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Ready4AfricaNews - ANNO III, N.3 Martedì 19 LUGLIO 2011 I beni più grandi vengono a noi attraverso la follia, quando è data per dono divino (Platone) Karibu to Hope International School! INCONTRO CON LA NOSTRA SCUOLA SORELLA ANNO III N.3 HAPA TUKO + LEO-MAJOR Maecenas pulvinar sagittis enim. MATURIPERL’AFRICA NEWS READY4AFRICA URURU PARK La faccia bene di Nairobi Pagina 2 Impressioni sul tragitto aeroporto-casa di accoglienza Pagina 3 Piselli e Baguette Una mattinata operosa e tranquilla Pagina 3 RITRATTI PER UN VIAGGIO Pagina 6-7 Il motto di oggi: La festa alla HIS Sentirsi ospiti graditi Pagina 5 Maturi per... sbucciare piselli Pagina 4

19 luglio

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Terzo numero

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Ready4AfricaNews - ANNO III, N.3

Martedì 19 LUGLIO 2011

I beni più grandi vengono a noi attraverso la follia, quando è data per dono

divino (Platone)

Karibu to Hope International School!

INCONTRO CON LA NOSTRA SCUOLA SORELLA

ANNO III N.3

HAPA TUKO+L E O - M A J O R

Maecenas pulvinar sagittis enim.

MATURIPERL’AFRICANEWSREADY4AFRICA

URURU PARKLa faccia bene di NairobiPagina 2

Impressioni sul tragittoaeroporto-casa di accoglienzaPagina 3

Piselli e BaguetteUna mattinata operosa e tranquillaPagina 3

RITRATTI PER UN VIAGGIO Pagina 6-7

Il motto di oggi:

La festa alla HIS Sentirsi ospiti graditiPagina 5

Maturi per... sbucciare piselli

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Ready4AfricaNews - ANNO III, N.3HAPA TUKO+L E O - M A J O R

Ururu ParkLA FACCIA BENE DI NAIROBI

Ci facciamo scaricare dal matatu davanti all’Ururu Park, il parco più grande del centro di Nairobi. Bisognerà guardare anche questa faccia della città per apprezzare i contrasti dell’Africa. Passeggiamo fra prati ben tenuti, alberi che non conosciamo, con lo sfondo dei bei grattacieli del centro città, e monumenti in stile modernista. Imbocchiamo la Kenyatta Avenue e siamo proprio in centro. Visita alla chiesa principale della città per far contenta la Claudia, ma valeva la pena: curiosa costruzione in cemento e vetri colorati, un ambiente interno in penombra ma con un’atmosfera meditativa. E poi di nuovo giù per il viale principale fino alla moschea Ismaja ***. Non ci fanno entrare, chiaro, alcuni stanno pregando nello spiazzo davanti alla porta, due custodi anziani si consultano ma niet, non si entra. Allora finiamo per perderci a cercare un mercato che ricordavo nei pressi ma ci scontriamo con una abitudine africana ahimè a volte fastidiosa, la caccia al turista, Me l’aspettavo da un momento all’altro ma è già arrivata. Un signora somala si appiccica alla Tamara per avere qualche spicciolo, un paio di venditori vogliono a tutti i costi portarci nei loro negozi, uno vuole accompagnarci fino al mercato. Dobbiamo allontanarne un paio con le maniere forti, poi ci infiliamo tutti nel city market, una struttura bazar dove vendono di tutto. Evitiamo la zona del pesce e della carne e finiamo in quella dell’artigianato, da buoni turisti assetati di Africa. E’ tutto un tirarci in uno o nell’altro negozio, tutto un invito a vedere la merce, a provare, a comprare. Contrattiamo con qualcuno, ormai mi pare quasi di avere una certa pratica, finiamo perfino per comprare qualcosa e usciamo a fatica come da un bagno strano di umanità. Ormai inizia quasi a venire sera, riattraversiamo l’Ururu Park non senza una pausa

sigaretta in uno degli spazi recintati previsti per questo riprovevole vizio poi via in cerca di un posto dove mangiare. Giriamo per quasi un’ora cercando un fantomatico Flora Hostel delle Suore della Consolata che poi si rivelerà ostello senza ristorante, ma grazie a Dio capitiamo stremati ad un Hostel più fornito e poco distante che dispone di tre pietanze, tre. Non è il Grand Hotel, c’è perfino una cameriera africana ma mangiamo e stiamo un po’ seduti, questo

conta. Altri dieci minuti e siamo di nuovo per strada stanchi ma con un po’ di energia nuova. Dieci minuti e siamo di nuovo al Maria Romero, un po’ casa nostra a questo punto. Per fare il punto (gioco di parole, notare!) ci riuniamo in una seduta spiritica in cerchio nel refettorio. Ci scambiamo impressioni, Carlo fa scrivere a tutti noi delle riflessioni e ritroviamo nelle parole degli altri quello che abbiamo provato anche noi. Adesso è ora di andare a dormire, decisamente. Per il secondo giorno in Africa è abbastanza, perfino troppo…

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Se dovessi descrivere con una parola ciò che abbiamo visto nell’ora e mezza trascorsa a bordo del matatu attraverso le strade di Nairobi, quella che mi sembrerebbe più adatta sarebbe sicuramente contraddizione. La contraddizione di vedere realtà diverse coesistenti, di trovare insieme strade da metropoli e carri su di esse che ostacolano il traffico. La contraddizione di alzare lo sguardo per scorgere la pubblicità di multinazionali come quella della Coca cola che dice “take the happiness in your table” o cartelloni promozionale di smart phones e televisori 3D quando nell’abbassarlo ci si ferma sul ciglio della strada dove un contadino sta zappando e la sua mucca si tiene in piedi sulle quattro ossa che le rimangono non si sa per quale miracolo. Contraddizione perché accanto a chi cucina per strada ci sono esposizioni delle più varie tra cui quelle di mobilio in ferro battuto più adatto ad un’abitazione medio borghese piuttosto che ad un terreno polveroso acre per lo smog. Più che essere un giudizio è un non sapersi spiegare la conciliazione di tanti opposti, ma forse dipende solo dalla prospettiva incompleta di un’europea per cui le cose dovrebbero essere coerenti e tornare, sempre, nella loro ferrea logica. Ripenso all’arrivo in aeroporto e forse ho trovato l’accordo mancante: la dignità con cui queste persone vivono. Per accoglierci bene non sono serviti negozi di Bulgari o Mercedes posteggiate nella hall, ma semplici sorrisi ed infinita disponibilità che fanno capire perché un uomo stia a coltivare accanto ad un furgone che sfreccia.

Si renda gloria alle sospensioni

del matatu: con strade come

queste, buche come queste,

dossi come questi le sospensioni devono avere

poteri speciali per durare più di un

giorno.

‘Donum Dei Missionary Family’IMPRESSIONI TRAGITTO AEROPORTO-CASA DI ACCOGLIENZA

HAPA TUKO+L E O - M A J O R

La mattinata va divisi per gruppi. Il gruppo A va a fare la spesa e all’internet point. Ovviamente le cose vanno per le lunghe e il gruppo ulteriormente si scinde in due: i maschi a fare la spesa, e si sa come sono i maschi. Otto confezioni di pane da sfamare un esercito, cetrioli, formaggio e prosciutto, carta igienica. L’essenziale, minimale, entrata e uscita, punto. Intanto Daniele è partito per l’impresa idraulica: due sciacquoni da riparare, due docce, uno scarico. Carlo ed Edoardo assistono il chirurgo armato di chiavi e trapani. Mancano guarnizioni ma ben provvede l’amico indiano del negozio di ferramenta appena fuori dalla HIS. Intanto il gruppo B va di raccolta differenziata: sotto la sapiente guida di Tamara dalle borse vengono fuori fiumi di scarpette, palloni, magliette, regalini vari che vengono divisi in mucchietti su due tavoli del refettorio. Come diavolo abbiamo fatto a portare tutto questo lo sa solo Dio e la Qatar Air Lines. Poi il gruppo B si dà ai piselli e sbucciano per un’oretta la cena delle bambine. Il gruppo C scrive, nel senso che continua la redazione di queste pagine come meglio può fra Venti che rompe le scatole e la Bea che giustifica sempre i lavativi e gli scansafatiche della scrittura. A mezzogiorno dovrebbero venire a prenderci e siamo pronti con i nostri pranzi: quattro baguette comprate al supermarket lunghe un novanta e rotti, farcite di prosciutto di serie C e formaggio per vegetariani (Provare per credere!) . Ma ormai siamo furbi e il pranzo ce lo sbafiamo mentre aspettiamo il matatu che regolarmente arriva alle ore 13.00. L’autista si innamora delle nostre magliette e dobbiamo regalargliene una. Si va, finalmente, rotta verso la HIS, rotta verso i nostri amici.

PISELLI E BAGUETTEUNA MATTINATA OPEROSA E TRANQUILLA

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Quando le abbiamo messe a studiare greco e latino avevamo in testa per loro un futuro diverso. E invece eccole qui a sbucciare piselli. Nel sottoportico della Maria Romero c’è un grande scatolone pieno di piselli, non di quelli da supermercato congelati e sbucciati e divisi in medi piccoli grandi. Qui sono piselli nature” e come tali vanno sbucciati. Lavoro umile quant’altri mai ma vedere sei neodipolomate, qualcuna con il massimo dei voti, tutte intente ad imparare la nobile arte dei nostri avi, in friulano “sclofà bisi” visto che sbacellare piselli non credo esista, ecco, vederle intente una volta tanto a una sana manualità generosa mi fa sperare nel futuro. Mi chiedo solo se per le due non ancora diplomate questo possa configurarsi come credito formativo. Se vale il corso di informatica perché “sclofà bisi” deve valere di meno?? sotto la guida sapiente della maestra Tamara, maestra in sbacellatura intendo, ovvero nella sua veste di maestra

sbacellatrice, in men che non si dica la cassetta si è per magia divisa in piselli (bisi in friulano) e bucce (scuses in friulano, fuu in swahili, per la cronaca, e per l’onomatopea qualcosa di ben vuoto e ormai inutile, gusci vuoti per dirla alla Montale). Mai pisello fu più sudato, questo è certo. Nel frattempo il gruppo si è infoltito e la cosa si fa sospetta: donde proviene questo sacro fuoco del volontariato? Che siano tutte così votate al servizio per le bambine orfane? Gatta ci cova. Credo che ci siano ormai più ragazze intorno allo scatolone che piselli in fondo allo stesso. Ci penso un po’ e, absit iniuria verbo, ne deduco con una certa sicurezza che niente attira le fanciulle più che sbucciare piselli… e qui ne hanno uno scatolone pieno!!!

Maturi per... sbucciare piselli!

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Si arriva alla HIS. Via sconnessa e scassata come non ricordavo, sterzando attorno a lamiere di baracche e fognature spalancate. Poi ecco il portone blu. Io ci sono già stato ma penso ai ragazzi e agli amici. Cos’è per loro la HIS? Cosa pensano? Saranno delusi. Questo mi preoccupa un po’, non sempre le sensazioni coincidono. Il cortile è deserto, strano. Ci accoglie Nestor, atmosfera per un istante un po’ inquietante, poi sbucano da tutte la parti, pochi alla volta, i ragazzi della Hope. Sono meno del solito, nemmeno metà perché i piccoli sono a casa oggi e forse anche qualche classe delle superiori ha già finito. Ma il cortile si riempi quasi tutto, noi facciamo la nostra parte riempiendo un lato del fabbricato. Nestor sotto il portico della chiesa fa un breve discorso, ringrazia: sottolinea che per la loro cultura ricevere un ospite è un onore, esattamente un onore, mentre da noi a volte dopo poche ore l’ospite è come il pesce di qualche giorno, puzza. Chiama anche uno di noi, cioè il Venti, che sarei io, a pronunciare due parole di saluto e mi lancio in una logorroica tirata sull’importanza dell’incontro per i miei studenti e per me. Hanno un regalo per noi, come la prima volta per le magliette africane. Ci annodano a una spalla un bellissimo pezzo di tessuto a disegni africani, come

portano loro nei villaggi, ma soprattutto ciascuno di loro lo annoda poi a uno del gruppo sicchè alla fine siamo un curioso gruppetto di africani bianchi in mezzo a un cortile di africani neri. Stanno provando una tastiera, un amplificatore e infatti poco dopo alcune ragazze cantano canzoni che vengono dai grandi laghi, che hanno attraversato la guerra e sono state magari riarrangiate da qualche musicista giovane, su ritmi più moderni. Un ragazzo recita un lungo poema che fa sbellicare i nostri vicini che temo capiscano le parole: per noi è una lunga filastrocca rap che evoca nei movimenti del bacino che il cantante si regala una sensazione primitiva e spontanea. Ma il momento più bello è quello delle danze del Burundi: Escono da un deposito di lamiera quattro splendide fanciulle, diciotto anni come sanno avere diciotto anni le africane di racconti mitici. Spreco qualche aggettivo che non userei mai: snelle, flessuose, vitali, giovani. Quattro figliole dalla pelle nera nera che indossano un lungo tessuto bianco bianco che fa da gonna e da mantello. Quattro lunghi pezzi ritmati, delle danze che fanno pensare a lavori agricoli mimando la raccolta o la pulizia di qualcosa, un volare incantevole e leggiadro (altri aggettivi che solo qui calzano a pennello e solo qui mi concedo). E’ un muoversi casto

e insieme di una sensualità profonda, raffinato nei gesti e capace di strappare i fischi e i gridolini della componente maschile, un mix che ci tiene incollati per minuti che non vorremmo finissero mai. Finisce invece che con l’ultimo ballo le signorine vogliono coinvolgere anche gli ospiti e quindi ci vengono a prendere per le braccia e ci tirano dentro. Il cortile diventa uno spazio diverso, in cui maldestri ci troviamo a fare i conti con la nostra corporeità, con cose antiche e fortissime. Diventa una discoteca a cielo aperto, uno spazio della libertà, un luogo di sottile follia che ci rende più liberi e felici. Dell’Africa, di questi primi giorni la cosa che resta appiccicata negli occhi dei miei compagni è senz’altro questo ondeggiare istintivo e sapiente di tele bianche sui corpi neri, il sorriso, i gesti. E se mi guardassi nello specchio vedrei nei miei la stessa immagine. Anche se cerco di cavarmela con qualche battuta di dubbio gusto per non metterla troppo sul difficile.Musica e balli vanno avanti mentre Nestor ci chiama dentro il suo ufficio a pianificare i prossimi giorni. Ci vado ma francamente starei tanto meglio a ballare nel cortile, e invidio non poco i miei studenti per il loro bagno di Africa.

La Festa alla HISQUANDO TI SENTI UN OSPITE GRADITO!

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Edoardo PiccininNon posso non dire che l’amore e la passione per la natura hanno giocato il loro ruolo in questa mia scelta. Infatti, in questa decisione, c’è il desiderio di allontanarmi per l’ennesima volta da tutto ciò che mi spersonalizza, che mi rende ripetuto, ripetitivo, e uguale a tutti gli altri. Voglio scappare dal grigio del cemento e dallo smog del mondo in cui vivo (anche se so, purtroppo, che li troverò anche lì), voglio scappare dal modo in cui la nostra società vive, pensa e agisce.Ma oltre a ciò devo dire che mi è sempre piaciuto aiutare le persone in difficoltà. Magari lasciare il posto a sedere ad una persona anziana, aiutare un non vedente ad attraversare la strada, stare con persone che per qualsiasi motivo sono meno fortunate di me. Però non sono mai andato oltre questi piccoli gesti quotidiani, così quando ho letto sul foglio appeso al distributore di bevande che cercavano “qualche” volontario per andare in Kenya, non c’ho pensato due volte. Non so se questi piccoli gesti possano aiutare, non so neppure se andare in Africa 2 o 3 settimane possa cambiare la vita di qualcuno, però adoro credere nella possibilità. Mi piace, nell'ingenuità della mia mente infantile, sperare che un giorno non ci siano più diversità fra paesi e persone. Mi piace credere di poter cambiare le cose.

Ritratti per un viaggio - terza parteCI RACCONTIAMO “A MANO LIBERA”

Giulia Lorenzon Lorenzut

Doha, 3:15 a.m., fuori 40°C, dentro 10°.Le luci accecanti e il rumore continuo egli aerei che arrivano e che partono mi rendono impossibile dormire; guardo la gente che con essi va e viene, ognuno con il suo piccolo bagaglio a mano, che racchiude dentro un’infinita storia. Il mio racconta di una ragazza di 19 anni che si è appena maturata e che non sa cos’aspettarsi dal viaggio intrapreso stamattina.Sono nata e cresciuta a Pordenone e nel quartiere di Rorai Grande ho vissuto indimenticabili esperienze: ho frequentato l’asilo, le medie e gli incontri in parrocchia, i punti verdi (da animata e da animatrice) e le sere con gli amici. Sono passati tredici anni dal mio primo giorno di scuola e solo 7 giorni dall’ultimo. Ho frequentato il liceo classico e sono convinta che sia stata la scelta migliore che potessi fare; sono felicissima dell’impostazione di vita che mi ha dato, ma nonostante questo, nel mio futuro prevedo studi scientifici orientati all’ambito medico, così da poter unire il mio amore per le nuove scoperte con il senso umanitario che sento in me. Un paio d’ore fa sono scesa dal mio primo volo, ma non vedo l’ora che arrivino le 7:00 per poter decollare verso la nostra vera meta, Nairobi. Non so proprio cosa aspettarmi da questo viaggio, sinceramente spero possa sconvolgere, in ogni senso, le nostre vite.

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Annalisa ScandurraJAMBO! sono Annalisa Scandurra, nata e cresciuta a Pordenone, ma fiera di avere origini del”nord-africa”, come dice scherzando mio padre. Infatti i miei tratti somatici si avvicinano molto a quelli siculi. Ho sempre avuto la passione per la danza fin da quando ero piccola e lo scorso anno ho coronato questa lunga esperienza con la proposta di insegnare alle bimbe piccole questa meravigliosa arte. Un’altra mia passione sono i bambini, un connubio perfetto! Ora che il capitolo “liceo” è terminato, bisogna pensare al futuro, nei progetti c’è quello di andare ad approfondire l’ambito chimico – biologico.Devo ancora realizzare il fatto che si stia avverando un mio grandissimo sogno, poter conoscere l’Africa, viverla e sono certa che osservando tutto mi arricchirà. Per tre settimane dimenticherò LA mia cultura, IL mio modo di pensare per incarnarmi più che posso in quella realtà così potrò capire l’altro nel suo tutto.

Valeria De GottardoEccoci qua, nel bel mezzo di questa avventura!come primo viaggio all-estero e in aereo direi che è stata proprio un ottima scelta. La prima volta che ho desiderato andare a Nairobi è stato in terza superiore, quando il prof Carlo Costantino, ora mio compagno di viaggio, ci ha parlato dell’esperienza che aveva vissuto. Ne sono rimasta affascinata e appena ho avuto l’occasione di poterla vivere anche io l’ho colta al volo. Ho sempre desiderato viaggiare, ma non ne ho mai avuto la possibilità. Amo la natura e mi piace scoprire nuovi posti, nuovi modi di vivere. E quindi come farsi sfuggire tutto ciò. Inoltre so di poter aiutare le persone certamente nel mio piccolo, ma credo che saranno più loro ad aiutare me a crescere.Come ciliegina sulla torta, questo viaggio è arrivato, secondo me, in un momento perfetto della mia vita perchè è un periodo di cambiamenti, di passaggio dalla vita “sicura” del liceo, a quella incerta del dopo, dovuta alle nostre scelte.Non mi rimane che ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile tutto ci;, ma soprattutto un grosso GRAZIE va ai miei compagni di viaggio che hanno deciso di condividere con me quest’avventura.

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READY4AFRICA NEWS

REDAZIONE:

JOLANDA BARRA ANNA BATTISTELLA CLAUDIA BEACCOSILVIA BURIOLLA

PAOLO VENTI CARLO COSTANTINO EDOARDO PICCININ

ANDREA SANTIN ALESSANDRO GIACINTA

TOMMASO MARTINVALERIA DE GOTTARDO

MARTA GREGO MARTINA DE FILIPPO

ANNALISA SCANDURRA CHIARA VENA

GIULIA LORENZON ANGELA BRAVO

TAMARA NASSUTTI DANIELE MARCUZZI

19 Luglio 2011 ANNO III N.3

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