiva, di quella comportamentale e di quella fisiologica. La dimensione soggettiva è considerata il gold standard irrinunciabile, a meno che limiti d’età, fisici o intellettivi ne impediscano l’applicazione. Le dimensioni comportamentale e fisio-logica si rivelano essenziali nelle situazioni in cui non si può ricorrere all’autovalutazione del dolore. Molti gli

“Il dolore passa, l ’aver sofferto mai” Frederik Jacobus Johannes Buytendijk

“La valutazione del dolore ed il suo trattamento sono indipendenti, ma ciascuno dei due aspetti è sostanzialmente inutile senza l ’altro”

Myron Yaster

Scala FLACC

0 1 2

Faccia Espressione neutra Smorfie saltuarie, sopracci aggrottate Tremolio del mento frequente, mandibola serrata

Gambe Rilassate, in posizione normale Muscoli contratti, movimento continuo Gambe fisse, retratte

Attività Tranquillo, in posizione normale, si muove facilmente

Irrequieto, agitato, si gira da un lato all’altro

Rigido, inarcato, movimenti spasmodici

Pianto Non piange (sveglio o addormentato) Geme, si lamenta occasionalmente Piange, urla, singhiozza

Consolabilità Tranquillo, rilassato Rassicurato dal contatto e dalle parole, distraibile

difficilmente consolabile, non si calma

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tutto su Dolore in Pediatria: miti e verità

strumenti a disposizione, ma nessuno valido in assoluto per tutta l’età pediatrica. La scelta infatti varia in rapporto a fattori diversi quali età, fase di sviluppo cognitivo, com-portamentale e relazionale, situazione clinica, farmacolo-gica, emozionale e logistica, nonché culturale e sociale. I metodi algometrici in uso per l’età pediatrica si possono suddividere in due gruppi:

• scaleoggettiveodieterovalutazione:personediver-se dal bambino (genitori/operatori sanitari) danno una misurazione del dolore provato dal bambino stesso attraverso la valutazione delle risposte com-portamentali e dei parametri fisiologici;

· scale soggettive (self-report) o di autovalutazione: costituiscono il gold standard. Si tratta di metodi di valutazione che si basano sulla descrizione verbale o analogica che il paziente riesce a dare del proprio dolore: I limiti sono posti soprattutto dall’età del paziente (> 4 anni) e dalle sue capacità cognitive e comunicative28, 29.

Sono state individuate, fra le molte a disposizione, tre scale algometriche che per efficacia, efficienza e applicabi-lità, risultano le più indicate per la misurazione del dolore nel bambino competente, da 0 a 18 anni27:

· scala FLACC per bambini < 3 anni, o per bambi-ni che per deficit motori o cognitivi non possono fornire una valutazione soggettiva del dolore;

· scala con le facce di Wong-Baker per bambini > 3 anni;

· scala numerica per bambini ≥ 7 anni. Le scale di misurazione del dolore, le loro indicazio-

ni e gli accorgimenti che devono essere applicati nel loro utilizzo sono indicati nella Tabella 3. In caso di dubbio, si possono usare anche due metodi. Nel bambino con handicap neuromotorio, oltre all’utilizzo di particolari scale algometriche, si può ricorrere alla eterovalutazio-ne da parte dei genitori ed eventualmente, in caso di dubbio, alla valutazione dei parametri fisiologici30, 31 32. Il dolore deve essere valutato (obbligo secondo la legge 38/2010):

N-Pass

Criteri sedazione Normale Dolore / agitazione

-2 -1 0 1 2

Pianto Non pianto con simoli dolorosi

Minimo pianto con gli stimoli dolorosi

Pianto adeguato Fasi di irritabilità o pianto

Pianto acuto o silenzioso continuo

Irritabilità Rilassate, in posizione normale

Non irritabile

Comportamento Non risposte a qualsiasi stimolo

Minime risposte agli stimoli

Inquieto, si dimena Si inarca, contorce, scalcia

Stato Nessun movimento spontaneo

Piccoli movimenti spontanei

Appropriato per l’età gestazionale

Si sveglia presto Costantemente sveglio o sonno inquieto con frequenti risvegli (non sedato)

Espressione facciale

bocca distesa nessuna espressione

Minima espressione alla stimolazione

Rilassata appropriata Qualsiasi espressione di dolore intermittente

Qualsiasi espressione di dolore continuo

Estremità Grasp assente Grasp debole Mani e piedi rilassati Fasi intermittenti di mani a pugno o tese

Mani a pugno tese o flesse continuamente

Tono Tono flaccido Ipotono Tono normale Corpo non teso ipertono, corpo teso

Segni vitali Nessuna variazione con gli stimoli

Variazione del 10–20% rispetto al basale

Variazione > 20% rispetto al basale

FC, FR, PAS, Sao2 Iperventilazione o apnea

Variazione < 10% rispetto al basale con stimoli

All’interno del range di riferimento o normale per EG

SaO2 76–85% con la stimolazione ma rapido recupero

SaO2 < 75% con la stimolazione – lenta ripresaFuori sintonia con ventilatore meccanico

Score superiore a 3 indica dolore-moderato; score da -10 a -2 sedazione lieve; da -5 a -10 sedazione profonda.Correzione dello score in relazione alla prematurità: +3 se età gestazionale < 28 settimane/età corretta; +2 se età gestazionale 28-31 settimane; +1 se età gestazionale 32/35 settimane età/corretta.

Scala faccette di Wong Baker. Bambino di età > 3 anni.

Scala numerica. Bambino di età ≥ 8 anni.

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0tutto su Dolore in Pediatria: miti e verità

Bibliografia1. International Association for the

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· quando il bambino presenta situazioni cliniche che possono determinare dolore;

· quando il bambino dice di avere dolore;

· quando i genitori dicono che il loro figlio prova dolore;

· quando il paziente viene ammesso in reparto o-spedaliero e servizio ambulatoriale o in Pronto Soccorso (rilevazione da considerare in triage di pari importanza a quella dei parametri vitali);

· in ospedale almeno una volta al giorno (in assenza di cause oggettive di dolore);

· prima e dopo interventi dolorosi (procedure-ma-novre diagnostico-terapeutiche);

· durante la somministrazione di farmaci analgesici;

· dopo la sospensione di farmaci analgesici.

Trattamento del dolore

In ambito pediatrico, le possibilità d’intervento terapeutico antalgico sono molteplici e vanno usate in

maniera combinata: la terapia può essere eziologica (mirata a togliere, quando possibile, la causa del dolore); farmacolo-gica (basata sull’uso di farmaci specifici) e non farmacolo-gica (psicocomportamentale e fisica)2, 15–17, 33. L’Organizza-zione Mondiale della Sanità (OMS) ha stabilito una scala graduata d’interventi in base alle caratteristiche e all’entità del dolore: le indicazioni all’uso dei non oppioidi (parace-tamolo e FANS ‒ farmaci antinfiammatori non steroidei) sono state puntualizzate, l’efficacia dei farmaci adiuvanti è stata ormai confermata, le paure legate alla dipendenza e

alla tolleranza dei farmaci narcotici in età pediatrica sono state ridimensionate34, 35. Peraltro, il bambino (e soprattutto il neonato) è un paziente particolare: per molte molecole, infatti, presenta notevoli differenze farmacocinetiche che cambiano continuamente in rapporto all’età e alle condi-zioni cliniche. A differenza dell’adulto, per il quale esiste un dosaggio valido in assoluto, in ambito pediatrico la dose va stabilita prendendo in considerazione tutte le variazioni funzionali degli organi nei vari stati maturativi e quindi va stabilita in base al peso e all’età, o alla superficie corporea. L’impostazione di un programma terapeutico farmacolo-gico non può prescindere da alcune considerazioni. Innan-zitutto la scelta terapeutica deve valutare l’entità del dolore, e scegliere il farmaco adeguato per potenza analgesica. Il dolore è classificato secondo l’OMS in lieve, moderato e forte; per ciascun livello d’intensità, sono indicati dei farmaci, adeguati per potenza analgesica (scala analgesica OMS) secondo un principio di gradualità d’intervento. Il primo gradino è quello del dolore lieve e prevede l’uso di un farmaco analgesico non oppioide. Il secondo gradino è quello del dolore moderato e severo nel quale gli oppioidi, con o senza associazione di paracetamolo e FANS (associa-ti eventualmente ai farmaci adiuvanti), sono l’indicazione terapeutica (principio “secondo la scala”).

In secondo luogo, la scelta terapeutica (analgesici non oppioidi, oppioidi, adiuvanti e anestetici locali) deve va-lutare sia la tipologia del dolore (nocicettivo, neuropatico, psicogeno, misto...) che le condizioni cliniche (eventuali deficit di metabolizzazione e/o eliminazione), la durata

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prevedibile della terapia e le capacità di adattamento del bambino e della famiglia alla proposta. È importante che il programma terapeutico scelto sia presentato (in modo onesto e chiaro) e discusso col bambino (quando possi-bile per età e situazione clinica) e i genitori per favorire la collaborazione positiva sia nella valutazione che nella gestione della terapia.

In terzo luogo, la prescrizione deve essere eseguita alla dose corretta per l’età del paziente e per le condizioni cliniche, tenendo conto di eventuali insufficienze d’organo che possono modificare la farmacocinetica della molecola (principio “secondo il bambino”).

La via di somministrazione scelta poi deve essere la più semplice, più efficace e meno dolorosa (quasi sempre la via orale). La via intramuscolare deve essere limitata ai casi in cui non vi siano altre possibilità (principio “secondo la via”).

È importante somministrare gli analgesici a orario fisso, in modo da evitare l’insorgenza di “buchi” di dolo-re. L’intervallo fra le dosi dovrebbe essere determinato in accordo con l’intensità del dolore e la durata dell’effetto analgesico del farmaco utilizzato. La dose al bisogno deve essere prescritta solo dopo avere programmato un piano analgesico, nel caso in cui il bambino dovesse provare dolore durante la giornata nonostante la tera-pia a intervalli regolari (principio “secondo l’orologio”). L’efficacia terapeutica e gli eventuali effetti collaterali devono essere accuratamente monitorati e prontamente trattati. È necessario profilassare l’insorgenza del dolore prevedibile.

Analgesici non oppioidiGli analgesici non narcotici costituiscono una classe assai eterogenea di sostanze con meccanismi d’a-zione diversi. Una parte degli effetti terapeutici ‒ e anche di quelli indesiderati ‒ dipende dall’interazione inibitoria con il metabolismo dell’acido arachidonico durante la sintesi delle prostaglandine. Accanto a questa, svolgono anche un’azione centrale e periferica modulando, diretta-mente o indirettamente in senso negativo, la progressione dello stimolo nocicettivo. In ambito pediatrico, in realtà, la prescrizione di tali molecole è soprattutto seconda-ria agli effetti antipirettici e antiflogistici, mentre scarse sono le indicazioni in ambito antalgico. I farmaci più importanti di questa categoria sono il paracetamolo36 e alcuni FANS (ibuprofene, ketoprofene, napro- xene e ketorolac). L’indicazione è rivolta soprattutto al dolore lieve-moderato di diversa origine: osseo, muscolare, cu-taneo e mucoso, infiammatorio e post-operatorio. Sono indicati in associazione con gli oppioidi nella gestione del dolore grave (effetto sinergico che permette di ridurre il dosaggio dell’oppioide).

Analgesici oppioidiHanno meccanismo d’azione complesso mediato dall’interazione con siti recettoriali ubiquitari, che deter-mina sia gli effetti terapeutici (analgesia, euforia, ansiolisi, attenuazione di tutte le risposte integrate all’attivazione del sistema nocicettivo) che quelli collaterali. Tolleran-za, dipendenza fisica e psichica, depressione respiratoria

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(dose-correlata), effetti gastroenterici (nausea, vomito e costipazione), urinari (ritenzione urinaria), emodinami-ci (ipotensione, bradicardia) e neurologici (allucinazio-ni, convulsioni) sono gli effetti collaterali che ne hanno limitato per molto tempo l’intervento antalgico in età pediatrica. Attualmente la letteratura conferma che la scelta oculata del farmaco in rapporto all’età e al tipo di dolore, una metodologia di somministrazione (timing e via) corretta e un monitoraggio stretto, sia dell’effica-cia che degli eventuali effetti collaterali, permettono di impostare programmi terapeutici efficaci e sicuri anche nel neonato e nel bambino. I farmaci oppioidi occupano, quindi, un posto rilevante, sia per la loro efficacia che per l’ampia possibilità di utilizzazione clinica.

I principali vantaggi dell’uso degli oppioidi in età pe-diatrica derivano dalla:

· lunga esperienza clinica;

· azione analgesica efficace e intensa;

· effetto sedativo;

· assoluta reversibilità con il naloxone.Nella pratica, infatti, l’utilizzo degli oppioidi da parte

del pediatra (ai dosaggi e con gli schemi terapeutici racco-mandati) è da considerarsi non solo sicuro e appropriato, ma sostanzialmente obbligatorio in molte situazioni cliniche.

Se utilizziamo la via parenterale, in corso di infusio-ne iniziale e/o aggiustamento/modificazione di terapia, è opportuno monitorare la frequenza cardiaca, respira-toria (meglio rispetto alla saturazione di O2, poiché la bradipnea precede la desaturazione), la pressione arte-riosa nonché il livello di sedazione. In corso di terapia cronica (per os ed ev) non è necessario un monitoraggio dei parametri fisiologici, mentre è indicato (in corso di aumento del dosaggio) l’uso di una scala della sedazione ed eventualmente il monitoraggio della frequenza respi-ratoria. Altre situazioni cliniche di attenzione possono essere insufficienza renale o respiratoria, ileo meccanico e/o dinamico, insufficienza epatica, traumi cranici, asma, anemia e ipovolemia.

Gli effetti collaterali da oppioidi possono essere trat-tati, se non prevenuti:

· costipazione: modificazioni della dieta (più liquidi e fibre), uso di blandi lassativi;

· prurito: uso di antistaminici, eventuale cambio di oppioide (ad esempio l’uso di fentanil è meno gra-vato dalla presenza di tale sintomo);

· nausea e vomito: è indicato l’uso concomitante di antiemetici;

· sedazione: rivalutare dosaggio e timing di sommi-nistrazione;

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

· allucinazioni: rivalutare il dosaggio del farmaco, considerare l’eventuale cambio con altro oppioide o programmare l’uso di farmaci neurolettici;

· mioclono: clonazepam;

· globo vescicale: massaggio ed eventuale cateterismo;

· edemi periferici: breve ciclo di diuretico;

· problemi respiratori: - bradipnea: stimolazione del bambino e ridu-

zione delle dosi successive di farmaco; - apnea: stimolazione del bambino, ossigenote-

rapia ed eventuale supporto respiratorio; - situazione acuta: naloxone e intervento riani-

matorio. Tutti gli effetti collaterali possono essere bloccati (tem-

poraneamente per un periodo di circa 60–90 minuti, per-tanto risulta indispensabile rivalutare il paziente dopo tale periodo) dal naloxone, che però interrompe anche l’anal-gesia. Dal punto di vista della potenza antalgica i farmaci appartenenti a questa classe vengono comunemente divisi in oppioidi deboli e oppioidi forti. Quelli più frequente-mente usati in età pediatrica sono, fra gli oppioidi deboli, codeina37–40 e tramadolo41 e, fra gli oppioidi forti, morfina, oxicodone, fentanil e metadone. Non c’è effetto-tetto (a eccezione di codeina e tramadolo): si può aumentare la dose fino a ottenere un controllo adeguato del dolore.

AdiuvantiGli adiuvanti o coanalgesici comprendono un gruppo di farmaci la cui indicazione primaria non è il dolore, ma capaci di importanti proprietà analgesiche in alcune condizioni, per le quali vengono associati agli analgesici corrispondenti a ciascun gradino della scala. In pediatria gli adiuvanti sono stati utilizzati soprattutto nel bambino affetto da dolore di origine neuropatica o mista.

Anestetici localiMolteplici le possibilità d’uso e le metodiche di somministrazione per il controllo del dolore degli ane-stetici locali in ambito pediatrico: infiltrazione locale, irrigazione di mucose, assorbimento transdermico o bloc-chi nervosi centrali e periferici. L’anestesia locale si è arricchita in questi ultimi anni di molti presidi che hanno nettamente migliorato l’efficacia e l’applicabilità di queste molecole. Gli anestetici più usati sono lidocaina, mepi-vacaina, bupivacaina e ropivacaina .

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La terapia analgesica non farmacologica: alcune tecniche alla portata di tutti Sono qui descritte alcune tra le TNF che più frequentemente possono essere utilizzate soprattutto in ambito ospedaliero.

Centro di riferimento per la regione Veneto di Terapia del Dolore e Cure Palliative Pediatriche – Università degli Studi di Padova

Pierina LazzarinFilippo CoccatoMaria Chiara GiglioGrazia GhiraldoPaola Amoruso Franca Benini

La letteratura in questi ultimi anni ha proposto numerosi studi che hanno confermato l’efficacia del-

le tecniche non farmacologiche (TNF) nell’ambito della analgesia neonatale e pediatrica1. Il dolore è un’esperienza complessa in cui la componente fisica si associa alla componente emotiva: un inter-vento globale che preveda l’utilizzo di farmaci e di TNF è quello che as-

sicura maggior efficacia. I meccanismi d’azione attraverso cui le TNF conseguono l’effetto antalgico sono diversi e non completamente conosciuti: tra i meccanismi più

importanti, l’attivazione del sistema inibitorio discendente (modulazio-ne centrale) e l’incremento del livello di endorfine endogene2. Indicazioni: non ci sono limiti di età all’utilizzo delle TNF. Per essere efficaci, devono

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essere adeguate all’età e alla capacità di sviluppo e devono essere scelte in modo che il bambino sia interessato alla tecnica proposta. Tutte le tipologie di dolore (acuto, cro-nico, procedurale) risentono favorevolmente dell’utilizzo delle TNF. Gli ambiti in cui le TNF sono stati più studiati sono l’ambito procedurale e cronico.

Esse possono essere riassunte in tre grandi categorie:

· metodi cognitivi (preparazione, musica, immagi-nazione guidata, distrazione, ipnosi);

· metodi comportamentali (rilassamento muscolare, esercizi di biofeedback, controllo della respirazione);

· metodi fisici (caldo/freddo, massaggio, TENS, a-gopuntura).

Di seguito sono descritte alcune tra le TNF che più frequentemente possono essere utilizzate soprattutto in ambito ospedaliero: sono tutte TNF facili da usare che non richiedono particolare preparazione dell’operatore se non quella di prevedere la disponibilità di materiale

Tutte le tipologie di dolore (acuto, cronico, procedurale) risentono favorevolmente dell ’utilizzo delle TNF. Gli ambiti in cui le TNF sono stati più studiati sono l ’ambito procedurale e cronico.

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Tabella 1. Suggerimenti per i genitori e per i professionisti da adottare durante una procedura

PARoLE DA EVITARE

È tutto a posto; non c'è nulla di cui preoccuparsi

rassicurazione eccessiva

Non va bene… / non farà male vago; attenzione negativa

Ti stai comportando come un bambino!

critica

E si sentirà come una puntura d’ape messa a fuoco negativa

La procedura durerà a lungo attenzione negativa

La medicina brucerà attenzione negativa

dimmi quando sei pronto richiesta di eccessivo controllo

Mi dispiace scuse

Non piangere attenzione negativa

È tutto finito, finito…! rassicurazione eccessiva

SUGGERIMENTI

Cosa hai fatto oggi a scuola? distrazione

Si potrebbe sentire come un pizzico informazioni sensoriali

Prima di tutto, l’infermiera pulirà il braccio, sentirai il tampone imbevuto di disinfettante freddo, e poi...

informazioni sensoriali e procedurali

Andiamo con la mente fuori di qui; dimmi di quel film…

distrazione

dimmi come ci si sente mentre… informazioni

La procedura sarà più breve di... (riferimenti pratici come programma televisivo o altro momento familiare al bambino)

informazioni procedurale; attenzione positiva

Alcuni bambini dicono di sentire una sensazione di caldo, altri invece…

informazioni sensoriali; attenzione positiva

Quando io conto fino al 3, inizia a soffiare fuori la sensazione che provi (o la paura) lontano dal corpo

insegnare una tecnica di distrazione; insegnare modalità di controllo

Sei molto coraggioso lode; incoraggiamento

Lo so che è stato duro; Sono orgoglioso di te

lode

Hai fatto un ottimo lavoro facendo la respirazione e soffiando via la tua paura

lode specifica

Tabella 2. Descrizione di altre TNF

tNf cognitivo-comportamentali

Ipnosi I bambini possono essere più facili da ipnotizzare rispetto agli adulti, ma la tecnica deve essere utilizzata da personale esperto. Gli studi hanno dimostrato che l’ipnosi e l’auto-ipnosi può essere utile per la riduzione del dolore in procedure dolorose, come l’aspirazione del midollo osseo e la puntura lombare nei pazienti oncologici pediatrici, il dolore postoperatorio e l’ansia nei bambini sottoposti a intervento chirurgico, e con cefalea.

Musicoterapia La musica può essere scelta dal bambino in collaborazione con il musico terapista/operatore e associata ad esercizi di rilassamento. Può aiutare ad aumentare i livelli di energia, a migliorare l’umore e ridurre l’ansia. Può aiutare a ridurre il dolore attivando il rilascio di endorfine.

Pet therapy La tecnica utilizza l’animale che, guidato da un terapista, aiuta il bambino a raggiungere rilassamento, distrazione e benessere.

tNf fisiche

Caldo/Freddo Il caldo e il freddo, come altre tecniche fisiche, attivano il sistema gate-control. Il calore riduce il dolore e lo spasmo muscolare: viene applicato per 20-30’ ogni 2 h (attenzione al neonato o al bambino non vigile). Il ghiaccio aiuta a diminuire l’infiammazione, il gonfiore e il dolore. L’impacco di ghiaccio può essere posizionato sulla zona per 15 a 20 minuti ogni ora (attenzione al neonato o al bambino non vigile).

Massaggio Molti studi evidenziano come il massaggio terapeutico e il tocco dolce nel neonatale porta ad uno stato di benessere soprattutto nel dolore cronico, migliorando la tensione, la sofferenza, il dolore, il disagio, e l’umore.

Agopuntura/digitopressione Molti studi evidenziano come l’agopuntura o l’utilizzo di tecniche di pressione nei punti dell’agopuntura portino ad una riduzione del dolore e di sintomi correlati ad alcune patologie come il tumore.

TENS Stimolazione elettrica transcutanea

L’apparecchio utilizza un segnale elettrico che, tramite il posizionamento di elettrodi sulla pelle nel punto in cui è percepito il dolore, migliora il rilassamento muscolare e riduce il dolore.

Saccarosio/glucosio Viene raccomandato l'uso del saccarosio/glucosio nel neonato pretermine con succhiotto max 12% (0,2-0,3 ml) e nel neonato a termine 24% 1-2ml due minuti prima della procedura, durante e dopo, sulla lingua (no s.n.g.). È raccomandato per la puntura tallone, vaccinazioni, puntura arteriosa, puntura lombare.

Tabella modificata da Pediatrics 2008;122(Suppl 3)12

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Come si fa La terapia non farmacologica: alcune tecniche alla portata di tutti

Esempi di gestione di dolore procedurale / Caso 1

TECNIChE DA UTILIZZARE DURANTE LA VENIPUNTURA

Al fine dell’esecuzione di un esame endoscopico, Marco di 5 anni deve posizionare un accesso venoso per l’infusione dei farmaci analgesici e sedativi.

PreparazioneL’infermiera accoglie Marco: gli spiega che deve inserire un ago di colore giallo nel suo braccio che servirà a fare le medicine per dormire durante l’esame della broncoscopia. Concentra la sua comunicazione indagando se Marco ha avuto altre esperienze di “puntura di ago”, cercando di capire quali sono state le sue emozioni e il suo vissuto (“Cosa hai sentito? Ti stringeva troppo il laccio ed è stato quindi questo che ti ha dato più fastidio?). Nella comunicazione l’infermiera evidenzia le sensazioni (termiche: “Sentirai un po’ di freddo quando viene passato il disinfettante sul braccio”; pressorie: “Sentirai un po’ premere quando viene messo il laccio sul braccio”; sensitive: “Sentirai un po’ come bruciare o come un pizzico quando viene messo l’ago sul braccio”), racconta le varie fasi della procedura (“Per prima cosa ti toglierò la crema, poi ti metterò il laccio, ti disinfetto con il cotone e metto l’ago nella tua vena”) e la temporalità della procedura con dei riferimenti precisi alle fasi della procedura (“Quando ti tolgo il laccio, abbiamo finito tutto!”).

Tecniche antalgiche farmacologiche e fisicheL’infermiera prima dell’esecuzione della procedura utilizza una tecnica per ridurre la sensibilizzazione del dolore nocicettivo periferico, attraverso il posizionamento di una crema anestetica locale o del freddo (ghiaccio spray, ghiaccio secco) o mediante l’utilizzo di strumenti di attivazione del gate-control (Buzzy®). L’infermiera spiega a Marco che la crema che gli appoggia sopra la pelle dove poi pungerà con l’ago la farà “addormentare”.

Tecniche antalgiche non farmacologiche cognitive-comportamentaliL’infermiera chiede a Marco cosa gli piacerebbe fare mentre viene fatta la procedura e dà a lui dei suggerimenti: “Puoi restare in braccio alla tua mamma, mentre a me darai solo il tuo braccio; poi, con la mamma, farai le bolle di sapone... vuoi provare a farne una? Vediamo se ti piace farle! Oh, ma ti diverti tantissimo! Allora, quando soffierai una bolla grande, fai un salto grande, ci sali dentro e voli lontano lontano da questa stanza... fino ad un posto bellissimo! Dove ti piacerebbe andare?”. Mentre Marco inizia a soffiare, l’infermiera toglie la crema e mette il laccio: poi, mentre Marco è distratto dalle sue bolle, punge e togliendo il laccio, conferma di aver finito l’esame.

Al termine della procedura chiede a Marco cosa ha sentito, gli mostra la scala del dolore e gli chiede quanto male ha sentito durante l’esame. Infine, rinforza con parole positive il comportamento di Marco anche se durante l’esame ha pianto o si è mosso: “Sei stato bravissimo Marco, ti sei comportato come un bambino molto coraggioso e hai fatto delle bolle bellissime! Bravo!”.

(giochi, video, bolle di sapone per esempio) e l’organiz-zazione di spazi e tempi adeguati3-7. Nell’ambito della gestione del dolore procedurale le tecniche che possono essere facilmente utilizzabili sono la preparazione all’esa-me diagnostico-terapeutico e le tecniche di distrazione. Nell’ambito del dolore acuto e cronico risultano utili le tecniche di distrazione e di rilassamento. Altre tecniche sono brevemente descritte in Tabella 2.

Preparazione

Le raccomandazioni della letteratura indi- cano che è fondamentale la preparazione del bambi-

no all’esame doloroso al fine di ridurre lo stress e la paura ed aumentare ‒ soprattutto nel bambino più grande e nell’adolescente ‒ la sensazione di autocontrollo. Questa deve comprendere delle informazioni rispetto la tem-pistica e il contenuto della procedura. Le informazioni devono essere date lo stesso giorno dell’esecuzione della procedura ma nel caso di una procedura maggiore (ad esempio un intervento chirurgico), le notizie è meglio fornirle qualche giorno prima. Quando si informa il bambino per l’esecuzione di procedure, potrebbe essere utile una comunicazione verbale associata ad ausili visivi tipo cartoon, vignette o delle fotografie (soprattutto per il bambino in età prescolare), che rappresentino le varie fasi della procedura; è bene incoraggiare il bambino a porre domande sui suoi timori e sulle sue esperienze precedenti. Sono descritti alcuni suggerimenti nella Tabella 1.

Le tecniche di distrazione

Esse riducono la paura dei bambini, l’ansia e il dolore associato a procedure dolorose8–9 e com-

prendono varie modalità quali film, giocattoli interattivi e virtuali, l’uso della musica, soffiare le bolle di sapone, raccontare brevi storie… Le ipotesi della letteratura suggeriscono che la distrazione funziona in quanto il bambino mentre gioca riduce la propria capacità a fo-calizzare l’attenzione su altri stimoli. È stato anche suggerito che la distrazione altera le risposte nocicet-tive innescando un sistema di soppressione del dolo-

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8Come si fa La terapia non farmacologica: alcune tecniche alla portata di tutti

Esempi di gestione di dolore procedurale / Caso 2

LA MUSICA CoME TECNICA DI DISTRAZIoNE PER LA RIDUZIoNE DELL’ANSIA

Elisa, 13 anni, deve sottoporsi ad intervento chirurgico di appendicectomia. Viene accompagnato dalla mamma in pre-sala operatoria dove trova il medico chirurgo.

PreparazioneIl medico chiede ad Elisa se ha già avuto esperienze simili, ed Elisa racconta di essere stata solo due volte dal dentista e una volta in pronto soccorso perché era caduta dalla bicicletta. Racconta di non aver paura di nulla e di sentirsi tranquilla. Il medico capisce che la sua “tranquillità” è un tentativo per mascherare l’ansia che in realtà sente e che non sa controllare con le sue capacità di ragazzina. Gli spiega con semplici parole cosa succederà, sottolineando soprattutto le sensazioni che probabilmente proverà e descrivendo la tempistica evidenziando le varie fasi della procedura.

Tecniche antalgiche non farmacologiche cognitive-comportamentaliIl medico chirurgo chiede ad Elisa se nel suo cellulare ci sono le sue musiche preferite: la mamma di Elisa ha nella borsa l’iPhone di Elisa corredato di cuffiette. Il medico consiglia ad Elisa di utilizzare l’ascolto della sua musica preferita per ridurre l’ansia, insegnandole così una modalità di controllo comportamentale in questa situazione nuova e stressante. Elisa accetta volentieri, è una pratica per lei consolidata quella di usare le cuffiette per gestire situazioni emozionali stressanti, e il medico le spiega che è come quando è a casa e vuole staccarsi da quello che succede intorno a lei e allora si chiude in camera e si mette le cuffie con la musica, così riesce a rilassarsi e a non pensare! Mentre Elisa ascolta la musica, il medico anestesista le somministra i farmaci sedativi. Al risveglio viene chiesto ad Elisa che cosa ha sentito, quanto male ha in quel momento e si rinforza con messaggi positivi rispetto al suo comportamento, coraggioso e adeguato.

Esempi di gestione di dolore procedurale / Caso 3

L’IMMAGINAZIoNE GUIDATA

Alessandro, 10 anni, deve sottoporsi a Risonanza magnetica per accertamenti relativi alla sua patologia oncologica. Alessandro viene accompagnato dalla mamma in radiologia dove trova il medico anestesista.

PreparazioneAlessandro ha già eseguito altre due volte lo stesso esame ma in sedazione: oggi non vorrebbe dormire perché ha tanta fame (è in terapia cortisonica) e l’ultima volta ha dovuto aspettare tanto prima di potersi alimentare.

Tecniche antalgiche non farmacologiche cognitive-comportamentali L’anestesista gli spiega che per fare bene questo esame è necessario rimanere fermi come delle statue e che l’unica cosa strana è che si sente un rumore forte. L’anestesista dice ad Alessandro di poterlo aiutare ad eseguire l’esame senza farmaci per dormire facendogli fare un sogno ad occhi aperti! Alessandro acconsente, si stende sul lettino e ascolta il medico che prima lo rilassa e poi lo invita a uscire con la mente dalla stanza di Radiologia e di andare in un posto bellissimo!

L’esame viene eseguito mentre l’anestesista, dopo aver indotto Alessandro con la tecnica di “immaginazione guidata”, lo fa rimanere nel “posto bello” dandogli ogni tanto dei piccoli suggerimenti come “concentrati su tutto quello che vedi, sui profumi o gli odori che percepisci, su quello che stai facendo, sui rumori che senti”. Alla fine dell’esame il medico chiede ad Alessandro che cosa ha sentito, e lo rinforza con messaggi positivi rispetto al suo comportamento, coraggioso e adeguato.

Il dolore è un’esperienza complessa in cui la componente fisica si associa alla componente emotiva: un intervento globale che preveda l ’utilizzo di farmaci e di TNF è quello che assicura maggior efficacia.

È stato suggerito che la distrazione altera le risposte nocicettive innescando un sistema di soppressione del dolore.

Come si fa La terapia non farmacologica: alcune tecniche alla portata di tutti

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re11. Inoltre, alcuni stimoli distraenti possono indurre comportamenti che sono incompatibili con l’angoscia, come ridere mentre si guarda un film divertente. Indi-pendentemente dal motivo, la distrazione sembra essere un ottimo intervento per la gestione del dolore nei bam-bini. Le tecniche di distrazione ottimali coinvolgono molteplici stimoli sensoriali (ad esempio, vista, udito, tatto) come può avvenire per un videogioco interattivo e possono essere attuate da qualsiasi operatore senza alcuna preparazione specifica.

Tecniche di rilassamento

L’ immaginazione guidata è una pratica comune in ambito psicologico e consiste nell’incoraggiare

il bambino a rilassarsi e a visualizzare un “posto bello”, attivando uno stato mentale a metà tra la veglia e il sonno: migliorano il controllo dell’ansia del bambino durante procedure invasive e la gestione di altri sintomi nelle ma-lattie croniche. Mentre il bambino immagina il suo “posto bello”, l’operatore lo aiuta a mantenere la concentrazione suggerendo di immaginare con tutti i cinque sensi (“Senti dei profumi, degli odori particolari”; “Ci sono dei rumori piacevoli”; “Sulla pelle senti il calore del sole”). La respi-razione, ossia porre attenzione ai propri atti respiratori attraverso una respirazione profonda o diaframmatica, può portare a uno stato di rilassamento progressivo. Il bambino può essere invitato a fare dei respiri profondi e lenti mentre il corpo si rilassa: “Cerca di rilassare tutti i muscoli, uno per uno, dalla punta dei piedi alla cima della testa”. Un’altra tecnica per il controllo della respirazione nel bambino piccolo, può essere l’uso delle bolle di sapone, utili non solo come gioco di distrazione, ma soprattutto come tecnica per controllare la respirazione e immaginare di “soffiare via il dolore”. Il ricorso a tale tecnica provoca una serie di modificazioni fisiologiche quali la riduzione della frequenza cardiaca e respiratoria, la riduzione della tensione muscolare e della pressione arteriosa. Le tecniche di rilassamento possono essere utilizzate nel trattamento del dolore procedurale, cronico, ricorrente .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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5. Quali sono le differenze di misurazione della pressione arteriosa nel bambino rispetto all’adulto?a. il bambino deve essere sempre

in posizione supina;B. l’altezza del bracciale dello

sfigmomanometro deve essere pari al 40% della circonferenza del braccio nel suo punto medio;

c. la pressione diastolica non è facilmente apprezzabile;

d. per misurare la pressione in età pediatrica, utilizzare solo le metodiche oscillometriche automatiche.

6. si definisce iperteso un bambino quando presenta:a. almeno in una rilevazioni su tre

una media di valori sistolici maggiori o uguali al 95° percentile per sesso, età e percentile di statura;

B. almeno in una rilevazione su tre una media di valori sistolici e/o diastolici maggiori o uguali al 95° percentile per sesso, età e percentile di statura;

c. almeno in tre rilevazioni in occasioni diverse una media di valori sistolici e/o diastolici maggiori o uguali al 95° percentile per sesso, età e percentile di statura;

d. almeno in tre rilevazioni in occasioni diverse una media di valori sistolici e/o diastolici superiori o uguali al 90° percentile.

7. Nell’approccio psicoterapico ad orientamento cognitivo comportamentale su cosa è prioritario porre attenzione?:a. gli antecedenti del comportamento

problema;B. i comportamenti problema;c. i pensieri e le credenze disfunzionali

(Cognitive Reframing);

d. le personali capacità di far fronte alle problematiche (Coping);

e. tutti i precedenti.

8. Quale sintomo target ha la psicofarmacoterapia con antipsicotici atipici nei disturbi dirompenti?a. irritabilità;B. stereotipie;c. aggressività;d. disforia;e. anedonia.

9. Nella dermatite atopica, quale indagine rappresenta il gold standard per la rilevazione della sensibilizzazione agli alimenti?a. Skin prick test;B. prick by prick con l’alimento fresco;c. patch test;d. test di provocazione orale per

alimenti.

10. Quale delle seguenti affermazioni non è corretta?a. La positività degli SPT è un criterio

indispensabile per la diagnosi di dermatite atopica;

B. la sensibilizzazione ad allergeni alimentari può seguire l’insorgenza di dermatite atopica;

c. la sensibilizzazione ad allergeni alimentari può precedere e predire l’esordio della dermatite atopica;

d. è stata dimostrata un’associazione tra sensibilizzazione persistente e gravità della dermatite atopica.

[Quiz]

Test di autovalutazione

Le risposte esatte saranno pubblicate

sul prossimo numero della rivista.

1. l’esecuzione di tecniche non farmacologiche durante l’esecuzione di una procedura diagnostica/terapeutica, permette di: a. ritardare i tempi della procedura/

esame; B. ridurre ansia, stress, percezione

del dolore; c. fare la procedura senza l’uso

di farmaci; d. lavorare in un ambito più giocoso.

2. la soluzione di saccarosio/glucosio viene somministrata:a. 10 minuti prima della procedura;B. 2 minuti prima, durante e dopo

la procedura;c. 2 minuti prima della procedura;d. solo al neonato a temine.

3. i parametri per valutare il dolore fisico in un bambino con patologia non guaribile sono tutti i seguenti tranne uno. indicare quale:a. meccanismi di percezione;B. sede;c. qualità; d. intensità.

4. Quale dei seguenti è uno svantaggio nell’uso del paracetamolo?a. il rischio di sanguinamento

gastrointestinale;B. l’insignificante effetto

antinfiammatorio;c. il rischio di sanguinamento per

effetto antiaggregante piastrinico;d. il ritardo di almeno 1-2 settimane

prima che si esprima l’effetto antinfiammatorio.

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Quiz Test di autovalutazione

1. il sovraccarico di ferro nell’organismo: è presente nei pazienti con affezioni ematologiche ereditarie o acquisite cronicamente trasfusi e nei pazienti con talassemia intermedia e anemie diseritropoietiche congenite, occasionalmente trasfusi e in quelli con emocromatosi ereditaria. Risposta corretta: DIl sovraccarico di ferro è una complicanza temibile di molte malattie e con i suoi effetti lesivi su tutti gli organi ed apparati dell’ organismo umano è responsabile di gran parte della morbilità e mortalità di questi pazienti. Nelle affezioni morbose trasfusione-dipendenti il sovraccarico è conseguente all’accumulo nell’organismo del ferro presente nelle trasfusioni; nelle talassemie intermedie, nelle anemie diseritropoietiche congenite e nell’emocromatosi ereditaria invece il sovraccarico si realizza essenzialmente attraverso l’aumentato assorbimento intestinale del ferro. Ciò è dovuto alla presenza in questi pazienti di bassi livelli sierici dell’epcidina, che nei primi due casi è determinato, attraverso meccanismi ancora sconosciuti, dalla eritropoiesi inefficace, tipica di questi pazienti mentre, nell’emocromatosi ereditaria, è causata da una ridotta sintesi di quest’ormone.

2. Per la diagnosi di talassemia intermedia: oltre a quanto enunciato nei punti a, b e c, è necessaria la valutazione, mediante tecniche di biologia molecolare, dell’assetto dei geni globinici. Risposta corretta: DLe talassemie intermedie (o NTdT) includono un’amplissima varietà di fenotipi clinici ed ematologici, che vanno da forme lievi, in cui le alterazioni presenti sono poco più accentuate rispetto ai portatori classici fino a forme con quadro clinico ed ematologico severo. Per la diagnosi è pertanto necessaria un’accurata anamnesi, un esame clinico attento, la definizione completa del fenotipo ematologico, incluso lo studio elettroforetico dell’Hb e indagini molecolari per l’esatta definizione dell’assetto dei geni globinici: tale valutazione va necessariamente estesa ai genitori ed eventualmente ai germani del probando.

3. a livello normativo, sul dolore pediatrico: la Legge 38/2010 e la Conferenza Stato-Regioni hanno sancito che le CP sono un diritto del bambino ed hanno definito criteri organizzativi e standard di riferimento. Risposta corretta: CA livello normativo è stata definita la Rete di Cure Palliative e Terapia del dolore Pediatrica che prevede una aggregazione funzionale ed integrata delle attività di Terapia del dolore e Cure Palliative rivolte al minore, erogate nei diversi setting assistenziali, in un ambito territoriale ed ospedaliero definito a livello regionale.

4. la morfina per os si prescrive su: Ricettario del SSN (ricettario rosso). Risposta corretta: CL’articolo 10 della Legge 38 decreta la semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati nella terapia del dolore, tanto che per la prescrizione di farmaci previsti per il trattamento di pazienti affetti da dolore severo e in particolare dei farmaci analgesici oppiacei, in luogo del vecchio ricettario contenente le ricette a ricalco può essere utilizzato il ricettario del Servizio Sanitario Nazionale (ricettario rosso).

5. a quale dosaggio utilizzi il paracetamolo come azione analgesica? 15–20 mg/kg os, 15 mg/kg ev. Risposta corretta: BIn caso di primo approccio al dolore la prima arma terapeutica è costituita dal paracetamolo e/o dai FANS. Il paracetamolo è un farmaco sicuro, ben tollerato e funziona sicuramente quando la dose è adeguata: va utilizzato come analgesico alla dose di 15–20mg/kg os e 15 mg/kg ev. La dose rettale ha un’efficacia analgesica minore, la prima dose deve essere data a 30 mg/kg poi 20 mg/kg ad intervalli di 6-8 ore (in lattanti e neonati deve essere utilizzato un dosaggio minore).

Le risposte del numero precedente

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2Quiz Test di autovalutazione

6. Per quale tipo di dolore sono indicati i farmaci oppioidi? In caso di dolore severo.Risposta corretta: CSe il dolore persiste e/o aumenta e se si tratta di dolore severo (FLACC/Wb/Numerica >7) è raccomandato l’utilizzo dei farmaci oppioidi che possono avere, in queste situazioni, una giusta indicazione. Per l’utilizzo corretto però bisogna attenersi ad alcune raccomandazioni:- utilizzare la via di somministrazione

meno invasiva;- quando possibile scegliere

le formulazioni a rilascio prolungato;- introdurre un agente alla volta;- monitorare costantemente

il trattamento al fine di valutarne efficacia ed effetti avversi;

- se necessario cambiare un oppiaceo con un altro.

7. È importante ricordare, prima di considerare una qualsiasi patologia inerente al sonno, che le ore di sonno quotidiane necessarie in età evolutiva al mantenimento di un corretto equilibrio sonno-veglia variano notevolmente in base all’età. Quante sono quelle fisiologiche per un adolescente? 9 ore circa. Risposta corretta: BUn’inadeguata igiene del sonno è la più comune causa di insonnia negli adolescenti. Gli adolescenti sono soliti andare a dormire dopo le 23.00

oltrepassando il periodo di normale rilascio di melatonina, che normalmente avviene intorno alle 20.30. Fattori ambientali quali sport pomeridiani, televisione, internet, studio serale, assunzione di caffeina, alcool e nicotina possono interferire con il sonno alterando la capacità di attenzione e di concentrazione diurna negli adolescenti.

8. dai rilievi della letteratura appare evidente come il trattamento farmacologico di prima scelta per l’insonnia, e più in generale per i disturbi del sonno in età evolutiva, debba prevedere l’uso di: farmaci non benzodiazepinici. Risposta corretta: AI farmaci non benzodiazepinici sono dotati di una sufficiente efficacia e soprattutto di una maggiore sicurezza e flessibilità. Esistono numerose evidenze a favore dell’uso della melatonina ed iniziali riscontri sull’uso del Ramelton (antagonista selettivo per i recettori della melatonina), dello Zolpidem e della Clonidina. Poche evidenze supportano l’uso degli antistaminici, per i quali sono riportati peraltro diversi effetti indesiderati.

9. Quale delle seguenti affermazioni sul rGe fisiologico è falsa? Il RGE fisiologico può associarsi a volte a complicanze, quali esofagite. Risposta corretta: CSecondo le ultime linee guida della Società Nord-Americana di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione (NASPGHAN) e della Società Europea di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione (ESPGHAN),

il reflusso gastroesofageo (RGE) è caratterizzato dalla risalita del contenuto gastrico in esofago con o senza rigurgito o vomito. La malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), invece, è definita dalla presenza di sintomi che compromettono la qualità della vita del bambino o da complicanze, quali esofagite, stenosi peptica, metaplasia gastrica o esofago di barrett, causate dal RGE. Pertanto, per definizione il RGE non può associarsi ad esofagite.

10. Qual è l’effetto degli inibitori di pompa protonica sul reflusso gastroesofageo? Riducono il pH dei reflussi acidi ma l’altezza ed il numero dei reflussi totali restano invariati. Risposta corretta: BAlcuni studi in letteratura hanno evidenziato che gli inibitori di pompa protonica (IPP) hanno un importante effetto sulla riduzione dell’acidità dei reflussi acidi. Inoltre, Turk et al hanno valutato le caratteristiche del reflusso in bambini prima e dopo terapia con IPP, dimostrando che il numero dei reflussi totali e la loro altezza era invariata rispetto ai valori registrati prima del trattamento.

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