32
Dove siete partigia di tutte le valli, Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse? Molti dormono in tombe decorose. Quelli che restano hanno i capelli bianchi, E raccontano ai figli dei figli Come, al tempo remoto delle certezze, Hanno rotto l’assedio dei tedeschi. Là dove adesso sale la seggiovia, Alcuni comprano e vendono terreni, Altri rosicchiano la pensione Inps 0 si raggrinzano negli enti locali. In piedi vecchi: per noi non c’è congedo, Ritroviamoci. Ritorneremo in montagna, Lenti, ansanti, con le ginocchia legate, Con molti inverni nel filo della schiena. Il pendio del sentiero ci sarà duro, Ci sarà duro il giaciglio, duro il pane, Ci guarderemo senza conoscerci, Diffidenti l’uno dell’altro, queruli, ombrosi. Come allora, staremo di sentinella Perché nell’alba non ci sorprenda il nemico. Quale nemico? Ognuno è nemico di ognuno, Spaccato ognuno dalla sua propria frontiera, La mano destra nemica della sinistra. In piedi, vecchi, nemici di noi stessi: La nostra guerra non è mai finita. PRIMO LEVI 25 APRILE 1945 25 APRILE 2002 “PER NOI NON C’È CONGEDO” Insurrezione di Genova, Aprile 1945 (tempera di Amleto Fiore) A cura di L UCIO CECCHINI Scritti di: LUIGI LONGO, GIORGIO BOCCA, PAOLO PUNTONI, GIANNI OLIVA, GIANFRANCO SIMONE, ALFONSO BARTOLINI, GIOVANNI ROSSI, ROBERTO BATTAGLIA, LAURA POLIZZI, LUCIANO SCARLINI, RAIMONDO RICCI, LIBERO PORCARI, TINO CASALI, FLAVIO FABBRONI Speciale Liberazione Dove siete partigia di tutte le valli, Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse? Molti dormono in tombe decorose. Quelli che restano hanno i capelli bianchi, E raccontano ai figli dei figli Come, al tempo remoto delle certezze, Hanno rotto l’assedio dei tedeschi. Là dove adesso sale la seggiovia, Alcuni comprano e vendono terreni, Altri rosicchiano la pensione Inps 0 si raggrinzano negli enti locali. In piedi vecchi: per noi non c’è congedo, Ritroviamoci. Ritorneremo in montagna, Lenti, ansanti, con le ginocchia legate, Con molti inverni nel filo della schiena. Il pendio del sentiero ci sarà duro, Ci sarà duro il giaciglio, duro il pane, Ci guarderemo senza conoscerci, Diffidenti l’uno dell’altro, queruli, ombrosi. Come allora, staremo di sentinella Perché nell’alba non ci sorprenda il nemico. Quale nemico? Ognuno è nemico di ognuno, Spaccato ognuno dalla sua propria frontiera, La mano destra nemica della sinistra. In piedi, vecchi, nemici di noi stessi: La nostra guerra non è mai finita. PRIMO LEVI 25 APRILE 1945 25 APRILE 2002 “PER NOI NON C’È CONGEDO”

25 . Ins. Speciale Liberazione - ANPI | Associazione ... a 56-Speciale Liberazion... · N onostante sia passato ormai più di mezzo secolo dalla ... 28.115 anni di carcere (23.000

Embed Size (px)

Citation preview

Dove siete partigia di tutte le valli,

Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse?

Molti dormono in tombe decorose.

Quelli che restano hanno i capelli bianchi,

E raccontano ai figli dei figli

Come, al tempo remoto delle certezze,

Hanno rotto l’assedio dei tedeschi.

Là dove adesso sale la seggiovia,

Alcuni comprano e vendono terreni,

Altri rosicchiano la pensione Inps

0 si raggrinzano negli enti locali.

In piedi vecchi: per noi non c’è congedo,

Ritroviamoci. Ritorneremo in montagna,

Lenti, ansanti, con le ginocchia legate,

Con molti inverni nel filo della schiena.

Il pendio del sentiero ci sarà duro,

Ci sarà duro il giaciglio, duro il pane,

Ci guarderemo senza conoscerci,

Diffidenti l’uno dell’altro, queruli, ombrosi.

Come allora, staremo di sentinella

Perché nell’alba non ci sorprenda il nemico.

Quale nemico? Ognuno è nemico di ognuno,

Spaccato ognuno dalla sua propria frontiera,

La mano destra nemica della sinistra.

In piedi, vecchi, nemici di noi stessi:

La nostra guerra non è mai finita.

PRIMO LEVI

25 APRILE 194525 APRILE 2002

“PER NOI NON C’È CONGEDO”

Insurrezione di Genova, Aprile 1945(tempera di Amleto Fiore)

A cura di LUCIO CECCHINI

Scritti di:LUIGI LONGO, GIORGIO BOCCA, PAOLO PUNTONI, GIANNI OLIVA, GIANFRANCO SIMONE, ALFONSO BARTOLINI, GIOVANNI ROSSI, ROBERTO BATTAGLIA, LAURA POLIZZI, LUCIANO SCARLINI, RAIMONDO RICCI, LIBERO PORCARI, TINO CASALI, FLAVIO FABBRONI

Speciale Liberazione

Dove siete partigia di tutte le valli,

Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse?

Molti dormono in tombe decorose.

Quelli che restano hanno i capelli bianchi,

E raccontano ai figli dei figli

Come, al tempo remoto delle certezze,

Hanno rotto l’assedio dei tedeschi.

Là dove adesso sale la seggiovia,

Alcuni comprano e vendono terreni,

Altri rosicchiano la pensione Inps

0 si raggrinzano negli enti locali.

In piedi vecchi: per noi non c’è congedo,

Ritroviamoci. Ritorneremo in montagna,

Lenti, ansanti, con le ginocchia legate,

Con molti inverni nel filo della schiena.

Il pendio del sentiero ci sarà duro,

Ci sarà duro il giaciglio, duro il pane,

Ci guarderemo senza conoscerci,

Diffidenti l’uno dell’altro, queruli, ombrosi.

Come allora, staremo di sentinella

Perché nell’alba non ci sorprenda il nemico.

Quale nemico? Ognuno è nemico di ognuno,

Spaccato ognuno dalla sua propria frontiera,

La mano destra nemica della sinistra.

In piedi, vecchi, nemici di noi stessi:

La nostra guerra non è mai finita.

PRIMO LEVI

25 APRILE 194525 APRILE 2002

“PER NOI NON C’È CONGEDO”

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200226

Nonostante sia passato ormai più di mezzo secolo dallasua conclusione, la Resistenza è un tema che accendeancora passioni, dà origine a polemiche e contrapposi-

zioni, pone interrogativi. Fu l’opera di riscatto di un popoloche anelava a riconquistare la libertà perduta vent’anni primacon l’avvento del fascismo al potere e l’indipendenza dalladominazione straniera, oppure fu l’azione velleitaria di unaminoranza esigua che non esitò a causare una guerra civilenel tentativo di conquistare il potere? Fu utile alla rinascitadell’Italia e all’avvento della democrazia, oppure non era ne-cessaria e diede luogo a lutti inutili, perché tanto, la guerragli Alleati l’avrebbero vinta comunque?E ancora. Continuare a parlarne non significa contribuire amantenere il solco che per tanti anni ha diviso gli italiani indue fazioni contrapposte, mentre c’è un grande bisogno dipacificazione nazionale? E comunque, ha ancora senso discu-

tere su una cosa di più di cinquant’anni fa, mentre ci sonotante questioni importanti da affrontare oggi?Potremmo ancora continuare a lungo a porre interrogativi. Per il momento ci limitiamo a dire che, sì, ha senso occupar-si della Resistenza oggi, prima ancora che per una serie di ra-gioni politiche e ideali, sulla base di una considerazione ele-mentare. Se si trattasse di una cosa morta e sepolta, non simanifesterebbero attorno ad essa passioni e contrapposizionipolemiche. Non ci sarebbero né amori né odi. Il fatto cheinvece ci siano dimostra che, qualunque giudizio se ne vogliadare, la Resistenza è ancora ben viva nelle coscienze e nelmodo di sentire degli italiani.Nelle pagine che seguono ci sforzeremo di cercare di rispon-dere ad alcuni degli interrogativi che abbiamo posto, ancheattraverso ricostruzioni a più mani di fasi importanti dellavicenda partigiana e della lotta di Liberazione.

Speciale Liberazione

Dall’antifascismo alla Resistenza

LUIGI LONGO, nel volume Un popolo alla macchia,che può essere considerata ormai un’opera classica, al-la domanda “quando è nata la Resistenza”, rispondeva: « Essa è nata col fascismo stesso. Fin dal primo gior-no, fin dalle prime manifestazioni di violenza dellecamicie nere, violenza organizzata e armata contro ilpopolo, il popolo si è levato alla difesa, alla resisten-za e alla lotta. Fin dal primo giorno, la resistenza po-polare fu la difesa non di semplici interessi di parte,ma delle libertà, del progresso e della dignità umana,e, per ciò stesso, dei più vitali ed essenziali interessinazionali. Questa lotta del popo-lo durò per tutto il venticinquen-nio fascista; conobbe drammati-ci alti e bassi, fasi di ardente spe-ranza e di tetro sconforto, im-provvisi balzi in avanti e lunghiperiodi di ripiegamento. Questalotta si spiegò in grandiosi movi-menti di massa, come agli inizidel fascismo e durante il periodoMatteotti, e si restrinse spesso al-l’azione sotterranea di piccoligruppi di audaci e di eroi; co-nobbe i più grandi martìri e leabiure più abiette. […] Di questalotta la “partigianeria” fu il coro-namento felice e vittorioso, per-ché in essa si realizzarono e siriassunsero tutti gli aspetti e tuttii motivi politici, sociali, naziona-li e umani apparsi durante la Re-sistenza antifascista del venticin-quennio.»Nelle parole che abbiamo appe-na riportato si può individuareuna eccessiva concessione al-l’enfasi. Tuttavia, vi sono indica-

ti in modo fedele i problemi e le fasi alterne di unalotta, sicuramente minoritaria, che però ha segnatol’intero arco della dittatura fascista, anche quando tut-to sembrava far disperare. Piuttosto, il rilievo da fare èche il passaggio dall’antifascismo alla Resistenza hasegnato l’incontro di quegli oppositori che non aveva-no mai disarmato con i militari lasciati colpevolmenteallo sbando dopo l’8 settembre 1943 dalla monarchiae dal suo governo e con generazioni di giovani chevenivano in buona parte dalle organizzazioni fascistee che si trovarono a dover scegliere in una situazioneche definire drammatica sarebbe persino inadeguato.Ecco come avvenne il passaggio da un antifascismo di

ispirazione popolare a una resi-stenza contrassegnata da un’am-pia partecipazione popolare. Celo conferma GIORGIO BOCCA(Storia dell’Italia partigiana) conun’analisi succinta e puntuale: «La Resistenza del settembrenasce dall’incontro fra il vecchioe il nuovo antifascismo. I due fiu-mi, divisi per anni dagli arginipolizieschi del regime, conflui-scono. Il vecchio antifascismodell’esilio, della cospirazione,del silenzio e dello sdegno cheha opposto al regime un no diprincipio, rifiutandone l’espe-rienza; e il nuovo antifascismo,nato dentro il fascismo, arrivatoal no dopo aver partecipato, pec-cato, capito. Il primo orgogliosodelle sue storiche benemerenze,della lunga lotta: 4.471 condan-nati dal Tribunale speciale,28.115 anni di carcere (23.000dei quali scontati dai comunisti,nerbo dell’opposizione) e 8.000internati, 15.000 confinati,

Arrivano a Ustica i confinati. Il confino politicovenne istituito per gli oppositori per i quali nonera possibile emanare sentenze più gravi.

27PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 2002

160.000 ammoniti,10.000 emigrati;più i morti, a co-minciare da Gram-sci, Gobetti, Amen-dola. Il secondopersuaso di rappre-sentare nel 1943 lospirito insofferentedella maggioranza,passata per tutte ledelusioni.»

Già le scarne cifre che abbiamo appena riportatosmentiscono nel modo più radicale la leggenda di unfascismo dittatura “all’acqua di rosa” o “pacioccona”che dir si voglia. Sì, dittatura che magari tollerava labarzelletta, ma che colpiva implacabilmente quandoriteneva di dover colpire.

La caduta del fascismo

A questo punto, per renderci conto delle condizionidell’Italia nel settembre 1943, sarà necessario farequalche passo indietro.Il 9 luglio, dopo aver occupato tutta l’Africa setten-trionale, le armate alleate erano sbarcate in Sicilia. Ladebole resistenza opposta dalle nostre truppe smenti-va in modo netto le smargiassate mussoliniane del di-scorso del “bagnasciuga” e simili. Quando lo sbarcoanglo-americano appariva ormai inevitabile e immi-nente, Mussolini aveva detto, il 24 giugno: «Bisognadistinguere tra “sbarco”, che è possibile, “penetrazio-ne” e finalmente “invasione”. Bisogna che non appe-na il nemico tenterà di sbarcare sia congelato su quel-la linea della sabbia dove l’acqua finisce e incominciala terra. Se per avventura dovessero penetrare, biso-gna che le forze di riserva – che ci sono – si precipiti-no sugli sbarcati annientandoli fino all’ultimo uomo.Di modo che si possa dire che essi hanno occupatoun lembo della nostra patria, ma l’hanno occupato ri-manendo per sempre in posizione orizzontale, nonverticale». In pochissimo tempo gli Alleati, in posizio-ne ben verticale, avevano occupato l’intera Sicilia ederano passati nell’Italia continentale.Il precipitare della situazione aveva avuto inevitabiliripercussioni, sfociate, nella notte tra il 24 e il 25 lu-glio, in una drammatica seduta del Gran Consiglio delfascismo che in sostanza aveva votato un ordine delgiorno, a firma Grandi, di sfiducia a Mussolini. Il gior-no dopo il re l’aveva destituito e fatto arrestare. Era lacaduta del fascismo.Il governo Badoglio, succeduto a quello guidato daMussolini, aveva avviato trattative segrete di armisti-zio con gli anglo-americani, assicurando però ai tede-schi piena fedeltà all’alleanza. Dopo varie tergiversa-zioni, si era arrivati alla firma dell’armistizio.

«Scappò senza lasciare ordini»

E siamo all’8 settembre. Sulle fasi convulse di questagiornata, decisiva per più aspetti – fu resa pubblica lanotizia dell’avvenuto armistizio e fu la vigilia dellapartenza del re da Roma – vorremmo fruire della te-stimonianza di PAOLO PUNTONI, che all’epoca eraaiutante di campo di Vittorio Emanuele III. Ecco quel-lo che egli scrive alla data dell’8 nel suo diario pub-blicato con il titolo Parla Vittorio Emanuele III. Quelgiorno, nel pomeriggio, si svolse al Quirinale una im-portante riunione alla quale, con il re, presero parte lemaggiori autorità politiche e militari. L’inizio fu sco-raggiante. Addirittura diversi partecipanti, per pauradella reazione tedesca, avrebbero voluto sconfessarel’armistizio concluso con gli Alleati e continuare laguerra a fianco dei nazisti. Questo, comunque, l’esito:« Il buon sensofinisce per preva-lere, si arrivaperò a una con-clusione davverodeludente: l’armi-stizio è accettatoma Badoglio cherappresenta il go-verno non impar-tisce alcuna di-sposizione perfronteggiare gliavvenimenti cheincalzano. Du-rante queste oredrammatiche, ilgoverno è statotenuto fuori ditutto; si è parlatodi una riunione diemergenza al Mi-nistero dellaGuerra, ma di ta-le riunione si èsoltanto parlatoperché in effettinon c’è mai statae all’atto dellapartenza per ilSud, i ministri, al-l’infuori dei pochiche hanno segui-to il Maresciallo,ignoravano lemosse del Presi-dente del Consi-glio.»L’aspetto più rile-vante è quello

Speciale Liberazione

Un operaio demolisce a martellate il fascio lit-torio collocato sulla facciata di palazzo Chigi.Un gesto simbolico, una significativa reazione.

“L’antifascismo sentiva non sol-tanto di rappresentare veritàesterne; sentiva anche di rappre-sentare gli interessi veri dell’Ita-lia: non soltanto, cioè, il passatonelle sue tradizioni migliori mal’avvenire del popolo italiano”

(Alberto Cianca)

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200228

che chiaramente emerge dalla prosa di questo genera-le: il governo – ed anche la corona – non si preoccu-parono minimamente della sorte delle centinaia dimigliaia di soldati italiani di stanza nel territorio na-zionale o all’estero, che furono colpevolmente abban-donati a se stessi e in balìa dei tedeschi che, nel frat-tempo, stavano trasferendo numerose divisioni in Ita-lia. Ecco quello che fece del comportamento del re edi Badoglio una fuga ingloriosa. Gaetano Salvemini,con il consueto humour lo rilevò fin dall’immediatodopoguerra in un’intervista il cui titolo era particolar-mente significativo: Scappò senza lasciare ordini.È da rilevare che i partiti antifascisti fin dall’agosto del1943 avevano posto l’esigenza di contrastare i tede-schi e chiesto che, a questo fine, fossero distribuite ar-mi alla popolazione. Le risposte dei diversi comandimilitari – salvo eccezioni rarissime e molto limitate –erano state generalmente negative. Da questo com-plesso di fattori la tragedia delle truppe italiane equella che gli storici definiscono la «mancata difesa diRoma», espressione esatta soltanto in parte, e in partefuorviante, perché a Roma una difesa ci fu, ma so-stanzialmente spontanea e di dimensioni molto ridot-te rispetto a quella che avrebbe potuto esserci.

Dalla Magliana a Porta San Paolo

Le giornate del settembre a Roma sono così ricordateda GIANNI OLIVA (I vinti e i liberati): «Nel mo-mento in cui il re e Badoglio fuggivano verso Pescara,la situazione nella capitale non era ancora compro-messa: i reparti tedeschi, che nella notte avevano ini-ziato la manovra di avvolgimento, avevano raggiuntola cintura periferica ed erano riusciti a disarmare granparte della divisione Piacenza, ma il grosso delle for-ze italiane non era stato ancora investito dall’attacco.Combattimenti di una certa intensità si sviluppavano a

partire dalla mattinata del 9 settembre, quando al-cune unità minori italiane reagivano all’aggressio-ne. Nel settore settentrionale gli scontri si accende-vano a Manziana e Bracciano, dove reparti della di-visione Ariete contrastavano l’avanguardia della 3ªdivisione Panzergrenadier, e a Monterotondo, doveoltre cinquanta aerei tedeschi lanciavano il 2° bat-taglione paracadutisti per un’azione diretta contro ilcastello, sede dello stato maggiore operativo italia-no (che nella notte si era però trasferito a Roma). Leazioni di resistenza erano difficili perché il fattoresorpresa giocava a favore della Wehrmacht ed era-no pagate a duro prezzo dai difensori (il presidio diMonterotondo costava 125 uomini), ma valevano afrenare l’iniziativa dei tedeschi, che, temendo unacontroffensiva di più ampie proporzioni, rinuncia-vano a forzare le linee di difesa e rimanevano pres-soché inattivi per il resto della giornata. Nel settoremeridionale l’urto era sostenuto dalla divisione

Speciale Liberazione

«…quell’esercito improvvisato

inventa le armi, le scarpe, le

coperte, i quadri dirigenti e

riesce a piegare l’invasore,

riscatta l’onore nazionale e

conquista alla Patria l’indi-

pendenza e la libertà»

(Vittorio Emanuele Orlando)

Questo pannello è stato realizzato dagli alunnidella 3a media della scuola “A. Vivaldi” di Torino.È il risultato di uno dei tanti concorsi che si svol-gono tra i giovani. “Patria” anche nei prossiminumeri continuerà a pubblicare i testi più signifi-cativi tra quelli che le ANPI provinciali ci hannoinviato.

29PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 2002

Granatieri di Sardegna, impegnata prima sulla Casili-na, sulla Prenestina e sull’Ardeatina, quindi al pontedella Magliana, dove ai soldati si affiancavano gruppidi cittadini volontari; verso sera, i reparti ripiegavanolungo l’Ostiense, giungendo nei pressi delle Tre Fon-tane, della Garbatella e della basilica di San Paolo.Anche in questo caso la resistenza riusciva a contene-re l’avanzata avversaria e costringeva i tedeschi a pro-cedere con cautela, rinunciando allo scontro frontale.Entro questa cornice generale c’era spazio per unacontroffensiva: mentre la 2ª divisione paracadutistidella Wehrmacht era ostacolata sull’Ostiense, i repar-ti italiani non ancora impegnati, e in particolare il cor-po d’armata motocorazzato, avrebbero potuto muo-vere alle spalle e lungo i fianchi delle unità tedeschecostringendole al ripiegamento o comunque ad alleg-gerire la pressione; il successo della resistenza nel set-tore meridionale avrebbe presumibilmente indottoKesselring a ritirare la 3ª divisione Panzergrenadier su

posizioni più sicure o a trasferirla direttamente a sudper fronteggiare lo sbarco anglo-americano, svinco-lando le forze italiane impegnate nel settore setten-trionale. Consapevoli dei rischi della propria posizio-ne e, nel contempo, preoccupati dall’urgenza di in-viare rinforzi nella zona di Salerno, Kesselring e il suocapo di stato maggiore Westphal rinunciavano, infat-ti, a impegnarsi in uno scontro diretto su tutto il fron-te e seguivano la via delle trattative, mettendosi incontatto con il tenente colonnello Leandro Giaccone,capo di stato maggiore della divisione corazzata Cen-tauro. Nella confusione del momento, non è possibileaccertare chi abbia dato la delega al colonnello pertrattare e neppure se ci sia stata una autorizzazione,ma sicuramente erano al corrente dell’iniziativa il ge-nerale Carboni, quale responsabile della difesa di Ro-ma (oltre al suo diretto superiore, il generale conteGiorgio Calvi di Bergolo), e l’anziano maresciallod’Italia Enrico Caviglia, chiamato dal re nella capitale

alla vigilia dell’armistizio presumibilmente percoordinare la resa: nel pomeriggio del 9 set-tembre il colonnello Giaccone si recava così aconferire con Kesselring e Westphal nel quar-tier generale tedesco di Frascati.Se a prima vista il quadro militare appariva re-lativamente chiaro, sulla situazione pesava, tut-tavia, l’ipoteca degli ordini impartiti da Roattaprima di fuggire. Mentre le azioni di resistenzasi sviluppavano quasi spontaneamente, là dovei reparti riuscivano a reagire all’iniziale sorpre-sa, a livello di comandi si intrecciavano gli or-dini per il ripiegamento su Tivoli. Una primacomunicazione telefonica era giunta all’alba,ma non tutti i comandanti avevano disposto imovimenti necessari: il generale Ugo Tabellini,comandante della Piave, ne aveva chiesto con-ferma scritta ritenendo l’ordine “talmente assur-do da far ritenere che fosse dovuto a un erroredi trasmissione” e aveva disposto perché la di-visione assumesse “formazioni di movimentovalevoli anche per qualsiasi altro impiego”.Nella tarda mattinata, un fonogramma stabilivala ridistribuzione delle forze sul territorio, conla divisione Granatieri di Sardegna e la brigataSassari attestate nella capitale per proteggere ilripiegamento, e le altre divisioni impegnate inun’operazione di successivo sganciamento dal-le forze tedesche in direzione di Tivoli. Mentrel’avanzata tedesca veniva rallentata e in alcunezone fermata, pur in assenza di un piano strate-gico generale, l’intrecciarsi di ordini e contror-dini creava un clima di disorientamento chevanificava i risultati dei combattimenti […].Che cosa aveva determinato tali scelte? Secon-do Ruggero Zangrandi, dietro l’apparente as-surdità dei provvedimenti c’era un accordosegreto tra Ambrosio e Kesselring, in base al

Speciale Liberazione

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200230

quale gli italiani cedevano Roma ai tedeschi in cam-bio della libertà di fuga per il re e il governo: l’ipotesiè possibile ma non dimostrata. Più corretto è forse rin-viare al timore del re e di Badoglio che la resistenzasollecitasse la reazione tedesca compromettendo lafuga, o all’illusione che un atteggiamento passivo fa-vorisse un’uscita meno traumatica dall’Asse. Certo èche quando il colonnello Giaccone avviava le trattati-ve a Frascati, l’orientamento liquidazionista era ormaiprevalso e il sacrificio della resistenza romana era giàstato deciso. Le condizioni della tregua, concordatenella notte tra il 9 e il 10, non riflettevano gli equilibrimilitari del settore, ma la diversa volontà politica del-le parti in causa: le truppe italiane dovevano deporrele armi, consegnandole ai tedeschi con tutti gli auto-mezzi e i materiali, ottenendo in cambio la garanzia

di libertà per ufficiali esoldati. Roma venivadichiarata città aperta,con la nomina di uncomandante di piazzaitaliano, affiancato pe-rò da un ufficiale tede-sco e posto alle dipen-denze di Kesselring:per il mantenimentodell’ordine pubblicodovevano essere messia disposizione del co-mandante di piazza trebattaglioni di fanteriaitaliani senza armi pe-santi.Il giorno 10, mentreCaviglia, Carboni e ipochi alti ufficiali rima-sti nella capitale si con-sultavano sulle condi-zioni di resa e contatta-vano alcune persona-

lità antifasciste (tra le quali Ivanoe Bonomi), nella cittàriprendevano gli scontri: a Porta San Paolo e alla Pira-mide di Caio Cestio gruppi consistenti di cittadini siaffiancavano alle truppe, in un concorso spontaneo incui si mescolavano il popolano anonimo che reagivacon rabbia allo sfascio e l’intellettuale come GiaimePintor, che veniva preso dal “bisogno di bruciare nel-la lotta tutta la collera e l’amarezza, il disgusto provo-cato dalla fuga e dall’abbandono della città”. L’inter-vento popolare scontava l’insufficienza dell’arma-mento e l’impreparazione militare, ma assumeva unpreciso valore di testimonianza, come scriveva VascoPratolini: “là dove s’innalza la piramide di Caio Cestioe dove, accanto ai granatieri, sulla stessa linea delfuoco, qualcuno di noi, per la prima volta nella suavita, aveva imbracciato un fucile, un mitra, o lanciatouna bomba a mano, costì, su codesta linea del fuoco,

era cominciata la resistenza italiana”. Abbandonateall’iniziativa degli ufficiali inferiori e prive di coordi-namento tra loro, le forze italiane contrastavano l’a-vanzata tedesca sino al pomeriggio del 10, con un bi-lancio approssimativo di oltre quattrocento morti tra imilitari e centocinquanta tra i civili. Al tramonto veni-va impartito l’ordine di resa, firmata alle 15.30 dal ge-nerale Carboni, e iniziava l’operazione di disarmodelle truppe: in meno di quarantott’ore e con il mini-mo sforzo, Kesselring aveva ottenuto l’occupazionedella capitale, la neutralizzazione di sei divisioni ne-miche e lo sganciamento delle sue forze, che poteva-no ora essere inviate a sud.»Nonostante il colpevole abbandono degli alti coman-di, Roma scrisse una pagina importante della Resi-stenza, che vide uniti simbolicamente militari e civili.Era una nuova Italia che andava nascendo dal baratrodella vergogna e del disastro.

Il “NO” della Divisione Acqui

Ma la prima Resistenza riguardò soprattutto le truppeitaliane sorprese dall’8 settembre fuori del territorionazionale. In questo ambito si potrebbero citare nu-merosi episodi di eroismo e di sacrificio, ma fra tuttiassume un rilievo particolare quella che possiamosenz’altro definire l’epopea della Divisione Acqui distanza nelle isole greche di Cefalonia e Corfù. Eccocosa ha scritto a questo proposito sul Corriere dellaSera del 20 settembre 1993 GIANFRANCO SIMONEin un articolo intitolato Settembre di sangue: «Delle oltre cento divisioni italiane abbandonate dalre e da Badoglio alla vendetta di Hitler nessuna pagòun prezzo più alto della Acqui, che a Cefalonia eCorfù, cinquant’anni fa, tenne testa ai tedeschi per 15giorni. La Acqui, i reparti minori di Marina, Aeronau-tica e Guardia di Finanza presenti sulle due isole l’8settembre e quelli in fuga dall’Albania comprendeva-no più di ventimila uomini. Ne caddero in battaglia1.800. Dei rimanenti, in massima parte catturati,6.500 – fra cui 440 ufficiali, cioè quasi tutti – vennerotrucidati dalla Wehrmacht, più di mille furono tratte-nuti a Cefalonia, ai lavori forzati; gli altri furono spe-diti via mare in Grecia, destinati ai Lager, ma 2.700perirono quando quattro navi vennero affondate damine e bombe alleate. La tragedia è rievocata in La di-visione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, a cura diGiorgio Rochat e Marcello Venturi (editore Mursia).La Acqui, comandata dal generale Antonio Gandin(croce di ferro tedesca di 1ª classe), aveva a Cefaloniaoltre 11.000 uomini con 54 obici e cannoni medicampali e costieri, 13 pezzi contraerei, 6 da monta-gna e 12 controcarro. Il presidio tedesco comprende-va 1.800 granatieri da fortezza e 9 cannoni semoven-ti. Corfù era occupata da 5.000 soldati comandati dalcolonnello Lusignani, con 16 cannoni, 12 mitraglierecontraeree; i tedeschi erano 450.

Speciale Liberazione

Roma, l’8 settembre a Porta SanPaolo.

31PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 2002

Gandin e Lusignani tergiversarono sulle richieste te-desche di cedere tutte le armi fino al 13 settembre,quando a Cefalonia il capitano d’artiglieria RenzoApollonio e altri ufficiali quali Amos Pampaloni, for-zarono la mano al generale (considerato un germano-filo dalla truppa e reso indeciso dagli ordini ambiguidel comando di Atene) e respinsero a cannonate untentativo di sbarco degli ex alleati, che persero 13 uo-mini e due motozattere. Il 15, Gandin era sul puntod’accettare l’ultimatum del generale Lanz, comandan-te il XXII corpo da montagna tedesco, quando ebbe daBrindisi l’ordine di resistere. Indisse un referendum trai soldati, che chiesero di battersi. Il generale gettò viala croce di ferro.A Corfù Lusignani, incitato a resistere dal comandodella 7ª armata in Puglia e rinforzato da 3.500 uomini

giunti dall’Albania al comando del colonnello Bettini,il 14 settembre catturò il presidio tedesco e lo spedì inItalia. A Cefalonia gli italiani costrinsero in una peni-sola i granatieri tedeschi, che subirono gravi perdite:150 morti, 450 prigionieri e sei semoventi. Ma lebombe della Luftwaffe – 107 tonnellate sganciate solofra il 15 e il 18 settembre – consentirono ai Gebirg-sjaeger del maggiore Hirschfeld (quasi 3.000, con 12obici da montagna) di sbarcare nell’isola.I reparti della Acqui, sempre sotto le bombe degliStuka, cedettero fra il 21 e il 22, quando Gandin chie-se la resa. Già migliaia di italiani erano stati uccisi viavia che deponevano le armi. Hitler aveva ordinato difucilare solo gli ufficiali che resistevano, ma Hirsch-feld scatenò i suoi soldati anche contro sottufficiali etruppa. I tedeschi in tutto avevano avuto 222 fra morti e dispersi. La strage riprese il 24 con la fucila-zione di Gandin e di altri 193 ufficiali e 17 soldati edurò sino al 28. Furono risparmiati circa 60 ufficiali in quanto altoatesini, triestini, medici, cappellani o

fascisti. Per undici giorni la Luftwaffe martellò Corfù,affondando due delle cinque torpediniere inviate daBrindisi. Tra il 24 e il 25 settembre 2.500 alpini tede-schi sbarcarono a Corfù, che occuparono entro il 26,al prezzo di 40 morti, 160 feriti e 17 aerei. Gli italia-ni ebbero oltre 600 caduti tra cui Lusignani, Bettini ealmeno 30 ufficiali fucilati sul posto.In ottobre Apollonio formò con gli sbandati, protettidai civili di Cefalonia, il “Raggruppamento banditiAcqui” combattendo assieme ai partigiani fino all’in-surrezione che dieci mesi dopo cacciò i tedeschi dal-l’isola. Pampaloni era stato fucilato e ferito. Nascostodai greci, grati perché li aveva riforniti di armi, entròin una formazione comunista. Entrambi tornarono inItalia e continuarono a combattere. Nel 1956, con altri 26 ufficiali della Acqui, furono

processati dal tribunale militare di Roma per rivolta,cospirazione e insubordinazione contro Gandin: as-solti in istruttoria. Poco dopo Pampaloni ebbe la me-daglia d’argento al valore. Nel l960 lo stesso tribunale assolse 30 militari tede-schi accusati di omicidio di prigionieri. Il generaleLanz nel 1948 fu condannato a 12 anni. Ne scontòcinque.»

La strage dopo la resa

Non saranno necessarie molte parole per sottolinearel’importanza degli eventi di Cefalonia e Corfù, i qualidimostrano come intere unità dell’esercito italianoavessero maturato una ferma avversione nei confrontidegli ex alleati tedeschi e del regime fascista che ave-va portato in guerra il Paese in condizioni di assolutaimpreparazione. Al dato militare si aggiunge la granderilevanza del voto che si svolse tra soldati e ufficiali,coinvolgendo tutti gli appartenenti alla Divisione in

Speciale Liberazione

“Le virtù della Resistenzadevono essere anche le virtùdi oggi: spirito di abnegazione,fermezza di propositi, solidarietà d’intenti. Vi è oggiun dovere di resistenza civileche non è meno necessario di quello della resistenza contro l’oppressione. Bisogna resistere contro la demagogia della vita facilee frasaiola, come contro letentazioni delle speculazioni,dello sperpero e dell’egoismobrutale”

(Alcide De Gasperi)Allarme aereo su Cefalonia.

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200232

Speciale Liberazioneuna scelta condivisa e consapevole. La DivisioneAcqui pagò a un prezzo più che duro il suo rifiuto diconsegnare le armi all’esercito nazista.Sul massacro successivo alla resa – uno degli atti piùcriminali compiuti dai tedeschi nella seconda guerramondiale – ha scritto pagine di grande efficaciaALFONSO BARTOLINI (Per la patria e la libertà. Imilitari italiani nella Resistenza all’estero dopo l’8settembre): « “Il comportamento degli ufficiali italiani alla tristeCasetta rossa di Cefalonia, non appartiene alla storia;appartiene al mito. Ad uno ad uno, nobilissimi ca-valieri del dovere e dell’onore, essi salirono consublime serenità il calvario, che ancora li separa-va dalla gloria”. Così scriveva l’organo di stampadel Comando alleato in Italia commemoran-do, 15 mesi dopo, l’eccidio di Cefalonia.Belle parole che non mitigano certamentela profonda amarezza che ancora oggisuscita la storia dei combattenti della Ac-qui. Essi, dal generale all’ultimo soldato,scegliendo la via dell’onore, preferendo ilcombattimento alla resa, non si erano vota-ti a un suicidio collettivo. Il loro gestodi ribellione e di riscossa fu un segnodella rivolta che da tempo matura-va nell’animo dei più contro l’allea-to tedesco; ma fu anche e soprattuttoun invito – a chi poteva – ad interve-nire, a sostenere, ad aiutare, a per-mettere la resistenza, quella resisten-za che lo stesso Comando Supremoaveva chiesto.Ma ad una divisione rinchiusa inun’isola, con un potenziale bellicosoggetto a un rapido, inevitabile lo-goramento per l’impossibilità dirifornimenti, con quale piano si chie-se la resistenza ad oltranza? Conquali prospettive? Con quali carte dagiocare? Non c’era un fronte da di-fendere, né un attacco da arginare, né una sacca dachiudere. Il suo sacrificio resterà uno degli episodi piùfulgidi della storia patriottica d’Italia, ma quasi nullafu fatto per impedire il massacro di una delle pocheunità dell’Esercito che al completo aveva combattuto.I tedeschi ne fecero scempio: 65 ufficiali e 1.250 sot-tufficiali e soldati caduti nei combattimenti; 189 uffi-ciali e 5.000 soldati fucilati. A queste dolorose perdi-te si aggiunsero nei giorni successivi ancora altre mi-gliaia di morti, periti nell’affondamento di navi chetrasportavano i superstiti verso il continente e i campidi concentramento.La strage praticamente aveva avuto inizio a mano amano che i reparti, nelle ultime fasi della battaglia,erano costretti alla resa. I tedeschi non facevano pri-gionieri ma li sterminavano a raffiche di mitraglia, ec-

citati da quell’orgia di sangue. L’ordine di resa noncambiò nulla; facilitò solo il loro compito. Essi nonconsideravano gli italiani prigionieri di guerra (l’Italianon aveva ancora dichiarato guerra alla Germania)ma traditori da passare per le armi. Non risparmiaro-no nessuno ma particolarmente si accanirono controgli ufficiali e gli artiglieri. Non rispettarono né medici,né infermieri, né feriti, né malati, né convenzioni in-ternazionali. La 44a sezione di Sanità fu quasi total-mente distrutta; eppure i suoi 75 fucilati avevano benvisibile il bracciale internazionale della Croce Rossa.Malati e feriti furono strappati dai loro letti nell’ospe-

dale e passati per le armi. La cacciaall’uomo durò 48 ore. Molti grecivennero fucilati per avere tentato dinascondere un italiano ma questonon impedì che con meravigliosoeroismo i greci continuassero ad assi-

stere e a nascondere i soldati sbandati.Gli ufficiali venivano per lo più messi daparte e convogliati ad Argostoli; tra essi ilgenerale Gandin, sereno, forte, sicuro.Tra le testimonianze giunte fino a noi visono anche quelle di ufficiali e soldati so-pravvissuti alla fucilazione in massa, aiu-tati e salvati dai greci. V’è anche quellasconvolgente di padre Romualdo Forma-to, il bravo cappellano militare cui la sor-te riservò il tremendo compito di assiste-re nella fucilazione 129 ufficiali.Per oltre quattro ore alla Casetta rossa tresquadre di otto uomini fucilano ciascunoquattro ufficiali. Ognuno frettolosamenteaffida al cappellano qualche oggetto caroo lascia un incarico: quasi sempre un sa-luto ai familiari lontani. Molti ufficiali af-frontano la morte con serenità; altri, i piùgiovani, lottano per superare lo sgomentoche li attanaglia e si sforzano di seguirel’esempio dei più anziani.»Di recente si sono sollevati interrogativi

sulle ragioni per cui – fino alla recente visita del pre-sidente della Repubblica Ciampi – di Cefalonia si siaparlato poco, quasi fosse un episodio rimosso e volu-tamente dimenticato. C’è stato anche chi ha sostenu-to che la Resistenza all’estero, dal momento che ave-va avuto come protagonisti dei militari, non rientravanegli schemi di una cosiddetta vulgata tesa a privile-giare gli aspetti politici e sociali della lotta di Libera-zione, a detrimento di quelli nazionali e patriottici. Inrealtà, le associazioni della Resistenza non hanno nédimenticato né rimosso né sottovalutato. E non hannoneppure atteso l’esempio del capo dello Stato per re-carsi sui luoghi in cui tra il 1943 e il 1945 si consu-marono tante tragedie.Piuttosto, quello che dovrebbe suscitare stupore, mache stranamente è quasi del tutto ignorato, è il silen-

33PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 2002

zio – questo davvero assordante – delle istituzioni, go-verni in testa. Come è possibile che in un cinquanten-nio non ci sia stato un ministro che si sia ricordato diqueste cose? O erano la “ragion di Stato” e le esigen-ze poste dall’alleanza con la Germania Federale a im-porre la sordina su crimini scomodi da ricordare? Noi riteniamo che queste siano le vere ragioni dellungo oblio, come queste sono le ragioni che hannooriginato lo scandalo dell’«armadio della vergogna»,cioè dell’insabbiamento volontario di migliaia di in-chieste sui crimini commessi da nazisti e fascisti inItalia durante la guerra. Crimini che sono così rimastidel tutto impuniti.

Dietro il filo spinato

Le vicende che abbiamo avuto modo di ricordare e le altre che hanno segnato la sorte delle nostre forzearmate hanno dato origine a un’ulteriore tragedia:l’internamento nei campi tedeschi di 600.000 militariitaliani catturati in quel periodo dai nazisti.Ebbene, di fronte alla lusinga della fine della prigioniae del rientro in patria a patto di aderire alla repubbli-ca di Salò, soltanto un’estrema minoranza accettò. Glialtri preferirono il regime dei campi di concentramen-to. Ed anche quelli che aderirono alla repubblica diMussolini, nel maggior numero lo fecero per poter di-sertare alla prima occasione e talvolta per poter rag-giungere, rientrati in Italia, le formazioni partigiane.E qui vorremmo inserire un altro dei temi deformantidi quello che fu la Resistenza. Lo si deve a Renzo DeFelice, capofila degli storici revisionisti. Lo studioso,soprattutto nel libro intervista Rosso e Nero ha sancitoche la Resistenza è stata un fatto di élite ed ha inte-ressato una percentuale molto modesta di italiani.È una questione sulla quale dovremo tornare ripetuta-mente. Intanto vorremmo anticipare la risposta che aDe Felice ha dato proprio un militare, il generaleGIOVANNI ROSSI, nel 1995: « L’assunto di De Feli-ce era noto assai prima che egli lo ripetesse nel suoultimo libro Rosso e Nero. Nell’aprile scorso, in unconvegno all’Università di Pisa, già lo contestammoper ricordare che seicentomila militari italiani, dopol’8 settembre 1943, preferirono affrontare per 19 mesinei lager le rappresaglie dei tedeschi (e oltre 40.000 vi persero la vita) piuttosto che collaborare sotto qual-siasi forma (o combattere) con i nazifascisti. È una vi-cenda poco nota della seconda guerra mondiale chesi iscrive a pieno titolo nella storia della Resistenza.Seicentomila uomini delle più varie estrazioni socialie culturali non possono essere considerati una élitema fanno parte di quella massa popolare che si oppo-se all’oppressione nazifascista.»Queste considerazioni ci paiono incisive e convin-centi. Ma ad esse ne vanno aggiunte altre. Pensiamoagli scioperi ai quali, a più riprese, hanno dato vita –caso unico in un Paese sotto occupazione nazista –

tra il 1943 e il 1945 centinaia di migliaia di lavorato-ri nelle zone più industrializzate d’Italia. Si può soste-nere, a patto di chiudere gli occhi, e qualcuno lo fa,che quelle agitazioni avevano contenuti e motivazio-ni esclusivamente salariali, come se fosse credibileche moltitudini di uomini abbiano accettato di ri-schiare la vita o, quanto meno, la deportazione inGermania, che spesso voleva dire la stessa cosa, perrisicati ed aleatori vantaggi di carattere economico. Laverità è che nel Paese era estremamente diffusa l’in-sofferenza nei confronti dei nazisti e dei fascisti e que-sta insofferenza era uno dei lieviti sulla cui base ma-turavano nuove consapevolezze antifasciste e resi-stenziali o, quanto meno, le scelte di campo cui affi-

dare le proprie simpatie e le proprie speranze. Senzaqueste simpatie diffuse in tutti gli strati della popola-zione, un fenomeno come la Resistenza sarebbe statoassolutamente impossibile.

La Resistenza nel MezzogiornoLe Quattro Giornate di Napoli

Se è innegabile che la lotta di Liberazione fu prevalen-temente un fatto delle regioni settentrionali e centrali,non si può né tacere né sottovalutare il grande contri-buto dato dall’Italia meridionale, dove l’insofferenzacontro gli occupanti e i loro complici assunse formeche, se costrette negli schemi angusti delle correnti re-visioniste, dovremmo definire addirittura assurde e in-comprensibili.

Speciale Liberazione

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200234

In primo luogo, la grande epopea della Quattro Gior-nate di Napoli, con una esplosione di rabbia e di furo-re popolare che si manifestò quando le truppe alleateerano ormai vicinissime alla città partenopea. Per l’in-surrezione napoletana ci affidiamo alla ricostruzionedi ROBERTO BATTAGLIA (Storia della Resistenza ita-liana. 8 settembre 1943-25aprile 1945): « Il 12 settem-bre il colonnello Scholl assu-me il “comando assoluto” conun proclama in cui impone lostato d’assedio, il coprifuoco ela consegna delle armi: “Ognisingolo cittadino che si com-porta calmo e disciplinatoavrà la mia protezione. Chiun-que però agisca apertamente osubdolamente contro le forzearmate germaniche verrà pas-sato per le armi. Inoltre il luo-go del fatto e i dintorni imme-diati del nascondiglio dell’au-tore verranno distrutti e ridottia rovine. Ogni soldato germa-nico ferito o trucidato verrà ri-vendicato [sic] cento volte...Cittadini, mantenetevi calmi e siate ragionevoli. Questiordini e le già eseguite rappre-saglie si rendono necessarieperché un grande numero diufficiali e soldati germaniciche non facevano altro cheadempiere i propri doveri, fu-rono vilmente assassinati o gravemente feriti...”.I “doveri” dei nazisti si esplicano a Napoli nel sac-cheggio e nella distruzione: e la loro furia, che travol-ge soldati sbandati, e cittadini inermi, raggiunge ilculmine nell’incendio della Università. Gli edificivengono invasi e dati alle fiamme, la popolazione ra-strellata per le vie è costretta ad assistere in ginocchioall’esecuzione di un marinaio sulla soglia dell’Univer-sità; una lunga colonna di deportati viene avviata ver-so Aversa, quattordici carabinieri, rei d’aver resistitoal palazzo delle Poste, vengono fucilati nel corso del-la tragica marcia. È dall’Università che s’inizia la di-struzione metodica della città che secondo gli ordinidi Hitler avrebbe dovuto essere ridotta in “fango e ce-nere”; e la scelta del punto di partenza del piano ter-roristico non è, probabilmente, casuale: era infatti nel-lo stesso Ateneo che dopo il 25 luglio avevano risuo-nato più alte le parole della libertà, come nel procla-ma del 1° settembre con cui il rettore magnificoAdolfo Omodeo ricordava ai giovani che, “i loro mae-stri erano della generazione del Carso e del Piave ecomprendevano il loro affanno”. S’inizia poi la siste-matica distruzione delle zone industriali, del grande

stabilimento ILVA di Bagnoli, mentre tutta la città èmessa a sacco.Nella scia del terrore nazista riappaiono infine glispettri del passato, i fascisti e un tale Tilena lancia il24 un manifesto per la mobilitazione a fianco dei te-deschi: “La regina del Mediterraneo che le forze plu-

tocratiche credono di avere inloro sicuro e definitivo domi-nio, saprà esprimere comesempre la scelta della propriastrada e la determinazione deltutto osare per il bene dellapatria e per l’onore del suopopolo”.

Gli inutili bandi delpotere nazista

Malgrado la vistosità del pre-mio d’ingaggio (3.000 lired’allora) solo due o trecentosgherri rispondono all’appel-lo. Già due giorni prima il pre-fetto Soprano aveva firmato ilbando per il servizio obbliga-torio del lavoro in base al qua-le dovranno presentarsi entrotre giorni dal 22 settembre tut-ti gli uomini validi tra i 18 e i33 anni, pena le più gravi san-zioni. Allo scadere dei terminiprevisti risulta che tutta la gio-ventù napoletana ha rifiutato

d’obbedire al bando e in un “avviso” del 25 settembre“il Comandante di Napoli” è costretto ad accusare ilcolpo, il primo grosso colpo ricevuto dall’orgoglio na-zista in Italia. “Al decreto per il servizio obbligatoriodi lavoro hanno corrisposto in quattro sezioni dellacittà complessivamente circa 150 persone, mentre se-condo lo stato civile dovevano presentarsi altre30.000 persone. Da ciò risulta il sabotaggio che vienepraticato contro gli ordini delle Forze Armate germa-niche e del Ministero dell’Interno italiano. Incomin-ciando da domani per mezzo di ronde militari, faròfermare gli inadempienti. Coloro che, non presentan-dosi, sono contravvenuti agli ordini pubblicati, saran-no dalle ronde senza indugi fucilati. Il Comandante diNapoli”. La forma rozza e sgrammaticata urta ancoraoggi a rileggere le lugubri righe: ma a pensarci bene,fa piacere che in quell’occasione il criminale nazistanon abbia trovato nemmeno un italiano disposto atradurre nella propria lingua il suo scoppio d’ira.La resistenza passiva è la prima avvisaglia dell’immi-nente insurrezione che sta per scaturire da quel silen-zio minaccioso, da quell’apparente noncuranza difronte alle più gravi minacce.

Speciale Liberazione

Napoli, il piccolo Gennaro Capuozzo vicino alla mitra-gliatrice pochi istanti prima di morire.

35PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 2002

Sembra quasi che la popola-zione napoletana abbia deci-so di “scherzare col fuoco”, diostentare il più assoluto di-sprezzo o indifferenza per “lalegge germanica” che pure s’èimposta dovunque. Ma è“un’indifferenza” che celadentro di sé qualcosa di piùprofondo che è pronto ad ac-cendersi al primo urto: non èsolo la disperazione per lecondizioni attuali, per le con-dizioni selvagge in cui è stataridotta Napoli, priva di cibo ed’acqua, sgombrata a viva for-za e distrutta nei quartieri ver-so il porto (nello spazio diventiquattro ore, dal 23 al 24settembre, oltre 200.000 per-sone restarono senza tetto). Èquella “collera” cupa chesempre fermenta sotto la scor-za della secolare umiliazionedel Mezzogiorno.Se vogliamo citare una fra letante premesse che rendono“comprensibile” l’insurrezione napoletana, basterà ri-cordare un solo episodio di cronaca dell’ormai lonta-no agosto ’42: in tale epoca il prefetto fascista avevaammonito la popolazione a non farsi arrestare soloper “poter trovare qualcosa da mangiare in carcere”.Che è un fatto nella sua semplicità, altrettanto signifi-cativo e altrettanto incredibile quanto l’insurrezionenapoletana; si pensi al cumulo di sofferenze, a quan-ta disperazione e a quanta miseria siano necessarieper arrivare a questo punto: al punto in cui la poveragente, la plebe napoletana è stata costretta a scegliere“volontariamente” la via del carcere pur di nutrirsi!Evidentemente il colonnello Scholl quando emanavaquegli editti non sapeva di camminare su un terrenominato, sul terreno dove più che in ogni altra cittàd’Europa il dolore e la miseria avevano accumulato leloro cariche esplosive. Quando la mina scoppiò, fucon tale violenza da sorprendere i nazisti che tuttos’aspettavano fuorché di dover rinnovare in pieno se-colo XX la dura esperienza dei soldati di Radetzky nellontano Risorgimento.

Un fenomeno della natura

Definire le Quattro Giornate di Napoli come “un’in-surrezione” vera e propria è già dire qualche cosa ditroppo preciso di fronte a un fenomeno che ha tutte lecaratteristiche grandiose e indefinibili d’un fenomenodella natura: poiché il termine “insurrezione” nei tem-pi moderni presuppone un piano da parte degli insor-

ti, degli obiettivi precisi daraggiungere e già prestabilitisulla carta; presuppone unComando, una prospettiva dilotta, un successo o una scon-fitta.Mentre a Napoli mancano tut-ti questi elementi che sarannoevidenti nell’insurrezione diParigi o di Praga o di Genova:ed è ancor oggi difficile direche cosa si proponesserogl’insorti di Napoli, se caccia-re i tedeschi ormai già ridotti aun presidio di scarsa entità, sesbarrare la città alle colonnein ritirata, oppure impedire leultime distruzioni. In realtàquesti obiettivi che sono gliobiettivi logici di qualsiasi in-surrezione, balenarono qua elà nel corso delle QuattroGiornate e possono esserecolti o isolati a fatica nel corsodella lotta. Ma non ciò era im-portante. Importante era inve-ce dare addosso al tedesco,

sfogare sull’ultimo oppressore l’ira così a lungo re-pressa, colpirlo ovunque e con tutti i mezzi. E l’ordi-ne, la successione logica che oggi noi possiamo dareagli avvenimenti ricostruendo sulle testimonianzeframmentarie e spesso discordanti l’insurrezione diNapoli, acquista necessariamente il sapore d’una ri-costruzione artificiosa, fatta a posteriori e a freddo;poiché è veramente impossibile descrivere l’incendioquando esso si propaga in una materia così infiamma-bile, nei suoi guizzi e nelle sue vampate, nelle suepause improvvise e nella sua furia di distruzione.Sembra ormai accertato quale sia stato l’antecedentediretto dell’insurrezione: l’abbandono da parte dei na-zisti delle caserme e dei depositi militari contenentiancora piccole quantità di armi e munizioni. Proba-bilmente i tedeschi ritennero che il suddetto materialebellico non avesse importanza, né sarebbe stato uti-lizzato dalla popolazione contro di loro dopo gli infi-niti esempi di terro-re, dopo la deporta-zione di ottomilagiovani come misu-ra di rappresagliaper il mancato ri-spetto del bandoScholl. Certo è che,fatto forse uniconella storia delle in-surrezioni, fu lostesso oppressore a

Speciale Liberazione

“Dopo Napoli la parolad’ordine dell’insurrezionefinale acquistò un sensoed un valore e fu da allorala direttiva di marcia perla parte più audace dellaResistenza italiana”

(Luigi Longo)

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200236

fornire all’op-presso l’occasio-ne per armarsi:nella notte tra il27 e il 28 set-tembre la popo-lazione si al-ternò in un in-cessante via vaifra le caserme ele abitazioni, ledonne in cercadi viveri e d’in-

dumenti, gli uomini in cerca d’armi e munizioni.Molte armi erano state già nascoste e conservate gelo-samente nei giorni dell’armistizio: ora la determina-zione di usarle, di cercare dovunque nuove scorte diesse, di scendere finalmente “in istrada” era sbocciataimprovvisa come l’unica possibile. Il popolo aveva“fatto la sua scelta”, ma in senso opposto a quello ri-chiesto dal proclama fascista. Già nel pomeriggio enella sera del 27, sollecitati, sembra, dalla falsa noti-zia dell’arrivo degli inglesi a Pozzuoli e a Bagnoli, sierano avuti i primi rapidi scontri, le prime scaramuc-ce in più punti della città, episodi in apparenza ca-suali, certamente non collegati l’uno con l’altro (ungruppo di cittadini che reagisce al saccheggio dellaRinascente, un altro gruppo che liberò a piazza Dan-te dei giovani razziati, due guastatori tedeschi inse-guiti a furia di popolo al Vomero), ma altrettanto cer-tamente rivelatori d’uno stato d’animo ormai comune.

La vittoria di David su Golia

Arriva un momento nel corso delle sofferenze popola-ri in cui le armi sparano da sole. Ciò si verificò all’al-ba del 28 settembre in cui la rivolta esplose fulminea

al Vomero e da Chiaia a piazza Nazionale. Non vi fu-rono collegamenti fra un centro e l’altro dell’incendio,ma l’insurrezione cominciò ad ardere in decine dipunti diversi: cercando di spegnerla affrettatamente,percorrendo la città in ogni senso e sparando all’im-pazzata i nazisti si fecero essi stessi propagatori del-l’incendio, si portarono appresso la scia inestinguibiledella rivolta.Il 28 settembre è la giornata dell’ardimento popolaresfrenato e travolgente: né mai più capitò ai tedeschi dirivedere quel che accadde allora a Napoli, come unfatto irripetibile nella storia. Poiché mai un esercitomoderno fu attaccato in tal modo e fu sgominato daun avversario così privo di mezzi, così imprevisto ecosì audace. Un avversario che ha in testa alle sueschiere non soldati esperti di guerra, ma eroi giovi-netti. Tra le decine e decine di combattimenti, fra itanti episodi delle Quattro Giornate è doveroso ricor-dare almeno i nomi di alcuni adolescenti, fanciulliquasi, vero e proprio simbolo dell’insurrezione napo-letana, la prima, la più giovane delle insurrezionieuropee sotto il giogo nazista, la vittoria di David suGolia.Il dodicenne Gennaro Capuozzo funziona da serven-te a una mitragliatrice in via Santa Teresa presa sottoil fuoco di carri armati tedeschi, finché cade sfracella-to, colpito in pieno da una granata sul posto di com-battimento. Filippo Illuminato e Pasquale Formisano,l’uno di tredici, l’altro di diciassette anni corrono in-contro a due autoblinde che da via Chiaia cercanod’imboccare via Roma. “Lo scontro fu assai breve, maimpressionante; vi fu chi vide i due intrepidi giovanet-ti avanzare decisamente sotto le impetuose raffiche dimitragliatrice fino a quando caddero esanimi a pochipassi dalle autoblinde, nell’atto di scagliare ancorauna bomba”. Già sono state spazzate via nel fuocodella lotta le bande dei pochi fascisti postesi al servi-

zio dell’invasore: restano soltan-to i “cecchini” a colpire allespalle i patrioti, preludendo conla loro azione a quanto accadràin un giorno ancora lontano aFirenze.Tutto si è svolto senza un piano,senza collegamenti fra i variquartieri o gruppi d’insorti anchese talvolta l’azione degli uni hacontribuito al successo di quelladegli altri. Esempio maggiore diquesta naturale confluenza deglisforzi insurrezionali l’azionesvolta da un gruppo di patriotiche a Moiarello di Capodimontes’impossessano di una batteriada 37/54 e riescono a bloccareper tutta la giornata il tentativodi una colonna di carri Tigre e di

Speciale Liberazione“Mai un esercito moderno fuattaccato in tal modo e fusgominato da un avversariocosì privo di mezzi, cosìimprevisto e così audace. Unavversario che ha in testaalle sue schiere non soldatiesperti di guerra ma eroigiovanetti”

(Roberto Battaglia)

Napoli, un tram abbattuto a Santa Teresa per trasformarlo in barricata.

37PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 2002

autoblinde tedesche di scendereda Capodichino sulla città; pro-babilmente, se quel tentativofosse riuscito, la lotta popolareavrebbe avuto un corso diversoo comunque più sfavorevole ecruento.Solo lentamente, dopo questoimpeto furioso e disordinato chenon dà requie al nemico, la ri-volta popolare comincia ad or-ganizzarsi, a individuare alcuniobiettivi da conseguire nellaininterrotta ondata del combatti-mento a viso aperto. Sorge la pri-ma barricata a piazza Naziona-le, vengono costituite postazionid’arme presso il Museo, si chiari-sce l’indirizzo principale sortospontaneamente: impedire che iltedesco attraversi la città versonord nel corso del ripiegamentoe gettare così il disordine e il pa-nico nelle sue truppe incalzate da vicino dagli alleati.Intanto, sul Vomero si è accesa fin dall’alba la batta-glia o meglio la serie fitta di scontri che ha luogo sipuò dire in ogni sua via o in ogni piazza. Nel corso diessi si determina un obiettivo principale: la conquistadel “centro” del quartiere costringendo i tedeschi a ri-piegare da via Luca Giordano che lo attraversa diago-nalmente. L’attacco viene eseguito a squadre e a bal-zi successivi come in una manovra di guerra regolare.Poi, dopo la furia popolare, anche la furia degli ele-menti si abbatte sul Vomero: un violento uragano fasospendere le operazioni e nella notte il nemico per-lustra le strade alla caccia degli insorti dileguatisi conle prime ombre.

“Straccioni” e “Nibelunghi”

Il 29 segna il culmine dell’insurrezione napoletana e,mentre prosegue il generoso afflusso dei giovani e de-gli adolescenti fra le file degli insorti (muore sotto ilfuoco d’un’autoblinda il non ancora ventenne MarioMenichini), affiorano i primi elementi organizzativi.Al Vomero si costituisce il Comando partigiano periniziativa di Antonino Tarsia. In ogni rione emerge nelcorso della lotta una figura di “capo-popolo” intornoa cui gravitano i gruppi degli insorti: a Chiaia si fa lu-ce Stefano Fadda, Ezio Murolo in piazza Dante, Aure-lio Spoto a Capodimonte, decine e decine di nomiprima oscuri s’affacciano alla vivida luce della storia,servono di richiamo e d’incitamento ai combattenti.L’introduzione di questo elemento cosciente nel fuo-co dell’insurrezione si fa subito evidente nei risultati:si moltiplicano le barricate alla salita di Santa Teresa,a Foria, in via Salvator Rosa, alla rampa di San Potito

contro cui s’accaniscono i carri Tigre del nemico (nonpiù bloccati dalla batteria partigiana di Moiarellomessa definitivamente a tacere). Ovunque gli scontridiventano più intensi e persistenti: nel solo settoreVincenzo Cuoco i patrioti perdono 12 morti e 32 feriti.E affiora anche quello che in un ancor remoto futurosarà l’elemento classico dell’insurrezione del Nord:un gruppo di popolani, fra cui si distingue l’operaiaventenne Maddalena Cerasuolo, attacca i guastatoritedeschi al ponte della Sanità, assicurando così le co-municazioni fra il nord e il centro della città. A Capo-dimonte è strenuamente difeso dai partigiani del rionel’unico serbatoio rimasto intatto dall’immane distru-zione ed assicurato, in seguito al successo dell’azio-ne, il rifornimento dell’acqua potabile ad alcuni rioniancora per due o tre giorni.Si combatte con estremo accanimento non solo nellacittà, ma alla sua estrema periferia, come nel quartie-re di Ponticelli, ove si svolgono alcuni degli scontripiù aspri e delle più feroci rappresaglie. L’episodio ri-solutivo si verifica infine al Vomero. Continua intantola lotta al Vomero e vengono reiterati gli attacchi, sot-to la guida di Vincenzo Stimolo, al campo sportivo,finché il comandante del presidio maggiore Sakauchiede di trattare la resa. Accompagnato con bandie-ra bianca presso il Comando superiore germanico alCorso, lo Scholl, edotto della situazione, è costrettoad ordinare l’evacuazione del campo sportivo e la re-stituzione dei 47 ostaggi detenutivi, purché i partigia-ni garantiscano l’immunità al presidio tedesco. È, insostanza, una capitolazione, la più grave umiliazioneper lo Scholl che aveva creduto d’imporre il suo do-minio alla città e che ora chiede salva la vita per i suoisoldati a un gruppo di “straccioni” ribelli; in avvenire

Speciale Liberazione

Napoli: un gruppo di combattenti a Santa Teresa fra un attacco e l’altro dei carri Tigre.

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200238

quegli “straccioni” ribelli imporranno condizioni an-cora più dure nella grande insurrezione nazionale:oggi è questo il maggior risultato possibile.»

La rivolta del Sud

L’insurrezione di Napoli assunse dimensioni di gran-de importanza e rappresentò un fattore formidabile diincoraggiamento per quanti stavano andando in mon-tagna. Assicurava loro, infatti, di non essere isolatinella lotta disperata che stavano per ingaggiare controuno degli eserciti più agguerriti della storia, ma di po-ter contare sull’adesione e sulla solidarietà, silenziosao operante, di grandi masse popolari. E l’insurrezionedi Napoli non fu un fatto isolato. Insorsero Matera,Nola, si combatté a Capua, a Teverola, a Bellona. Più a settentrione, insorse Lanciano, insorse Ascoli Pi-ceno il cui gonfalone proprio questo 25 aprile sarà de-corato di Medaglia d’Oro dal presidente della Repub-blica Carlo Azeglio Ciampi. Questa la motivazione:«La fiera e pacifica città di Ascoli Piceno, dopo l’ar-mistizio dell’8 settembre 1943, non esitò a sollevarsicontro il tedesco invasore. Già il 12 settembre, il co-raggioso comportamento dei militari del presidio ave-va costretto alla resa le forze nemiche, superiori in uo-mini e mezzi, mentre dal 2 al 5 ottobre, al Colle SanMarco, un pugno di giovani ardimentosi, male armatied equipaggiati, si batterono duramente contro unitàgermaniche, subendo dolorose perdite. Ma, la popo-lazione ascolana, non desistette dal proseguire la lot-ta, partecipando a numerosi scontri, come quelli inlocalità Venagrande, Castellano e Vallesenzana, chefurono fra i momenti più significativi della sua irridu-cibile volontà di partecipare direttamente alla libera-zione del territorio. Non meno agguerrita fu l’attivitàdei “gruppi di azione patriottica”, conclusasi con l’ar-

dita liberazione dalle carceri cittadine di tutti i dete-nuti politici. Ad essa va aggiunta la pericolosa operasvolta a favore di migliaia di prigionieri alleati e di mi-litari italiani sbandati, molti dei quali furono condottiin salvo oltre le linee. Numerose furono le perdite divite umane, le deportazioni e le distruzioni subite dal-la città che fu sempre sorretta dalla fede in una patriamigliore, risorta dalla dittatura fascista».

Dov’è la «zona grigia»?

Abbiamo già fatto riferimento alle tesi di coloro chegiudicano la Resistenza un fenomeno di estrema mi-noranza ed attribuiscono alla popolazione italiana co-me dato assolutamente maggioritario e distintivo unostato d’animo e un comportamento miranti soltantoad evitare il peggio, a sbarcare il lunario e salvare lapelle. È normale che stati d’animo di questo tipo fos-sero diffusi. La retorica dell’intero popolo che si levain armi come un sol uomo contro lo straniero non hamai aiutato a capire le cose. Quella che però ci con-vince ancora meno è l’attribuzione alla cosiddetta“zona grigia” di un ruolo decisivo e qualificante o,forse più giustamente, squalificante. Questo schemamostra tutta la sua insufficienza se viene confrontatocon i fatti. Di fronte agli avvenimenti di quel settem-bre 1943 e dei mesi successivi viene quasi da chie-dersi se gli italiani non fossero improvvisamente im-pazziti. Da un punto di vista di fredda razionalità, chesenso avevano, infatti, le insurrezioni alle quali ci sia-mo riferiti e gli innumerevoli episodi analoghi chenon abbiamo potuto citare? Che senso aveva metterea repentaglio vite umane quando già si udivanoecheggiare le cannonate degli eserciti alleati, i qualiavrebbero risolto tutto entro pochi giorni, se nonpoche ore?

Gli storici revisionisti dovrebbe-ro provare a spiegarci queste co-se, incomprensibili se non si fariferimento a un’esasperazionepopolare giunta al limite ed oltreil limite di sopportazione, aun’insofferenza non più compri-mibile dopo tutti i sacrifici deglianni di guerra, al desiderio divoler partecipare in qualche mo-do alla propria liberazione. Fa ri-flettere – e deve far riflettere – lacircostanza che giornali partigia-ni riportino come parole d’ordi-ne frasi risorgimentali di questotipo: «Più della servitù temo la li-bertà recata in dono» (GiuseppeMazzini – Il Ribelle, Brescia, 15luglio 1944). Volenti o nolenti,bisogna riconoscere che, dopol’ignominia del fascismo e dell’8

Speciale Liberazione

Ascoli Piceno. Camionetta tedesca con cannoncino distrutta alla Caserma «Umberto I» il 12settembre 1943.

39PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 2002

settembre 1943,parole come “pa-tria” e “libertà” tor-nano a fondersi in-sieme, ad unirsi inmodo inscindibile,come era stato nelRisorgimento e alcontrario di quelloche era avvenuto

con il fascismo, che aveva provocato il divorzio tra ilsentimento nazionale e l’amore per la libertà. Sonovalori che tornano, in modo istintivo, spesso con unaconsapevolezza relativa, tutta da approfondire. È unprimo approccio dal quale tante cose dovranno ger-mogliare e svilupparsi.

Stragi gratuite e scioperi operai

Nel contesto – assolutamente esemplificativo e perniente esauriente – delle origini della Resistenza edella lotta partigiana che ci siamo sforzati di delinea-re, non possono mancare due riferimenti.Il primo concerne le stragi compiute dai nazifascisti. Itentativi di giustificare la ferocia con cui, fin dall’ini-zio e addirittura prima che si potesse parlare di unapresenza partigiana in qualche modo organizzata, fu-rono colpite le popolazioni civili, sono del tutto inat-tendibili. In realtà non si può dire che la violenza na-zifascista si esercitasse in termini di rappresaglia e,quindi, di risposta ad azioni partigiane. Molto spessonon c’era neppure la giustificazione – per quanto as-solutamente inaccettabile – della rappresaglia.Citeremo un caso tra i mille che si potrebbero ricor-dare. È un caso che si riferisce al Mezzogiorno e chesi svolse nei giorni immediatamente successivi all’8settembre.Rionero in Vulture è un paese in provincia di Potenza,che ebbe la disgrazia di veder passare sul suo territo-rio reparti tedeschi e di paracadutisti italiani che ave-vano deciso di continuare a combattere a fianco deinazisti. Il 24 settembre alcuni militari tentarono di im-padronirsi di alcune galline di una masseria. Il conta-dino Pasquale Sibilia reagì sparando con un fucile dacaccia e provocando una scalfittura a una mano a unparacadutista italiano. Immediata la tremenda deci-sione. 17 persone – tra cui lo stesso Sibilia, ferito piùvolte e già agonizzante – furono prelevate dalle lorocase, condotte a ridosso di una scarpata vicino allachiesa e fucilate. Ci fu un superstite, che si finse mor-to tra i cadaveri. Qui non c’erano partigiani. Non c’erano giustificazio-ni di sorta. Si trattava soltanto di una banale storia diladri di galline che in qualsiasi esercito degno di que-sto nome sarebbero stati redarguiti se non puniti per illoro comportamento. 17 fucilati e 16 morti per pro-teggere un ladro di galline. Questa era la moralità dei

nazisti e dei loro complici italiani. Per cui sono da re-spingere radicalmente i discorsi – che periodicamentesi ripropongono – sulla inopportunità di azioni comequella di via Rasella a Roma cui seguì l’atroce massa-cro delle Fosse Ardeatine. Tedeschi e fascisti massa-cravano ci fosse o non ci fosse iniziativa partigiana.Massacravano perché tentavano – del tutto inutilmen-te – di fare terra bruciata attorno ai combattenti dellalibertà. Massacravano perché queste erano le istruzio-ni che ricevevano dai loro comandi. Eccone un esem-pio a firma del generale delle SS Karl Wolff, che cosìillustrava le direttive di Kesselring: «Ogni atto di vio-lenza immediatamente deve avere le contromisureadeguate. Se in un distretto ci sono delle bande inmaggior numero, allora in ogni singolo caso una cer-ta percentuale della popolazione maschile del luogo èda arrestare e in casi di violenza da fucilare. Se si spa-ra contro soldati tedeschi ecc. da paesi, allora il pae-se è da bruciare. Gli attentatori oppure i capibandasono da impiccare pubblicamente. Per atti di sabotag-gio a cavi e contro pneumatici devono essere fatti re-sponsabili i villaggi in vicinanza. La migliore sicurez-za contro tali atti di sabotaggio sono le squadre di si-curezza composte dalla popolazione civile dei paesistessi…». Dopo questa casistica del terrore gratuito esistematico, non si può non considerare come un’e-spressione di ironia, per quanto del tutto involontaria,la frase di poco successiva: «L’onore del soldato tede-sco richiede che ogni misura di repressione sia dura,ma giusta…».Il secondo riferimento è ai massicci scioperi che tra ilnovembre 1943 e la primavera del 1944 segnarono larisposta dei lavoratori italiani alle promesse “sociali”della repubblica di Salò. Milano, Torino, Genova e al-tri centri si fermarono sotto l’impulso, via via più pre-ciso e incisivo, della Resistenza. È un’altra testimo-nianza di quanta solidarietà e partecipazione popola-re ci fosse nella lotta di Liberazione nazionale.

Speciale Liberazione“La memoria dell’insurre-zione d’aprile non morràmai perché mai muore ilricordo di un popolo che sisolleva in armi a difesadella sua libertà”

(Palmiro Togliatti)

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200240

La partecipazione delle donne

Questi squarci che ci sforziamo di aprire per ricostrui-re certo non una storia, quanto un clima, alcuni aspet-ti di una situazione, non possono assolutamente igno-rare la parte svoltadalle donne nella Re-sistenza.Ce ne parla LAURAPOLIZZI, figura emi-nente del partigia-nato emiliano e re-sponsabile del Coor-dinamento femminiledell’ANPI Nazionale:«Va alle partigianedel nostro coordina-mento femminile na-zionale ed alle stori-che il merito di averefatto emergere i datinumerici sulle donneche hanno preso par-te alla Resistenza delnostro Paese, sia nel-le formazioni partigiane che nei Gruppi di Difesa del-la Donna e la valenza della loro partecipazione allalotta di Liberazione. Si calcola siano state 70.000 leorganizzate nei “Gruppi Difesa della Donna e perl’assistenza ai combattenti della libertà”, l’organizza-zione femminile clandestina sorta a Milano nel 1943.Avendo diretto per un lungo periodo i GDD nel reg-giano e avendo condiviso con le donne di quella ge-nerosa terra l’esaltante stagione della lotta contro ilnazifascismo, sento il dovere di testimoniare il signifi-cativo apporto del movimento femminile clandestinoanche alla lotta armata. È quella dei GDD reggianiuna storia complessa che ha impegnato migliaia di

donne in manifestazioni contro la guerra, contro lerazzie, per avere più viveri e contemporaneamenteper porre le specifiche rivendicazioni femminili fracui il diritto di voto. Alla data del 22 febbraio 1945 sicontavano 2.472 aderenti, cifra che sarà all’incirca tri-plicata alla vigilia della Liberazione (Storia della Resi-stenza reggiana, di G. Franzini).Anche i tedeschi e i fascisti si erano accorti della lottaclandestina delle donne reggiane tanto che il Federa-le di Reggio Emilia, nella circolare n. 13 del 27 set-tembre 1944 diretta ai commissari politici e ai presìdidella Brigata Nera, comunicava: «Dalle autorità tede-sche è stato segnalato che il nemico per la trasmissio-ne delle notizie si serve di personale femminile. Per-tanto i comandanti di presidio e i segretari e commis-sari politici dispongano perché le squadre addette alservizio di controllo sulle persone controllino anchele donne sottoponendo a rigorosa perquisizione i ba-gagli e le borse in possesso di elementi sospetti». Purconoscendo queste direttive le nostre ragazze e ledonne andavano avanti anche vincendo la paura. Lanostra organizzazione, diretta da un comitato provin-ciale e suddivisa in zone che comprendevano tutta laprovincia dalla montagna alla bassa reggiana, cresce-

va di giorno in giorno creando notevoli azioni di di-sturbo ai nazifascisti.Il momento più importante ed esaltante è stato l’orga-nizzazione della “Settimana del Partigiano”, attivitàche durò molto più a lungo del tempo prefissato. A se-guito del famoso “Proclama” di Alexander il Coman-do Unico delle formazioni partigiane della montagnaaveva lanciato un appello al CLN provinciale per laraccolta di soldi, alimenti e di tutto quanto occorrevaalla vita delle formazioni. La realizzazione dell’inizia-tiva spettava ai patrioti, uomini e donne, della pianu-ra. Le donne dei GDD furono davvero straordinarie.Organizzammo decine e decine di riunioni: nelle ca-

Speciale Liberazione“La nuova Italia nasceva per opera del popolodeciso a prendere nelle sue mani il propriodestino. Durante venti mesi di terribile lottaper la vita e per la morte il popolo italianoaveva dimostrato di saper guidare la propriasorte e di sapere battersi per i reali interessidell’Italia.

Nella lotta per l’indipendenza e la libertà dellaPatria, la classe operaia si era affermata comeclasse dirigente nazionale, capace di interpre-tare le aspirazioni nazionali del nostro popolo”

(Pietro Secchia)

Bologna: monumento alle 128 cadute partigiane.

41PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 2002

se, nelle stalle e ovunque era possibile contravvenen-do spesso alle norme cospirative. Furono raccolti vi-veri, soldi, medicinali e tutto quanto poteva essere uti-le. Le donne più anziane furono impegnate nella con-fezione di maglie, calze, guanti, berretti. La lana scar-seggiava, non bastava ed allora fu filata anche quelladei materassi. Volevamo che i partigiani, che combat-tevano sulle gelide montagne, ricevessero con il calo-re delle maglie il calore bella nostra passione patriot-tica, così fu deciso di inserire in ogni indumento deibiglietti di incitamento a resistere. Fu uno straordina-rio aiuto morale che potei verificare personalmente inoccasione di un incontro con il Comando Unico. Ipartigiani chiedevano se corrispondeva al vero quan-to era scritto in quei biglietti, che loro gelosamentecustodivano, e nel chiederlo espri-mevano ansia e commozione. Sì, ledonne del reggiano erano con loro.La loro causa era la nostra causa.Insieme avremmo vinto, insiemeavremmo ricostruito l’Italia.Il Comando Unico ringraziò conuna lettera in cui si affermava: «…il vostro atto è stato per noi un inci-tamento a resistere e ad intensifica-re la lotta. Sopporteremo qualun-que sacrificio e intensificheremo lalotta fino alla definitiva liberazionedell’Italia unita». Sul n. 10 di NoiDonne, diffuso in Alta Italia vennescritto: «... chi batte il record diquesta gara di solidarietà è ReggioEmilia dove la somma raccolta rag-giunge il milione senza contareuna quantità imponente di materia-le che si può valutare per una somma due volte supe-riore». Anche le donne dei GDD intensificarono la lo-ro lotta impegnandosi nelle SAP, nelle GAP con cen-tinaia e centinaia di manifestazioni che tenevano im-pegnate in pianura le forze nemiche. Fra tutte va ri-cordata quella del febbraio 1945 che vide affluire aReggio Emilia, in piena occupazione, oltre 2.000 don-ne affiancate dai SAP e GAP, che rivendicavano la li-berazione dei detenuti politici, una maggiore distribu-zione dei generi alimentari, la fine della guerra. Mol-te di quelle generose, stupende donne divennero poiqualificate dirigenti locali e nazionali dell’UDI, deisindacati, delle pubbliche amministrazioni. Valga pertutte ricordare la splendida figura di Nilde Jotti.Vorrei che tutte noi, insieme agli istituti storici, com-pissimo un ulteriore sforzo per far emergere in tutta lasua valenza il grande significato della presenza fem-minile nella Resistenza. Sarebbe un arricchimentodella storia stessa. Quella delle donne nella lotta di Li-berazione è una storia ancora in larga parte da rac-contare, ricca di avvenimenti, di passioni, di immensisacrifici, di battaglie piccole e grandi che costituisce

una parte importante della storia d’Italia. Quel filo dilana, che come il filo di Arianna ci unì allora in unpatto solidale, ci unisce oggi alle nuove generazioniche aspirano ad un mondo giusto, libero e senzaguerre.»Noi vorremmo aggiungere una sola notazione, trattada un documento dell’epoca. Si tratta delle istruzionia suo tempo emanate dal Partito comunista italianoalle “corriere” o “collegatrici”, per le quali si usa disolito la denominazione di “staffette”, nel deprecabilecaso della cattura: «Devi sapere che se cominci a par-lare sarai torturata sempre più perché tu dica tuttoquanto quello che conosci, perché tu ti compromettasempre più. Tu hai delle possibilità di salvarti solo ne-gando ed ancora sempre negando. Comunque, prefe-

risci qualsiasi altra sorte, anche la morte piuttosto difare del male al tuo Partito, piuttosto di diventare unaspia. Non insozzare il tuo nome per sempre» .Un lettore odierno può rabbrividire di fronte a unaprosa di questo tipo. Ma allora, anche per le staffette,questi erano i rischi quotidiani.Oltre a quella delle donne, va rilevata la partecipa-zione del mondo contadino, che si tradusse in assi-stenza, aiuto, ospitalità generosa. Tanto più generosase si riflette che la pena per chiunque avesse aiutatoun partigiano era la morte, o minimo, l’incendio dellacasa. Ma i contadini – soprattutto in Emilia – preseroparte anche alla lotta armata. Insuperato resta l’esem-pio dei sette fratelli Cervi fucilati dai fascisti.

Verso il 25 Aprile

Quanto si è detto finora è la premessa alla insurrezio-ne nazionale dell’intero Paese, il cui territorio, da Fi-renze in su, fu liberato dai partigiani, i quali non atte-sero l’arrivo delle armate alleate, ma lo anticiparono. Sui giorni immediatamente successivi alla liberazione

Speciale Liberazione

Carrara: altorilievo dedicato alle donne partigiane, opera dello scultore Dante Isoppi,comandante della Divisione “Apuana”.

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200242

di Firenze e sugli sviluppi posteriori pubblichiamoqueste riflessioni di LUCIANO SCARLINI, partigiano,segretario dell’ANPI di Firenze: « Larga parte della storia d’Italia, quella che ritengola più culturalmente ricca e politicamente degna diessere raccontata, è quella dei mesi successivi alla li-berazione della Toscana ed al consolidarsi del frontedella “Gotica” che immobilizzò uomini e mezzi suicrinali dall’Appennino tosco-emiliano, che finora èstata la più negletta. Questa divisione fra italiani inlotta per la libertà ed italiani in lotta per la sopravvi-venza ha trovato oblio e scarso riconoscimento, mal-grado proprio in quel periodo si costruissero gli ordi-namenti che poi dettero vita alla Repubblica.Molto spesso, e da parte di alcuni in modo dispregia-tivo, quando si parla della matrice storica della Costi-tuzione e dei liberi ordinamenti repubblicani (che fu-rono una felice invenzione della classe dirigente deipartiti antifascisti rimasta a sud della linea gotica),qualcuno storce il naso e gli storici non riescono atrovare un nesso logico tra le diverse componenti, mi-litari e civili, che determinarono la ricchezza politicadi questo passaggio storico della vita del Paese. Sulfronte della “gotica” si scontravano cinque eserciti ela componente italiana era forte di cinque Gruppi diCombattimento volontari, dei partigiani, dei repartidella V e dell’VIII Armata con le loro strutture logisti-che fatte interamente da italiani nella parte liberata.Ma i tedeschi, ed al loro servizio altri italiani, infieri-vano sulla popolazione civile della zona occupata.Quando si fa appello all’oblio ed all’eguaglianza checancellerebbe le differenze non è, a mio parere, che siparli soltanto degli avvenimenti guerreschi, ma diquello che essi causarono come cambiamenti dellamorale politica nella coscienza degli italiani.

Sulla “gotica” tuonavano ancora i cannoni quando lagente che aveva partecipato, sia con le armi sia conl’aiuto e l’appoggio, alla guerra di Liberazione, aderi-va alle riunioni, ai comizi, alle conferenze. Gli anzia-ni memori degli avvenimenti prefascisti erano curiosidi cosa sarebbe nato dall’impegno politico della gen-te nella Resistenza, per i giovani lo sforzo maggioreera capire concetti che più tardi sarebbero divenuti diuso comune e che, allora, erano di assoluta novitàculturale e politica. Come funzionava e cosa era lademocrazia, come la libertà individuale veniva a coz-zare contro le libertà collettive, l’uso delle elezionicome fattore di progresso umano e testimonianza del-la diversità, la costruzione dei moderni partiti fondatisulle diverse ideologie politiche, o concezioni ideali. A tutti questi interrogativi rispondevano, con moltoromanticismo e talvolta con fiducia, gli oratori più an-ziani, quelli che noi giovani definivamo i “recitatoridella parola”, che sceneggiavano con declamazioni iconcetti che si voleva affermare: dal libertarismo, alrigore critico comunista, al socialismo aperto allecontaminazioni, al cattolicesimo mediatore e modera-to, alla intransigenza di Giustizia e Libertà. Sugli effet-ti della lotta contro la monarchia, per una Repubblicada conquistare, i lavoratori organizzati nelle altrerealtà politiche e nei sindacati affrontavano i problemidella ricostruzione, sopratutto nelle fabbriche da lorosalvate dalle ruberie dei tedeschi e dei fascisti.Vi era un rito domenicale che era quello dei comizi, evi era gente che, in bicicletta e a piedi, si spostava perseguire gli oratori più noti da non citare perché l’elen-co sarebbe lungo e di scarso effetto, perché ciascunodi essi era una cosa a sé, non confondibile con altri.Le loro idee le potevi riascoltare nelle riunioni di ognitipo che successivamente si svolgevano per dare solu-

zioni concrete ai problemi emer-genti: riaprire le scuole, assicurare ilpane, farsi spazio per gestire in au-tonomia, talvolta opponendosi aidisegni dei governatori militari chevolevano imporre limitazioni alleazioni dei CLN comunali che svol-gevano il ruolo delle Giunte.In quell’inverno 1944-’45 vi era unaunica lotta sui due versanti della li-nea gotica, una armata che trovavaalimento dalla vita politica attiva, delrapporto fra forze della libertà e po-polazioni, l’altra politica volta a dareordine e regole alla vita civile, scon-figgere il banditismo che insidiavacerte zone della montagna, costruirein un confronto aperto la democra-zia ed i suoi strumenti. In quel tem-po i comizi avvenivano da un solopalco dove si avvicendavano gli ora-tori talvolta facendosi bonariamente

Speciale Liberazione

Si combatte nelle vie di Firenze.

43PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 2002

un contraddittorio fra loro ma tutti quanti impegnati arendere possibile la vita della gente che riemergeva dailutti provocati dal fascismo e dalla guerra.Ho ancora presente un comizio in piazza del Comu-ne di Barberino del Mugello del marzo ’45, mentre siascoltava lontano il brontolio dei cannoneggiamentidella “gotica”. Su una catasta di legna da ardere sierano avvicendati per tutto il pomeriggio gli oratoridei partiti, quando gli organizzatori si accorsero chenon aveva parlato un giovane. Fui sollevato di peso emesso sulla traballante catasta e costretto a parlareper dare voce alla rabbia dei giovani e alle loro aspi-razioni. Sono ancora curio-so su cosa ebbi a dire fragente plaudente che vedevacome segno di cambiamen-to un “ragazzo” parlare alpubblico, mestiere esclusivofino ad allora degli anziani.Il 25 aprile fu una tappa im-portante di questo processodi costruzione della demo-crazia, perché fu salutata lacaduta del fascismo, la pa-ce, e la libertà fino ad alloraconsiderate speranze edaspirazioni come conquisterese possibili dalla lotta de-gli italiani contro il nazifa-scismo e dal contributo im-portante delle nazioni allea-te. Fu una occasione di cor-doglio e di festa, ma con-sentì a tutti di essere orgo-gliosamente fieri della no-stra gente. I rapporti con igovernatori alleati, sopratut-to americani, divennero piùdifficili, anche perché resta-rono al sud della linea goti-ca pesanti strutture militari,sopratutto americane, il cuicomportamento non fu sempre edificante e richieserole mediazioni che, con autorevolezza, le forze politi-che divenute dirigenti della cosa pubblica, sepperocondurre avanti anche nei rapporti con le forze arma-te dei Paesi alleati che restarono nell’Italia liberata an-cora per alcuni anni.Un aspetto ancora da valorizzare resta l’opera dei gio-vani nel post liberazione a partire dalle zone a suddella linea gotica; il lavoro volontario per la ricostru-zione. Terminata la guerra con la liberazione del ter-ritorio toscano fino alla “gotica”, i partiti antifascisti ele giunte comunali espressione dei CLN promosserola formazione di brigate di lavoro volontarie per la ri-costruzione delle strade, dei ponti, delle fabbriche de-gli ospedali e delle sedi civili dei poteri locali.

Oggi si mette in discussione e si vorrebbe abbattere ilruolo dei partiti nella democrazia ritornando alle de-cisioni personali o di gruppi ristretti. È da ritenere chedovremmo trarre profitto dalla lezione di quei giorniper ritrovare la stessa forza e la stessa convinzione diquella gente che seppe dirigere i Comuni e lo Stato fradifficoltà estreme e nella più vasta applicazione delpluralismo e del rispetto delle opinioni di tutti.Molti di noi furono protagonisti di avvenimenti signi-ficativi nella loro semplicità. A me piace ricordare chestavamo ricostruendo una strada di montagna per fargiungere una trebbiatrice e il trattore a Cercina (Mon-

te Morello) per salvare ilprodotto che era depositatonelle baracche e nelle casedei contadini, quando fum-mo raggiunti da un gruppodi anziani con i panieri albraccio. Uno di questi, il piùanziano, si avvicinò a noi,dicendoci che non era piùbuono a lavorare e che perquesto con i suoi compagnivoleva diventare la nostrasussistenza. Insomma, ciavevano portato da mangia-re chiedendoci di conside-rarli ancora utili alla causacomune.Queste testimonianze ci fe-cero sentire noi giovani piùgrandi della nostra età, cre-sciuti in fretta fra sofferenzee speranze, ma in una cosafortemente determinati, chenon sarebbe mancato il no-stro impegno politico per lademocrazia, per il lavoro,per la Repubblica per laquale avevamo combattutoma a cui favore non potem-mo esprimere il nostro voto

perché la maggior parte di noi non aveva l’età per far-lo. Era necessario, infatti, aver compiuto il ventunesi-mo anno di età e la maggior parte dei partigiani e deivolontari dei gruppi di combattimento erano troppogiovani.Conquistammo però il diritto a socializzare, a ritrovar-ci, perché il fascismo ci aveva diviso, impedendoci diincontrarci e coniando il termine di manifestazione se-diziosa anche per un incontro di tre giovani in strada,vietandoci di ballare anche nelle case private. Furono le note della musica da ballo e non solo gli in-ni di lotta che ci accompagnarono nella conquista diuna coscienza politica innovatrice e nell’impegno perdifendere, da subito, le conquiste della guerra di Libe-razione nazionale, della Costituzione.»

Speciale Liberazione

Agosto 1944: i fiorentini passano da una riva all’altra sullemacerie del Ponte alle Grazie fatto saltare dai tedeschi.

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200244

Prove di democrazia

Come si vede, tornano, nelle parole dei protagonisti,con commozione e partecipazione profonda, tutti i te-mi di un’edificazione democratica che a noi oggi puòapparire normale e scontata, ma che allora era intera-mente da scoprire. Oltre a tutto, dopo vent’anni ab-bondanti di deserto, anche senza maestri, tranne quel-li che ognuno riusciva a trovare da solo.Già il partigianato aveva segnato una prima riscoper-ta dell’autogoverno e della ricostruzione di un tessutoconnettivo sul piano politico e sociale attraverso l’e-sperienza delle repubbliche partigiane, zone del terri-torio italiano liberate dalle formazioni ed amministra-te dagli uomini della Resistenza, dei ricostituiti partiti,di rudimentali forme di organizzazione sindacale. Da un punto di vista strettamente militare c’è chi cri-tica – e forse con qualche ragione – la decisione di li-berare stabilmente porzioni di territorio, venendo me-no alle regole fondamentali della guerra per bande,che impongono la tecnica del colpo di mano, dell’at-tacco improvviso, della pronta ritirata. In una parola,del «mordi e fuggi». Insediarsi sul territorio voleva di-

re offrire un bersaglio fisso alla reazione del nemico incondizioni di grandi disparità di forze e di armamen-to. Le formazioni partigiane, infatti, non erano ade-guate ad accettare lo scontro in campo aperto con unesercito che aveva blindati, aviazione, armamento pe-sante. Tuttavia, l’esperienza delle repubbliche parti-giane fu importantissima proprio nella ricostruzionedi un filo conduttore della vita quotidiana che dovevaessere fatta, al di là della lotta armata, di scuole, dicommerci, di iniziativa economica, di fisco, di solida-rietà, di tutto quello che connota una comunità de-mocratica di persone.

Quel terribile inverno

Gli esiti vittoriosi della lotta contro tedeschi e fascistifurono preceduti dal periodo forse più nero e doloro-so dell’epopea partigiana. Quel terribile inverno del1944-’45 che si aprì con il famigerato proclama delgenerale Harold Rupert Alexander. In buona sostanzal’alto ufficiale alleato diceva ai partigiani il 13 no-vembre 1944 di non sperare molto su rifornimenti perl’inverno imminente, di cessare le azioni su larga sca-la e di conservare le armi e i materiali in attesa di nuo-vi ordini. Era peggio che una doccia fredda. Il movimento parti-giano, per il prestigio conquistato, per l’afflusso conti-nuo di nuove energie soprattutto di giovani che rifiu-tavano di obbedire agli arruolamenti della repubblicadi Salò, aveva assunto dimensioni ragguardevoli e ve-deva moltiplicarsi di conseguenza le esigenze di ap-provvigionamento e di armamento. D’altra parte, ipartigiani non potevano né tornare a casa né andarein ferie in attesa di tempi migliori, come sembravachiedere loro Alexander, oltre a tutto nel pieno diun’azione repressiva tra le più vaste e devastanti mes-se in atto dai nazifascisti.

Verso la liberazione del Nord

Con il ritorno della primavera, la spallata finale: l’in-surrezione nazionale.Sulla liberazione di Genova e della Liguria, che as-sunse un’importanza particolare, abbiamo chiestouna dichiarazione al sen. RAIMONDO RICCI, presi-dente dell’Istituto ligure per la storia della Resistenza:«A 57 anni dalla data che segna la completa libera-zione del nostro Paese dall’occupazione nazista e dalfascismo di Salò e quindi per l’Italia sostanzialmentela fine del secondo conflitto mondiale, è il caso di ri-cordare la vicenda relativa all’insurrezione e libera-zione di Genova che si colloca nel vasto e complessoquadro degli ultimi giorni di guerra come un fatto sin-golare ed emblematico della maturità e capacità ac-quisite dalla Resistenza.Fin dal febbraio-marzo del 1945, approssimandosi or-mai nelle previsioni e nelle attese generali, sia dei

Speciale Liberazione

Particolare del monumento alla Resistenza

di Sestri Levante.

45PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 2002

combattenti, sia delle popolazioni, il momento delladefinitiva resa dei conti nei confronti del nazifasci-smo, erano stati predisposti dai comandi partigianipiani per la liberazione delle grandi città del Nord, inparticolare Milano, Genova, Torino: una logica co-mune ispirava queste predisposizioni militari allo sco-po di contrastare, e possibilmente impedire, lo stabili-mento di quella linea di difesa sul Po lungo la quale,dopo il cedimento della linea Gotica, avrebbero do-vuto attestarsi le truppe germaniche secondo il pianodello Stato Maggiore della Wehrmacht, a suo tempoavallato dal generale Kesselring. In effetti questo ulti-mo progetto era stato confermato in un rapporto a tut-ti i comandanti delle grandi unità, tenuto a Novi Ligu-re il 1° aprile 1945 dal generale Vietinghoff, succes-sore di Kesselring. Nella riunione si era anche esami-nato l’ordine di attuazione dei piani Zeta per la di-struzione di centrali elettriche, acquedotti, ponti, fab-briche e porti, in particolare quello di Genova.La prima iniziativa militare che venne presa dalla Re-sistenza nel quadro richiamato fu quella dell’insurre-zione di Genova, rapidamente sfociata nella sua libe-razione, che fu definita da Roberto Battaglia “l’insur-rezione modello”, perfetta in ogni suo aspetto sia mi-litare che politico. In effetti la sua conclusione si con-cretò nella resa a discrezione di un intero contingentetedesco, efficiente e perfettamente armato, forte di ol-tre 12.000 uomini, al Comitato di Liberazione Nazio-nale: un fatto unico in Italia e in Europa di cui l’interaResistenza italiana ha motivo di essere orgogliosa.La sequenza di quei cruciali avvenimenti è consegna-ta oltre che a opere generali sulla lotta di liberazionein Italia, come quelle di Roberto Battaglia e GuidoQuazza, a più puntuali studi di carattere storico e mi-litare, come quelli di Giorgio Gimelli (Cronache mili-tari della Resistenza in Liguria) e di Carlo Brizzolari(Un archivio della Resistenza in Liguria), nonché adocumenti e relazioni conservati nell’archivio dell’I-stituto ligure per la storia della Resistenza e dell’etàcontemporanea e in altri archivi. L’istituto Ligure perla Resistenza è impegnato nella redazione di unacompleta ricostruzione monografica dell’intera vicen-da che tenga conto di tutta la documentazione a di-sposizione e degli studi e approfondimenti compiuti.Allo scopo di rievocare sinteticamente in questo anni-versario la sequenza dei fatti riguardanti lo straordina-rio episodio della liberazione di Genova, può essereutile rifarsi al riassunto storico pubblicato nell’Atlantestorico della Resistenza, edito da Bruno Mondadori.»Ed ecco la rievocazione: «All’inizio di aprile sonostabiliti i piani insurrezionali delle singole zone ope-rative. Prevedono operazioni di difesa del patrimonioindustriale ed infrastrutturale e di disturbo del ripiega-mento, affidate a una decina di divisioni partigiane dimontagna e due SAP (ognuna composta da circa unmigliaio di effettivi) e 45 brigate di città, cui nei gior-

ni della liberazione si aggregano cittadini in armi. Laregione è infatti presidiata da un imponente schiera-mento militare che può ancora effettuare pesanti di-struzioni e sostenere intensi combattimenti benché siappresti alla ritirata: dal confine occidentale verso ilPiemonte attraverso il colle di Tenda e quello di Nava(la divisione tedesca 34ª Brandenburg e reparti della5ª da montagna, più la fascista Littorio), da Savonaverso Alessandria (la divisione della Rsi San Marco),da La Spezia verso la Val di Taro (148ª divisione te-desca e contingenti della 114ª Jäger e della 135ª, do-ve vengono insaccate), da Genova in direzione nordattraverso il passo del Turchino (42ª divisione). Nelledue riviere la guerriglia, oltre a liberare paesi e città,impegna quindi molti uomini nel logoramento delletruppe in ritirata, distruggendo la gran parte dei pontied affrontando, anche con gravi perdite, i dispositividifensivi che proteggono i convogli in ripiegamento.

“Nella Resistenza il popolo italiano trovò in se stesso la forza per risollevare il Paese dall’abisso in cui il fascismo l’avevatrascinato”

(Enrico Berlinguer)

Reggio Emilia:monumento alla Resistenza di Remo Brioschi.

Speciale Liberazione

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200246

La fase finale

Il 24 le forze partigiane si dispongono parte ad attac-care i presidi sulla costa, parte a manovrare in attac-chi di disturbo alle colonne nazifasciste in movimen-to. Nella quarta zona operativa (l’area dello Spezzino)i partigiani dapprima colpiscono reparti isolati e presì-di, ostacolano le operazioni alle spalle del fronte inun’area vitale per le comunicazioni e i rifornimenti,poi sottopongono a frequenti attacchi i reparti che ri-piegano, agevolando l’avanzata della 92ª divisionestatunitense Buffalo. Il mattino del 25 aprile i coman-di di zona possono infatti informare gli Alleati che lavia Aurelia è sgombra sino a Genova.Analogamente, nell’altra riviera, le formazioni del-l’Imperiese (prima zona operativa) si schierano percontrastare la ritirata. Il rapporto di forze è tuttavia sfa-vorevole: è impossibile tenere a lungo i blocchi dellestrade, ma si possono sottoporre a continue incursioni

le colonne in transito. Gli scontri più duri avvengononelle zone della Val Roscia e della Val Tanaro, sullestatali 20 (tra Ventimiglia e Albenga) e 28 (tra Imperiae il colle di Nava), sull’Aurelia e sull’Albenga-Gares-sio, dove i reparti partigiani sono pesantemente sotto-posti al tiro delle artiglierie che proteggono il ripiega-mento. Molti reparti tedeschi si sbandano, al puntoche, dopo la liberazione, i comandi partigiani devonodisporre rastrellamenti dei boschi dell’entroterra.Nel capoluogo e nelle città della costa le SAP ed i re-parti delle divisioni di montagna operano a difesa de-gli impianti, impiegando prigionieri tedeschi per ri-muovere le mine che minacciano le banchine e gliaccessi dei porti. Momenti di tensione si vivono a Bor-dighera tra i partigiani e le truppe britanniche, con cuidai fortini di confine sono avanzati anche contingentifrancesi (Chasseurs des AIpes e truppe senegalesi) chepretendono di occupare tutto il settore occidentaledella Riviera dei fiori, sino a Sanremo (tensioni analo-ghe si innescano nello stesso periodo al confine val-

Speciale Liberazione

47PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 2002

dostano, certo in relazione con i rancori sedimentatidall’aggressione fascista alla Francia nel giugno1940). La mediazione statunitense consente di supe-rare questi difficili momenti, mentre il contributo del-la Resistenza italiana all’abbattimento del regime e lacollaborazione nell’area ligure-piemontese con il mo-vimento clandestino francese al momento della defi-nizione dei confini giocano un ruolo importante.A Savona le formazioni cittadine entrano in azionenella notte tra il 24 ed il 25 aprile mettendo in atto,mentre in città sono in corso combattimenti, il pianoantisabotaggio. Sono neutralizzate le mine collocatenei punti vitali delle banchine portuali, della ferroviaSavona-Santuario, della centrale elettrica, dei pontistradale e ferroviario di Zinola, mentre operai e sappi-sti occupano gli impianti industriali e le infrastrutture.Il mattino del 25 viene occupato anche il cantiere na-vale di Pietra Ligure e catturato il presidio tedesco. ACairo Montenotte viene disarmato un treno blindatodopo che nella zona si è attaccata con successo una

colonna nazifascista che per proteggere il ripiegamen-to si faceva scudo di civili catturati a Dego. Di fatto,tra il 24 e il 29 aprile (giorno in cui il maresciallo Ro-dolfo Graziani firma la resa dell’Armata Liguria, o me-glio di quanto ne resta), il piano insurrezionale è con-dotto a termine con successo.

Genova: 12.000 tedeschi si arrendono

Il 7 aprile, in una riunione tenuta a Gorreto, il Co-mando della 6ª zona operativa stabilisce il Piano Aper l’insurrezione di Genova. Tale piano prevede l’in-tervento sia delle formazioni di montagna sia delleSAP, con l’obiettivo prioritario di attuare il blocco deimovimenti delle truppe tedesche, neutralizzare deter-minati obiettivi militari, salvaguardare impianti indu-striali e strutture portuali, occupare gli edifici pubbli-ci. In bianco resta solo la data prevista per attuarlo:l’occasione si presenta due settimane dopo.Il 23 aprile i reparti SS abbandonano la città per diri-gersi a Milano, e lo stesso fanno alcuni tra i principa-li gerarchi fascisti. Anche le SAP si muovono: in sera-ta due distaccamenti entrano nel porto per disinne-scare il minamento tedesco, e durante la notte moltipunti chiave nelle comunicazioni vengono occupati. Ipresìdi tedeschi e fascisti degli stabilimenti industrialidel settore occidentale tra il 23 ed il 24 si arrendonoai sappisti, che dal mattino li occupano assieme aglioperai e provvedono allo sminamento. Il CLN, riunitoin permanenza, dispone intanto il blocco di strade eferrovie, nonché il sabotaggio delle comunicazioni, alfine di ostacolare in ogni modo il ripiegamento versoil Piemonte delle truppe. All’una di notte decide infi-ne di dare il segnale d’avvio dell’insurrezione.Il 24 mattino le carceri di Marassi, la prefettura e lecase del fascio, la Casa dello studente (già sede delcomando SS e luogo di segregazione e tortura per ipartigiani), le tipografie e le centrali telefoniche, ilmunicipio, vengono dunque occupati da squadre SAPe da civili aggregatisi spontaneamente. Al contempo,gli scontri – particolarmente aspri quelli che hannoluogo nell’area del porto – si accendono in diversipunti della città, spingendo i tedeschi a concentrarsiin alcune sacche isolate di resistenza. Ed intorno allacittà, analogamente, le formazioni partigiane tentanodi sbarrare il passo alle truppe in ritirata, isolandole espingendole alla resa. Alla sera del 24 Genova puòdirsi liberata.Tuttavia, i comandi tedeschi ancora dispongono di unrilevante dispositivo d’artiglieria (oltre 50 cannoni dimedio ed una quindicina di grosso calibro) situato at-torno al perimetro esterno della città, da Arenzano aMonte Moro, a Portofino. Un potenziale di fuoco po-sto sul tavolo delle trattative di resa con il CLN, cheperò conta sull’efficacia dell’operazione posta in esse-re dalle formazioni di montagna, mirante a bloccare

Speciale Liberazione

Situazione alla vigilia dell’insurrezione

LEGENDA

Direzione di marcia eserciti A.A.

Formazioni di pianura (SAP GAP)

Formazioni di montagna (brigate)

Comandi Zona C.V.L.

Comandi Regionali C.V.L.

Comando generaleCorpo Volontari della Libertà

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200248

ogni via di ritirata e ad accerchiare le truppe poste aridosso della città. Già il mattino del 24 due brigatevolanti di montagna hanno raggiunto il centro cittadi-no, anticipando il movimento delle altre unità parti-giane: le quattro divisioni di montagna distribuisconoinfatti le brigate dipendenti in una manovra a tenagliasu Genova, durante la quale catturano alcuni presiditedeschi e bloccano diversi tratti stradali. Nella gior-nata del 25 – mentre ancora resistono le postazioni te-desche di Murta, Barabini, San Quirico, Forte Belve-dere – le trattative tra il CLN ed il generale GüntherMeinhold (comandante della piazza di Genova) giun-gono al termine con la resa incondizio-nata, annunciata da Radio Genova. Solonel tardo pomeriggio del giorno succes-sivo le avanguardie alleate giungononella zona di Rapallo e sono informa-te della liberazione della città; il mat-tino del 27 si arrendono i tedeschidella Foce, e nel pomeriggio quelliattestati alla Chiappella. Il caposal-do d’artiglieria di Monte Moro siconsegnerà di lì a poco agli ame-ricani.»

In Piemonte

LIBERO PORCARI ci ha invia-to questa testimonianza sullaliberazione di Asti e di Alba: «Basta nominare il 25aprile ed ecco la mia men-te di colpo sovraffollata:alcuni fatti indimenticabi-li, che lungamente so-gnammo ed attendem-mo, nonché le emozio-ni fortissime, irripetibi-li, da quei fatti solle-vate. Non è facilemettere un minimo d’ordinee raccontare; già provai a farlo unadozzina di anni fa, quando pubblicai un qua-derno intitolato Gielle nell’Albese, diario di guerramio e della mia brigata partigiana.Ritorniamo all’anno 1945: a fine marzo, inizio aprileho 22 anni e una quindicina di mesi d’esperienza di“ribelle” nelle Langhe. Da 9 mesi, dall’agosto ’44 chevede cadere in combattimento il capitano GianniAlessandria, medaglia d’Argento nella campagna diRussia, i compagni mi hanno chiamato a prendere ilcomando di banda; sento forte il peso della responsa-bilità pur avendo la fortuna di collaboratori preparati,di sicura affidabilità e grande equilibrio, a cominciaredal commissario politico. La “mia” 7ª Banda G.L., at-torniata dalla Brigata Matteotti di Paolo Farinetti, dal-le brigate Garibaldi di Giovanni Latilla “Nanni”, dalle

brigate Autonome di Piero Balbo “Poli”, regge bene ilconfronto anche nei momenti più impegnativi e diffi-cili come gli esaltanti “ventitré giorni” della Repubbli-ca partigiana di Alba, come i terribili rastrellamentinazifascisti del novembre-dicembre.Ad inizio gennaio ’45 la presenza di “Giustizia e Li-bertà” in langa cresce gradatamente con la “pianuriz-zazione” di bande sia della I sia della II Divisione al-pina, intesa a dar vita alla III e X Divisioni Langhe. La7ª Banda si affianca a due bande della II Divisione (diMario Rubino e Alberto Cipellini da Val Maira; di Gil-do Fossati da Val Varaita) per costituire la X DivisioneG.L. al comando di Giorgio Bocca, operante nell’Al-bese e nell’Astigiano. Il collaudo operativo delle nuo-

ve unità e della perfetta integrazione fra par-tigiani “di collina” e “di montagna”

avviene naturalmente incombattimento: a finemarzo nell’Astigiano,

ad inizio aprile nell’Al-bese.

Il 26 e 27 marzo in zonaBoglietto di Costigliole

d’Asti due brigate della XDivisione G.L. hanno

sconfitto, in ripetuti scontria tratti assai violenti, centi-

naia e centinaia di militi ag-guerriti RSI affluiti da Asti e

Canelli (includevano repartidella famigerata X Mas e della

Divisione “San Marco” adde-strata in Germania). Il 15 aprile

le strade e piazze di Alba sonostate teatro d’una vera e propria

prova generale di battaglia di libe-razione d’una città: 200 partigiani

G.L., 300 Autonomi, 100 Matteotti,sostenuti dal fuoco d’un commandoinglese conquistano per un giorno il

centro abitato, mantenen-do assediato nelle caser-me il presidio RSI, oltre

300 militi dotati di carriarmati e reparti artiglieria e

mortai.Il momento centrale del

“mio” 25 aprile è legato all’arrivo da Torino, la seradel 24 aprile, del fatidico messaggio “Aldo dice26x1”, che stabilisce l’inizio dell’insurrezione genera-le in Piemonte alla mezzanotte del 25 aprile. Per icombattenti della X Divisione G.L. comporta di muo-vere alla liberazione di Asti e di Alba. Muovono infat-ti per Asti col comando divisione nel giro di un’ora,impazienti, senza attendere l’indomani, la 1ª brigatadi Rubino e Cipellini da Costigliole, la 2ª brigata diPorcari e Fogliati da Castagnole Lanze; alla liberazio-

Speciale Liberazione

Formazionipartigianeentranoa Genovadurantel’insurrezione.

49PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 2002

ne di Alba è destinata invece la 3ª brigata di Fossati eSemini. Non ci attende solo esultanza, anzi. Già du-rante l’avvicinamento ad Asti è in agguato un doloro-so imprevisto: la squadriglia di cacciabombardieri an-glo-americani, che dovrebbe fornirci appoggio, perinspiegabile errore non ci riconosce e mitraglia pro-vocandoci due ferimenti, uno mortale. Delusione,quindi, dolore e sconforto prima della grande festa,dell’entusiasmo popolare incontenibile, dello svento-lio di bandiere in Asti insorta e liberata.Di seguito uno stralcio della relazione del ComandoDivisione:

X Divisione G.L. Al Comando Regionale Piemontese 25 aprile 1945, ore 23

Vi scriviamo da Asti occupata nella notte tra il 24 e il25 dalle formazioni partigiane. Un nostro reparto do-po aver catturato e disarmato un posto di blocco ne-mico, è entrato in Asti tra i primi. Le forze nazifascisteavevano sgombrato la città nel tardo pomeriggio enella serata, lasciando nei magazzini una rilevantequantità di armi individuali, munizioni, e materialevario (…). La popolazione ci ha accolto con entusia-smo: bandiere a profusione, cartelli inneggianti, corteiecc. che a dire il vero ci hanno lusingato ma non cihanno fatto perdere la testa. I giellisti hanno mantenu-to un contegno serio e dignitoso (…). Stamane si sonoavute in prefettura le prime consultazioni con i mem-bri del CLN e con i nuovi dignitari (prefetto, ecc.). (…)Il capitano Ballard della missione inglese oggi dissipa-va i dubbi di Otello per cui da ora il comando di zo-na è finalmente in grado di funzionare. (…) Sarannocostituiti i posti di blocco in duplice serie sulle princi-pali vie di transito (…). Le disposizioni sono state ap-provate da Ballard che si è compiaciuto di quanto èstato fatto. Le notizie che ci giungono dai centri vicinisono varie e spesso discordanti – Alessandria sarebbesecondo alcuni occupata dai partigiani, secondo altri,no – Alba (questo è certo) è ancora occupata dai na-zifascisti ma chiusa dall’assedio dei partigiani. Doma-ni sarà attaccata, parteciperà anche una nostra Briga-ta. I commandos inglesi forniranno il fuoco di armipesanti. La famosa 34ª Divisione tedesca è tuttora at-testata in pieno ordine, tra l’Appennino ligure e il bas-so Cuneese. La strada Cuneo-Torino è sgombra; Albaavrebbe la funzione di proteggere il lato est di questavia di scampo. Pare accertato che Acqui ed Ovadasiano state occupate dai partigiani (…). La costituzio-ne del tribunale popolare trova non pochi intralci.Molte delle persone capaci di questa alta funzione sitirano indietro con la solita frase “Capirete, io sono diAsti, ecc.” (…). Vogliamo far giustizia recisamente pri-ma dell’arrivo degli amici alleati.

Il Vice Com. Renzo (Minetto)

Alba viene invece liberata solo nel pomeriggio del 26aprile; quasi due giorni dopo Asti, dopo laboriose trat-tative in vescovado. Si arrendono ai partigiani Auto-nomi di Ercole Varese, affiancati dal cap. Ballard del-la Missione alleata, oltre 300 militi della RSI con 4carri armati, 4 obici da 75, 6 mortai da 81 mm., ab-bondante materiale bellico. I G.L. hanno impegnato laBrigata di Gildo Fossati (che assumerà le funzioni dicomandante della Piazza) rinforzata dal mio Distac-camento Volante-Guastatori. Nella stessa giornata del26 un manifesto del CLN cittadino dichiarava che laCittà che per ultima in Piemonte, nel novembre 1925fu piegata alla dittatura fascista, “sente l’onore di ri-congiungersi alle città sorelle dell’Italia tornata liberaed una”.Liberate Asti ed Alba, i centri minori, la partita non siè ancora chiusa per i partigiani delle Langhe; il pianoinsurrezionale ordina di “assicurare viabilità forze al-leate su strade Genova-Torino et Piacenza-Torino”;inoltre le grandi battaglie insurrezionali di Cuneo, diTorino sono appena alle fasi iniziali: c’è tempo e mo-do di concorrere. Ma è oramai tempo di qualche con-siderazione conclusiva.Paolo Frau, noto avvocato penalista, già pubblico mi-nistero nel Tribunale del CLN albese ha testimoniato:“Ad Alba nei giorni della Liberazione si registra unagrande manifestazione di civismo. Nelle carceri citta

Speciale LiberazioneIn un disegno

i simboli delle diverse

formazionipartigiane.

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200250

dine sono rinchiusi 400 repubblichini presi prigionie-ri. Alla popolazione si offre la possibilità di sfogaresugli oppressori la carica di tensione accumulata inlunghi mesi di sofferenza. Gli albesi aspirano allagiusta punizione dei colpevoli, oppure alla vendetta?Appena il tribunale del CLN ha giudicato, compiendoil doveroso atto di giustizia, la popolazione si dimo-stra immediatamente appagata. Ai 400 prigionieri nonviene torto un capello, anzi, ognuno riceve il lascia-passare nonché il biglietto ferroviario per raggiungerela rispettiva famiglia. Non erano forse stati quei 400giovani vittime essi pure della violenza sopraffattrice?Liberazione non sarebbe stata se gli atti di violenzanon cessavano del tutto dando via libera ad atti digiustizia”.

Giorgio Bocca, che tenne a battesimo la X DivisioneG.L. e ne fu il comandante fino alla vigilia della Libe-razione, ebbe a scrivere mezzo secolo fa dei Giellisti:“Nelle Langhe e nell’Astigiano rimarrà per sempre il ri-cordo della loro serietà e del loro coraggio. I G.L. han-no uno strano modo di farsi propaganda. Adoperandopoca carta e poco inchiostro, ma molte sofferenze emolto lavoro. Fra di loro non ci sono eroi, grandi con-dottieri, non nomi che il popolo ripete nelle città libe-rate, ma solo dei compagni che lavorano dando ciò dicui sono capaci. Compagni che sanno che al mondonon si fa nulla da soli, che bisogna lavorare insieme,che bisogna essere conseguenti a qualche idea (…)”.Giorgio Vaccarino, storico, già ispettore delle forma-zioni “Giustizia e Libertà” del Piemonte, ebbe a scri-vere nella prefazione al quaderno Gielle nell’Albese,riferendosi alle operazioni militari partigiane che por-tarono alla liberazione di Asti e di Alba:“Se in queste due città non si svolse la dura battagliaculminante nella liberazione, quale si ebbe a Cuneo ea Torino, la ragione va ricercata – secondo l’osserva-zione dell’Autore – nel fatto che le battaglie decisiveper costringere all’abbandono le milizie fasciste del-

l’Astigiano e dell’Albese, erano già state combattute evinte dall’incalzante pressione partigiana, con qual-che settimana d’anticipo”.(N.B. Si fa chiaramente riferimento ai combattimentidel 26-27 marzo in zona Boglietto di Costigliole d’Astied a quelli del 15 aprile nel centro abitato di Alba).»

Lombardia: in montagna e in fabbrica

Il capoluogo lombardo è considerato la capitale mo-rale della Resistenza. Avevano sede a Milano con ilCLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale per l’AltaItalia) e il Comando militare unificato, le istituzioniche erano guida politica e in certo senso “governo”

del movimento partigiano. TINO CASALI, presidentedell’ANPI di Milano, ci ha fatto avere questo contri-buto sulla liberazione di Milano e della Lombardia: « La guerra di Liberazione e la Resistenza a Milano ein Lombardia si sviluppò non solo come lotta armatacondotta dalle formazioni partigiane, ma ebbe i suoiepicentri attorno ai conglomerati industriali che di-vennero fulcri decisivi per una consapevolezza anchepolitica, e conseguentemente non può stupire il fattoche specie a Milano, Brescia, Lecco, Sesto San Gio-vanni, Legnano ed altri centri operai, si ritrovi la ma-trice di molte brigate con base in questa o in quell’al-tra officina o nelle grandi fabbriche. Diversi furono imotivi che caratterizzarono l’affermarsi delle grandilotte di massa, che incisero profondamente sulla natu-ra del movimento operaio italiano e quindi sul carat-tere che in Italia ebbe la stessa lotta di Liberazione.Ma al proposito ritengo che due di essi furono quellifondamentali. Ciò in quanto Milano e la Lombardiarappresentavano allora il centro motore di tutta l’Italiadel Nord.Nella regione erano concentrate le grandi e maggioriindustrie e convergevano le principali linee di comu-

Speciale Liberazione

“Da quella pace poterono rina-scere le istituzioni democrati-che del nostro Paese, non co-me semplice elargizione dieserciti liberatori, ma comediritto acquisito dal sacrificiodi quanti avevano offerto lapropria vita nella speranzache l’Italia potesse uscire dallamortificazione dei totalitari-smi e riacquistare la dignitàche sol viene a un popolo cheha la propria autodecisionecivile”

(Aldo Moro)Unità di combattenti e popolo nei giorni vittoriosi dell’insurrezione nazionale nel Vercellese.

51PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 2002

nicazione stradali e ferroviarie. Strategica-mente la caduta della Lombardia potevaportare alla rapida conquista del Piemontee a un non difficile aggiramento delle posi-zioni venete. Di questo erano ben coscien-ti tanto gli alleati quanto gli invasori tede-schi che avevano pertanto l’esigenza dimantenere saldamente forti posizioni inLombardia. Non è quindi imputabile al ca-so che i tedeschi concentrassero a Milano iloro principali comandi militari e ufficiamministrativi, con appendice a Salò, econvogliassero nelle province lombarde everso il Po gran parte delle loro forze piùagguerrite.Il secondo motivo per cui il movimentopartigiano si sviluppò di più in certe regio-ni, va ricercato, come è noto, nella diversaposizione geografica e nella diversa strut-tura economico-sociale delle singole re-gioni. Va comunque precisato che malgrado i limitidell’azione militare, anche in Lombardia la lotta ar-mata si sviluppò rapidamente ed ebbe i suoi maggiorie grandi risultati nella difesa e nel salvataggio degliimpianti idroelettrici e degli stabilimenti industriali,che costituivano la vita dell’Italia del Nord e il più for-te potenziale economico del Paese.

Un’attività intensa

Dai dati raccolti dal Comando Regionale del CVL,risulta che nelle diverse province della Lombardia,dall’aprile 1944 all’aprile 1945 furono compiute3.527 azioni di guerra, 153 attacchi alle caserme, 206interruzioni di linee ferroviarie, 360 interruzioni allelinee elettriche, telegrafiche e telefoniche, 864 disar-mi ai posti di blocco nemici, 714 sabotaggi vari, ven-nero distrutti 84 ponti, 29 velivoli, 74 locomotori, 124vagoni, 348 automezzi, conquistate 176 mitragliatrici,15 mitragliatrici antiaeree, 9 autoblindo, 2.743 fucili.Il numero dei partigiani combattenti, riconosciuti dal-le apposite commissioni, riferendosi sempre ai datidel Comando Regionale del CVL, ammontava a circaquindicimila uomini nelle formazioni di montagna,oltre a seimila nelle SAP e 9.542 patrioti.Il numero dei caduti in Lombardia fu di 7.594; muti-lati e feriti prima delle insurrezioni 14.436.Le formazioni inquadrate nel CVL, sempre secondo ilComando Regionale della Lombardia, e prima dellacostituzione dei Comandi unificati, erano per il 48%della “Garibaldi”, il 31,5% di “Giustizia e Libertà”,per il 6,2% della “Matteotti”, il 14,2% delle “FiammeVerdi” e “Brigate del Popolo”; vi erano inoltre le for-mazioni monarchiche, autonome e indipendenti.Furono costituite diverse zone libere e la Repubblicapartigiana dell’Oltrepò.Senza volere sottovalutare il sacrificio e l’apporto alla

guerra di liberazione di nessuna delle province lom-barde, va per verità storica, sottolineato il contributogeneroso e continuo in uomini, quadri combattenti edirigenti politici dato da Milano all’organizzazione eal potenziamento delle formazioni partigiane di mon-tagna e di pianura in Lombardia e in località lontaneda Milano e fuori dalla Regione. Infine va ricordatoche l’Oltrepò pavese, per la sua posizione geografica,posto a cavallo fra la Liguria e la Lombardia, fra l’E-milia e il Piemonte, risultò senza dubbio la zona dovepiù forte si sviluppò il movimento partigiano.Lo Stato Maggiore alleato, a riconoscimento delle lottesostenute nel corso del tremendo inverno e nel rastrel-lamento durato 67 giorni, comunicò al Comando Uni-ficato della zona operativa: «Abbiamo ricevuto relazio-ne di azioni magnifiche eseguite dalle Divisioni sotto ilVostro Comando. Ognuna di queste azioni aumenta lesconfitte di masse nazifasciste e accelera la liberazionedella Vostra bella Patria. Viva l’Italia libera».Se i mesi di agosto e settembre 1944 segnarono il mo-mento della massima espansione delle formazionipartigiane e delle zone libere, i mesi di novembre edicembre furono teatro della controffensiva nemica edei grandi rastrellamenti tedesco-fascisti.L’avanzata degli alleati si era, di fatto, arrestata. Il pro-clama di Alexander annunciava che i partigiani avreb-bero dovuto trascorrere un altro inverno tra le nevi e liinvitava perciò a smobilitare e ad arrangiarsi.La Wehrmacht passava all’attacco iniziando i grandirastrellamenti.Tutti i comuni delle zone libere vennero rioccupatidal nemico, che esercitò feroci rappresaglie anchesulle popolazioni civili. Troppo lungo sarebbe descri-vere le coraggiose e sanguinose battaglie difensive im-pegnate dai partigiani contro un nemico enormemen-te superiore per numero e per mezzi.

Speciale Liberazione

Scontro a fuoco durante l’insurrezione di Milano.

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200252

Dagli scioperi all’insurrezione

Momento essenziale della Resistenza in Lombardia, especialmente a Milano furono, nel marzo 1944, igrandi scioperi. I lavoratori del Nord lanciarono la sfi-da che per otto giorni paralizzò la produzione bellica,la prima di così vaste dimensioni che l’Europa occu-pata dai nazisti aveva mai visto.Quella lotta, condotta da oltre un milione di lavorato-ri, fu una decisione fondamentale della Resistenza. Ilpopolo italiano l’affrontò non per ottenere solo mi-gliori condizioni economiche,come oggi, falsando la verità, sitende ad affermare, ma pergiungere più a fondo nell’azio-ne contro il nazifascismo, perconsolidare i precedenti suc-cessi ottenuti con le agitazionidella fine del 1943.La classe operaia fu la levagigantesca su cui fare forza permodificare l’intera situazione eraccogliere in un’unica dire-zione tutte le energie che siandavano manifestando, adiniziare dagli organismi già ef-ficienti come i Comitati di Li-berazione Nazionale sino aquelli che si andavano consoli-dando, come il Fronte dellaGioventù di cui in questi giorniabbiamo onorato la memoriadel fondatore e animatore Eu-genio Curiel, o i Gruppi di Di-fesa della Donna che tanto pre-zioso contributo diedero allebattaglie per l’emancipazione ela liberazione della donna enelle stesse formazioni partigiane. Di quell’eventoMilano diede l’esempio più completo, ed a fiancodegli operai e degli impiegati scesero in campo i tran-vieri, paralizzando tutta la vita della città, suscitandoconsensi e ammirazione in tutta la coalizione antina-zista, i tipografi del Corriere della Sera, impedendoper tre giorni l’uscita del giornale, e lo spegnersi diquella voce assunse un valore simbolico e rese evi-dente e tangibile la concretezza e l’importanza diquella lotta; si bloccarono le università e altri servizi;non vi fu, in sostanza, un settore della vita operosadella “Capitale del Nord” che rimanesse inerte oneutrale.Quello sciopero generale fece sensazione nella Resi-stenza europea e nel mondo. Le rappresaglie si ag-giunsero alla repressione. Gli arresti furono migliaia:prima destinazione i campi di Fossoli e Bolzano perproseguire per Mauthausen, Dachau, Flossenburg eAuschwitz.

Infine, l’insurrezione a Milano fu decisa dal Comitatoinsurrezionale, formato da Longo, Pertini, Sereni e Va-liani. Fu preceduta dallo sciopero degli autoferrotran-vieri. L’insurrezione prese avvio dalle SAP delle gran-di fabbriche della periferia e compresse da ogni lato lacittà. Le brigate SAP raggiunsero, la sera del 25 aprile,la circonvallazione, il 27 la cerchia dei Navigli, men-tre nello stesso giorno arrivarono le prime formazionipartigiane, quelle dell’Oltrepò; seguirono il giorno 28le formazioni dell’Ossola, con armamenti atti adattaccare le forze tedesche e i presìdi che ancora re-

sistevano. Nel contempo laGuardia di Finanza occupava,in nome del CVL, la Prefettura.Oggi si può affermare che l’in-surrezione fu “facile” perché aMilano, più che in ogni altracittà, la classe operaia avevaportato a fondo la sua offensi-va: tanto da condurre l’ultimogrande sciopero preinsurrezio-nale come una vera e propriaoperazione militare, tenendocollegate le fabbriche, con oltremille staffette e sfidando a visoaperto il nemico. Però il pianocittadino di Milano fu sover-chiato dal significato nazionaleche ebbero gli avvenimenti.Voglio segnalare, ad esempio,che con Decreto del 25 Aprile,ribadito da un proclama il gior-no successivo, il CLNAI, «dele-gato dal solo governo legale ita-liano» in nome del popolo e deivolontari della libertà, assunsenell’Alta Italia tutti i poteri diamministrazione e di governo,

compreso l’ultimatum di resa, ai fascisti e ai tedeschi.L’aggiunta sull’origine del proprio “potere” che si ritro-va nel proclama del CLNAI e che si riferisce ai volon-tari della libertà, è il punto di arrivo della guerra di li-berazione che, a mio giudizio, va così interpretato: ilCLNAI ha diritto ai pieni poteri non solo perchéespressione delle forze popolari antifasciste, non soloperché delegato a ciò dal governo di Roma ma perchéè la stessa insurrezione nazionale in atto che ne sanci-sce anche formalmente l’investitura.»

Al confine orientale

FLAVIO FABBRONI, dell’Istituto friulano per la Storiadel Movimento di Liberazione, rievoca per noi lecaratteristiche della lotta in Friuli-Venezia Giulia:«Nell’ambito della Resistenza europea, quella ita-liana contro il nazifascismo ebbe caratteristiche diomogeneità in ogni regione del Paese occupato: l’alta

Speciale Liberazione

La liberazione di Milano (tempera di Amleto Fiore).

53PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 2002

combattività, per esempio, e quel pluralismo che tro-vava la sua espressione nella guida comune del CL-NAI sul piano politico, e del CVL sul piano militare;ma ebbe anche diverse specificità, regione per regio-ne, com’è naturale per una nazione che ha avuto tan-te capitali e una storia complessa come le nostra. Macertamente la storia più complicata e, sotto certiaspetti, più drammatica fu quella della Resistenza al-l’estremo nord-est del Paese, l’attuale regione Friuli-Venezia Giulia, di cui cerco, in questo articolo, dimettere in evidenza le peculiarità.Innanzitutto, la contiguità con la Resistenza jugosla-va. Nella primavera del 1941, Germania e Italia oc-cuparono la Jugoslavia e all’Italia toccò la “Provinciadi Lubiana”. La durezza della repressione antipartigia-na che, alla maniera nazista, coinvolse anche nume-rosi civili, la politica di “pulizia etnica” che portò al-l’internamento di circa il 10% della popolazione sot-toposta all’amministrazione fascista, aggravarono inquelle terre il sentimento anti-italiano che già il regi-me aveva acceso durante il Ventennio con la sua po-litica di snazionalizzazione nei riguardi delle mino-ranze slovena e croata nei vecchi confini.Nel 1942 la Resistenza jugoslava era ben presentenella nostra regione, tanto che per combatterla il regi-me collocò due corpi d’armata, il XXIII e il XXIV, ri-spettivamente a Trieste e a Udine: circa 80.000 solda-ti, alcuni dei quali avrebbero combattuto, dopo l’8settembre, nelle formazioni garibaldine e osovane.Con questa Resistenza entrarono presto in contatto gliantifascisti comunisti locali, diventando gli unici in-terlocutori credibili. Da questa Resistenza impararo-no, oltre all’organizzazione e alle tecniche della guer-riglia, che solo gareggiando in combattività potevanodimostrare che una cosa era il regime fascista, un’al-tra il popolo italiano. Questo è il contesto che spiegala nascita nel Friuli orientale del “Distaccamento Ga-ribaldi” addirittura nel marzo 1943; e spiega la “Bat-taglia di Gorizia” cioè la resistenza all’occupazionedella città da parte dell’esercito tedesco nel settembre’43, durata ben 14 giorni e sostenuta dai partigianisloveni a cui si erano affiancati più di 1.000 operaidei Cantieri di Monfalcone, riuniti nella “Brigata pro-letaria”.E spiega ancora il carattere internazionale che la lottaantifascista garibaldina ebbe in regione, dove esistevaun poderoso servizio d’intendenza, l’IntendenzaMontes capace di rifornire sia i partigiani sloveni siaquelli friulani in montagna e le popolazioni della zo-na libera della Carnia e dell’Alto Friuli, affamate dal-l’assedio tedesco. E dove, in conseguenza degli ac-cordi internazionali tra le due Resistenze, fu creatanell’aprile ’44 la Brigata Garibaldi Trieste, con inse-gne italiane e con comando paritetico Garibaldi/IXKorpus. E dove ancora un’intera divisione garibaldina,la Natisone, alla fine del 1944, passando alle dipen-denze operative del IX Korpus, mantenne i suoi

organici, unica inItalia, combatten-do contro i tede-schi nella Selva di Tarnova conenormi perdite esofferenze, men-tre altrove i repar-ti, ridotti al mini-mo, trascorrevanoalla macchia quellungo terribile in-verno in attesadella ripresa pri-maverile.

La “Questione nazionale”

I partigiani sloveni e croati non soltanto combattevanocontro il nazifascismo, ma anche per la loro indipen-denza nazionale, cioè per il riscatto di quelle popola-zioni slave che il trattato di Rapallo del 1920 avevaposto all’interno dei confini italiani. Per questo nel set-tembre ’43 il Fronte di liberazione di Lubiana avevaproclamato l’annessione del “Litorale sloveno”, equello croato l’annessione dell’Istria, decisioni confer-mate in novembre dall’organo dirigente nazionale. Leterre rivendicate comprendevano anche centri urbanicon maggioranza di popolazione italiana, in un hinter-land prevalentemente slavo. Si trattava, oltre che deidiritti avanzati da un movimento di liberazione vitto-rioso nei riguardi di un paese sconfitto, anche dellacontrapposizione tra due visioni del mondo: quelladell’Europa occidentale, caratterizzata nei secoli dauno sviluppo prevalentemente urbano, e quella del-l’Europa orientale, in cui la città non aveva mai pre-valso sulla campagna. La posizione dei comandantigaribaldini locali fu quella di cercare di rimandare ilproblema dei confini a guerra finita; e in questo sensoandavano i due accordi internazionali sottoscritti con idirigenti sloveni nella primavera 1944 e fatti propri dalCLNAI. Però il superamento dei patti da parte della Re-sistenza slovena, certe ambiguità della Direzione delPCI e l’attrattiva che una nazione che stava creandouna società socialista esercitava su certa base comuni-sta, di prevalente matrice operaia; e d’altra parte le po-sizioni dell’altra formazione partigiana della regione,

Speciale LiberazioneGuido Tavagnacco:

Incontro di partigiani.

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200254

oltre ai garibaldini, la Osoppo Friuli, della quale moltidirigenti non intendevano neanche mettere in discus-sione i confini, ormai indifendibili, di Rapallo, crearo-no una situazione di tensione che impedì una reale eduratura unità di comando della lotta in Friuli, comeera richiesta dagli organi direttivi della Resistenza. Inquesto contesto, reso ancora più critico dai sospetti ge-nerati da tentativi di contatti di esponenti osovani coni nazifascisti, si colloca quella tragedia per la Resisten-za che fu l’eccidio di Porzûs. E sempre in questo con-testo si collocano gli internamenti e le uccisioni nellefoibe carsiche operati dai comandi jugoslavi nel mag-

gio 1945, durante l’occupazione di Trieste e Gorizia,fatto che la Destra italiana ha strumentalizzato e con-tinua a strumentalizzare secondo il ragionamento con-torto per cui le responsabilità della dissennata guerrafascista vengono disinvoltamente attribuite a chi aquella guerra si è opposto. D’altra parte così è stato fat-to nella campagna elettorale del ’48 anche per i pri-gionieri in Russia, non più vittime di una scelta irre-sponsabile, tra l’altro non richiesta, di Mussolini, madelle mene del segretario del PCI.

L’annessione tedesca

Altra peculiarità della Resistenza del Friuli-VeneziaGiulia fu la forma dell’occupazione tedesca, che as-sunse la caratteristica di una vera e propria annessio-ne al Terzo Reich attraverso la costituzione della Zo-na d’operazioni Litorale Adriatico. Nella Zona i fasci-sti della repubblica di Salò non contavano nulla. Po-tevano arruolare solo volontari, e solo nella misuradel 5% del totale dei chiamati alle armi, percentualeche non raggiunsero mai, dato che non possedevanol’arma della costrizione. Dipendevano direttamentedal comandante della Ordnungpolizei (polizia perl’ordine pubblico). Il Gauleiter del Litorale Adriatico,

il nazista austriaco Friedrich Rainer, chiamò al co-mando delle SS e della Polizia l’austriaco, nato a Trie-ste, Odilo Globocnik, già capo delle SS e della Polizianel distretto di Lublino, responsabile del funziona-mento dei campi di sterminio di Chelmno, Belzec, So-bibor e Treblinka, che giunse a Trieste con i suoi piùfidi collaboratori e che fu il creatore del campo diconcentramento della Risiera di San Sabba, luogo dimorte per i partigiani jugoslavi e italiani, luogo ditransito verso Auschwitz per gli ebrei del Litorale.Come non bastassero i collaborazionisti italiani, Rai-ner nell’estate del ’44 ottenne da Himmler l’invio inFriuli di 15.000 cosacchi che, nel tempo, raggiunseroil numero di 40.000, familiari compresi. Essi furonoscatenati contro le due zone libere friulane, quella delFriuli Orientale e quella della Carnia e dell’Alto Friuli,dove si insediarono, cacciando da case o da stanzeuna popolazione in miseria e terrorizzata dagli incen-di e dalle rappresaglie; e durante l’inverno, con i lorocavalli, braccarono i partigiani in una caccia spietatache li spingeva sempre più in alto, verso i ghiacciai.Un accenno merita anche la Repubblica partigianadella Carnia e dell’Alto Friuli, per le dimensioni (la piùgrande d’Italia con i suoi 2.580 kmq e 90.000 abitan-ti), per la posizione geografica (interamente circondatada territori occupati o del Reich tedesco), per gli inte-ressanti esperimenti di democrazia che vi furono at-tuati, attraverso libere elezioni e una giunta di governoche affrontò una vera e propria attività costituente.La Resistenza che ebbe inizio per prima, ebbe anchela sventura di finire per ultima. Ancora il 2 maggio1945, mentre altrove si festeggiava la libertà ritrovata,morivano ad Avasinis 63 civili, massacrati da un re-parto di SS di varie nazionalità, uomini esaltati dal-l’alcol, abbrutiti forse dal terrore della vicina resa deiconti, e ad Ovaro i cosacchi in fuga fucilavano 22 ci-vili. Solo il 6 maggio gli alleati dell’VIII Armata entra-rono in Tolmezzo liberata.Queste le peculiarità. Per il resto la nostra regione,con i suoi 4.777 Caduti partigiani, i 7.701 Caduticivili e i 65 morti combattendo nel Corpo Italiano diLiberazione, si affiancò degnamente alle altre Resi-stenze partigiane nel compito storico di riscattarel’onore del Paese dalla vergogna della guerra fascistae dell’8 settembre.»Una guerra politica

La migliore risposta all’interrogativo che ci ponevamoall’inizio sulla validità della lotta partigiana ci pare siafornita da GIORGIO BOCCA, a conclusione della giàricordata Storia dell’Italia partigiana. Ma prima di ce-dergli la parola vorremmo sottolineare ancora unavolta come, pure in un contesto di pacificazione na-zionale che la Repubblica italiana ha assicurato findall’immediato dopoguerra, non sia minimamente ac-cettabile nessuna equiparazione tra quanti hanno

Speciale Liberazione

In questa foto e nella successiva due momenti della liberazione diUdine e Trieste.

combattuto per la libertà e per riportare l’Italia nelcontesto delle nazioni civili e quanti si sono schieratia fianco dei nazisti e, consapevoli o meno, delle folliutopie hitleriane che, se fossero prevalse, avrebberoridotto il mondo a un enorme lager. Non c’è pacifica-zione possibile se non nel rispetto della verità storicae di quei valori che – come sottolinea Bocca qui di se-guito – trasmessi dalla Resistenza hanno dato largaparte del suo contenuto alla Costituzione della Repub-blica italiana e che costituiscono tuttora il punto di ri-ferimento essenziale di ogni posizione democratica:«45.000 partigiani caduti, 20.000 mutilati o invalidi,il più forte movimento di Resistenza dell’Europa occi-dentale, i riconoscimenti alleati, l’insurrezione nazio-nale: la guerra di liberazione c’è, il suo scopo è in-contestabilmente raggiunto, ma la Resistenza non èsolo questo. Le masse operaie e contadine legate, perla prima volta, a una guerra popolare, i CLN comeprefigurazione di una democrazia diretta, i Consigli digestione, la legislazione del CLNAI, scritta sul tambu-ro, la crosta sociale spezzata, uomini e forze nuovesollevati, imposti: un principio di rivoluzione, unapremessa alla rivoluzione ci sono, ma la Resistenza ri-voluzione non è, nessuno potrebbe attribuirle le cau-sali classiste, ideologiche, se volete tecnologiche, chedefiniscono una rivoluzione, sia pure mancata.La Resistenza è semplicemente quello che è e chesarà per sempre nella storia: una guerra politica, lacruenta, penata gestazione di una Italia diversa. Dun-que né Resistenza fallita né Resistenza tradita, ma dif-ficile, in parte deludente, promozione politica e civiledi una nazione.Tornare qui sul tema della guerra politica ci pare su-perfluo: per tutte le pagine di questa storia non si èdetto altro e poi si cadrebbe comunque in spiegazionilapalissiane, dal momento che la Resistenza ha avutofra i suoi fondamentali caratteri quello di essere guer-ra al fascismo, guerra a una politica; guerra di libera-zione dallo straniero, sì, ma anche da quello stranierodi casa che è il fascismo. Guerra politica, inedita nel-la storia nazionale. Erede, sì, di esperienze e di lottepolitiche precedenti, ma con il suo inconfondibile se-gno. Lo abbiamo documentato nei primi capitoli e,via via, per tutte le pagine: il vecchio antifascismo sifonde con il nuovo, la Resistenza non è pura e sem-plice conclusione armata della cospirazione antifasci-sta, ma riscatto, coagulo, incontro delle forze demo-cratiche di un paese che non sarebbe quello che è,nel bene e nel male, senza di essa.

Le istituzioni

Senza la Resistenza l’Italia rimarrebbe certamente unregno. La monarchia dei Savoia, sciolta con un decre-to-legge la camera dei fasci e delle corporazioni il 3agosto 1943, dopo il colpo di stato si è limitata a pre-vedere, alla fine della guerra, l’elezione di una nuova

camera dei deputati, liberi gli italiani di scegliersi, persuo mezzo, il governo che più gli piacerà. È il ritornoallo Statuto Albertino, non si mette minimamente in di-scussione l’istituto. Ma la Resistenza interviene, di for-za, in questo progetto conservatore, si pone come al-ternativa accettabile dai vincitori, espressione di unpaese capace di reggersi anche senza la tutela regia;obbliga nel giugno ’44 il luogotenente a firmare l’im-pegno per la consultazione elettorale a guerra finita;consultazione in cui getterà tutto il suo peso e che soloil suo peso deciderà a favore della repubblica. Nascedalla Resistenza, dai princìpi democratici, progressivi eunitari della Resistenza la Costituzione della repubbli-ca, certamente più avanzata del paese reale e destinataa rimanere in parte sulla carta, ma paradigma, fonda-mento, scudo di un paese che vuole progredire.Nascono nella Resistenza e restano dopo di lei alcunirapporti sindacali, di rappresentanza operaia nelle fab-briche, un nuovo costume nei rapporti di lavoro, chesono, è vero, i portati del tempo, ma che devono allaResistenza una più sollecita introduzione nel paese.Nuove istituzioni e il minimo indispensabile di base,di legittimità democratica, di patto sociale su cui fon-darle. Con la Resistenza gli italiani migliori dell’Italiapiù progredita conquistano quella che Aldo Garoscidefinisce “la coscienza oggettiva di essere un popolocivile”. Essa ha una importanza politica e storica note-vole: salva il paese, per tutti gli anni della ricostruzio-ne, dai complessi di colpa e di inferiorità, dalle tenta-zioni consolatorie di nuovi nazionalismi e isolamenti.La guerra politica nota come Resistenza non è una ri-voluzione, eppure forma un tipo d’uomo riconoscibi-le come i rivoluzionari, come lo furono fino all’impe-ro il giacobino e il convenzionale. Lascia all’Italia del-la ricostruzione e dell’acerba democrazia una genera-zione di partigiani, di resistenti: localizzata nel Cen-tro-nord, minoritaria rispetto alle masse raccolte daipartiti, presto estromessa dai posti di potere, però

Speciale Liberazione

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 2002 55

PATRIA INDIPENDENTE 31 MARZO 200256

unico gruppo ca-pace di alleanzeorizzontali, al difuori e al di so-pra dei partiti,guardia antifa-scista che diràaltri no decisi aogni restaurazio-

ne autoritaria, per esempio nei giorni del ministeroTambroni. Alleanza fra gente che considera intocca-bili, irreversibili, certi valori del vivere civile.45.000 morti, 20.000 mutilati o feriti e il monte dellesofferenze ignote, dei contributi silenziosi, delle peneche non trovarono un cronista; e il no degli internatiin Germania, il no dei reclutati per il lavoro, la gloria

imperitura dei grandi scioperi, senza paragoni nellenazioni occupate dal nazismo. Ecco, il biglietto di ri-torno alla democrazia è stato pagato; dicano pure gliufficiali conservatori vicini a Winston Churchill che ilnostro “è un paese unico al mondo, il solo capace divincere la guerra alleato a coloro da cui è stato scon-fitto”. La loro ironia può essere respinta senza iattan-za ma con buona coscienza: la democrazia non ci èstata regalata, la libertà neppure. Questo riscatto cheda una minoranza si trasmette alle grandi masse ope-raie e contadine del Nord e del Centro, che suscita unfascio di ideali, è un bene non trascurabile: certoriempie il vuoto che per anni farà degli altri paesi exfascisti, privi di Resistenza, come la Germania e ilGiappone, delle società senza anima, come sospesein un limbo produttivistico.

Un lavoro da continuare

Evidentemente la Resistenza non ha potuto, dasola, rigenerare un paese degradato da un mal-governo secolare. E glielo hanno impedito, inol-tre, le note ragioni obiettive: la spartizione delmondo fra i vincitori, la restaurazione frutto del-la guerra fredda. “Effettivamente” può scrivereventi anni dopo Norberto Bobbio “l’Italia non èdiventata quel paese moralmente migliore cheavevamo sognato: la nuova classe politica, sal-vo qualche rara eccezione, non assomiglia innulla a quella che ci era parsa raffigurata in al-cuni protagonisti della guerra di liberazione, au-steri, severi con se stessi, devoti al pubblico be-ne, fedeli ai propri ideali, intransigenti, umili eforti insieme; anzi ci appare spesso faziosa, me-schina, amante più dell’intrigo che della buonacausa, egoista, tendenzialmente sopraffattrice,corrotta politicamente se non moralmente ecorruttrice, desiderosa del potere per il potere epeggio del grande potere per il piccolo potere”.Eppure nonostante la risacca la Resistenza restacome fatto storico positivo, i suoi ideali non so-no spenti. “Se proprio vogliamo trovare” diceancora Bobbio “una caratterizzazione sintetica,comprensiva, del significato storico della Resi-stenza e del rapporto fra la Resistenza e il tem-po presente, non parliamo di Resistenza esauri-ta e neppure tradita o fallita, ma di Resistenzaincompiuta. Purché si intenda la incompiutezzapropria di un ideale che non si realizza mai in-teramente, ma ciononostante continua ad ali-mentare speranze e a suscitare ansie ed energiedi rinnovamento”.»

Speciale Liberazione“Non abbiamo imbalsamato laResistenza, come si è temuto,ma l’abbiamo fatta vivere nel-le lotte democratiche e nellacoscienza del popolo italiano”

(Giorgio Amendola)

“E voi, imparate che occorre vedere e non guardare in aria; occorre agire e non parlare. Questo mostro stava,una volta, per governare il mondo! I popoli lo spensero, ma ora non cantiamo vittoria troppo presto: il gremboda cui nacque è ancor fecondo” (Bertold Brecht)

La coscienza e la cultura; dipinto di Mauro Capitani.