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CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA AZIENDALE Metodi Statistici per le decisioni d’impresa (Note didattiche) Bruno Chiandotto 1 4. STATISTICA DESCRITTIVA In questo capitolo si ritrovano esposti, in una prospettiva empirica, molti dei concetti introdotti in precedenza nel contesto teorico del calcolo delle probabilità. Per esprimere gli stessi concetti non sempre si utilizza la stessa terminologia, ad esempio qui si parlerà di variabile o distribuzione statistica e non di variabile casuale, si parlerà di frequenza relativa e non di probabilità, si parlerà di funzione di massa e di densità di frequenza, anziché di funzione di massa e di densità di probabilità, di funzione di frequenze cumulate, anziché di funzione delle probabilità cumulate, ecc. Oltre alla riproposizione in un contesto empirico degli indici sintetici già considerati nel contesto teorico, verranno introdotti ulteriori indici estendendo l’analisi alle mutabili statistiche, cioè, ai fenomeni collettivi le cui manifestazioni sono espresse con scale qualitative. In particolare, verranno introdotti indici di mutabilità, verranno considerati aspetti particolari della variabilità e si procederà ad adeguati approfondimenti riguardo al problema della misura dell’associazione tra caratteri. Nel contesto empirico l’elemento fondamentale di riferimento è l’ informazione e la statistica può essere identificata come disciplina che tratta di metodi attraverso i quali l’informazione stessa dovrebbe o potrebbe essere impiegata per ottenere, in funzione delle specificità del problema analizzato, una rappresentazione semplificata della realtà facendo emergere le caratteristiche che interessano in dipendenza degli obiettivi che s’intendono perseguire. In tale ottica assumono rilevanza ulteriori elementi quali l’esatta definizione della qualità e quantità d’informazione che s’intende acquisire, la decisione sui tempi e sui modi di acquisizione e la valutazione dei costi connessi. Relativamente all’informazione, si deve sottolineare che è opinione abbastanza diffusa quella di ritenere carente il patrimonio informativo disponibile, ma non è affatto infrequente imbattersi in situazioni nelle quali, pur in presenza di un patrimonio informativo rilevante, l’utilizzatore potenziale, non avendo chiari gli obiettivi che intende perseguire, non riesce a cogliere la portata e l’utilità del patrimonio stesso. Accade anche che l’utilizzatore (o chi per lui), pur avendo chiaramente definito gli

4. STATISTICA DESCRITTIVA - UniFI · 2009-03-25 · CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA AZIENDALE Metodi Statistici per le decisioni d’impresa (Note didattiche) Bruno Chiandotto 1 4. STATISTICA

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CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA AZIENDALEMetodi Statistici per le decisioni d’impresa (Note didattiche)

Bruno Chiandotto

1

4. STATISTICA DESCRITTIVA

In questo capitolo si ritrovano esposti, in una prospettiva empirica, molti dei

concetti introdotti in precedenza nel contesto teorico del calcolo delle probabilità.

Per esprimere gli stessi concetti non sempre si utilizza la stessa terminologia, ad

esempio qui si parlerà di variabile o distribuzione statistica e non di variabile casuale, si

parlerà di frequenza relativa e non di probabilità, si parlerà di funzione di massa e di

densità di frequenza, anziché di funzione di massa e di densità di probabilità, di

funzione di frequenze cumulate, anziché di funzione delle probabilità cumulate, ecc.

Oltre alla riproposizione in un contesto empirico degli indici sintetici già

considerati nel contesto teorico, verranno introdotti ulteriori indici estendendo l’analisi

alle mutabili statistiche, cioè, ai fenomeni collettivi le cui manifestazioni sono espresse

con scale qualitative. In particolare, verranno introdotti indici di mutabilità, verranno

considerati aspetti particolari della variabilità e si procederà ad adeguati

approfondimenti riguardo al problema della misura dell’associazione tra caratteri.

Nel contesto empirico l’elemento fondamentale di riferimento è l’ informazione e

la statistica può essere identificata come disciplina che tratta di metodi attraverso i quali

l’informazione stessa dovrebbe o potrebbe essere impiegata per ottenere, in funzione

delle specificità del problema analizzato, una rappresentazione semplificata della realtà

facendo emergere le caratteristiche che interessano in dipendenza degli obiettivi che

s’intendono perseguire.

In tale ottica assumono rilevanza ulteriori elementi quali l’esatta definizione della

qualità e quantità d’informazione che s’intende acquisire, la decisione sui tempi e sui

modi di acquisizione e la valutazione dei costi connessi.

Relativamente all’informazione, si deve sottolineare che è opinione abbastanza

diffusa quella di ritenere carente il patrimonio informativo disponibile, ma non è affatto

infrequente imbattersi in situazioni nelle quali, pur in presenza di un patrimonio

informativo rilevante, l’utilizzatore potenziale, non avendo chiari gli obiettivi che

intende perseguire, non riesce a cogliere la portata e l’utilità del patrimonio stesso.

Accade anche che l’utilizzatore (o chi per lui), pur avendo chiaramente definito gli

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B. Chiandotto Versione 00-Cap.4Metodi statistici per le decisioni d’impresa

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obiettivi, non sia in grado, mancando di strumentazione metodologica adeguata, di trarre

dal patrimonio informativo disponibile la specifica informazione d’interesse.

La statistica, che si occupa della raccolta e del trattamento finalizzato dei dati,

entra, a pieno titolo, in ogni processo decisionale, finalizzato al conseguimento di uno

specifico obiettivo, che prevede l’utilizzo di informazioni. Un processo nel quale: a) gli

input (informazioni di base) sono costituiti da dati riferiti ad una specifica realtà, della

quale rappresentano qualitativamente e/o quantitativamente uno o più aspetti; b) la

trasformazione avviene attraverso l’impiego di procedure e metodi analitici; c) gli

output (i prodotti o informazioni statistiche) sono dati numerici il cui significato ed

interpretazione dipendono dagli input utilizzati e dal meccanismo logico e metodologico

di elaborazione.

Da quanto sopra detto, emergono almeno tre insiemi di elementi caratteristici: un

insieme di dati che vengono introdotti quali input nel processo di trasformazione, un

insieme di procedure di elaborazione e un insieme di prodotti costituito da tutte le

modalità assumibili dai risultati conseguenti l’applicazione delle procedure.

Si supponga ora che sia sempre possibile associare ad ogni prodotto la descrizione

delle conseguenze che scaturiscono dalla scelta, le quali assumeranno una fisionomia

particolare a seconda dell’oggetto del problema: se si tratta di operare una

compattazione di dati osservati con l’obiettivo di mettere in risalto una caratteristica

specifica del fenomeno, le conseguenze potranno essere descritte dalla perdita (di

informazione) determinata dal processo, oppure, se il problema è finalizzato alla scelta

di una modalità operativa, le conseguenze potranno essere identificate in perdite

monetarie o di altra natura ed essere, eventualmente, collegate ad errori commessi nel

processo di trasformazione.

Risulta, pertanto, definito un quarto insieme di elementi: l’insieme delle

conseguenze.

Il criterio guida nell’operare la trasformazione dei dati consiste, per quanto

possibile, nell’evitare conseguenze negative. Ne deriva che l’informazione circa le

conseguenze assume una rilevanza esclusiva ed un ruolo condizionante rispetto ad ogni

altra tipologia (disponibile) per la quale si renderà, appunto, necessario un confronto o,

meglio, una integrazione con i dati di perdita già definiti.

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La traccia originale viene, quindi, specificata e organizzata secondo lo schema

seguente: avendo definito l’insieme dei risultati possibili (le informazioni statistiche) e

avendo individuato le perdite corrispondenti, l’elaborazione deve essere effettuata

avendo come obiettivo la minimizzazione della perdita.

Considerando che, con l’impostazione sopra delineata, sulla base di una funzione

di perdita viene selezionato l’elemento ottimo (quello cioè cui corrisponde la perdita

minima), risulta naturale attribuire agli specifici elementi che costituiscono l’insieme dei

prodotti l’identità di decisioni, nel senso che essi rappresentano le alternative possibili

del risultato di un problema del quale è stato specificato l’obiettivo. Si può, pertanto,

accantonare l’espressione processo di trasformazione (compattazione) delle

informazioni e fare riferimento al problema decisionale quale schematizzazione che

prevede la lista di tutti gli esiti possibili e la scelta di quello ottimo secondo il criterio di

minimizzazione della perdita.

Assumendo come struttura di base quella sopra introdotta è possibile formulare,

senza perdere in generalità e senza condizionamenti, ogni problema statistico in termini

decisionali.

A proposito dell’ultima affermazione fatta, sorge una problematica di estrema

rilevanza riguardo ai vantaggi e alle difficoltà, se non addirittura alla ragionevolezza,

propri di una impostazione quale è quella decisionale. Alcuni autori ritengono

l’impostazione decisionale applicabile ai soli problemi con finalità operative, altri

considerano (come l’autore di queste note didattiche) la logica decisionale applicabile,

secondo modalità particolari, a tutte le problematiche descrittive e/o inferenziali anche

quando queste sono caratterizzate da finalità esclusivamente conoscitive, altri ancora

ritengono la logica decisionale semplicistica ed oltremodo riduttiva.

Gli elementi a sostegno della impostazione decisionale sono innumerevoli e di

varia natura. Si può, innanzi tutto, osservare che la duplice finalità, conoscitiva ed

operativa, assegnata alla statistica quale disciplina scientifica, con conseguente

attribuzione dei problemi decisionali alla seconda finalità, si risolve, semplicemente,

nella specificazione della duplice tipologia di prodotti che vanno a costituire l’insieme

delle decisioni: a) le decisioni espresse come azioni da intraprendere e da realizzare

concretamente; b) le decisioni espresse come affermazioni da formulare le quali, a loro

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volta, possono configurarsi come asserzioni che specificano la conformità

dell’evidenza osservata nei confronti di una o più ipotesi assunte a priori, come

asserzioni che specificano la stima di una quantità incognita e/o l’adattamento di un

modello teorico ad una realtà osservata, ecc.

Il problema si risolve sempre in una decisione, che poi questa sia orientata al cosa

dire o al cosa fare è solo una questione di specificità della situazione in cui lo statistico

opera. Se si parla poi di atti o decisioni in termini più generali, nel senso di scelte, la

suddivisione diventa addirittura artificiosa se si pensa che ogni azione può essere

considerata come l’effetto dell’affermazione: “ la decisione d” è la migliore possibile.

Ne scaturisce, allora, una differenza solo verbale, terminologica e, quindi, non

sostenibile dal punto di vista concettuale.

Un altro rilevante aspetto che può consigliare la scelta decisionale, risiede nella

logica interna propria della teoria (statistica) delle decisioni che induce a formulare ed

interpretare correttamente un problema statistico. Si tratta di una correttezza che può

essere ricondotta a due fatti essenziali: gli obiettivi che s’intendono perseguire e i dati

utilizzabili. L’obiettivo della minimizzazione della perdita evidenzia, infatti, la

parzialità e la particolarità del risultato che scaturisce dalla elaborazione: problemi

analoghi affrontati con specificazioni diverse della funzione di perdita possono

condurre, anzi generalmente conducono, a conclusioni diverse in quanto collegate ad

elementi diversi dell’insieme delle decisioni possibili. Quale soluzione è quella giusta è

quale è quella sbagliata? Nessuna delle due, oppure entrambe se viste in ottiche diverse;

il giudizio non deve essere formulato in termini di correttezza o errore, si può solo dire

che, ritenendo valida (accettabile, verosimile) una struttura di perdita così come è

rappresentata dalla funzione prescelta, la decisione migliore è quella che risulta dalla

imposizione della condizione di perdita minima.

L’ultima riflessione si ricollega alla necessità di attribuire ai dati una specifica

forma per poter ottenere una rappresentazione (compattazione) significativa degli stessi.

La realtà non è né descrivibile né rappresentabile senza ricorrere a schemi concettuali di

riferimento e in corrispondenza di ognuno di essi si ottiene un risultato, evidentemente

parziale e condizionato allo schema specificato. La logica decisionale, i cui risultati

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sono condizionati alla particolare funzione di perdita specificata, fa emergere in modo

inequivocabile tale consapevolezza.

Si è già messo in evidenza come ogni problema statistico preveda la presenza di

unità statistiche portatrici delle informazioni e di dati statistici (informazioni di

base) che s’intendono analizzare.

Per quanto concerne le unità (statistiche) portatrici delle informazioni, si può

procedere all'introduzione di una tipologia generale che le distingue in:

a) elementi o insieme d'elementi;

b) tempi o intervalli temporali;

c) aree territoriali o "zone".

Relativamente ai dati statistici, quando questi riguardano fenomeni cosiddetti di

consistenza o di fondo e per i quali è ragionevole il riferimento ad un istante, si parla di

tempi, mentre quando i fenomeni sono di flusso, cioè con dati attribuibili a periodi, si

considerano intervalli temporali.

Una serie di dati statistici riferita a tempi successivi viene solitamente denominata

serie storica o serie temporale. La sua caratteristica peculiare è l’ordine di successione

predeterminato (informazione aggiuntiva), che deve essere tenuto presente ai fini delle

elaborazioni statistiche.

Una serie di dati statistici riferita a zone geografiche viene solitamente chiamata

serie territoriale. Nelle elaborazioni statistiche occorrerà tenere conto sia della

differente importanza eventualmente attribuibile a ciascuna zona, sia delle relazioni di

contiguità spaziale fra coppie di zone.

Nei casi in cui le unità di riferimento non possono essere considerate equivalenti

(elementi di diversa dimensione, zone di varia ampiezza), le elaborazioni statistiche

richiedono, in genere, l'adozione di un opportuno sistema di ponderazione, cioè di pesi

che esprimono l'importanza attribuita a ciascuna unità.

Fissati gli obiettivi che s’intendono perseguire ed individuato, in corrispondenza

agli obiettivi stessi, l’insieme dei dati statistici necessari, cioè le manifestazioni dei

fenomeni di interesse, può emergere la necessità di procedere all'effettiva rilevazione

delle manifestazioni dei fenomeni (raccolta dei dati statistici).

Il processo di rilevazione dei dati può essere distinto nelle seguenti quattro fasi:

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- definizione del piano di rilevazione;

- raccolta effettiva dei dati;

- spoglio e classificazione.

La fase più delicata nel processo di rilevazione dei dati è senza dubbio quella

relativa alla definizione del piano di rilevazione. L'argomento, che per la sua importanza

meriterebbe una dettagliata trattazione, non viene qui affrontato: ci si limita pertanto a

richiamare la fondamentale distinzione delle rilevazioni riguardo alla loro ampiezza. In

questo contesto, le rilevazioni si dicono complete quando interessano tutte le

manifestazioni del fenomeno oggetto d'indagine, si dicono invece parziali o

campionarie le rilevazioni che interessano soltanto una parte delle manifestazioni.

L'insieme di tutte le possibili manifestazioni relative ad un certo fenomeno viene

detto popolazione mentre i fenomeni oggetto di analisi, si distinguono, in mutabili e

variabili a seconda della natura qualitativa o quantitativa delle loro manifestazioni.

Un fenomeno variabile, e cioè un fenomeno classificato secondo le modalità

quantitative di un suo carattere, può avere natura discreta o continua. Essendo il numero

associato a ciascuna modalità misurabile di un certo carattere usualmente detto variabile

(con le modalità, ma specifico di ciascuna modalità) statistica, da ora innanzi parleremo

di variabili statistiche (discrete o continue) senza stare a specificare ogni volta che si

sta trattando di un fenomeno classificato secondo le modalità quantitative di un suo

carattere (discreto o continuo).

- Variabili statistiche

Una variabile statistica discreta può assumere soltanto un insieme numerabile di

valori, mentre una variabile statistica continua potrà assumere tutti i valori all'interno di

un certo intervallo dell’asse reale. Sono variabili statistiche discrete il numero dei

soggetti affetti da cancro polmonare, il numero degli abitanti di una certa regione, ecc.;

sono variabili statistiche continue la temperatura di un corpo, l'età di un individuo, la

velocità di un'automobile, ecc. In linea generale tutte le grandezze relative allo spazio

(lunghezza, superficie, ecc.), al tempo (età, durata in vita, ecc.) e alla massa (peso,

pressione arteriosa, ecc.), sono delle variabili statistiche continue.

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Analogamente a quanto già fatto quando si è trattato delle variabili casuali, si

parla di mutabili o variabili statistiche semplici, quando un fenomeno risulta classificato

secondo le modalità (qualitative o quantitative) di un solo carattere, si parla invece di

mutabili o variabili statistiche multiple, quando un fenomeno viene classificato secondo

le modalità (qualitative o quantitative) di più caratteri; nel caso in cui si considerino,

relativamente ad un certo fenomeno, caratteri aventi natura qualitativa e caratteri aventi

natura quantitativa, si parla di variabili statistiche miste.

Si consideri un insieme P di n manifestazioni relative ad un certo fenomeno F,

classificato secondo le modalità quantitative di un suo carattere; si indichino poi

simbolicamente con x1, x2,....,xk e con n1, n2,...., nk, le modalità quantitative distinte (che

supporremo ordinate in modo crescente) del carattere ed il numero delle volte con cui

esse si sono presentate. L'insieme delle coppie (x1, n1), (x2, n2),.....,(xk, nk) viene detto

distribuzione di frequenza, gli interi ni (i=1,2,...k) vengono detti frequenze assolute,

mentre si dicono frequenze relative i numeri.

N

nf)x(f i

ii == i = 1,2,...k

Valgono ovviamente le relazioni:

∑=

=k

iinN

1

fi ≥ 0 ∑=

=k

iif

1

1

Se si indica con X la variabile statistica, e cioè l'entità variabile capace di

assumere i valori x1, x2,....,xk con frequenze relative pari a f1, f2,.....fk, la funzione f(xi), e

cioè la funzione che fa corrispondere a ciascuna modalità di una variabile statistica la

rispettiva frequenza relativa, è detta funzione di frequenza, si dice invece funzione di

frequenze cumulate (o funzione di distribuzione, o di ripartizione empirica) la fun-

zione definita nella formula

∑=

=i

jji )x(f)x(F

1

Oltre che di frequenze relative cumulate si può, naturalmente, procedere al

computo delle frequenze assolute comulate

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∑=

=i

jji nN

1

i = 1,2,...,k

Ovviamente

∑=

===i

j

ijii N

N)x(f)x(FF

1

per i = 1,2,...,k

1===

=

N

N

N

NF

NN

kk

k

Evidentemente il passaggio dalla funzione di frequenza alla funzione di

distribuzione è immediato ed univoco, inoltre entrambe descrivono completamente la

variabile statistica cui si riferiscono.

Se le manifestazioni quantitative di un certo fenomeno vengono raggruppate in

classi di modalità, e ciò accade soprattutto quando si ha a che fare con caratteri aventi

natura continua, le variabili statistiche divise in intervalli, si configurano nel modo

seguente:

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1211

211

22

222122

21

11

1111110

===+++=−−

==+++=−−

==+=−

===−

Nk

N

kF

N

kn

kfkn...nnkNknkxkx

Ni

N

kF

N

inifin...nniNinixix

N

NF

N

nfnnNn

xx

N

NF

nfnNnxx

)neripartizio

diFunzione(

cumulate

relative

Frequenze

relative

Frequenze

cumulate

assolute

Frequenze

assolute

FrequenzeC

N

�����

�����

modalitàdilassi

dove la notazione x x x xi i i i− −− <1 1( ) vuol significare che l'intervallo è aperto a sinistra

e chiuso a destra, nel senso che esso include il valore xi e non il valore xi-1

che

appartiene invece all'intervallo precedente (volendo si possono considerare intervalli

chiusi a sinistra x xi i− −1 o intervalli chiusi x xi i− −1 , ma in quest'ultimo caso uno

stesso valore xi non potrà apparire come estremo in due intervalli contigui); ni e fi

rappresentano, al solito, la frequenza assoluta e la frequenza relativa delle unità che

ricadono nell'intervallo xi-1

−| xi.

In modo analogo a quanto fatto in precedenza, si potrà definire la funzione di

frequenze cumulate o funzione di ripartizione per le variabili statistiche divise in

intervalli.

Risulta del tutto evidente a questo punto la completa equivalenza tra variabile

statistica e variabile casuale; equivalenza che diventa ancora più chiara se si fa

riferimento alla definizione classica della probabilità, Se si ipotizza un esperimento

consistente nell’estrazione di un unità statistica da una popolazione di N unità con

uguale probabilità di essere estratte, ni rappresenta il numero dei casi favorevoli, cioè il

numero di unità statistiche per le quali la manifestazione del fenomeno di interesse è

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pari a xi , mentre N rappresenta il numero dei casi possibili, cioè il numero

complessivo delle unità statistiche considerate.

Altrettanto ovvie risultano le equivalenze tra funzione di massa di frequenza e

funzione di massa di probabilità, tra funzione di frequenze cumulate e funzione di

probabilità cumulate. Da sottolineare che per quest’ultima funzione si usa, sia nel

contesto empirico che in quello teorico, la stessa denominazione di funzione di

ripartizione o funzione di distribuzione.

Esempio 1 (Distribuzioni discrete)

Le votazioni riportate da un gruppo di 30 studenti che hanno superato l’esame di

statistica sono state

27, 27, 23, 25, 28, 30, 21, 30, 22, 18, 21, 27, 27, 25, 2821, 30, 28, 27, 21, 22, 25, 28, 20, 25, 22, 26, 27, 20, 27

La distribuzione di frequenza relativa al fenomeno in questione può essere

convenientemente rappresentata in una tabella (tabella di frequenza) del tipo seguente

Modalità xi 18 20 21 22 23 25 26 27 28 30

Frequenze ni 1 2 4 3 1 5 1 6 4 3

Frequenze Ni

cumulate1 3 7 10 11 16 17 23 27 30

Tab 1 - Votazioni riportate da un gruppo di 30 studenti all’esame di statistica

Una tabella maggiormente esplicativa e nella quale vengono riportati anche i

valori assunti dalla funzione di frequenza e dalla funzione di distribuzione (o funzione

di ripartizione, o funzione delle frequenze cumulate relative) può essere del tipo che

segue

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Tab. 2 - Votazioni riportate da un gruppo di 30 studenti all’esame di statistica

Tab. 2 - Votazioni riportate da un gruppo di 30 studenti all’esame di statistica

Esempio 2 (Distribuzioni continue raggruppate in classi di modalità).

Nella tabella che segue sono riportati i valori relativi alla misurazione del livello

di acidità, espresso in unità di PH, di 300 cassette di terreno.

Fi=F(xi)=Ni/N

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Tab. 3 - Livello di acidità, espresso in unità di PH, di 300 cassette di terreno

Alcune rappresentazioni grafiche relative alle distribuzioni statistiche considerate

nei due esempi precedenti possono essere del tipo che segue

Fig. 1 - Votazione riportata da un gruppo di 30 studenti all’esame di statistica

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Fig. 2 - Votazione riportata da un gruppo di studenti all’esame di statistica

La rappresentazione grafica riportata nella figura seguente viene usualmente detta

istogramma di frequenze.

Fig. 3 - Livello di acidità, espresso in unità di PH, di 300 cassette di terreno

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Nel caso in cui si voglia tracciare un istogramma per una distribuzione statistica

avente classi di modalità di ampiezza diversa, si dovrà istituire una scala di

proporzionalità tra l’area di ciascun rettangolo e la frequenza della corrispondente classe

di modalità.

Fig. 4 - Livello di acidità, espresso in unità di PH, di 300 cassette di terreno

Se le manifestazioni di un certo fenomeno F vengono classificate secondo le

modalità qualitative di un suo carattere ed indichiamo simbolicamente con A1, A2,....Ak

le modalità distinte, con n1, n2,.....,nk le frequenze assolute, cioè è il numero delle volte

in cui si presenta ciascuna modalità, l'insieme delle coppie (A1, n1), (A2, n2),....,(Ak,nk)

costituisce anche in questo caso una distribuzione di frequenza; l'entità variabile A

capace di assumere le modalità A1, A2,....,Ak con frequenze n1, n2,.....,nk viene detta

mutabile statistica.

Riallacciandosi a quanto detto a proposito delle scale di misura, si possono

distinguere le mutabili statistiche in rettilinee, cicliche e sconnesse. Si parla di mutabile

statistica rettilinea quando le modalità Ai presentano un ordine naturale di successione,

con una modalità iniziale A1 ed una modalità finale Ak; tali mutabili si riferiscono

ovviamente a scale ordinali di misura. Si dice invece ciclica la mutabile statistica che

pur presentando un ordine di successione delle modalità Ai non ha (a meno di una

convenzione) una prima ed ultima modalità. Si parla infine di mutabile statistica

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sconnessa quando la distribuzione delle modalità non presenta alcun ordine naturale di

successione.

La estrema rilevanza della funzione di frequenza e della funzione di ripartizione è

stata già sottolineata; tali funzioni riescono infatti a caratterizzare completamente le

manifestazioni di un certo fenomeno. Se ciò è vero, è pur vero che un insieme di dati

può essere poco indicativo a meno che i dati stessi non vengano sintetizzati in qualche

modo. Può accadere ad esempio che in determinate circostanze e relativamente ad un

particolare fenomeno possono interessare unicamente certe tipicità; in questo caso un

singolo valore numerico, capace di esprimere tali tipicità, potrebbe risultare necessario e

rispondere in modo soddisfacente agli scopi concreti di una analisi. In altri casi si

potrebbe invece avere interesse ad esprimere sinteticamente il grado di eterogeneità pre-

sente nelle manifestazioni di un certo fenomeno collettivo; anche in tali situazioni il fine

può essere raggiunto attraverso uno o pochi valori numerici.

Si dicono valori medi o misure di posizione, tutti quegli indici capaci di

sintetizzare in un singolo valore numerico la tipicità riscontrabile in una distribuzione

empirica; si dicono invece di variabilità o mutabilità quegli indici che riescono a

sintetizzare in un singolo valore numerico gli elementi di eterogeneità presenti nelle

manifestazioni dei fenomeni collettivi.

Tra i più importanti valori medi qui ricorderemo soltanto la media aritmetica, la

media geometrica, la media armonica, la moda, la mediana ed i quartili. Alcuni di questi

indici sono già stati introdotti in precedenza quando si è proceduto alla sintesi delle

variabili casuali.

Media aritmetica

La media aritmetica, o più semplicemente la media, di una variabile statistica X

resta definita dalla formula:

∑=

=+++

==k

iii

kk nxNN

nx...nxnxxM

1

22111

1

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16

dove: N = i

k

=∑

1

ni; x1; x2,....,xk sono le modalità distinte di un carattere quantitativo

relativo alle manifestazioni di un determinato fenomeno e n1, n2,....,nk le rispettive

frequenze assolute.

La media aritmetica può essere definita facendo riferimento alla funzione di

frequenza, cioè alle frequenze relative; in tal caso si avrà

∑ ∑∑= ==

====k

i

k

iii

k

i

iiii nx

NN

nxfxxM

1 111

1

Si controlla immediatamente come la media aritmetica, quando si ha a che fare

con caratteri trasferibili, lasci invariato l'ammontare totale del carattere, essa infatti

indica la parte del totale che spetterebbe a ciascuna unità nel caso di equidistribuzione;

infatti:

N M1 = N x = Σ xi ni .

Da quanto sopra affermato deriva quella che usualmente viene indicata come

prima proprietà della media aritmetica, cioè è la proprietà di annullare la somma

algebrica degli scostamenti.

( ) ( ) 0 n xxn Mxk

1iii

k

1ii1i ∑∑

==

=−=− .

Un tale risultato può essere interpretato da un punto di vista fisico dicendo che la

media aritmetica rappresenta il baricentro di un sistema di forze, proporzionali ad ni,

applicate su di un asse coordinato nei punti xi.

La seconda proprietà della media aritmetica è quella di rendere minima la somma

dei quadrati degli scarti rispetto alla somma dei quadrati degli scarti da un qualsiasi altro

valore.

( ) ( ) ( )∑∑∑===

−≤−=−k

1ii

2i

k

1ii

2i

k

1ii

21i nMx nxxnMx .

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17

dove il segno di uguaglianza vale solo nel caso in cui M coincide numericamente con

x .

Una terza proprietà della media aritmetica da ricordare è la proprietà associativa

(la media aritmetica complessiva, relativa ad una popolazione disaggregata in gruppi, è

uguale alla media aritmetica ponderata1 delle medie calcolate nei singoli gruppi). Il

soddisfacimento di una tale proprietà permette la derivazione della media aritmetica

relativa ad un certo gruppo di valori attraverso le medie aritmetiche dei singoli

sottogruppi, cui il gruppo nel suo complesso è eventualmente suddiviso.

Nel caso in cui si abbia a che fare con variabili statistiche suddivise in intervalli

(per classi di modalità), per il calcolo della media aritmetica si introduce generalmente

l'ipotesi di equidistribuzione all'interno di ciascuna classe di modalità. Sotto tale ipotesi,

per la proprietà associativa, si potrà procedere al calcolo della media aritmetica

sostituendo ai valori di ciascuna classe il valore centrale della stessa ed operare in modo

analogo a quello visto per le distribuzioni discrete; si avrà pertanto che, ai fini della

determinazione numerica della media aritmetica, l'ipotesi di equidistribuzione dei valori

all'interno di ciascuna classe di modalità e l'ipotesi opposta di concentrazione dei valori

nel punto centrale sono equivalenti.

Nel caso di distribuzioni di frequenze per classi d'intervallo la quantità ∑=

k

iii nx

1

,

dove xi sono i valori centrali delle classi, fornisce una stima approssimata

dell'ammontare complessivo del fenomeno. Inoltre, se la prima e/o l'ultima classe sono

aperte, bisogna fissare (in maniera soggettiva) gli estremi di tali classi, allo scopo di

calcolarne il valore centrale.

Conseguentemente, il valore medio calcolato sulla distribuzione di frequenze per

classi può differire, e solitamente differisce, dal valore medio (esatto) calcolato sulla

serie originale degli n valori.

Se si dispone di dati originari, è dunque opportuno calcolare la media

(nonché gli altri indici statistici sintetici) direttamente su tali dati.

1 Sul concetto di media ponderata si avrà modo di soffermare l’attenzione nelle pagine successive.

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18

Media geometrica

La media geometrica di una variabile statistica X resta definita dalla formula

( )N/k

i

ni

N/nk

ni

nng

iki xx...x...xxM1

1

1

2121

=⋅⋅⋅⋅⋅= ∏

=

Per la proprietà dei logaritmi risulta

∑=

⋅=k

iiig nxlog

NMlog

1

1

cioè il logaritmo della media geometrica è uguale alla media aritmetica dei

logaritmi dei termini.

Si noti che la media geometrica non va utilizzata ogni qualvolta si abbiano nelle

distribuzioni, modalità con valori negativi o nulli e che essa riceve le maggiori

applicazioni nel calcolo del valore medio di tassi o di rapporti.

Media armonica.

La media armonica di una variabile statistica viene definita dalla formula

∑∑==

− ===k

ii

i

k

ii

i

h

nx

N

nxN

MM

11

1 1111

è data cioè dal reciproco della media aritmetica del reciproco dei termini.

Moda.

Si definisce come moda Mo di una distribuzione statistica la modalità che presenta

la massima frequenza. Nel caso di distribuzioni suddivise in classi si parla usualmente

di classe modale.

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19

Mediana.

La mediana di una distribuzione statistica ordinata è data dal valore centrale della

distribuzione, nel caso in cui il numero n delle unità statistiche di osservazione è un

numero dispari, dalla semisomma dei valori centrali, della distribuzione, nel caso in cui

il numero n delle unità di osservazione è un numero pari. Quando si ha a che fare con

distribuzioni suddivise in classi, la mediana si ottiene, attraverso interpolazione,

mediante la formula

−+= −12 i

i

iie N

N

n

aLM

dove: Li è il limite inferiore della casse mediana, cioè è la classe che include nel suo

interno la mediana; N è il totale delle frequenze, Ni-1 è la somma delle frequenze

relative alle classi che precedono la classe mediana, ni è la frequenza della classe

mediana; iii xxa −= +1 è l'ampiezza della classe mediana.

La più importante proprietà della mediana è quella di rendere minima la somma

dei valori assoluti degli scarti rispetto alla somma dei valori assoluti degli scarti

calcolati da un qualsiasi altro valore; cioè

i

k

i

k

iiiei nMxnMx∑ ∑

= =

−≤−1 1

dove il segno di uguaglianza vale solo nel caso in cui M = Me.

Il concetto che sta alla base del calcolo della mediana può essere generalizzato,

introducendo una nuova classe di valori medi: i quantili che sono già stati introdotti

quando si è discusso di variabili casuali.

Si dice quantile con indice z, (0 < z < 1) e lo si indica con Qz, il valore che

suddivide la successione degli xi ordinati in senso non decrescente in due parti: una

frazione maggiore o uguale a z di valori xi ≤ Qz ed una frazione maggiore ouguale a (1-

z) di valore xi ≥ Qz.

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20

Secondo tale definizione, la mediana è dunque il quantile Q0,50. I quantili sono

invarianti (in senso debole) per trasformazioni monotone crescenti, e quindi risultano

calcolabili per fenomeni rilevati almeno su scale ordinale.

In particolare, presentano interesse applicativo i seguenti quantili:

i) I tre quartili, definiti come Q0,25, Q0,50, Q0,75.

ii) I nove decili, definiti come Q0,10, Q0,20..... Q0,90.

Nel caso di distribuzioni di frequenze con classi aperte, il calcolo della mediana

non richiede la fissazione dell'estremo inferiore della prima classe e dell'estremo

superiore dell'ultima classe (salvo il caso particolare in cui la classe mediana sia la

prima ovvero l'ultima). Dato che la scelta di questi estremi è in larga misura soggettiva

- se non addirittura arbitraria, in assenza di altre informazioni - la mediana può co-

stituire, nelle situazioni suddette, un criterio di sintesi preferibile alla media aritmetica

che richiede, invece, la fissazione degli estremi inferiore e superiore o, quantomeno, la

fissazioni di valori rappresentativi delle classi estreme che, generalmente, non

coincidono con i valori centrali delle classi stesse.

Medie di potenze

Una definizione più generale di media è quella riferita alla cosidetta media di

potenza

r/k

ii

rir nx

NM

1

1

1

= ∑

=

Per r = 1 si ottiene la media aritmetica, per r = -1 la media armonica, per r = 2

la media quadratica, per r = 3 la media cubica, ecc..

Per le distribuzioni che assumono tutte modalità positive valgono le seguenti

relazioni

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21

....MMMMM

)etricaomge media(MMlim

g

grr

≤≤≤≤≤

=

3211

0

in cui il segno di uguaglianza sussiste soltanto nel caso in cui tutte le modalità xi

sonouguali tra loro.

Nel computo dei valori medi sopra introdotti, a ciascuna delle modalità xi resta

associato un peso rappresentato , a seconda dei casi, dalla frequenza assoluta ni o dalla

frequenza relativa f(xi) = fi. Un tale fatto ha indotto alcuni autori ad introdurre la

distinzione tra media semplice e media ponderata, utilizzando questa seconda

locuzione, appunto, tutte le volte in cui alle modalità del carattere sono associate

frequenze (relative o assolute). Un tale modo di procedere può, comunque, ingenerare,

in qualche caso, confusione; conviene, pertanto, utilizzare il termine media ponderata

soltanto nei casi in cui alle modalità resta associato un vero e proprio peso.

Esempio 3

Data la distribuzione statistica

Modalità xi 3 5 6 7 10

Frequenze ni 1 1 3 2 1

si voglia determinare la media aritmetica, la media geometrica e la media armonica. Si

avrà

M x

M ant

M

g

h

1

3 1 5 1 6 3 7 2 10 1

86 25

3 1 5 1 6 3 7 2 10 1

85 95

8

1 3 1 1 5 1 1 6 3 1 7 2 1 10 15 64

= =⋅ + ⋅ + ⋅ + ⋅ + ⋅

=

=⋅ + ⋅ + ⋅ + ⋅ + ⋅

=

=⋅ + ⋅ + ⋅ + ⋅ + ⋅

=

,

.log.log log log log log

,

/ / / / /,

Si osservi la relazione di disuguaglianza M M Mh g< < 1 ; come già sottolineato,

una tale relazione sarà sempre valida per le distribuzioni statistiche a valori positivi a

meno che tutte le modalità non siano uguali, nel qual caso le tre medie coincidono.

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22

La media aritmetica, la moda e la mediana della distribuzione riportata nella Tab.

1 sono rispettivamente:

M1 = 24,933..

Mo = 27 (modalità con frequenza più elevata)

Me = 25 25

2

+=25 (semisomma dei due termini centrali)

Relativamente alla distribuzione riportata nella Tab. 3, si avrà

Classe modale: 5,9 6,2

Me = 5 9150 114

650 3 6 07, , ,+

⋅ =

I valori medi cui si è fatto riferimento nelle pagine precedenti sono quelli tra i più

utilizzati nella ricerca applicata e ciò accade sia per la loro utilità che per la estrema

semplicità di calcolo. A proposito di tali valori, va sottolineato il fatto che essi, avendo

proprietà diverse, ricevono applicazioni in contesti differenti. Ma, non è certo questa la

sede più opportuna per svolgere una discussione su tali questioni, pure se estremamente

rilevanti; qui si osserva soltanto che la scelta del valore medio da usare dipende dal tipo

di distribuzione con cui si ha a che fare e dai fini che si vogliono perseguire.

Le misure di posizione (valori medi) riescono a sintetizzare soltanto una parte

delle caratteristiche di una distribuzione statistica: la tipicità. Nella generalità dei casi,

dei fenomeni oggetto di studio interessa anche una misura sintetica della variabilità. Di

qui la necessità di indici capaci di evidenziare, attraverso un solo valore numerico, tale

particolarità delle distribuzioni. D'altra parte va anche sottolineato il fatto che, dal punto

di vista della comprensione dei fenomeni, una sintesi limitata ai soli aspetti tipici, risulta

spesso insufficiente.

Degli innumerevoli indici che sono stati proposti per la misura sintetica della

variabilità nelle distribuzioni qui si richiamano soltanto lo scostamento semplice medio,

lo scostamento quadratico medio, la varianza, la differenza semplice media e la

differenza quadratica media.

Da sottolineare che questi indici, come qualunque altro indice di variabilità,

devono essere in grado di esprimere la variabilità presente nelle manifestazioni dei

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23

fenomeni; devono, pertanto, assumere valori tanto più elevati quanto più il fenomeno è

variabile ed annullarsi in caso di completa omogeneità (fenomeno individuale).

Scostamento semplice medio e scostamento quadratico medio.

Se, al solito, con x1, x2,....xk si indicano le k modalità distinte relative alle

manifestazioni quantitative di un certo fenomeno, e con n1, n2,....nk le rispettive

frequenze assolute, lo scostamento semplice medio e lo scostamento quadratico medio

restano definiti rispettivamente dalle formule

∑∑∑===

−=−=−=k

iii

k

iii

k

iii f xxn xx

Nn Mx

NS

11111

11

( ) ( )21

1

221

1

221

1

2

12

11/k

iii

/k

iii

/k

iii fxxnxx

NnMx

NS

−=

−=

−= ∑∑∑

===

dove al solito M x1 = rappresenta la media aritmetica della variabile statistica X.

Più in generale, lo scostamento medio di ordine r resta definito dalla formula

r/k

ii

r

i

r/k

ii

r

i

r/k

ii

r

ir fxxnxxN

nMxN

S1

1

1

1

1

11

11

−=

−=

−= ∑∑∑

===

Dove M è un qualunque valore medio di interesse che non coincide necessariamente

con la media aritmetica. Infatti, a volte lo scostamento semplice medio viene definito in

termini di scostamenti in valore assoluto da misure di posizione diverse dalla media

aritmetica, in particolare, si calcola lo scostamento semplice medio dalla mediana

anziché dalla media aritmetica

i

k

ieii

k

ieiM f Mxn Mx

NS

e ∑∑==

−=−=11

1

godendo la mediana, come ho già detto, della proprietà di rendere minima la somma dei

valori assoluti degli scarti.

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24

Si ricorda che lo scostamento quadratico medio è già stato introdotto in

precedenza quale radice quadrata positiva del secondo momento centrale, cioè come

radice quadrata positiva della varianza. Ovviamente qui si può definire la varianza

come quadrato dello scostamento quadratico medio

222

22 S ; S === σσµ

Differenza semplice media e differenza quadratica media

Per ottenere una misura sintetica di variabilità di una distribuzione statistica,

piuttosto che operare il confronto tra i diversi valori assunti dalle varie modalità ed un

singolo valore che riassume la tipicità della distribuzione stessa, si può operare il

confronto tra tutte le diverse modalità assunte dal carattere oggetto d’analisi. Gli indici

statistici di uso più frequente proposti in letteratura sono la differenza semplice media

e la differenza quadratica media senza ripetizione definite, rispettivamente, dalle

formule.

ji per nn xx1)N(N

1ji

k

1i

k

1jji1 ≠−

−= ∑∑

= =

( ) ji per nnxx)N(N

/

ji

k

i

k

jji ≠

−= ∑∑

= =

21

1 1

22 1

1∆

mentre la differenza semplice media e la differenza quadratica media con

ripetizione sono definite dalle formule

ji

k

i

k

jji

r nn xxN

∑∑= =

−=1 1

21

1∆

( )21

1 1

2

22

1/

ji

k

i

k

jji

r nnxxN

−= ∑∑

= =

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25

La differenza quadratica media e lo scostamento quadratico medio pur essendo

indici di variabilità concettualmente diversi (nel primo caso, per misurare la variabilità

di un fenomeno si opera il confronto tra tutte le modalità delle sue manifestazioni,

mentre, nel secondo caso, le diverse modalità vengono confrontate con un valore medio:

la media aritmetica nel caso specifico) sono legati tra loro dalla relazione

σ∆ ⋅= 22r .

Altre misure di dispersione, più semplici da calcolare, ma meno significative come

indici di variabilità, sono il campo di variazione e la differenza interquartile. Il

campo di variazione viene definito come differenza fra il valore massimo ed il valore

minimo assunto da una variabile statistica | xk – x1 |. La differenza interquartile viene

definita come differenza tra il terzo ed il primo quartile | Q3 – Q1|.

Esempio 4

Volendo determinare i valori numerici delle quattro diverse misure di variabilità

sopra introdotte, relativamente alla distribuzione riportata nella Tab. 1, può risultare

utile l’adozione di uno schema di calcolo simile a quello sotto riportato. Nello schema

vengono indicati gli elementi per il calcolo di tutti gli indici di variabilità considerati;

evidentemente, il ricercatore nel suo lavoro si limiterà al calcolo di quegli elementi

necessari alla determinazione della misura di dispersione scelta in funzione di quel

particolare aspetto della variabilità che vuole evidenziare.

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26

Tab. 4 - Votazioni riportate da un gruppo di 30 studenti all’esame di statistica

836230

10

11 ,

nxxS i

ii

=−

=∑

= ;( )

316330

10

1

2

2 ,nxx

S iii

=−

=∑

=

80230

10

1 ,nMx

S iiei

M e=

−=

∑= ; S 2

2 = σ2 10 994= ,

Tutti gli indici di variabilità definiti in precedenza, sono indici assoluti di

variabilità, sono cioè espressi nella stessa unità di misura impiegata per esprimere i

valori del fenomeno considerato.

Il confronto fra gli indici assoluti di variabilità, nella generalità dei casi, non è

proponibile se si fa riferimento a fenomeni diversi; ad esempio, volendo confrontare la

variabilità dei pesi e delle stature in un collettivo d'individui, non si possono impiegare i

rispettivi scostamenti quadratici medi, essendo il primo misurati in Kg ed il secondo in

cm.

Il raffronto fra indici assoluti di variabilità può anche essere reso illogico dal

diverso valore medio dei fenomeni esaminati. Si supponga, ad esempio, di voler

confrontare la variabilità del fatturato e la variabilità della spesa pubblicitaria in un

insieme d'aziende; gli scostamenti quadratici medi dei due fenomeni non possono essere

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27

paragonati, poiché il valore medio della spesa pubblicitaria è evidentemente molto

minore del valore medio del fatturato.

Allo scopo di superare queste difficoltà, volendo confrontare la variabilità in

situazioni (fenomeni, insiemi, ecc.), differenti, s'introducono indici relativi di

variabilità, i quali sono puri numeri, cioè rapporti fra grandezze, in cui è stata elimina-

ta l'influenza dell'unità di misura e del valor medio dei fenomeni originari.

Una prima classe di indici relativi di variabilità, viene definita come rapporto fra

una generica misura di variabilità assoluta, V, ed un generico valore medio, M, che

considereremo in modulo, per comprendere anche il caso di variabili, come i profitti

delle imprese, le temperature, ecc., che possono avere media negativa. Si ricorda in

proposito che un indice di variabilità può assumere soltanto valori positivi ed assume il

valore minimo zero solo nelle situazioni di assenza di variabilità: in tali casi il fenomeno

esaminato non è collettivo ma individuale (variabile statistica degenere). L’espressione

generale per un indice relativo di variabilità è

M

VVr =

In particolare, se V è lo scostamento quadratico medio e M è la media aritmetica,

l'indice relativo di variabilità è detto coefficiente di variazione ed è indicato

abitualmente col simbolo CV:

1

2

1 M

S

MCV == σ

Il coefficiente di variazione rappresenta l'indice relativo di variabilità più

impiegato, essendo basato su M1 e S2, i cui motivi di preferenza sono già stati illustrati.

Altri indici di variabilità relativa che trovano qualche applicazione sono:

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28

i) il campo di variazione relativo:

1

1

M

xxk −

che può essere utilizzato, ad esempio, per confrontare la variabilità delle quotazioni

di titoli azionari differenti:

ii) lo scostamento medio relativo dalla mediana, nel quale, per coerenza con l'indice

di variabilità posto a numeratore, si considera a denominatore la mediana, anziché la

media.

e

M

M

Se

Questo indice viene impiegato per la misura e il confronto della variabilità di

fenomeni di cui si è sintetizzato la tipicità attraverso il computo della mediana.

Tra gli indici di variabilità relativa, quello che trova la maggiore applicazione per

la sua particolare natura è il cosidetto rapporto di concentrazione definito dalla

relazione

12MR

∆=

dove ∆ è la differenza semplice media e 2 M1 è il valore massimo che questo indice

può assumere. Da sottolineare che nella situazione in esame M1> 0.

L’indice di concentrazione varia, ovviamente, tra 0 (situazione di

equidistribuzione dell’intensità complessiva, cioè dell’ammontare totale del carattere,

tra le varie unità statistiche) e 1 (situazione di massima variabilità o, come si avrà modo

di chiarire nelle righe seguenti, di massima concentrazione).

L’indice R si presta ad un’interessante interpretazione geometrica attraverso il

diagramma di Lorenz che viene costruito nel modo seguente: si abbia una successione

ordinata x x xn1 2≤ ≤ ≤� di determinazioni di un carattere X, supposto trasferibile, e

si indichino con

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29

n

ipi = la frazione di unità statistiche che presentano

una determinazione di X ≤ xi

111

21

Mn

x

Mn

xxxq j

i

j

ii ∑

=

=+++

=�

la frazione dell’intensità totale (n M1) checompete alle unità statistiche che presentanouna determinazione di X ≤ xi .

Se si rappresentano in un sistema di assi cartesiani i punti (pi , qi) e si uniscono i

punti stessi con dei segmenti, si ottiene una spezzata detta spezzata di concentrazione

(Fig. 5). La spezzata coinciderà con i segmenti AB’ e B’C se q1=q2=...=qn-1=0

(situazione di massima concentrazione); si presenterà in modo simile a quella della

figura in ogni al tra situazione.

0 p1 p2 ......... pi pn-1 pn.............A

q

q*i

1

Fig. 5 - Spezzata di concentrazione e retta di equidistribuzione

Ciascuna differenza pi-qi può essere interpretata come misura

dell’allontanamento dalla situazione di equidistribuzione e può essere utilizzata per

costruire un indice relativo di concentrazione definito dal rapporto

A

q

q*i

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30

∑−

=

=

−=

1

1

1

1n

ii

n

iii

p

)qp(R

dove il numeratore dà una misura complessiva della concentrazione esistente nella

distribuzione empirica e il denominatore fornisce l’analoga misura che si otterrebbe nel

caso di massima concentrazione; in questo caso, infatti, si avrebbe qi = 0 per

i=1, 2, ..., n-1 e quindi pi-qi=pi .

Si dimostra che l’indice R, ottenuto in base a considerazioni di natura geometrica,

coincide con quello definito in precedenza come rapporto tra ∆ e 2M; cioè:

12MR

∆= =

∑−

=

=

1

1

1

1n

ii

n

iii

p

)qp(

Se la variabile statistica è del tipo (xi , ni) i=1,2,...,k , il diagramma di Lorenz

viene costruito rappresentando i k punti (pi , qi) i=1,2,...,k

∑∑==

==i

jjji

i

jji nx

Mnqen

np

111

11

e si procede ad una valutazione approssimata del rapporto di concentrazione come

rapporto tra l’area di concentrazione (area compresa tra la retta di equidistribuzione e la

spezzata di concentrazione) e l’area del triangolo ABC (pari a 1/2) che, per n

abbastanza grande, rappresenta una buona approssimazione dell’area di massima

concentrazione.

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31

Fig. 6 - Area di concentrazione

L’indice relativo di variabilità (rapporto di concentrazione) risulta definito dalla

relazione

∑∑

=−−

=−−

+−−=+−−

=k

iiiii

k

iiiii

)qq)(pp()qq)(pp(

R1

111

11

1

2

12

1

2

1

dove p0 = q0 = 0 e l’area di concentrazione si ottiene come differenza tra l’area del

triangolo ABC (pari a 1/2) e la somma delle aree dei trapezi di altezza pi - pi-1 e di base

qi (base maggiore) e qi-1 (base minore).

Esempio 5

Si supponga di disporre di informazioni relative al quantitativo di merce giacente

nei magazzini di una certa ditta alla fine di due anni e che si voglia procedere al calcolo

dei rapporti di concentrazione relativi ai due anni ed alla rappresentazione grafica,

tramite diagrammi di Lorenz, in un unico diagramma di concentrazione.

0 p1 p2 ......... pi-1 pk-1 pk=1.........pi

A

qi-1

qi

qk=1

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32

magazzino giacenze a fine annoI anno II anno

A 230 735B 150 120C 10 45D 20 20E 100 75F 200 105G 50 75H 10 75I 20 45L 210 105

Totale 1000 1500

Tab. 5 - Giacenze di magazzino in tempi diversi

Applicando uno qualsiasi dei metodi di calcolo visti in precedenza, si può

verificare facilmente che , per la distribuzione riferita all’anno I, risulta M1 = 100 e ∆ =

104,889 mentre, per quella riferita all’anno II, si ha M1 = 150 e ∆ = 157,333. I due

rapporti di concentrazione risultano quindi

5240300

3331575240

200

889104,

,R,

,R III ====

Misurata attraverso R la concentrazione risulta identica nelle due distribuzioni.

Per la costruzione del diagramma di Lorenz si può impostare un prospetto nel

quale sono riportati i valori delle due distribuzioni ordinate in senso crescente ed i

relativi valori pi e qi .

N. Dati riferiti al tempo I Dati riferiti al tempo II

ordine i pi xi Ni qi xi Ni qi

1 0,1 10 10 0,01 45 45 0,032 0,2 10 20 0,02 45 90 0,063 0,3 20 40 0,04 75 165 0,114 0,4 20 60 0,06 75 240 0,165 0,5 50 110 0,11 75 315 0,216 0,6 100 210 0,21 105 420 0,287 0,7 150 360 0,36 105 525 0,358 0,8 200 560 0,56 120 645 0,439 0,9 210 770 0,77 120 765 0,51

10 1,0 230 1000 1,00 735 1500 1,00

Tab. 6 - Procedimento di calcolo del rapporto di concentrazione sui dati della Tab. 5

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33

Rappresentando i punti (pi , qi) i=1,2, ..., 10 per le due distribuzioni, si ottengono

le spezzate di concentrazione riportate nella Fig. 7.

Dall’osservazione del grafico emerge in modo evidente che il valore del rapporto

di concentrazione non definisce univocamente la spezzata di concentrazione in quanto a

due valori identici corrispondono due spezzate diverse, che riflettono la diversa

distribuzione delle giacenze fra i dieci magazzini; passando dall’anno I all’anno II,

infatti, aumenta la concentrazione delle scorte nel magazzino A mentre tendono a ridursi

le differenze tra i rimanenti. Il diagramma di Lorenz, quindi, può essere utilmente

affiancato, come strumento di analisi, all’indice di concentrazione, in quanto consente di

evidenziare alcuni aspetti della distribuzione che una misura sintetica, rappresentata da

un solo valore numerico, può non riuscire a cogliere.

Tempo I

Tempo II

Fig. 7 - Spezzate di concentrazione per i dati della Tab. 5.

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34

Mutabili statistiche-

Se da un lato l'operazione di classificazione delle manifestazioni di un certo

fenomeno (unità statistiche) secondo le modalità qualitative può risultare più facile di

quella corrispondente a modalità quantitative, consistendo l'operazione stessa in una

semplice enumerazione dei casi che ricadono in ciascuna classe, lo studio delle mutabili

statistiche risulta relativamente più complicato rispetto allo studio delle variabili

statistiche. A tale proposito va subito detto che taluni tra gli indici introdotti in

precedenza (valori medi ed indici di variabilità) perdono di significato nel caso delle

mutabili statistiche in quanto definiti da un insieme di operazioni aritmetiche su numeri

aventi natura cardinale.

Nel caso in cui si debbano trattare modalità qualitative ordinate di un certo

carattere (mutabili rettilinee), è possibile, sostituendo alle modalità ordinate una

graduatoria, procedere al calcolo della media aritmetica allo stesso modo visto in

precedenza purché si abbia l'accortezza d'attribuire al risultato il giusto significato, nel

senso che la media ottenuta avrà natura ordinale così come avevano natura ordinale le

singole modalità. Diverso è naturalmente il discorso nei casi in cui si procede ad un

effettivo cambiamento della scala di misura, cioè quando alle modalità qualitative si

sostituiscono dei valori numerici aventi natura cardinale (quando si sostituisce, ad

esempio, al colore la lunghezza d'onda delle radiazioni emesse); in questi casi si avrà a

che fare con delle vere e proprie variabili statistiche e varranno pertanto tutte le

considerazioni fatte a proposito di tali distribuzioni.

Quando si deve analizzare un fenomeno classificato secondo le modalità

qualitative non ordinate di un suo carattere (mutabili cicliche e sconnesse), per

procedere al calcolo della media aritmetica, si può far riferimento ad uno schema teorico

nel quale si conviene di porre uguale ad uno la distanza tra le due unità di osservazione

che presentano modalità diverse ed uguale a zero la distanza tra unità di osservazione

che presentano la stessa modalità, si determina poi la media aritmetica in vista del

soddisfacimento della seconda proprietà cui la stessa soddisfa; si cerca cioè di

individuare il valore che minimizza la somma dei quadrati degli scarti (distanze in

questo caso). Si definisce pertanto media aritmetica di una mutabile non ordinata A

la modalità Aj che minimizza l'espressione

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35

∑=

k

iiij nd

1

2

dove dij rappresenta la distanza tra la modalità Ai e la modalità Aj.

Tenendo presente che dij =0 se i = j e dij = 1 se i≠j, si ha

∑∑∑+=

==

+=k

jii

j

ii

k

iiij nnnd

1

1

11

2

Il minimo si otterrà in corrispondenza della modalità Aj che presenta la massima

frequenza.

Se sono presenti più modalità con uguale frequenza massima, la media aritmetica

sarà una qualsiasi di queste modalità.

La media sopra definita soddisfa anche alle definizioni di moda e di mediana;

infatti, essa da un lato corrisponde alla modalità con massima frequenza (moda),

dall'altro minimizza (sotto la convenzione introdotta) la somma dei valori assoluti

degli scarti.

Per procedere al calcolo degli indici sintetici di mutabilità va detto che essi, in

analogia a quanto gi affermato a proposito degli indici sintetici di variabilità, devono

essere in grado d'esprimere il livello di eterogeneità presente nella distribuzione oggetto

d'analisi; devono pertanto annullarsi nel caso di completa omogeneità ed assumere

valori tanto più elevati quanto più il gruppo in esame si presenta eterogeneo rispetto al

carattere (qualitativo) considerato.

Nel caso in cui si abbia a che fare con mutabili rettilinee trasformate (attraverso un

cambiamento della scala di misura) in variabili, sarà possibile procedere al computo di

tutti gli indici di variabilità introdotti in precedenza avendo però l'accortezza

d'interpretare le misure ottenute in funzione della trasformazione adottata.

Relativamente alle mutabili statistiche cicliche o sconnesse e alle rettilinee non

trasformate, se si assume il quadro di riferimento teorico introdotto a proposito del

calcolo dei valori medi, si potrà definire un indice sintetico di mutabilità, sotto il duplice

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36

aspetto di dispersione media da una modalità e di dispersione media tra modalità,

mediante la formula:

∑=

−−

==k

iii )nn(n

)n(nS

111 1

1∆

dove n (n = N) presenta il numero complessivo delle unità osservate.

- Variabili e mutabili statistiche doppie

Fin ad ora sono stati trattati problemi concernenti fenomeni le cui manifestazioni

venivano classificate secondo le modalità quantitative o qualitative di un solo carattere.

Si è detto però come le unità statistiche possano differenziarsi in funzione delle modalità

di due o più caratteri considerati simultaneamente; in tal caso si avrà a che fare con

distribuzioni statistiche multiple. In particolare si parlerà di variabili statistiche multiple,

se le manifestazioni del fenomeno vengono classificate secondo le modalità quantitative

di più caratteri e di mutabili multiple, nel caso in cui la classificazione viene operata

secondo le modalità qualitative di più caratteri. Quando le manifestazioni dei fenomeni

(unità statistiche) vengono classificate secondo le modalità di più caratteri, alcuni dei

quali di natura quantitativa altri di natura qualitativa, si parla di variabili statistiche

miste.

Lo studio delle distribuzioni statistiche multiple, anche se limitato al livello

descrittivo, risulta più interessante ma anche più complesso e laborioso. Infatti, in

questo caso si devono affrontare oltre ai problemi di rappresentazione simbolica,

tabellare, grafica e sintetica già considerati a proposito delle distribuzioni semplici an-

che i nuovi problemi connessi allo studio delle relazioni interne tra le componenti la

distribuzione multipla.

Non è questa la sede per svolgere una completa trattazione dell'argomento, si

procederà pertanto ad illustrare sommariamente ed a titolo esemplificativo soltanto

taluni aspetti fondamentali dell'analisi delle mutabili e variabili statistiche doppie.

Lo studio delle distribuzioni statistiche doppie può essere svolto per una prima

parte seguendo lo schema tracciato per le variabili e mutabili statistiche semplici,

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37

partendo, cioè, dalle rappresentazioni simboliche, passando successivamente alle

rappresentazioni tabellari (e grafiche) per giungere infine al calcolo dei valori medi e

degli indici di variabilità e mutabilità. Ma tali aspetti, che costituiscono d'altronde una

facile estensione di quanto detto a proposito delle variabili e mutabili statistiche

semplici, non verranno presi in considerazione in modo specifico, mentre una maggiore

attenzione verrà dedicata alla seconda parte dell'analisi delle variabili e mutabili statisti-

che doppie, cioè all'aspetto che riguarda lo studio dell'associazione tra le due

componenti.

Si consideri dunque un insieme I di manifestazioni relative ad un certo fenomeno

F classificato secondo le modalità quantitative e/o qualitative di due caratteri e si indichi

simbolicamente con (xi, yi) e con nij (1, 2,...,h; j = 1, 2,...,k) rispettivamente le modalità

dei due caratteri ed il numero delle volte in cui ciascuna coppia si è presentata.

L'insieme delle triplette (x1,y

1;n

11),(x

1,y

2;n

12).….(x

h,y

k;n

hk) costituisce una distribuzione

doppia di frequenza e gli interi nij (1, 2, ...,h; j = 1, 2, ...,k) vengono dette frequenze

assolute; si dicono invece frequenze relative i numeri

fij = nij/N i = 1, 2, ...,h; j = 1, 2, ...,k

dove naturalmente N = ∑∑= =

h

1i

k

1jijn .

Le frequenze assolute e relative cumulate sono date, rispettivamente, da

∑∑= =

=i

r

j

srsij nN

1 1

; ∑∑∑∑= == =

==i

r

j

srs

i

r

j

srsij n

NfF

1 11 1

1

Con (X, Y) si indica simbolicamente la variabile o mutabile statistica doppia o

variabile mista, cioè l'entità capace di assumere le modalità (xi, yi)con frequenza pari a

nij.

Anche relativamente alle distribuzioni statistiche doppie si dovranno distinguere

le variabili statistiche continue da quelle discrete. Qui verranno limitate le

considerazioni alle variabili statistiche discrete, risultando facile l'estensione di quanto

verrà detto al caso delle variabili continue facendo, ad esempio, riferimento al valore

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38

centrale della classe nel caso in cui le manifestazioni del fenomeno avente natura

continua vengono classificate, come generalmente avviene, secondo classi di modalità.

Il risultato della classificazione delle manifestazioni di un fenomeno secondo le

modalità quantitative e/o qualitative di due caratteri, cioè una distribuzione statistica

doppia, può essere rappresentato attraverso una tabella a doppia entrata

NnnnnTotale

nnnnnx.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.nnnnnx.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.nnnnnx

nnnnnx

TotaleyyyyYX

k.j...

.hhkhjhhh

.iikijiii

.kj

.kj

kj

����

����

����

����

����

����

21

21

21

22222212

11112111

21

Tab. 7 - Schema di tabella a doppia entrata

dove: le modalità dei due caratteri X e Y, nel caso in cui una o entrambe siano

quantitative, sono ordinate in modo crescente; ∑=

=k

jij.i nn

1

, per i=1,2,...,h , indica il

numero delle unità che presentano la modalità xi del carattere X qualunque sia la

modalità assunta dal carattere Y; ∑=

=h

iijj. nn

1

, per j=1,2,...,k , indica le unità che

presentano le modalità yj del carattere Y, qualunque sia la modalità assunta dal carattere

X e, al solito, n rappresenta il numero totale delle unità osservate. Le corrispondenti

frequenze relative saranno ovviamente:

∑=

=k

1jij.i ff∑

=

=h

iijj. ff

1∑∑

= =

=h

i

k

jijf

1 1

1

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39

- Misura dell’associazione tra caratteri

Si è detto che il problema che si vuol trattare relativamente alle distribuzioni

statistiche doppie (X, Y) è quello riguardante lo studio delle relazioni interne tra la

coppia X e Y.

S'intuisce immediatamente come il problema stesso possa essere visto sotto

angolazioni visuali molto diverse a seconda degli aspetti che si debbono considerare in

vista degli scopi da perseguire.

Nonostante le molteplici sfaccettature che lo studio delle relazioni interne tra le

componenti di una distribuzione statistica doppia può presentare, è possibile procedere

ad un raggruppamento in due grandi categorie:

a) Studio della connessione

b) Studio della interconnessione.

Nel primo caso si tende ad accertare se una delle due variabili e/o mutabili è

connessa all'altra considerata come antecedente non necessariamente causale; nel

secondo caso si cerca di stabilire se esiste una reciproca influenza tra le due componenti

senza che si consideri una delle due come antecedente dell'altra.

Lo studio della connessione e interconnessione è fondato sul concetto di

indifferenza. Si dice che tra due variabili e/o mutabili X e Y componenti la distribuzione

doppia (X, Y) esiste indifferenza quando per tutti gli elementi nij della tabella a doppia

entrata vale la relazione:

ijj..i*

ij nN

n nn == ed anche

N

n

N

n

N

n j..iij ⋅= per i = 1, 2, ..., h; j = 1, 2, ..., k .

Tutte le volte che la relazione di uguaglianza ij*ij nn = non è soddisfatta, cioè

quando le frequenze osservate nij sono diverse dalle frequenze attese (teoriche) sotto

l’ipotesi di indipendenza stocastica, si dice che tra le due componenti la distribuzione

statistica doppia esiste una qualche relazione nel senso che essendo note le modalità

assunte dalla variabile o mutabile considerata come antecedente si può fare una qualche

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B. Chiandotto Versione 00-Cap.4Metodi statistici per le decisioni d’impresa

40

previsione (congettura) sulle modalità dell'altra variabile o mutabile (connessione)

oppure che esiste una certa tendenza ad associarsi delle modalità (interconnessione).

La relazione di uguaglianza che definisce l’indifferenza, N

nnn j..i*

ij = , è più

comunemente nota come la relazione di indipendenza tra le componenti. Si tratta dello

stesso concetto di indipendenza (statistica o stocastica o nel senso del calcolo delle

probabilità) già introdotto a proposito delle variabili casuali doppie e, ancora prima,

quando si è trattato di eventi indipendenti.

Quando tra le componenti X e Y della distribuzione statistica doppia esiste una

qualche relazione si dovrà procedere alla individuazione di indici capaci di fornire una

misura del grado di associazione (sia nel senso della connessione che in quello della

interconnessione) esistente.

Un modo naturale per arrivare alla definizione di indici di associazione è quello di

prendere avvio dal confronto tra le frequenze empiriche osservate nij e le frequenze

teoriche *ijn che si sarebbero ottenute nel caso di indipendenza (statistica, stocastica, in

probabilità) tra le due componenti la distribuzione doppia.

Le quantità

k,...,,j;h,...,,iperN

n nnnnc j..i

ij*ijijij 2121 ==−=−=

vengono dette contingenze assolute, mentre si dicono relative le contingenze

1 n

n

n

nn

n

c C

*ij

ij

*ij

*ijij

*ij

ijij −=

−==

Risulta evidente come il confronto attraverso le contingenze relative sia più

significativo di quello tra contingenze assolute non risentendo dell’ordine di grandezza

delle entità poste a confronto.

Per ottenere degli indici che misurano il grado di allontanamento dall’ipotesi di

indipendenza tra le componenti basterà sintetizzare le contingenze attraverso medie

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41

appropriate. I due indici più noti proposti in letteratura sono quelli che si ottengono

calcolando medie ponderate delle contingenze assolute e delle contingenze quadratiche,

dove i pesi sono rappresentati dalle frequenze teoriche nij*.

∑∑∑∑

∑∑= =

= =

= = −=⋅

=h

i

k

j

*ijijh

i

k

j

*ij

h

i

k

j

*ijij

nnn

n

nC

C1 1

1 1

1 11

1

( ) 21

1 1

2

21

1 1

1 1

2

2

1

−=

= ∑∑∑∑

∑∑= =

= =

= =h

i

k

j*ij

*ijij

h

i

k

j

*ij

h

i

k

j

*ijij

n

nn

nn

nC

C

I due indici sopra introdotti sono indici assoluti di interconnessione. Si dimostra

che

−≤

k ,

h min C

112

1121

( )( )[ ]1122 −−≤ k,h min C

si possono, pertanto, ottenere degli indici relativi di interconnessione, che

assumeranno valore 0 nel caso di indipendenza e valore 1 nel caso di massima

connessione, rapportando gli indici assoluti C1 e C2 al valore massimo che gli stessi

possono assumere

−=

=∑∑

= =

k ,

hmin

nnn

k ,

hmin

CC

h

i

k

j

*ijij

r1

121

12

1

112

112

1 111

Indice semplicedi interconnessionemedia di Mortara

*

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42

( ) ( )[ ]

( )

( ) ( )[ ]

21

1 1

2

21

22

2 11

1

11

−−

=

−−

=∑∑

= =

k,hmin

n

nn

n

k,hmin

CC

h

i

k

j*ij

*ijij

r

A proposito di questi due indici si deve osservare che il vero indice proposto da

Mortara è

∑∑= =

−=h

i

k

j

*ijijM nn

NC

1 12

1

che non assume mai il valore 1 e che l’indice C2r , usualmente indicato con il simbolo

ϕ2, viene attribuito impropriamente a K. Pearson a causa della relazione

( ) 22

1 1

22

22

1 ϕχ ==−

= ∑ ∑= =

h

i

k

j*ij

*ijij

Nn

nn

NC

dove( )

∑∑= =

−=

h

i

k

j*ij

*ijij

n

nn

1 1

2

2χ rappresenta il notissimo χ2 di Pizzetti-Pearson già visto in

precedenza e sul quale si avrà modo di ritornare diffusamente in seguito.

Il vero coefficiente quadratico di connessione media proposto da Pearson è

definito da

21

22

22

1

+

=C

CCP

che pur annullandosi nel caso di indipendenza non assume mai il valore 1.

Un ulteriore indice quadratico di interconnessione media è quello proposto da

Tschuprov

( )( )[ ] 21

11

22

−−=

kh

CT

Indice quadraticodi interconnessionemedia di Cramer

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43

dove, come si può rilevare, si opera la relativizzazione dell’indice assoluto C22 non più

con il minimo tra (h-1) e (k-1) ma con la media geometrica dei due valori.

Gli indici sopra considerati sono basati sul confronto tra frequenze empiriche e

frequenze teoriche sotto l’ipotesi di indipendenza, prescindono, quindi, dalla natura dei

due fenomeni d’interesse. Se le manifestazioni di uno o entrambi i fenomeni considerati

sono espresse con una scala quantitativa (d’intervallo o di rapporto) può risultare

conveniente utilizzare l’ulteriore informazione e procedere alla definizione di adeguati

indici per la misura della connessione e della interconnessione.

Si supponga, per semplicità ma senza perdere in generalità, che X sia la variabile o

mutabile antecedente non necessariamente causale, della variabile statistica Y. Ci si

potrà allora chiedere se al variare delle modalità, quantitative o qualitative, della X le

modalità, quantitative, della Y evidenziano un andamento particolare, ad esempio se

nella Tab. 7 in corrispondenza di ciascuna modalità della X, cioè per ogni riga, le

frequenze sono tutte nulle ad eccezione di una (il cui valore coinciderà, naturalmente,

con il valore marginale) ne risulterà una dipendenza completa della variabile Y dalla

variabile o mutabile X, nel senso che: nota la modalità assunta dalla X la modalità della

Y risulta univocamente determinata.

Il caso sopra discusso si riscontra molto raramente nelle situazioni reali; infatti,

sono molto più frequenti le situazioni in cui si riscontra una qualche connessione delle

distribuzioni condizionate piuttosto che quello di dipendenza completa, il caso cioè in

cui nota la modalità assunta dalla variabile o mutabile X è possibile trarre qualche

conclusione sulla corrispondente distribuzione della variabile Y.

Per verificare la presenza di un possibile legame tra le variabili condizionate

Y/X = xi per i = 1,2,...,h

che assumono i valori (yj /X = xi) = y j/xi (j=1,2,...,k) con frequenza assoluta nij e

frequenza relativa ( )ij.i

ij x/yfn

n= = fj/i, si potrà operare una sintesi adeguata delle

distribuzioni condizionate ed analizzare il loro comportamento al variare delle modalità

assunte dalla variabile o mutabile X.

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B. Chiandotto Versione 00-Cap.4Metodi statistici per le decisioni d’impresa

44

La sintesi più immediata è rappresentata dal computo del valore medio

condizionato

( )y y f y x yn

nper i hi j j i

j

k

j

ij

ij

k

= = == =

∑ ∑/ , ,...,.1 1

1 2

Si tratterà a questo punto di valutare l’andamento delle medie condizionate al variare

delle modalità della variabile o mutabile X.

La comprensione degli indici di connessione che verranno in seguito introdotti

risulta facilitata se si procede alla cosidetta scomposizione della devianza totale della

variabile Y. In proposito si ricorda che la devianza, espressa dal numeratore della

varianza, non è altro che la somma dei quadrati degli scarti dalla media aritmetica.

Si consideri innanzitutto la relazione

.i

h

ii

.i

h

i

k

j .i

ijjij

h

i

k

jjy

nyN

n n

ny

Nny

Ny

∑ ∑∑∑

=

= == =

=

=

===

1

1 11 1

1

11µ

che evidenzia la proprietà associativa della media aritmetica; cioè, la media totale

risulta uguale alla media (ponderata) delle medie di gruppo, dove qui il gruppo è inteso

come l’insieme delle osservazioni associate a ciascuna modalità della variabile o

mutabile X.

Si consideri ora la devianza totale della variabile Y

( )

( ) =−+−=

=−==

∑∑

∑∑

= =

= =

ij

h

i

k

jiij

ij

h

i

k

jj

nyyyy

nyy)T(Dev)Y(Dev

1 1

2

1 1

2

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B. Chiandotto Versione 00-Cap.4Metodi statistici per le decisioni d’impresa

45

( ) ( )

( )( ) =−−+

+−+−=

∑∑

∑∑∑∑

= =

= == =

iji

h

i

k

jij

ij

h

i

k

jiij

h

i

k

jij

n yyyy

nyynyy

1 1

1 1

2

1 1

2

2

( ) ( )

( ) ( ) =−

−+

+−+

−=

∑ ∑

∑∑ ∑

= =

== =

.ii

h

i .i

ijk

jij

h

i.i.i.i

h

i .i

ijk

jij

n yy n

nyy

nyyn n

nyy

1 1

1

2

1

2

1

2

( ) ( )

)B(Dev )W(Dev

nyynx/YDevk

i.i.i.i

h

ii

+=

=−+= ∑∑== 1

2

1

dove: per la prima proprietà della media aritmetica ( ) 01

=−∑=

k

j .i

ijij n

n yy ;

( ) ( )∑=

−=k

j .i

ijiji n

nyyx/YDev

1

2 per i = 1,2,...,h

rappresenta la devianza dell’i-esima distribuzione condizionata Y/xi ; Dev(W) la

somma ponderata delle devianze entro i gruppi (devianza Within); Dev(B) la devianza

tra i gruppi (devianza Between).

A questo punto risulta immediata l’interpretazione di due tra gli indici più

frequentemente usati per la misura della connessione. Il primo è l'indice quadratico di

connessione di Gini:

( )

( ) )T(Dev

)B(Dev

nyy

nyyC

k

jj.j

h

i.ii

xy =−

−=

=

=

1

2

1

2

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B. Chiandotto Versione 00-Cap.4Metodi statistici per le decisioni d’impresa

46

Il secondo indice è il rapporto di correlazione di Pearson

( )

( ) xyk

jj.j

h

iijij

k

jyx C

)T(Dev

)B(Dev

)T(Dev

W(Dev)T(Dev

)T(Dev

)W(Dev

nyy

nyy

==−=−=−

−−=

∑∑

=

= = 11

1

2

1

2

I due indici di cui si è riportata l'espressione analitica, pure se diversi dal punto di

vista concettuale, nel senso che il primo dà una misura della connessione delle modalità

medie di Y alle X mentre il secondo è basato sul confronto tra le misure della

dispersione delle distribuzioni parziali di Y intorno alla propria media e la dispersione

totale della Y stessa, numericamente si equivalgono.; cioè, .C yxxy η=

Si verifica facilmente che gli indici assumono valore zero nel caso di connessione

nulla e valore uno nel caso di massima connessione (un solo valore di Y in

corrispondenza di ogni valore di X).

Ovviamente, se X è la variabile statistica di interesse e Y è la mutabile o variabile

statistica antecedente, potranno essere definite le distribuzioni condizionate della

variabile X (tante quante sono le modalità di Y), le relative medie e varianze delle

distribuzioni e i due indici di dipendenza (connessione) in media

=

=

−=

h

i.ii

k

jj.j

yx

n)xx(

n)xx(

C

1

2

1

2

∑∑

=

= =

−−=

h

i.ii

h

i

k

jijji

xy

n)xx(

n)xx(

1

2

1 1

2

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47

Se entrambe le componenti sono quantitative e non si ha ragione di ritenere che

una sia logicamente antecedente dell’altra si può misurare la interconnessione

(interdipendenza in media) procedendo al calcolo di una media opportuna degli indici di

connessione, ad esempio la media geometrica. In proposito si deve, comunque,

osservare che i due indici possono assumere valori molto diversi, ad esempio può

risultare una dipendenza in media di y su x molto elevata, mentre può risultare

estremamente bassa la dipendenza in media di x su y , al limite anche ηyx = 1 e ηxy= 0;

in tali situazioni risulta più ragionevole limitarsi al solo calcolo degli indici

separatamente rinunciando ad una loro sintesi.

Ma nel caso in cui si ha a che fare con una variabile statistica doppia (entrambi i

caratteri X e Y sono espressi con scala di intervallo o di rapporto), l’indice più noto e

più utilizzato (spesso impropriamente) per la misura della relazione tra i due caratteri

quantitativi e il coefficiente di correlazione di Bravais-Pearson già introdotto quale

momento misto standardizzato di ordine 1.1.

∑ ∑

∑∑

= =

= =

−⋅−

−−=

⋅===

h

i

k

jj.j.ii

h

i

k

jijji

yx

xyyxxy

n)yy(n)xx(

n)yy)(xx(

1 1

22

1 111 σσ

σρρµ =

−=

∑∑

∑∑

==

= =

k

jj.j

h

i.ii

h

i

k

jijji

ynnyxnnx

yxnnxx

1

22

1

22

1 1

In effetti, il coefficiente di correlazione, come già detto e come si avrà modo di

meglio precisare in seguito, non è un indice di interdipendenza con valenza generale ma

è, molto più semplicemente, un indice di interdipendenza lineare che assume valore

±1 nel caso in cui le due variabili statistiche X ed Y sono legate da una relazione del

tipo lineare

Y = a + b X

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48

Quando ρxy = ρyx = 0 si dice che i due caratteri sono linearmente indipendenti nel

senso che la relazione lineare che lega, o meglio che non lega, Y ad X è del tipo Y = a ≡

costante.

In seguito (Cap. 8) verrà introdotta la relazione

22y

yx

x

xyy/xx/yxyyx bb

σσ

σσ

ρρ =⋅==

dove by/x= 2x

xy

σσ

e bx/y= 2y

yx

σσ

sono, rispettivamente, i coefficienti angolari delle rette

interpolanti (rette di regressione)

Y = a + by/x X

X = c + bx/y Y .

Fino ad ora sono stati introdotti tre concetti di indipendenza:

i) indipendenza stocastica (o indipendenza statistica, o indipendenza in

probabilità), e ciò avviene quando

k,...,,j;h,...,,i per N

nnn j..i

ij 2121 ==⋅

=

ii) indipendenza in media:

a) del carattere quantitativo Y rispetto al carattere qualitativo o quantitativo X , e

ciò avviene quando

yy...yy h ==== 21

b) del carattere quantitativo X rispetto al carattere qualitativo o quantitativo Y, e

ciò avviene quando

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49

xx...xx k ==== 21

iii) indipendenza lineare e ciò avviene quando le rette di regressione sono parallele

agli assi.

0== yxxy σσ

Ovviamente l’indipendenza stocastica è la forma più forte di indipendenza ed

implica l’indipendenza in media, e questa implica l’indipendenza lineare. Non è, nella

generalità dei casi, vero il viceversa; cioè, l’indipendenza lineare non implica

l’indipendenza in media, e questa non implica l’indipendenza stocastica.

In proposito si ricorda, comunque, che in alcuni casi particolari può valere anche il

viceversa, ma va sottolineato che si tratta di casi molto particolari come è quello della

variabile casuale normale doppia; infatti, si è gia visto in precedenza che per tale

distribuzione doppia l’indipendenza lineare implica l’indipendenza stocastica, cioè:

( ) ( ) ( )N

nnnyfxfy,xf j..i

ij

⋅=⇔⋅=⇒= 0ρ .

Al concetto di indipendenza si contrappone quello di dipendenza o

interdipendenza. Nelle righe precedenti sono state considerate alcune possibili

formulazioni di veri concetti di dipendenza e interdipendenza e descritti alcuni indici

proposti per la loro misura.

Esempio 6

Come esempio concreto di variabile statistica doppia si consideri la tabella

seguente (tavola di correlazione) che riporta la classificazione di 1000 studenti di

Friburgo secondo la statura ed il peso. Nella tavola sono riportati, per maggiore

chiarezza, i valori centrali di ciascuna classe di modalità esprimendoli sia in termini

numerici che simbolici; evidentemente, nelle ricerche empiriche, non è affatto

necessario riportare i simboli algebrici xi e yj che individuano le varie modalità.

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50

Peso Y y1 y2 y3 y4 y5 y6 y7 y8 y9 y10 y11 y12 Totale

Altezza X 46 49,5 53 56,5 60 63,5 67 70,5 74 77,5 81 84,4

x1=152,5 1 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2

x2=156,5 0 0 2 2 1 0 0 0 0 0 0 0 5

x3=160,5 0 2 10 15 4 4 0 0 0 0 0 0 35

x4=164,5 0 7 19 36 19 19 7 2 0 0 0 0 109

x5=168,5 0 2 27 54 66 48 21 18 1 0 0 0 237

x6=172,5 0 0 4 29 54 68 58 12 7 7 0 1 240

x7=176,5 0 0 3 5 36 46 57 31 15 5 4 2 204

x8=180,5 0 0 1 2 14 12 25 21 18 8 3 3 107

x9=184,5 0 0 0 0 2 3 10 12 7 5 2 2 43

x10=188,

5

0 0 0 0 0 0 1 6 2 2 3 2 16

x11=192,

5

0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 1

x12=196,

5

0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 1

Totale 1 11 67 143 196 200 179 103 51 27 12 10 1000

Tab. 8 - Tavola di correlazione tra statura e peso di 1000 studenti di Friburgo (secondoRautmann e Duras). Valori centrali delle classi di statura e di peso.

Se si prescinde dal fatto che entrambi i caratteri sono espressi in scala quantitativa

e si volesse misurare il grado di interdipendenza basandosi solo sulle frequenze, si

dovrebbe procedere al calcolo delle frequenze teoriche ( nnnn jiij /..* ⋅= ) sotto l’ipotesi di

indipendenza e al successivo computo delle contingenze che potranno essere poi

compattate attraverso indici adeguati.

Nella tab. 9, usualmente detta tavola di indifferenza, sono riportati i valori

assunti dalle frequenze teoriche.

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B. Chiandotto Versione 00-Cap.4Metodi statistici per le decisioni d’impresa

51

Peso Y y1 y2 y3 y4 y5 y6 y7 y8 y9 y10 y11 y12 Totale

Altezza X 46 49,5 53 56,5 60 63,5 67 70,5 74 77,5 81 84,4

x1=152,5 0,002 0,022 0,134 0,286 0,392 0,4 0,358 0,206 0,102 0,054 0,024 0,02 2

x2=156,5 0,005 0,055 0,335 0,715 0,98 1 0,895 0,515 0,255 0,135 0,06 0,05 5

x3=160,5 0,035 0,385 2,345 5,005 6,86 7 6,265 3,605 1,785 0,945 0,42 0,35 35

x4=164,5 0,109 1,199 7,303 15,587 21,364 21,8 19,511 11,227 5,559 2,943 1,308 1,09 109

x5=168,5 0,237 2,607 15,879 33,891 46,452 47,4 42,423 24,411 12,087 6,399 2,844 2,37 237

x6=172,5 0,24 2,64 16,08 34,32 47,04 48 42,96 24,72 12,24 6,48 2,88 2,4 240

x7=176,5 0,204 2,244 13,668 29,172 39,984 40,8 36,516 21,012 10,404 5,508 2,448 2,04 204

x8=180,5 0,107 1,177 7,169 15,301 20,972 21,4 19,153 11,021 5,457 2,889 1,284 1,07 107

x9=184,5 0,043 0,473 2,881 6,149 8,428 8,6 7,697 4,429 2,193 1,161 0,516 0,43 43

x10=188,5 0,016 0,176 1,072 2,288 3,136 3,2 2,864 1,648 0,816 0,432 0,192 0,16 16

x11=192,5 0,001 0,011 0,067 0,143 0,196 0,2 0,179 0,103 0,051 0,027 0,012 0,01 1

x12=196,5 0,001 0,011 0,067 0,143 0,196 0,2 0,179 0,103 0,051 0,027 0,012 0,01 1

Totale 1 11 67 143 196 200 179 103 51 27 12 10 1000

Tab. 9 - Tavola di indifferenza relativa alla var. statistica doppia riportata nella Tab. 8.

Nelle tabb. 10, 11, 12 e 13 sono state riportate, rispettivamente, le contingenze

assolute, le contingenze relative, le contingenze relative al quadrato e le contingenze

relative al quadrato pesate con le frequenze teoriche.

Peso Y y1 y2 y3 y4 y5 y6 y7 y8 y9 y10 y11 y12

Altezza X 46 49,5 53 56,5 60 63,5 67 70,5 74 77,5 81 84,4

x1=152,5 0,998 0,022 0,866 0,286 0,392 0,4 0,358 0,206 0,102 0,054 0,024 0,02

x2=156,5 0,005 0,055 1,665 1,285 0,02 1 0,895 0,515 0,255 0,135 0,06 0,05

x3=160,5 0,035 1,615 7,655 9,995 2,86 3 6,265 3,605 1,785 0,945 0,42 0,35

x4=164,5 0,109 5,801 11,697 20,413 2,364 2,8 12,511 9,227 5,559 2,943 1,308 1,09

x5=168,5 0,237 0,607 11,121 20,109 19,548 0,6 21,423 6,411 11,087 6,399 2,844 2,37

x6=172,5 0,24 2,64 12,08 5,32 6,96 20 15,04 12,72 5,24 0,52 2,88 1,4

x7=176,5 0,204 2,244 10,668 24,172 3,984 5,2 20,484 9,988 4,596 0,508 1,552 0,04

x8=180,5 0,107 1,177 6,169 13,301 6,972 9,4 5,847 9,979 12,543 5,111 1,716 1,93

x9=184,5 0,043 0,473 2,881 6,149 6,428 5,6 2,303 7,571 4,807 3,839 1,484 1,57

x10=188,5 0,016 0,176 1,072 2,288 3,136 3,2 1,864 4,352 1,184 1,568 2,808 1,84

x11=192,5 0,001 0,011 0,067 0,143 0,196 0,2 0,179 0,897 0,051 0,027 0,012 0,01

x12=196,5 0,001 0,011 0,067 0,143 0,196 0,2 0,179 0,103 0,949 0,027 0,012 0,01

Tab. 10 - Tavola delle contingenze in valore assoluto.

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B. Chiandotto Versione 00-Cap.4Metodi statistici per le decisioni d’impresa

52

Peso Y y1 y2 y3 y4 y5 y6 y7 y8 y9 y10 y11 y12

Altezza X 46 49,5 53 56,5 60 63,5 67 70,5 74 77,5 81 84,4

x1=152,5 499,00 1,000 6,463 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000

x2=156,5 1,000 1,000 4,970 1,797 0,020 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000

x3=160,5 1,000 4,195 3,264 1,997 0,417 0,429 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000

x4=164,5 1,000 4,838 1,602 1,310 0,111 0,128 0,641 0,822 1,000 1,000 1,000 1,000

x5=168,5 1,000 0,233 0,700 0,593 0,421 0,013 0,505 0,263 0,917 1,000 1,000 1,000

x6=172,5 1,000 1,000 0,751 0,155 0,148 0,417 0,350 0,515 0,428 0,080 1,000 0,583

x7=176,5 1,000 1,000 0,781 0,829 0,100 0,127 0,561 0,475 0,442 0,092 0,634 0,020

x8=180,5 1,000 1,000 0,861 0,869 0,332 0,439 0,305 0,905 2,299 1,769 1,336 1,804

x9=184,5 1,000 1,000 1,000 1,000 0,763 0,651 0,299 1,709 2,192 3,307 2,876 3,651

x10=188,5 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 0,651 2,641 1,451 3,630 14,625 11,500

x11=192,5 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 8,709 1,000 1,000 1,000 1,000

x12=196,5 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 18,608 1,000 1,000 1,000

Tab. 11 - Tavola delle contingenze relative in valore assoluto.

Peso Y y1 y2 y3 y4 y5 y6 y7 y8 y9 y10 y11 y12

Altezza X 46 49,5 53 56,5 60 63,5 67 70,5 74 77,5 81 84,4

x1=152,5 249001 1,000 41,766 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000

x2=156,5 1,000 1,000 24,702 3,230 0,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000

x3=160,5 1,000 17,596 10,656 3,988 0,174 0,184 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000

x4=164,5 1,000 23,408 2,565 1,715 0,012 0,016 0,411 0,675 1,000 1,000 1,000 1,000

x5=168,5 1,000 0,054 0,491 0,352 0,177 0,000 0,255 0,069 0,841 1,000 1,000 1,000

x6=172,5 1,000 1,000 0,564 0,024 0,022 0,174 0,123 0,265 0,183 0,006 1,000 0,340

x7=176,5 1,000 1,000 0,609 0,687 0,010 0,016 0,315 0,226 0,195 0,009 0,402 0,000

x8=180,5 1,000 1,000 0,740 0,756 0,111 0,193 0,093 0,820 5,283 3,130 1,786 3,253

x9=184,5 1,000 1,000 1,000 1,000 0,582 0,424 0,090 2,922 4,805 10,934 8,271 13,331

x10=188,5 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 0,424 6,974 2,105 13,174 213,89 132,25

x11=192,5 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 75,842 1,000 1,000 1,000 1,000

x12=196,5 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 1,000 346,25 1,000 1,000 1,000

Tab. 12 - Tavola delle contingenze relative al quadrato.

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B. Chiandotto Versione 00-Cap.4Metodi statistici per le decisioni d’impresa

53

Peso Y y1 y2 y3 y4 y5 y6 y7 y8 y9 y10 y11 y12

Altezza X 46 49,5 53 56,5 60 63,5 67 70,5 74 77,5 81 84,4

x1=152,5 498,00 0,022 5,597 0,286 0,392 0,400 0,358 0,206 0,102 0,054 0,024 0,020

x2=156,5 0,005 0,055 8,275 2,309 0,000 1,000 0,895 0,515 0,255 0,135 0,060 0,050

x3=160,5 0,035 6,775 24,989 19,960 1,192 1,286 6,265 3,605 1,785 0,945 0,420 0,350

x4=164,5 0,109 28,066 18,735 26,733 0,262 0,360 8,022 7,583 5,559 2,943 1,308 1,090

x5=168,5 0,237 0,141 7,789 11,932 8,226 0,008 10,818 1,684 10,170 6,399 2,844 2,370

x6=172,5 0,240 2,640 9,075 0,825 1,030 8,333 5,265 6,545 2,243 0,042 2,880 0,817

x7=176,5 0,204 2,244 8,326 20,029 0,397 0,663 11,491 4,748 2,030 0,047 0,984 0,001

x8=180,5 0,107 1,177 5,308 11,562 2,318 4,129 1,785 9,036 28,830 9,042 2,293 3,481

x9=184,5 0,043 0,473 2,881 6,149 4,903 3,647 0,689 12,942 10,537 12,694 4,268 5,732

x10=188,5 0,016 0,176 1,072 2,288 3,136 3,200 1,213 11,493 1,718 5,691 41,067 21,160

x11=192,5 0,001 0,011 0,067 0,143 0,196 0,200 0,179 7,812 0,051 0,027 0,012 0,010

x12=196,5 0,001 0,011 0,067 0,143 0,196 0,200 0,179 0,103 17,659 0,027 0,012 0,010

Tab. 13 - Tavola delle contingenze relative al quadrato pesate con le frequenze teoriche.

Sommando e relativizzando opportunamente i valori riportati nelle tabelle si

ottengono l’indice semplice di connessione media del Mortara e l’indice quadratico di

connessione media di Cramer 388,01 =rC e 317,02 =rC .

I valori assunti dai due indici, pur rivelando la presenza di una qualche

connessione, non sembrano evidenziare il legame stesso in modo adeguato, e ciò può

dipendere dall’aver trascurato, nel computo degli indici sintetici, l’informazione

certamente non marginale relativa ai valori assunti dalle manifestazioni quantitative dei

due caratteri considerati, dove sembra ragionevole individuare nell’altezza la variabile

antecedente e giustificata la ricerca di un indice che sia in grado di esprimere il livello di

connessione tra peso e statura.

Nella Tab. 14 si riporta uno schema di calcolo dell’indice quadratico di

connessione Cyx di Gini.

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B. Chiandotto Versione 00-Cap.4Metodi statistici per le decisioni d’impresa

54

Stature Frequenze Pesi medicor.ti

Pesi Frequenze

ix .in iy 2jy .

2ij ny jy jn.

2jy jj ny .

2

152,5 2 49,50 2450,25 4900,50 46,0 1 2116,00 2116,00156,5 5 55,80 3113,64 15568,20 49,5 11 2450,25 26952,75160,5 35 56,30 3169,69 110939,15 53,0 67 2809,00 188203,00164,5 109 58,20 3387,45 369232,44 56,5 143 3192,25 456491,75168,5 237 60,50 3660,51 867539,75 60,0 196 3600,00 705600,00172,5 240 63,69 4056,31 973514,39 63,5 200 4032,25 806450,00176,5 204 66,26 4390,56 895673,53 67,0 179 4489,00 803531,00180,5 107 68,89 4746,44 507868,79 70,5 103 4970,25 511935,75184,5 43 71,23 5073,41 218156,83 74,0 51 5476,00 279276,00188,5 16 75,30 5670,09 90721,44 77,5 27 6006,25 162168,75192,5 1 70,50 4970,25 4970,25 81,0 12 6561,00 78732,00196,5 1 74,00 5476,00 5476,00 84,4 10 7123,36 71233,60

1000 4064561.3 1000 4092690.6

Y =63,62 2Y =4047,25 2Yn =4047250

Tab. 14 - Procedimento di calcolo dell’indice quadratico di connessione Cyx sui dati

della Tab. 8.

Dai dati sopra riportati si deriva immediatamente il valore assunto dall’indice

quadratico di connessione. Infatti

( )

( )6170

1

22

1

22

1

2

1

2

,y Nny

y Nny

nyy

nyyC

k

jj.j

h

i.ii

k

jj.j

h

i.ii

xy =−

−=

−=

=

=

=

=

Il valore 0,617 assunto dall’indice Cyx mette in evidenza, com’era d’altronde

nelle aspettative, che tra statura e peso esiste una relazione di “dipendenza” abbastanza

forte (connessione) nonostante la presenza di una dispersione non indifferente dei valori

relativi alla variabile peso all’interno di ciascuna classe di statura.

A titolo esemplificativo si riporta nella Tab. 15 lo schema di calcolo dell’indice di

connessione yxC di Gini. Si tratta di un indice meno significativo del precedente,

essendo meno ragionevole l’ipotesi che il peso sia un antecedente dell’altezza.

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B. Chiandotto Versione 00-Cap.4Metodi statistici per le decisioni d’impresa

55

Pesi Frequenze Staturemediecor.ti

Stature Frequenze

jy jn. jx 2jx jj nx .

2ix .in 2

ix .2

ii nx46,0 1 152,50 23256,25 23256,25 152,5 2 23256.25 46512.5049,5 11 164,50 27060,25 297662,75 156,5 5 24492.25 122461.2553,0 67 166,35 27672,57 1854062,24 160,5 35 25760.25 901608.7556,5 143 167,74 28138,30 4023777,32 164,5 109 27060.25 2949567.2560,0 196 171,48 29405,25 5763429,08 168,5 237 28392.25 6728963.2563,5 200 172,12 29625,29 5925058,88 172,5 240 29756.25 7141500.0067,0 179 174,87 30579,07 5473653,09 176,5 204 31152.25 6355059.0070,5 103 177,00 31330,72 3227064,00 180,5 107 32580.25 3486086.7574,0 51 179,17 32100,69 1637135,42 184,5 43 34040.25 1463730.7577,5 27 179,02 32047,63 865286,01 188,5 16 35532.25 568516.0081,0 12 181,83 33063,36 396760,33 192,5 1 37056.25 37056.2584,4 10 181,30 32869,69 328696,90 196,5 1 38612.25 38612.25

1000 1000

X =172,63 2X =29800,43 2Xn =29800,43

Tab. 15 - Procedimento di calcolo dell’indice quadratico di connessione yxC sui dati

della Tab. 8.

Utilizzando i dati riportati nella tabella si perviene al valore dell’indice yxC di

Gini

( )

( )6270

1

22

1

22

1

2

1

2

,x Nnx

x Nnx

nxx

nxx

Ch

i.ii

k

jj.j

h

i.ii

k

jj.j

yx =−

−=

−=

=

=

=

=

Da sottolineare che l’elevata dispersione delle stature, per ciascuna classe di peso,

e dei pesi per ciascuna classe di statura, spiega anche il valore abbastanza basso degli

indici di Mortara e di Pearson, a conferma della necessità di utilizzare tutte le

informazioni disponibili. Infatti, tra peso e altezza esiste una relazione di dipendenza

(interdipendenza) abbastanza pronunciata evidenziata dall’indice di Gini e che gli indici

di Mortara e di Pearson non riescono ad evidenziare, trascurando gli stessi

l’informazione quantitativa disponibile.

Nelle figure 8 e 9 sono riportate le spezzate e le rette di regressione relative ai dati

riportati nella Tab. 8. Dall’esame delle figure appare evidente non solo l’esistenza di un

legame tra i due caratteri ma anche la linearità della relazione stessa.

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B. Chiandotto Versione 00-Cap.4Metodi statistici per le decisioni d’impresa

56

45

50

55

60

65

70

75

80

85

150 160 170 180 190 200

X=Altezza

Y=P

eso

Spezzata di regressione

Retta di regressione

Fig. 9 – Spezzata e retta di regressione del peso rispetto alla statura.

150

160

170

180

190

200

45 50 55 60 65 70 75 80 85

Y=Peso

X=A

ltez

za

Spezzata di regressione

Retta di regressione

Fig. 9 – Spezzata e retta di regressione della statura rispetto al peso.

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B. Chiandotto Versione 00-Cap.4Metodi statistici per le decisioni d’impresa

57

Nella Tab. 16 sono riportati i dati che consentono il computo dei prodotti

incrociati ijji nyx .

Peso Y y1 y2 y3 y4 y5 y6 y7 y8 y9 y10 y11 y12

Altezza X 46 49,5 53 56,5 60 63,5 67 70,5 74 77,5 81 84,4

x1=152,5 7015 0 8082.5 0 0 0 0 0 0 0 0 0

x2=156,5 0 0 16589 17684.5 9390 0 0 0 0 0 0 0

x3=160,5 0 15889.5 85065 136023.75 38520 40767 0 0 0 0 0 0

x4=164,5 0 56999.25 165651.5 334593 187530 198469.25 77150.5 23194.5 0 0 0 0

x5=168,5 0 16681.5 241123.5 514093.5 667260 513588 237079.5 213826.5 12469 0 0 0

x6=172,5 0 0 36570 282641.25 558900 744855 670335 145935 89355 93581.25 0 14559

x7=176,5 0 0 28063.5 49861.25 381240 515556.5 674053.5 385740.75 195915 68393.75 57186 29793.2

x8=180,5 0 0 9566.5 20396.5 151620 137541 302337.5 267230.25 240426 111910 43861.5 45702.6

x9=184,5 0 0 0 0 22140 35147.25 123615 156087 95571 71493.75 29889 31143.6

x10=188,5 0 0 0 0 0 0 12629.5 79735.5 27898 29217.5 45805.5 31818.8

x11=192,5 0 0 0 0 0 0 0 13571.25 0 0 0 0

x12=196,5 0 0 0 0 0 0 0 0 14541 0 0 0

Tab. 16 - Computo dei prodotti incrociati ijji nyx .

Utilizzando i dati di questa tabella e quelli riportati nelle Tabb. 14 e 15 è facile

pervenire al valore del coefficiente di correlazione lineare di Bravais-Pearson.

( )( ) ( ) 6140

2222

2

,y Nny x Nnx

y x Nnyx

j.j.ii

ijjiyxxy =

−−−

==∑∑

∑∑ρρ

Si segnala inoltre che, come si avrà modo di chiarire successivamente, i valori deicoefficienti di regressione x/yb e y/xb relativi alle due rette interpolate facendo ricorso

al metodo dei minimi quadrati, sono dati da:

∑∑∑

−−

==222 x Nnx

y x Nnyxb

.ii

ijji

x

xyx/y σ

σ= 0,6604

∑∑∑

−−

==222 y Nny

y x Nnyxb

j.j

ijji

y

xyx/y σ

σ= 0,5704

che verificano anche la relazione precedentemente introdotta:

6140,bb y/xx/yyxxy =⋅== ρρ

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58

Rapporti statistici

Come più volte sottolineato nelle pagine precedenti, per la risoluzione dei

problemi decisionali, la scelta dell’alternativa ottimale richiede il confronto tra le

conseguenze che alle alternative stesse sono direttamente collegate. Il problema del

confronto tra dati osservati (manifestazioni dei fenomeni di interesse) è uno dei

problemi classici che la statistica ha affrontato proponendo soluzioni che, nella

generalità dei casi, si sono rivelate abbastanza soddisfacenti.

Se le manifestazioni dei fenomeni di interesse sono espresse con una scala

quantitativa (di rapporto) il confronto può essere effettuato sia tramite differenza,

eventualmente relativizzata in modo appropriato, sia tramite rapporto.

Prima di procedere nell’esposizione si deve sottolineare che i dati osservati che si

vogliono confrontare possono riferirsi ad uno stesso fenomeno, o a fenomeni diversi;

ovviamente, affinché il risultato del confronto sia significativo, è necessario che fra le

grandezze poste a confronto esista un nesso logico, ad esempio quando si riferiscono ad

una stessa unità di osservazione.

Si consideri in primo luogo il raffronto fra le modalità xi e xj espressione delle

manifestazioni di uno stesso fenomeno, tali modalità sono direttamente comparabili se

le unità statistiche di riferimento sono equivalenti. In caso contrario, il confronto fra le

modalità del fenomeno può essere di scarso significato. Si pensi, ad esempio, al fatturato

di aziende di diverse dimensioni od anche al numero di automobili circolanti in

provincie di differente ampiezza demografica. Si ricorre allora a trasformazioni dei

valori originari in modo da rendere i risultati logicamente confrontabili.

Il criterio più diffuso è quello di dividere ciascun valore xi per un opportuno

indice di dimensione, che rifletta l'importanza (il peso) dell'unità statistica di

riferimento, si procede, cioè, al calcolo di un rapporto statistico opportuno.

I rapporti statistici vengono usualmente distinti a seconda della natura dell'indice

di dimensione di volta in volta adottato.

Si definiscono rapporti di composizione o rapporti di frequenza o rapporti di

parte al tutto, quelli in cui l’indice di dimensione è l'ammontare complessivo, di un

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B. Chiandotto Versione 00-Cap.4Metodi statistici per le decisioni d’impresa

59

fenomeno di cui xi costituisce una parte o una quota (rapporti di composizione) o quelli

in cui l’indice di dimensione è il numero n delle unità statistiche di osservazione e ni

il numero delle unità statistiche che presentano la modalità ix . Nella generalità dei casi i

rapporti di composizione sono espressi in percentuale.

E' chiaro che i rapporti di composizione assumono valori nell'intervallo [0,1]

ovvero [0,100%].

Si parla di rapporto di densità se l’indice di dimensione può essere interpretato

come l'ampiezza del campo di riferimento. La popolazione residente rapportata alla

superficie territoriale, che rappresenta la ben nota densità della popolazione; il reddito

totale diviso per il numero di abitanti, che fornisce il reddito pro capite; il valore

aggiunto per addetto, ecc..

Si dicono rapporti di derivazione quelli in cui l’indice di dimensione è il valore

assunto in un differente fenomeno, che costituisce il presupposto necessario del

fenomeno d’interesse.

Il numero dei nati in un certo intervallo temporale (usualmente l'anno) rapportato

alla popolazione media di tale periodo, che rappresenta il quoziente generico di natalità,

eventualmente espresso per 1000 abitanti; il quoziente specifico di natalità, definito

come rapporto, eventualmente moltiplicato per 1000, tra il numero dei nati nell'anno ed

il numero di donne in età feconda, che si fa corrispondere convenzionalmente a quello

delle donne in età da 15 a 50 anni; il quoziente di nuzialità, definito come numero di

matrimoni in un anno ogni 1000 abitanti.

Si dicono rapporti di coesistenza quelli in cui l’indice di dimensione è il valore

relativo ad un altro fenomeno, che si mette a raffronto con il fenomeno d’interesse, allo

scopo di evidenziare l'eventuale squilibrio.

Il rapporto tra valore delle importazioni e il valore delle esportazioni in diversi

Paesi; il rapporto tra impieghi e depositi nelle banche; il rapporto tra attivo disponibile

(cassa e depositi bancari più titoli e valori) e debiti a breve termine nelle aziende, che

costituisce il cosiddetto quoziente di liquidità immediata.

Ad altri tipi di rapporti statistici si fa ricorso quando si è interessati a determinare

la consistenza media (o giacenza media) di un fenomeno in un intervallo di tempo.

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60

Si definisce come rapporto di durata il quoziente fra l'entità media di un

fenomeno in un intervallo di tempo e l'entità del flusso (movimento) che si è

manifestato nell'intervallo stesso. Esso fornisce la durata media della permanenza del

fenomeno, espressa in termini dell'unità di tempo considerata. Usualmente la

consistenza media in un intervallo temporale si ottiene attraverso la semisomma della

consistenza all'inizio ed alla fine dell’intervallo, mentre il flusso viene determinato

attraverso la semisomma delle entrate e delle uscite.

Se si suppone che le giacenze di una merce in magazzino sono state di q.800 al

1/1/1997 e che in gennaio le entrate sono state di q.200 e le uscite di q.300. La con-

sistenza (finale) al 31/1/1997 risulta: 800+200-300=700. Il rapporto di durata riferito a

gennaio è pari a: 750/250=3. Ciò significa che la merce rimane, in media, in magazzino

per 3 mesi.

Si dice rapporto di ripetizione il reciproco di un rapporto di durata. Esso esprime

il numero di volte in cui un fenomeno si manifesta nell'intervallo temporale considerato.

Il rapporto di durata e di ripetizione sono due modi diversi per esprimere la

medesima informazione. Si preferisce, in genere, utilizzare i rapporti di durata, per

esprimere la rotazione (turnover) dei lavoratori e per valutare la velocità di circolazione

della moneta, definita come numero di volte in cui un'unità monetaria interviene, in

media, negli scambi nell'arco temporale di riferimento.

- Numeri indici

Un caso particolare, ma di notevole rilevanza e di vasta applicazione, è quello in

cui si vuole effettuare il confronto tra le manifestazioni di uno stesso fenomeno in

tempi o in luoghi diversi; cioè, il caso in cui si sia interessati a confrontare i termini di

una serie temporale o di una serie territoriale.

Si consideri ad es. un generico fenomeno X le cui manifestazioni quantitative

x1, x2, ..., xt, ..., xn sono il risultato di osservazioni effettuate al tempo t=1,2,...,n ; si

ammetta cioè la disponibilità di una serie temporale di dati e che si sia interessati ad

evidenziare l’andamento temporale del fenomeno mediante un’analisi comparativa.

Gli elementi della serie possono essere confrontati, come già detto, calcolando

delle differenze, che possono comunque risultare scarsamente significative, oppure

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61

calcolando dei rapporti. Se si sceglie questa seconda via si procede al calcolo dei

numeri indici.

I numeri indici che servono a misurare le variazioni relative di uno stesso

fenomeno, o fenomeni diversi ma logicamente collegati, vengono distinti in numeri

indici a base fissa e numeri indici a base mobile.

Si ottengono i numeri indici a base fissa, o meglio la serie dei numeri indici a base

fissa, istaurando un rapporto tra tutti i termini della serie ed un singolo valore scelto

come base di confronto. Questo elemento può essere un singolo valore della serie

(quello ad es. che occupa una particolare posizione: il primo (x1), l’ultimo (xn) o quello

intermedio), può essere derivato calcolando una opportuna media di più valori (ad

esempio dei primi tre, degli ultimi tre, dei tre intermedi) ecc.

Ovviamente i numeri indici a base fissa possono essere calcolati anche in

riferimento a serie territoriali. In questo caso il dato scelto come base può riguardare una

specifica area territoriale o la media di valori relativi a più aree territoriali. Un caso

particolarmente interessante e di largo impiego è quello in cui si istaura il confronto tra

i dati relativi alle singole aree (ad es. le Regioni) e quello medio relativo all’intera area

che le contiene (dato medio nazionale).

Ha senso parlare di indici a base mobile solo quando si ha a che fare con una

successione logicamente ordinata di dati quantitativi qual’è, ad esempio, la serie

temporale. A questo tipo di serie verranno limitate le considerazioni nelle righe seguenti

risultando semplice la generalizzazione a serie di dati aventi natura diversa.

Data la serie temporale

x1, x2, ..., xi, ..., xn

la serie dei numeri indici 1

1 x

xI i

i= a base fissa 1 è data da

111

2

1

1

x

x,....,

x

x,....,

x

x,

x

x ni

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62

mentre la serie di numeri indici a base mobile 1

1−

− =i

iii x

xI è data da

112

3

1

2

−− n

n

i

i

x

x,....,

x

x,....,

x

x,

x

x

Si osservi come la serie dei numeri indici a base mobile si riduce di una unità (n-1

anziché n).

Il passaggio da una serie di numeri indici a base fissa alla serie a base mobile è

immediato

1

11

−− =

iii I

II per i = 1,2,...,n

così come è immediato il passaggio da una serie di indici a base mobile alla serie di

numeri indici a base fissa

∏=

−=i

jjji II

211 per i = 1,2,...,n

è, ovviamente, altrettanto facile il passaggio da una serie di numeri indici aventi una

certa base, ad esempio 1, ad una serie di numeri indici avente base diversa, ad esempio

n; il cambiamento di base nell’esempio viene operato attraverso la relazione

in I

II

1

1= per i = 1,2,...,n

Gli indici sopra introdotti godono di alcune proprietà:

i) identità

1==i

iii x

xI per i = 1,2,...,n

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63

ii) reversibilità delle basi

jiij

II

=1per i,j = 1,2,...,n

iii) transitività (circolarità)

rjriij III =⋅ per i,j,r = 1,2,...,n

e vengono detti numeri indici semplici.

Ai numeri indici semplici si associano i numeri indici composti (o numeri

indici sintetici) che vengono calcolati quando si dispone di più serie temporali di dati e

si vuol procedere all’effettuazione di un confronto sintetico tra gli stessi.

Con il calcolo dei numeri indici composti ci si prefigge di esprimere

sinteticamente l’andamento di più serie temporali, con riferimento a ciascuno dei tempi

successivi considerati.

Le serie temporali possono essere, ad esempio, quelle dei prezzi dei vari beni,

assunti come rappresentativi dell’insieme delle transazioni e l’obiettivo può consistere

in una valutazione sintetica dell’andamento generale dei prezzi. Si possono anche

considerare le serie temporali delle principali produzioni industriali e cercare di

determinare un indice globale della dinamica produttiva, utilizzabile a scopi di diagnosi

sulla congiuntura economica.

I problemi di sintesi vengono risolti, nella generalità dei casi, con l’impiego di

opportune medie.

La tabella a doppia entrata nella quale sono riportati i dati di base per il calcolo di

numeri indici composti è una serie temporale multipla del tipo seguente:

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64

Fenomeni

Tempi1 2 ....... j ....... m

1 x11 x12 ....... x1j ....... x1m

2 x21 x22 ....... x2j ....... x2m

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.i xi1 xi2 ....... xij ....... xim

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.n xn1 xn2 ....... xnj ....... xnm

Tab. 17 - Schema di tabella per una serie temporale a m dimensioni

dove: xij = modalità nel tempo i del fenomeno quantitativo j.

La procedura più comunemente impiegata per il calcolo dei numeri indici

composti si basa sulla determinazione dei numeri indici semplici, a base fissa, di

ciascuno degli m fenomeni considerati, allo scopo di rendere comparabili le variazioni

di serie storiche differenti, cioè

j

ijj x

xI

11 = per i = 1,2,...,n ; j = 1,2,...,m

Per sintetizzare le m serie di numeri indici semplici al tempo i (i=1,2,...,n), si

procede al calcolo di una media opportuna. Dato che i fenomeni hanno usualmente una

diversa rilevanza è ragionevole utilizzare una media ponderata, in particolare una media

aritmetica ponderata, attribuendo a ciascuna serie un peso adeguato wj (j=1,2,...,m).

Pertanto, un numero indice composto, costruito col criterio della media aritmetica

ponderata, nel tempo i e con base al tempo 1, è espresso dalla relazione

=

=

=

= ==m

jj

m

jj

j

ij

m

jj

m

jjj

ci

w

wx

x

w

wI

I

1

1 1

1

11

1 per i = 1,2,...,n

Anche i numeri indici composti, come i numeri indici semplici, vengono

usualmente espressi ponendo uguale a 100 il valore che essi assumono nel tempo base.

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65

A titolo esemplificativo si procederà ora all’esame di uno dei casi più interessanti

di costruzione di indici composti: quello relativo a serie temporali di prezzi.

Come sottolineato, i pesi wj devono esprimere l’importanza attribuita a ciascuna

serie di dati.

Nel caso di serie temporali di prezzi, il criterio preferibile è quello di fare

riferimento ai valori delle transazioni (scambi, consumi, ecc.) di ciascun bene, che sono

uguali al prodotto dei prezzi unitari per le quantità.

Se in sostituzione della generica simbologia sopra utilizzata si pone

xij = pij ≡ prezzo unitario al tempo i del bene j

qij ≡ quantità scambiata al tempo i del bene j

e se il criterio di ponderazione è quello riferito ai valori monetari, il peso wij da

attribuire nel tempo i al generico bene j può essere definito in quattro modi diversi a

seconda che si considerino i prezzi e le quantità al tempo base 1 ovvero al tempo di

calcolo i:

QuantitàPrezzi

Tempo base1

Tempo di calcoloi

Tempo base1

p1j q1j p1j qij

Tempo di calcoloi

pij q1j pij qij

Soltanto i valori dei pesi definiti nei primi due modi vengono utilizzati in pratica.

Si tratta di pesi che consentono anche semplificazioni nelle formule di calcolo dei

numeri indici composti.

Infatti, con riferimento a serie di prezzi ed adottando come pesi w1j i valori

p1j q1j , si avrà

=

=

=

= =⋅

=m

jjj

m

jjij

m

jjj

m

jjj

j

ij

CLi

qp

qp

qp

qpp

p

I

111

11

111

111

11 per i = 1,2,...,n

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66

che viene detta formula dei numeri indici composti dei prezzi secondo Laspeyres.

Adottando i pesi w1j = p1j qij , si perviene alla seguente formula dei numeri indici

composti dei prezzi secondo Paasche:

=

=

=

= =⋅

=m

jijj

m

jijij

m

jijj

m

jijj

j

ij

CPi

qp

qp

qp

qpp

p

I

11

1

11

11

11 per i = 1,2,...,n

La formula di Laspeyres fa riferimento alle quantità q1j nel tempo base, per cui

essa misura sinteticamente le variazioni relative dei prezzi d’un insieme fisso (detto

usualmente paniere) di beni, cioè nell’ipotesi che la scomposizione degli scambi,

ovvero dei consumi, rimanga immutata.

L’indice composto secondo Paasche, invece, fa riferimento, per ciascun tempo di

calcolo, alle quantità qij del tempo medesimo, per cui esso tiene conto sia delle

variazioni relative dei prezzi, sia delle modificazioni intervenute nella composizione

degli scambi. In proposito si deve comunque sottolineare che quanto osservato vale per

il tempo di calcolo e non per il tempo base che, come si evince dalla formula, fornisce

un valore virtuale della spesa essendo il prezzo dell’anno base moltiplicato per la

quantità scambiata al tempo di calcolo.

La serie di numeri indici composti secondo Laspeyres presenta due importanti

vantaggi. Il primo è che il sistema dei pesi viene determinato una sola volta con

riferimento all’anno base, il che rende assai più rapido il calcolo nei tempi successivi,

dovendosi rilevare soltanto i prezzi dei singoli beni, e non anche l’ammontare delle

transazioni. Il secondo vantaggio è che i numeri indici secondo Laspeyres forniscono

una misura della sola variabilità dei prezzi dell’insieme (fisso) di beni considerati e non

sono quindi influenzati dalle eventuali modificazioni nella composizione degli scambi

o dei consumi. Pregio, quest’ultimo, che si risolve però in un difetto di duplice natura.

Per un verso, facendo i pesi sempre riferimento all’anno base tendono col tempo a

divenire obsoleti non rispecchiando più una realtà mutata; a questo inconveniente,

comunque, si pone riparo attraverso periodici aggiornamenti della base. Più rilevante è il

difetto commesso alla cosiddetta tendenziosità positiva dell’indice, cioè alla tendenza

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67

che ha l’indice stesso ad esaltare le variazioni dei prezzi. Infatti, essendo generalmente

inversa la relazione tra prezzi e quantità, nel senso che al crescere del prezzo di un bene

si accompagna, usualmente, la riduzione della quantità domandata, variazioni in senso

positivo dei prezzi vengono esaltate dalla formula di Laspeyres risultando sopra valutato

il numeratore della formula stessa in quanto a prezzi che si sono incrementati

dovrebbero corrispondere quantità di beni inferiori a quelle registrate nell’anno base.

Ragionamento analogo porta a concludere per la presenza di una tendenziosità

negativa dell’indice di Paasche ( CPi

CLi II 11 ≥ ).

Per bilanciare le opposte tendenze dei due indici I. Fisher ha proposto il

computo della loro media geometrica. L’espressione analitica dell’indice, usualmente

detto ideale di Fisher è

=

=

=

= ⋅=⋅=m

jijj

m

jijij

m

jjj

m

jjij

CPi

CLi

CFi

qp

qp

qp

qp

III

11

1

111

11

111

Gli indici composti sopra introdotti sono stati ottenuti procedendo al computo di

medie di rapporti. Una via alternativa per sintetizzare le varie serie temporali è

rappresentata dal computo di rapporti di medie; ad es:

∑ ∑

∑ ∑

= =

= =

=

=m

j

m

jjjj

m

j

m

jjjij

m

jj

m

jij

w/wx

w/wx

;x

m

xm

1 11

1 1

11

1

1

1

per i = 1,2,...,n

ma è evidente come un tale modo di procedere risulta, nella generalità dei casi, poco

utile in quanto presuppone una sommabilità di valori relativi a fenomeni diversi.

Usualmente, infatti, i fenomeni sono espressi con diverse unità di misura e non sempre

con l’attribuzione di pesi si riesce a rendere confrontabili, e quindi sommabili, i valori di

serie temporali relative a fenomeni diversi.