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Aderire all’emblema e imprimere il marchio 1. Modalità d’inizio “La progettazione (...) di quell'esemplare monogramma che è il moderno marchio commerciale, tende a ripercorrere in forma contratta, sintetica, il processo di passaggio dalla raffigurazione alla notazione. Un ripercorrere che qui significa lo scendere lungo la scala di semplificazione di Moles, e fermarsi a un determinato livello di figuratività (e si tratterà allora di un marchio pittogrammatico, non molto dissimile da un singolo geroglifico protosumero o egizio), oppure passare alla notazione fonematica, fermandosi a scegliere nell’infinito repertorio delle forme calligrafiche e poi tipografiche (e sarà allora un marchio logo o fonogrammatico, cioè l’elaborazione di una o più lettere alfabetiche), o infine proseguire nel processo di schematizzazione, abbandonando ogni accenno di referenzialità raffigurativa e notazionale (e sarà allora un marchio diagrammatico). Un proseguire quest'ultimo che è forse un risalire alle origini e cioè alla pura segnalazione, alla pura marcatura come abbiamo visto nel caso dei ciottoli preistorici dipinti” *. Cominciare con un'autocitazione può apparire un poco inflazionato, e forse lo e, ma da un lato ci consente di evocare senza indugi quel laboratorio di semiurgia, o di visual design, spesso anonimo, che sembra avere accompagnato da sempre la vita associata dell'uomo, e dall'altro possiamocosì introdurre una praticabile classificazione dei segni grafici, di origine peirceiana, e rielaborata da Maldonado 2. Un simile inizio ci consente inoltre di osservare che la classificazione è di tipo descrittivo: la tripartizione si limita a individuare tre (o forse i tre) parametri della connessione fra significante e significato in questo ambito grafico. Senza occuparsi però di che cosa possa avere geneticamente prodotto tali connessioni, ne tantomeno occuparsi di eventuali prevedibili effetti sul comportamento o sull'assetto mentale dei destinatari. Serve a catalogare, a distinguere, a dare un nome preciso (un termine) ai casi accidentali, ma non va oltre. Iniziare si sarebbe potato anche altrimenti, e cioè con maggiore understatement, come fa Kasaburo Kuwaiama, premettendo alla sua monumentale opera di tassonomizzazione morfologica dell’universo dei marchi commerciali una piccola storia degli inizi. E per noi e piuttosto interessante perché, contrariamente a quanto avviene in area occidentale, sembra che in Giappone sia la segnaletica commerciale a venir dopo l’araldica: egli riporta che si sa di stemmi applicati alle tende da campo dei nobili già a partire dal settimo secolo, ma che non li si conosce direttamente. Mentre si sa che le famiglie Minamoto e Teria usavano per identificarsi vessilli rossi e verdi attorno al 1180. E certamente nel tredicesimo secolo i samurai usavano un sistema di simboli distintivi ad impianto morfologico circolare. Per il marchio 1

4.1 Aderire all'emblema

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1 2 3 Ma acciò che tu n’informi pienamente io ti distinguerò tutta la gente 14. 4 in un periodo di tempo che va dall'ottocento ad oggi) un segno 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

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Aderire all’emblema e imprimere il marchio1. Modalità d’inizio“La progettazione (...) di quell'esemplare monogramma che è il moderno marchio commerciale, tende a ripercorrere in forma contratta, sintetica, il processo di passaggio dalla raffigurazione alla notazione. Un ripercorrere che qui significa lo scendere lungo la scala di semplificazione di Moles, e fermarsi a un determinato livello di figuratività (e si tratterà allora di un marchio pittogrammatico, non molto dissimile da un singolo geroglifico protosumero o egizio), oppure passare alla notazione fonematica, fermandosi a scegliere nell’infinito repertorio delle forme calligrafiche e poi tipografiche (e sarà allora un marchio logo o fonogrammatico, cioè l’elaborazione di una o più lettere alfabetiche), o infine proseguire nel processo di schematizzazione, abbandonando ogni accenno di referenzialità raffigurativa e notazionale (e sarà allora un marchio diagrammatico). Un proseguire quest'ultimo che è forse un risalire alle origini e cioè alla pura segnalazione, alla pura marcatura come abbiamo visto nel caso dei ciottoli preistorici dipinti” *.Cominciare con un'autocitazione può apparire un poco inflazionato, e forse lo e, ma da un lato ci consente di evocare senza indugi quel laboratorio di semiurgia, o di visual design, spesso anonimo, che sembra avere accompagnato da sempre la vita associata dell'uomo, e dall'altro possiamocosì introdurre una praticabile classificazione dei segni grafici, di origine peirceiana, e rielaborata da Maldonado 2. Un simile inizio ci consente inoltre di osservare che la classificazione è di tipo descrittivo: la tripartizione si limita a individuare tre (o forse i tre) parametri della connessione fra significante e significato in questo ambito grafico. Senza occuparsi però di che cosa possa avere geneticamente prodotto tali connessioni, ne tantomeno occuparsi di eventuali prevedibili effetti sul comportamento o sull'assetto mentale dei destinatari. Serve a catalogare, a distinguere, a dare un nome preciso (un termine) ai casi accidentali, ma non va oltre. Iniziare si sarebbe potato anche altrimenti, e cioè con maggiore understatement, come fa Kasaburo Kuwaiama, premettendo alla sua monumentale opera di tassonomizzazione morfologica dell’universo dei marchi commerciali una piccola storia degli inizi. E per noi e piuttosto interessante perché, contrariamente a quanto avviene in area occidentale, sembra che in Giappone sia la segnaletica commerciale a venir dopo l’araldica: egli riporta che si sa di stemmi applicati alle tende da campo dei nobili già a partire dal settimo secolo, ma che non li si conosce direttamente. Mentre si sa che le famiglie Minamoto e Teria usavano per identificarsi vessilli rossi e verdi attorno al 1180. E certamente nel tredicesimo secolo i samurai usavano un sistema di simboli distintivi ad impianto morfologico circolare. Per il marchio

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commerciale bisogna attendere il 1400 coi fabbricanti di porcellane. E per i particolarissimi “sigilli” testimonianti il passo delle merci su un determinato naviglio, addirittura il 1700 3.Si sarebbe potuto cominciare anche, più prudentemente, non con un ego ma con un ipse dixit, e riprendere Cassirer quando, nell’introduzione della sua Filosofia delle forme simboliche, definisce l’uomo la specie degna più del definiens “simbolicus”, che di quello “rationalis” 4.E in fondo la cosa ci potrebbe invece essere piuttosto di aiuto se, seguendo l'invito di Mario Trevi a stupirci che la parola “simbolo” copra equanimemente fenomeni disparati 5, come la simbologia matematica di Lobatschewsky o la simbolica mistica alla maniera di Eliade, tenteremo con Maldonado, di distinguere fra segni del traffico da un lato, e dall'altro croce, mezzaluna, falce e martello. E lo seguiremo volentieri quando afferma che dietro di questi ultimi c’è un impero, un partito, una setta, una famiglia 6. Noi aggiungeremo pero che anche dietro un codice, un sistema di segni e di norme (cioè anche dietro i segni del traffico) c’è un potere che li rende operanti, insomma attraverso la Stradale agisce lo Stato 7, ma diremo che anche dietro il divieto di sosta sta un pezzetto di Stato, mentre lo stellone è inteso stare per lo Stato intero.Il marchio/emblema non è dunque solo qualcosa che prolunga il raggio d'azione di un determinato ente o individuo.

2. Emblema maschera e marchio etichettaL'araldo, il messaggero, sono la protesi comunicativa per eccellenza, una protesi umana, schiavistica, che, non solo funziona in absentiam come la trappola, ma va addirittura a cercarsi la preda da catturare. Così fa infatti la sua versione ottocentesca l’uomo sandwich, ecosì fa ogni buon apparato propagatore.Ma questo non è l’essenza né del marchio né dell'emblema: prima che stare altrove “per” l’ente o la persona, il marchio e l’emblema vi stanno “sopra”, aderendovi bene come la maschera sul viso. Del resto (e sia concesso di dirlo a chi come me proviene da un uso del termine icona interno al dibattito semiotico sull’iconicità) è stato con una certa sorpresa che, cercando informazioni sul fenomeno emblema, mi sono imbattuto (via Orapollo e Alciato) nella nozione di iconologia in quanto disciplina e sono stato costretto a riconoscere che, in analogia col termine “icona” usato per le immagini sacre, la parola aveva sostanzialmente a che fare col procedimento allegorico della personificazione 8. A dire il vero, mentre la tradizione ci consegnail risultato iconologico personificazione,bello e fatto, nel caso invece delle pratiche attuali e tecniche, come l’istaurazione dell’immagine coordinata o come l'house styling commerciale, si può, per così dire, assistere al processo epigenetico in

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atto 9. E mi riferisco all'impiego, sempre molto in voga nella comunicazione pubblicitaria per i beni di consumo, della personificazione dell’immagine aziendale. Cioè all'uso di qualcosa di simile a un marchio, o emblema/persona 10.La formula della personificazione è peraltro da sempre molto battuta , specialmente in ambito politico, e portava un nome preciso, soprattutto nella terminologia della sinistra, e cioè “culto della personalità”. Si tratta di una persona che, per così dire, funziona da parafulmine proiettivo delle masse: (la nostra guida o l’uomo che dovresti voler essere), l'uomo che presta la propria figura all'organizzazione. Magari con l'aiuto di specialisti in sineddoche raffigurative “caricanti” ?, come è il caso dei baffi del giovanilissimo Stalin di Picasso, che si incontravano almeno in Italia con il popolare affettuoso soprannome di baffone. O la luminosità solare e lunare ad un tempo che in tutte le raffigurazioni di Mao, e misteriosamente anche in fotografia, sembrava circonfondere il profilo del timoniere. O l’icona (con gli attributi: barba, basco, e sigaro) di Che Guevara, araldizzata dalla separazione dei toni della riproduzione offset. O infine, sulla nostra ribalta nazionale la pipa di Pertini, o di Lama...Questo settore di casi limite ci può forse insegnare che l'emblema non è nemmeno qualcosa di strettamente legato a una particolare versione grafico-raffigurativa, é forse sostanzialmente una risultante mentale.Che si abbia a che fare con un’entità individuate, ce lo dice peraltro il termine anglosassone per indicare quello che è il principale brodo di coltura di marchi e emblemi: e cioè l’immagine coordinata. Tale pratica, ed anche il suo risultato, si chiamano infatti corporate image. Oltre che opporsi (sul piano della concezione legale) all’idea di scorporo, la nozione di corporate image contiene prepotentemente l’idea di un corpo magari composto di molteplici membra.In Giappone l’emblema nasce sulle tende da battaglia, ma il legame col corpo è infinitamente più esplicito nella tradizione araldica occidentale. Qui l’armatura, esercitando la sua funzione protettiva, immediatamente copre, nasconde: il nome celata, per la parte dell'elmo che protegge il viso è lampante. E se non basta tutta la letteratura cavalleresca è costellata di armature che camuffano sessi, razze, partiti, intenzioni. Tutto ciò in modo analogo, del resto, a quanto avviene con la piccola armatura che protegge pomodori, o piselli, o Campbell Soups e che li nasconde, li cancella, e che deve essere escamotata da quella seconda pelle comunicativa che è l’etichetta.L'emblema araldico è dunque in prima istanza la segnalazione di un contenuto. Ciò che, nel combattente nudo, (ad esempio il celta protetto quasi soltanto dal suo furor), era semplicemente sottolineato da pitture, trecce, code rialzate, penne ecc., viene ora ricoperto da un insieme

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uniformante (corazza, elmo, scudo) 12. Ed è ovvio, ma rilevante, che, a parte il caso degli espedienti e dei trucchi tattici da cui si evolverà la tuta mimetica, si scelga di segnalarsi, seguendo il giusto calcolo di evitare prima di tutto di essere colpiti dagli amici. A dire il vero, come vedremo più avanti, già la foggia dell’armatura funziona da parziale distintivo rispetto agli avversari, rispetto ai commilitoni si fa invece cruciale la chiara segnalazione del fulcro dell’azione bellica con funzioni di comando. Per questo lo scudo riceve uno specifico emblema e l’elmo si fa elmo coronato per il capo 13.

3. Emblemi e marchi come coibentiNel canto decimo dell’Orlando furioso l’Ariosto fa dire a Astolfo, passeggero dell’lppogrifo guidato da Ruggero, mentre il volatore declina, sul brulicare indistinto delle armate inglesi che Rinaldo sta guidando verso la Francia:

Ma acciò che tu n’informi pienamente io ti distinguerò tutta la gente 14.

Ed è quasi miracoloso qui l’uso di una terminologia forse non tanto na ïvemente semiologica.Sopra la bella mostra (la parata), si innalzano bandiere, stendardi, gonfaloni, (cioè i media, i veri e propri supporti emblemici). Del resto si dice: posizionare a bandiera l’insegna di un negozio, cioè collocrla alta sopra il campo visivo, emergente a coltello sul fronte degli edifici 15.Ma non è nemmeno di questo esibire, in questo rilevare, che consiste propriamente l'emblema.Il rilevare, l’ostendere, cioè l’isolare dal contesto, sono modalità, tecniche, accorgimenti per manipolare l’indistinto e per certi versi ordinarlo.(E le parole ci fuggono davanti alludendo agli ordini religiosi e guerreschi e alle loro simbologie).Quando poi è il caso di una guerra che è religione: “At bellipotens Boemundus... audiens venisse innumerabilem gentem Christianorum de Francis, ituram ad Domini Sepulchrum, et paratam ad proelium contra gentem paganorum, coepit diligenter inquirere quae arma pugnandi haec gens deferat et quam ostensionem Christi in via portet, vel quod signum 16 in certamine sonet” 17. Sembrerebbe che Boemondo di Taranto stesse eseguendo, per l’organizzazione della Prima Crociata proprio uno di quei sondaggi di cui si deve avvalere, secondo le indicazioni di Gui Bonsiepe, il buon progettista per definire la situazione attuale dell’immagine (coordinata). E Bonsiepe prosegue ancora più esplicitamente prescrivendo che : si prepara un elenco degli elementi progettuali 18: e

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Boemondo elenca la foggia delle armi, il tipo di croce e il grido di guerra.Del resto un Boemondo più recente, che preparava una guerra totale, in fondo proprio di religione, aveva posto una meticolosità per lo meno ossessiva nell’avviare una macchina, un apparato assai complesso, per produrre proprio quell’atmosfera, quell'aura emblematica che è l’immagine coordinata. “... un apparato che ha coinvolto un intero popolo imponendogli un marchio (la svastica), un sistema coordinate di colori e simboli (il bruno e il teschio), un'urbanistica (autostrade e Volksbauplan), un'architettura per i momenti collettivi, perfino alcuni particolari prodotti d'uso (la Volkswagen), con una minuziosità e un'efficienza sbalorditiva che toccava non solo il linguaggio (il Nazideutsch), ma anche il carattere tipografico (il “Fraktur)” 19. Una capillarità nell'applicazione questa, che estendeva la propria sensibilità fino a volersi porre al riparo dal ridicolo, dal Kitsch, prodotto dalla medesima ossessività conformista e ipersegnaletica che promuoveva.L'Empfinden der Würde, [Senso della dignità] dei simboli nazionalsocialisti produsse infatti una delle tante leggi di difesa, del 19 maggio del 1933, alla quale segui poi una circolare con le Richtlinien für die Handhabung [linee di indirizzo applicative]20.II centro di questo strepitoso e ineguagliabilmente totalizzante prototipo dell’immagine coordinata, è, come abbiamo indicato, appunto l'emblema.E qui seguendo l’Arnheim, possiamo guardare da vicino quello che Jay Doblin considerava il trademark design del secolo: in primo luogo va sottolineato il semplice riconoscibilissimo disegno. La svastica, col suo senso di rotazione invertito, acquisisce qui un nuovo significato, che bene si accorda con la dinamica del Movimento. Anche l’accostamento cromatico e importante: il rosso, colore rivoluzionario e attivo per antonomasia, e l’angolarita tecnoide bianconera, forse allusiva dell’efficienza prussiana, si uniscono nell'impressione d'insieme della perduta antica bandiera germanica. Un significato aggressivo, uncinato, viene acquisito dall'emblema rispetto all’originario significato di simbolo energetico solare della cultura protoindiana 21.“A corporate identification system is a subdivision of house style, governing elements such as colours, symbols and logotypes wich have no other purpose but to identify the corporation they belong to” 22. Da Boemondo e qui da Henryon e Parkin, e in particolare dal loro esempio applicativo della Metra International, apprendiamo che l’operazione araldica (e, attualmente di design coordination visuale), esercitano la funzione coesivo/distintiva: tengono insieme distinguendo 23.

in un periodo di tempo che va dall'ottocento ad oggi) un segno

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distintivocosì semplice come un cerchio blu 25~26. II puro carattere diagrammatico, segnaletico del-remblema della Blue Circle è innegabile. Esso è privo di ogni rilancio referenziale che non sia il gioco chiuso di rimandi fra visivo e verbale. Nemmeno il rimando costruttivista, del “concretissimo” quadratino nero preceduto da una P maiuscola del marchietto di Piet Zwart, che fra l'altro è un rebus in quanto zwart vuol dire nero 27.II nome visivo cerchio blu, ci appare ad un tempo sostanzialmente arbitrario, e puramente funzionale. Probabilmente è stato prodotto da circostanze accidentali (un cerchio pnnellato sui sacchi di iuta), abilmente prese al balzo dall’officiante dell’autobattesimo, e riprese con ovvio entusiasmo dal progettista.Ma non tutti i casi si configurano con la rigidità e il finalismo industriali e progettistici, anzi. Ed è forse un aneddoto (ho già testimoniato altrove la mia fiducia nell’aneddotica), o, per chi lo preferisse, una case history, che ci può forse aiutare a mettere in chiaro in che cosa consista il processo di autobattesimo visivo. Si tratta di una storia che descrive il migrare di un emblema che passa a soprannominare in successione quattro individualità diverse. L'interessante di questo aneddoto (che per inciso vede me nel ruolo di progettista, ma cose simili se non per confessione è difficile venirle a sapere) e che può essere considerate come un esperimento non in vitro ma in praxis. Infatti un osservatore benevolo notando che si e svolto nell'area delle committenze politico culturali e cioè delle progettazioni non compensate, (dal che consegue che un determinato risultato grafico non è minimamente vincolato, in termini di cessione legale, a nessun proprietario), il nostro osservatore benevolo potrebbe considerarlo come un modello condensato del processi che normalmente, su scala storica, si svolgono in tempi molto lunghi.II caso riguarda la progettazione di un emblema per uno dei molti movimenti della sinistra extraparlamentare nei primi anni 70. L'emblema si configurava complessivamente come una stella rossa a cinque punte. Le cinque punte sono pero cinque frecce rivolte verso l’esterno e, sfruttando un effetto gestaltico di figura/fondo, mostrano anche in negative cinque punte di frecce rivolte verso il centro. (L'intenzione era quella di alludere alla dialettica organizzazione/proselitismo, centro/periferia, ecc.). La presentation dell'emblema alla committenza ebbe esito negative in quanto (giustamente) il segno veniva considerate non sufficientemente calligrafabile a bomboletta spray, in seconda istanza appariva troppo tecnologico/efficientista, e infine, su un piano diretto di simbologia politica, la Stella frecciata costituiva un richiamo alla croce frecciata simbolo dei fascisti ungheresi, o alle saette serrate dal giogo, simbolo dei re cattolici, adottato dalla falange.Quest’ultima critica era forse la più opinabile in quanto anche nella

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simbologia di sinistra esiste il fascio di frecce della Eiserne Front che nella repubblica di Weimar combatte lungamente la croce uncinata. Comunque il progettato, non fu accettato è rimase nel cassetto fino a quando non fu utilizzato come illustrazione ideogrammatica di copertina per il libro di poesie Le nostre posizioni di Corrado Costa, edito dalla Casa Editrice Geiger 28. E subito, in terza istanza, il simbolo viene adottato dalla stessa Geiger come marchio editoriale in quanto “avrebbe potuto benissimo essere il simbolo della radioattività”. Ma poi andò in disuso, finche più di recente una rivista di avanguardia americana “Invisible City” individua la Stella frecciata come un perfetto complemento della testata e la adotta.Ben lontani dall'interpretarle nel senso di un assoluto relativismo dei nessi di significazione, proprio dell’ortodossia semiotica, le peripezie di questo caso, analogamente a quanto abbiamo già potuto constatare altrove per la valuta di Max Huber 29, ci paiono proprio indicative.Nel caso dei committenti politici del movimento extraparlamentare si è trattato di qualcosa di simile all'incontrarsi con l’immagine di uno specchio deformante. Il committente non si è riconosciuto. Non si è voluto chiamare visivamente così. E poi il simbolo passa di viso in viso, percosì dire, di immagine in immagine alla ricerca di una coerenza, di un omeomorfismo fra piano delle possibilità ideogrammatiche e piano dell’utilizzo pratico. Finchè i nessi sono andati a posto, si è realizzato l'incontro fra maschera e volto, il riconoscimento riflessivo.

4. Emblema riflessivo - marchio transitivoPerseguito fin qui il versante emblematico abbiamo lasciato in sospeso l’aspetto rappresentato dalla marcatura.E, se il simbolo in quanto emblema, riassume in fondo l’immagine che una individualità singola o un gruppo sociale hanno di se stessi, il medesimo segno una volta assunto è riportato con le dovute tecniche sopra un determinato artefatto o prodotto o risorsa naturale, quasi magicamente lo cambia. Gli attribuisce uno statuto nuovo.Esemplare il caso della carta cui il bollo statale attribuisce il ruolo certificante dell’ufficialità, che aggrava la falsa dichiarazione con l'implicita minaccia di sanzioni,Cominciamo dunque a renderci conto che l'emblema e il marchio sono in un certo senso due facce della stessa realtà. L’emblema è per così dire la forma riflessiva dell'azione di identificare visivamente, in altre parole, con esso una determinata individualità si attribuisce un nome proprio visivo. Ma il medesimo emblema riportato su più o meno sparse membra si fa marchio e conferisce loro una identica unitaria. La marchiatura del bestiame è qui esemplare per la sua violenza di operazione attiva,

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transitiva.La operazione di autobattesimo funziona invece di solito in tutt'altro modo: consiste sovente nell'appropriarsi e nel dichiarare a se stessi adeguato un simbolo, un elemento, che nella maggioranza dei casi è pescato in una sorta di Koinè archetipale: nel patrimonio comune costituito da quelli che Guenon chiamerebbe simboli tradizionali. E si conclude con una rifunzionalizzazione semantica del simbolo prescelto.II caso dei nazionalsocialisti che si appropriano del potente ma pacifico simbolo solare l'abbiamo visto. Ma anche i cristiani con la complicità della misteriosa coincidenza della crocifissione, avevano fatto proprio il segno dell’incrocio, che da sempre allude alla collocazione dell'axis mundi 24. II perché di questa sorta di gara ad impadronirsi dei segni primitivi, mi pare che dipenda, o sia da collegare, al fatto che le possibilità principali non sono infinite. Le forme primarie e elementari, dallo scribillo personale, alle marcature dei ciottoli preistorici, costituiscono un repertorio limitato di primitives, come direbbe un esperto di computer graphics. Nello spazio tridimensionale della classificazione peirceiana, cui abbiamo accennato all'inizio, i simboli primari si collocano infatti in una zona molto prossima allo zero, all’origine parametri: non li si può considerare né fortemente pittografici, né fonografici, ma nemmeno riccamente articolati in senso diagrammatico: sono fortemente prossimi l’uno all’altro, eppure nettamente distinti, sia fra loro sia rispetto alla marea dei simboli più complessi.Ci vuole infatti il massiccio potere materiale di una gigantesca multinazionale del cemento ecc. ecc., per imporre su una scala temporale intermediafra il Blitz nazista e la millenarietà cristiana (e cioè il pezzo di metallo al quale il conio attribuisce il ruolo di moneta: pare che questa fosse I'origine del mito di Creso 30.La apposizione del marchio dichiara l’elemento marchiato appartenente ad un insieme. Lo distingue contrassegnandolo ma lo uniforma, lo apparenta a tanti altri oggetti che possono essere diversissimi.Ed il contrassegnare si specializza nell’esercitare un ventaglio di funzioni: esprime possesso ovvero rende visbile un'appropriazione: dalle prime maschiature di bestiame di cui si sa, in Egitto 31, agli ex-libris, dalla delimitazione dei confini (marca era addirittura detta nel medioevo I'intero feudo di confine, e marchesi i suoi signori) al monogramma che accomuna i diversi veicoli delle Aziende Trasporti Municipali. E con il sigillo il contrassegno conclude, rende ermetico un testo o un messaggio, come un recipiente o uno spazio: dai sigilli sumeri 32 a quello di Costantino imperatore 33 a quelli nobiliari di ceralacca, l’integrità della

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cui impronta sta a testimoniare definitivamente una assenza di interventi apocrifi 34, ai sigilli legali.Il contrassegno prende anche la forma di quel marchio logogrammatico a riproducibilità relativamente elastica che è la firma: (dal monogramma di Carlomagno, allo sgorbio perentorio di Napoleone 35, alla firma di Chagall 36 che attribuisce valore al prodotto a cui è apposta, a quella dello stilista di grido sul foulard, la quale ormai riprodotta tecnicamente confluisce tranquillamente nel marchio di fabbrica 37. La firma di Picasso è stata l’una cosa ed oggi è ormai l’altra. E firma comunque, vuol dire morfologia calligrafica consolidata, e signature (cioè segnatura),indica proprio il contrassegnare, e Unterschrift indica il sottoscrivere, dichiarando quindi autentico, ma anche che si aderisce a ciò che è scritto.II contrassegno può anche garantire: la provenienza (I'origine controllata, come il pittogramma del galletto nero del Chianti), o il materiale (il marchio di qualità come il gomitolo della lana vergine). Entrambe queste ultimesono poi due specializzazioni e istituzionalizzazioni di funzioni esercitate da qualunque, anche antichissimo, marchio commerciale e industriale: i segni dei vasai greci, le antiche filigrane della carta, le marche sulle pezze di tessuto, le impronte sui prodotti della panificazione 38.O, ancora, la distinzione che eleva, l'onorificenza (si dice insignire)39, o la distinzione che mette in guardia e segrega del marchio di infamia, o del pileum cornutum antisemita 40.O, infine, il caso limite del distintivo del partito di stato, come la cimice fascista, la cui ostensione all’occhiello funziona come una firma di adesione, mentre la costrizione a portarla corrisponde alla marchiatura di possesso.

5. Brevi conclusioni stilisticheL'emblema è insomma qualcosa che si realizza sul piano del senso: abbiamo visto funzionare come emblema indifferentemente persone e incroci di linee, silhouette schematicissime e “composizioni persino paesaggistiche” 41, quadratini neri e persino suoni. Ha infatti funzionato da emblema il “mantra” A.E.I.O.U. dell’imperatore Federico III 42, che successivamente diventa l’acrostico Alles Erdreich Ist Österreich Untertan. Del resto in questo senso, si si era venuta evolvendo quella sorta di forma letteraria visivo-verbale che più propriamente si chiama emblema 43, e che si sviluppa da quella branca dell'araldica che sono le imprese accompagnate dal motto (le divise) 44. II marchio si muove invece sul piano della scrittura, cioé, della materialita esecutiva, della tecnica performativa e della tecnologia riproduttiva. La sua morfologia è quindi, qui, pressata da una triplice spinta alla

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semplificazione.Abbiamo già visto un primo livello di predilezione - diremmo di principio - per l’elementarita, la quale conduce ad un assetto morfologico la cui forma limite é il punto, e comunque a un impianto fondamentalmente orientato alle forme semplici (vedi quelli che abbiamo chiamato i cosmogrammi sintetici).Ma è tipico del marchio anche una sorta di concisione stilistica, di schematicità raffigurativa e di riduzione del codice presentativo, che possiamo indicare con 1'espressione stile araldico, ed è cio che nell'espressione predisposizione alia riproducibilita tecnica, non riguarda la tecnica ma la struttura (ad esempio percettiva) del destinatario.E infine a semplificare spinge appunto la dimensione tecnica che, come sta scritto in qualunque manuale progettuale, consiste da un lato nella costruibilità, ma in altri contesti può significare un'agevole calligrafabilità. E si tratta qui del piano fabbricativo, i cui limiti sono definiti dal livello tecnologico della cultura in atto, ma anche, brutalmente, dai vincoli della effettiva situazione esecutiva..Giovanni Anceschi

note1 Anceschi G., Monogrammi e figure, Firenze, La casa Usher, 1981 pp. 85-86.2 Maldonado T., Introduction in Ricci P.M., Ferrari C., (a cura di), Top Symbols and Trademarks of the World, Annual 77, Milano, Decopress, 1977, tr. ital., in: “Rassegna”, n. 5 (aprile), 1982.3 Kuwayama K., Trademarks & Symbols, vol. 1, New York, Van Nostrand-Reinhold, 1973, p. 6-7.4 Cassirer E., Filosofia delle forme simboliche, (trad. E. Arnaud), vol. 1, Firenze, 1964.5 Trevi M., // simbolo trasformatore, introduz. a Moreno M., La dimensione simbolica, Padova, Marsilio, 1973, pp. 7-8.6 Maldonado T., Kommunikation und semiotik, in: “Ulm”, 5 (juli), 1959; trad. it. in: Avanguardia e razionalità, Torino, Einaudi, 1974, p. 71.7 Anceschi G., op. cit., p. 88.8 “L'iconologia è la disciplina che studia le figurazioni simbolico allegoriche usate tradizionalmente. Tale procedimento traslativo dall’astratto pensato al concrete raffigurato riguarda concezioni, idee, sentimenti, stati d'animo, situazioni psichiche, condizioni, attività, istituzioni, corpi celesti, elementi e fenomeni naturali cui si dia parvenza di persona fisica” [corsivo nostro] Plessi G., Introduzione in: Cecchini N., Dizionario sinottico di iconologia Bologna, Patron, 1976, p. IX. E

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vedi ad esempio il magistrate studio sul cupido cieco di Panovsky E., Studi di iconologia, Torino, Einaudi, 1975. pp. 135 e passim. La pista iconologica si era aperta sulle indicazioni del bel catalogo sulla Vanitas di A. Veca, Bergamo, Lorenzelli, 1982.9 “... è più facile a concepire [la natura delle cose e degli esseri] quando le si vede nascere a poco a poco che quando si considerano belle e fatte” Descartes, Discorso sul metodo, trad., it., Bari, Laterza, 1928, p. 43.10 Raffigurato disegnativamente, come l’omino dell'acqua Giommi, o quello dei pneumatici Michelin, ma anche e soprattutto in carne e ossa come “il nonno che studia il dentifricio per la nipotina e che risulta poi chiamarsi come l’industria produttrice”, o “il manager con baffetti che consiglia di comprare un rasoio elettrico e confessa di esserne tanto entusiasta da avere comprato la ditta”. Fino al caso, leggermente diverse, di un Debenedetti, personalita emblema che rinforza percosì dire da dietro il logotipo Olivetti.11 E Fuchs a intendere “caricare proprio in questo senso e cioè di selezionare, caratterizzare, sottolineare parti di una figura”. Fuchs E., Die Karikatur der Europaeischen Volker, Berlin, Leipzig, 1901, pp. 1-24.12 Schramm P.E., Herrschaftszeichen und Staatsymbolik, Schriften der Monumenta Germaniae, bd, 13, 1978, p. 1059.13 Schramm P.E., op. cit., p. 963.14 Ariosto, L'Orlando furioso, X, 77.15 Grand-Carteret John, L'enseigne, Grenoble et Mouthiers, M. Falque et F. Ducloz, 1902, rappresenta un prototipo tipologico inizio secolo; ma vedi soprattutto Holscher E., Firmenschilder aus zwei jahrtausenden, München, 1966.16 Signum, che è anche il vessilloide delle legioni romane, e qui il grido di guerra.17 Migne, Patrol, lat., 155 sp. 767, 8. Cit. in: Schramm P.E., op. cit., p. 963.18 Bonsiepe G., Teoria e pratica del disegno industriale, Milano, Feltrinelli, 1975, p. 227.19 Anceschi G., Progettazione visiva, convenzioni e procedimenti di rappresentazione, ed Officina Immagine, 1981, p. 77.20 Sternberg R., (a cura di), Nazi-Kitsch, Darmstadt, Metzler Verlag, 1975, pp. 80-82.21 Arnheim R., // pensiero visivo, Torino, Einaudi, 1974, p. 172.22 Henrion F.K., Parkin A., Design coordination and corporate image, London - New York, Studio Vista-Reinhold, 1967, p. 7 e poi 18 e passim.23 Per quanto riguarda la funzione tenere insieme vedi la seguente considerazione: “Agli uffici studi delle grandi ditte petrolifere (anni 30/40), si deve invece I'affermazione dell'indirizzo metodologico hard

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[contrapposta all’immagine soft o al più o meno consapevole house-style]. O meglio ad esse si deve l’invenzione del suo strumento principe: il manual, e cioè il codice dei principi e delle norme, insomma il “libro della legge” comunicazionale dell'azienda. Probabilmente la grande dispersione geografica, la differenziazione delle attività, degli edifici, delle attrezzature, nonché la presenza di un prodotto impalpabile, senza forma propria, (cioè un liquido come il carburante), e questo insieme di fattori che deve aver costituito per quel tipo di organismi una fonte di grave disagio di identità/ identificazione. E questo ha pungolato i progettisti a produrre un sistema costrittivo efficiente: appunto il manual”. Anceschi G., L’immagine coordinata, di prossima pubblicazione in: “Gulliver”.24 Guenon R., Simboli della scienza sacra, Milano, Adelphi, 1975, ad esempio, p. 110 e passim, p. 63 e passim. Ci sembra che il repertorio di simboli primari nel quale hanno pescato gli istitutori delle simboliche politiche e religiose, sia prevalentemente riferibile, in una prospettiva di un’antropologia comparativa, a una base di sintesi cosmografiche. La Stella di Davide è un simbolo di intreccio, di connubio cosmico, fra “maschile” (triangolo orientato verso l'alto), e “femminile” (triangolo orientato verso il basso). Analogamente il segno taoista dello Ying e Yang è la visualizzazione di un equilibrio cooperative fra componenti complementari cosmiche (maschio-femmina, giorno-notte ecc.). Perfino la mezzaluna mediorientale, soprattutto nella sua versione originaria, coricata, e accompagnata dall'astro (si badi bene: solare), è simbolo di connubio cosmico. La croce invece, come la ruota (Chakra), rimandano all’ideale centro del cosmo. Mentre svastica, sole nascente giapponese, astro solare calante (il pentagramma maghrebino), sono già segni specializzati di un solo elemento. Perfino l’aquila bicipite imperiale sembra essere strutturalmente un cosmogramma ermafrodito, come è constatabile nella raffigurazione tratta dal Tractatus quae dicitur Thomae Acquinatis de Alchimia, 1520, che vede l'aquila associata al simbolo dell’ouroboros, cioè il serpente che si morde la coda, che sta per il tempo infinitamente ciclico. (111. riportata in: Jung G., Psicologia e Alchimia, Torino, Boringhieri, 1981). Cfr. inoltre per un’impostazione di “conoscenza tradizionale” come abbiamogià indicate: Guenon R., op. cit., che può essere corretta in senso pragmatico dalla consultazione di Rabbow A., Dizionario dei simboli politici, Milano, Sugar, 1973.25 Vedi anche: Von Franz M.L., Le temps, le fleuve, la roue, Paris, Chêne, 1978, ed anche: Rowson Ph., The art of Tantra, London, Thames and Hudson, 1973, nonché: Clausberg K., Kosmische visionen, Koln, Dumont, 1980. Vedi anche la parte tematica: “corpi celesti” di: Neubecker O. e A., Araldica, Milano, Longanesi, 1980.

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26 Anceschi G., op. cit., p. 159.27 Dair C., Design with type, University of Toronto Press, 1967, p. 18.28 Costa C., Le nostre posizioni, Torino, Geiger, 1972.29 Anceschi G., (a cura di), Max Huber, progetti grafici 1936-1981, Milano, Electa, 1982, (introd. s.n.p.).30 Bosi R., L'avventura delle monete, Faenza, Faenza ed., 1975, p. 41.31 Muller Brockmann J., Geschichte der Visuellen Kommunikation, Teufen, Niggli, 1971, p. 17.32 Bosi, R., op. cit., p. 23.33 Kriwet, ComMix, Köln, Dumont, 1969.34 Kriwet, op. cit., p. 47.35 Kriwet, op. cit., p. 43.36 Bernhard M., (a cura di), Künstler Autographen, Dortmund, Herenberg, 1980.37 Cfr. Baudrillard J., Per una critica aU'economia politica del segno, Milano, Mazzotta, 1974, p. 101 e passim.38 Müller Brockmann J., op. cit.39 Neubecker O e A, op. cit.40 Schramm P.E., op. cit.41 Ronchetti G., Dizionario illustrato dei simboli, Milano, 1922, p. 27.42 Schramm P.E., op. cit., (che cita Huizinga, a.a. O.S., 252), p. 1059.43 Vedi: Praz M., // giardino dei sensi, Milano, Mondadori, 1975, pp. 226-239. Vedi poi ad es. Alciato, Emblemes d'Alciat de nuveau translates en Francois, Á Lyon chez G. Rouille par M. Bonhomme, 1549. E anche Chiocco A., Discorso della natura delle imprese et del vero modo di formarle, in Verona nella stamperia di Angelo Tamo, 1601. O il curiosissimo testo polemico ed ermeneutico: Personé G.B., Osservazioni del sig. Giovanni Battista Personé di XXXVII errori in sole XVIII delle seconde corrette assertioni del P. Horatio Montalto, Giesuita, contra il libro della Realtà delle imprese del sig. Hercole Tasso, pubblicato sotto il nome di Cesare Cotta, in Bergamo, per Comino Ventura, 1613. O la monumentale raccolta di Ilg A., Allegorien und Emblemen, herausgegeben von Martin Gerlach, Wien, Gerlach & Schenk, 1882-1885, 2 voll. Vedi Anche: Grechi G. R, Paolo Giovio le imprese e gli ex-libris, Como, Nani, 1968.44 Neubecker O. e A., op. cit., p. 213.

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