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Poste Italiane s.p.a. - Spediz. in abb. post. - d.l. 353/2003/ (conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1 - comma 1- DCB - Filiale R.E. - Tassa pagata taxe perçue - Anno XLIV - N. 1-3 di gen-mar 2013 - In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio P.T. di Reggio Emilia detentore del conto per restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa. PERIODICO del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia notiziario 8 marzo: con il lavoro 03 editoriale L’8 marzo 2013: senza le donne il Paese non rinasce Eletta Bertani 04-16 8 marzo festa della donna 18 società Omocausto: lo sterminio degli omosessuali Salvatore Trapani 24 cultura Gianetto Patacini resistente e amministratore Ettore Borghi 01-03 2013 gen-mar Le lavoratrici e i lavoratori di “Mariella Burani”: quale futuro?

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Poste Italiane s.p.a. - Spediz. in abb. post. - d.l. 353/2003/ (conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1 - comma 1- DCB - Filiale R.E. - Tassa pagata taxe perçue - Anno XLIV - N. 1-3 di gen-mar 2013 - In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio P.T. di Reggio Emilia detentore del conto per restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.

PERIODICO del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia

notiziario

8 marzo:con il lavoro

03 l© editorialeL’8 marzo 2013: senza le donne il Paese non rinasceEletta Bertani

04-16 l© 8 marzofesta della donna

18 l© societàOmocausto: lo sterminio degli omosessualiSalvatore Trapani

24 l© culturaGianetto Pataciniresistente e amministratoreEttore Borghi

01-032013gen-mar

Le lavoratrici e i lavoratori di“Mariella Burani”: quale futuro?

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Spedizione in abbonamento postale - Gruppo III - 70%Periodico del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio EmiliaVia Farini, 1 - Reggio Emilia - Tel. 0522 432991C.F. 80010450353e-mail: [email protected]; [email protected] web: www.anpireggioemilia.itProprietario: Giacomo NotariDirettore: Antonio ZambonelliCaporedattore: Glauco BertaniComitato di redazione: Eletta Bertani, Ireo LusuardiCollaboratori: Paolo Attolini (fotografo), Massimo Becchi, dott. Giuliano Bedogni, dott. Carlo Menozzi, Bruno Bertolaso, Sandra Campanini, Nicoletta Gemmi,

Claudio Ghiretti, prof. Enzo Iori, Enrico Lelli, Saverio Morselli, Fabrizio TavernelliRegistrazione Tribunale di Reggio Emilia n. 276 del 2 Marzo 1970Stampa: Modulstampa Group – Corte Tegge (RE)

Questo numero è stato chiuso in tipografia l’11 febbriaio 2013

Per sostenere il “Notiziario”:UNICREDIT, piazza del Monte (già Cesare Battisti) - Reggio Emilia IBAN: IT75F0200812834000100280840CCP N. 3482109 intestato a:Associazione Nazionale Partigiani d'Italia - Comitato Provinciale ANPI

notiziario

sommario

01-032013gen-mar

Intervista a Enrico Bini, pag. 17

editoriale03 8 marzo 2013: senza le donne il Paese non rinasce di Eletta Bertani

8 marzo04 La violenza e il coraggio: Donne Fascismo Antifascismo Resistenza ieri e oggi, Milano 16 marzo 2013 – Convegno nazionale dell’ANPI, di Eletta Bertani06 “Una nuova stagione” per il coordinamento donne dell’ANPI di Reggio Emilia, a cura di Loredana Cavazzini07 Il progetto Fuori campo: Esperienze dentro e fuori la palestra. Intervista a Barbara Fonta- nesi allenatrice della scuola di pallavolo “Anderlini” di Modena, di Glauco Bertani09 Lucia Sarzi, non solo staffetta partigiana. Intervista a Laura Artioli sul suo libro Ma il mito sono io. Storia delle storie di Lucia Sarzi, di Fiorella Ferrarini10 Casa Pound, i neofascismi e le donne, di Eletta Bertani generazioni/8marzo11 UPRISING. La rivolta di Havka Folman Raban, di Annalisa Govi12 In ricordo di Valeria, di Loretta Giaroni

13 Piera Galassi, la sua famiglia, la Resistenza in Montagna, di Eletta Bertani15 Resistenza. Le donne hanno fatto la loro parte, di Leda Mazzali16 A tre mesi dalla scomparsa di Rita Levi Montalcini, di Albertina Soliani

società17 Enrico Bini, un presidente in trincea contro la mafia, di Claudio Ghiretti 18 Il diritto assente. Omocausto, lo sterminio dimenticato degli omosessuali, di Salvatore Trapani

estero 18 Islamismo alla prova del potere, di Bruno Bertolaso

cultura20 In moschea una mostra contro la shoah21 Gianetto Patacini, di Ettore Borghi

commemorazioni27 Commemorato l’eccidio di Gatta, di g. b. 28 Ricordato a Guastalla il sacrificio di don Pietro De Carli, di Antonio Zambonelli29 Commemorati i 23 patrioti di Villa Sesso, a. z.29 Ricordati i fucilati di via Porte Brennone30 Ricordati i 7 Fratelli Cervi - Ricordata la fucilazione don Borghi e di altri 8 antifascisti31 Angelo Zanti, di Antonio Zambonelli32 Il Partigiano “Nero”

memoria32 Sui militari reggiani morti internati in Germania, di a.z. - Addio a Mario Rinaldi, di Antonio Zambonelli34 A quasi 100 anni il Partigiano “Topo” ha smesso di pedalare35 Ricordo di Simone Brega, di Eletta Bertani - James Manicardi, partigiano e reduce della campagna di Russia, di Alessandro Fontanesi

36 lutti

37 anniversari

42 offerte

appendici 43 1945. Gli eccidi di Bagnolo in Piano, di Fiorella Ferrarini - Qualcosa nell’aria La storia degli anni Sessanta e Settanta, di Glauco Bertani

le rubriche22 Cittadini-democrazia-potere, di Claudio Ghiretti 23 Segnali di Pace, di Saverio Morselli24 Opinion leder, di Fabrizio “Taver” Tavernelli 24 Intro-outro, di Ganni Monti25 L’Informazione sanitaria, dott. Carlo Menozzi26 Primavera Silenziosa, di Massimo Becchi

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Il 28 febbraio 2013, la Mariella Burani di Cavriago ha chiuso. Oltre cento lavoratrici e lavoratori sono rimasti senza lavoro. Noi ne abbiamo fotografata una folta rappresentanza in segno di solidarietà con loro e per denunciare una situazione che colpisce sempre più il lavoro. E Reggio Emilia non è un’isola felice.

Nel prossimo numero pub-blicheremo le interviste alle lavoratrici

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editoriale di Eletta Bertani

donna proprietà dell’uomo e come essere inferiore.Si è diffusa e si è radicata nel no-stro Paese (anche per l’esempio ne-gativo proposto e praticato dall’al-to da Berlusconi) una cultura ed un’idea delle donne che le riduce a solo corpo e ad oggetto a disposi-zione degli uomini, e che considera bellezza e giovinezza gli unici stru-menti per raggiungere successo e potere, diffondendo soprattutto tra le più giovani modelli falsi e vane illusioni. E’ questa, purtroppo, a cominciare dalla mancanza di lavoro e di so-stegno sociale, la faccia triste del-la vita e della realtà delle donne di oggi, una realtà ed una cultura che umilia, svalorizza ed emargina le donne, ma che rappresenta anche un gigantesco spreco di intelligen-ze e competenze e costituisce uno dei freni e degli ostacoli più gran-di alla possibilità del nostro paese di uscire dalla crisi etica, sociale e politica che lo sta portando indietro nel tempo,al declino e alla margi-nalità in Europa e nel mondo.Il dover tenere assieme diverse dimensioni della vita (il lavoro, la cura, la quotidianità, i rapporti umani e sociali) ha reso le donne “sapienti e sagge”, attente e sensi-bili al benessere di tutti e non solo di sé. E anche solidali perché han-no imparato che “solo insieme si può”. Lo dimostrano le tante espe-rienze che le vedono protagoniste e spesso alla testa dei movimenti, delle associazioni e delle lotte nel-la società civile: per ottenere giu-stizia e verità, per la legalità con-

8 marzo 2013: senza le DONNE il PAESE non rinasce

Questo non è il Paese che avevamo sognato, recita l’appello dell’ANPI ai candidati delle recenti elezioni politiche: “Questo non è il paese che abbiamo sognato e che vogliamo” pensa-no le donne che hanno fatto la Resistenza anche per ottenere eguaglianza e diritti nell’Italia liberata dal fascismo, questo pensano e dicono insieme le donne e ragazze che oggi vedono compromesso il loro futuro per effetto della crisi e di politiche

dissennate che le spingono sempre di più ai margini della vita socia-le, economica e politica. La realtà stessa della vita delle donne testi-monia infatti che “questo non è un paese per donne”:Migliaia e migliaia sono le donne licenziate per la chiusura di tante aziende che hanno fatto conoscere l’Italia nel mondo grazie al talento e alla creatività;La maternità stessa, che la Costi-tuzione e le leggi tutelano e rico-noscono come valore sociale, è divenuta nella realtà una delle più frequenti cause di licenziamento; alle donne più giovani, per la man-canza di lavoro o per la diffusione di occupazioni precarie, è preclusa la stessa possibilità di costruire il proprio futuro e di potere realizza-re, se lo vogliono, uno dei desideri più umani e naturali: la maternità;I tagli delle risorse imposti ai co-muni e alle regioni stanno riducen-do la quantità e la qualità dei ser-vizi sociali per l’infanzia, per gli anziani, per i disabili e sulle donne prevalentemente ricade la fatica e lo stress della gestione della vita quotidiana, resa sempre più diffi-cile per la fatica di fare quadrare i conti e per le tensioni che spesso nei rapporti tra le persone si gene-rano a causa delle difficoltà;La violenza maschile sulle donne, prevalentemente da parte di partner o parenti, è divenuta un fenomeno endemico e crescente (cento donne uccise nel 2012 solo in Italia e tan-tissime picchiate e ferite ) conse-guenza di una cultura antica, fasci-sta e “machista”, che considera la

tro mafie e camorre, per il lavoro, per i beni comuni, per il diritto alla scuola, per la sanità, recentemen-te in tutto il mondo hanno balla-to nelle piazze contro la violenza sessuale,proponendo sulla scena pubblica un tema che richiede la consapevolezza e l’impegno di tut-ti, uomini e donne, a cominciare dalla politica.L’Italia ha bisogno delle donne e senza di loro questo paese non uscirà dalla crisi che lo attanaglia.Come nella Resistenza la parteci-pazione delle donne è stata deter-minante per la vittoria sul fascismo e il nazismo, come nella rico-struzione e nella vita della nostra democrazia le donne sono state protagoniste dei processi di moder-nizzazione e de evoluzione, così oggi, nel momento difficile che vive il paese, esse sono e saranno determinanti nella fase di rigene-razione e ricostruzione del tessuto etico, civile e democratico quanto mai urgente e vitale per il futuro del nostro paese.Al momento in cui scriviamo non sappiamo quale sarà l’esito del-le elezioni e ci auguriamo che fi-nalmente l’Italia sia riuscita a liberarsi da forze che lo hanno avvilito,umiliato,depredato e che hanno attaccato, calpestato e messo in discussione la stessa Costituzio-ne e ridato fiato e spazio alle destre neofasciste.Resta comunque un punto fermo: qualunque sia il governo, dovrà fare i conti con le donne e con la loro volontà di cambiamento. E l’ANPI è con loro.

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come soggetto attivo nella storia non più come suddite, ma come protagoniste. Riflettere su questi temi non significa soltanto guardare al passato, significa anche interrogarsi sull’oggi, dare cor-po e sostanza all’offensiva che l’ANPI e l’Istituto Cervi hanno lanciato con il Progetto “Per una nuova cultura antifa-scista” con l’obiettivo di contrastare la diffusione e la crescente aggressività, in Europa e in Italia, dei nuovi movimenti neofascisti, il diffondersi di culture e for-me di violenza di matrice fascista contro le persone e di forme d’intimidazione e coercizione del consenso, di cui anche il persistere di un’idea subalterna e pro-prietaria della donna, la sempre più dif-fusa violenza sessuale, la negazione della libertà femminile dovuta alla progressiva erosione di diritti fondamentali (il lavo-ro, la maternità, il futuro) sono un aspetto non secondario.Nel documento si afferma giustamente che “se ancora oggi assistiamo a un peri-coloso risorgere della violenza, dell’intol-leranza e di culture di matrice fascista, ciò è perché il paese non ha mai fatto i conti con il proprio passato, non ha mai ana-lizzato e fatto conoscere il fascismo, ha trascurato non di rado le pagine più belle della nostra storia, come la Liberazione dai tedeschi e dai fascisti e infine è stato troppo tiepido di fronte ai continui attac-chi di negazionismo e di revisionismo”.Il Convegno vuole appunto, per citare Marisa Ombra “ricordare, nell’attuale clima di perdita di valori fondamenta-li e di rinascita di movimenti fascisti e neofascisti, che cosa è stato il fascismo (regime del quale si è persa la memoria e del quale viene spesso offerta una ver-

8marzo

La violenza e il coraggio: Donne Fascismo Antifascismo Resistenza ieri e oggi Milano 16 marzo 2013 – Convegno nazionale dell’ANPI

IL Comitato nazionale dell’ANPI ha accolto la proposta del Coordinamento nazionale delle donne di aprire il pro-gramma d’iniziative del 70° anniversario della Resistenza con un Convegno na-zionale che si terrà a Milano a Palazzo Marino il 16 marzo 2013. Titolo del con-vegno, significativo ed efficace:“La violenza e il coraggio: Donne, fa-scismo, antifascismo, Resistenza ieri e oggi”. Non deve sfuggire la rilevanza politica e culturale della scelta dell’AN-PI di affrontare un aspetto inusuale nella riflessione sul fascismo, l’antifascismo e la Resistenza: fare emergere, cioè, la violenta rottura operata dal fascismo del faticoso processo di emancipazione che sin dal Risorgimento e dall’emergere del socialismo si era messo in moto tra le donne italiane, ricollocandole nel ruolo tradizionale di “custodi del focolare do-mestico e fattrici di figli per la patria”; analizzare l’ideologia regressiva, l’im-magine, il ruolo sociale loro assegnato, le politiche sociali che concretamente il fascismo ha messo in atto nel ventennio, le forme e i contenuti. oppressivi e inva-sivi di ogni aspetto della vita attraverso i quali il regime ha costruito il consenso tra le donne, privandole nel contempo di ogni diritto soggettivo. Dunque: la natura violenta del fascismo, il fascismo contro le donne: questo il messaggio che voglia-mo trasmettere.Ma, ecco l’altro tema al centro del Con-vegno: “Il coraggio delle donne”, il co-raggio della scelta che le ha portate a op-porsi al regime, il faticoso e straordinario processo di crescita che dalle prime for-me di opposizione al fascismo le ha con-dotte in massa alla Resistenza, a entrare

sione edulcorata) specialmente per le donne. Vogliamo raccontare come le donne hanno reagito o non abbastanza reagito e quanto delle idee tradizionali della donna resti vivo in questo paese, magari in una versione apparentemen-te più moderna e spregiudicata, ciò che rende il percorso della sua emancipa-zione poco lineare e poco coerente-mente determinato”.Come afferma Lidia Menapace nelle note preparatorie del Convegno “Af-frontare questo tema, significa capire cosa bisogna fare per rimuovere certe forme di cultura conservatrice che ri-schiano di mettere sempre in dubbio anche importanti acquisizioni”, signi-fica cioè porsi il problema della piena attuazione dell’art. 3 della Costituzione (che obbliga la Repubblica a rimuovere gli ostacoli, anche originati dall’appar-tenenza a un sesso,che si frappongono alla piena espressione della persona umana): articolo sul quale non a caso si impegnarono le “madri” della Repub-blica che contribuirono alla scrittura della nostra Carta Costituzionale.Su questo filo della riflessione si snode-ranno i contributi specifici delle relatri-ci e dei relatori del Convegno, storiche e docenti universitari qualificati, come mostra il programma pubblicato a lato. Oltre alle relazioni, e alla possibilità di interventi e domande, sono previste an-che letture e proiezioni e la diffusione di materiali di documentazione.Siamo certe che questa preziosa oc-casione di conoscenza, formazione e presenza politica e culturale sarà colta dai Comitati provinciali e dalle sezio-ni dell’ANPI e che sarà assicurata una

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8marzo

Relazione di:Raffaele Mantegazza, Docente di pedagogia Inter-culturale – Università Milano - Bicocca“Sebben che siete (ancora) donne: espropriazione e resistenza del femminile oggi”.

Segue dibattito

Conclusioni:Marisa Ombra, Vice Presidente Nazionale ANPI

Nel corso del Convegno verranno lette citazioni di testi fascisti e testimonianze attinenti i temi in discussione.Mentre il pubblico affluisce: proiezione di imma-gini, frasi e slogan del fascismo e sulle donne nella Resistenza.

Distribuzione di materiale

IL PROGRAMMALA VIOLENZA E IL CORAGGIODonne, Fascismo, Antifascismo, ResistenzaIERI E OGGI

Ore 10.00-13.00Monica Minnozzi, del Coordinamento Na-zionale Donne dell’ANPI

Saluti:Giuliano Pisapia, Sindaco di Milano

Introduce:Lidia Menapace, docente universitaria, partigiana, componente del ComitatoNazionale ANPI“Le ragioni e gli obiettivi del Con-vegno”

Intervento di:Carlo Smuraglia, Presidente Nazionale dell’ANPI

Relazioni:Perry Willson, Docente di storia europea contemporanea presso la University of Dundee (Scozia)“Il fascismo contro le donne: l’ideologia, le leggi”

Dianella Gagliani, Docente di Storia Contemporanea all’Università di Bologna“La scelta della Resistenza: guerra alla guerra e affermazione di diritti”

13.00 - Break14.30 – Ripresa lavori

ampia partecipazione di proprie delegazioni ed in parti-colare di giovani, di studenti e docenti. Ci auguriamo che i temi del Convegno saranno ripresi nelle diverse realtà locali con specifiche iniziative, per dare nuovi contenuti e motivazioni alle battaglie antifasciste di oggi e per fare della memoria storica uno stimolo alla ricostruzione e rigenerazione del presente. (e.b.)

Milano, 16 marzo 2013 – ore 10.00-17.30Palazzo Marino - Sala Alessi

8 marzo

2013

L’ANPI in collaborazione con i “Venerdì del planisfero”

della biblioteca “Panizzi”presenterà alle 17.30 il volume: L’invenzione della verità. Storie di donne, di ragazzi, di guerra”di e con la partigiana Teresa Vergalli

Al mattino Teresa sarà al Liceo Magistrale ‘Matilde di Canossa’ intervistata dagli studenti del prof. Stefano Aicardi

Reggio Emilia

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“Una nuova stagione” per il coordinamento donne dell’ANPI di Reggio EmiliaReport sintetico dell’Assemblea Provinciale del 1° dicembre 2012

8marzo

a cura di Loredana Cavazzini

L’ordine del giorno dell’assemblea, pre-vedeva, oltre agli aggiornamenti sull’atti-vità svolta ai vari livelli dell’Associazione (Nazionale, Provinciale), l’illustrazione delle iniziative del nostro territorio, i progetti in atto e quelli futuri. Sono sta-te illustrate le proposte organizzative per dare continuità al coordinamento a livel-lo provinciale, con la partecipazione allo stesso sia delle donne presenti all’assem-blea che invito a farne parte, sia, si spera, di altre donne delle sezioni da contattare attraverso il coinvolgimento/le indicazio-ni dei Presidenti. Alcuni dei tanti interventi significativi hanno esplicitato la richiesta/necessità di “fare maggiormente rete tra i territori e il Provinciale” per raccogliere la ricchezza delle molte iniziative tese a riconoscere e valorizzare il ruolo importante di lotte e d’impegno sociale che le donne hanno avuto nel passato e hanno tuttora quali soggetti attivi dei cambiamenti storici, per la difesa dei valori di libertà, demo-crazia e giustizia che sono alla base dei diritti delle persone. Particolare interesse e commozione han-no suscitato le proiezioni di due brevi fil-mati dedicati alle nostre partigiane Anita Malavasi e Lidia Valeriani, dimostrando appieno, se ce ne fosse bisogno, tutta la potenza comunicativa delle immagini e il loro grande valore documentario.Altri interventi hanno affrontato e ri-proposto temi di grande attualità e di forte impatto sociale quali: i diritti del lavoro e dei giovani e la violenza sulle donne: “Anche la perdita del lavoro o il declassamento dei ruoli (per materni-tà) è un atto di violenza sulle donne”. “Generazioni di precari, che discrimina maggiormente le donne, che affrontano problemi complessi: ritmi di lavoro, sa-lute, assistenza, crisi…”. “Gli uomini devono riconoscere anche nei dettagli

il ruolo delle donne nella Resistenza”. “Fare iniziative sugli abusi sessuali du-rante il fascismo: le donne che hanno resistito alla violenza, i fatti locali taciu-ti….le donne considerate come bottino di guerra…”.Sono state fatte interessanti proposte con-tenenti concrete indicazioni di lavoro:

– “Fare rete con le associazioni, gli enti, i sindacati del territorio per collaborare e lavorare a iniziative comuni sui temi del lavoro, della resistenza, delle mafie, per unire le forze, contare di più e non creare sovrapposizioni”.– “Lavorare con le scuole e i giovani con strumenti nuovi (es. Teatro dell’Orsa che propone spettacoli e laboratori) per far sì che si possano riappropriare della memoria e delle loro radici…”.– “Proporre il libro di Lucia Sarzi nei territori, costruendo iniziative… per fare cultura con modalità nuove…”. – “Mettere una lapide di fronte a Villa Cucchi in memoria di tutti coloro che vi sono stati torturati (es. Clarice Boni Bu-rini)”.– “Dedicare una sezione cittadina dell’ANPI a una donna del quartiere, an-che poco conosciuta…”.– “Ricordare costantemente le partigiane/i partigiani viventi, non lasciarle/i sole/i, continuare la raccolta delle memorie, organizzare iniziative anche per festeggiarle/i…”.

Concludo questo breve e sintetico report dell’Assemblea – sicuramente incomple-to – auspicando che vi sia continuità nel coordinamento donne, nel lavorare per progetti e per gruppi d’interesse. Tutti i progetti vanno condivisi come gli impegni. Sarebbe necessario completare quelli già avviati da alcuni anni quali ad esempio: “Donne, antifascismo, democrazia, dalla memoria al futuro” continuando con gli

inserti nel Notiziario e le biografie delle donne reggiane che hanno avuto un ruo-lo di rilievo nella storia dell’antifascismo e della ricostruzione (es. Velia Vallini, e tante altre). Per fare questo ed anche per realizzare tutte le cose proposte, serve il contributo di tutte/i coloro che credono e condividono i valori dell’ANPI e ritengo-no indispensabile trasmetterli.Chiedo pertanto di contattarci e di dare la vostra disponibilità a far parte del Coordinamento Donne Provinciale, nel quale potrete avanzare anche altre proposte di iniziative e colla-borare attivamente a quelle in corso.

Nel dicembre scorso, si è svolta la prima assemblea Provinciale (dopo il Congresso) delle donne ANPI, con la partecipazione del Presidente Giacomo Notari, di altri Presidenti di se-zione, di donne impegnate nell’ANPI: partigiane, giovani, antifasciste collaboratrici volon-tarie, alcune rappresentanti le istituzioni, la politica, il sindacato, la scuola, la cultura e lo spettacolo.

La copertina dell’inserto 8 marzo 2012 dedi-cata ad Annita Malavasi Laila

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8marzo

Tu alleni giovani pallavoliste… perché hai intervistato Maria Montanari, parti-giana e sindacalista, cosa c’entra con lo sport? L’idea di Maria è nata perché io sono promotrice di un progetto che si chia-ma Fuori campo che ha come obiettivo quello di portare gli atleti al di fuori del campo a fare delle esperienze apparente-mente diverse da quelle di allenamento tradizionali (in palestra con la palla per intenderci), perché ritengo che esse siano funzionali alla riuscita dell’atleta stesso. Nello specifico di Maria a me interessa-va approfondire quello della Resistenza. Ossia che cosa significa, oggi, per un gio-vane atleta – io, infatti, mi occupo del-la fascia di adolescenti che va dai 12 ai 16 anni – resistere all’impegno, perché è molto difficile trovare ragazzi che reg-gono di fronte, diciamo, a degli impegni presi. L’idea, quindi, è stata quella che Maria raccontasse della propria adole-scenza: che a 13 anni fosse già in risaia a lavorare e che a 18, addirittura, decides-se di nascosto dai suoi genitori di entrare nella Resistenza, una vita che mi affasci-nava molto. L’idea è nata da questo.

Non è quindi il primo esperimento di mettere in comunicazione il campo con il fuori campo? Che riscontri hai avuto?Quello con Maria è la terza esperienza. Il progetto è nato nel 2009 ma concre-tamente lo sto sperimentando quest’an-no con le mie ragazze che sono del ’98. La prima esperienza l’abbiamo fatta a “Esploraria”, che è un parco divertimenti, dove le ragazze si sono messe alla prova in un gioco in cui, suddivise in squadre, dovevano lanciarsi da un albero ad un al-tro. Da lì è emersa la parola “paura”. Dal-la parola paura abbiamo lavorato con i ragazzi del basket di Reggio Emilia. Agli atleti della Trenkwalder abbiamo chiesto di raccontarci quelle che sono le paure di un giocatore di serie A prima di una par-tita importante.Certo all’inizio è stato un progetto, come posso dire, un po’ nuovo... era visto, cosi, con un po’ di sospetto, però da parte dei

di Glauco Bertani

Chi è Barbara FontanesiNata a Cadelbosco Sopra, è stata atleta profes-sionista di volley dal 1978 al 1999. Dal 2007 è coach presso la Scuola di pallavolo Anderlini di Modena.

Esperienze dentro e fuori la palestraIntervista a Barbara Fontanesi allenatrice della scuola di pallavolo Anderlini di Modena

Il progetto Fuori campo

genitori sto trovando molta collaborazio-ne, molta disponibilità per cui...

Anche su un tema come quello della Re-sistenza?L’intervista a Maria verrà presentata dopo l’uscita del Notiziario. Una cosa su cui insisto è che Fuori campo non ha un carattere politico, perché lo sport è uno degli ultimi baluardi, secondo me, trasversale. Comunque, io specifico che cosa unisce la Resistenza con la “R” ma-iuscola alla resistenza con “r” minuscola, perché è un passaggio che mi permette di portare questo concetto in maniera tra-sversale, non politica.

Lo hai accennato ma vorrei saperne di più. Allora ti chiedo: hai avuto difficoltà a proporre un progetto che unisce dicia-mo l’esterno con il campo di una pale-stra? Con i genitori, la società...Delle perplessità da parte della società le ho avute anche se, devo dire, la mia vit-toria personale adesso è che il prossimo anno mi è stato chiesto di formulare un progetto per il Fuori campo per alcuni set-tori della squadra. Pallavolo Anderlini è

una struttura molto grande, sai qualcosa?No...è divisa in due gruppi: “gruppi a” e “gruppi b”. I gruppi b sono i ragazzi che potrebbero, in teoria, non avere grandi sbocchi e per loro mi è stato chiesto di formulare una proposta educativa Fuo-ri campo, quindi le resistenze in questo caso sono state superate. Questo progetto, sottolineo, è nato non per porsi in sostituzione dell’educazio-ne dei genitori, ma è nato perché dopo vent’anni di sport – io ho fatto l’atleta per 21 anni: sono entrata in palestra a dieci anni e uscita 31 – quando ho smesso di giocare ho dovuto elaborare da sola, e con una grande fatica, il senso di vuo-to, di mancamento che ho avuto, perché quando tu stai vent’anni in posto tutti i giorni improvvisamente non averlo più è proprio come uno si lanciasse giù da un burrone. Ed è stata questa necessità che mi ha portato a formulare il proget-to. Perché intanto di campioni ne escono pochissimi e, quindi, un atleta, un giova-ne deve uscire dal campo da gioco non solo formato fisicamente ma deve essere allenato anche mentalmente: uscire dallo sport vuol dire anche aver fatto un per-corso di coaching personale, esci come persona allenata prima che come atleta. questa è il mio desiderio, quello che vo-glio comunicare attraverso questo pro-getto...

Un ponte fra la palestra e, diciamo, il re-sto del mondoLa palestra in realtà è una metafora della palestra della vita, soprattutto negli sport di squadra lo spogliatoio può essere con-siderato come l’ufficio delle risorse uma-ne; le sfide, la partita del sabato possono essere considerate come gli obiettivi che uno deve raggiungere, il rapporto con i compagni di squadra non è altro che il rapporto con i colleghi di lavoro.E’ importante per me che questi ragazzi escano da questa esperienza soprattutto allenati mentalmente e mi rendo conto che ne hanno molto bisogno, forse per-ché un po’ in casa i genitori assorbiti

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8marzoda tanti impegni fanno un po’ fatica a seguirli. Quindi se lo sport può essere un modo divertente per giocare e impare qualcosa, perché no?

L’uscita del Notiziario coincide con la festa della donna. allora donne e sport?Guarda mi aggancio a un episodio spia-cevole recentissimo, la società di palla-volo femminile di serie A del Modena ha interrotto la settimana scorsa il cam-pionato per mancanza di budget, queste ragazze sono mesi che non prendono lo stipendio... devo dire che a livello fem-minile le atlete soffrono ancora tanto. Ti faccio un altro esempio: di fronte a una gravidanza inaspettata il contratto viene sciolto in maniera automatica e, addirit-tura, non c’è nessun tipo di tutela.Quindi le donne ancora oggi anche nello sport hanno ancora tantissimo da fare ed è un ambiente profondamente maschile. Io non ho niente contro gli uomini anzi per quanto mi riguarda lavoro meglio a volte con gli uomini che con le donne, perché sono più semplici più schietti più sinceri, mentre le donne sono molto più

complesse… però sono tante ancora le battaglie che a livello femminile nello sport si devono fare... per i diritti minimi della civile convivenza.Sarebbe bello che Josefa Idem che è stata candidata per il PD si facesse portatrice di messaggi anche a tutela delle donne nello sport. (g.b.)

Le ragazze della scuola di pallavolo Anderlini

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Lucia Sarzi, non solo staffetta partigiana

Intervista a Laura Artioli sul suo libro “Ma il mito sono io. Storia delle storie di Lucia Sarzi”

8marzo

Sei una ricercatrice e ti sei già occupata di ricerche storiche di genere. Quando Maria Cervi ti propose di fare una appro-fondita indagine su Lucia Sarzi, condivi-sa da Giacomo Notari, come hai reagito? Che cos’hai pensato?Da molto tempo desideravo cimentarmi con una biografia, un genere letterario che mi appassiona. Maria Cervi – alla quale non finirò mai di essere grata – mi ha sottoposto questo progetto come se si trattasse, a sua volta, di dar corpo a un sogno che attendeva da chissà quando il momento propizio per realizzare. Ho cre-duto che questa combinazione di desideri e di energie fosse un buon motivo per ac-cettare, e così è stato. Anche se Maria non ha potuto vedere la conclusione di questo lavoro, non ho mai pensato che avesse abbandonato l’impresa, anzi.

Hai sostenuto più volte che sei entrata”a capofitto” nella storia di Lucia. Perché? Che cosa, nello specifico delle sue espe-rienze, ti ha maggiormente coinvolto? Sei riuscita a mantenere il necessario distacco del “narratore”?Una figura come quella di Lucia è in gra-do di esercitare – a quarantacinque anni dalla sua scomparsa – lo stesso potere di attrattiva che chiunque l’abbia incontra-ta testimonia. Perché, nella modestia del suo tratto, è stata una creatura più grande del vero, per dirla con Cristina Campo,

portatrice di una sproporzione stupefa-cente fra visibile e invisibile. Era soprat-tutto questo che mi interessava indagare, più ancora della sua dimensione pubblica e politica. Quanto al distacco del narrato-re, non sono sicura che sia poi così neces-sario. C’è chi sostiene, anzi, che si debba diventare la persona di cui si scrive. In questo caso, io sono rimasta io e Lucia è rimasta Lucia, ma abbiamo fortemente simpatizzato…

La verità delle persone, si sa, è inattingi-bile nella sua compiutezza. Se tu dovessi descrivere sinteticamente i tratti più sa-lienti della sua personalità emersi dalle numerose testimonianze, dai testi e dai documenti relativi a Lucia, che cosa di-resti?Che il suo essere donna e attrice – una condizione eversiva di per sé – le ha conferito uno spessore di esperienza che travalicava la sua giovane età, come se avesse imparato qualcosa da tutti i per-sonaggi che ha interpretato fin da bam-bina. Grazie al teatro Lucia irradiava fa-scino, raccoglieva intorno a sé cenacoli di giovani desiderosi di allargare i propri orizzonti, di spendersi nelle imprese di libertà che i Sarzi propagandavano come

si poteva attraverso le loro rappresenta-zioni. E poi Lucia era una lettrice instan-cabile, i libri erano il suo paese e la sua gente, le davano forza e sicurezza inte-riore, argomenti, una dialettica vivace e convincente. Rispetto alle sue coetanee, lei possedeva, credo, una consapevolezza e una considerazione di sé che facevano la differenza.

Perché è fortemente limitativo il diffuso e approssimativo giudizio secondo cui Lucia fu “la staffetta dei Cervi”? Quale fu allora il suo ruolo politico? Si può con-siderare un modello di emancipazione femminile?Prima ancora che la Resistenza imbrac-ciasse le armi, negli anni fra il ’40 e il ’43, Lucia – per l’incarico ricevuto a Par-ma da Luigi Porcari, dirigente del partito comunista clandestino, ma soprattutto, ritengo, per una sorta di vocazione natu-rale – guadagna alla causa, ricompone e crea, con una pazienza da ape impollina-trice, da sola, con la sua famiglia e poi con Aldo Cervi e i suoi fratelli, una rete solida e invisibile di persone e di luoghi sulla quale si impianterà poi la guerriglia fra la media collina e la pianura reggia-na. E poi cura e coordina la distribuzio-

La presentazione del libro a Fabbrico. Da sinistra Fiorella Ferrarini, Stefano Morselli, Laura Artioli e Marina Coli

di Fiorella Ferrarini

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Un gruppo di Casa Pound

ne della stampa antifascista in una zona che va da Milano alla Romagna, come testimonia fra gli altri Giorgio Amendo-la, con cui avrà modo di collaborare nella tarda primavera del ’43. Lucia vuole di-scernere il disegno strategico, non si li-mita a eseguire ordini. Discute, tenta una mediazione. Nel caso dei fratelli Cervi, proverà fino all’ultimo a rompere lo stato di isolamento in cui alcuni settori della federazione comunista reggiana li aveva confinati. Il suo è un lavoro politico ca-pillare e delicato, che la mette a contatto con la dirigenza nazionale del partito, fa di lei un riferimento per molti giovani an-tifascisti, le procura molti consensi e le attira altrettante critiche, proprio perché rappresenta un modello di donna nuovo e destabilizzante.

L’ANPI reggiana nel 70° della Resistenza si propone di diffondere il tuo libro e di promuoverne la conoscenza nei luoghi dell’Emilia, del Piemonte e della Roma-gna in cui i Sarzi tennero i loro spettacoli teatrali e svolsero l’attività resistenziale clandestina. Insieme alle tante inizia-tive previste, può essere anche questa una attiva azione culturale di contrasto al neofascismo e di rilancio dell’antifa-scismo?Spero proprio di sì! In fondo quello di Lucia era un approccio molto creativo alla militanza antifascista, all’insegna della cultura e dell’avventura, più ancora che dell’organizzazione…

Esprimi tre ottime ragioni per cui consi-gli di leggere“Ma il mito sono io. Storia delle storie di Lucia Sarzi. Il teatro, la Re-sistenza, la famiglia Cervi”.Perché Lucia mantiene intatti, nelle mie pagine, buona parte dei suoi segreti. Per-ché ho impiegato sei anni a ricostruire le sue storie impareggiabili. Perché si tratta, quindi, di una biografia e anche di un rac-conto di viaggio. (f.f.)

La vigliacca intenzione di esponenti di Casa Pound, fortunatamente bloccata dalle forze dell’ordine, di stuprare una ragazza ebrea non è un gesto isolato, è avvenuta all’interno di un vero e proprio piano criminoso che prevedeva l’uso del-la violenza e nel contesto di una crescente diffusione e aggressività dei gruppi e mo-vimenti neofascisti in Italia e in Europa. Essa rivela in modo chiarissimo la vera natura squadrista e “machista” di Casa Pound, malgrado essa tenti di farsi passa-re per un’innocua associazione culturale e come una specie di ente di beneficienza.Nella scelta, emblematica, della vittima da colpire, una ragazza ebrea, si rivela-no gli elementi costitutivi della cultura e della prassi politica di Casa Pound e del nuovo neofascismo. L’antisemitismo, il razzismo e il disprez-zo verso le donne sono nella loro visione abbinati, associati e profondamente com-penetrati. Ebrei e genere femminile sono “diversi” e considerati inferiori, l’uno per ragioni di razza e storiche, l’altro per la propria differenza sessuale : entrambi non corrispondono alla propria idea di umanità, di società e dei ruoli sessuali, per questo costituiscono una minaccia e per questo sono oggetto di disprezzo, di odio e giustificano la violenza. E’ l’incomprensione profonda e la visce-rale intolleranza per ciò che è “diverso” e non rientra nei propri “canoni” che gene-ra e giustifica perciò la cultura e la prati-ca della violenza, anche quella sessuale, come metodo normale di punizione, di intimidazione e di riaffermazione della propria superiorità.Una violenza che per i violentatori “po-tenziali” di Casa Pound deve essere pra-ticata in pubblico, esibita, (nel caso spe-cifico non a caso davanti alla scuola della vittima designata) come affermazione di forza e di potere, come “messaggio“ per le vittime e come “esempio” di “buona prassi” da diffondere: questo è quello che si meritano gli ebrei e le donne.Il gesto dello “stupro” ha oggi anche un altro significato: riaffermare, di fronte alla loro crescente autonomia e volontà di scelta, il concetto che le donne sono proprietà degli uomini. Durante il fasci-smo “storico” sono state considerate come “fattrici di figli per la patria”, “riposo del guerriero”, strumento del suo piacere. Du-

Casa Pound, i neofascismi e le donnedi Eletta Bertani

rante la dittatura la “mistica” dell’ angelo del focolare” era perfettamente compati-bile con le case di tolleranza in una visio-ne in cui la donna è in quanto in funzione dell’uomo. Oggi in versione ammoderna-ta l’obiettivo non cambia, è quello di ri-affermare sulle donne il potere maschile: stiano al proprio posto, preferibilmente confinate nel ruolo domestico e familia-re, siano gradevoli e compiacenti, non si montino la testa e non pretendano di oc-cupare spazi che non sono per loro: per esempio la politica e le istituzioni. Per questi ruoli le donne sono “unfit”. All’in-terno di Casa Pound possono essere ac-cettate se “omologate” all’ideologia e al modello dominante, se accettano e giusti-ficano la violenza, se sono sostenitrici del suo pensiero e in sostanza subalterne.Certo, è un’illusione delle nuove destre pensare di realizzare i propri obiettivi mascherando la propria vera natura e ri-correndo all’intimidazione Come nella Resistenza le donne hanno saputo sconfiggere la violenza e la bru-talità dei fascisti e dei nazisti con le armi del coraggio, dell’intelligenza e della de-terminazione a conquistare una società libera e giusta anche per se stesse, così oggi le donne mostrano ogni giorno la propria forza, difendono la propria di-gnità e libertà e il diritto a esprimere se stesse e a portare il proprio contributo per il bene comune.L’ANPI è con loro e l’antifascismo, come cultura del rispetto della persona umana nella ricchezza delle sue differenze, è un argine potente contro ogni tentativo di riportare indietro le lancette della storia. Come afferma Moni Ovadia: “ Ciò di cui abbiamo bisogno oggi è che l’antifasci-smo ritorni al centro del nostro sistema di valori”. (e.b.)

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La rivolta di Havka Folman Raban

Nel 2001 Jonathan Michael Avnet ha girato un film sulla rivolta del 1943 nel ghetto di Varsavia: Uprising era il titolo. Qualcuno ha definito quel movimento di ribellione “La più grande campagna della resistenza armata ebraica contro i nazisti e il terrore”. Chi sa qualcosa della rivolta nel ghetto di Varsavia non può porsi l’in-cauta ma consueta domanda: “Perché gli ebrei non hanno reagito? Perché non si sono opposti?”. Viene invece spontaneo chiedersi dove abbiano trovato tanto corag-gio e tanta determinazione quelle persone. La Polonia contava all’epoca la comunità ebraica più popolosa d’Europa e Varsavia la più numerosa della Polonia. I 500.000 ebrei forzatamente deportati a vivere in Varsavia erano costretti ad abitare nello spazio insufficiente del ghetto: una pri-gione a cielo aperto a un’ora di treno dal campo di sterminio di Treblinka. All’interno del ghetto, alcuni giovani fondarono in quegli anni il DROR (in ebraico “libertà”), un gruppo socialista sionista che è confluito successivamente nello ZOB, una sorta di CLN del ghetto di Varsavia. Gli ebrei del ghetto erano all’epoca pri-vati di tutto: dai diritti minimi ai beni ma-teriali, ma alcuni di loro non hanno mai voluto credere che fosse tutto perduto.Marek Edelman, Itzhak Zuckerman, Si-mha Rotem, Emmanuel Ringelblum, It-zhak Katzenelson, Mordechai Anielewi-cz e Hafka Folman Raban sono nomi che hanno fatto la storia e l’hanno vinta, benché non abbiano vinto quella rivolta.Hafka Folman Raban è una donna ebrea “tostissima”. Racconta ancora oggi di tutti loro nel suo limpido, incredibile libro They are still with me (Loro sono ancora con me). Narra la commozione per i canti jiddish di Itzhak Katzenel-son, della poesia che lui le ha dedicato; racconta della mediocrità di Ringelblum come insegnante, ma della sua geniali-tà nella stesura di un diario giornaliero, una sorta di archivio del ghetto che, aiu-tato da un gruppo di amici, Ringelblum nasconde sottoterra dentro a bidoni del latte. Quel diario verrà ritrovato dopo la guerra e diventerà un documento storico preziosissimo. Havka è secca ed essenziale nella narra-zione delle proprie rischiosissime escur-sioni dal ghetto: per informare, raccontare

UPRISING

la guerra e mettere insieme notizie sulla realtà sempre più certa dello sterminio. Ma ciò che è veramente incredibile è che Havka non è il personaggio di una fiction o di una storia raccontata nei libri, né un lontano narratore invisibile.Sapere e far sapere sono ancora oggi come allora i compagni di viaggio di Havka Folman Raban, venuta a Reggio Emilia in carne ed ossa nel gennaio scor-so su invito di ISTORECO per scuotere i 1000 partecipanti del Viaggio della Me-moria 2013 con i suoi sguardi accesi, le sue risate irriverenti, ma soprattutto con le sue parole potenti.“La prima forma di resistenza nel ghetto da parte nostra – ha raccontato Havka ai ragazzi- consisteva nell’organizzare se-minari clandestini di scienze politiche, psicologia, geografia. La nostra rivolta è cominciata dallo studio clandestino”. L’obiettivo era quello di non lasciare che il terrore rubasse anche l’immaginazione, il sapere e l’ostinazione alla memoria. La vita di Havka nel ghetto è quella di un’adolescente vivace e piena di slancio. Havka possiede tuttavia altre doti strate-gicamente importanti: è bionda, ha gli oc-chi chiari e parla bene la lingua polacca. Per questo, in breve tempo, diviene una staffetta ideale. Esce ed entra di nascosto

dal ghetto con il compito di far girare le notizie. Impara a fingere senza pudore di fronte ai nazisti e alla stupidità complice della gente comune. Ha paura, ma impa-ra a non mostrarlo. Si gioca la vita tutti i giorni e tutti i giorni porta la lotta dentro e fuori dal ghetto di Varsavia. Nonostante questo impegno incessante, lei non sarà presente il giorno della rivolta.Nel 1942, durante il più grande attenta-to contro i nazisti da parte dei partigiani del ghetto di Cracovia, Havka si trova con loro. Viene arrestata e deportata ad Auschwitz/Birkenau, come lei stessa ha raccontato ai ragazzi. La fermano con l’accusa di essere un’oppositrice politi-ca e quindi, nonostante la brutalità del-la detenzione, non subisce il destino di morte progettato per gli ebrei. Dopo due durissimi anni a Birkenau viene trasferi-ta nel campo femminile di Ravensbrück, affrontando un viaggio tremendo accanto a migliaia di altri prigionieri costretti a spostarsi a piedi dai campi in Polonia a quelli in Germania.Durante il lungo periodo di reclusione Havka non cessa di dar vita a gesti pre-ziosi di ribellione personale. A Birkenau il suo lavoro era quello di frugare nei ve-stiti sottratti alle persone, per vedere se fossero stati nascosti oggetti di valore o

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di Annalisa Govi

Martedì 22 gennaio 2013, Teatro Cavallerizza, Havka Folman Raban con alcuni studenti

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In ricordo di ValeriaValeria Scorpati è nata ad Ancona nel 1934 da padre artigiano sellaio e da ma-dre commessa poi casalinga. Alla fine degli anni ‘50 frequenta il corso femminile della scuola centrale del PCI a Frattocchie di Roma dove conosce Dino Morini reggiano di villa San Maurizio al-lievo del corso maschile.Si innamorano, si frequentano poi deci-dono di sposarsi.Il matrimonio viene celebrato ad Ancona in Municipio con rito civile nell’agosto 1960. Ofelia, sorella maggiore di Dino è testimone di nozze. Così Valeria, ragazza di città marinara, si trasferisce a Reggio nella famiglia e nella casa colo-nica dei Morini coltivatori diretti.Il 1962 è un altro anno denso di eventi

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di Loretta Giaroni

Martedì 22 gennaio 2013, Teatro Cavallerizza

privati: Marcella (sorella di Valeria) e Ulderico (fratello di Dino) si sposano; la casa nuova più confortevole è pronta e tutti i Morini vi si trasferiscono, in otto-bre nasce Patrizia, figlia di Valeria e Dino e qualche anno dopo nasce Massimo.Per carattere e per formazione, Valeria è spinta ad occuparsi di problemi sociali e in particolare della condizione delle don-ne e dell’emancipazione femminile. Ne-gli anni ‘60 e ‘70 è attiva nell’UDI sia nel Circolo di San Maurizio, località dove risiede sia nel Comitato provinciale.I suoi modi garbati, il parlare pacato convinto e convincente, la gradevole cadenza marchigiana, favoriscono i suoi rapporti con le persone e l’amicizia con le donne dell’UDI impegnate nel comune

piccoli gioielli tra orli e cuciture. Havka ha raccontato ai ragazzi di un giorno in cui trova una moneta tra le pieghe di un vestito. Chiede allora alla guardia il permesso di andare in bagno e, una volta non più in vista, getta la moneta nella latrina. “Non ho certo mandato in rovina il Reich con quel gesto” ha detto Havka con de-terminazione “ma mi fa bene, e mi ha fatto bene allora, pensare che facevo del mio meglio per non contribuire alla sua grandezza”. Un’altra storia di resistenza dal valore apparentemente episodico, ma dalla for-za dirompente. Nel 1947 Havka si è trasferita in Israele e ha partecipato alla costruzione di uno dei primi kibbutz nel nord del paese. E’, infatti, fra le fondatrici del Ghetto Fighters’ Kibbutz e del primo museo del-la Shoah nel mondo. Ancora oggi è impe-gnata con costanza in questa sua opera a favore della memoria e della pace. Con tenacia e passione incontra persone di tutta Europa. In Israele, lavora a stretto contatto con i giovani di cultura musul-mana come ebraica.Quando, poco prima dell’incontro del 22 gennaio al Teatro Asioli di Correggio, si sono abbassate le luci per dare inizio al terzo ed ultimo incontro tra Havka Fol-man Raban e 450 ragazzi delle scuole della nostra provincia, le sue prime paro-le sono state: “Accendete le luci! Quando parlo con qualcuno voglio vedere chi è e mi piace guardarlo in faccia!”. A 88 anni Havka continua a battere il pro-prio tempo. Vitale, forte e instancabilmente ribelle. Lunedì 21 gennaio 2013, Liceo Canossa Reggio Emilia

lavoro ideale e pratico. Ricordo qui due passaggi dell’operato di Valeria, che ho condiviso con lei: il ventesimo anniver-sario della Resistenza e il passaggio in gestione comunale della scuola materna di San Maurizio.Nel Comitato del XX, insediato dal Sin-daco Bonazzi dietro mandato di tutte le Associazioni partigiane – con il compito di elaborare e attuare il programma del-le celebrazioni che si sarebbero protratte sino al 25 aprile I965, Valeria è stata elet-ta in rappresentanza dell’UDI.Compresa del suo ruolo, comincia a preparare l’incontro di tutti i movimenti femminili di partito e della società civile per arrivare a proposte elaborate con la collaborazione e l’impegno di tutte noi.

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18.10.68 – aula scuole elementari di San Maurizio. Incontro per definire il passaggio a gestione comunale della scuola materna aperta nel 1945 da un gruppo di donne e dal CLN. Da destra: don Attilio Franzoni, il geom. Messori, Salardi direttore didattico, Valeria, Maria, la m.a. Man-zini, Loretta Giaroni (alle sue spalle si intravede Martina Lusuardi)

Piera Galassi, la sua famiglia, la Resistenza in Montagna

Da tempo Giacomo Notari (un archi-vio vivente di nomi, fatti e di memoria storica) ci sollecitava a incontrare Piera Galassi Gloria, una staffetta partigiana della montagna, ora abitante a Genova, che potevamo trovare a Cervarezza solo durante l’estate. Giacomo ben conosce il valore delle donne della montagna du-rante la guerra e vuole giustamente siano tutte riconosciute.Il 27 agosto scorso, siamo andati a trovar-la a Cervarezza, dove è nata il 4 dicembre del 1922: riassumiamo qui ciò che lei ci ha raccontato di sé e della sua straordi-naria famiglia. Ne è uscita anche una vi-deo intervista, curata dall’operatore Ieris Fochi, che è a disposizione all’ANPI per chiunque voglia conoscere le risposte che Piera ha dato alle nostre numerose domande. L’intervista si svolge all’interno di una caratteristica acetaia gestita dalla nuora

di Piera. Tutto nell’ambiente trasmette l’amore e il rispetto per la memoria sto-rica e per la cultura e le tradizioni della montagna. Alle pareti i diplomi e i rico-noscimenti dell’impegno di antifascista e partigiano del padre di Piera, Galassi Bartolomeo e della stessa Piera.Piera, a novant’anni, è ancora bella, alta e vigorosa, l’aspetto sereno e fiero di tan-te donne della nostra montagna. Come lei stessa ci racconta, è cresciuta in una famiglia di forti sentimenti antifascisti, relativamente “benestante”per quei tem-pi (gestiva una tabaccheria nel centro di Cervarezza).In essa spicca la personalità straordinaria di suo padre, Bartolomeo Galassi, eroe della prima guerra mondiale, poi perse-guitato politico dal fascismo, che mai si è piegato alla dittatura e ha subito per questo, assieme alla famiglia, angherie e vessazioni. Piera ricorda che lei stessa

L’incontro ha luogo nell’ottobre 1963 presso l’inusitata sede provinciale della DC e Valeria lo introduce con motivazio-ni profonde e proposte lungimiranti, che sortirono varie iniziative unitarie tra cui la manifestazione in ricordo di Genoeffa Cervi al Teatro Municipale con Marisa Rodano oratrice.L’altro periodo importante, rivelatore delle capacità di Valeria, è il passaggio alla gestione comunale della scuola ma-terna aperta nel 1945 da un gruppo di donne e dal CLN. Anche in questo caso, Valeria è una figura cardine. La scuola del Mauriziano, dopo oltre vent’anni di apprezzato servizio educa-tivo e sociale è in difficoltà come altre scuole laiche e cattoliche, perciò il comi-tato di gestione, del quale Valeria fa parte come genitore e UDI, decide ci chiedere all’Amministrazione comunale di assu-merne la gestione. Tutte le parti in causa si mobilitano. Il Consiglio comunale all’unanimità deli-bera il suo “SI” nel giugno 1968; genitori e personale della scuola, donne e popo-lazione sottoscrivono una petizione con 3600 firme consegnate al prefetto da Ma-ria dell’UDI e Annamaria del. CIF. Il parroco collabora, il Direttore didatti-co del1a scuola elementare favorisce la gestione comunale della scuola matema e anche il superamento della pluriclasse di Villa Curta. Valeria organizza, collega, anima e verifi-ca aiutata da donne consapevoli e tenaci:

Ofelia, Iole, Emilia, Antonietta, Luisa e tante altre. Il primo marzo 1969 la gestione della scuola passa al Comune e il 4 maggio dello stesso anno viene inaugurata dal Sindaco presso la scuola elementare “L. Ariosto”, dove funziona tuttora da 43 anni.

Cara Valeria, tutte noi che nell’UDI ab-biamo acquisito idee di emancipazione individuale e collettiva e agito per con-cretizzarle, conserveremo molto caro il ricordo e la memoria di Te. (l.g.)

di Eletta Bertani

fu rapata a zero e che il padre subì l’on-ta dell’olio di ricino e fu picchiato. Pie-ra cresce dunque nell’humus culturale e civile di questa straordinaria famiglia. Il padre vuole che studi. Va a scuola dalle suore a Pontremoli e si diploma maestra. A questo punto la prima discriminazio-ne: vorrebbe insegnare, ma la direttrice delle scuole di Castelnuovo ne’ Monti le consegna a domicilio una lettera ove le si nega il posto a causa dell’antifascismo della famiglia. Vive dunque l’ingiustizia di una famiglia “presa di mira”dai fasci-sti, ascolta Radio Londra, le conversazio-ni politiche tra il padre e i suoi compagni. Ancora giovanissima, ha già idee ben chiare in testa. Come lei stessa afferma, “ho capito che dovevo fare qualcosa, combattere il fascismo”.Dopo l’otto settembre ’43, con l’avvio della Resistenza in montagna, un parente (Otello) la collega ai partigiani a Ligon-

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generazioni/8marzochio e, poco più che ventenne, diventa staffetta della 144a Brigata Garibaldi col nome di Gloria, tiene i collegamenti tra le diverse formazioni, fornendo documenti e informazioni raccolte in particolare nel-la zona di Busana, Cervarezza, Collagna, Carpineti. Macina a piedi decine e decine di chilometri fino all’alta montagna, pan-taloni e scarponi, col freddo e la fame, dormendo nelle stalle delle case dei mon-tanari, di cui ricorda con commozione la solidarietà .Durante il suo lavoro di staffetta Piera conosce altre partigiane e partigiani. Tra i comandanti ricorda Miro, Eros, Gino; la-vora con Agata Pallai, con le amiche più giovani Lisena e Maria, conosce Teresa Vergalli e ricorda di avere fatto l’istrut-trice politica alla casa delle staffette di Vetto. La colpisce dolorosamente in modo particolare l’arresto di Rosina Bec-chi Sèida da parte dei tedeschi, nei pressi dello Sparavalle, durante una missione. Rosina verrà portata prima a Cervarezza poi ai Servi a Reggio e da lì le torture a Villa Cucchi. Piera ricorda anche alcuni episodi drammatici di quella guerra terri-bile, di cui è stata partecipe e testimone.Durante il rastrellamento tedesco del gen-naio del 1945 (alla Gatta), arriva l’ordine di evacuazione: ricorda i tedeschi avan-zare vestiti di bianco nella neve e la fuga sua e dei partigiani fino al Secchia, che hanno dovuto attraversare su una specie di teleferica. E’ presente nel combatti-mento dello Sparavalle e in altre azioni.Ma Piera ha potuto studiare, è maestra, è in grado di parlare in pubblico e di comu-nicare con la gente della montagna. Ne-gli ultimi mesi della guerra il Comando Unico la incarica di qualcosa in più, di organizzare il lavoro tra la popolazione, di fare educazione e formazione politica e civile, perché tutti, e in particolare le donne, nell’imminenza della futura libe-razione, devono imparare a sentirsi citta-dini e cittadine di un paese democratico. Sono tante le riunioni di donne che Pie-ra organizza nei Comuni, nelle frazioni, un vero e proprio lavoro di educazione alla democrazia, ad esercitare il diritto di voto, soprattutto nel 1944, nei comuni sotto il controllo delle forze partigiane, di

Vetto, Ramiseto, Cerredolo dei Coppi e di una parte di Ciano d’Enza (come ricor-da nel suo libro sulle partigiane Avvenire Paterlini).“Abbiamo sofferto, abbiamo patito il freddo, la fame, abbiamo corso rischi, in quei mesi terribili - dice Piera - ma sono contenta e sono fiera di quello che ho fatto”. Così ricorda la Liberazione: “Il 24 aprile 1945, eravamo a Vetto. A piedi, poi su un camion incontrato per strada, insieme con i ragazzi e le ragazze che avevano combattuto con me siamo scesi verso Reggio per festeggiare insieme la libertà riconquistata. Potete immaginare la nostra felicità”.Dopo la guerra Piera ha continuato ad im-pegnarsi, è stata consigliera comunale e dirigente politica a Busana, ha continuato ad organizzare assemblee tra le donne per gestire la ricostruzione. Ricorda di avere conosciuto allora Tina Boniburini moglie di Onder Boni, una valorosa partigiana torturata a Villa Cucchi, che fu ospite a casa sua per riprendersi dalle sofferenze subite. Le chiediamo ancora come erano i rapporti tra uomini e donne nelle for-mazioni partigiane: Piera ricorda che c’è sempre stato rispetto tra loro. Ci sono

stati anche matrimoni tra partigiani e par-tigiane, perché combattere, condividere il pericolo, soffrire insieme fa nascere e cementa sentimenti forti, spesso indi-struttibili, di amicizia e, a volte, anche di amore. Anche Piera si è innamorata in montagna. A Villa Minozzo ha conosciu-to il suo futuro marito e ricorda anche il cognato D’Artagnan, molto conosciuto in montagna che percorreva con la sua veloce motocicletta. Arruolato in Mari-na, arrestato a La Spezia, è poi scappato a Busana ed è stato pure lui partigiano. Col matrimonio Piera si è poi trasferita a Genova e lì è cambiata la sua vita, ma non i suoi sentimenti e i suoi valori. Ha fatto per anni l’insegnante e come tiene a sottolineare, coi bambini ha sempre parlato della Resistenza, perché i libri di scuola non ne parlavano ed era suo do-vere trasmettere l’esperienza della sua generazione ai giovani .Questo è il suo appello finale: “I tempi sono molto cambiati ed anche i giovani, speravamo in un paese più giusto e mi-gliore, ma non si deve smettere di ‘fare memoria’, per mantenere aperta la spe-ranza che le cose cambino, perché questo dipende da noi”. (e.b.)

Piera Galassi Gloria

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Le donne hanno fatto la loro parte

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Il 27 novembre scorso l’Università dell’età libera di Sant’Ilario ha dedi-cato una lezione a Le donne reggiane e la Resistenza, relatrice la dott.ssa Elisabetta Salvi-ni. Ai numerosi convenuti ha portato la testimonianza che segue la par-tigiana Leda Mazzali, 90 anni, figlia di Orlando Mazzali, sindaco della Li-berazione, e moglie di Lelio Poletti, partigiano e sindaco di Sant’Ilario dal 1960 al 1969.

Parlare oggi a quasi 70 anni della Resi-stenza non è facile perché non è facile riuscire a rivivere il clima di allora nep-pure per quelli come me che hanno vis-suto quei momenti. Quelli ancora in vita sono in età avanzata ma allora avevamo vent’anni e anche meno di vent’anni. Mia sorella Anna, a esempio, aveva solo 16 anni e vi assicuro che ha fatto la sua parte. Io ne avevo sei più di lei.Per quanto riguarda la mia esperienza personale, vi dirò che sono vissuta in una famiglia e in un ambiente antifascista: quando mio padre mi disse che si stava organizzando anche qui da noi un movi-mento clandestino contro l’occupazione tedesca e gli alleati fascisti, non mi fu difficile aderire.Io e mia sorella accettammo per convin-zione, per spirito di avventura che avvol-ge tutto ciò che è clandestino, e anche per quella dose di incoscienza che è tipica dei giovani.Il nostro compito consisteva nel man-tenere i collegamenti fra i vari gruppi di partigiani che man mano si andava-no costituendo, svolgere cioè il ruolo di staffette, trasportare armi, affiggere sui muri manifesti antifascisti e antitedeschi. Avevamo anche il compito di parlare con le donne per persuaderle a manifestare apertamente contro il tesseramento, cioè il razionamento dei generi alimentari, che assicurava razioni troppo scarse alle fami-glie. Inoltre partecipavamo attivamente alla raccolta di indumenti invernali, me-dicinali e ferri chirurgici da inviare alle formazioni partigiane della montagna.Come staffetta era molto più impegnata mia sorella in quanto, considerata la sua giovane età, era molto più facile che pas-sasse inosservata e poi perché aveva più disponibilità di tempo rispetto a me che lavoravo in negozio con mia madre. Per il trasporto delle armi si usava il cestino della bicicletta per quelle di piccola di-mensione come le pistole mentre per le armi di più grosse dimensioni si usavano carretti, trainati sempre dalla bicicletta,

Resistenza

di Leda Mazzali

Leda Mazzali (a sinistra) assieme alla sorella Anna, al nipote Michele (a sinistra) e al figlio Aldo di Anna

che venivano coperte con della legna o altri materiali. Due o tre volte mia sorella fu fermata da posti di blocco stradali ma non fu mai perquisita. Il miglior lasciapassare era dimostrarsi tranquilli, indifferenti. Poi ci voleva anche una buona dose di inco-scienza e di fortuna. Non so se qualcu-no di voi ha visto il film La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo sulla lotta di liberazione nazionale dalla dominazione francese. C’è una scena in cui una giova-ne donna algerina esce dalla casbah con indifferenza, ma anche con tanta paura repressa, reggendo una borsa di viveri sotto i quali si nascondono delle pistole. La scena mi ricordava lo stesso metodo che usavamo noi nel trasportare le nostre. Cambiavano solo i personaggi. Là erano i francesi occupanti in veste di colonialisti, qui i tedeschi assieme ai fascisti, ma la lotta era altrettanto dura. Mia sorella Anna, assieme ad un’altra giovane staffetta, Lidia Greci, fu protago-nista di un episodio drammatico che co-stò la vita a un giovane santilariese. Tra i compiti delle staffette c’era anche quello di portare in montagna i giovani che vo-levano unirsi alle formazioni partigiane. L’ultima volta che Anna e Lidia furono incaricate di accompagnare una persona fu nel dicembre del 1944. Il giovane si chiamava Elio Manzotti e aveva 22 anni. La regola era che le staffette dovevano andare insieme in bicicletta e che il giova-ne doveva seguirle ad una certa distanza.

Se all’improvviso si presentava un peri-colo, una delle due ragazze doveva fer-marsi e fingere di allacciarsi una scarpa dando così il segnale a chi seguiva che doveva voltare la bici e allontanarsi rapi-damente. I tre si incontrarono in un punto prestabilito alla Barcaccia e iniziarono a percorrere la Val d’Enza verso Ciano. La strada era lunga e monotona, lungo il percorso tutto sembrava tranquillo. Elio a un certo punto affiancò le ragazze per chiacchierare, contravvenendo alla re-gola stabilita. Fecero un pezzo di strada fino a Ciano continuando a chiacchierare e non si accorsero che una curva impedi-va di vedere il successivo tratto di strada. Appena superata la curva si imbatterono in un posto di blocco tedesco. Era ormai troppo tardi per tornare indietro. Furono fermati e interrogati. Anna e Lidia si giu-stificarono dicendo che andavano da pa-renti sfollati a Bazzano e furono lasciate andare mentre Elio venne fermato e arre-stato come sospetto partigiano, forse per-ché il suo viso si era fatto terreo e tradiva la paura di trovarsi inaspettatamente a tu per tu con una SS che lo scrutava con oc-chi indagatori. Il 24 dicembre 1944 Elio venne fucilato e lasciato sulla neve a Ca-sina assieme ad altri partigiani catturati dai tedeschi. Questo episodio drammati-co dimostra quanto una semplice deroga alle regole della clandestinità potesse es-sere fatale in quei tempi tragici.Affiggere manifesti di propaganda anti-fascista sembra ora una cosa molto sem-

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Ci ha insegnato a fare della nostra vita un dono agli altri

L’ho incontrata la prima volta nell’aula del Senato nel 2001, dopo la sua nomina a Senatore a vita, all’inizio della mia pri-ma legislatura. Mi sono avvicinata a lei per salutarla. Aveva sul vestito il gioiello del Premio Matilde di Canossa che le era stato conferito dalla Provincia di Reggio Emilia. Diventammo amiche, nel Sena-to e fuori. Mi chiedeva di me, della mia storia. Quando le dissi della mia fede, mi guardò con sguardo interrogativo, curio-so. Lei era così. La vita di Rita Levi Montalcini è una parte molto importante della nostra stessa vita, della bellezza, della forza, della dignità del nostro Paese e dell’intera umanità. Sarebbe bastata, da sola, la sua dedizio-ne alla ricerca che l’ha portata al Premio Nobel nel 1986, e che continuò fino alla morte accanto ai giovani ricercatori del suo Istituto, l’EBRI, a renderla una per-sona straordinaria. In realtà il suo spirito era sempre orientato agli altri e agli altri era dedicato il suo impegno. Pensare agli altri, non a se stessi, era il segreto della sua esistenza. Diceva ai giovani “disin-teressatevi di voi stessi e pensate agli al-tri”. Così, dopo aver sognato di lavorare in Africa sulle orme di Albert Schweitzer, diede vita alla Fondazione per la forma-zione di migliaia di donne africane. Con grande lungimiranza volle aiutarle in Africa, perché ne diventassero protagoni-ste dello sviluppo. Aveva compreso che il futuro strategico del continente africano passa attraverso l’istruzione delle donne. Identificava con grande naturalezza il suo destino con quello dell’umanità. Ed era

generazioni/8marzoplice e banale, ma pensate che allora vigeva il coprifuoco, bisognava essere tutti in casa entro le 20. I manifesti do-vevano perciò essere affissi di giorno con i rischi molto maggiori che questo comportava.Anche la raccolta di medicinali e in-dumenti comportava rischi, a maggior ragione in un piccolo paese come era allora Sant’Ilario, in cui ci si conosce-

va tutti. Io li ho chiesto a medici, a perso-ne delle quali non potevo giurare che non mi avrebbero denunciata. Devo dire che ho trovato sempre molta disponibilità. La gente era talmente stanca di guerra che a volte andava oltre le mie richieste. Mi chiedo oggi se rifarei quello che ho fatto. Francamente allora non mi rendevo conto di quello a cui potevo andare in-contro e tanto meno sapevo quali erano i

metodi impiegati dai tedeschi. Non lo sa-peva mio padre quando ci chiese di fare ciò che poi abbiamo fatto, non lo sapeva nessuno ed è stato un bene perché la non conoscenza ci ha permesso di agire, an-che di sbagliare, ma comunque di dare il nostro contributo perché la guerra finisse il più presto possibile e finisse questa ter-ribile tragedia che in misura più o meno grande aveva coinvolto tutti. (l.m.)

sostenuta, in questo grande e quotidiano impegno, da una visione profondamente ottimistica, da una grande fiducia nel fu-turo. Era convinta che i periodi difficili, e ne aveva attraversato, dalle leggi razziali all’aiuto da lei dato alla Resistenza, “pos-sono portare grande progresso”. Una vi-sione di grandissima forza morale e intel-lettuale, il suo più grande insegnamento rivolto a noi, che viviamo tempi difficili, con l’orizzonte breve e incerto, e rivolto ai giovani alle prese con un presente e un futuro di scarse prospettive. “Non abbiate paura neanche nei momenti difficili, per-ché, come è successo anche a me, dopo, verranno tempi migliori”. Il suo messag-gio rovescia il nostro pessimismo, ci dà la chiave per modificare la nostra cultura, ci consegna la speranza in un mondo nuovo e ci indica la strada. Rita Levi Montalcini ha contato solo sulle sue forze, con rigore e con passione. Questo è il suo insegna-mento più radicale, capace di farci pren-dere in mano il nostro destino. La passione per la vita e per l’umanità, il rigore intellettuale alimentato dalla scienza, la forza morale della sua co-scienza laica, la sua generosità nello spendersi per la vita civile, per la demo-crazia e per la Repubblica si influenzaro-no profondamente. Difficile distinguerli, nell’armonia rivelata dalla chiarezza del pensiero, dalla semplicità del linguaggio, dall’eleganza dei gesti e del portamento. Era scritto, nel suo destino, che gli ultimi anni della sua vita coincidessero, in ma-niera ancora più profonda, con il destino dell’Italia. Quando il Presidente Ciampi le comunicò nel 2001 di averla nominata senatrice a vita, tutti pensarono ai suoi al-tissimi meriti in campo scientifico, come prevede la Costituzione (art. 59), ma nes-suno poteva immaginare che Rita Levi Montalcini non solo avrebbe adempiuto alla sua funzione pubblica “con discipli-na e onore” (art. 54), ma avrebbe dato te-stimonianza di coraggio e determinazio-ne nell’aula del Senato della Repubblica in momenti difficili e , a volte, dramma-

tici sostenendo il Governo del suo Paese che amava. Io sono stata testimone della sua presenza nell’aula del Senato, seduta accanto a lei. La sua età, le sue difficoltà di vista e di udito non le impedivano di essere al suo posto. Il 14 novembre 2007, nel corso di una di queste drammatiche sedute, rivol-se a me questa domanda: “Cosa possia-mo fare per aiutare il Governo?”. E alla risposta ricevuta ”resistere”, così replicò: “No, combattere”. E aggiunse: “E’ impressionante lo spre-co di tempo e di risorse”. E quando non le risparmiavano ingiurie, diceva: “Sono come l’acqua sulle penne dell’anitra”, scivolano via. Quando compì 99 anni, come tutti i gior-ni si recò al suo laboratorio di ricerca, dove brindò con i suoi giovani ricer-catori, ricevette messaggi di auguri da parte di personalità di tutto il mondo, e poi andò a Palazzo Chigi invitata dal Pre-sidente Prodi, che era agli ultimi giorni del suo Governo, dove festeggiammo con un brindisi: ad una grande donna, ad una grande italiana, ad una grande scienziata, ad una grande combattente per la libertà. Ci ha insegnato a fare della nostra vita un dono agli altri. Senza risparmio e con gioia. Ha continuato a cercare per tutta la vita scegliendo il campo privilegiato per la semina: i giovani e le donne, la scienza e il bene dell’umanità. Le sono stata ac-canto, sapendo che con me accanto a lei c’era l’Italia intera. Quando se ne andò, e venne portata a Palazzo Madama per l’estremo saluto, una grandissima folla era ad attenderla, e ad applaudirla, sulla strada. E così al cimitero monumentale di Torino, due giorni dopo. Molte persone, molti giovani vollero es-sere accanto a lei che era, e resterà per sempre, un grande punto di riferimento morale, un simbolo dell’Italia migliore. Visse molto a lungo, e il suo spirito non ha mai vacillato, come se esso fosse ca-pace di dominare il tempo e di trasfor-marlo in un presente senza fine. (a.s.)

di Albertina Soliani

A tre mesi dalla scomparsa di Rita Levi Montalcini

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Enrico Bini

società

Enrico Bini, un presidente in trincea contro la mafia

Le organizzazioni mafiose operano da tempo nel nord’Italia. Lo fanno riciclando gli enormi proventi delle attività illecite, praticando prezzi bassissimi, scardinando interi settori d’imprenditoria locale, intimidendo chi resiste, pre-stando denaro a usura e comprando aziende pulite stremate dalla concorrenza sleale. Anche la provincia di Reggio Emilia è colpita da questo morbo terribile. Uno dei modi per potersi difendere efficacemente è, a nostro parere, quel-lo di elevare il livello di consapevolezza del pericolo fra i membri della comunità. Per questo motivo, dopo l’articolo dello scorso numero “E ora diventiamo tutti partigiani antimafia”, abbiamo in-tervistato Enrico Bini, il presidente della Camera di Commercio, l’uomo che a Reggio Emilia, per primo, ha lanciato l’allarme mafia nell’economia reggiana.

di Claudio Ghiretti

Presidente Bini, lei è stato il primo espo-nente delle istituzioni a lanciare l’allar-me mafia nell’economia Reggiana. Ci può raccontare cos’è accaduto e quando ha avuto i primi sospetti?I primi sospetti li ho avuti nello svolgi-mento del mio lavoro commerciale all’in-terno di Transcoop, seguivo il trasporto rifiuti e i lavori di costruzione della TAV, poi anche come presidente provinciale di CNA. Con l’apertura di grossi cantieri come quelli della TAV, vedevo arrivare imprese disposte a lavorare con sconti del 30, 40, 50 percento e con grande disponi-bilità di mezzi e uomini, incuranti delle regole (ore di guida, sovraccarico) porta-re via il lavoro e mettere fuori mercato imprese che da anni lavoravano sul no-stro territorio. Poi sono iniziate le intimi-dazioni, mezzi bruciati, danni a cantieri, gente che viaggiava con l’auto blindata e scorta privata. Tuttavia, non venivano letti nel modo giusto e con la giusta pre-occupazione. La cronaca dei giornali di allora, riferi-sce che la sua denuncia è stata, inizial-mente, accolta con un certo scetticismo. Alcuni l’hanno accusata di fare un allar-mismo generico e di non fare i nomi. Come si è sentito e cosa l’ha spinta ad andare avanti?

Si è vero la prima reazione è stata quel-la d’incredulità ,di negazione del pro-blema ,convinti che il nostro territorio fosse immune e impenetrabile dalle ma-fie. Il riciclaggio avviene nel trasporto, nell’edilizia e nel commercio. Io i nomi li ho fatti, non sui giornali, ma alle au-torità competenti.Come mi sono sentito? Mi sono sentito solo e in certi momenti mi sono chiesto se davvero con queste denuncie facevo male al mio territorio. Però sono anda-to avanti perché non era giusto tacere. Sono andato avanti anche perché avevo la mia associazione la CNA che mi ha sostenuto fin dall’inizio di questo per-corso, avevo tanta gente comune che mi ha fatto sentire meno solo. Avevo ed ho la mia famiglia vicino.Secondo lei,oggi c’è più consapevolez-za del pericolo? Cosa è stato fatto di concreto per respingere l’assalto delle imprese mafiose?La situazione oggi è notevolmente cam-biata. Non si nega più la presenza della malavita organizzata, anche perché gli episodi intimidatori si sono moltiplicati.Il pericolo è percepito, anche se non fino in fondo. Ci mobilitiamo a ogni evento criminoso che avviene sul nostro territo-rio, però passato quel momento contin-gente riprendiamo la vita di sempre, con-tinuiamo la pratica delle gare al massimo ribasso, non isoliamo e non escludiamo personaggi o imprese che sono state coinvolte in indagini da parte delle for-ze dell’ordine per fatti criminali o altro. Per respingere questo assalto sono stati fatti, su iniziativa del prefetto di Reggio, protocolli di legalità che dovrebbero ren-dere più difficile l’aggiudicazione di gare pubbliche, com’è avvenuto, per esempio, con la gestione della discarica di Poiati-ca, a una azienda con precedenti di illeci-ti nella gestione e smaltimento dei rifiuti. Il problema resta sui lavori privati dove

l’unica cosa che conta è spendere meno.Dal rapporto della fondazione Capon-netto, presentato nei mesi scorsi dalla Camera di Commercio,emerge una si-tuazione davvero preoccupante. Oltre a numerose organizzazioni criminali stra-niere, sono attive nella provincia di Reg-gio Emilia,vere e proprie organizzazioni mafiose, in particolare ‘ndrangheta, camorra e mafia siciliana. Quali sono le attività più infiltrate? È come stanno rea-gendo gli imprenditori di fronte a questo pericolo?Sì, non ci facciamo mancare nulla. Sono presenti da noi, come nelle altre province vicine, tutte le mafie italiane più le orga-nizzazioni criminali straniere. Tutti que-sti criminali lavorano in stretta collabora-zione fra loro per gestire attività illecite, prima fra tutte quella dello spaccio del-la droga, prima fonte di guadagno della ‘ndrangheta. Nell’edilizia, nel trasporto e nel commercio le organizzazioni crimi-nali hanno investito e riciclato quantità di danaro impressionanti. Ci sono anco-ra troppi imprenditori che subiscono in silenzio. La motivazione principale è la paura.Nelle prossime settimane apriremo, in collaborazione con Libera, uno sportello di legalità, con personale specializzato che assicurando il completo anonimato sarà a disposizione per raccogliere segna-lazioni su abusi,soprusi e altro.

Il prefetto di Reggio sta usando lo stru-mento delle interdittive antimafia per escludere imprese in odor di mafia dagli appalti pubblici. Cosa dovrebbero fare lo stato, le istituzioni reggiane, per respin-gere questo attacco mortale all’economia e alla società reggiana?L’arrivo del prefetto attuale ha segnato una svolta importante per il contrasto alle infiltrazioni mafiose. La sua conoscen-

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za e competenza di questo fenomeno ha aperto gli occhi anche ai più ciechi. Le interdittive sono state determinanti per smontare l’alibi a quanti dicevano che qui era tutto a posto e per togliere dal mercato soggetti poco puliti. Sono uno strumento che si poteva utilizzare anche prima però nessuno lo ha mai fatto. Si è costituito, sempre in Prefettura, il tavolo sull’auto-trasporto, partecipato da tutte le ammini-strazioni che lavorano su questo settore,

(albo provinciale, DPL, Motorizzazione, INPS, INAIL, Ufficio delle dogane, Ca-mera di commercio) le quali lavorano coordinate fra di loro e controllano tutte le imprese iscritte all’albo per verificarne la regolarità. Poiché il settore dell’auto-trasporto è fra quelli più esposto alle in-filtrazioni mafiose, la Prefettura è anche impegnata assieme alla Regione e agli enti locali, nella promozione di misure di contrasto per proteggere i cantieri del ter-

remoto. Si tratta, infatti di un altro settore in cui le mafie hanno rivolto lo sguardo per spartirsi la torta della ricostruzione, anche attraverso prestanomi.Lo Stato dovrebbe credere davvero a questa battaglia facendo leggi di contra-sto specifiche e dotare di strumenti signi-ficativi chi sta lavorando alle indagini, mentre le istituzioni locali, da parte loro devono vigilare e continuare il lavoro di denuncia. (c.g.)

La decimazione degli omosessuali nei Lager nazisti è una pagina atroce e per fortuna ampiamente dibattuta, specie in patria, dove i tedeschi hanno preso co-scienza della brutale condotta nazionale al seguito di Hitler e dei suoi aguzzini. Il 26 gennaio scorso, a ridosso del gior-no della memoria, il gruppo ArciGay Gioconda di Reggio Emilia ha aperto la mostra Omocausto - Lo sterminio di-menticato degli omosessuali negli spa-zi dell‘Università di Modena e Reggio Emilia presso la Sala Mediateca. La Vi-cepresidente di ArciGay Reggio, Fabiana Montanari, madrina e curatrice della mo-stra, ha organizzato con la grinta che la contraddistingue un progetto interessante e esaustivo. Anche per quel che concerne la storia delle Lesbiche nella Germania di Hitler, considerate ingiustamente ancora fino a qualche anno fa tra le aguzzine e non tra le vittime, per il cliché, laddove invece brillano doti tutte al femmini-le: decisione; determinazione; I sedici pannelli di Omocausto, esposti in modo semplice e incisivo, sulle nude transenne comunemente usate in edilizia nei cantie-ri, evocano qui i recinti di una prigionia, che purtroppo non è tra le secche della storia, ma in molti paesi ancora mate-ria del presente. La mostra denuncia in modo responsabile il problema che anco-ra oggi l‘omosessualità nel mondo deve affrontare. Una pagina lungi dall‘essersi conclusa con la chiusura di Auschwitz il 27 gennaio del 1945. Gli ospiti all‘inau-gurazione Katia Pizzetti del Comitato Diritti Umani, il Consigliere Provinciale del PD Simone Beghi e uno storico d‘ar-te dell‘Istituto Istoreco di Reggio Emilia (chi scrive) hanno appunto ricordato, con un simbolico triangolo rosa attaccato alle

Il Diritto AssenteOmocausto, lo sterminio dimenticato

degli omosessualiLa mostra

di Salvatore Trapani

giacche, che questa pezza - a differenza delle altre - manca sulle teche dei musei, perché è ancora in giro: Angola, Arabia Saudita, Bangladesh, Cina, Costarica, Congo, Egitto, Iran, Iraq, Liberia etc. Tutti paesi con in vigore, ben che vada, l‘ergastolo se non la pena di morte per gli omosessuali, appunto. E l‘Italia? Che domanda retorica! L‘Italia, annoverata tra le democrazie europee tolleranti, resta come sempre un caso a sé stante, anoma-lo in tema di democrazia, restando peno-samente coerente alla sua storia irrisolta in un‘eterna adolescenza. Se Mussolini non ci è arrivato a mandare gli omoses-suali nei lager, sostenendo che tra gli ita-liani il problema non sussisteva, poiché popolo virile e scevro da debolezze, ri-solvibili con il confino di questi “pochi”, la politica di oggi a 360°, senza alcuno escluso, continua a essere assente e lati-tante: né botte, né carezze. Quando alla

base dei partiti scatta la denuncia, la cima continua le sue alchimie di compromes-so, temendo la reazione dell‘elettorato, della chiesa, degli iscritti. Così il pragmatismo premiato in questi giorni anche in Francia con il referendum sul tema dei matrimoni per tutti e delle adozioni, in Italia viene ancora giostrato in modo ipocrita; perché siamo in piena campagna elettorale, e dimenticato a gio-chi fatti. Alla luce di ciò, qual è il senso di una mostra giunta oggi a essere esposta anche in una sede universitaria, che chiede da quegli scranni scientifici, l‘apporto uma-no della politica? In questione non è solo il diritto all‘esistenza, di uomini e donne condizionati dalla società con le sue re-gole ingiuste, ma - cosa più importante - quel diritto che purtroppo nessuna Co-stituzione ha previsto: il diritto di tutti alla felicità.

società

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In Marocco essi esercitano il potere sotto il controllo del re. In Egitto attraverso il presidente Mohamed Morsi sono riusciti a ridurre in maniera significativa il pote-re dell’apparato militare e modificare la Costituzione in nome della Sharia, anche se frenati nello scontro da un’opposizio-ne particolarmente attiva e battagliera. In Tunisia, racchiusi nel partito di coali-zione Ennahda, si trovano a confrontarsi con una certa durezza con l’UGTT, il più importante sindacato dei lavoratori tu-nisini. In Libia, pur essendo minoranza nel Paese, puntano a indebolire le forze moderate e liberali, arrivando a scontri, nei quali ha perso la vita l’ambasciatore statunitense Stevens, sincero sostenitore della transizione democratica libica.Di fronte al generale deterioramento del-la situazione economica che ha coinvol-to tutti i Paesi, i nuovi dirigenti politici islamisti si sono trovati nella difficile si-tuazione di non sapere come affrontare i problemi economici e sociali, scollega-ti come sono dalla posizione di potere dell’élite politica.Al momento ci si limita a “criminalizza-re” i movimenti rivendicativi, evitando di mettere le questioni sociali al centro di un dibattito generale sulla politica dei Paesi da loro governati, impegnati come sono a dare priorità ai problemi concernenti l’organizzazione della società o alla con-quista definitiva del potere.Ovunque la tormentata transizione po-litica, presenta in genere un partito isla-mista, che tenta di portare avanti, sotto altre spoglie risultanti pubblicamente più virtuose, lo stesso modello economico neo-liberista del passato, nel contesto di un’opposizione, che, se pur esistente, risulta ancora incapace di proporre solu-zioni di ricambio e perfino di esistere al di fuori dei sindacati dei lavoratori.In un siffatto contesto viene messa in discussione dagli alleati occidentali l’apertura di Obama verso i movimenti democratici, apertura che ha favorito, in un certo qual modo, la caduta dei ditta-tori amici dell’America, consentendo che

Islamismo di Bruno Bertolaso

al potere salissero movimenti islamisti, come i Fratelli Musulmani, che restano sostanzialmente antioccidentali col pe-ricolo che, in mancanza di forti opposi-zioni, possano dar luogo allo sviluppo di ali estreme islamiste come la salafita e la qaedista.La prova di potere e di governo, che do-vranno affrontare i partiti islamisti, obbli-gherà gli stessi a misurarsi concretamente con valori e interessi diversi dai propri, in un contesto interno e internazionale profondamente mutato, rispetto a quello precedente l’esplosione delle primavere arabe, misurandone capacità e limiti fino ad oggi non ancora verificati Resta il fatto che la galassia salafita, tan-to variegata nelle sue componenti, risulta indubbiamente un elemento di complica-zione della capacità di governo dei partiti al potere nella regione araba, siano essi islamisti o meno. Essa sfrutta le tensioni, che derivano da una situazione in cui è aumentata la libertà politica, mentre, nel contempo, i problemi economici sono peggiorarti e restano irrisoltiRitenere, peraltro, che le primavere arabe

siano clamorosamente fallite, è da rite-nersi erroneo, nel senso che il processo di democratizzazione è difficilmente linea-re, ma può condurre a una progressiva in-clusione della maggioranza di quei Paesi nell’area della democrazia, dal momento che non si può dimenticare come il pano-rama pluralista, che ha avuto origine nei Paesi in questione, dovrebbe consentire in un futuro, a forze diverse da quelle islamiste di organizzarsi, di mobilitare risorse e competere per governare.I Paesi occidentali, in particolare quelli dell’Unione europea come l’Italia, che nello spazio mediterraneo ha una natu-rale proiezione geopolitica, debbono fa-vorire i mutamenti politici ed economici, capaci di accrescere la pluralità interna sociale ed economica. Se davanti alle inevitabili contraddizioni di quel muta-mento l’Europa adottasse una posizione di attesa, non contribuirebbe certamente a rendere reversibili i processi di demo-cratizzazione in atto. L’alternativa sareb-be fatale. (b.b.)

estero

Sulle ceneri della auspicata, ma mai democraticamente concretizzata, “primavera araba” nascono, in tutto il mondo arabo governi di transizione che vedono l’affermazione quasi totale dell’islamismo politico espresso dai Fratelli musulmani, la cui ascesa, anche nei territori libe-rati dai locali rais dittatoriali, risale agli anni ‘70, con una progressione inarrestabile che de-sta molte preoccupazioni in tutto il Medio Oriente e perfino nelle residue monarchie del Golfo.

alla prova del potere

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In moschea una mostra contro la Shoah

BESA - Un codice d’onore: Albanesi musul-mani che salvarono ebrei ai tempi della Sho-ah è una mostra fotografica di Norman Ger-shman, pubblicata dal famoso istituto storico Yad Vashem, Gerusalemme.

Domenica 3 febbraio è stata inaugu-rata in moschea la mostra “BESA”, su albanesi musulmani che salvarono ebrei durante la guerra. E’ la prima volta in Italia che un’iniziativa per la Giornata della Memoria sia ospitata in moschea, in collaborazione con la Comunità ebraica, il Comune di Reggio Emilia e l’istituto storico ISTORECO.Bella atmosfera fra vecchi e nuovi reg-giani, una mostra di fotografie e storie ec-cezionali e una grande speranza espressa da parte di tutti gli intervenuti: Mai più!Il benvenuto viene dato da Abdelkrim Ouargziz, responsabile del Centro cul-turale islamico: “Quando si parla della seconda guerra mondiale e della shoah si deve parlare di 50 milioni di vittime, di cui 6 milioni ebrei. Persone innocen-ti uccise solo perché l’ideologia nazista voleva negare le differenze. Noi oggi di-ciamo con tutte le forza e a nome di tut-ta la comunità: No all’anti-semitismo. Il razzismo è contro la nostra cultura, è con-tro l’islam, che significa ‘pace’. Bisogna che insistiamo nella educazione alla pace e al rispetto fra le religioni. Ed è anche per questo che dobbiamo dire ‘grazie’ a questi albanesi che hanno protetto ebrei durante la guerra, perché sono un grande esempio di pace”.Parla anche Alberta Sacerdoti, referente locale della Comunità ebraica di Modena e Reggio Emilia: “Bisogna che si sappia dell’immenso disastro della Shoah, ma bisogna ricordare anche gli episodi di so-lidarietà. Grazie per questa iniziativa!”.Erion Met-Hasani e Florind Tafa porta-no i saluti della comunità albanese:”Noi siamo orgogliosi per quello che hanno fatto in Albania in solidarietà con gli ebrei. Siamo l’unico Paese in Europa

dove si è riuscito a proteggere tutti, na-scondendoli spesso sotto lo stesso tetto della propria casa, mangiando allo stesso tavolo”.Matthias Durchfeld di Istoreco, insie-me a Annalisa Govi curatrice della mo-stra, illustra: “Dalla sinagoga reggiana la mostra BESA si è trasferita qui, alla moschea del Centro islamico. Le prime settimane della mostra hanno ottenuto un buon successo, con tante presenze e nu-merose visite da parte di scuole. Ora arriva un momento altrettanto im-portante, il passaggio in moschea, che sottolinea la collaborazione fra le due comunità, quella ebraica e quella islami-ca reggiana, all’insegna della memoria. Questi pannelli fotografici, che immorta-lano gli albanesi musulmani che durante la guerra salvarono ebrei, ti fanno capire che i cosiddetti popoli sono fatti di sin-gole persone. Il pensiero di un popolo della cultura unica ha portato alla guerra. La direzione nella quale dobbiamo indi-rizzare il nostro pensiero sono invece le singole persone e i loro diritti”.Prima del rinfresco offerto dal Centro culturale islamico conclude Franco Cor-radini, assessore comunale alla Coesio-ne sociale, sottolineando l’impegno della città: “Grazie anche a Istoreco lavoriamo bene sulla memoria, è cultura cittadina! I nostri luoghi di memoria sono luoghi di incontro, uno spazio per far vedere quello che è stato, ma anche per quello che vorremmo che sia in futuro la nostra comunità. Senza buonismo, questo è l’essere reg-giano: il dialogo e l’impegno per il bene comune, nella diversità. Qui dobbiamo investire, con la Giornata della Memoria, con iniziative come que-

cultura

di Matthias Durchfeld

Il pubblico fra rinfresco e mostra

Foto, da sinistra: Matthias Durchfeld, Franco Corradini, Abdelkrim Ouargziz, Alberta Sacer-doti; Erion Met-Hasani e Florind Tafa con Al-berta Sacerdoti

sta mostra promossa non a caso insieme al Consiglio d’Europa: vogliamo essere vigi-li contro ogni episodio di razzismo”. (m.d.)

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posso dire che il libro è stato rivelatore della mia ignoranza e superficialità, che comportavano non già una sottovaluta-zione, ma certo un’immagine semplifica-ta di Gianetto. Ciò va ricondotto al modo generico in cui spesso vengono riassunte figure anche molto complesse, in un ri-duttivo collage dei ruoli da loro succes-sivamente ricoperti. Qui, per esempio, il resistente, il sindacalista, l’organizzatore del partito, l’amministratore locale, poi regionale, ecc. Una pura somma che non rende a pieno la vera statura del prota-gonista. Accade per “economia mentale” a chi non è studioso specialista o stretto compagno di viaggio.Nella mia vita, Patacini l’ho solo sfiorato. Abbiamo condiviso una stagione di cura nel reparto diretto da un grande medico, Igino Pistelli, ma non c’erano possibi-li ponti fra un adolescente immaturo ed un giovane già carico di esperienze an-che drammatiche. Oltre tutto, io stavo “dall’altra parte”: facevo il chierichetto e portavo all’occhiello la “marollina” dell’azione cattolica. Non che il Dispen-sario fosse una porzione microscopica della guerra fredda. C’era parecchia porosità, molti momenti di condivisione. Discussioni tante, scar-sissime dispute. (Ricordo in particolare l’atteggiamento pacato ed intelligente di Ettore Caiti, il padre di Nadia, che ne fa cenno nel suo contributo).Un episodio, in particolare, mi è rimasto impresso: Patacini che, ricevuta una te-lefonata, percorre il corridoio-refettorio annunciando che gli “scelbini” aveva-vo trucidato dei dimostranti a Modena. Nessuno degli astanti (contadini, operai, pochi impiegati e un non-studente come me) aveva dubbi su dove stesse il crimine e dove la rivendicazione di giustizia.Neppure la mia esperienza amministra-tiva – al paragone insignificante – fornì occasione per una migliore conoscenza diretta: Ugo Benassi mi offrì di entrare nella sua Giunta nel 1982, anno della immatura scomparsa di Patacini. Questo spiega, anche se non giustifica, la mia impreparazione e il crescente senso di sorpresa che la lettura ha suscitato in me.

Mi trovavo davanti all’esempio forse più significativo di una storia folta di tanti si-mili attori: giovani comunisti e socialisti, usciti dalla guerra e dalla Resistenza, for-ti solo della “quinta elementare” e non-dimeno pronti ad assumere responsabilità in istanze collettive (sindacato, partito) ed istituzionali. Innanzitutto studiando, attrezzandosi per controbattere quanti disponevano di un più lungo percorso scolastico e lo mettevano avanti per con-servare il vecchio assetto sociale che li privilegiava. Bisognava diventare rapida-mente esperti del diritto amministrativo e civile, nonché delle sedimentate pro-cedure della pubblica amministrazione. Impadronirsi della vecchia politica (un Palazzo d’Inverno da conquistare senza armi, ma con assidua applicazione ai dati, alle statistiche, ai bisogni). Qui entrava in gioco con tutto il suo peso l’esperienza del mondo diretta e insostituibile, non mediata dai libri scolastici, di cui dispo-nevano quei figli di mezzadri (Patacini stesso) o artigiani (se ben ricordo, Maria-ni Cerati, sindaco di Novellara è figlio di un fabbro). In altre parole – se si possono ancora usare riferimenti “classisti” – pre-

esisteva, in questi costruttori della vita repubblicana, una conoscenza concreta e vissuta dei conflitti sociali, che nessun velo ideologico poteva annebbiare.C’è un romanzo di Jack London, Martin Eden, che ha rappresentato (assieme al Tallone di ferro dello stesso autore) una fonte di ispirazione per più generazioni di militanti antifascisti. Arma efficace per il raggiungimento della coscienza di sé, dei propri obiettivi, di quelli della classe di appartenenza (altra cosa dall’insulsa “gente”!). Il giovane marinaio Martin, come l’Albatros del grande poema, si muove male sulla terraferma e peggio an-cora nei salotti della borghesia colta che lo accolgono con paternalistica indulgen-za e si divertono per i suoi errori di pro-nuncia. Lavorando sodo, Martin divente-rà un celebre scrittore, rendendosi allora conto di quanto superficiale e dilettante-sca fossa la società che prima lo intimi-diva. Il favore conseguito dal romanzo si può considerare emblematico per inten-dere il senso dell’impegno di centinaia di combattenti e poi dirigenti politici (leader senza leaderismo personalistico).Così, senza scorta di guru e prezzolati

Gianetto Patacini Resistente, sindacalista, organizzatore del partito, amministratore locale e regionale

La lettura della monografia su Gianetto Patacini, curata da Glauco Bertani, è un’esperien-za che non lascia indifferenti. Si può dire, ed è questo è il caso, che una buona biografia (di un personaggio che valga la pena di essere ricordato) costringe il lettore a fare i conti con la propria storia personale e coi tempi che il lettore sta vivendo. Per quanto mi riguarda,

di Ettore Borghi

Gianetto Patacini. Un protagonista del «model-lo emiliano», a cura di Glauco Bertani, Con-sulta, Reggio Emilia 2012, pp. 416, euro 15,00

Un episodio, in particolare, mi è rimasto impresso: Patacini che, ricevuta una telefonata, percorre il corridoio-refettorio annunciando che gli “scelbini” avevavo trucidato dei dimo-stranti a Modena.

spin doctors, un Patacini poteva giungere a misurarsi alla pari con insigni studiosi (ad es. Campos Venuti per l’urbanistica) e a intervenire con ricchezza di analisi e forza di argomentazione, lasciando im-pronte profonde nel presente ed un’ere-dità che potrebbe bastare per una quan-tità di seminari di scienze politiche o di storia. Un lavoro non accademico, non da “tec-nico”, ma da dirigente di un partito di massa nella vituperata “prima Repubbli-ca”. (e.b.)

cultura

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Per informazioni e prenotazioni contattare: Giulia Cocconic/o Istoreco, Via Dante 11, Reggio [email protected]: 3316171740 | www.istoreco.re.it

Viaggio della Memoriaa Cefalonia–Zante–Itaca5–12 ottobre 2013

PoteredemocraziaCittadini

di Claudio Ghiretti www.governareggio.it

le rubriche

Il Comune di Reggio partecipa al con-corso nazionale “Piano Città” e con il progetto Area nord viene premiato con 11 milioni di euro per rigenerare l’area degradata delle ex Officine Reggiane. Il ministero dello sviluppo economico ha riconosciuto la qualità della proposta e l’ha inserita tra le 28 vincenti della pri-ma trance su 457 presentate. Ma cos’è l’Area nord e come saranno impiegati questi soldi? L’Area nord è un progetto complesso che contiene tante cose, dal recupero e trasformazione delle Reg-giane alla nuova stazione Mediopada-na, dal Tecnopolo a Reggio children e tanto altro ancora. Richiederà investi-menti rilevanti. In poche parole, vuole essere un’innovazione, di lungo respi-ro, nel governo urbano, per rigenerare a nuove funzioni una parte storica e importante della città, facendo leva su alcune competenze “strategiche” che la comunità reggiana ha maturato negli ultimi cinquant’anni: nel campo educa-tivo, nella industria della meccatronica, nelle energie rinnovabili. La sfida è chiara e ambiziosa. Sostituire le vecchie e gloriose “Officine Reggia-ne” con un nuovo motore di sviluppo economico e culturale.Questo primo finanziamento servirà

Un’innovazione urbana chiamata Area nordReggio presenta due progetti innovativi di sviluppo e viene premiata con 21 milioni di euro da investire subito nell’Area nord

per riaprire, finalmente, viale Ramaz-zini e trasformare Piazzale Europa nel Parco della Conoscenza, Innovazio-ne e Creatività con un collegamento più funzionale al centro storico. Oltre al Capannone 19 delle Reggiane, già destinate al Tecnopolo, cioè un centro di ricerca che vedrà la collaborazione di Università e imprese del territorio e disponibile a partire dalla primavera 2013, sarà recuperato anche il Capan-none 18 per la ricerca applicata e incu-batorio di nuove imprese innovative.Ma non è tutto. Il Comune di Reggio si è aggiudicato il primo posto anche con un altro progetto, quello chiamato “Cit-tà educante”. Il ministero dell’Istruzio-ne, Università e Ricerca, lo ha premiato con altri dieci milioni di euro. Questo progetto che sarà realizzato sempre negli spazi recuperati dell’Area nord, vede capofila Reggio children, l’Uni-versità di Modena e Reggio e imprese del Club digitale e si propone di svilup-pare il rapporto tra educazione e tecno-logie. Si tratta di una risposta alle sfide sociali legate al rinnovamento del si-stema educativo, dell’istruzione e della formazione che ambisce a consolidare la grande reputazione di Reggio Emilia in questo campo e costituire un modello

di riferimento sul piano internazionale.Il progetto e le risorse consentiranno di creare prototipi sull’uso delle tecnolo-gie digitali all’interno del sistema sco-lastico. In un rapporto stretto tra Uni-versità, Fondazione Reggio Children e sistema delle imprese, quest’ultime potranno mettere a punto prototipi da sperimentare nelle scuole e trasformar-le in veri e propri prodotti industriali da esportare sul mercato internazionale.Insomma, il ”Progetto Area nord” non è soltanto un luogo fisico da recupera-re e rigenerare con nuove strade, case e cemento, vuole essere molto di più. Uno sforzo corale di una comunità per immaginare e progettare il proprio fu-turo per i decenni a venire. Nell’era della complessità e della globalizza-zione, le istituzioni locali hanno capito che c’era bisogno di una capacità di go-verno più elevata rispetto al passato e si sono assunte il compito di chiamare a raccolta tutte le forze e le conoscenze migliori che Reggio e la sua provincia sanno esprimere.L’impresa è difficile, ma non impos-sibile. Due saranno le condizione vin-centi necessarie: la continuità e la coe-renza nel tempo.

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Era il 27 giugno 1980 quando il DC 9 Itavia con 81 persone a bordo precipitò dai cieli di Ustica. Ci sono voluti 33 anni, tra segreti di stato, depistaggi, insabbia-menti, incriminazioni, archiviazioni in sede penale e spiragli in sede civile per arrivare a uno straccio di verità che met-tesse la parola fine, se non sugli autori, almeno sulle cause della strage: la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza della Corte di Appello di Palermo, che per prima aveva giudicato meritevoli di accoglimento le azioni risarcitorie inten-tate dai famigliari di tre vittime nei con-fronti dello Stato, riconoscendo “abbon-dantemente e congruamente motivata” la tesi secondo cui l’esplosione e il succes-sivo schianto dell’aereo è stato causato da un missile. Ed allora, prosegue la Cor-te, “è indubbio l’obbligo delle Ammini-strazioni statali di garantire la sicurezza dei voli”, cosa che non hanno fatto pur in presenza di comprovato e intenso traffico militare nell’area.Trentatre anni perché qualcuno si pren-desse la responsabilità di dire all’opinio-ne pubblica che cosa è successo sui cieli di Ustica. Chissà quanti ne occorreranno per conoscere i responsabili.– Era ancora in carica il governo Amato (centrosinistra) quando il 17 marzo 2001 una manifestazione di protesta nei con-fronti del Global Forum di Napoli sfociò in violenti disordini e in un impressio-nante crescendo di abusi e pestaggi nei confronti di numerosi partecipanti. Una sorta di prova generale di ciò che sareb-be successo qualche mese dopo al G8 di Genova e che racconta di brutali percosse e di arresti illegittimi, in realtà vere e pro-prie detenzioni illegali, così come stabili-to nella sentenza di primo grado (2010) che condannò 10 poliziotti a pene varia-bili e che, soprattutto, ribadì l’avvenuta sospensione dello stato di dirittoMa il tempo, si sa, passa in fretta. E la-scia dei segni, specialmente sugli esiti del processo penale. Ecco allora che in Ap-pello, come per incanto, fa il suo ingresso la prescrizione per far dichiarare estinto anche l’ultimo reato rimasto in piedi, quello di sequestro di persona. Come dire, ok, è successo, ma mettiamo-ci una pietra sopra.Chissà come si sentiranno quegli 85 ra-gazzi malmenati, vilipesi ed umiliati: a Napoli si usa dire “cornuti e mazziati”. O, ancora meglio, “chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato”. Appunto.– Qualcuno dirà che l’importanza del-le sentenze che hanno condannato alti esponenti delle cosiddette forze dell’or-dine per la mattanza del G8 di Genova (2001) è soprattutto simbolica, in quanto

Storie che ritornanostabiliscono con nettezza l’inammissibi-lità per chiunque di sottrarsi alla legge, tanto più per chi la legge dovrebbe farla rispettare. Ma così non l’hanno pensata 20 cittadini italiani ed europei vittime dei maltrattamenti subiti alla scuola Diaz e alla Caserma di Bolzaneto, i quali hanno ritenuto non adeguate le pene comminate ai responsabili e hanno fatto ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che, accogliendolo, ha inti-mato al Governo italiano di fornire entro tre mesi informazioni dettagliate riguar-danti i provvedimenti disciplinari adotta-ti nei confronti dei condannati, quale sia stata l’evoluzione delle loro carriere e se siano stati pagati i risarcimenti provvisori disposti già in primo grado (2008).Come è noto, prescrizione ed indulto hanno fatto strame delle condanne com-minate, molte carriere hanno avuto un’ot-tima evoluzione e di risarcimenti nemme-no l’ombra.Tutto nella norma, quindi. Almeno qui da noi.– Praticamente già il primo giorno alla guida degli Stati Uniti Barack Obama an-nunciò solennemente che avrebbe chiuso quella vergogna chiamata Guantanamo, definendola “un capitolo triste nella sto-ria americana”. Non è dato sapere se nel carcere in cui erano rinchiusi centinaia di “combattenti illegali” vi siano state scene di giubilo. Era il 2009 e oggi Guantanamo, con i suoi 166 detenuti da oltre 12 anni senza processo, è ancora lì a rappresentare una sorta di zona franca dei diritti umani, un luogo interdetto alla legalità, un moderno campo di concentramento che la sensi-bilità democratica occidentale evita pru-dentemente di mettere in discussione.Senza grande clamore, Obama ha recen-temente firmato il “National Defense Au-thorization Act”, che prevede il divieto di trasferire i detenuti di Guantanamo sul territorio americano e rende persino arduo il loro spostamento in altri Paesi. Non solo: ha sollevato dal suo incarico l’inviato speciale per la chiusura del car-cere, tale Daniel Fried, senza sostituirlo con alcuno.E’ proprio vero: he cans, lui può.– Era già successo nel luglio del 2009 che un detenuto italiano ricorresse alla Corte Europea per i diritti umani e che si vedesse dare ragione. Ora i detenuti sono sette e la sentenza è senza appello: le carceri italiane sono da terzo mondo. Il sovraffollamento (in media, poco più di 3 mq per ciascuno) è impressionante e massacra i diritti elementari dei reclusi, mentre la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi ingolfano le galere.

Pur in presenza di una edilizia carceraria che segna il passo, il Senato ha ritenu-to di non approvare in via definitiva un Decreto di legge proposto dalla ministra Severino che, quantomeno, andava in di-rezione delle misure detentive alternative (arresti domiciliari, affidamento in co-munità per i tossicodipendenti) e quindi, per adesso, alla classe politica pare andar bene così. Nell’attesa delle novità che non arrivano, lo Stato italiano si dovrà far carico del risarcimento di € 100.000 stabilito dalla Corte Europea a favore dei 7 che hanno fatto ricorso. E’ lecito presumere che i 550 che hanno depositato a loro volta un ricorso per lo stesso motivo staranno sfregandosi le mani.– Dal 1995, “Reporter sans frontieres” pubblica il suo rapporto annuale sullo stato dell’informazione nel mondo, ana-lizzando la libertà e l’indipendenza della stampa. I dati del 2012 (rilevati su 179 Stati) sono particolarmente inquietanti, per-ché evidenziano la realtà di una infor-mazione malata, parziale quando non assente,spesso succube del potere che coinvolge tanta parte del continente afri-cano e asiatico, ma che non disdegna realtà più avanzate, se si pensa al 173° posto della Cina, al 154° della Turchia, al 148° della Russia, al 140° dell’India o al 53° del Giappone (per la cronaca, l’Italia si colloca al 57° posto, in lieve migliora-mento rispetto al 2012).Colpisce, in particolare, la repressione della libertà di espressione che si registra nei Paesi investiti dalla cosiddetta Pri-mavera Araba (Tunisia, Egitto e Libia), dove la transizione fatica a liberarsi della censura.Ma le precarie condizioni di salute dell’informazione non riguardano soltan-to l’ambito di chi opera dietro un compu-ter o con il microfono in mano, ma anche e soprattutto coloro che “si ostinano” a raccontare la realtà documentando la barbarie della guerra, la repressione o la delinquenza organizzata rischiando in prima persona.Ottoantotto giornalisti sono stati uccisi nel mondo nel 2012, un numero mai così elevato che fa registrare un aumento del 33 percento rispetto all’anno prima, ai quali si aggiungono le centinaia di arre-stati, aggrediti, rapiti o costretti a fuggire.

di Saverio Morselli www.segnalidipace.wordpress.com

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Esce in questi giorni su etichetta “Lo Scafandro” il nuovo album dei reggiani RadioAlice intitolato Outlet. La band è in azione da diversi anni è composta da per-sonaggi provenienti da diverse esperienze nella scena musicale reggiana. E’ morto Outlet. Ne dà il triste annuncio per mez-zo della sua ultima trasmissione RadioA-lice. L’Outlet se ne va e si trascina dietro una bella fetta di questa nostra società, equamente divisa tra apparenza e consu-mo. Dodici pezzi che descrivono a ritmo serrato l’irreversibile sfaldamento di un modo di vivere, di pensare, di essere. Da una “gioventù bruciata” dalle microonde di un costosissimo telefonino, incapace perfino di ritrovare la strada di casa senza l’ausilio della voce sintetica dell’ultimo modello di navigatore, all’esodato vitti-ma del comma 22 “troppo vecchio per lavorare ma troppo giovane per la pensio-ne”. Dalla “faccetta nera” che si avven-tura sulle acque del Mediterraneo con la speranza di banchettare all’italico buffet, non sapendo che questo è ormai del tutto avariato, a una classe politica più attenta a non mancare al prossimo “fashion party e mignotte” che a preoccuparsi dell’infi-nita serie di cartelli “vendesi”o “affittasi” sparsi ormai lungo ogni strada del Bel Pa-ese. Un paese dove pure la forza eversiva

del rock è inghiottita dal buco nero delle cover band. Dove quasi tutte le categorie di “lavoratori” possono tranquillamente sentirsi “nella merda”. Dove una bella passeggiata tra gli impro-nunciabili nomi dei mobili e ammennico-li “made in Ikea” diviene atto maggior-mente catartico di credere e praticare la fede cattolica, sempre più casta sorda ai bisogni della gente e al passare del tem-po; ma “la tradizione si deve rispettare” quindi vai con i crocefissi dappertutto, con le onde elettrosalvifiche e “il premio fedeltà” di radio Maria. E chi, per un motivo o per un altro non segue la “retta via”, non è difficile che scompaia nelle patrie galere per “presun-ta morte naturale”. Per cause di “forza” maggiore, come le tragedie Stefano Cucchi, Federico Aldro-vandi, e tanti altri ci ricordano ogni gior-no. E’ morto Outlet... chissà che dalle sue ceneri non rinasca qualcosa di diverso e di migliore. Un disco che parla di morte con l’occhio della Fenice: un disco di Speranza. Ra-dioAlice sono Alberto Bondavalli/chi-tarra, Massimiliano Cavazzoni/voce, Al-berto Giroldini/chitarra, Sergio Giuliano/batteria, Paolo Lusenti/basso.

Outlet il nuovo album dei reggiani RadioAlice

di Fabrizio “Taver” Tavernelli, presidente ANPI Correggio

Ladro di opinionile rubriche

Lo avevamo lasciato a The Seed 2.0 con i Roots e all’avventura lo-fi di The Head-phone Masterpiece, poi ne avevamo qua-si perso le tracce. Cody ChesnuTT, tutta-via, non appartiene a quella categoria di artisti che ha il bisogno viscerale di sfor-nare album come pagnotte per non cade-re nell’oblio. La sua creatività richiede tempo, si nutre di lentezza, concetto che in un’epoca di convulso movimento ac-quista un valore quasi sacro. A dieci anni

di distanza dal suo predecessore, Landing On A Hundred torna a ribadire l’impor-tanza della completa indipendenza, e non solo per essere stato finanziato utilizzan-do il più noto sito di crowdfunding. Lo fa con un trionfo di indie soul candidamente vintage che recupera sentimenti persi e invita a infrangere la cortina di ferro del multitasking relazionale da web e ritro-vare il calore umano. Ed è lo stesso Cody a dare l’esempio, rinunciando al ruolo

di genialoide sperimentatore destinato ai manuali di musicologia, e abbando-nando il minimalismo per arrangiamenti pieni, corposi, lascivi, più ovvi nella pri-ma parte, più creativi nella seconda, che guardano ai classici del genere. Recupe-randone la capacità di trafiggere l’anima e accarezzarla, di solleticare l’orgoglio etnico (Till I Met Thee), di ammettere gli errori con dissonanze e incedere bluesy (Don’t Follow Me), di generare catartica

intro- outro

di Gianni Monti

Landing On A Hundred Cody ChesnuTT

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redenzione (Everybody’s Brother, Don’t Wanna Go the Other Way), di guardare alla Motown per celebrare gli alti e i bassi dell’amore (Love Is More Than A Wed-ding Day). Quando si lascia andare, tutto s’illumina, e allora rispolvera il suo Sly Stone interiore per un esame della sua

vita (I’ve Been Life), imbastisce un’idea-le incontro con Marvin Gay per riflettere sulle odierne miserie di una società per nulla appagata (Under The Spella Of A Handout), affronta un viaggio psichede-lico nell’afrobeat (Don’t Wanno Go The Other Way) e ridona forza alla protest

song (Where Is All the Money Going?). L’uomo che voleva “fertilizzare una don-na alle spalle della sua ragazza”, esplora la “Normalità” e riesce a non annullarsi nella schiera dei tanti soulful songwriter. Questione di stile. (g.m.)

a cura del professor Giuliano Bedogni

L’informazione sanitaria

le rubriche

Egregio dott. Bedogni,sono una donna di 65 anni e il mio medico di base mi suggerisce di fare una colonscopia per dei disturbi che da un po’ di tempo mi danno da fare.Oggi però, ascoltando in TG dell’Emilia Romagna, sul 3, ho sentito, mentre trafficavo in cucina, una notizia che mi preoccupa non poco. Mi è sfuggito in quale città della nostra regione, comunque è accaduto questo: una persona è morta dopo aver subito appunto una colonscopia. E da come hanno dato la notizia mi è sembrato di capire che la causa sia stata appunto l’esame praticato.Le risulta che ci siano precedenti in merito? E poi, ci sono comunque dei rischi?Sono piuttosto in ansia e, data la sua ben nota competenza specialistica, le sarei grata di una ri-sposta sperando che sia tale da tranquillizzarmi.Distinti saluti

Francesca B.

Gentile signora Francesca,La ringrazio molto per la sua lettera perché introduce, coi quesiti posti, un tema di fondamentale importanza che sta a cuore a tanti medici e pazienti: quello del rischio in medicina.Non voglio e non posso entrare ovvia-mente nel merito delle circostanze cli-niche che ignoro nello specifico e che hanno provocato purtroppo il decesso del paziente di cui hanno parlato alcu-ni canali televisivi.Si dovranno attendere necessariamen-te le risultanze delle indagini di carat-tere medico-legale avviate per appura-re se esistano rapporti di causalità ed eventuali responsabilità degli operato-ri che hanno eseguito l’indagine endo-scopica. Purtroppo,per rispondere con sincerità e franchezza alla sua domanda va detto che complicanze gravi e fatali, sia pure estremamente rare (se rapportate sopra-tutto alle diverse migliaia di colonsco-pie eseguite ogni anno anche solo nella nostra provincia), possono verificarsi in corso e in seguito a pratiche mediche intrusive come la colonscopia.

La medicina non è matematica, non è una scienza esatta non si pratica a “rischio zero”; è “arte del possibile e scienza del probabile” come è stato detto e a volte “siamo costretti a pro-cedere non nel chiaro meriggio delle certezze ma nel crepuscolo delle pro-babilità”.Nonostante i grandi progressi, l’am-pliamento delle conoscenze e lo stu-pefacente sviluppo delle tecnologie esistono limiti e possibilità di errori anche se si tende ad enfatizzare sem-pre il singolo caso , l’“evento avver-so”, l’episodio di malasanità senza considerare l’altra faccia della meda-glia ben più ampia dei tanti tanti casi risolti favorevolmente le tante migliaia di pazienti guariti ogni giorno e resti-tuiti felicemente alla propria vita fami-liare e lavorativa.Fatta questa doverosa premessa ri-spondo ora alla domanda che più le preme e la riguarda personalmente: oggi si riconosce universalmente nella colonscopia un metodica sicura ed ef-ficace, indispensabile nel trattamento diagnostico e terapeutico della mag-

gior parte delle malattie intestinalalla (polipi, tumori del colon, colite ulce-rosa, morbo di crohn ecc. per citare i riscontri diagnosticifrequenti e importanti. E’ grazie alla colonscopia che oggi noi possiamo dirci in grado di salvare mol-te vite ogni giorno nella nostra attività quotidiana di medici endoscopisti.Si pensi infatti solo ai vantaggi conse-guiti in termini di diagnosi precoci di tumori maligni e asportazioni di centi-naia di polipi che ogni anno nella no-stra province (fra le prime in Italia e nella regione) vengono effettuate nelle nostre strutture sanitarie nell’ambito delle campagne di screening.Sono convinto pertanto, cara France-sca, che il suo medico le abbia dato un consiglio utile ,appropriato e corretto di fronte alla comparsa dei “disturbi intestinali” che lei stessa riferisce e sono ancora più convinto che nel suo caso il piatto della bilancia dei benefici attesi superi largamente il peso dei ri-schi (minimi) eventuali che può com-portare la colonscopia.

Festa ANPI 20 gennaio 2013

Centro socialeRosta nuova

120 amici dei Partigiani

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Viaggio nelle stazioni ferroviarie delle linee reggiane da REGGIO a SASSUOLO

da CIANO a GUASTALLA

di Massimo Becchi www.legambientereggioemilia.it.

le rubriche

LE SITUAZIONI PIU’ CRITICHE SULLA REGGIO-GUASTALLA. NON MANCANO PUNTI DI ECCELLENZA MA MOLTI SONO I PROBLEMI DA RISOLVERE – IL 42 PERCENTO DELLE FERMATE E’ STATO BOCCIATO

Legambiente Reggio Emilia ha realizzato nel mese di dicembre in occasione di Pen-dolaria, la campagna dell’associazione dedicata alla mobilità sostenibile e ai diritti di chi ogni giorno si sposta in treno, un’indagine sulla situazione delle tre linee ferrovia-rie locali, che dal capoluogo raggiungono Ciano, Guastalla e Sassuolo. Attraverso il lavoro dei volontari del servizio civile nazionale sono state ispezionate tutte le fermate di queste tre linee, verificando alcuni parametri ritenuti fondamentali, come la presen-za di edifici (stazioni), servizi igienici, obliteratrici, panchine, pattuni, biglietterie e stato di pulizia. E’ ormai assodato, infatti, che il servizio di trasporto pubblico inizi dai servizi a terra, ovvero dalla fermata a cui un utente accede, e non sia ascrivibile al solo mezzo su cui uno sale. Attraverso dei semplici indicatori è poi stata stilata una gradua-toria delle stazioni più accoglienti e di quante sono semplici pensiline o qualcosa di meno, alcune delle quali versano in uno stato di degrado significativo. Il verde indica le stazioni promosse, il giallo le rimandate e il rosso le bocciate

Si salvano nel complesso le fermate nei paesi di maggior dimensione, dove è maggiore il numero di utenti, mentre le criticità le abbiamo nelle fermate minori. La tratta che presenta un maggior stato di degrado è la Reggio-Guastalla, in cui ben 8 fermate su 13 sono state bocciate e solo una (Guastalla) è stata promossa. Complessivamente sulle 36 fermate visitate, solo il 16 percento è passato a pieni voti, mentre il 42 percento è bocciata ed altrettante rimandate.Se da un lato va segnalato la scarsa cura e manutenzione di molte fermate da parte di Ferrovie Emilia-Romagna, dall’altro va sottolineato che questo stato di cose è anche frutto della maleducazione di una parte della cittadinanza che ha indubbiamente con-tribuito a rendere questi luoghi ancora più degradati. Molte stazioni inoltre sono difficilmente o per nulla fruibili da disabili, per la presenza di gradini, piattaforme sopralelevate non raccordate con rampe e sale d’attesa non sullo stesso piano dei binari. Mancano inoltre macchinette automatiche per la vendita di biglietti ferroviari. Se è spiegabile la mancanza in molti casi di servizi igienici, lo diventa molto meno il non funzionamento delle obliteratrici e di semplici sedute durante le attese. Per queste verifiche sono bastate due persone che in tre mattine hanno effettuato i controlli, quindi una verifica semplicissima che anche FER può in qualsiasi momento fare, come pure porre rmedio a molte situazioni di degrado con una spesa molto contenuta. Quella dei treni per i pendolari è una vera e propria emergenza non solo locale ma anche nazionale di cui nessuno sembra intenzionato a occuparsi. Per chi si muove in treno ogni giorno il servizio dovrebbe essere il più confortevole possibile e solo così è possibile far aumentare l’utenza che si muove su ferro. Legambiente si impegnerà a metà 2013 a ripetere questa verifica per controllare se qualcosa è stato fatto da parte di FER o se la trascuratezza e la pigrizia la faranno ancora da padrone.

Dall’alto: la stazione di Pratissolo, quella di Villalunga di Luzzara e un particolare dei bagni della stazione di Santo Stefano a Reggio Emilia

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commemorazioni

Commemorato l’eccidio di GattaDomenica 13 gennaio si è svolta la commemorazione del 68° anniversario dell’eccidio alla presenza di Roberta Mori e Christian Vergalli

«Il ricordo – ha detto Christian Vergalli, esponente del Circolo Pd Reggio 6 – va agli 11 partigiani che 68 anni fa hanno perso la vita per amore della loro Patria, nel tentativo di ridare la libertà al nostro Paese. Tra questi Sergio Stranieri detto “Randa”, 21enne operaio alle Reggiane, partigiano da soli nove giorni, che abi-tava in quello che ha preso il suo nome: Villaggio Stranieri. E Aldo Bagni detto “Nerone” anche lui giovane operaio delle Reggiane che abitava alle Case Vecchie di San Maurizio. Tutti loro sapevano di rischiare la vita, ma non hanno esitato a combattere per garantire all’Italia intera un futuro migliore fatto di democrazia e libertà». «Non bisogna rischiare - ha con-tinuato Vergalli - di allontanarsi dal ricor-do di quel periodo e di quei valori che ci hanno portato alla liberazione dalla dittatura fascista e alla fondazione di una democrazia che ha come base la Costitu-zione. Per questo – ha concluso – credo che il modo migliore per onorare il loro ricordo sia quello di riflettere sui valori della democrazia moderna e della nostra Costituzione».Dal canto suo la consigliera regionale Roberta Mori, oratrice ufficiale, tra l’al-tro ha affermato:«In questa importante occasione com-memorativa, porto il saluto della Regio-ne Emilia-Romagna che abbraccia con profonda commozione il ricordo delle donne e degli uomini che scelsero di es-sere giusti, scelsero l’onore, scelsero la libertà, scelsero il sacrificio; le donne e gli uomini che fecero la Resistenza Par-tigiana, di cui il martirio di Gatta è uno degli episodi che ha segnato la storia e i sentimenti delle nostre Comunità, l’iden-tità stessa del nostro Paese.

Commemorare oggi e sempre l’eccidio dei Partigiani del distaccamento “Pigoni” della 26a Brigata Garibaldi significa ricordare, con rinnovata commozione, l’audacia e la generosità di ciascuno di coloro che persero la vita.Vasco Madini “Fulmine” e Sergio Stranieri “Randa”, i due giovani di guardia sorpresi e uccisi dai tedeschi quella tragica mattina dell’8 gennaio 1945. Aldo Bagni “Nerone”, Angelo Masini “Tonino”, Arturo Roteglia “Ellas”, Manlio Bruno “Costantino”, Rug-gero Silvestri “Jena”, Aristide Sberveglieri “Tallin” e Armando Ganapini “Lazzarino”, catturati, portati all’interno della semi diroccata Villa Marta e là torturati ed uccisi. Gino Ganapini “Leone” e Carlo Pignedoli “Mitra”, condotti nelle carceri di Ciano e fucilati il 26 gennaio ’45.La storia di ciascuno di loro è la storia di tutti, non di qualche vessillo ideologico. Nel loro sacrificio per un mondo migliore sta la verità profonda della Resistenza su cui si erge il Tricolore, l’aver restituito all’Italia piena dignità di paese libero, l’aver restitu-ito all’Italia un futuro senza inerti e comodi attendismi. Questo è il senso della storia, questo il senso della Resistenza che istituzioni e cittadini sono chiamati a custodire e riaffermare con imperitura determinazione e forza. In un tempo presente, il nostro, che si presenta orfano di valori assoluti, di esempi fulgidi, di speranze tangibili, i tanti uomini e le tante donne che, giovani e giovanissi-mi, di fronte all’oppressione di una dittatura e all’occupazione di un esercito nemico, non rinunciarono ai propri ideali, ma li seppero tradurre in gesti concreti di resistenza, libertà e solidarietà,costituiscono la spina dorsale della nostra Repubblica democratica e della pace che abbiamo conosciuto». (g.b.)

Roberta Mori davanti alla lapi-de coi nomi de-gli 11 partigiani vittime dell’ec-cidio di Gatta

Tesseramento ANPI 2013Anna Parigi, Fiorella Ferrarrini e, ultimo a destra, Valenti-no Gazzini al banchetto dell’ANPI il 17 novembre scorso, all’angolo di piazza Del Monte / via Crispi durante la campagna tesseramento 2013

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Ricordato a Guastalla il sacrificio didon Pietro De Carli (1876 -1944)di Antonio Zambonelli

Sabato 15 dicembre 2012 si è svolta con successo, a Guastalla, la commemo-razione di don Pietro De Carli, il sacer-dote nato a Guastalla nel 1876 e ucciso nell’eccidio nazifascista di Torre Paponi (Imperia) il 16 dicembre 1944 insieme al confratello don Vittorio De Andreis e 26 civili. L’iniziativa è stata promossa da: ANPI provinciale e locale, ALPI-APC, Centro diocesano di studi storici in colla-borazione col Comune di Guastalla.Tra il pubblico che riempiva la sala ci-vica, anche gli studenti di quattro quin-te degli Istituti superiori locali (due del Russel e due dell’IPS “M.Carrara”). I vari interventi hanno contribuito a ride-finire con maggiore nettezza la figura di un sacerdote di cui si era persa memoria e che solo negli ultimi due o tre anni si era cominciato a riscoprire, in particolare per iniziativa dell’ANPI locale. Parimenti hanno collocato il tragico evento di Torre Paponi nel più ampio contesto della sto-ria del Novecento.Introducendo e lungo la conduzione de-gli interventi, il sottoscritto ha segnalato la stretta e tragica analogia tra la vicenda di Torre Paponi e quella reggiana di Cer-varòlo: in entrambi i casi inermi civili, compresi sacerdoti, massacrati da soldati tedeschi coadiuvati da militi fascisti della GNR.Non per riaprire solchi tra i popoli, ma anzi per un’azione incessante, a partire dalla memoria, di educazione alla cittadinanza europea. Sull’esempio, qui nel Reggiano, di quei viaggi “Sulle tracce della Resi-stenza” a cui partecipano da anni centi-naia di giovani tedeschi. Un gruppo dei

quali, nel lonta-no 1987, lasciò nell’aia di Cer-varòlo una si-gnificativa epi-grafe bilingue: “I figli e le figlie di coloro/ che qui trucidarono i vostri/inermi padri, posero in/ sempiterno au-gurio di pace.” Il Sindaco dott. Giorgio Benaglia ha a sua volta sottolineato la necessità di coltiva-re la memoria di tragici eventi evitando strumentalizzazioni.Il presidente ANPI di Guastalla, Primo Benatti, ha segnalato l’impegno dell’AN-PI nel condurre un’azione di conoscenza della storia del Novecento con particola-re attenzione alle giovani generazioni e al mondo della scuola.Il dott. Danilo Morini, presidente AL-PI-APC, richiamando la preghiera dei “Ribelli per amore”, del partigiano cat-tolico Teresio Olivelli, ha sottolineato come dalla conoscenza delle tragedie del passato debba scaturire una educa-zione alla pace. L’architetto Bartolomeo Papone, a nome della piccola comunità di Torre Paponi, ha ricordato che da sempre è tenuto vivo e intimo il ricordo di una tragedia circa la quale ancora ci si interroga senza trovare risposta e senza avere mai cercato sboc-chi giudiziari.Il dott. Gabriele Maestri, dell’ANPI lo-cale, ha affrontato il tema: “Di chi è la

Resistenza?” Innanzitutto di chi l’ha fatta – ha risposto - anche senza armi ma aiu-tando e sapendo resistere in altri modi. Come hanno fatto anche tante donne. E’ altresì di chi, dopo, ha potuto fruire di una enorme eredità, la Costituzione, che ha rifondato lo Stato su basi autenticamente democratiche con un forte discontinuità ri-spetto al vecchio Stato libe-rale pre-fascista. Infine la Resistenza non è di una sola parte, ma di chiun-

que se ne senta coinvolto.Il prof. Mario Colletti, tra l’altro collabo-ratore dei professori Giuseppe Giovan-nelli e mons. Giovanni Costi, per la Storia della Chiesa reggiana dai primi secoli, ha svolto un’ampia relazione, frutto di una scrupolosa ricerca archivistica, su don P. De Carli. Un sacerdote tra due secoli. Si è così finalmente ripercorsa la biogra-fia di un prete guastallese di cui non si conoscevano le tappe attraverso le quali era approdato alla Diocesi di Imperia. Nato a Guastalla nel 1875 (non ’76), con-sacrato a Modena nel 1898, curato a No-vellara dal 1899 per 11 anni, aveva poi seguito il Vescovo di Guastalla Andrea Ferrari diventato Arcivescovo della Dio-cesi di Milano. Nel 1911 don Pietro è cappellano a Mi-lano, dal 1931 a Bordighera, dal 1937 eccolo parroco a Torre Paponi dove in-contrerà un’atroce morte. Sarebbe importante pubblicare questa relazione, qui solo accennata, in cui le tappe della biografia di don Pietro si in-tersecano con la grande storia.In un suo articolo del 31 luglio 2011 Ga-briele Maestri, dopo aver rievocato l’ec-cidio di Torre Paponi, così concludeva: “Ora è tempo che anche i guastallesi ri-cordino il ‘loro’ don Pietro”.Con il Convegno di dicembre 2012 l’au-spicio si è realizzato. E dovrà ripetersi nel tempo. Magari associando il sacrificio suo, di don De Andreis e dei 26 paesani di Torre Paponi a quello di don Battista Pigozzi e dei suoi 24 parrocchiani di Cervarolo.

Uno scorcio del pubblico in sala. In primo piano la sen. Albertina Soliani

La presidenza del Convegno; da sinistra: il sindaco di Guastalla Giorgio Bena-glia, l’architetto Papone, Primo Benatti, Zambonelli (in piedi) il prof. Colletti

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Commemorati i 23 patrioti di Villa Sesso

Si è svolta lo scorso 16 dicembre la commemorazione dell’eccidio di Villa Sesso (RE), dove tra il 17 e il 21 dicem-bre 1944 i fascisti repubblicani fucilaro-no 23 persone. Furono: Virginio, Gino, Aldino, Guglielmo e Alfeo Manfredi, Franco Ferrari, Emidio Ferrari, Angioli-no Orsini, Ferdinando e Remo Miselli, Effrem Conforti, Domenico Tosi, Spar-taco Davoli, Emore Veronesi, Domeni-co Catellani, Aldo Corradini, Umberto Pistelli, Loris Simonazzi, Dino Ferrari, Alfredo Orioli, Luigi Lusetti, James Ca-vazzoni,. Pierino Soliani Dopo la funzione religiosa, il prof. Um-berto Bedogni era l’oratore ufficiale del-la manifestazione. Del suo intervento, qui di seguito, pubblichiamo alcuni brevi passaggi“Episodi tragici come l’eccidio di Villa Sesso si inquadrano in una guerra civi-le che i fascisti hanno scatenato fin dai primi anni Venti e che si configura come violenza a senso unico, quella del pote-re fascista contro le masse popolari. E mentre perdura l’amarezza e il dolore per questi eccidi è con amarezza e indi-gnazione che vediamo come, episodi che apparivano rigurgiti nostalgici, si stanno trasformando in movimenti organizzati contro il tessuto stesso della nostra de-mocrazia, sia in Italia che in altri paesi d’Europa. E’ nei periodi di crisi econo-mica e morale che simili fenomeni pren-dono piede. Sedi e movimenti di chiara natura neofascista, razzista e xenofoba sono presenti ed operano non di rado con la complicità delle stesse istituzioni.Tale situazione richiede interventi a par-tire dalla scuola per un’educazione fon-data sulla conoscenza della nostra storia nel Novecento. Eppure perfino la legge

68° anniversario

Scelba del 1952 imponeva la dif-fusione della conoscenza fra i gio-vani di ciò che è stato il fascismo. Ed è dalla scuola che deve iniziare un programma di formazione dei futuri cittadini basato su un cultura della legalità, della convivenza ci-vile, dell’accoglienza. […]Dal sacrificio delle due famiglie dei Miselli e dei Manfredi, come di tutti coloro che, uomini e don-ne, hanno combattuto e sono mor-ti nelle pianure e sulle montagne, è scaturito il diritto e il dovere di esprimere e affermare quei principi universali di solidarietà, dignità e giustizia che nella nostra terra han-no storicamente radici nella tradi-zione socialista e cristiana”.Ha preso poi la parola Mpaliza John Balagizi, cittadino reggiano, attivista per la pace di origine con-golese. Al termine degli interventi sono state deposte corone di fiori al monumento che ricorda quelle tra-giche giornate. (a.z.)

Ricordati i fucilati di viaPorta Brennone

Il tre febbraio 1945 come rappresaglia per il ferimento di cinque poliziotti, avve-nuto il giorno prima in Corso Garibaldi, i fascisti prelevarono quattro carcerati e li fucilarono all’altezza di via Porta Bren-none: Cristoforo Carabillò da Palermo,

Sante Lusuardi e Dino Turci, entrambi da Correggio, e Vittorio Tognoli da Scandia-no. I cadaveri furono lasciati sul posto come monito alla popolazione. Nella foto Antonio Zambonelli nel corso della commemorazione il 4 febbraio scorso.

Il dott. Giuliano Bedogni e Mpaliza John Balagizi du-rante i loro interventi . Sotto: omaggio al monumento ai caduti di Villa Sesso

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Ricordati i 7 Fratelli Cervi e Quarto Camurri

Il 28 dicembre 1943 Agostino, Aldo, Antenore, Ettore, Ferdinando, Gelindo e Ovidio, i sette fratelli Cervi, vennero fucilati dai fascisti insieme a Quarto Ca-murri nel poligono di tiro cittadino. Nel 69° anniversario dell’eccidio, il Comune e la Provincia di Reggio Emilia, l’istitu-to Alcide Cervi, i Comuni di Gattatico, Campegine e Guastalla, le associazioni Anpi, Alpi, Apc, Anppia e l’Istoreco han-no ricordato quegli storici e tragici eventi con diverse di iniziative articolate su due giornate: il 28 al poligono di tiro di via Paterlini, nella residenza della famiglia Cervi a Gattatico e nel paese d’origine di Camurri, Guastalla.Il primo appuntamento è stato l’omaggio alla tomba di Quarto Camurri nel cimi-tero di Guastalla e, successivamente alla tomba dei fratelli Cervi nel cimitero di

69° anniversario

Campegine. Poi le commemorazioni si sono spostate sul luogo dell’eccidio, il poligo-no di tiro di Reggio.Le celebrazioni si sono concluse sabato 29 dicembre presso il Museo Cervi di Gatta-tico con il vicepresidente del Senato Vannino Chiti e un concerto di Auroraensemble.

Il 30 gennaio 1944, nel poligono di tiro di Reggio Emilia i fascisti repubblicani fucilarono don Pasquino Borghi e al-tri otto antifascisti: Ferruccio Battini, Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovannetti, Enrico Menozzi, Contardo Trentini ed Enrico Zambonini. Il 69° anniversario dell’eccidio è stato ricordato con un programma di iniziati-ve promosse da Comune e Provincia di Reggio Emilia, Istituto “Alcide Cervi”, Istoreco, ANPI, ALPI, APC, ANPPIA. Dopo la deposizione della corona di fio-ri nel Poligono di tiro alla presenza delle autorità cittadine, nella nuova Palestra di Rivalta, è stato organizzato un incontro con ragazzi e ragazze della scuola media che porta il nome del prete antifascista. All’incontro hanno partecipato l’assesso-re all’Educazione del Comune di Reggio Emilia, l’assessore alla Sicurezza socia-ledella Provincia di Reggio Emilia, Gia-como Notari e Danilo Morini delle asso-ciazioni partigiane ANPI e ALPI-APC. Dopo il saluto di Gianni Dodi e della nipote Simona Casarini con lettura di poesie tratte da libro Poesie, dolore, lotta di Rosa Dodi (moglie di Umberto Dodi), ha preso la parola Massimo Storchi, di

Fucilazione di don Pasquino Borghi e di 8 antifascisti

Istoreco, che ha ricostruito storicamente la vita del prete e il contesto in cui si è con-sumata la tragedia.Già domenica 27 gennaio a Tapignola di Villa Minozzo, dove don Pasquino aveva la parrocchia, dopo il saluto delle autorità, gli studenti della locale scuola media Galileo Galilei hanno rievocato la figura del sacerdote trucidato.

Un momento della commemorazione nella palestra di Rivalta. Al microfono Gianni Dodi e al suo fian-co Simona Casarini; seduti, da sinistra si riconoscono, Giacomo Notari, Iuna Sassi e Danilo Morini

69° anniversario

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68 ANNI OR SONO LA FUCILAZIONE DI ANGELO ZANTI

La grandissima parte degli oltre no-vemila partigiani reggiani avevano un’età attorno ai vent’anni. Angelo Zanti, Amos, medaglia d’argen-to alla memoria, quando venne fucilato aveva 49 anni.Come Vittorio Saltini, Sante Vincenzi, Paolo Davoli, tutti caduti sotto le tor-ture e il piombo fascista nei primissimi mesi del ’45, era di una generazione più anziana. Sia Zanti che Davoli e Vincen-zi facevano parte di quella settantina di comunisti reggiani reduci dall’esilio, dal carcere o dal confino(alcuni di loro anche sopravvissuti alla guerra di Spagna) che costituirono il ner-bo politico e militare della lotta di libera-zione in terra reggiana fin dal suo inizio. Estradato dalla Francia occupata dopo 17 anni di esilio, nel 1940, fu al confino di Ventotene fino alla caduta di Mussolini e venne liberato nell’agosto 1943.Ufficiale di Collegamento tra il Coman-do Piazza della resistenza reggiana, il Comando unico dell’Emilia Romagna e le brigate dell’Appennino, il 27 novem-bre 1944 cadde in mani fasciste.L’8 gennaio successivo il Tribunale stra-ordinario di guerra lo condannò a morte assieme agli altri componenti del Co-mando Piazza Luigi Ferrari e Carlo Calvi (DC), Adriano Oliva (P.d’Azione), Gino Prandi (socialista).Come è ben documentato, il col. delle SS Eugen Dollman suggerì ed ottenne che soltanto contro Zanti, comunista, venis-se eseguita la sentenza. Ciò anche, come argomentò in una riunione congiunta tra fascisti e autorità germaniche, per intro-durre motivi di divisione all’interno dei “ribelli”.Nato nel 1896 in una famiglia proleta-ria di Cavriago, Angelo a soli 10 anni dovette già cominciare a lavorare come apprendista. Iscritto al locale circolo socialista all’età di 16 anni, nel 1912, dopo aver parteci-pato alla guerra 15-18 tornò a casa ani-mato dalla volontà di farla finita con le “inutili stragi” (secondo la definizione di Benedetto XV), e di battersi contro le cause che portano alle guerre, all’insegna del famoso slogan del socialista francese Jean Jaurès: il capitalismo porta con sé la guerra come la nube porta la tempesta.

ESULE ANTIFASCISTA PROMOTORE DELLA RESISTENZA

13 gennaio 1945- 2013

di Antonio Zambonelli

Eletto consigliere comunale a Cavriago nel 1920, nel 1921 fu tra i fondatori del P.C. d’I., perseguendo la generosa utopia che sembrava realizzarsi con l’Ottobre rosso dei soviet. La violenza omici-da dello squadrismo costringerà Zanti, come centinaia di altri reggiani, all’esilio in Francia, nel caso specifico ad Argen-teuil, sulla scia di un’antica filiera di mi-grazioni economiche.Per tutti gli anni dell’esilio, e anche du-rante il breve periodo di rientro in Italia,

non cesserà il suo impegno antifascista, compreso quello, dal 1931, nell’Unione popolare italiana a Nizza, una sorta di anticipazione del Cln italiano di 12 anni dopo.La lapide inaugurata il 13 dicembre 2007 sul muro sud della ex Caserna Zucchi, ci ricorda che nel cortile retrostante, con la fucilazione di Zanti, venne messa a mor-te una persona che ha dato davvero la sua vita per la libertà, un resistente antifasci-sta di lungo periodo. La sua Resistenza essendo iniziata fin da quando, nel 1920, lo squadrismo nero scatenò quella “guer-ra civile” che avrà il suo tragico epilogo con la seconda guerra mondiale. Zanti fu un combattente per la libertà d’’Italia e dell’Europa. In momenti di smarrimento e di ricerca di senso è necessario ricordare uomini come Zanti, magari fermandosi un atti-mo davanti alla lapide che ne tramanda il sacrificio. O donne, come lui cavriaghine e partigiane, quali Bruna Davoli, Tina Boniburini e Rosina Becchi, che non lon-tano dalla Caserma Zucchi, a Villa Cuc-chi, seppero eroicamente resistere alle atroci torture loro inferte dagli sgherri repubblichini al servizio di Hitler. (a.z.)

Angelo Zanti

Ricordato Felice Montanari il Partigiano Nero

La commemorazione nella Sala consiliare di Boretto, con gli interventi dei sindaci di Boretto e Canneto sull’Oglio, Massimo Gazza e Piero Cervi, di Michele Bellelli in rappresentanza di Istoreco e Alessandro Fontanesi per l’ANPI.

L’omaggio alla tomba di Felice Montari a Can-neto sull’Oglio.

All’alba del 5 gennaio 1945, isolato dal resto della squadra, Nero trovó rifugio nel casello ferroviario numero 23 della linea tra Boretto e Poviglio, aveva con se un sottufficiale tedesco preso prigioniero. Tedeschi e fascisti tuttavia lo individuarono e circondarono il casello, per ore resitette, sparando da più finestre per far credere di non essere solo, il giovane partigiano riuscì a tenere a bada i nemici. Poi, tentando un ultimo assalto i nazifascisti presero dei civili e li usarono come scudi umani, Nero a questo punto, a corto di munizioni e per non sparare su quegli innocenti, prima liberó il suo prigioniero e poi si sparó. Sul muro del casello scrisse: «Perduto. Portate un fiore rosso

5 gennaio 1945-2013

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Sui militari reggiani mortiinternati in Germania

Da qualche tempo si ha notizia del rim-patrio dei resti mortali di reggiani che, militari durante la 2a guerra mondiale, furono fatti prigionieri dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943.Tra gli ultimi Nul-lo Castagnoli, di Cadelbosco, e Renzo Montecroci, di Toano. Diversi nostri conterraanei morti in pri-gionia risultano inumati nel cimitero di Oejendrof.Nella prima delle due foto vediamo quel cimitero così come appare oggi, dopo la risistemazione compiuta qualche anno fa. Vi compaiono pietre tombali geome-tricamente disposte.Nella seconda (metà anni Cinquanta)la stessa area segnalata soltanto da una ru-stica croce di legno in occasione della vi-sita del sig. Enzo Ragni e della moglie, di Cavriago. Nella terza il cartello informa che circa 6000 italiani morti in guerra da zone del Nord della Germania verranno

qui nuovamente inumati e che pertanto si prega di capire che durante la sistemazione il cimitero deve restare chiuso.

Il 1° dicembre 2012 è deceduto a Par-ma il prof. Mario Rinaldi, per anni do-cente di Lettere nelle scuole superiori, dirigente dell’ANPI locale, già consi-gliere comunale DS a Neviano Arduini, dove era nato nel 1935. Uomo di vasta cultura e di molteplici interessi in ambito letterario e storiografico, ho avuto modo di conoscerlo come acuto studioso della

Addio a Mario Rinaldi, fine scrittore e acuto studioso della Resistenza

Resistenza e fine scrittore. Ebbi occasio-ne di incontrarlo la prima volta nel 1988, quando presentai, a San Polo d’Enza, Dal Ventasso al Fuso, un bel libro sulla Resistenza in Val d’Enza frutto della cura di Rinaldi e basato sui ricordi del reggia-no Massimiliano Villa, William, fondato-re del distaccamento Don Pasquino nel Ramisetano, poi della leggendaria 47a Garibaldi, sulla sponda parmense.(Un libro verso il quale è certamente de-bitore Valerio Varesi per il suo bel roman-zo La sentenza).Da allora avemmo di tanto in tanto altre occasioni di scambio e di incontro. Nel 2004 mi fece avere il suo “romanzo” (che ebbi a recensire su “Notiziario” n. 8, 2004) Boogie Woogie; anche se ne ha l’andamento e l’A. stesso lo dichiara tale, un romanzo propriamente non è: piutto-sto una rievocazione, attraverso una spe-cie di lungo toccante soliloquio-ramme-morazione sulla tomba della Madre, del piccolo mondo di Neviano tra metà anni Trenta e primi decenni del dopoguerra.Ogni tanto mi spediva suoi articoli pub-blicati sulla “Gazzetta di Parma” con approfondimenti riguardanti vicende

della lotta di liberazione. L’ultimo, pre-annunciato da una telefonata, nell’estate scorsa, relativo al partigiano della 143a (ex 47a) Bruno Bocconi, Fulmine, caduto nella battaglia di Ciano d’Enza.La scomparsa di Mario ha suscitato sin-cero cordoglio a Parma, specialmente in quel mondo resistenziale al quale era profondamente legato. Toccanti parole ha consegnato al sito di “Repubblica” Parma un suo antico allie-vo delle superiori.Ai suoi familiari e ai compagni dell’AN-PI di Parma giunga l’espressione del no-stro rimpianto per la perdita di un amico dal tratto umano indimenticabile (a.z.)

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A quasi cent’anni il partigiano Topo ha smesso di pedalareNella giornata del 2 dicembre u.s., alle ore 18, è morto alla RSA di San Polo, dove era stato ricoverato da pochi giorni, l’ex partigiano Giuseppe Burani, Topo. Nato a Reggio, Villa Canali, l’8 aprile 1913, avrebbe compiuto 100 anni dopo quattro mesi. Antifascista militante fin dall’adolescenza, quando lavorava come garzone dal fabbro Costi, che aveva bot-tega a Canali, dal 1929 fu assunto come operaio alle OMI Reggiane dove lavorò, tolta la pausa del servizio militare, fino al gennaio 1944, quando il grande sta-bilimento fu bombardato. Sposatosi nel 1939 con Alma Bonacini, che avrà al suo fianco come staffetta durante la lotta di liberazione, era stato tra i protagonisti della drammatica giornata del 28 luglio ’43, quando 9 operai vennero uccisi per reprimere la manifestazione per la pace.Dal gennaio ’44 entrò a far parte (nome di battaglia “Topo”) del gruppo dei primi GAP e partecipò a diverse azioni armate per essere poi adibito esclusivamente al lavoro politico, in sostituzione di Angelo Zanti, arrestato il 27.11.1944 e fucilato nel gennaio successivo. Impegnato nella complessa e rischiosa rete dei collegamenti tra pianura (Coman-do Piazza) e brigate della montagna, col nuovo nome di copertura “Livio”, Burani macinò centinaia di kilometri in bicicletta. La prima missione la compì pedalando fino a Cereggio di Ramiseto, per recare al locale comando garibaldino documenti del Comando Piazza. Seguirono molti altri viaggi nel corso dei quali riuscì sempre a cavarsela, evitando di finire in mano nemica, anche perché munito di documenti regolari , compreso quello di esonero dal servizio militare.Nel dopo liberazione, tornato a lavora-re alle Reggiane, Burani si impegnò nel lavoro politico di “costruttore del Pci”, con particolare attenzione alla montagna. Di nuovo in bicicletta, nei sabati e nelle domeniche, eccolo partire da Canali per

di Antonio Zambonelli

le zone col-linari. Nel comune di Viano vole-vano farlo S i n d a c o , ma decli-nò l’invito. Così come non accettò la proposta del Sindaco di Reggio Campioli per essere assunto in comune.“Io volevo sempre restare in produzio-ne”, amava ricordare quando rievocava le sue esperienze di vita.Nel 1946 venne eletto consigliere comu-nale a Reggio. “Il dottor Pistelli fu il 7° in ordine di preferenze ricevute, io l’8°, sicché – ricordava divertito – mi chiama-rono ‘l’ottavo cittadino’”.Dal 1946 al 1950 fece anche parte inin-terrottamente della Commissione interna delle “Reggiane”.Dopo la chiusura dello stabilimento si mise in proprio dandosi da fare con i vari lavori di cui aveva esperienza, compreso quello di calzolaio, appreso fin da bam-bino in famiglia, poi, per 20 anni, quello di venditore ambulante di scarpe, prima battendo la provincia in bicicletta, poi in motorino e infine con un’auto recupera-ta dai residuati bellici e rimessa in sesto con le proprie mani.Fino all’ultimo, fino a quando ne ebbe la forza, impegnato in politica, da mi-litante di base, fu anche legatissimo all’ANPI. Già oltre i 90 anni di età, quando abitava a Bibbiano col figlio Romano, scendeva quasi ogni settima-na con la sua fedele bici a Reggio per una capatina negli uffici dell’Associa-zione partigiana in Via Farini.Lettore appassionato, si pose anche il problema religioso. Quando lo intervi-stammo, nel 2005, concluse così una sua

riflessione :”Comunque se c’è qualcosa lassù – indicando il soffitto con un dito – io il bene ho sempre cercato di farlo, di impegnarmi per gli altri”.Burani, vedovo da parecchi anni, lascia il figlio Romano, la nuora Giovanna ed il nipote Nicola, assieme ai quali ha tra-scorso gli ultimi anni a Bibbiano, dopo aver resistito a lungo per non staccarsi dalla natìa Canali.Il funerale civile si è tenuto martedì 4 dicembre a Villa Canali, con la parteci-pazione di tanti compagni. Il Comune di Reggio era rappresentato dal Consiglie-re Nando Rinaldi, quello di Bibbiano da una delegazione col Gonfalone, diverse le bandiere: quelle partigiane dell’ANPI e quella del PD.Da Parma è venuto in treno, poi a piedi dalla stazione fino a Canali, Gino Ferri, spinto da quanto letto sul sito ANPI cir-ca il funerale del Topo. Sue le foto che qui pubblichiamo e che l’amico e com-pagno Ferri ci ha inviato per e-m accom-pagnandole con queste parole indirizza-te al sottoscritto:“Credo che il funerale di un Partigiano, a ormai 70 anni dalla guerra di liberazione, è di per sé un fatto che merita documen-tare. Se poi riguarda un uomo ecceziona-le, come ieri ho appreso anche dalle tue toccanti parole fosse Giuseppe Burani, allora è quasi un dovere. Sono venuto da Parma pur non conoscendolo, dopo aver appreso del tutto casualmente la notizia. E sono molto contento di averlo fatto”.Aggiungiamo che Ferri, appassionato an-che di performances sportive non agoni-stiche, oltre che ottimo fotografo, si è poi messo in contatto con Gianfranco Fanti-ni, presidente di Tuttinbici. Ne è scaturi-to il progetto di una biclettata, da tenersi nella mattina del 25 aprile, che, parten-do da Rubbianino e passando per alcuni cippi partigiani della zona, si concluda a Bibbiano per ricordare il Topo nel 100° anniversario della sua nascita. (a.z.)

In testa il gonfalone del Comune di Bib-biano. La banda di Albinea ha eseguito le musiche di inni che il Topo aveva voluto:

erano un po’ il riassunto della sua lunga vita: inno dei lavoratori, canzoni partigia-ne, La riva bianca la riva nera (pensando

a Teodorakis), l’Ave Maria di Schubert, nel passaggio del corteo davanti alla

chiesa (segno della laicità autentica del Topo rispettoso delle diversità)

Zambonelli pronuncia l’orazione funebre a nome dell’ANPI nel cimi-tero di Canali

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memoria

Ricordo di Simone Bregadi Eletta Bertani

Il 18 gennaio scorso è deceduto Simo-ne Brega, Partigiano della 77a Bgt. SAP. Nato nel 1920, aveva 92 anni.Simone Brega appartiene a quella gene-razione di lavoratori e di antifascisti che, per la mia generazione, formatasi a ca-vallo degli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, ha rappresentato un punto di riferimento imprescindibile sul piano umano e politico.Figlio di un anarchico, che lo educa all’avversione al fascismo, Brega entra come tecnico specializzato alle Reggiane.“Il 14 Luglio 1942 venni assunto alle Reggiane – scrive Giglio Mazzi Alì – ed assegnato al reparto tracciatori. Il capo-reparto era il sig. Leoni ed il suo uomo più valido era Simone Brega, uno spe-cialista trattenuto dall’arruolamento per le sue notevoli capacità tecniche e per il fatto che le Reggiane in quegli anni erano classificate ‘stabilimento di guerra’”. Dalle testimonianze raccolte, è presente durante la guerra nell’azione di contrasto al fascismo, nel dopoguerra nell’attività sindacale e politica e partecipa attivamen-te alla occupazione della fabbrica nella storica lotta contro i licenziamenti (1950). Dopo i licenziamenti è costretto ad emi-grare in Svizzera e trova lavoro a Zurigo in una grande fabbrica ove, per la sua perizia tecnica e per la professionalità, conquista la stima e il rispetto dei diri-genti, pur mantenendo integre le proprie convinzioni politiche.E’ questo un aspetto fondamentale del-la idea di sé, del lavoro e della vita di uomini come Simone Brega: il valore e l’amore per il proprio lavoro,considerato elemento costitutivo della dignità umana,

il piacere del lavoro ben fatto, il dovere del rigore e dell’impe-gno in ciò che si fa. Sono que-ste qualità che hanno fatto di tan-ti operai e tecnici la risorsa fon-damentale che ha permesso alle aziende italiane di crescere, di competere, di conquistare primati nel mondo. Ed è per questo che le lavoratrici ed i lavoratori italiani immi-grati hanno potuto conquistarsi la stima ed il rispetto in Europa, superando radi-cate diffidenze e ostilità.Ma Brega in Svizzera non è stato solo un bravo lavoratore, è stato uno degli anima-tori della organizzazione sociale civile e politica degli immigrati che si è costituita in quel Paese, grazie, per citare solo alcu-ni nomi, a Dante Peri, presidente onorario delle Colonie libere italiane in Svizzera, a Leo Gazzini, a Enrica Oranci, che han-no saputo svolgere, tra mille difficoltà, un lavoro prezioso di socializzazione, di difesa dei diritti dei lavoratori immigrati, di assistenza materiale e morale delle fa-miglie in difficoltà.Enrica Oranci ricorda questo lavoro pre-zioso e Brega stesso nella sua autobiogra-fia: Il coraggio della vita.Tornato in Italia Brega ha continuato a

lavorare, nella sezione del PCI del suo quartiere, a vendere “l’Unità”, a fare tes-sere al partito comunista italiano. E’ stato anche, come socio della Coop consu-matori, volontario dell’associazione dei soci. Un motivo di amarezza è stato per lui l’essere congedato da questo lavoro, svolto con passione e abnegazione, “sen-za ricevere nemmeno un grazie…”. Mia riflessione al riguardo: il movimen-to democratico non ha forse qualcosa da farsi perdonare per non avere saputo ri-conoscere il valore dell’impegno gratuito e generoso di tante persone che ne hanno fatto e ne fanno la forza, la base portante?Ci sono alcune persone che, in qualche modo, ho adottato come “secondi padri” perché rappresentavano un riferimento di rettitudine, di integrità morale, di sempli-cità e modestia, di umanità, di coerenza pratica rispetto ai propri valori. Tra queste Simone Brega ha un posto particolare. E’ stato anche mio vicino di casa, eravamo iscritti alla stessa sezione del PCI, ci incontravamo spesso, mi par-lava della vita nell’emigrazione, faceva-mo lunghe discussioni politiche.La sua è stata una vita dura, tribolata, ma vissuta con dignità e conquistando il ri-spetto di tutti. Avrebbe meritato una vecchiaia più sere-na e una morte più dolce. Purtroppo non le ha potute avere, per la lunga assistenza che ha dovuto prestare alla moglie malata e per i suoi stessi pro-blemi di salute.Ora merita il ricordo pubblico di chi lo ha co-nosciuto, stimato e gli ha voluto bene. (e.b.)

James Manicardi, partigiano e reduce della campagna di Russiadi Alessandro Fontanesi

Grazie ad una amica, Marisa, vengo a conoscenza della storia di James Ma-nicardi, con commozione mi parla di lui e mi consegna una busta contenente la sua testimonianza scritta, chiedendo-mi di poterla raccontare sul Notiziario Anpi. James oggi ha 96 primavere, nato infatti il 1° gennaio 1917 e si può dire sia ormai uno degli ultimi testimoni della sciagurata campagna di Russia voluta dal fascismo e da Mussolini, una campagna destinata al prevedibile fallimento. Tra dispersi, morti in guerra e se non bastas-se morti per assideramento, furono centi-naia e centinaia gli italiani a non tornare

più da quell’inferno di ghiaccio e neve e se dovessimo dare retta al nostro ex pre-sidente del consiglio, questa è un’altra delle “meritorie medaglie” che, a parte le leggi razziali, dovremmo oggi tributa-re al fascismo. Non ho conosciuto James personalmente, ma dubito che 68 anni dopo, sia disposto a riconoscere dei meri-ti a Mussolini. Nella busta che custodisco preziosamente, oltre a foto e ad articoli di giornale, c’è tutto il resoconto scritto di suo pugno, la storia di James Manicardi, a cominciare dal 22 maggio 1938, quan-do appena ventunenne partì dal distretto militare di Reggio, per tornarvi solo nei

primi mesi del 1943, dopo diverse peripe-zie che ne hanno profondamente segnato l’esistenza. Partì per il fronte russo il 16 luglio 1941 e con lui tanti altri giovani in buona fede, traditi dalle menzogne, dalle speculazioni e dalla retorica del fasci-smo, equipaggiati se così si può dire, con divise ed attrezzature a dir poco inadatte per affrontare l’inverno russo, una cam-pagna di conquista che si rivelerà invece un incubo, oltre che una tremenda disfat-ta. Nessuno di quei ragazzi avrebbe mai immaginato quello a cui sarebbero andati incontro, dopo due inverni con tempera-ture oltre i 30 gradi sotto lo zero, con le

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scarpe e le divise usate per l’altra campa-gna di aggressione, quella d’Africa. Nel mese di dicembre 1942 la divisione di Ja-mes, la “Pasubio”, era dislocata sull’ansa del fiume Don, quando il giorno 17 scatta imponente l’attacco sovietico, la ritirata è pressochè immediata, Manicardi che era sergente, riesce a fuggire e porta in salvo 12 uomini della sua batteria. Una sorte più “fortunata” rispetto a quella del compagno Fumanti, che verrà deportato in Germania ed al quale verranno ampu-tati i piedi, andati in cancrena per il gelo. I due si ritroveranno dopo 65 anni, vivi, quando James ascolterà casualmente un appello lanciato in televisione da quel suo vecchio compagno. La ritirata dalla Russia diventerà un calvario ben peggio-re di quello vissuto fino a quel momento, 800 chilometri quasi tutti a piedi, spes-so correndo per scappare, nutrendosi di neve:“Durante la fuga non mi sono mai spo-gliato o lavato, solo due giorni li passai su un camion, seduto sopra a fusti di benzina e coperto dalle gambe alla testa con coperte di fortuna, il resto sempre a piedi”.”Furono due mesi e 28 giorni

di stenti e disperazione, al freddo e alla fame. Il 15 marzo 1943 arrivammo final-mente a Udine” così scrive: “rientrammo sopra un carro bestiame, eravamo 86 ita-liani, la fanfara e tante donne ci aspetta-vano in lacrime, cercavano i loro cari. Fu bellissimo e insieme commovente, io ar-rivai salvo e sulle mie gambe, ma davanti a tante donne che mi chiedono disperate dei loro mariti e dei loro fratelli, chi dei suoi figli....non fu facile”. “In quei tre mesi di ritirata avevo perso il senso delle ore, dei giorni, delle settimane, persino dei mesi, era rimasto in me solo il desi-derio di riuscire a saltar fuori da quell’in-ferno”.Ed alla fine James ce l’ha fatta, da Udi-ne dov’era arrivato, rientra a Reggio, tuttavia rimanendo nascosto per non es-sere rispedito nei campi di prigionia in Germania, così dopo l’8 settembre 1943 prende contatti con la Resistenza e si uni-sce ai partigiani del celebre comandante Aldo Ferretti Toscanino, in particolare nella 77a Bgt. F.lli Manfredi, fino alla Li-berazione. Ricordi indelebili che come lo stesso dice: “è bene che tutti ne tengano memoria”. (a.f.)

L’ANPI ha accompagna-to con la sua bandiera, nell’ultimo viaggio, l’in-dimenticabile amico e compagno Giorgio Carpi, l’ Uomo politico e ammi-nistratore erede della tradi-zione riformista prampoli-niana, da anni impegnato anche nella nostra Asso-

ciazione non solo come attivo componente della Segreteria provinciale, ma anche con la sua disponibilità per interventi alle commemorazioni di eventi della lotta di liberazione. Particolare il suo impegno nelle scuole per conversazioni con gli studenti sui valori della Costituzione repubblicana collocati nella vicenda storica delle lotte antifasciste e della Resistenza.Nel settembre scorso, ad una riunione di segreteria, aveva vivamente caldeggiato il pro-getto per assemblee nelle sezioni ANPI sui temi della diffusione di una cultura antifasci-sta per reagire alle derive populiste e neofasciste degli ultimi anni. Interventi finalizzati anche a far emergere le posizioni dell’ANPI in vista delle elezioni politiche del 2013. Posizioni non subalterne a nessun partito ma incardinate nei valori della Costituzione .Con la sua improvvisa morte Carpi lascia un vuoto doloroso.

Al comunicato ufficiale diffuso al momento della scomparsa di Carpi aggiungiamo un ricordo del tutto personale di Giacomo Notari.

“Nel dopo Liberazione le campagne politiche videro attivi nel territorio di Busana i giovani socialisti: Bigi, Effrem Paterlini, Casali, Baldi, Pasquali e il nostro Giorgio Car-pi che, affascinato dalla storia e dal paesaggio dell’alta Valle del Secchia, aveva messo insieme una vecchia casa , alla Fontana di sotto di Busana, per passare periodi di riposo con la moglie. Giorgio è forse l’ultimo dei socialisti più anziani (a parte l’avv. Felisetti), che, respirando quest’aria pulita, sentiva il sapore delle lotte socialiste passate, cioè di quando, a inizio secolo, i socialisti di Busana conquistarono il Comune , diedero vita alla Cooperativa di consumo e Alberto Simonini fondò la locale Camera del Lavoro.Con Giorgio Carpi perdiamo un Compagno che univa impegno antifascista e saggezza. Personalmente perdo un amico che non incontrerò più, al Parco dei Canevari, ad ascol-tare il canto dei Maggerini”.

La scomparsa di Giorgio Carpi 22/01/1929-16/01/2013

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IN MEMORIAGISMONDO VERONI (BORTESI)

AMELIA, ARTEMIO, ITALO, REGINA E ALBERTO ROZZI

In memoria dei Partigiani Amelia, Artemio, Italo, Re-gina e Alberto Rozzi, le famiglie Rozzi e Paglia offro-no pro Notiziario.

IN MEMORIA 68° ANNIVERSARIOFERDINANDO, REMO, ULDERICO MISELLI

Carlo Rocchi e Rosanna Motti per ricordare Ferdinando e Remo Miselli, fucilati dai fascisti a Villa Sesso il 20 dicembre 1944, e Ulderico fuciliato a Ciano d’Enza il 27 novembre 1944, offrono a sostegno del Notiziario.

In memoria di Gismondo Veroni Bortesi, la figlia Carla offre pro No-tiziario.Gismondo era nato a Reggio il 3 aprile 1912 e fin da giovanissimo s’impegnò nella lotta contro il fasci-smo, aderendo prima alla FGCI poi al partito comunista. Chiamato alle armi partecipò alla guerra d’Abis-sinia e allo scoppio della II guerra modiale a quella dei Balcani dove

ha collaborato con le formazioni partigiane dalmate. Dopo l’8 settembre ’43, fu tra i primi organizzatori del-la Resistenza, rivestendo le cariche di Commissario dei primi GAP, Commissario del Comando piazza di Reg-gio Emilia, Comandante provinciale delle Brigate SAP e poi della 285a Brigata SAP Montagna. Per la sua at-tività partigiana venne deceorato di m.d’argento al v.m.E’ stato presidente dell’ANPI provinciale per oltre vent’anni. A lui succedette Giuseppe Carretti.

La vecchia casa dei Roz-zi, base par-tigiana sul greto del tor-rente Crosto-lo a Rivalta (Reggio Emi-lia), oggi non più esistente.

Coi tuoi insegnamenti e valori ci accompagni ogni giorno. Anna-maria, Lorenza Chiara e Renzo nel 3° anniversario della scomparsa di Mario Catellani, avvenuta il 28 gennaio 2010 sottoscrivono pro Notiziario.

3° ANNIVERSARIOMARIO CATELLANI (GIORGIO)

In ricordo dello zio Vivaldo Salsi e di tutti quelli che hanno contribuito alla lotta di liberazione, Simona Sal-si offre a sostegno del Notiziario.Nato nel 1912 in una famiglia ope-raia del quartiere Gardenia, ope-raio lui stesso dall’età di 12 anni, Vivaldo entrò nell’organizzazione clandestina del PCI nel 1930, a 18

IN MEMORIAVIVALDO SALSI

anni. Arrestato nel 1932, subì un anno di carcere pre-ventivo venendo poi mandato al confino dove rimase per 10 anni (e dove conobbe Pertini) venendo liberato nell’agosto ’43, dopo la caduta del fascismo. Dopo l’8 settembre fece parte della sessantina di comunisti reg-giani, usciti dal confino o dalle galere fasciste, promo-tori della Resistenza nel Reggiano. Resosi “irreperibile” alle autorità repubblichine, eccolo dirigente del Pci clan-destino e Aiutante maggiore, col nome di Tancredi, della 37a Brigata GAP. Dopo la Liberazione fu responsabile dell’Ufficio quadri della Federazione comunista fino al 1948, dando vita, nel ’47, all’ANPPIA e a quell’Ufficio di solidarietà democratica che si occupò dell’assistenza legale a centinaia di ex partigiani perseguitati e a lavo-ratori incriminati per episodi legati alle lotte sindacali.Presidente dell’ANPI provinciale durante gli anni Cin-quanta, sempre attivo nel movimento democratico fu particolarmente legato alla nostra Associazione fin pres-so la morte che lo colse nell’agosto 2008.Dalla sua scheda autobiografica: “Io abitavo a Villa Ospizio, in ‘Via delle belle’, dove vi erano diversi so-cialisti. Assistetti, fin da ragazzo a queste bastonature, somministrazioni di olio di ricino, in strada o dentro la cooperativa. Crescendo, siccome madre natura mi aveva fatto robusto, presi parte alla difesa di alcuni di questi socialisti mentre venivano inseguiti dagli squadristi”.

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IN MEMORIAGIOVANNI BIZZARRI

In memoria del marito Giovanni Bizzarri,Vienna Pinotti offre a soste-gno del Notiziario.

3° ANNIVERSARIOAGOSTINO BONACINI

Il 29 dicembre ricorreva il 3° anni-versario della scomparsa del parti-giano Agostino Bonacini. Lo ricor-dano con affetto la moglie Giuliana e il figlio Gianluca che sottoscrivo-no pro Notiziario.

Sono passati 15 anni dalla scom-parsa del Partigiano Elio Trolli Sergio, ma il ricordo di lui, della sua passione, del suo impegno per il turismo amatoriale sono più vivi che mai in coloro che hanno avu-to la possibilità di verificare la sua instancabile opera organizzativa in occasione dei tornei e dei raduni sui sentieri partigiani.

15° ANNIVERSARIOELIO TROLLI (SERGIO)

Per onorane la memoria, le figlie Laila e Lilia, il ge-nero e i nipoti, nel ricordarlo sempre con immutato affetto, sottoscrivono pro Notiziario.

IN MEMORIARENZO FERRARINIBENIAMINA MAGLIANI

In memoria dei genitori Renzo Fer-rarini e Beniamina Magliani, la fi-glia Fiorella offre a sostegno del Notiziario.

2° ANNIVERSARIOROBERTO REDEGHIERI (BARACCA)

In occasione del 2° anniversario del-la scomparsa di Roberto Redeghieri Baracca di Villa Cella (Reggio Emi-lia), avvenuta il 6 febbraio 2011, lo ricordano con affetto la moglie Isi-de, i figli Deanna, Ivan, Ombretta e i nipoti tutti.

3° ANNIVERSARIOGIANFRANCO SARATI

Il 17 marzo ricorre il 3° anniversa-rio della morte di Gianfranco Sarati. Nel ricordarlo con tanto affetto, la moglie Orianna, il figlio Fabrizio, la nuora Tiziana e la nipotina Marian-na sottoscrivono pro Notiziario.

4° ANNIVERSARIORENATO ORLANDINI

In occasione del 4° anniversario del-la scomparsa di Renato Orlandini, lo ricorda con grande rimpianto la mo-glie Rosanna Castellari e sottoscrive pro Notiziario.

7° ANNIVERSARIOVANDO BARICCHI (CARLO)

Il 20 gennaio scorso ricorreva il 7° anniversario ella scoparsa del Parti-giano Vando Baricchi Carlo. La moglie Bruna, i figli Stefano e Roberto “ti ricordano con immutato affetto e ricordano tutte le persone che come te hanno combattuto e creduto nella possibilità di un’Italia migliore. Sei sempre con noi”.

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IN MEMORIAWALTER BORCIANI

In memoria di Walter Borciani, Par-tigiano della 76a il fratello Teobaldo offre a sostegno del Notiziario.

11° ANNIVERSARIOFULVIO BARBIERI (GOR)

Il 27 gennaio ricorreva l’11° anni-versario della scomparsa del Parti-giano Fulvio Barbieri Gor, coman-dante di distaccamento della 144a Bgt Garibaldi. La moglie Pierina Castellani, il figlio Aldo e famiglia, nel ricordarlo con immutato affetto, sottoscrivono pro Notiziario.

3° ANNIVERSARIOCESARE CARLINI

Il 15 febbraio ricorreva il 3° anni-versario della scomparsa del nostro carissimo Cesare, Partigiano della 285a Bgt. SAP.L’amore che ci ha uniti è tale da farti “vivere” ogni giorno al nostro fianco come sempre sei stato. Con sincero affetto non ti scorderemo mai.La moglie Velia, i figli Ermes ed Eris, i nipoti Alessandro, Davide e Andrea che tanto ha amato, e le nuo-re antonella e Lucia Carlini. In suo onore sottoscrivono pro Notoziario.

6° ANNIVERSARIOREDEO PECCHINI

La moglie Ada Borgonovi, il figlio Nicola e la nuora Lariana ricordano, con immutato affetto, il Partigiano e sindacalista Redeo Pecchini decedu-to il 4 febbraio 2007.

IN MEMORIABRUNA COLLI

In memoria di Bruna Colli, il marito Secondo Menozzi insieme alla fami-glia sottoscrive pro Notiziario.

52° ANNIVERSARIORINO SORAGNI (MUSO)

Nel ricordo dell’indimenticabile Rino Soragni Muso, vicecomandan-te della valorosa 37a GAP, medaglia d’argento al v.m., scomparso tragi-camente il 18 marzo 1961, Dimmer Lanfredi offre pro Notiziario.

68° ANNIVERSARIOPAOLO DAVOLI (SERTORIO)

Paulette Davoli, per onorare la me-moria del padre Paolo Sertorio (me-daglia d’argento al v.m. per la Re-sistenza) nel 68° anniversario della sua uccisione per mano fascista av-venuta il 28 febbraio 1945, offre pro Notiziario.

ANNIVERSARIALICE SACCANIRENATO GIACHETTI

Una vita insieme di amore e di lot-ta per un mondo migliore. I figli Giancarlo e Giu-liana, unitamente ai nipoti, nel ricor-dare i genitori par-tigiani Alice Sac-

cani (08/07/1918-02/11/2000) e Renato Giachetti (02/07/1903-24/08/1964), sottoscrivono a sostegno del Notiziario.

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1° ANNIVESARIOBRUNO LODESANI

Per ricordare Bruno Lodesani nel 1° anniversario della scomparsa, avvenuta il 20 dicembre 2011, Ivan Lodesani sottoscrive a sostegno del Notiziario.

IN MEMORIAADRIANA ORLANDINIADORNO TAGLIAVINI

In memoria dei coniugi Adriana Orlandini e Ador-no Tagliavini, i fi-gli Emore e Mir-ca sottoscrivono pro Notiziario.

4° ANNIVERSARIOPRIMO MONTECCHI

In memoria del marito Primo Mon-tecchi nel 4° anniversario della scomparsa, avvenuta il 6 febbraio 2009, Anegiolina Lelli offre pro No-tiziario.

4° ANNIVESARIOGENOEFFA RICCÒ

Il 29 gennaio scorso ricorreva il 4° anniversario della scomparsa di Ge-noeffa Riccò (Nèna) da sempre so-stenitrice della Resistenza ed esem-pio di volontariato sociale svolto presso il CTL di Bagnolo in Piano. I Parenti sottoscrivono pro Notizia-rio.

7° ANNIVERSARIOVALDO MARGINI (DUCCIO)

In memoria di Valdo Margini Duc-cio, in occasione del 7° anniversario della scomparsa, la moglie, i figli, le nuore e i nipoti lo ricordano con immutato affetto e sottoscrivono pro Notiziario.

9° ANNIVERSARIOATHOS BEDOGNI (VITTORIO)

Il 23 febbraio ricorre il 9° anniversa-rio della scomparsa di Athos Bedo-gni Vittorio. La moglie Adele Chios-si in suo onore offre a sostegno del Notiziario.“E’ triste averti perduto, ma è tanto bello ricordarti”.

ANNIVERSARIELIO SASSI (RUGGERO)IRMA SPAGGIARI

Ricorreva il 30 gennaio scorso il 21° anniversario della scomparsa del Partigiano Elio Sassi Ruggero. Lo ricordano con affetto insieme alla moglie Irma Spaggiari staffetta

Partigiana, scomparsa 30 anni fa, i figli Uliano e Nilde, unitamente alle Famiglie, sottoscrivendo pro Notiziario.

9° ANNIVERSARIOEDMONDO FONTANESI (PRECIS)

Il 13 marzo ricorre il 9° anniversa-rio dalla scomparsa del partigiano rivaltese Edmondo Fontanesi Precis e lo scorso 9 novembre è ricorso il 2° anniversario della scomparsa del-la moglie Emma. La figlia Lorena, il genero Fabrizio e i nipoti Giulia ed Enrico li ricordano con immutato affetto e sottoscrivono in loro memoria.

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12° ANNIVERSARIOATHOS BRUGNOLI (ALVARO)

Il 14 febbraio ricorreva il 12° anni-versario della scomparsa del Parti-giano Athos Brugnoli Alvaro, della 144a Bgt. Garibaldi. Il figlio Giu-seppe lo ricorda sottoscrivendo pro Notiziario.

3° ANNIVERSARIOADOLFO TONDELLI (SBAFI)

Per onorare la memoria di Adolfo Tondelli Sbafi, nel 3° anniversario della morte, il figlio Attilio sottoscri-ve pro Notiziario.

36° ANNIVERSARIORINO CASELLI

In memoria di Rino Caselli, nel 36° anniversario della scomparsa avve-nuta il 30 dicembre 1976, Gina e Osvaldo Caselli offrono pro Noti-ziario

euro- PROSPERO DENTI e GIOVANNA ALLEGRI – sostegno 200,00 - AMICI DELL’ANPI – contributo ........................................ 50,00- SILVIO BELTRAMI – in memoria della moglie Gemma Bosi .................................................................. 100,00- ROMANO BURANI – in ricordo di Giuseppe “Topo” ....... 500,00- GIOVANNI CASTELLI – sostegno .................................. 50,00- ALFREDO e LUIGI GALAVERNI – in ricordo dei genitori .... 60,00- LALLA e LILIA TROLLI – in memoria del padre Elio ...... 100,00- ANGIOLINA LELLI – in ricordo del marito Primo Montecchi 50,00- OLIVIA COLLI – in memoria di Pierino Boni ................... 30,00- C. ROCCHI e R. MOTTI – in onore dei Miselli di Villa Sesso .. 50,00- GIANCARLO GIACHETTI – in ricordo dei genitori ......... 400,00- PAOLO ATTOLINI – sostegno ......................................... 20,00- MIRCA e EMORE TAGLIAVINI – per Adorno Tagliavini e Adriana Orlandini ................................................................. 50,00- ONELIA BERTANI – sostegno ........................................ 20,00- ANTONIO CASOLI – contributo ...................................... 50,00- LUCIANO RONDINI – sostegno ..................................... 20,00- PAOLO BORCIANI – contributo ...................................... 15,00 EROS avv.MATTIOLI – sostegno .................................... 50,00 FARMACIA S.TERENZIANO – sostegno ..........................100,00

notiziario

i sostenitori

IN MEMORIABRUNO BERTOZZI

Per onorare la memoria di Bruno Bertozzi, scomparso il 29-05-2012, la moglie Alice, unitamente ai cugini Galaverni, sottoscrive a sostegno del Notiziario.

euro- LUCIANO IEMMI – in memoria di Lino Ferrari ............... 20,00- GIACOMO BARBIERI – sostegno .................................. 20,00- IVAN LODESANI – in ricordo di Bruno Lodesani ............ 100,00- NICOLA PECCHINI e Fam. – in memoria di Redeo Pecchini . 150,00- DIMER LANFREDI – in ricordo di Rino Soragni “Muso” ...... 50,00- GIOVANNI MARIOTTI – sostegno .................................. 20,00- ROMANO RICCO’ – per ricordare Genoeffa Riccò ......... 50,00- A. MARIA PATERLINI e Fam. CATELLANI – in ricordo di Mario Catellani ............................................................... 100,00- SECONDO MENOZZI e Fam. – in memoria della moglie Bruna Colli ........................................................... 30,00- PAOLO ROZZI – a ricordo di Roberto, Regina, Amelia, Italo, Artemio .................................................................. 250,00- VIENNA PINOTTI – per onorare il marito Giovanni Bizzarri ............................................................. 25,00- EBE VECCHI – in ricordo del marito Colombo Cingi ........... 70,00- NINO VACONDIO – in memoria della moglie Altea Borghi .. 20,00- PAOLA DAVOLI – per ricordare il padre Paolo “Sertorio” .... 200,00- ALDO BARBIERI e Fam. – in ricordo di Fulvio Barbieri ....... 100,00- ORIANNA SANTINI e Fam. – in memoria di Gianfranco Sarati ........................................................ 100,00

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notiziario

i sostenitorieuro

- TEOBALDO BORCIANI – in ricordo del fratello Walter ....... 50,00- DIANA BASCHIERI – sostegno ...................................... 30,00- FAM.BARICCHI – per ricordare Vando Baricchi “Carlo” ...... 60,00- LUIGI BEGGI e moglie – sostegno ................................. 20,00- SEZ. ANPI di CASTELNOVO MONTI – sostegno ........... 50,00- NEALDA DONELLI – in ricordo del marito Otello Dazzi .. 30,00- LAILA GROSSI – sostegno ................................................. 50,00- ADRIANO VIGNALI – contributo ..................................... 50,00- CARLO e STEFANIA GOVI – sostegno .......................... 25,00- ENZO BORCIANI – sostegno ......................................... 30,00- ROSANNA CASTELLARI – in memoria del marito Renato Orlandini ............................................................. 100,00- CARLA VERONI – in memoria del padre ....................... 100,00- EURIDE NOTARI – sostegno ......................................... 20,00- IVAN REDEGHIERI – in memoria di Roberto Redeghieri ... 50,00- FIORELLA FERRARINI – per ricordare i genitori ........... 50,00- ERIO PATERLINI – sostegno ......................................... 30,00- ERMES BELLONI, Sant’Ilario – sostegno ...................... 25,00- AGOSTINO NASI, Rolo – sostegno ................................ 30,00- ZORA MUSSINI – sostegno ........................................... 100,00- CENTRO SOCIALE ORTI DI MONTENERO – sostegno .... 100,00- CENTRO SOCIALE ROSTA NUOVA – contributo festa resistente ................................................................. 810,00- VELIA INCERTI – in memoria del marito Carlini Cesare ..... 50,00- GIANCARLO PIGUZZI – sostegno ................................. 30,00- ADELE CHIOSSI – in ricordo del marito Athos Bedogni ..... 40,00- GIUSEPPE BRUGNOLI – in ricordo del padre Athos Brugnoli “Alvaro” .................................................... 50,00- PAOLA BARILLI – sostegno ........................................... 20,00- FAM. ROMOLO FIORONI – sostegno ............................ 40,00- BRUNO GRULLI e SILVANA POLETTI – sostegno ............ 50,00

euro- DANIELA FERRETTI – sostegno ................................... 25,00- CARLO SCALABRINI – sostegno ................................... 10,00- ELETTA BERTANI – sostegno ........................................ 50,00- GIUSEPPE PAGANI – sostegno ..................................... 200,00- SEZ. ANPI di FABBRICO – sostegno ............................. 50,00- RAPPRESENTANTI Consiglio Prov.le per restauro abito don Pasquino Borghi .......................................................... 245,00- CONSIGLIERI – sostegno Notiziario .............................. 70,00- ULIANO e NILDE SASSI – in ricordo dei genitori Elio e Irene Spaggiari ..................................................... 50,00- ANTONIO TIRELLI, Correggio – sostegno ..................... 25,00- BRUNO TASSELLI, Correggio – sostegno ..................... 20,00- GIOVANNI TEDOLDI, Poviglio – sostegno ..................... 20,00- LINA CURTI, Poviglio – sostegno ................................... 20,00- DANTINA IOTTI, Poviglio – sostegno ............................. 20,00- SIDRACO CODELUPPI, Poviglio – sostegno ................. 30,00- IDEO BONORI e MARIA CERVI – sostegno in memoria dei loro cari ................................................. 40,00- GIANLUCA BONACINI – in ricordo del partigiano Agostino Bonacini .......................................................... 50,00- ATTILIO TONDELLI – in memoria di Adolfo Tondelli ....... 25,00- SEZ. ANPI SAN PROSPERO STRINATI – sostegno ..... 100,00- PIETRO BUFFAGNI – sostegno ..................................... 30,00- SIMONA SALSI – in ricordo di Vivaldo Salsi “Tancredi” .. 50,00- LORENA FONTANESI – In ricordo di Edmondo Fontanesi “Precis” ........................................... 100,00- SILLA e OSVALDO CASELLI – in memoria del padre scomparso Rino Caselli ....................................... 50,00- MERI MONTALI – sostegno ............................................ 25,00- FRANCESCO FANTINI – sostegno ................................ 30,00

L’8 settembre di Enrico LelliRingrazio per gli auguri per i miei novant’an-ni. Sono nato il 13.11.1922 in Bazzarola Bassa, attuale Via Cu-gini (RE), in una stanza del Casino Sidoli.Devo però correg-

gere un grosso errore: l’8 settembre ‘43 io non ero a Cuneo, ma sulla costa del Mar Tirreno, tra Terracina e il Monte Circeo, nel Reparto Allievi ufficiali del 4.° Regt. Arti-glieria d’Armata di Piacenza. Troppo lun-go sarebbe raccontare come sono arrivato in quel reparto, unico figlio di un operaio: mio padre lavorava in fonderia alle Offici-ne Reggiane, raccomandato dai fratelli Pel-lizzi (ingegnere e avvocato), ufficiali nel Comando del 3.° Rgt. di Artiglieria d’Ar-mata di Reggio Emilia.Devo precisare che nel luglio 1942, supera-to l’esame di maturità presso il Liceo scien-

tifico di Reggio Emilia e avendo vinto il concorso per diventare maestro elementare di ruolo, mi iscrissi alla Facoltà di Matema-tica e Fisica all’Università di Parma.Gli studenti universitari classe 1922 furono chiamati nell’Esercito in febbraio 1943. Il reparto di Piacenza nel luglio 1943 fu tra-sferito a presidiare la costa in zona consi-derata di guerra. L’8 settembre noi e tanti altri soldati siamo partiti per tornare a casa. Io e altri due il mattino seguente cammi-navamo per l’Agro Pontino bonificato ma senza alberi. A grande distanza abbiamo visto un’auto di fascisti che arrestavano i soldati. Ci siamo rifugiati nella casa di un contadino originario di Rovigo, che ci ha nascosti e nutriti fino al 13 settembre quan-do in due (il terzo era ammalato) partimmo e percorremmo 70 km a piedi fino a Velle-tri, da dove con un filobus arrivammo alla stazione Termini a Roma dove un treno, in partenza da mezzanotte del giorno 14 per Milano fu completamente occupato da noi soldati. Il 15 settembre, verso mezzogiorno, il treno si fermò alla stazione reggiana di

Villa Masone, dove donne e uomini vecchi gridavano di non scendere a Reggio perché i tedeschi ci avrebbero arrestati e portati in Germania. Saltai giù dal finestrino e, anco-ra in divisa, mi trovai con lo zio dei fratelli Franchi, che aveva già una tuta. Andammo in via del Chionso dove parlai con il padre e la madre di Ovidio e Silvano. Mi diedero una tuta e una bicicletta e raggiunsi la mia famiglia sfollata in casa di un contadino vi-cino al Villaggio Foscato.Concludo: sono sempre chiuso in casa, non riesco più a muovermi e nessuno si ricorda più di me.

Qui finisce la precisazione dell’amico Lelli, che non racconta come finì poi partigiano nel cuneese, Prima Divisione Garibaldi, Brigata Ettore Carandino come scrivem-mo sul n. di dicembre u.s. del “Notiziario”, sulla base della dichiarazione dell’ANPI di Cuneo. Gli chiediamo fin d’ora di comple-tare la sua testimonianza e gli rinnoviamo i nostri affettuosi auguri.

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gennaio-marzo 2013notiziario anpi

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Gli eccidi di Bagnolo in PianoOggi siamo qui a Bagnolo, per ricordare i due eccidi purtroppo impuniti del febbraio-marzo del ’45. I pericoli per la democrazia ancora oggi sono tanti e non sufficientemente percepiti. Non è facile disegnare i contorni della grande galassia post fascista: Roma ad esempio è da sempre capitale dei neri, dei saluti romani, Dio patria e famiglia, l’onore e la violenza, i riti celtici e il mito del duce. Per le prossime elezioni Storace ha candidato Mario Vattani, ex console di Osaka, ex naziskin e ex consigliere diplomatico di Alemanno che cantava canzoni inneggianti al fascismo a un concerto di Casa Pound. Simboli e gadget fa-scisti si trovano ovunque, persino a pochi metri dal museo Cervi! A Predappio si verificano vergognosi pellegrinaggi dove esibendo mazze e croci uncinate si proclama “eia eia alalà” insieme alla recita dell’Ave Maria. Forza nuova, Fiamma tricolore e Casa Pound agiscono ostentatamente a volte con la protezione degli amministratori e l’indifferenza di tanta parte dei cittadini, e anzi si candidano nelle attuali elezioni! C’è tra questi movimenti in Italia e in Europa chi ancora nega la Shoah! Oggi mille ragazzi delle scuole superiori di Reggio Emilia e provincia sono e saranno in viaggio verso Terezin con Istoreco e stanno inviando su face book le loro emozionate riflessioni. Questa è la mo-dalità più efficace per la costruzione di una memoria indelebile. Il tempo passa; forse in futuro il vero racconto sullo sterminio e sugli eccidi nazifascisti in Italia diventerà “insignificante”per le giovani generazioni perché non ci sono più i testimo-ni diretti? No, se come accade oggi qui, elaborare e raccontare le parole dei testimoni si-gnifica soprattutto riflettere, aprire uno sguardo sul futuro e non solo sul passato ricorrendo a tutti i linguaggi,come quello teatrale, che meglio parlano alle giovani generazioni e se si parte dall’assunto che ognuno di noi è responsabile per ogni suo gesto che deve essere nel nome dei diritti di tutti, nel nome della pace e della uguaglianza. Stando sempre dalla parte degli umili, dei “sommersi”, di tutte le vittime, di coloro che hanno fame e sete di giustizia. Ed essendo capaci di ri-conoscere e di opporsi a tutte le forme di razzismo più o meno velato, al rifiuto e alla criminalizzazione del diverso, e di attivare politiche di integrazione degli immigrati.Ho ripercorso su I bagnolesi nella lotta di liberazione i nomi dei cittadini di Bagnolo che tanto ha dato alla lotta antifascista già nel corso del ventennio nero, a i 18 perseguitati poli-tici tra cui tre donne Borelli Pierina, Barozzi Albertina e Marelli Palmira; ho percorso con commozione i nomi dei 137 partigiani/e e dei patrioti/e riconosciuti e dei loro nomi di bat-taglia. Diciannove furono le donne, Catuscia, Dantina, Lulu, Fiamma, Mirca, Mariuccia, Lancia ecc. E poi mi sono soffermata sui nomi dei 14 deportati civili del Comune di Ba-gnolo, sui 114 IMI, gli internati militari dopo l’8 settembre, di cui oggi facciamo memoria , gli 8 ostaggi prelevati dalle carceri e fucilati PER RAPPRESAGLIA davanti al cimitero di San Michele… Una comunità di ribelli per amore, antifascisti perché contrari alla dittatura e alla guerra. Alcuni di soli vent’anni, che si rifiutarono di collaborare con la RSIe quindi

sono a tutti gli effetti dei veri resistenti, per arrivare ai dieci fucilati del Torrazzo Si è detto RAPPRESAGLIA: è uno stereo-tipo da abbattere , quello secondo cui molte stragi nazifasciste sarebbero state fatte in ri-sposta ad atti compiuti dai partigiani. Anche per l’eccidio di Bagnolo i fascisti sosten-nero spregiudicatamente che fu la risposta all’uccisione di due bersaglieri, uccisione mai indagata dai Comandi per ricercare la verità. Oggi gli studi storici ci dicono che la percentuale di ritorsione fu bassissima mentre per la stragrande maggioranza de-gli eccidi si deve parlare di BARBARIE GRATUITA, CIOE’ UNA VERA E PRO-PRIA GUERRA AI CIVILI! Con la appu-rata complicità dei fascisti. I traditori erano loro. Molti, troppi storici di professione sono attivi nel creare una “controstoria fa-scistizzata”, semplificando l’analisi della storia della resistenza attraverso ardite ope-razioni pseudostorich . Si tratta di un vero e proprio inganno nel fare intendere che non esiste una verità storica accertata, ma solo una verità di parte. E’ il pericoloso tentati-vo di “parificare la storia , quella partigia-na e quella repubblichina” per riproporre la validità del pensiero fascista. A questa sconsiderata operazione l’Anpi si oppone con tutte le sue forze per evitare il “memo-ricidio”, rendendo i giovani protagonisti del presidio della verità storica e della Costitu-zione e lanciando una campagna nazionale non solo di difesa democratica ma anche di sviluppo dell’ antifascismo e della cultura dei valori e dei princìpi costituzionali, con un serio supporto della ricerca storica. (f.f.)

Mentre Tonino Loris Paroli diceva che se le brigate rosse fossero state delle formazioni terrori-stiche avrebbero fatto saltare i ponti, gli ineffabili giovani di Aq 16 sentenziavano della mirabile coerenza dell’uomo Prospero Gallinari, appena morto d’infarto, e il sindaco Delrio e la presi-dente della Provincia Masini scrivevano l’accorata lettera in cui si invitavano i su menzionati a concentrarsi su Perdono di Caterina Caselli (“Perdono perdono perdono / io soffro più ancora di te... mi avevi abbandonata ed io mi sono trovata ad un tratto già abbracciata a lui... perdono perdono perdono / io soffro più ancora di te... /perdono perdono perdono / il male l’ho fatto più a me...”), per dedicarla alle vittime del terrorismo, io, per coincidenza, mi sono trovato al cinema a vedere Qualcosa nell’aria e a leggere Le mie rivoluzioni. Il film di Olivier Assayas (classe 1955) racconta, senza nostalgia, la vita di due studenti parigini dopo il maggio ’68 (titolo originale Après mai) Gilles e Christine. Attraverso le loro storie, che si intrecciano e si separano in quei primi anni ’70, emergono i fermenti positivi e negativi ere-ditati dal Maggio. Vediamo così i raid notturni di attacchinaggio, le azioni da writers (come si dice oggi) di un gruppo di studenti “ribelli” “criticati” dai quadrati gruppi leninisti e trozckisti e le prime azioni terroristiche; ma vediamo anche il diffondersi della cultura pop, dell’amore per la musica (soprattutto inglese, e la colonna sonora è un bel concentrato), dell’attrazione verso l’Oriente, di come l’arte e il sesso erano vissuti dai giovani come “gesti” di liberazione dall’oppressività della società borghese. Il titolo italiano, Qualcosa nell’aria (2012), rende per-fettamente il clima magmatico di quegli anni. Non c’è giudizio, non c’è un lieto fine né tanto meno una tragica fine: il film sfuma su un’immagine eterea... Anche il titolo del libro Le mie rivoluzioni dell’inglese Hari Kunzru (classe 1969) rispecchia la storia che vi è raccontata. Di un passato che il protagonista Michel Frame avrebbe voluto sepolto nella history. Invece un certo giorno essa busserà alla sua porta e gli anni sessanta e settanta si srotolano di nuovo.

Qualcosa nell’ariaLa storia degli anni Sessanta e Settanta

Con il film di Assayas, il libro di Kunzru con-divide in parte gli anni in cui la storia prende inzio, anche se la vicenda di Frame comincia nell’Inghilterra pre Sessantotto. Se in Qual-cosa nell’aria l’opzione terroristica è solo accennata come a una delle strade che il 68 aveva aperto, qui invece la si percorre per in-tero. Da un piccolo nucleo di terroristi ingle-si ai legami con il terrorismo internazionale. Sullo sfondo le lotte operaie, il problema dei senzatetto, la questione dell’Irlanda del Nord, la Londra “alternativa”. Alla scelta, ad un cer-to punto, del protagonista di rifugiarsi in un convento buddista in Thailandia. Qui, a differenza del film, vi sono considera-zione post del protagonista che, tuttavia, non tolgono interesse ad un racconto in cui alle battaglie politico-sociali si unisce una storia d’amore esemplare per comprendere ciò che il ’68 ha rotto della tradizionale relazione fra i sessi.Morale: la storia degli anni Sessanta e Settan-ta non può essere lasciata solo al racconto dei protagonisti. (g.b.)

di Glauco Bertani

di Fiorella Ferrarini

appendici1945

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