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69-80 Riflessioni sugli anni dell'odio

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Lavori dei tredici finalisti del concorso organizzato dalla Provincia di Milano

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Premiazione vincitori del concorso

«’69-80: Riflessioni sugli anni dell’odio-Mai più giovani uccisi per un’idea».

Il 29 aprile 2011 nella Sala Affreschi a Palazzo Isimbardi della Provincia di Milano,sono

stati premiati i vincitori del concorso «’69-80: Riflessioni sugli anni dell’odio-Mai più

giovani uccisi per un’idea».

L’iniziativa ha inteso ricordare tutte le vittime del terrorismo e dello stragismo ed ad

evitare che l’intolleranza manifestata oggi da tanti giovani si incanali lungo la china

della violenza politica. In palio tre borse di studio per finanziare gli studi universitari,

rispettivamente di € 3.000,00, € 2.000,00 e € 1.000,00, destinate ad altrettanti studenti

delle classi quinte di tutte le scuole secondarie di secondo grado, statali e paritarie,

che avessero presentato una tesina riguardante la storia d’Italia dei cosiddetti “anni di

piombo” (1969-1980).

Alla premiazione erano presenti il Presidente della Provincia di Milano,On. Guido Podestà,

l’Assessore all’Istruzione e all’edilizia scolastica, Marina Lazzati, e il direttore de «La

Stampa» e presidente della giuria Mario Calabresi.

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Composizione della giuria

PresidenteMario CalabresiDirettore de «La Stampa»

Marina LazzatiAssessore all’Istruzione

Giuseppe Orazio ColosioProvveditore Ufficio Scolastico

Regionale Lombardia

Giuseppe PetraliaDirettore Ufficio Scolastico Provinciale

Motivazioni

1°premio a: Francesco Mazzù,(Istituto tecnico industriale Conti di Milano)

Per l’originalità del racconto e per l’alta qualità della narrazione con cui è stata costruitauna storia avvincente che accompagna il lettore durante tutto il testo. Per la descrizionedei singoli personaggi e del loro percorso emotivo che, da posizioni conflittuali e contrap-poste e attraverso le singole esperienze e riflessioni, lascia via via spazio per il rifiuto con-diviso di ogni atto di violenza.

2° premio a: Lucia Trapani(Istituto d’istruzione superiore Besta di Milano)

Per aver saputo arricchire i fatti e l’interpretazione personale con la preziosa testimo-nianza di una fonte, che aggiunge al racconto maggiore autorevolezza e prestigio. Per lasuggestione che vede l’ombra degli anni di piombo come un problema ancora aperto, fruttodell’intolleranza tra ideologie, che ostacola il pluralismo delle idee.

3° premio a: Alessandro Ferrari(Liceo paritario Leone XIII di Milano)

Per l’attenta osservazione e ricostruzione dei fenomeni legati al terrorismo ed, in parti-colare, dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi e per l’autenticità del dialogo trapadre e figlio, che rende il racconto schietto e confidenziale. Per le considerazioni finaliche definiscono gli “anni di piombo” come una delle più complesse epoche della storia ita-liana, come un periodo ancora confuso, impreciso e, come tale, da approfondire anche esoprattutto attraverso le testimonianze di chi ha vissuto quegli anni

Una menzione speciale a: Dario Cavallone(Liceo Scientifico Einstein di Milano)

Per l’impegno e l’interesse dimostrato nello svolgimento dell’elaborato e per aver affron-tato con coraggio e senza conformismo un tema controverso della storia italiana, riscri-vendo una mappa dell’odio politico, dalla morte di Socrate ai giorni nostri. Interessantealtresì che il tema in chiusura si interroghi sull’assenza dei valori contemporanei.

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Cognome ANDRIANI

Nome FRANCESCA

Scuola LICEO PARITARIO “MELZI”, LEGNANO

Classe QUINTA

Contro il terrorismo e la violenzaIntroduzioneIl saggio “ Contro il terrorismo e la violenza” è un’argomentazione tesa a dimostrare che le stragi che hannocaratterizzato gli anni dal 1968 al 1980 sono alla base degli atti terroristici di oggi. Per dimostrare questatesi, l’argomentazione inizierà trattando le stragi degli “anni di piombo”, poi ci si soffermerà sui motivi chehanno spinto le persone, in particolare i giovani, a simili azioni, facendo un paragone con la situazione at-tuale, mettendo in evidenza le rispettive conseguenze. Infine, si tratterà delle soluzioni di ieri e quelle dioggi agli attentati terroristici.Le stragi degli “anni di piombo”Con il termine “anni di piombo” si vuole far riferimento agli anni compresi tra il 1968 e il 1980. Questo pe-riodo storico è stato denominato così dagli storici a causa delle numerose stragi, che sono avvenute inItalia, tra cui la strage di piazza Fontana a Milano. Questa strage avvenne il 12 dicembre 1969 quando unordigno contenente sette chili di tritolo esplose alle 16,37, nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura,in piazza Fontana, a Milano. Il bilancio delle vittime è di sedici morti e ottantasette feriti.In seguito a queste prime stragi, ne avvenneromolte altre, come la strage di Gioia Tauro avvenuta il 22 lugliodel 1970 alle 17.10 quando il treno diretto Palermo - Torino deragliò a poche centinaia di metri dalla sta-zione Gioia Tauro. Il treno trasportava circa 200 persone, tra cui un gruppo di 50 pellegrini diretti a Lourdes.Il bilancio finale della tragedia fu di sei morti e più di settanta feriti, di cui molti in gravissime condizioni.Successivamente, nel 31 maggio del 1972 avvenne un altro atto terroristico, la strage di Peteano, che pro-vocò la morte di tre uomini dell’Arma dei Carabinieri: il brigadiere Antonio Ferraro di 31 anni e i carabinieriDonato Poveromo e Franco Dongiovanni di 33 e 23 anni. Rimasero gravemente feriti il tenente Tagliari e ilbrigadiere Giuseppe Zazzaro. Questo avvenne perché la notte del 31 maggio giunse una telefonata al cen-tralino del pronto intervento della Stazione dei Carabinieri di Gorizia. L’informatore anonimo disse di avervisto unmacchina con due fori sul parabrezza, così quando sopraggiunsero i carabinieri tentarono di aprireil cofano dell’automobile, provocando però l’esplosione dell’auto e provocandone la morte dei tre carabi-nieri, mentre altri due rimasero gravemente feriti.Poi avvenne la strage della questura di Milano, quella di piazza della Loggia a Brescia, quella sull’espressoRoma - Brennero, quella di via Fani a Roma e infine quella della stazione di Bologna.Stragi che apparivano insensate e talvolta senza colpevoli: riguardo ad alcune di esse non vi è tuttora cer-tezza sugli esecutori, e in nessun caso sono noti i nomi di eventuali mandanti, come ha messo in evidenzail processo per la strage di piazza Fontana, che è stata definita la “strage impunita”. Anche se spesso i te-stimoni non mancavano, infatti Pier Paolo Pasolini, dichiarò sull’articolo “Io so” pubblicato sul “Corrieredella Sera” nel 1975, di conoscere i mandanti delle stragi, anche se nonmostròmai alcuna prova a sostegnodella sua teoria. Così, a causa di questa sua dichiarazione, nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 Pasolinifu ucciso in maniera brutale: battuto a colpi di bastone e travolto con la sua auto sulla spiaggia dell’idroscalodi Ostia, località del Comune di Roma. Il cadaveremassacrato fu ritrovato da una donna alle sei e trenta circadel mattino. E solo grazie all’intervento di un amico sarà possibile riconoscerlo.Le cause e le conseguenzeL’Italia, negli ultimi decenni del XX secolo, è caratterizzata da un forte sviluppo economico e sociale: l’eco-nomia italiana era cresciuta rapidamente ed il miglioramento del tenore di vita era percettibile; la mortalitàinfantile si era fortemente ridotta e l’analfabetismo era praticamente scomparso. Dati questi presupposti,le classi operaie, che fino a quel momento erano state sfruttate, perché considerate incolte e quindi incapaci

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di ribellarsi, ora iniziano a prendere coscienza di quelli che dovrebbero essere i loro diritti e li vogliono ri-vendicare, a qualunque prezzo.Lo stesso avvenne per quanto riguardava gli studenti, che all’inizio degli anni Sessanta, all’interno delle tra-dizionali organizzazioni studentesche, iniziarono le prime proteste contro la politica scolastica del governo.Queste organizzazioni chiedevano una maggiore partecipazione negli organi decisionali, una riforma delladidattica e un miglioramento dei servizi. Portando, così, il popolo italiano a ribellarsi con atti terroristici.Invece, le cause che caratterizzano gli atti terroristici di oggi sono ben diverse, perché non partono dal pre-supposto di una situazione sociale favorevole, ma al contrario sono caratterizzate da un forte malcontentogenerale, causato dalla forte crisi mondiale. Infatti, molti ragazzi italiani oggi decidono di arruolarsi, spesso,non per reali sentimenti patriottici o per riportare la pace, ma perché è l’unico modo che hanno per assi-curarsi uno stipendio fisso. Questa situazione sociale c’è raccontata da Roberto Saviano, nell’opera “Il con-trario della morte”, nella quale sostiene che le guerre, che prendono il nome di missioni di pace, sono cosìnumerose da non riuscire a definire se l’ultima guerra di cui si vuole trattare è l’Afghanistan, Nassiriya, il Li-bano, Bosnia, Kabul, Kosovo, Somalia, Iraq… Di conseguenza, ai giovani d’oggi sono più interessati a restarein vita e portare a casa uno stipendio, che sapere di fatto per quale causa si combatte. Quindi i giovani ita-liani, soprattutto quelli meridionali si arruolano perché non hanno altre scelte. Lo stesso accade tra alcunigiovani dell’Iraq, Iran, Afghanistan che sono costretti, in cambio di denaro per la famiglia, a trasformare sestessi in kamikaze. Come il caso di un attacco terroristico talebano alla sede dell’Onu di Herat, la provinciaafghana occidentale sotto il controllo degli italiani, che è stato sventato grazie al tempestivo interventodella sicurezza afghana, che ha ucciso quattro sospetti kamikaze islamici, armati di cinture esplosive, razzie mitragliatrici.Però, sono davvero numerosi i casi di attentati terroristici, in particolare contro gli Stati Uniti d’America. Traquesti gli attentati dell’11 settembre 2001: in questa tragica mattina quattro aerei civili sono stati dirottatida diciannove islamici dell’organizzazione terroristica di al-Qa’ida, con lo scopo di colpire obiettivi civili e mi-litari. Infatti, due degli aeri dirottati hanno colpito le Torri Gemelle, un altro il Pentagono e l’ultimo, cheaveva come obiettivo la Casa Bianca, ma che grazie all’intervento dei passeggeri, il volo è precipitato pocodistante dal suo obiettivo. In seguito molti attentati furono sventati, come il piano di al-Qa’ida di dirottareun aereo commerciale e lanciarlo contro la Library Tower di Los Angeles, nel 2002. Un altro esempio èquello avvenuto il 26 dicembre 2009, quando un uomo ha innescato una piccola carica esplosiva, pocoprima dell’atterraggio di un volo della compagnia aerea Usa Delta-Northwest in volo da Amsterdam a De-troit, con a bordo 278 passeggeri, di cui sono rimasti feriti l’aggressore e due passeggeri. Infine un altro at-tentato svenato molto più recente, che risale al 24 febbraio del 2011, è quello contro l’ex presidente degliStati Uniti d’America G.W.Bush, quando un giovane saudita è stato arrestato dall’Fbi in Texas, perché avevacostruito degli ordigni esplosivi che avevano come obiettivo la casa a Dallas di Bush e anche centrali nucleari.Le soluzioni di ieri e di oggiPer quanto riguarda le soluzioni apportare dallo stato italiano come risposta alle stragi degli “anni di piombo”ricordiamo in particolare la voce di Oscar Mammì, deputato al Parlamento e presidente della commissioneInterni Camera dei Deputati, la quale sosteneva l’inutilità di aggravare le pene già esistenti, perché significafarsi delle illusioni, se si crede che il criminale resti sbigottito e sia persuaso dall’imponenza delle pene, pro-prio come aveva già affermato Cesare Beccaria, nell’opera “Dei delitti e delle pene” nel 1764. Quindi era ne-cessario un piano di edilizia carceraria molto efficiente, e per fare ciò bisognava indirizzare molti fondi perquesto progetto.Se, le soluzioni, apportate dallo stato italiano, si possono definire come pacifiche, non si può affermare lostesso della reazione americana agli attacchi dell’11 settembre 2001. Infatti, in seguito a questi tragici av-venimenti Bush, attuale presidente in carica nel 2001, dichiarò “guerra al terrorismo”, con l’obiettivo di por-tare Osama bin Laden e al-Qa’ida davanti alla giustizia e di prevenire la costituzione di altre reti terroristiche.I mezzi previsti per perseguire questi obiettivi includevano sanzioni economiche e interventi militari controgli stati che avessero dato l’impressione di ospitare terroristi, aumenti dell’attività di sorveglianza su scalaglobale e condivisione delle informazioni ottenute dIl congresso passò anche lo USA PATRIOT Act, affer-mando che sarebbe stato utile a individuare e perseguire il terrorismo e altri crimini; i gruppi per le libertàcivili hanno però criticato il PATRIOT Act, affermando che permette agli organi di polizia di invadere la vita

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privata dei cittadini e che elimina il controllo da parte della magistratura della polizia e dai servizi segreti in-terni. L’amministrazione Bush indicò gli attacchi dell’11 settembre per giustificare l’inizio di una operazionesegreta della National Security Agency volta a «intercettare comunicazioni via telefono e e-mail tra gli StatiUniti e persone all’estero senza mandato».Furono riportati numerosi incidenti di molestie e crimini d’odio contro mediorientali e persone “dall’aspettomediorientale”; furono coinvolti particolarmente Sikh, in quanto gli uomini sikh vestono un turbante, ele-mento essenziale dello stereotipo del musulmano negli Stati Uniti. Vi furono abusi verbali, attacchi a mo-schee e altre costruzioni religiose (tra cui un tempio induista) e aggressioni, tra cui un omicidio: Balbir SinghSodhi, un Sikh, fu ucciso il 15 settembre, dopo essere stato scambiato per un musulmano.Quindi la politica rigida e restrittiva attuata dagli Stati Uniti d’America ha non ha portato a una soluzione delterrorismo, ma anzi l’ha incrementato, facendo nascere un profondo sentimento di razzismo verso gli stra-nieri. A differenza dell’Italia, che è stata in grado di risolvere il problema, pur esistendo ancora la mafia.ConclusioniSi può affermare che gli atti terroristici, non quelli avvenuti sul suolo americano, ma quelli di tutto il mondo,sono il risultato degli “anni di piombo”. Questo perché il mondo ha scoperto una nuova forma per far sentirela propria voce, in particolare tutte quelle persone la cui opinione non è sostenuta e tutelata dai propri po-litici.Infatti, molti altri casi di attentati terroristici nel mondo sono: l’attentato alla metropolitana di Mosca del29 marzo 2010 è un attentato terroristico portato a termine da due donne kamikaze in due stazioni dellametropolitana di Mosca, che ha causato quaranta persone morte e cento gravemente ferite; l’attacco ter-roristico all’aeroporto di Mosca-Domodedovo, avvenuto il 24 gennaio del 2011, è stato un attacco suicidacon l’uso di potenti esplosivi, che ha causato trentasei vittime e decine di feriti; e molti altri ancora.C’è da considerare che una soluzione a breve termine al problema del terrorismo di oggi, perché traman-dano le loro idee di generazioni in generazione, causando così un fenomeno duraturo forse di qualche cen-tinaia o migliaia di anni. Quindi bisogna pensare ad una soluzione a lungo termine. Per fare questo bisognache si riesca ad istaurare dei veri legami d’ onestà tra i vari stati, perché solo con la fiducia e il rispetto re-ciproco si possono cercare soluzioni a questo problema umanitario, che causa numerose morti.

BibliografiaComitato permanente antifascista per la difesa dell’ordine repubblicano, Eversione, democrazia e rinno-vamento dello Stato, Teti Editore, Milano 1977Galli G., Storia del partito armato, Rizzoli Editore, Milano 1986Saviano R., Il contrario della morte, Edizione speciale per il Corriere della Sera, Milano 2007Tarrow S., Democrazia e disordine. Movimenti di protesta e politica in Italia. 1965-1975, Laterza, Roma -Bari, 1990

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Cognome CASTELLANO

Nome CARLO

Scuola LS “MAJORANA”, RHO

Classe QUINTA

ANNI DI PIOMBO

Tutto ebbe inizio con l’occupazione delle varie università italiane, la prima fu l’università Cat-tolica di Milano seguita da quella di Trento nella quale non si tennero le lezioni.Era l’epoca in cui a frequentare l’università di Trento erano studenti quali Marco Boato, MauroRostagno, Renato Curcio, Mara Cagol, tutti studenti che, secondo il rettore Francesco Alberoni,avrebbero dovuto: “coltivare, raddrizzare uomini che sarebbero stati coltivati, potati e raddriz-zati loro stessi come piante” (documento del lavoro n 9).Dopo le prime “manifestazioni pacifiche” si passò allo scontro, esempio fu “Valle Giulia” Facoltàdi Architettura a Roma dove il 1 marzo 1968 ci furono scontri tra il movimento studentesco e lapolizia, che fecero centinaia di feriti, contusi ed arresti.Uno dei pochi critici degli scontri di “Valle Giulia” fu Pierpaolo Pasolini, il quale rovesciò il sentirecomune scrivendo che il popolo era rappresentato dai poveri ed umiliati poliziotti, costretti adifendersi dai figli di papà in cerca di uno scontro nelle lotte di piazza per provare e rivendicarel’indipendenza dai propri genitori.Sopraggiunse l’autunno caldo del 69-70 dove oltre 5 milioni di lavoratori protestavano e mani-festavano per i rinnovi contrattuali: si annullò la meritocrazia e le gabbie salariali poiché perlegge tutti erano uguali e tutti dovevano avere lo stesso stipendio (fu di questo periodo la defi-nizione, accettata dai ministri democristiani, che il salario è una variabile “indipendente” delcosto del lavoro).Fu un autunno di follia, dove in fabbrica, negli uffici, nelle scuole tutto era permesso, si orga-nizzavano scioperi spontanei, si diffuse un clima d’intimidazione e violenza generalizzata.Le istanze iniziali, legittime, di aumenti salariali e migliori condizioni lavorative, si trasformaronoin un clima di scontro permanente; la classe politica italiana cercò di fornire una risposta ade-guata mantenendo la pace sociale semplicemente accettando tutte le richieste avanzate daisindacati.Il clima diventò di “piombo” , con la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969), dove per loscoppio di una bomba all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura, morirono 16 persone eci furono decine di feriti.Dopo la strage l’Italia cambiò, cambiò in peggio poiché le istituzioni non seppero dare una ri-sposta adeguata agli avvenimenti (ancora oggi non sono stati scoperti i fautori della strage), siestremizzò lo scontro tra tutte le parti sociali: polizia, studenti,operai creando gruppi estremistispecializzati nella propaganda e nella pratica della “lotta armata” contro lo Stato capitalista,gruppi che affondavano le loro radici nei miti illusori quali fascismo e maoismo.In mezzo c’era lo Stato, governato da una classe politica inetta appartenente ai partiti storiciitaliani: i democristiani; i socialisti; i liberali; i repubblicani -che governavano il paese con variealleanze-, ed i comunisti che non avevano rinunciato all’idea della rivoluzione e continuavanoa veder crescere il numero dei consensi elettorali.A capo dei gruppi estremisti troviamo nomi famosi come Valpreda, Pinelli, Freda, Ventura, Cur-cio, Cagol, Feltrinelli, Capanna, Negri, attori di un’epoca governata da una cieca violenza.Migliaia di saggi e milioni di parole sono stati spesi su questo periodo, troppo vicino perché siaconsiderato storico ma lontanissimo per le istanze che rappresentava; periodo in cui si ricercavaun mondo liberato dal potere capitalistico, un mondo in cui la classe operaia potesse finalmente

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essere protagonista e scrivere da sola la propria storia.Invece, l’Italia si ritrovò in uno dei peggiori periodi della propria storia: non era possibile mani-festare la propria opinione, una propria idea o un giudizio senza rischiare di essere pestati o diessere uccisi (esempi sono Carlo Casalegno, giornalista de “La Stampa” e Walter Tobagi, giorna-lista del “Giorno”, entrambi assassinati); si arrivò ad usare mezzi di protesta impropri, veri epropri sabotaggi, così nelle fabbriche per combattere l’alienazione (che pure esiste) della catenadi montaggio, si rallentavano i ritmi, nelle università, per affermare il diritto allo studio, non sistudiava, erano aboliti gli esami e si chiedeva la promozione generalizzata.I meriti e la meritocrazia erano concetti obsoleti e “fascisti”, eredità di un epoca passata e ana-cronistica; in questi anni una minoranza di italiani aveva preso il sopravvento su un intera nazione,vigeva il “pensiero unico”.La cosa più grave fu proprio il coinvolgimento forzato delle masse nella protesta: piccoli gruppiarmati s’infiltravano in cortei studenteschi, o di operai pacifici per provocare scontri armati concarabinieri e polizia, coinvolgendo, come conseguenza naturale, anche il resto del corteo.In quegli anni hanno avuto grande rilievo soprattutto i gruppi di estrema sinistra, e proprio diquesti gruppi è indispensabile comprenderne i tratti essenziali, la struttura e la strategia cheadottarono, per capire a fondo l’importanza della Democrazia.

Il Terrorismo RossoLo sviluppo del Terrorismo Rosso in Italia durante “Gli Anni di Piombo” può essere suddiviso in 3fasi:Le origini (dal 1969 al 1972)La fase di aggregazione intorno all’asse Brigate Rosse – Autonomia Operaia (dal 1973 al 1977)Una fase di ripresa della “lotta di massa” e l’inizio della scissione del partito armatoSi può individuare anche un quarto periodo, dopo l’assassinio di Moro nel 1978

1) Le origini del terrorismo rossoUna minoranza molto organizzata che si ritiene “élite cosciente” vede sfumare nel giro di pocotempo l’opportunità di creare un movimento rivoluzionario formato spontaneamente dagli operaistessi, opportunità creata precedentemente dalle manifestazioni del 1968.Infatti i sindacati godevano di un vastissimo consenso per via dell’approvazione dello “Statuto deiLavoratori” nel 1970 e degli aumenti salariali ottenuti nel 1972.Viene fondato “Potere Operaio”, partito neoleninista, in grado di piegare il movimento di protestaalle indicazioni strategiche che l’organizzazione interpreta, ponendosi come obbiettivo l’insur-rezione generale.Il “nemico” è lo Stato che si identifica con il Capitale, questo determina, secondo i teorici del-l’estremismo, che l’insurrezione venga fatta attraverso una guerra civile di lunga durata”, o comel’ha definita A. Negri “guerra civile permanente” (da La fabbrica della strategia).

2) Organizzazione dei partiti di azioneDal 1972 in poi, vanno via via configurandosi più chiaramente i rapporti tra i vari gruppi estremisti:Autonomia Operaia, le Brigate Rosse di Curcio e Moretti, e i Gap di Feltrinelli.I 3 gruppi di azione decidono la strategia e la struttura del partito e della guerra civile.Autonomia Operaia è la “base rossa”, ha il compito di praticare tutte le forme di violenza legatealle azioni di massa: appropriazioni, autoriduzioni, piccoli sabotaggi, pestaggi, cortei “duri”,lanci di molotov…Le Brigate Rosse sono il partito d’attacco (definito da Negri, in uno scritto del 1974, come “BrigateRosse dell’attacco operaio e proletario”).A loro spettava il compito di operare una sorta di “terrore rosso” e di “giustizia proletaria” (Cfr.Negri, Partito operaio).Le Br conducono la lotta con attacchi mirati allo Stato-Capitale, attacchi che solo un’organizza-

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zione clandestina e militarizzata può compiere come il rapimento del magistrato Mario Sossi,l’uccisione del procuratore generale Francesco Coco e della sua scorta, l’assassinio dell’onore-vole Aldo Moro.Così la “base rossa” viene utilizzata come vivaio per il reclutamento dei giovani destinati alleBr, ma tutte le azioni di massa: violenza organizzata nelle scuole, nelle università, nei quartierie nelle fabbriche devono essere rigorosamente e totalmente illegali, poiché si devono differen-ziare dalle azioni democratiche di protesta degli altri gruppi.I GAP, guidati da Feltrinelli, appoggiano le Brigate Rosse fino al marzo del 1972, fino a quando ilfondatore stesso non morì “sul traliccio di Segrate” (“Per una storia del terrorismo italiano”, An-gelo Ventura).Questo portò allo scioglimento dei Gap e le Br,a loro volta, furono costrette ad entrare nella piùrigorosa clandestinità.“Finirono così per costituire il gruppo più professionale, specializzato nelle azioni terroristichepiù impegnative che richiedono, appunto, il massimo grado di clandestinità, ma che non avreb-bero alcun senso – secondo la stessa strategia delle Br – se non potessero riferirsi ad una orga-nizzazione parallela che opera a livello di massa” (idem): Autonomia Operaia.

3)La ripresa della “Lotta di massa”Nel 1977 ci fu una ripresa delle manifestazioni di piazza, nelle scuole, nelle università ecc.A numerosi cortei di Roma, Milano, Bologna e Padova prese parte l’ultrasinistra; alcuni nuclei diguerriglieri assaltarono le armerie ed attaccarono le forze armate.Questi nuovi scontri di piazza portarono ad una divisione all’interno del fronte Autonomia – Br,poiché il partito armato “rischia di isolarsi dal movimento complessivo dell’estrema sinistra, an-cora non disponibile alla lotta armata” (idem).Comunque il fronte della lotta armata “si presenta sostanzialmente unito alla soglia della cam-pagna di primavera del 1978” (idem).Con l’assassinio di Aldo Moro, il 9 maggio 1978, Autonomia cessa ogni rapporto e dichiarerà:“ogni ultimo residuo rapporto è caduto” (Rosso, 27 – 28 aprile 1978) con le Br e le definisce “va-riabile impazzita del movimento”.Ma a questa dichiarazione seguirà una decisa intensificazione del “terrorismo diffuso”, attraversole azioni di Prima Linea ed altri gruppi armati.Le Brigate Rosse cercando di recuperare consensi promuoveranno azioni terroristiche verso di-rigenti industriali.All’inizio del 1979 si ha una nuova ripresa del terrorismo diffuso con gli assassinii di Guido Rosso(sindacalista) e Emilio Alessandrini (magistrato), con vari pestaggi squadristi che ricordavanoquelli di Balbo e Farinacci.Il 7 aprile si ha una svolta: l’inchiesta condotta da Pietro Calogero, per prima, fa affiorare i trattiessenziali, la struttura, la strategia, la decennale storia del partito della lotta armata.Inchiesta fondamentale, che permetterà allo Stato di organizzare al meglio la resistenza delloStato stesso contro il terrorismo.

Tuttavia è impensabile cercare di comprendere il fenomeno terroristico italiano studiandolo aldi fuori del contesto internazionale, proprio perché il terrorismo ha “naturalmente” in sé unacomponente internazionale.Punto chiave nelle relazioni internazionali tra il terrorismo “nostrano” e quello di altri paesi ècertamente Giangiacomo Feltrinelli (anche se purtroppo una pubblicistica imprecisa e superfi-ciale ne ha fatto un personaggio velleitario), che grazie alla sua ricchezza, alle capacità comeorganizzatore e come comandante ed al suo prestigio personale lo resero idoneo a ricoprire ilruolo di intermediatore.Ma è anche il primo a capire che (riferito agli avvenimento storici a lui contemporanei) “oggi noiviviamo di già la terza guerra mondiale” la quale “si sviluppa con le tecniche della guerriglia”

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sia nei paesi del terzo mondo sia nei ghetti dei neri negli Stati Uniti, ed è un tipo di guerra chesi doveva ancora intraprendere, a suo parere, nei paesi europei (fonte: Persiste la minaccia diun colpo di stato in Italia, aprile 1968).In un capitolo intitolato “In Italia come in Vietnam”, Feltrinelli delinea anticipatamente quelloche sarà la suddivisione dei compiti adottata da Autonomia Operaia e Brigate Rosse.Feltrinelli espone esplicitamente la sua Strategia globale sul mensile “Voce Comunista”, da luidiretto, nel luglio del 1970 sostenendo che “l’esercito rivoluzionario internazionale del proleta-riato è costituito da un immenso schieramento di forze rivoluzionarie” che comprendono: le“avanguardie strategiche rivoluzionarie” (forze della guerriglia in Asia, Africa e America latina);“il grosso delle forze dell’esercito rivoluzionario” (forze regolari del Vietnam del Nord e dei Viet-cong, Coreane e di Cuba); “la prima riserva strategica” (l’esercito della Cina popolare); “il grossodella riserva strategica rivoluzionaria” (composta “dalla gloriosa Armata Rossa dell’Urss e daglieserciti del Patto di Varsavia con i compiti specifici di deterrente a livello delle nuove armi stra-tegiche nucleari, di arsenale delle forze rivoluzionarie”.Visione per altro non condivisa né da Autonomia né dalle Brigate Rosse che vedevano nell’Impe-rialismo Occidentale e nel Social Imperialismo Sovietico forme di dominio sostanzialmente diversee in contrasto tra loro.Oltre ad una visione alquanto delirante dei rapporti internazionali tra guerriglie organizzate,Feltrinelli vuole, attraverso un’intensa attività editoriale, divulgare anche in Italia e in Europatutte quelle esperienze dei vari movimenti rivoluzionari, nonché le tecniche terroristiche adot-tate dalla guerriglia per arrivare ad una minuziosa descrizione del modo corretto di fabbricaree usare armi e ordigni esplosivi (esempio di pubblicazione risulta la traduzione della rivista “Tri-continental” e il “Piccolo manuale della guerriglia urbana”).Attività tesa sempre ad inculcarenelle masse l’organizzazione di una lotta eversiva armata.All’interno di questo ambito bisogna ricordare anche i vari finanziamenti di Feltrinelli a rivistee movimenti estremistici come “La Sinistra” e “Potere Operaio”.Sul piano internazionale mette in contatto varie organizzazioni eversive, per esempio nel 1968promuove la costituzione della “Centrale di Zurigo”, cui in seguito si sovrappone il Coordina-mento internazionale di cui era magna pars l’Ufficio internazionale di Potere Operaio prima e Au-tonomia dopo, con a capo Negri.Dai rapporti degli inquirenti risultano contatti frequenti tra Feltrinelli e gruppi terroristici tede-schi come la Rote Armee Fraktion di Andreas Baader e Ulrike Meinhof e il Movimento 2 Giugno diMichael “Bommi” Baumann.I fondi per l’organizzazione terroristica erano accreditati tramite il conto conosciuto come “Ro-binson Crusoe”, aperto presso “la banca svizzera italiana” di Lugano.Vari assegni erano versatiin favore di terroristi come Wolfgang Mayer e Gianbattista Lazagna entrambi appartenenti aiGap.Sul piano nazionale fu il primo a spingere per il passaggio alla lotta armata e fu il primo ad eser-citarla.I Gap (Gruppi d’ Azione Partigiana) da lui costituiti e diretti, furono la prima formazione clande-stina di sinistra che compì attentati (aprile – maggio 1970).Dopo la sua morte armi, denaro, retelogistica e militanti vennero ereditati da Autonomia operaia e dalle Br.

Verso un contesto internazionale si volge anche la lotta delle Br e di Autonomia contro “l’impe-rialismo delle multinazionali”, si va così a delineare nell’immaginario dei due gruppi una sortadi “Stato delle Multinazionali” che troviamo citato per la prima volta in “Risoluzione della Dire-zione strategica” (aprile 1975) come “Stato Imperialista delle Multinazionali (SIM)”.Questo concetto di Stato non è altro che una sintesi originale di due elementi differenti: l’im-perialismo concepito come una sorta di sistema globale di dominio e l’idea di “fabbrica diffusa”(il capitale si estende dalla fabbrica alla società) e di conseguenza il Capitale si identifica conlo Stato, diventando, appunto, lo “Stato Imperialista delle Multinazionali”.

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Ma come in ogni movimento, i gruppi terroristici hanno alla base persone che ne supportanol’azione; allora quali sono le motivazioni che spingono un uomo a sostenere questo tipo di lottaviolenta?Tra tutti i personaggi più famosi di quegli anni si può individuare un denominatore comune: il ter-rorismo era in grado di offrire “una difesa contro la complessità ed il peso della vita normale;volevano trovare e già trovavano nel loro microcosmo clandestino una vita diversa meno alie-nata” (da “Il Provinciale” di Giorgio Bocca).Ognibene (membro storico delle Br) disse “bisogno di liberazione […] Liberazione da tutto ciò chegli altri” società, famiglia, scuola “hanno deciso per te”.Aurora Betti scrive così ad una amica: “avevano già preparato i posti in cui avremmo dovuto se-derci nella vita. Io non ci sono stata”.Cercavano un modo per riformare la società, inutile dire che hanno fallito miseramente.

Altri trovarono i loro compiti all’interno dell’organizzazione divertenti e coinvolgenti: così disseLauro Azzolini in un intervista di Bocca “Sai dove andavo spesso a mangiare? Al ristorante di viaFatebenefratelli, vicino alla Questura. Mi sedevo accanto al tavolo di quelli della Digos, avevamoquasi fatto amicizia!”.Ma tra loro c’erano anche professori come il professor Enrico Fenzi, filologo, che si era pentitoe aveva collaborato con la giustizia, ma alla domanda: su cosa l’avesse spinto ad associarsi adAutonomia rispondeva che provava una sorta di ammirazione – attrazione verso la violenza deiduri, dei forti, rozzi operai.

A questo punto diviene spontaneo domandarsi cosa abbiamo imparato, o meglio cosa ci è statoinsegnato da questi avvenimenti?Naturalmente potremmo rispondere che, come bravi scolari che imparano a memoria la lezione,la democrazia è l’unico modello di governo giusto che tutela i diritti di tutti, ma siamo veramentesicuri che questo concetto semplice (ma non banale) sia stato recepito e assimilato corretta-mente da tutti?Nonostante le varie iniziative che ogni anno vengono promosse dagli enti pubblici, la maggiorparte di noi ignora, completamente o in parte, quello che è successo, ignora chi sono le personeche hanno sacrificato la propria vita per difendere la nostra democrazia, ma cosa ancora piùgrave, tutt’oggi non si sa chi sono i responsabili di diversi attentati terroristici come quelli dipiazza Fontana e della stazione ferroviaria di Bologna.Purtroppo non si conoscono, o non si presta attenzione, neanche ai motivi che spingono un gruppodi persone ad aderire ad un movimento terroristico.La non comprensione o l’ignoranza dei fatti porta inevitabilmente a studiare il corso degli eventiin maniera superficiale (nei testi di Storia delle scuole Superiori c’è solo un accenno sugli avve-nimenti degli anni di piombo), determinando così un possibile ripetersi degli errori commessi inpassato.Così siamo ancora testimoni di comportamenti d’intolleranza dettati da idee e posizioni estre-miste, che vogliono imporre la propria visione della realtà senza rispettare le opinioni degli altri.Pertanto abbiamo il dovere di non dimenticare le migliaia di persone che hanno sacrificato la pro-pria vita per fondare e difendere la nostra Repubblica Democratica e soprattutto ricordiamociche la Democrazia non è la forma di governo adottata in tutti gli Stati del mondo ma esistonoancora stati in cui si lotta per ottenerla.

Per questo, la Democrazia è un bene prezioso da tutelare.

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Cognome CAVALLONE

Nome DARIO

Scuola LS “EINSTEIN”, MILANOClasse QUINTA

‘69-‘80 Riflessioni sugli anni dell’odio: Mai più morti per un’idea

Nella storia la vita dell’uomo è sempre stata caratterizzata dalla lotta ideologica e dalle mortiche questa lotta porta. La morte di Socrate, che Platone così magnificamente ci narra nel Fedone,è già una morte ideologica, deriva dalla condanna per la dottrina che Socrate predicava, e for-temente ideologica è la sua scelta di non fuggire di fronte alla condanna.La democrazia, la forma di governo per cui tanto si è lottato in tutti gli stati dell’Occidente,inquanto governo del demos, del popolo, deve garantire a ogni singolo componente del suo stessopopolo la libertà riguardo le idee. Deve garantire che la libertà di professare un’idea non sia maiintaccata da qualsiasi timore in relazione all’idea stessa.Ogni limitazione di questa libertà, ogni morte ideologica costituisce una sconfitta della democra-zia, contro cui si deve combattere e su cui bisogna riflettere per evitarne la ripetizione.Dopo il fascismo l’ideologia dominante in Italia, come spesso accade dopo la fine delle dittature,fu quella di reazione contro la dittatura appena sconfitta e la classe politica si trovò, pur all’in-terno delle sue discordanze, unita; anche per esorcizzare e prevenire il rischio di un nuovo tota-litarismo.La forza di questa tendenza venne però attenuandosi con il tempo, con il conseguente emergeredi conflitti interni al Paese sempre più forti.Divenne allora sempre più manifesta la frattura tra società civile e mondo politico, frattura chesi riscontra anche nella società attuale, in cui però si declina in maniera differente. Fallirono tuttii tentativi della classe politica di risanare questa frattura, e sicuramente a questo fallimentocontribuirono i numerosi scandali in cui gli appartenenti a questa classe erano sempre più spessocoinvolti.In quel periodo, questo distacco provocò paradossalmente un notevole aumento del coinvolgi-mento politico personale e a-partitico, ad esempio in battaglie per i diritti civili.Il movimento operaio del ’68, ad esempio, ebbe un considerevole appoggio dalla classe studen-tesca, con un gran numero di studenti che decisero di manifestare attivamente per questioni so-ciali, evidentemente delusi dall’inoperatività di un certo tipo di classe politica. Studenti eoperai, mossi da motivazioni apparentemente distanti, riuscirono ad unirsi grazie alla lotta aivalori borghesi.Inevitabilmente, il rafforzarsi delle ideologie portò allo scontro tra idee differenti. Scontro la cuiviolenza fu direttamente proporzionale alla forza delle ideologie. E così questo scontro si spostòrapidamente dal piano dialettico a quello del terrorismo e della guerriglia urbana.Certamente, la mancanza di risposte da parte della politica contribuì alla degenerazione di questoscontro. Quando la politica non dà l’impressione di poter cambiare le cose, quando si chiude inse stessa in una maggioranza silenziosa, apre ad altre vie per arrivare ai cambiamenti: vie spessoricche di violenza.Come già aveva analizzato Nicolò Machiavelli nel “Principe”, il popolo spinge al cambiamento:la classe politica di allora si rivelò inadeguata a dare un senso e uno sfogo a questa voglia di cam-biamento.Ill terrorismo si sviluppò in modalità differente a destra e a sinistra, ma in maniera ugualmenteviolenta e condannabile.Il terrorismo di destra, di inspirazione prevalentemente neofascista, uti-lizzava come metodo attentati in luoghi pubblici. Le vittime civili non erano lo scopo di questi

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attentati, ma piuttosto erano un mezzo; mezzo con cui arrivare al vero scopo: la diffusione dellapaura, del terrore, volta a favorire svolte autoritarie.Questi movimenti neofascisti però, pur non perdendo la loro forte connotazione ideologica, fu-rono in un certo senso svuotati della matrice del fascismo stesso, che fu sostituta da un disagiosociale che sempre più spesso non coincideva con un disagio economico. Disagio che spinse questigiovani verso un’attività politica estrema, che appariva come unica possibile fuga a tale disagio.Pier Paolo Pasolini, in uno degli articoli raccolti negli “ Scritti Corsari”, ha scritto: “ il nuovo fa-scismo non si distingue più: il suo fine è l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo.”Questo terrorismo mirava quindi ad una “strategia della tensione”: tutti dovevano sentirsi vul-nerabili e indifesi. La popolazione doveva vivere in un continuo stato di paura, soprattutto neiluoghi pubblici e lavorativi. In questo modo, secondo il piano dei terroristi, sarebbero state le-gittimate forme di reazione estreme quali l’instaurazione di uno stato di polizia.Un terrorismo che aveva quindi già una forte componente mediatica, che sfruttava e tentava diampliare con ogni mezzo l’effetto delle sue azioni,generando quella paura per certi versi irra-zionali a cui ogni meccanismo del terrore mira.Nacquero movimenti come Ordine Nuovo, Ordine Nero, Terza posizione e i NAR ( Nuclei armatirivoluzionari).E’ molto probabilmente da attribuire alla matrice del terrorismo nero la Strage di Piazza Fon-tana, uno dei più gravi attentati terroristici avvenuti in Italia in questo periodo insieme allastrage di Bologna.Alle ore 16 del 12 Dicembre 1969 un ordigno detonò nella Banca Nazionale dell’Agricoltura, aMilano, provocando 17 morti e quasi 90 feriti.L’ordigno viene collocato sotto il tavolo del salone dei clienti, per provocare il massimo numerodi vittime: altro segno della grande premeditazione dell’atto.Lo stesso giorno venne fatto brillare dagli artificieri un altro ordigno a Milano ed esplosero altritre ordigni a Roma, provocando 17 feriti. Nello stesso giorno quindi erano stato programmati cin-que attentati, nelle due principali città italiane. Solo una struttura terroristica fortemente or-ganizzata avrebbe potuto progettare una serie di attacchi così mirati.Complesse e drammatiche saranno le indagini sulla strage: inizialmente viene esplorata la pistaanarchica, successivamente si mirerà verso la matrice neo-fascista. La difficoltà di queste in-dagini fu il sintomo della situazione difficile e complessa dell’epoca, e del campo minato entrocui la magistratura dovette agire.Il più grave attentato mai compiuto in Italia fu però la Strage di Bologna, di cui l’anno scorso siè ricordato tragicamente il trentesimo anniversario.Il 2 agosto 1980, alle 10.25, nella sala di attesa di seconda classe scoppia un ordigno dalla po-tenza devastante. Crolla l’ala sinistra dell’edificio, i morti saranno 85, i feriti oltre 200. A diffe-renza di molte altre stragi, per quella di Bologna esistono dei condannati definitivi, appartenential nucleo di estrema destra del Nar.Come per Piazza Fontana, le indagini furono tormentate, cifurono episodi di depistaggio e molte testimonianze vennero ritrattate: ancora oggi non abbiamoun’ipotesi incontrovertibile sull’origine dell’attentato.Sergio Romano ha scritto, sul Corriere della Sera del 21 giugno 2010 : “In Italia, le Commissionisono generalmente parlamentari, vengono composte con evidenti dosaggi politici e diventanospesso il luogo in cui ogni partito sostiene l’ipotesi che maggiormente coincide con la sua visioneideologica dell’avvenimento o, peggio, che maggiormente conviene ai suoi interessi. Nei casi piùcontroversi sarebbe meglio […] affidare le indagini a un collegio di personalità indipendenti, pos-sibilmente giunte alla fine di una onorata carriera. Credo che gli italiani sarebbero maggiormentedisposti ad accettare le loro conclusioni.”In definitiva, questi due episodi sono emblematici della violenza del periodo, che fu fomentataoltre che dalle grandi stragi dai numerosi scontri urbani, spesso con vittime, che avvenivano inquel periodo.E’ ancora oggi molto difficile tentare di inquadrare il periodo da un punto di vista storico e con-

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testualizzarlo nella storia del nostro paese, proprio per la difficoltà di guardarlo in maniera distac-cata e oggettivaLa paura per i colpi di stato, insieme all’assenza e alla debolezza dello stato stesso, diedero origineal movimento terroristico di sinistra. La lotta armata divenne per alcuni giovani l’unico valore,che andava a sostituire i valori che la società stessa proponeva. In nome di ideologie quali la lottacontro il padrone o contro il capitale, questi movimenti videro nell’uso della violenza il modo piùincisivo per sovvertire l’ordine sociale.Il terrorismo di sinistra si sviluppò parallelamente a quello di destra da un punto di vista crono-logico, ma anteticamente non solo nell’ideologia ma anche nel modus operandi. La formazioneprincipale del terrorismo rosso furono le Brigate Rosse, formate tra il ’70 e il ’73.Queste formazioni evidenziarono da subito la loro distanza da qualsiasi lotta convenzionale: lalotta contro “il sistema” doveva avvenire in maniera radicale e violenta, gli stessi moderati, anchese appartenenti alla medesima fazione politica, erano traditori e nemici. E’ ancora da evidenziarecome la creazione di gruppi votati programmaticamente alla violenza sia stato un sintomo dienorme disagio sociale, di una grande mancanza non di valori ma di possibilità di incanalare po-sitivamente i valori stessi.L’episodio forse più drammatico riguardo le Brigate Rosse e il terrorismo “rosso” fu il rapimentodi Aldo Moro: il 16 marzo 1978 un commando delle Brigate Rosse uccise cinque rappresentantidelle forze dell’ordine e rapì il presidente della DC. Anche in questo caso il rapimento venne ef-fettuato con grande organizzazione e grande disponibilità di mezzi.Fallirono i tentativi di mediazione, e prevalse comunque il “fronte della fermezza, che vedevacome inaccettabile qualsiasi trattativa e concessione ai terroristi.Dopo 55 giorni di prigionia il corpo di Moro venne ritrovato nel pieno centro di Roma. Le indaginisul caso non furono però semplici e anche in questo caso non esiste una versione definitiva chechiarisca gli eventi in ogni loro particolare.Sia le stragi terroristiche che il caso Moro diedero adito a numerose ipotesi. A prescindere dallaloro plausibilità, il gran numero di teorie e di problematiche nel chiarimento dei fatti è un ulterioresegno dell’enorme squilibrio politico dell’epoca, che ancora oggi si ripercuote sulle indagini.Con l’inizio degli anni’80, nonostante qualche residuo episodio, finirono le violenze organizzate,che miravano a delegittimare e demolire l’intera struttura politica italiana. La lotta armata tra-montò definitivamente ed ebbe inizio un processo di analisi complesso e ancora oggi in corso sullecause che portarono a tale lotta.Tra le tante analisi proposte, una delle più discusse e controverse è indubbiamente quella di Er-nesto Galli della Loggia. La sua analisi riconduce l’origine delle violenze ad una matrice storica:secondo Della Loggia infatti “il germe dell’illegalità e di quella sua manifestazione estrema che è laviolenza l’Italia democratica lo porta in certo senso dentro di sé, nella sua storia culturale e dun-que nella sua antropologia accreditata”.Una corrente di pensiero che quindi vede in maniera decisamente negativa l’intera storia d’Italiache dalla sua unità, e nel procedimento stesso che portò a questa unità, porterebbe insita la ten-denza alla violenza e all’illegalità. La violenza, secondo questo pensiero, sarebbe conseguenza lo-gica e necessaria della situazione Italiana da un punto di vista antropologico e culturale: situazioneItaliana che appunto accetterebbe come possibile e talvolta necessario il cambiamento per mezzodella violenza.Condivisibile o no, questo pensiero ci pone davanti a una considerazione di spazio più ampio, chenon si limita a considerare gli anni di piombo, ma attraverso di essi ci permette di effettuare unariflessione che parte dall’unità di’Italia fino ad arrivare alla situazione Italiana. Davvero la nostrapopolazione è differente dalle altre popolazioni europee? Davvero la nostra travagliata unità, dicui si celebra quest’ anno il centocinquantesimo anniversario, ha lasciato una macchia indelebiledi violenza su di noi? Penso che indubbiamente la nostra realtà sia diversa da altre realtà Europee:sulla nostra tendono a far presa molto soventemente spinte violente e rivoluzionarie, quel fascinodi “morire per delle idee” che cantava De Andrè, riprendendo Brassens.

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Ma la cosa peggiore davanti a queste spinte sarebbe rassegnarsi generalizzando e svalutando lanostra nazione e la nostra cultura, non vedendo le accezioni positive che la diversità rispetto alresto d’Europa può assumere. Della Loggia ci invita provocatoriamente a riflettere sul nostro sta-tuto nazionale, sul ruolo che l’unificazione ha avuto e sul futuro della nostra nazione: futuro chedipende inevitabilmente dalla nostra capacità di comprendere le problematiche della storia delnostro paese per superarle in maniera definitva.Le violenze degli anni di Piombo non possono essere analizzate e trattate superficialmente, maanzi devono essere comprese fino in fondo una volta passata l’emergenza e l’incombenza del pe-ricolo, se si vogliono evitare che fenomeni di questo tipo danneggino la nostra nazione, il suo edi conseguenza il nostro futuro.Se però si vogliono comparare le violenze di quel periodo con la situazione odierna, si evidenziasubito una grande differenza: all’epoca la componente politica e in generale la componenteideologica, intesa come ideologia degenerata ma come insieme di valori, era una parte integrantee attiva della vita dei giovani, pur sfociando talvolta in modalità condannabili. Oggi si assiste ingenerale a uno svuotamento di questi valori, sostituti da valori commerciali o semplicementedal vuoto assoluto.Umberto Galimberti ha definito generazione dal pugno chiuso quei giovani che diedero vita al ter-rorismo ideologico, contrapponendola alla generazione X, la generazione vuota di oggi.“Nessun progetto per il futuro, anche perché non ci sono abbastanza opportunità, nessun idealeda realizzare, anche perché non ce ne sono di “abbastanza” coinvolgenti ” scrive Galimberti(L’ospite inquietante, Feltrinelli, Milano 2007).Si è passati dalla situazione di un’ideologia talmente forte da sfociare nella violenza ad una com-pleta assenza di ideologia. Si cade così nell’omologazione del vuoto di idee, che come un circolovizioso blocca i valori sul nascere, spingendo i giovani a non avere valori se vogliono essere ac-cettati nella società, o meglio ad avere solo i valori pre-confezionati che la società stessa forni-sce.Forse allora andrebbe recuperata quella vis, quel vigore che ,ovviamente condannando le formecon cui si manifestò all’epoca, potrebbe contrastare e superare il tedio e la mancanza di moti-vazioni e spinte. Altrimenti si rischia di sprofondare nell’indifferenza, forma di violenza non ma-nifesta ma comunque dannosa per gli altri, in quanto dell’indifferenza generale ne risente lasocietà stessa.

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Cognome FERRARI

Nome ALESSANDRO

Scuola LICEO PARITARIO “LEONE XIII”, MILANOClasse QUINTA

69’- 80’ : RIFLESSIONI SUGLI ANNI DELL’ ODIO- MAI PIÙ GIOVANI UCCISI PER UN’ IDEA

Immagino di dover affrontare il tema degli “ANNI DI PIOMBO” con ragazzi e ragazze più giovanidi me; per esempio della scuola media.Inizierei sicuramente a raccontare dall’episodio più eclatante dal mio punto di vista: l’omicidiodi Luigi Calabresi da parte di esponenti di “lotta continua”, il 17 maggio 1972.Lo definisco “il più eclatante” poiché indubbiamente è stato, insieme alla strage di Piazza Fontanaavvenuta nel Dicembre 1969 e il sequestro Moro nel 1978, uno degli avvenimenti che ha segnatodi più quel periodo.Ad ispirare, inoltre, questo mio interessamento ha avuto un ruolo fondamen-tale il libro intitolato “spingendo la notte più in là” pubblicato dal figlio di Luigi Calabresi: MarioCalabresi.Commissario appunto, ma un uomo come un altro, che dopo aver studiato legge e successiva-mente entrato in polizia, ricevette il suo primo incarico a Milano dove, dal 1968, si occupò di ever-sione.Una lettura, quella del libro di Mario Calabresi, che, nel suo campo, è probabilmente l’unica adare a noi giovani una visione si storica, ma soprattutto umana del commissario Calabresi, dellasua famiglia, e di molta altra gente nelle loro stesse condizioni.Sicuramente, però, se incomincio a parlare di un omicidio, la domanda più ovvia da parte di unragazzino di tredici anni sarà: «Perché fu assassinato Luigi Calabresi?».A questo punto è d’obbligo riprendere il discorso da qualche anno prima, dal 12 Dicembre 1969.Quel giorno ci fu la famosissima strage di Piazza Fontana che fu il culmine della contestazione delsessantotto e che probabilmente diede inizio a quel periodo denominato “GLI ANNI DI PIOMBO”che durò fino al principio degli anni ottanta e che portò con sé migliaia di giovani vittime tra lequali appunto il commissario Luigi Calabresi.In quel periodo si erano formati strati sociali che non da tutti erano visti favorevolmente, l’eco-nomia italiana era cresciuta celermente, l’Italia stava finalmente diventando, anche se con in-discutibile ritardo, una vera e propria nazione.Le contestazioni, che come detto prima avevano avuto inizio nel sessantotto, altro non eranoche proteste studentesche che sfociarono presto nelle lotte dei lavoratori per i rinnovi contrat-tuali.Eppure queste contestazioni che scoppiarono tra il 67 e il 68 da parte degli studenti sono esploseper motivi che devono essere rintracciati a partire dagli anni sessanta: con l’introduzione dellascuola media dell’obbligo estesa fino ai 14 anni applicata dal 1962, infatti, si veniva a formareun nuovo sistema di istruzione a livello di massa che però mostrava gravissime lacune come ca-renze di aule e di libri di testo, mancanza di aggiornamento degli insegnanti e molti altri problemi.In positivo, la nuova legge permise a tutti gli studenti, anche di classi medie,di proseguire gli studi; però questo stesso vantaggio fece si che le università dovessero ospitareun numero esorbitante di studenti rispetto al numero di insegnanti e aule disponibili, rendendomolto difficile l’istruzione e lo studio di tutti i ragazzi iscritti alle facoltà.Dalla strage di Piazza Fontana ne seguirono altre, come la Strage di Gioia Tauro nel 70’, quelladi Peteano a Gorizia nel 72’, quella della questura di Milano nel 73’, le stragi di Piazza dellaLoggia a Brescia e quella sull’espresso Roma-Brennero entrambe nel 74’, la famosa strage di ViaFani a Roma con il rapimento di Aldo Moro nel 78’ e quella della stazione di Bologna nell’ 80’.

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Prima di una lunga serie, la strage di Piazza Fontana, appunto; quella su cui doveva indagare LuigiCalabresi.Ci stava lavorando, il commissario, e proprio durante le indagini accadde un imprevisto che glicambiò la vita, a lui e alla sua famiglia: infatti, in un giorno come un altro di indagini, l’anarchicoGiuseppe Pinelli, interrogato per la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, cadde dalla fi-nestra del suo ufficio.“Quella sera” racconta Mario Calabresi nel suo libro “mio padre rincasò sconvolto”e disse a suamoglie: “Gemma, Pinelli è morto”.Da quel momento incominciò una durissima campagna di stampa contro questo uomo, che neanchesi era accertato essere colpevole; i giornali incominciarono a definirlo “assassino”, a raffigurarlocon suo figlio mentre gli insegnava a decapitare un anarchico con una ghigliottina-giocattolo.Proprio Mario Calabresi ci rende partecipi di una vita, quella della sua famiglia, completamentemutata da quell’episodio: dal nonno che tentava di convincere suo padre a lasciar perdere, afarsi una nuova vita a Roma, a lasciarsi alle spalle i brutti ricordi di Milano fino alla moglie chenon si spiegava perché di punto in bianco non c’era più posta, fino ad accorgersi che proprio suomarito, Luigi Calabresi, la prendeva la mattina di nascosto e leggeva così tutte le lettere di mi-nacce, insulti, diffamazioni, che lui stesso tentava di nascondere alla famiglia per evitarle pre-occupazioni e paure.E così, poco a poco, il terrore crebbe nella famiglia fino a rendersi conto che, quel che tutti spe-ravano non succedesse, sarebbe accaduto presto: racconta sempre Mario Calabresi che, una mat-tina in C.so Vercelli, esattamente una settimana prima dell’omicidio del padre, sua madre siguardò riflessa su una vetrina di una farmacia e, pensando di essere già vedova, scoppiò in lacrimedopo aver tentato invano di calmarsi.Già da tempo sui giornali più estremisti quali “Lotta Continua” si parlava di Luigi Calabresi comenemico pubblico, un uomo che già era stato responsabilizzato dell’assasinio di Pinelli e che, adetta del proletariato avrebbe dovuto pagarla cara.“Gli siamo alle costole ormai, è inutile che si dibatta come un bufalo inferocito” o “Siamo statitroppo teneri con il commissario di P.S. Luigi Calabresi. Egli si permette di continuare a viveretranquillamente, di continuare a fare il suo mestiere di poliziotto, di continuare a perseguitare icompagni.”: questo il modo in cui i rivoluzionari erano soliti aggredire lui e la sua famiglia.Una sera Gemma Calabresi tentò addirittura di invertire una tendenza che vedeva lei e suo maritosempre tombati in casa, proponendogli di andare a Brera o sui Navigli, ma lui: “a Brera io ci an-drei volentieri, ma avrei bisogno della scorta ……”. Quando i due, lui di 32 anni e lei di 23 deci-devano di andare al cinema, la loro vera passione, dovevano entrare in sala solo a spettacoloiniziato, per evitare di essere riconosciuti: avevano ormai perso quelle libertà che noi oggi diamoper scontate.E così, come persino uno dei ragazzini a cui sto parlando può immaginare, il fatidico giorno arrivò:era il 17 maggio 1972 e Luigi Calabresi fu ucciso mentre usciva di casa, con due colpi di arma dafuoco, sparati alle spalle. “Tutto quello che ho raccontato” direi sempre al mio giovane pubblico”si basa sulla mia cultura generale o da testimonianze come quella di Mario Calabresi; tuttaviasono dell’idea che talvolta è giusto anche ascoltare le sensazioni di persone a noi molto vicine,che hanno vissuto direttamente, seppur da giovani, quel periodo, a partire dal 68”. Una di questeè mio padre, che al tempo dei primi movimenti studenteschi aveva all’ incirca vent’anni: spessoho parlato con lui di quella particolare situazione venutasi a creare negli anni 70’ e, riguardo atutto ciò, lui stesso ha definito la sua visione inesatta, perché probabilmente influenzata dalle sueesperienze personali.Innanzi tutto, a suo avviso, nonostante tutte le violenze avvenute in quel periodo, non si respiravaun clima di terrore come io avevo forse giustamente, forse erroneamente, intuito: effettivamentesolo gente che tentava di opporsi al terrorismo o che lavorava per fermarlo come Luigi Calabresi,trascorse anni duri e travagliati. Nell’anno del 68’ molti studenti universitari, soprattutto dellaStatale, cercavano di “arruolare” più ragazzi possibili in modo da convertirli con le loro idee: allo

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stesso tempo si recavano anche nelle fabbriche, dagli operai, con il medesimo intento.Secondo mio padre, inoltre, le idee, soprattutto di uguaglianza sociale, di quel movimento, eranoritenute valide e giuste dai più e, ad un certo punto seguire quegli ideali diventò quasi una moda:chi non li appoggiava era quasi considerato uno studente “fuori dal mondo”, non all’avanguardiacon i tempi che correvano.Quello che però mi ha sconvolto di più dai racconti di mio padre è chea questa “tendenza”, se così la possiamo definire, partecipava anche gente lontana dal proleta-riato e dalla classe operaia come borghesi, gente benestante e persino figli di politici che appar-tenevano alla fazione di destra e quindi, dello schieramento opposto al movimento. Quando poiquesta “moda” si tramutò in terrorismo e lotta armata, sostiene mio padre che ci furono diversidissensi poiché, se fino ad allora la gente apprezzava alcuni ideali, non poteva di certo accettarei metodi violenti del gruppo rivoluzionario.E proprio quella violenza, che vedeva più spesso la gambizzazione piuttosto che l’omicidio di in-dividui, veniva denunciata, a detta di mio padre, da tutti i giornali, di destra e di sinistra ad ec-cezione dei quotidiani rivoluzionari: del resto, anche gli stessi politici di entrambe le fazioni nonaccettavano la situazione, semmai alcuni tentavano di giustificarla.A livello politico, inoltre, quello era un periodo alquanto travagliato: infatti Destra e Sinistrastavano tentando di raggiungere un’intesa che avrebbe definitivamente generato una coalizionepartitica: secondo mio padre proprio il raggiungimento di questo intento grazie al cosiddetto“COMPROMESSO STORICO” fu una delle cause della genesi del movimento rivoluzionario, delquale fece parte gente che si sentiva abbandonata anche dalla sinistra comunista, fino ad alloraesponente dei loro principi.Enrico Berlinguer ebbe un ruolo fondamentale ai fini del patto e coalizione tra destra e sinistrapolitica: lo stesso sosteneva infatti che non poteva governare una delle due fazioni dopo averpreso qualche voto in più dell’altra e quindi, vedeva come unica soluzione un partito “di centro”.In sintesi potremmo dire che Berlinguer chiedeva e offriva una collaborazione, per il bene delpaese, per consentire all’Italia di superare la crisi politica ed economica.A questo proposito fu essenziale anche la volontà di Aldo Moro, allora esponente di DemocraziaCristiana, di aprire un confronto politico con Berlinguer e di superare i tradizionali pregiudizi an-ticomunisti.Questa coalizione, come già detto, non fu esattamente una scelta felice: generò infatti non sol-tanto insoddisfazione e malcontento in parte degli elettori italiani ma anche delusione all’internodel partito.A seguito del compromesso storico del 73’, inoltre, continuarono le stragi un po’ in tutta Italiafino a sfociare nel 77’ nell’omicidio di Aldo Moro, di cui dopo parlerò.Prima, nel 74’, le stragi di Piazza della Loggia a Brescia e quella sull’espresso Roma-Brennero.Il 28 maggio 1974 per l’esattezza, nel centro bresciano viene fatta esplodere una bomba nascostain un portarifiuti durante una manifestazione contro il terrorismo neofascista; otto vittime di cuicinque molto giovani. Sempre nel 74, il 4 agosto, vi fu quella che viene chiamata STRAGE DEL-L’ITALICUS, in provincia di Bologna; la bomba esplose nella vettura 5 dell’espresso Roma-Monacodi Baviera via Brennero.Nell’attentato morirono 12 persone e altre 48 rimasero ferite; giudico questo avvenimento unodei più importanti perché proprio su quel treno ci doveva essere Aldo Moro, che successivamenteverrà ucciso, il quale perse la coincidenza perché dovette firmare delle carte importanti.Proprio il 16 marzo 1978 infatti, durante la strage di Via Fani a Roma, fu rapito : quella mattinal’auto che trasportava lo stesso dalla sua abitazione alla Camera dei deputati fu intercettata ebloccata da terroristi delle Brigate Rosse che, con armi automatiche uccisero due carabinieri abordo del veicolo, tre poliziotti che viaggiavano sull’auto di scorta, e sequestrarono appuntol’allora presidente di Democrazia Cristiana.La domanda di un ragazzo viene, come ci si può immaginare, spontaneamente: «ma perchè furapito proprio Aldo Moro?». Il perché si riallaccia al discorso affrontato precedentemente, ovveroal percorso di avvicinamento tra PCI e Democrazia Cristiana della quale maggiore interprete e

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artefice era stato proprio il presidente di DC. Nell’ottica brigatista infatti, si credeva che il suc-cesso delle loro azioni avrebbe definitivamente sconfitto Democrazia Cristiana e avrebbe posto lebasi del controllo BR della sinistra italiana per una lotta contro il capitalismo. Una volta rapito,Moro fu vittima di una prigionia durata 55 giorni per poi essere ritrovato morto il 9 maggio nel co-fano-bagagli di una Renault.Non si sa esattamente dove venne custodito per quel lungo periodo; alcuni dicono in Via CamilloMontalcini, altri in Via Gradoli, altri ancora, come il fratello della vittima, ritengono fosse statosegregato in una abitazione presso una località marittima.Durante il periodo della sua detenzione Moro scrisse 86 lettere ai principali esponenti di Democra-zia Cristiana, alla famiglia e all’allora Papa Paolo VI, anche se non tutte furono recapitate.Durante la prigionia di Moro, le BR scrissero dei comunicati nei quali spiegavano i motivi del rapi-mento: l’organizzazione propose inoltre di scambiare la vita di Moro con la libertà di alcuni ter-roristi imprigionati, alla fine ne avrebbero accettato anche uno solo .La reazione della politica italiana a questa richiesta fu duplice: da una parte quelli che rifiutavanol’ipotesi di una trattativa, definiti del “FRONTE DELLE FERMEZZA”, dall’altra il “FRONTE POSSIBI-LISTA” nel quale vi era anche Bettino Craxi, che sosteneva la possibilità di un eventuale avvicina-mento ad un accordo con i terroristi. Prevalse il primo orientamento: questa decisione rese Moroinutile agli occhi delle Brigate Rosse e, allo stesso tempo, lo condannò.In conclusione vorrei in primo luogo dire la mia sul periodo affrontato e poi lanciare una provoca-zione a tutti i ragazzi della mia età e più piccoli e, perché no, anche a tutti gli adulti.Secondo me, il periodo denominato “anni di piombo” è uno dei più complessi della storia italiana,non soltanto per la ricchezza di avvenimenti, ma anche per una certa confusione e imprecisioneriguardo agli eventi accaduti: ho potuto constatare, di conseguenza, che nonostante una documen-tazione e interessamento approfonditi, una persona che non ha vissuto direttamente quegli anni,non potrà mai sapere cosa c’è stato dietro, potrà solo intravedere, immaginare.Per quanto riguarda poi la provocazione, ecco, vorrei solo far riflettere tutti e allo stesso tempofar si che la gente si interroghi sul perché ancora oggi questo importantissimo periodo della storiaitaliana sia così poco trattato: con questo intendo non soltanto le poche pagine dedicatogli su unqualunque libro di storia, ma anche il quasi assente dibattito o discussione a scuola o la mancanzadi iniziative come conferenze o concorsi come quello a cui sto partecipando, finalizzate al ricordoe alla conoscenza della nostra nazione e della struttura politica italiana.

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Cognome LOVATO

Nome GUENDALINA

Scuola LICEO PARITARIO “MELZI”, LEGNANO

Classe QUINTA

GLI ANNI DI PIOMBO: UNA CARTA D’IDENTITA’

INTRODUZIONE:In questa esposizione, volutamente breve ed essenziale, ho deciso di evidenziare per lo più i sog-getti particolari che hanno partecipato in modo attivo, positivamente o meno, alle numeroseazioni degli “anni di piombo”. Ho voluto concentrarmi su questo aspetto poiché ho cercato dipensare ad un modo essenziale ma appassionante per introdurre i giovani all’analisi e allo studiodel periodo italiano degli anni ’60, ’70 e ’80. I destinatari ideali di questo lavoro sono studentidella scuola superore di primo grado. Dopo questa esposizione, i ragazzi forse saranno più con-sapevoli del programma di studio, riuscendo ad approcciarsi alla storia recente già con un minimodi conoscenza e anche con la voglia di scoprire più nei particolari i diversi eventi.Parlando degli “anni di piombo” in Italia, ci si riferisce al periodo storico che va dal 1970 aiprimi anni ’80, nei quali i dibattiti politici vennero portati all’estremo, fino a sfociare nelle lottearmate, nel terrorismo e nelle manifestazioni di piazza.

GLI SCHIERAMENTI E I PERSONAGGI:A questi scontri hanno preso parte, oltre a giudici, poliziotti e alle innumerevoli vittime tra cuisi contano molti giovani, anche gruppi politici, i quali si possono dividere in due schieramentiprincipali: i rossi e i neri.

Tra i ROSSI troviamo :1_ il GAP, ossia il “Gruppo di azione Partigiana”Questo fu il primo gruppo clandestino armato, nacque a Milano per volontà e azionedell’ editore Giangiacomo Feltrinelli con il fine di dare vita a un’insurrezione ispirata alla guer-riglia messa in atto da Fidel Castro nei primi anni ‘60.

2_i NAP, cioè i “Nuclei armati proletari”Essi sorgono nella città di Napoli, soprattutto tra i soggetti attivi nella calda questione carcerariadel tempo.

3_le BR, ovvero le “Brigate Rosse”Compaiono per la prima volta a Milano compiendo azioni di propaganda armata negli stabili-menti della Sit Siemens e della Pirelli. Tra i fondatori delle BR, che ha come simbolo la cele-bre stella a cinque punte racchiusa in un cerchio, ci sono esponenti del movimentostudentesco della Università di Trento, ex militanti comunisti e attivisti di gruppi estremisti difabbrica.

4_il PL, acronimo di “Prima linea”Inizialmente questa organizzazione di estrema sinistra punta sulla grande importanza acqui-sita sul territorio, in seguito questa scelta fu modificata al fine di seguire l’azione di terrori-smo e clandestinità. Tra i suoi militanti ritroviamo Marco Donat Cattin, figlio di un importanteesponente della sinistra democristiana. PL firmò una serie di azioni talmente lunga da poterfare quasi concorrenza al terrore delle BR. L’organizzazione venne sgominata grazie alla con-

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fessione di Patrizio Peci, primo pentito nella storia del terrorismo.

5_il PC, ossia “Lotta Continua”Questa fu una delle maggiori formazioni della sinistra extraparlamentare italiana, di orienta-mento comunista rivoluzionario.

CURCIO, fondatore delle BR.Condannato all’ergastolo, oggiimpegnato nel volontariato.

FELTRINELLIEditore di sinistra, tra i primia passare alla clandestinità.Morì nel ‘72 mentre collocavauna bomba su un traliccio.

Mara CAGOL (BR)uccisa dopo uno scontroa fuoco con i Carabinieri.

La fazione dei NERI include invece:

1_i NAR, ossia i “Nuclei armati rivoluzionari”

Il gruppo più importante dell’estrema destra, ritenuto responsabile, in tutto, di ventitre omicidi.Tra i militanti dei NAR troviamo Francesca Mambro, condannata in un secondo momento con Va-lerio “Giusva” Fioravanti per la strage della stazione di Bologna, di cui hanno sempre negato leproprie responsabilità.

2_ Avanguardia Nazionale

Un’organizzazione politica della destra nazional-rivoluzionaria italiana, fondata nel 1960 da Ste-fano Delle Chiaie e disciolta, anche se solo formalmente, nel 1976.

DELLE CHIAIE.Fondatore di Avanguardia Nazionale.E’ attualmente in libertà.

FREDANeonazista, imputato per la stragedi Piazza Fontana, poi assolto.

VENTURAEditore neonazista. Imputato con Fredaper la strage di Piazza Fontana, poi assolto.TUTIArrestato per la strage del trenoItalicus, poi scagionato. Restacomunque in carcere per omicidio.

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BERTOLINel ‘73 lancia una bomba a manodavanti alla questura di Milanodurante la commemorazione dellamorte di Calabresi provocando 4morti. Si dichiara anarchico, mapresto si scopre che in realtà è uninformatore dei servizi segretied ex appartenente all’organizzazioneGladio.

CONCUTELLITerrorista di Ordine Nero.

MERLINOImputato per la strage di Piazza Fontana poi assolto.

BORGHESEEx comandante della X MAS.Tenta un improbabile golpe nel ‘70

Infine altre personalità di rilievo che hanno partecipato agli scontri degli anni di piombo sono:

VALPREDAAnarchico accusato della strage di piazza Fontana.Scontò 8 anni di prigione da innocente.

CALABRESICommissario di Polizia in servizio alla questuradi Milano durante l’interrogatorio di Pinelli,fu additato dalla sinistra come responsabiledella sua morte. Fu ucciso nel 1972; per il suoomicidio sono attualmente in carcere alcuni exdirigenti di Lotta Continua.

MACCHIARINIDirigente industriale. E’ il primosequestrato dalle BR.

SOSSIMagistrato, sequestrato dalle BR verrà rilasciatosenza contropartite.

COSSIGAMinistro dell’Interno durante ilsequestro Moro. Si dimise dopoil ritrovamento del suo cadavere.

ANDREOTTIPresidente del Consigliodurante il sequestro Moro.

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ROSSA

Operaio del PCI, testimoniò contro le BR,

e quali lo ferirono per rappresaglia. Uno

degli esecutori decise invece, autonomamente,

di ucciderlo.

Generale Carlo DALLA CHIESAL’uomo che sconfisse militarmente leBR. Ucciso dalla Mafia siciliana a cui stavaper sferrare i primi colpi decisivi.

LA CRONOLOGIA E I FATTI PIU’ IMPORTANTI:

Gli anni di piombo raccolgono innumerevoli episodi di terrore e orrore, durante i quali uccisioni dimassa, ferimenti e violenza sono stati i drammatici protagonisti. Anno per anno ho riportato alcunidegli avvenimenti più importanti, divenuti famosi non solo in Italia ma anche all’estero.

Il 1969:

9 agosto. Otto attentati scuotono l’Italia e si registrano dodici feriti. E’ l’inizio della strategiadella tensione.12 dicembre . Strage di piazza Fontana.15 dicembre. Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico tra i sospettati della strage di piazza Fontana,muore dopo esser precipitato dal quarto piano della questura dove è interrogato dal commissarioCalabresi. I poliziotti sostengono che, sconvolto dall’interrogatorio, si sia gettato da solo, mentrela sinistra dichiara che sia stato spinto. La verità non è mai stata svelata.

Il 1970:

17 settembre. A Milano, in via Moretto da Brescia una bomba fa esplodere l’autorimessa diGiuseppe Leoni direttore centrale della Sit Siemens; sulla porta è riportata la scritta “BrigateRosse“.1 dicembre. Il divorzio è riconosciuto dallo stato.

Il 1971:

25 gennaio. E’ l’inizio “ufficiale” del terrorismo. La stella rossa a cinque punte fa la sua primacomparsa con il commando di brigatisti che collocano bombe incendiarie sotto ad alcuni autocarri,distruggendone tre sulla pista di Lainate dove la Pirelli prova i suoi pneumatici.4 febbraio. Viene lanciata una bomba contro la folla dopo una manifestazione antifascista a Ca-tanzaro.24 novembre. All’università statale di Milano la polizia interviene contro un corteo non autorizzatocomposto soprattutto da giovani. Settantadue sono i feriti, undici gli arrestati.

Il 1972:

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11 marzo. Gravi incidenti a Milano durante una manifestazione della sinistra extraparlamentare.Vengono lanciate bottiglie molotov contro la sede del Corriere della Sera, giudicato essere ilportavoce dei conservatori.15 marzo. Viene ritrovato il corpo dell’editore Giacomo Feltrinelli, capo e ideologo dei GAP, uc-ciso dall’esplosione di un ordigno, mentre cercava di minare un traliccio dell’alta tensione aSegrate, in provincia di Milano.

Il 1973:

3 gennaio. Gravi scontri con la polizia all’università Bocconi di Milano.7 aprile. Un esponente dell’estrema destra rimane ferito dallo scoppio di un detonatore mentrecerca di posizionare una carica di tritolo sulla tratta ferroviaria Roma-Torino.28 giugno. Rapito dalle BR , il dirigente dell’Alfa Romeo, Michele Marcuzzi.10 dicembre. Rapito dalle BR Ettore Amerio, direttore del personale della Fiat.

Il 1974:

9 maggio. Rivolta nel carcere di Alessandria sedata dall’intervento dei carabinieri. Sette i morti,di cui cinque ostaggi dei detenuti e quattordici i feriti.28 maggio. A Brescia, in piazza della Loggia, durante una manifestazione sindacale, l’esplosionedi un ordigno, provoca la morte di otto persone. La strage, attribuita all’estrema destra, rimarràimpunita.30 maggio. A Pian di Rascino (RI), rimane ucciso un esponente di Avanguardia nazionale in unconflitto a fuoco con i carabinieri che scoprono un campo di addestramento paramilitare del-l’estrema destra.4 agosto. Una bomba esplode nella vettura n.5 del treno Italicus, l’espresso Roma-Monaco, pro-vocando la morte di dodici persone. Mandanti ed esecutori non saranno mai individuati.8 settembre. Il leader delle BR è arrestato a Pinerolo grazie alle informazioni fornite da SilvanoGirotto, “frate Mitra”, infiltrato nelle BR dal Generale Dalla Chiesa, il quale aveva istituito ungruppo speciale antiterroristico.

Il 1975:

2 aprile. Un attentato distrugge l’abitazione di Gaetano Arfè, direttore del quotidiano socialista“Avanti”.

Il 1976:

24 marzo. I giornali danno notizia dell’arresto di Giorgio Semeria, uno dei capi storici delleBR.29 novembre. Cinque esponenti di Prima Linea irrompono nella sede dirigenziale della Fiat a To-rino, incatenano gli impiegati, rubano soldi e scrivono con una bomboletta spray il nome “PrimaLinea”; è la prima comparsa della sigla.

Il 1977:

21 gennaio. Due donne esponenti del NAP evadono dal carcere femminile di Pozzuoli.12 maggio. Un colpo di pistola sparato dalla polizia uccide la diciannovenne Giorgiana Masi du-rante una manifestazione organizzata dai radicali a Roma per festeggiare l’anniversario del re-ferendum sul divorzio.19 maggio. Vengono incendiati, da militanti di Prima Linea, i magazzini della Sit Siemens e della

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Magneti Marelli di Milano.16 novembre. Le BR colpiscono il vicedirettore del giornale La Stampa; è la prima volta che i bri-gatisti sparano ad un giornalista con l’intenzione di ucciderlo.

Il 1978:

16 marzo. Alle ore 9.15, in via Mario Fani a Roma, le BR rapiscono Aldo Moro, presidente di DC.Poche ore dopo Moro avrebbe dovuto partecipare, a Montecitorio, al dibattito sulla fiducia al quartogoverno Andreotti. Nell’agguato vengono uccisi cinque uomini della scorta del rapito. Dopo un’orale BR telefonano all’Ansa e comunicano l’accaduto, contemporaneamente il presidente della Ca-mera Pietro Ingrao sospende la seduta e i comitati Cgil, Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale.18 marzo. Dopo i funerali degli uomini della scorta di Moro, alle ore 12.00 le BR telefonano al quo-tidiano Il Messaggero e indicano una cabina telefonica in cui viene trovato il “Comunicato n.1” conla fotografia del presidente della DC. Le stesse aggiungono che Moro si trova in una “prigione delpopolo” in quanto è responsabile “dei programmi controrivoluzionari della borghesia imperiali-sta”.19 marzo. Papa Paolo VI lancia il primo appello ai rapitori di Moro.21 marzo. Il governo approva il “decreto antiterrorismo”: trent’anni di carcere per i terroristi edergastolo in caso di morte dell’ostaggio; la polizia può fermare, interrogare e ascoltare le telefonatesospette.25 marzo. Le BR fanno trovare il “Comunicato n.2” in cui annunciano di aver cominciato il “pro-cesso popolare” contro Moro.29 marzo. E’ trovato il “Comunicato n.3”: una lettera al ministro degli interni Francesco Cossiga incui Moro accenna alla possibilità di uno scambio e aggiunge: “Sono sotto un dominio pieno e incon-trollato dei terroristi”.30 marzo. La direzione della DC rifiuta qualsiasi trattativa per il rilascio di Moro; comincia la “lineadura”.2 aprile. Papa Paolo VI, durante l’Angelus, rivolge il secondo appello alle BR.4 aprile. Il “Comunicato n.4” delle BR è una copia della lettera di Moro al segretario della DC Be-nigno Zaccagnini: “Moralmente sei tu ad essere al mio posto, dove materialmente sono io”.7 aprile. Il quotidiano Il Giorno pubblica una lettera di Eleonora Moro, la moglie dell’ostaggio, nellaquale la donna si dissocia dalla “linea dura”.10 aprile. Ritrovato il “Comunicato n.5”; è una lettera autografa di Aldo Moro, in cui egli sostienel’ipotesi delle trattative e attacca alcuni esponenti del suo partito.15 aprile. Il “Comunicato n.6” annuncia la fine del “processo popolare” a Moro e ne stabilisce lacondanna a morte.17 aprile. Amnesty International si offre come mediatore tra le BR e il partito di DC.18 aprile. In via Gradoli 94, a Roma, viene scoperto un covo delle BR. Qui è trovato un altro comu-nicato, il n.7, che poi si rivelerà falso, dove viene annunciato che Moro è stato ucciso e il suo corposi trova nel Lago della Duchessa.20 aprile. Alla redazione del giornale Repubblica arriva il vero “Comunicato n.7”: Moro è fotogra-fato con una copia del quotidiano del 19 aprile. Questo è l’ultimatum: “Scambio di prigionieri o louccidiamo”. Lo stesso giorno Moro scrive al DC e lo rimprovera per la sua intransigenza nei confrontidell’avvenimento.21 aprile. Democrazia Cristiana ribadisce la “linea dura” ma la famiglia di Moro chiede di accettarele condizioni delle BR. Altri partiti si dichiarano favorevoli alle trattative.22 aprile. Papa Paolo VI lancia il suo terzo mesaggio: “Io scrivo a voi, uomini delle Brigate rosse...”.Il segretario dell’Onu Waldheim fa lo stesso, rivolge, quindi, il secondo appello alle BR.24 aprile. Il “Comunicato n.8” detta le condizioni per la liberazione di Aldo Moro: la liberazione ditredici brigatisti detenuti.29 aprile. Moro scrive alla DC: “Lo scambio è la sola via d’uscita”.

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30 aprile. Alle 16.30 un brigatista telefona a casa della famiglia Moro: per salvare la vita alrapito serve un intervento immediato.5 maggio. Andreotti ribadisce il “no” alle trattative. Poche ore dopo, nel “Comunicato n.9”, leBR scrivono: “Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo eseguendo la sentenza a cui AldoMoro è stato condannato”.7 maggio. E’ pubblicata l’ ultima lettera di Aldo Moro all’amata moglie: “Cara Norina, ti bacioper l’ultima volta…“.8 maggio. Moro scrive l’ultima lettera alla famiglia.9 maggio. Alle 13.30, in via Caetani, a metà strada tra le sedi del Partito Comunista Italiano edi Democrazia Cristiana, in una Renault 4 rossa, viene trovato il corpo senza vita di Aldo Moro.

Il 1979:

24 gennaio. Viene ucciso il sindacalista della CGIL Guido Rossa, per aver scoperto e denunciatouno dei più importanti fiancheggiatori delle BR.9 marzo. Alcuni terroristi di Prima Linea organizzano, in un bar di Torino, un’azione di rappre-saglia contro la polizia. Nella sparatoria muore un passante, il giovane studente Emanuele Iu-rilli.20 marzo. Viene trovato morto nel suo ufficio il direttore del notiziario OP, spesso utilizzato daiServizi Segreti.11 dicembre. Un gruppo di esponenti del PL si impadronisce dell’istituto scolastico di ammini-strazione aziendale “Valletta”, a Torino. Fra le persone raggruppate dai terroristi nell’Aula Magnadella scuola vengono gambizzati cinque studenti e cinque insegnanti.

Il 1980:

31 gennaio. A Milano la casalinga Anna Maria Minci viene uccisa per errore dai carabinieri.22 febbraio. I NAR uccidono a Roma lo studente Valerio Verbano.12 maggio. Alfredo Albanesi, dirigente della Digos, è ucciso dalle BR a Venezia.27 giugno. Ottantuno persone muoiono in un incidente aereo. Un aeroplano DC9 dell’Itaviaprecipita nei pressi dell’isola di Ustica per motivi ignoti.2 agosto. Muoiono ottantacinque persone per dell’esplosione di un ordigno nella sala d’attesadella stazione di Bologna.12 novembre. Viene ucciso a Milano dalle BR, il direttore del personale dell’azienda Magneti Ma-relli.1 dicembre. Muore il direttore sanitario del carcere di Regina Coeli, Giuseppe Furci, assassinatodalle BR.24 dicembre. Il penitenziario dell’isola sarda Asinara viene chiuso.

Il 1981:27 aprile. Viene rapito dalle BR, Ciro Cirillo; durante il rapimento vengono uccisi il suo autistae il suo agente di scorta.2 giugno. Rapimento del dirigente dell’ Alfa Romeo Sandrucci, liberato poi il 23 luglio.17 dicembre. Il generale americano Lee Dozier è rapito dalle BR a Verona.

UN’ANALISI COMPLESSIVA:Il viaggio nell’Italia di questi anni risulta molto lungo e controverso, caratterizzato solamente dadolore, spargimenti di sangue e uccisioni gratuite. Dopo aver compiuto un’analisi volutamentecosì poco accurata, con una ricerca più approfondita solo per quanto riguarda la questione delrapimento di Aldo Moro, risulta davvero facile mettere in risalto i fattori dominanti dello stragi-

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smo degli anni ’60 e ’70 in Italia. Quello che più emerge e colpisce il lettore di questa breve “cartad’ identità” è il fatto che gli anni di piombo hanno dominato la nostra intera penisola, da Milano,a Roma, a Bologna, a Napoli, ecc. Inoltre le vittime riguardano per lo più il mondo della politica,ma anche quello della società borghese del tempo, detentrice della ricchezza in contrapposizionealla grande povertà, tipica della crisi italiana di quegli anni. Non si possono dimenticare, inoltre, inumerosissimi militari che hanno sacrificato la propria vita in nome di un governo e di uno statoegoista e assetato di potere e ricchezza, i quali però oggi vengono ricordati con grande ammira-zione. È importante evidenziare, inoltre, il fatto che, nonostante il potere fosse in mano a pochi,questi non si presentassero coesi fra loro, ma combattessero contro il popolo, i partiti popolari equelli politici, come nel “caso Moro”, senza rendersi conto che l’Italia si stava sgretolando e dila-niando autonomamente e operando contro il principio di solidarietà e unione per il bene comune.Un altro fattore importante è che i protagonisti degli scontri degli anni di piombo sono davverovari, non solo per la posizione sociale che ricoprivano e per la zona geografica in cui hanno agito,ma anche per il genere e l’età anagrafica: giovani, adulti e anziani. Questo fa capire come le con-dizioni di vita fossero davvero critiche e poco soddisfacenti per tutta la popolazione. A tal riguardoè importante affermare che il popolo ricopre sia una funzione attiva che una passiva negli scontridi questi anni. Nel primo caso per quanto riguarda i numerosi partiti politici e le manifestazioni dipiazza; nel secondo caso, invece, poiché spesso, accanto ai “grandi nomi”, si ritrovano come vittimepersone prive di qualsiasi incarico di rilievo a livello politico o economico come studenti, casalinghe,maestri e anche bambini che, a causa del fato o di un progetto sbagliato delle autorità, non hannoavuto la possibilità di sottrarsi alla morte o al ferimento. Nonostante tutto ciò, però, non bisognagiudicare solo ed esclusivamente in modo negativo la stagione degli anni di piombo e del terrorismoitaliano. Questi ultimi, infatti, se analizzati correttamente e dopo averne preso una completa e og-gettiva consapevolezza, possono risultare come un esempio per la nazione stessa. Questa testimo-nianza, vissuta concretamente dal nostro paese e che ha segnato duramente tutti gli italiani,dovrebbe quindi cercare di limitare la possibilità di un’eventuale ricaduta in situazioni disperatecome quelle degli anni di piombo, anche se, ancora nel presente, si possono trovare i tratti carat-teristici che possono portare ad una nuova ricaduta in esso.Per rendere l’introduzione all’argomento trattato più interessante per i ragazzi, propongo di ricer-care in classe, a gruppi, le diverse caratteristiche comuni agli anni di piombo e alla contempora-neità, al fine di acquisire anche maggiore consapevolezza sull’argomento.

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Cognome MAZZU’

Nome FRANCESCO

Scuola ITI “CONTI”, MILANOClasse QUINTA

Al di là della barricata

Meno di un quarto d’ora alla fine dell’ultima ora di lezione. L’idea di dover fermarsi a scuola altredue ore non lo esaltava, specialmente dopo aver avuto la presa di coscienza di come le avrebbe tra-scorse. Durante le lezioni in classe, tutte le volte che l’attualità eludeva i rigidi allarmi deontolo-gico-professionali dei professori, queste si trasformavano in occasioni, fin troppo appetitose peressere evitate dai golosi idealisti della classe, di dibattito fra diversi schieramenti: agli antipodi percostumi, estrazione sociale, ma principalmente per fede politica, i liceali ribelli e i liceali figli dipapà. I primi seguaci delle poltrone estreme dell’aula parlamentare, i secondi di comoda famigliaborghese, spesso democristiana.A fare da cuscinetto moderatore, una schiera variegata di compagni di classe composta da svogliati,indecisi da che parte stare, o, come lui, semplicemente disinteressati.Questa volta la miccia che innescò la discussione fu l’ennesima manifestazione di un qualche mo-vimento, casinista, forse extrastudentesco; non ne era sicuro, ma doveva essere di sinistra, uno diquelli in cui militano i capelloni con le sciarpe dei palestinesi.<<A mio padre ora toccherà rifare tutte le vetrine! Per non parlare degli obiettivi e delle macchine!Per cosa? A cosa è servito romperle? E le centinaia di persone spaventate a morte?>>. L’espressionedella medio borghesia, Sergio. Suo padre aveva un negozio che vendeva articoli per la fotografia,in cui lavoravano la madre e la sorella di qualche anno più grande, e in cui, a parte sorprese e pos-sibili colpi di testa visto il suo fanatismo per le quattro ruote, sarebbe andato a lavorare anche lui, qualche mese più in là.<< Servono per farci sentire, servono per fare vedere che le cose così non vanno, che l’unica de-mocrazia che ha diritto di esistere è quella del popolo, non quella parassitaria di sfruttatori e cri-minali!>>. Classica Giada, del clan dei liceali ribelli, dai facili sermoni politici, proveniente da unafamiglia comoda e agiata, ma che evidentemente lei non apprezzava troppo, vista la scelta di vitacosì diversa che aveva fatto.<<E come pensi che le altre persone ti possano ascoltare se le spaventi e gli rompi il lavoro di unavita?>><<Perché colpendoli, riportandoli alla realtà, li svegli dalla loro atarassia storica! La società si è fattaabbindolare dalle comodità, stuprare dalla corruzione!>>Risate del cuscinetto alla parola stuprare; tutto il cuscinetto credeva sostanzialmente che Giadaavesse letto qualche manifesto politico di troppo.<< Ma stupra chi? Stupro che cosa? Stupro di che? Ma ti senti,piccola anarchica? Poi, anarchica, par-liamone: hai più soldi tu che tutti noi messi insieme!>> Brusio di consenso del cuscinetto, e anchequalche risata, nascosta. La cosa si faceva interessante, iniziava a seguire la discussione.<< Ma sta’ zitto ignorante! E poi ti chiedi perché è successo quel che è successo alla bottega dei tuoi?Questo è il perché! Sei così cieco che non vedi neanche cosa succede intorno a te! La storia passasotto il tuo culo borghese seduto sulla tua poltrona borghese, nella tua casetta borghese, e tu nonfai niente! Bisogna agire, cambiare le cose, attivarsi!>>Il cuscinetto accusa il colpo, il professore tenta di ristabilire la calma nella sua classe: la parola culoera troppo. <<Io non vedo storia qui, vedo solo un gruppo di esauriti fancazzisti che passa il suotempo a fumare, bere, rompere le cose e picchiare chi si trova in mezzo!>>

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<< Fancazzista lo sarai tu che non fai niente! Passivo!>><< Ma sta’ zitta, ronciosa..>><<Secondo me siete ridicoli entrambi.>> Bum, silenzio interrogativo del cuscinetto. Ecco la crea-zione di una supernova. Un membro del cuscinetto si stacca dal sistema, e diventa parte di unoschieramento indipendente. <<Ah beh, tu si che puoi parlare. Ma dai stai zitto, che a parte caz-zeggiare tutto il giorno non fai altro.>> Giada l’aveva colpito in pieno; in effetti l’ammissione al-l’esame era sempre meno prossima, e sempre più remota, per la seconda volta.<<Dico solo che siete ridicoli forte per quello che dite, e per come vi arrabbiate. Tanto cosa cam-bia? Fra qualche mese, dopo la scuola, ti becchiamo con i vestitini firmati all’università pri-vata!>><<Scommetto che non sai neanche cosa dovrebbe fare un politico, vero?>><<Cosa dovrebbe fare? Beccarsi i soldi, mangiare, ingrassare e incasinare le idee nella nostratesta!>>gran giudice entra in azione:<<Ok, basta così, tutti quanti!>><<Eh beh, hai proprio le idee chiare. Ma si può essere così ignoranti..>> Il professore ci ri-prova:<<Basta ho detto!>><<A chi hai detto ignorante?>>Oramai la situazione era persa,la tranquillità era persa, la lezione era persa; urgeva una punizioneesemplare per recuperarla.<<D’accordo, Leoli e Caputi hanno vinto un approfondimento extra della materia questo pome-riggio con il sottoscritto. E non ridere Meroni, che ci sarai anche tu, cosa credi?>><<E io che c’entro?>><<Hai preso parte anche tu al comizio prima. Quindi, due ore in più a scuola per tutti e tre. Orase avete finito tutti di dire la vostra su qualsiasi cosa che non c’entri con il Fanciullino, gradireiandare avanti.>>

Ecco come si erano ritrovati in quella situazione, due ore dopo. Tempo di mangiare un boccone,e si ripresentò in classe il trio del comizio. Leoli e Sergio si salutarono, Giada entrò sbuffando. Ilprofessore ancora non si vedeva; i due chiacchieravano della Serie A, la ragazza non sbiascicavauna parola. E ciò non era dovuto solo alla mancanza di interesse verso l’argomento di conversa-zione; la sua ostilità verso i due era originata da una presunzione di tipo culturale e sociale, dal-l’arroganza che parlare con loro non avrebbe avuto nessuno effetto. Lei era illuminata, lorodormivano; e, cosa ancora più brutta, non davano alcun segno di volersi svegliare. Gli andavabene così, semplicemente, e lei non li capiva proprio. Dopo una mezzoretta di attesa inutile,Giada sbottò:<<Che palle, io me ne vado!>>Leoli:<<Guarda che se te ne vai, un bel 4 non te lo toglie nessuno.>><<E chissene frega!>><<Massì, lasciala andare, non vedi che ha fretta? Il Che deve fare la rivoluzione!>> Fece Sergioalzando il pugno chiuso e aprendo un ghigno.Giada smorfiò un “buona lezione” e prese l’uscita andandosene, lasciando soli i due.<<Che tipo che è..>> disse Leoli.<<Già, completamente strippata per la politica. E il bello è che non è sempre stata così: avrestidovuto vederla qualche anno fa, quando tu eri in seconda e noi in prima. Irriconoscibile, un’altraragazza. Spesso I genitori la venivano a prendere fuori da scuola in macchina il sabato.>><<E poi che è successo?>><<Poi deve avere scoperto l’esistenza della televisione e del telegiornale e avrà smesso di giocarecon le bambole. Boh, no, seriamente, nessuno lo sa, fatto sta che in poco tempo era irriconosci-bile. Ha iniziato a vestirsi da pezzente.>>Leoli:<<Ma i genitori scusa? Avranno pur notato che la figlia era diversa no?>><<Non ne ho idea.>>Certo, che non ne aveva idea, nella sua famiglia se avesse cominciato a fare il randagio e stare

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a scuola a scaldare il banco, una bella raffica di “farfalle”, come le chiamava suo papà non glieleavrebbe tolte nessuno.Ancora Leoli:<<Tralasciando poi il fatto che non ho ancora capito cosa ci faccia io qui. Per una voltache parlo..>><<E’ proprio questo il punto, infatti. Cosa ti aspettavi, che una come quella lì si facesse dare dellaridicola da uno che quando gli chiedi qualcosa di politica al massimo ti dice per chi vota Altobelli?>>chiese Sergio in un ghigno.<<Mh..>>Silenzio. Leoli:<<Ma quindi tu che ne pensi di tutta sta’ storia? Anni di piombo, terroristi rossi,neri,studenti tossici..>><<Penso che siano dei terroristi e basta, tutti. Buoni solo a spaccare vetrine e incendiare qualchecamionetta dei vigili. E vai a capire il perché. Tu? Tanto oggi oramai ti sei lanciato nel mondo dellapolitica, mi sembra.>><<Io, non lo so. Non capisco neanche perché ci siano manifestazioni.>><<Ah beh, per quello neanche io.>><<No no,non intendo dire che io non capisco le motivazioni che li possano o meno muovere,quelloc’è scritto sui loro volantini; no, io non capisco perché si ostinino a volerlo fare. Tanto l’antifona èuguale da sempre e sempre lo sarà. Chi va in Parlamento o al Governo, si siede e ingrassa, punto.>><<Io invece non capisco proprio perché fanno quello che fanno. Cosa può non andargli bene di comestanno le cose ora come ora?>><<Stanno dall’altra parte della barricata.>><<Cioè?>> <<Cioè dico che se fossi nei loro panni, con i loro pensieri strippati che non vanno d’ac-cordo con la situazione d’oggi, così convinti di poter cambiare le cose facendo casino in giro,pro-babilmente lo farei anche io.>><<Ma cosa può non andarti bene? Tutti hanno tutto oggi!>><<No Sergio, TU hai tutto. Non conosco la famiglia di Giada, ma fidati: esistono famiglie che nonhanno tutto.>> “Come la mia” avrebbe voluto aggiungere. Cadde un silenzioso ronzio di pensieri eriflessioni sui due.Intanto la ribelle camminava, passo veloce. Attraversava Corso Buenos Aires per arrivare fino in Piaz-zale Loreto, dove si sarebbe unita agli altri, dove avrebbe retto uno striscione, in prima linea nellaguerra sociale; una lotta importante, la Lotta, che sicuramente non si sarebbe persa per colpa di unprofessore bigotto che rinchiude i suoi studenti. Con quei due poi, te lo raccomando: un bocciatostupido e ignorante, e un borghesotto che ha il cervello sintonizzato sul fermo immagine di un com-pagno che manifesta rabbiosamente, in atteggiamenti sospetti o durante una qualche malefatta, pro-babilmente vista su qualche giornale di destra.Ad ogni modo, doveva accelerare, era in ritardo. Una volta quel corso lo faceva con i suoi, da pic-colina; prendevano sempre le castagne in centro e poi passeggiata su e giù per il corso dello shop-ping, illuminato a natale. Certo era prima di crescere e diventare una compagna: ora non aveva piùtempo per quelle bambinate, troppe persone da svegliare e un progetto di liberazione della societàtroppo importante per perdere tempo. Poi ora che fumava a passeggiare con i suoi non ci si vedevaproprio.Era in ritardo, doveva accelerare. Chissà quei due, in classe come due scemi a fare lezione extra perdue ore. E chissà cosa deve aver pensato quella mattina Leoli per parlare! Uno del genere pensa dipoterla chiamare ridicola? E dopo il danno, la beffa: sarebbe dovuta anche rimanere con lui a farelezione! Ma senti un po’! No no, mai.Il corso era quasi finito, doveva accelerare..no, ecco ora li vedeva. Ma il clima non era tra i più ri-lassati. C’era già la madama, ed era in assetto anti-sommossa. Doveva riunirsi ai compagni, dovevaessere pronta a fare la sua parte.Ma tempo di finire il corso, e si era già scatenata la rivolta, che, a dire il vero, era come una delletante a cui aveva partecipato: oramai non era più una primina, era quasi diciannovenne, era a suoagio.

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Si mosse con disinvoltura fra i gruppetti di “sciuri” radunatisi fuori dai negozietti per assistere allascena ed evitò con facilità le macchine ed i furgoni parcheggiati“temporaneamente” in seconda fila per scaricare le merci per conto dei vari negozi.

Ecco che una volta finito il corso si trovava nel vortice dello scontro, anche se invece questavolta era differente: questa volta si trovava tra il martello dei suoi compagni e l’incudine degliscudi delle forze d’ordine. Questa volta non vedeva le persone che conosceva manifestare insiemea lei. Non era fra la sua gente, fra i suoi compagni. Questa volta volava qualche pietra di troppo.Questa volta c’erano un po’ troppe persone a terra, con il viso rosso di sangue. Questa volta,qualche cosa si incendiava spesso e volentieri. Questa volta si attaccava. Iniziava a essere pre-occupata; non doveva andare così. Il corteo doveva proseguire senza interruzioni per tutto ilcorso come da volantino, fino alla tana della società borghese e capitalista: San Babila, Duomo,Piazza Affari. Perché non procedevano? Perché si fermavano a fare guerriglia?Uno spintone sbarrò il flusso dei suoi pensieri, e la riportò alla realtà: gente che urlava e pic-chiava, lanciava e rompeva. Un’altra spallata. Perché si fermavano a picchiare e avevano abban-donato la Lotta? Un altro spintone, e questa volta cadde a terra, sbattendo il viso su un cestino,poco più in là, e fu subito buio.

Due ore dopo, Leoli e Sergio erano fuori da scuola, consegnati di nuovo ai loro pomeriggi da ra-gazzi liberi. Si salutarono e presero due cammini differenti; bel ripasso che gli era toccato, pen-sava Sergio. Anche se dopotutto in quinta, un po’ di studio non fa mai male; qualcosa però l’aveva“toccato”. Sicuramente non erano state le due ore in più di Scienze: no, no, doveva essere statoqualcosa d’altro. Fece mente locale e ripensò alla giornata. Il pullman che prende alla mattinaper andare a scuola sempre pieno di lavoratori e studenti, l’entrata a scuola, le prime 3 ore, ildibattito con Giada, l’intervento di Leoli, il pranzo, la chiacchierata con Leoli quelpomeriggio..ecco, la chiacchierata con Leoli il pomeriggio.Quando lui si interrogava su come potevano lamentarsi i vari rivoltosi, aveva affermato che tuttihanno tutto. Ma Leoli ci aveva tenuto a precisare che Lui, aveva tutto.Ripensava alla sua vita, alla sua infanzia, alla sua adolescenza, agli anni presenti. Ripensava allasua famiglia: una mamma e un papà che vanno d’accordo, una sorella più grande che lo coprivaquando ne combinava qualcuna delle sue, un’attività, quella del negozio di fotografia, oramai benavviata e che procedeva bene. Una bella casa, una macchina. Ma cosa, di tutto questo, aveva maimesso in discussione ogni qualvolta ci pensava? No Sergio, Tu hai tutto. Come sarebbe stato seavesse avuto problemi economici, o i suoi fossero dipendenti mal retribuiti di qualche azienda,oppure se litigassero tutto il giorno? Lui aveva sempre vissuto nella sua agiata situazione, e rin-graziava il destino per quello. Per questo difendeva il sistema che gli aveva permesso tale vita:dalla sua politica, alle sue ideologie. Ma se, come aveva detto Leoli, fosse stato dall’altra partedella barricata, cosa avrebbe fatto? Avrebbe lottato per cambiare le sue condizioni? Alla fine,nonera forse un impulso universale quello di migliorare le proprie condizioni?Continuava a non capire il loro comportamento pan-rabbioso verso il mondo, certo, ma in cuorsuo sapeva che si sarebbe comportato esattamente come loro.

Intanto la luce era tornata in sala per Giada. Una coppia di anziani l’aveva soccorsa durante gliscontri fra manifestanti e polizia. Il colpo preso in faccia non sembrava nulla di che, probabil-mente era svenuta per lo spavento, più che per la durezza della botta; tranquillizzò i due pre-murosi “sciuri” promettendogli che sarebbe passata all’ospedale per un controllo, poi si mise inpiedi e si diresse verso casa.Che grande spavento, e che confusione nella testa della giovane ragazza. I suoi compagni nonl’avevano riconosciuta; l’avevano strattonata e gettata a terra, non ci poteva credere. Ma più cheper i colpi rifilati a lei, Giada era scioccata per come i compagni avevano trattato la Lotta. Pos-sibile che avessero preferito fermarsi in piazza e fare guerriglia contro la Polizia piuttosto che farsisentire dal resto della città? Non sapeva più che ne sarebbe stato dei suoi ideali, del suo senso di

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appartenenza a qualcosa di grande, a qualcosa che avrebbe dovuto cambiare le cose: non era il suoideale quello della violenza; non apparteneva lei a qualcosa di irrazionale e, soprattutto, non erain questo senso che le cose sarebbero dovute cambiare.Fra le tante incertezze, di una cosa era certa: non erano più i suoi compagni. E non era sicuramentepiù la sua lotta: per lo meno non in quel modo.Le riflessioni l’accompagnarono silenziosamente fino a casa.

La notizia la si era sentita in giro: in televisione, sui giornali, era sulla bocca di tutti. Un atto spie-tato, l’ennesimo, a sangue freddo, su chi sarebbe impossibile da toccare e dovrebbe proteggerci.L’8 Gennaio 1980, le Brigate Rosse avevano freddato a colpi di arma automatica i tre poliziotti San-toro, Cestari e Tatulli, fra cui, l’ultimo, appena venticinquenne.A sole poche settimane dalla manifestazione in Piazzale Loreto, Giada risultava essere radicalmentecambiata. Studiava, passava più tempo in casa e aveva riallacciato i rapporti con i suoi. Certo, nonerano ancora dei migliori, ma c’era la speranza che ritornassero ad esserlo, presto o tardi. L’8 gen-naio lei ringraziava di essersi svegliata in tempo: ora riusciva ad analizzare quello che aveva sottogli occhi senza limitazioni, e senza essere accecata o fuorviata da nulla.Sergio visse con disincantata amarezza quello che successe. Dopo lo scambio di opinione con Leoli,aveva rivalutato il compagno di classe. Ma aveva rivalutato soprattutto la sua compagna di classeribelle Giada, con la quale i rapporti sembravano essere migliorati. Ora capiva che lei non avevaletto troppi manifesti politici ma si trovava semplicemente “dall’altra parte della barricata”, e chequando la gente si trova dall’altra parte della barricata rispetto a te, questa compie delle azioniche ti risulteranno incomprensibili, ma che compie nel tentativo di migliorare la propria situazione,e che resteranno incomprese fintanto che non si sfida il filo spinato sopra la barricata e ci si spingeper un attimo al di là, per vedere come si sta. Bisogna essere aperti e pronti a immedesimarci nel-l’altro per poter capire, ora lo sapeva.Come ora Giada sapeva che non è il terrore nelle strade il mezzo per svegliare le persone dal lorosonno, ma lo sono gli strenui sforzi, la volontà e l’esempio. Ed è indubbio, che l’esempio di cui par-lava non era costituito sicuramente da una manifestazione di violenza.E così eccoli, i due, al di là delle rispettive barricate. L’11 Gennaio, Giada e Sergio, insieme ad altricentinaia di studenti, erano usciti dalle loro trincee e avevano superato le loro barricate. Tutti in-sieme erano ad assistere ai funerali dei tre poliziotti, morti ammazzati da un processo violento dicui loro non volevano fare parte. Vicini alle famiglie dei tre caduti, marciavano affianco dei perso-naggi di stato venuti al funerale. Erano centinaia di speranze che seguivano il corteo,insieme, im-portanti. Importanti non per una bandiera, uno stendardo, o per l’importanza conferitagli daqualche potere materiale, ma per la sola, unica, immensa importanza di essere il futuro.

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Cognome SINNO

Nome ENRICO

Scuola IIS CALVINO, ROZZANO

Classe QUINTA

‘69-‘80 RIFLESSIONI SUGLI ANNI DELL’ODIO

Si può morire di politica? Come se questa fosse una malattia, come se le ideologie che la guidano nonfossero altro che un morbo di cui aver paura, come un cancro invisibile che ti paralizza per il terroreo una malformazione che nessuno vorrebbe mostrare.La risposta risiede in quel periodo che va dal 1969 al 1980 e che prende il nome, in Italia, di “Annidell’Odio” o anche, il più conosciuto di “Anni di Piombo” dall’omonimo film di Margarethe Von Trottauscito nel 1981.Uno dei momenti più bui per la democrazia italiana, quando l’astio e il risentimento tra gruppi politicie rispettivi pensieri e filosofie presero il sopravvento.E’ incredibile pensare che uomini politici, giornalisti, intellettuali e soprattutto giovani persero la vitaper le proprie idee, per un qualcosa di astratto, intangibile, che nessuno ha mai potuto vedere o toc-care, ma che dall’alba dell’esistenza umana ha influenzato l’uomo sia come individuo, sia comemembro di una comunità, divenendo così un fatto concreto realmente incidente sulla vita di tutti,trasformandosi in forme di governo, leggi, diritti, ma spesso anche in sangue, violenza e odio.Fu proprio l’odio il sentimento predominante di quel decennio e il piombo caldo uscente da pistolefumanti la sua manifestazione.Una vera e propria sconfitta della civiltà e dell’umanità e della loro rappresentazione, ovvero la de-mocrazia, che fu umiliata, ferita a colpi di manganello, “gambizzata” e i proiettili nelle sue gambela resero inerte, la fecero barcollare col rischio che, una volta caduta, non fosse stata in grado di rial-zarsi per lungo tempo.Dialogo e confronto furono annichiliti e condannati a un regresso barbaro e violento, molte personefurono uccise per il loro modo di vedere la società, ma non per abbattere l’individuo in sé, ma an-nientare l’idea di cui era immagine.Basta pensare all’assassinio di Robert F. Kennedy o di Martin Luther King, uccisi per una visone rivo-luzionaria della vita guidata da pace ed uguaglianza, che volevano trasmettere e condividere conaltri, ma questo a qualcuno non stava bene e nel ‘69 furono eliminati, colpevoli solamente di averemanifestato il loro pensiero e le loro idee.Questo atteggiamento non è proprio della civiltà, non è proprio dell’uomo, ma più attinente alla “so-cietà” animale, dove il dialogo non è contemplato e lascia il posto alla brutalità e alla violenza.“L’uomo è l’unico animale che abbia la parola”, scriveva il filosofo greco Aristotele, ed è quindil’unico a poter avere un dialogo e a poter confrontarsi pacificamente coi suoi simili.Come si arrivò, quindi, alla violenza e all’odio verso un “nemico” di pensiero?Sicuramente alla base di questa intolleranza ci fu un fanatismo ideologico, una religione delle ideeche non ne ammetteva altre, un’intransigenza verso il dialogo e il confronto che non poté che portarealla violenza e al terrorismo.Terrorismo rosso e terrorismo nero furono i due grandi blocchi che, con convinzioni politiche diverse,inquegli anni, si schierarono contro lo Stato in una vera e propria guerriglia urbana, accantonando leparole e i confronti, decisero di scendere in campo con manganelli, pistole, piazzando ordigni esplo-sivi o lanciando “sampietrini” per abbattere un nemico, un traditore e una Repubblica non più ingrado di rappresentarli.Le forti convinzioni rosse, guidate da ideologie marxiste-leniniste, lotta al capitalismo e alla borghe-

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sia, e aventi come riferimento le figure di grandi rivoluzionari come Mao Tse-Tung ed Ernesto ”Che”Guevara, si sentirono traditi dal Partito Comunista Italiano capeggiato da Enrico Berlinguer, troppomoderato e , per loro, sleale e insieme alle prese di posizione del terrorismo nero dei nostalgicidella Repubblica di Salò e del fascismo instaurarono una vera e propria “dittatura della violenza”,che come tale non poté che mostrarsi attraverso l’intolleranza, la brutalità nei confronti dell’av-versario politico e la mancanza di libertà di espressione.Tale “regime” ha il suo inizio con i 16 morti e 87 feriti del 12 dicembre 1969 a causa della triste-mente nota strage di Piazza Fontana, durante la quale un gruppo di terroristi, dei quali non si co-nosce ancora oggi il nome con sicurezza, piazzò un ordigno nella Banca Nazionale dell’Agricolturaa Milano.Questo episodio sancisce convenzionalmente l’inizio degli Anni dell’Odio e il lungo periodo di in-stabilità della democrazia italiana, che dovette affrontare una situazione difficilissima resa ancorpiù complicata dalla giovinezza di una Repubblica nata solamente vent’anni prima.Il primo periodo degli “Anni di Piombo” fu caratterizzato dalle stragi, per lo più organizzate dai ter-roristi neri e da nuclei neofascisti che misero in atto la cosiddetta “strategia della tensione”, chemirava a creare un clima di forte tensione politica, con stragi e attentati, in modo da rendere piùagevole un eventuale colpo di Stato per una decisiva svolta autoritaria in Italia.E’ di esempio il golpe del 1970, quando dopo l’ordine del principe Junio Valerio Borghese, seguacedelle ideologie neofasciste, un commando si introdusse nel Ministero degli Interni a Roma e il centrodi produzione RAI fu occupato, un vero è proprio colpo di stato che fu fermato proprio da un nuovocomando del principe.Ancora oggi non si è a conoscenza del perché di tale ordine, si è ipotizzato addirittura di possibiliinfiltrazioni dei servizi segreti italiani e la vicenda lascia dietro di sé, tutt’oggi, numerose domandesenza risposta.Certo è che Piazza Fontana fu il primo ingranaggio della macchina della “strategia della tensione”ad essere messo in moto; era necessario, per i terroristi, arrivare ad una radicalizzazione delloscontro contro lo Stato e questo generò un forte impatto sull’opinione pubblica, colpita dai nume-rosi morti e le altrettante braccia mozzate dalle schegge del 12 dicembre, e ad una crisi sociale edelle istituzioni.Piazza Fontana portò con sé grandi dibatti e incongruenze riguardo lo svolgersi dei fatti, a livellomediatico e processuale.La verità di Stato e la sua trasparenza verso i cittadini furono messe in discussione, fu difficile in-dividuare i veri colpevoli dell’attentato e gli scandali riguardo le procedure della Questura di Milanoe le informazioni che arrivavano ai cittadini crearono un clima di forti dubbi e di sfiducia.Tanto che fu pubblicato, in forma anonima, “La Strage di Stato”, libro di controinformazione chemirava a far luce sugli avvenimenti di Milano e su altri attentati e morti misteriose.A quella Piazza Fontana seguirono altre stragi, se ne contava circa una ogni tre giorni nei prima anni‘70, fu fatta esplodere, per esempio, una bomba durante un comizio a Brescia, in piazza della Log-gia, provocando 8 morti nel 1974 e nell’agosto dello stesso anno fecero saltare in aria, in una pro-vincia di Bologna, il treno Italicus provocando ben 12 morti e 48 feriti.Furono molte altre le stragi che si susseguirono una dietro l’altra, tante quante i funerali di semplicicittadini innocenti.La tensione, come voleva la loro strategia, salì alle stelle e la vita sociale e le istituzioni iniziaronoa barcollare.Insomma la violenza dilagava così come la paura, sia all’interno della classe politica, sia all’internodella popolazione e al fianco del terrorismo nero si affiancò quello rosso di estrema sinistra, cheevitò le grandi stragi e preferì rapimenti, omicidi e “gambizzazioni”, ovvero un particolare atto cri-minale durante il quale i terroristi sparavano alle gambe delle vittime inconsapevoli, per terroriz-zarle e dare un significativo avvertimento a persone con ideologie affini.Furono sottoposti alla “gambizzazione” personaggi di grande rilievo come ad esempio il giornalistaIndro Montanelli, che pagò in questo modo il peso della sua espressione di pensiero, si dichiarò

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apertamente contrario ai nuovi movimenti terroristici in Italia affermando per esempio, in un’inter-vista, che “...quelli che si chiamano rivoluzionari, non sono altro in realtà che disertori.”Uno dei gruppi terroristici più importanti, affini alle ideologie di estrema sinistra, furono le BrigateRosse che si resero protagoniste di atti spregiudicati e numerosi attacchi al “cuore dello Stato” chele resero tristemente note.Come nel 1978, quando, in nome della “giustizia proletaria” rapirono il leader della Democrazia Cri-stiana Aldo Moro, che insieme al Presidente del Consiglio Andreotti e Enrico Berlinguer , aveva resopossibile un “compromesso storico” tra i partiti italiani e una solidarietà nazionale per affrontare ilgrave momento di crisi delle istituzioni in nome di una alternativa democratica.Moro fu trattenuto dalle Brigate Rosse per ben 55 giorni e sottoposto a un “processo popolare” , nelquale i brigatisti, autoproclamandosi giudici, lo condannarono a morte e, dopo l’assassinio, lo feceroritrovare in una Renault 4 rossa in Via Caetani a Roma.Questo episodio mise in evidenza l’incapacità di poter avere un confronto tra le varie realtà politicheformatesi e neanche le numerose lettere di Moro a Cossiga o al Santo Padre e ad altri membri delParlamento bastarono a salvargli la vita.Ci fu un abbandono da parte della politica italiana e il leader della DC fu lasciato solo difronte alsuo destino da una classe dirigente che voleva mantenere la propria fermezza e non scendere a patticon terroristi spietati e violenti, neanche un’azione umanitaria, proposta dal Partito Socialista Ita-liano di Bettino Craxi, servì a salvarlo.Stragi, assassinii e scontri si susseguirono ripetutamente e nel 1980 si contarono 125 deceduti e 236feriti ( Fonte: a cura di M. Galleni, “Rapporto sul Terrorismo”, Milano 1987),l’‘80 fu l’anno chesegnò il declino di attentati terroristici e una stagione di morte non poteva che chiudersi con altrospargimento di sangue quando, con la strage di Bologna, nella sala d’aspetto di una stazione, un or-digno esplose mietendo 85 vittime.Da quel momento ci fu una fase di declino e gli atti di violenza diminuirono, anche se l’ultimo at-tentato risale al 2002 quando, le Brigate Rosse uccisero il professor Marco Biagi, consulente del la-voro del ministero del Welfare, ritenuto dalle BR uno dei simboli dello “sfruttamento del lavorosalariato”.Gli “Anni dell’Odio” lasciano quindi ,anche nel passato più recente, le loro tracce, la loro atmosferainquieta, dove forti ideali politici vengono nascosti dietro il velo insanguinato della violenza e nonc’è spazio per la comprensione, ma solo per un insensato odio verso il “nemico”.E l’odio genera odio, e la violenza genera violenza creando un circolo destinato, però a rallentare ein seguito fermarsi, quando i “grandi ideali” sfumano nel tempo e perdono vigore lasciando dietrodi sé le traccie di gravi errori e forti rimorsi.Non si può pensare che gli “Anni dell’Odio” siano un fenomeno improvviso, infatti sono il frutto diepisodi precedenti, nei quali forti ideologie ebbero il tempo di maturare, e temprarsi in modo ade-guato.Fu nel 1968, infatti, che grandi dimostrazioni pubbliche e le numerose manifestazioni raggiunseroil loro apice e fu in quell’anno che i giovani acquistarono una loro importanza, mostrarono come lorofossero parte integrante dello Stato conquistandosi un proprio spazio nella società di massa e inizia-rono a farsi sentire, a uscire allo scoperto.Gli “Anni di Piombo” sono stati un prodotto dei sessantottini e dei movimenti studenteschi che ini-ziarono in America con l’occupazione dell’Università californiana di Berkeley dove il “Black Power”,il femminismo, l’anticonformismo e la lotta al consumismo borghese esplosero con tutta la potenzache una giovane generazione può avere.Dalla California il movimento contagiò i paesi europei, arrivando anche in Italia, dove la contesta-zione studentesca invase aree sociali diverse, e assunse un modello di protesta più profondo ecompleto, dato che inglobò altri movimenti rivoluzionari come quello operaio provocando la scin-tilla che causò, usando le parole de “L’Avanti!”, il conosciuto “autunno caldo” nel ‘69, quando ini-ziarono ad esserci i primi scontri tra manifestanti e polizia, che si risolsero con la vittoria operaiae studentesca.

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Furono infatti accolte tutte le richieste dei sindacati e la scuola subì alcune riforme.Il clima era piuttosto ardente e ben presto gli scontri aumentarono e nel marzo 1968 ci fu il primovero scontro tra Stato e studenti, una vera e propria guerriglia urbana, passata alla storia come la“battaglia di Valle Giulia”, quando degli studenti romani che volevano occupare la facoltà di archi-tettura della Sapienza a Roma reagirono violentemente alle cariche della Polizia che tentava diostacolarli.Lo scrittore Pier Paolo Pasolini, conosciuto e amato dai giovani di quel periodo dei quali condividevamolte idee, in quell’occasione non mascherò i propri pensieri e sentimenti, arrivando a scrivere lapoesia “Vi odio, cari studenti”, che non riconosceva come giusta una lotta tra classi, tra Polizia estudenti che avrebbero dovuto, parafrasando i versi del poeta, dare agli avversari dei fiori, piuttostoche usare la violenza.La tensione che caratterizzò gli “Anni di Piombo” si faceva, quindi, già sentire prima di Piazza Fon-tana e all’origine di questi anni, si può dire, c’è la nascita della “classe giovanile” e delle sua irri-verente manifestazione che con prepotenza investì le istituzioni e le leggi.Una prepotenza che voleva cambiare radicalmente la società del tempo, una prepotenza propriadei giovani che non vollero fermarsi difronte a nulla e tanto meno difronte alle repressioni, spessoviolente, della polizia, una prepotenza che confluì negli “Anni dell’Odio”, perdendo però il suosmalto realmente ideologico, adatto al dialogo, al trasmettere messaggi profondi e importanti, ce-dendo, invece, il passo alla mera violenza.I giovani da quel momento in poi hanno sempre portato sulle spalle il peso delle grandi ideologie edelle grandi utopie, e i giorni d’oggi ne sono la dimostrazione più evidente.Basta pensare agli ultimi mesi in Italia e alla tanto contestata Riforma Universitaria del Ministro del-l’Istruzione Mariastella Gelmini e alle migliaia di studenti, appoggiati anche dai loro professori, che,come nel ‘68, hanno manifestato per giorni nelle grandi città italiane, che hanno occupato le mag-giori università o sono saliti sui tetti per difendere una propria visione della realtà, provando a di-fenderla ad ogni costo.

Oppure, con un orizzonte più ampio si può pensare ad una situazione di maggior rilievo internazio-nale, come la sanguinosa rivolta del medio-oriente, dove si stima giovani, tra i 16 e i 35 anni, sonoscesi nelle piazze delle capitali di Tunisia, Egitto, Libia, Algeria, Yemen e Siria disposti a perdere lavita per un’idea, per un’alternativa ai totalitarismi vigenti nei loro Stati, per la libertà.Ancora una volta dalla storia non si è appreso nulla, ancora una volta le ideologie sono state soffocatenel sangue, prima fra tutte In Libia, dove il colonnello Gheddafi non ha avuto ripensamenti su comeaffrontare la rivoluzione, e ha bombardato le sue stesse città, il suo stesso popolo, evitando così,nuovamente, il dialogo e il confronto che avrebbero potuto salvare tante vite umane.

Questi giorni devono essere un forte monito, le idee non devono essere necessariamente insangui-nate.Non si deve morire di politica, non deve essere necessario rischiare la vita per il proprio modo di pen-sare , gli “Anni dell’Odio” servono a ricordarci questo e non possono essere dimenticati, poiché“Tutti coloro che dimenticano il passato sono condannati a riviverlo”(Primo Levi, “Se Questo è unUomo”).

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Cognome TRAPANINome LUCIAScuola IIS “BESTA”, MILANOClasse QUINTA

Immaginate per qualche secondo di essere un cliente della Banca Nazionale dell’Agricoltura di PiazzaFontana a Milano. È il 12 Dicembre del 1969, sono circa le 16:00 del pomeriggio e vi recate come diconsueto all’edificio per portare a termine alcune commissioni. Vi soffermate qualche secondo all’in-gresso della banca per una sigaretta ed entrate accolti dal familiare brusio della gente in attesa; pren-dete il vostro numero alla macchinetta e, sbuffando per la lentezza con cui si svolgono semplici pratichedi ordinaria amministrazione, vi accomodate salutando qualche conoscente e chiacchierando per am-mortizzare l’attesa. Il tempo scorre. Sono circa le 16:15 ed improvvisamente l’allegro vociare delle per-sone viene interrotto da un boato assordante. Dopo che avete perso conoscenza per qualche minutolo spettacolo che vi si presenta dinnanzi al risveglio è terrificante: la banca è saltata in aria. Intorno avoi ci sono morti, feriti, volontari della croce rossa, pompieri e poliziotti; qualcuno vi solleva e vi accom-pagna all’ambulanza. Forse per miracolo,vi reggete sulle vostre gambe e attoniti, increduli esbigottiti,camminate con lo sguardo incollato sulle macerie. Solo alla sera sareste venuti a conoscenzadel fatto che non poteva trattarsi di un incidente; pochi minuti dopo quello di Piazza Fontana un altroattentato aveva colpito Roma. Un terribile disegno inizia a delinearsi nella vostra mente come in quelladi tutti: ora è il tempo delle domande; “chi è stato?” “perché?”. Con questi interrogativi si apre il decenniodenominato degli “anni di piombo”; caratterizzato da guerriglia urbana d’ascendenza rivoluzionaria.La popolazione fu attanagliata da un forte sentimento di inquietudine e di paura. Calò l’oblio sul cielotricolore: lo scontro ebbe inizio. Destra contro sinistra, omicidi, manifestazioni di piazza, leggi specialiper contenere l’emergenza terroristica; e come dimenticare altre stragi come quella di Piazza dellaLoggia a Brescia il 28 Maggio del 1974, a cui seguì quella dell’espresso Italicus durante la corsa Roma- Brennero e infine il 2 Agosto del 1980 la bomba piazzata alla stazione di Bologna. Già come si puòdimenticare? Sarebbe più facile ricordare senza cercare un’interpretazione, una chiave di lettura cherenda comprensibile quanto è accaduto. È necessario invece calarsi nell’atmosfera dell’epoca, ripro-vare sulla propria pelle quel terrore che crebbe alla follia proporzionalmente al crescente terrorismo chedilagava in ogni dove. Ci sono luoghi, persone e fatti che vale la pena ricordare con coscienza di sé euna nota di amarezza. A tal proposito è significativo il rapimento del presidente del partito della Demo-crazia Cristiana Aldo Moro del 1978, eseguito da parte del commando brigatista e che, dopo un’ago-nizzante tratta di cinquantacinque giorni con lo Stato per liberare alcuni compagni reclusi, si conclusecon un efferato omicidio. Giusto? Sbagliato? L’eterna dialettica politica qui tace. Davanti alla morte diqualcuno non vi è giustificazione che regga lo sguardo della dura verità che amara, rovente ed impe-tuosa smuove le nostre coscienze rendendoci piccoli, più di un granello di sabbia, più sottili dello spes-sore di un capello. Un’idea non uccide, l’uomo sì, ma è giusto che un uomo uccida per un’idea? Larisposta non è, ahinoi, sempre stata la stessa. Alcuni italiani, alcuni uomini, hanno ucciso a tale scopo;e non parliamo di secoli fa per cui nell’immaginario collettivo tale pensiero si esaurirebbe con l’imma-gine di un guerriero con la smania di successo che ferisce a morte i civili sferrando colpi di spada allavelocità con cui si scandiscono i secondi. No, non si tratta di nulla di tutto ciò, l’ombra delle vicendedegli anni di piombo è molto più vicina, non è ancora tramontata sulla carta stampata di qualche librodi scuola. È viva, è una questione ancora aperta sotto molti punti di vista tra cui quello delle respon-sabilità.È un contenzioso secolare quello tra la destra e la sinistra italiana che inevitabilmente sfociò nella so-cietà causando malcontento ed insofferenza tra la popolazione. È interessante capire quali furono leragioni sociali che hanno realizzato il fatto; per farlo mi sono rivolta ad un Alto ufficiale dei carabinieriin pensione specializzato in rapporti politici, a cui ho rivolto alcune domande.D:<< Ufficiale quali furono i mutamenti che si verificarono a livello sociale alla vigilia degli

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anni del terrore? >>R: << Il decennio di piombo affonda le sue radici nel 1968, anno in cui si consumarono forti agitazionida parte del movimento studentesco, soprattutto in Francia, dove durante il cosiddetto “Maggio fran-cese” vi furono duri scontri contro il Governo, che si risolsero con una Riforma della scuola. A questofenomeno si agganciarono le proteste giovanili italiane, che presero il nome di contestazione. Inizial-mente insorsero contro il potere dei professori nelle università, ma le proteste ben presto confluironoal “sistema”, ossia allo Stato che l’università rappresentava e si concretizzarono duramente neldramma di Piazza Fontana del 1969 ad opera di un gruppo extraparlamentare di estrema destra chia-mato Ordine Nuovo. >>D: << Quali furono le ragioni sociali di tutto ciò? >>R: << La parte studentesca sicuramente non si sentiva a proprio agio, ma dare un giudizio sociale agliattentatori di Piazza Fontana mi sembra un po’ azzardato, sarebbe come giustificare il loro operato.>>D: << Dopo Piazza Fontana si susseguirono una serie di avvenimenti concatenati tra loro; prima di con-gedarla vorrei fare con lei un breve excursus nel lasso di tempo che si snoda tra Piazza Fontana e l’as-sassinio di Aldo Moro. >>R: << Effettivamente vi è un fil rouge che coordina un succedersi di accaduti che di primo acchito po-trebbero sembrare indipendenti.Inizialmente fu additato come responsabile dell’attentato di Piazza Fontana l’anarchico Pietro Valpreda,poi si passò ad un altro anarchico, il ferroviere Giuseppe Pinelli; si tentò dunque di espiantare l’acca-duto dalla diatriba politica in corso in quegli anni. >>D: << Da questo depistaggio iniziale in poi ebbero luogo una serie di equivoci a causa dei quali perserola vita più persone. >>R: << Esattamente; la notte del 15 Dicembre del 1969 vi fu un’interruzione intorno alle 12:00 dell’in-terrogatorio di Pinelli, quando gli agenti rientrarono nella stanza l’interrogato non c’era più, fu trovatoin fin di vita nel cortile della questura. Sul Commissario Luigi Calabresi gravarono le pesanti accusedi un suo ipotetico coinvolgimento con la morte dell’anarchico, specialmente da parte del sinistrismodel periodo. La Polizia, i Carabinieri ed il Magistrato presenti quella notte tutti insieme proprio per su-perare le divergenze interne e condurre al meglio le indagini affermarono da subito che Pinelli si sui-cidò. >>D: << Purtroppo però le accuse di omicidio costarono la vita al Commissario Calabresi. >>R: << Ricordo bene il giorno in cui appresi la notizia della sua morte; perché via Cherubini si trova vicinoalla mia caserma, era il 17 Maggio del 1972, il commissario uscì di casa e gli spararono in pieno voltomentre metteva piede nella sua 500. Omicidio avvenuto per mano di alcuni militanti di Lotta Continua.Difatti sedici anni dopo l’accaduto Leonardo Marino ebbe una crisi di coscienza e confessò davanti aigiudici di esser stato uno dei quattro componenti che avevano ucciso il commissario. >>D:<< Questo è quanto accade quando l’uomo in cuor suo brama vendetta; ma si trattò di una vendettaingiustificata dato che Calabresi fu prosciolto da ogni accusa che lo vedesse coinvolto. >>R: << Esattamente, accecati dalla rabbia ed esaltati dal clima di tensione che li circondava, quei fanaticihanno ucciso per un’idea, da tutti poi proclamata sbagliata. Mi fa sorridere pensare che ora in PiazzaFontana ci sono ben due targhe in ricordo di Giuseppe Pinelli; la prima riporta le parole “..innocentemorto tragicamente” e l’altra “ ucciso innocente..” così che ognuno possa andare a piangere sulla suatarga. >>D: << Già, qualcuno crede che sia un’offesa alla memoria di Calabresi, ma oramai il danno è fatto, la-sciamo piangere, chi ancora ha lacrime per farlo, sulla versione in cui crede. La violenza ideologica,ciò è testimoniato proprio dagli avvenimenti degli anni di piombo, è un’armamolto pericolosa; parliamo diMoro. >>R: << La cerniera della “questione Moro” fu l’accordo tra il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana;chi era a sinistra non condivideva questo stato di cose: coloro che li rappresentavano al governo do-vevano mantenere come caposaldo del proprio sistema interno la lotta di classe filo-marxista. Sottoquesto aspetto gli si può dare anche ragione. Le Brigate Rosse avevano un’ideologia condivisibile, il

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punto è che intrapresero strade sbagliate e con i mezzi meno opportuni. >>D: << Sarà un caso che Moro fu ucciso proprio il giorno in cui si realizzava il grande accordo storico,tra l’altro pensato proprio per mettere i freni al terrorismo? >>R: << Io credo di no; dopo il rapimento del parlamentare la Democrazia Cristiana era decisa a nonscendere a patti con i brigatisti, quindi le speranze delle BR si riposero sul Partito Comunista che, in-vece fu il più duro nel dire di non accettare alcun compromesso.Il partito socialista con Craxi e il Papa tentarono una trattativa, nella speranza che Moro venisse rila-sciato. Credo però, che accettare un accordo con le BR sarebbe stato come legittimare e affermare uncontropotere fuori dall’istituzione. >>D: << Come vivevate questi avvenimenti in caserma? >>R: << Se ne discuteva parecchio, ma noi eravamo molto “terra terra”, trattavamo i fatti dal punto divista giudiziario, giacché furono commessi molteplici assassinii, si voleva mandare tutti all’ergastolo,non si arrivava a questa sottigliezza, si era molto più pratici. >>D: << Crede che gli anni di piombo si spieghino semplicemente attraverso accuse ed accusati? >>R: << Io penso che questi movimenti insurrezionali volevano sostituire lo Stato perché l’immagine dellaloro ideologia non era più rispecchiata nel nuovo modo di vedere le cose. >>D: << Dunque concorda con me nel dire che alla base di tutto ci fu molta intolleranza? >>R: << Assolutamente sì. Quello che è venuto a mancare agli albori degli anni di piombo fu il rispetto.Le divergenze ideologiche furono portate all’esasperazione da entrambe le parti, fino al punto in cui lasituazione diventò “out of control” per tutte le istituzioni coinvolte e per la popolazione. L’intolleranza èuna brutta malattia che affligge il mondo da sempre, ma a cui non riusciamo a trovar cura. >>

Sono anni di ingiustizie quelli che intercorrono il decennio tra il 1969 e il 1980, perché non si può pre-tendere di tingere un intero paese di rosso o di nero senza tener conto delle innumerevoli sfumatureche si collocano tra questi due colori. Le opinioni in merito sono tuttora in disaccordo: si parla di terro-rismo di sinistra da una parte e di stragismo di destra dall’altra; dunque il dualismo a oggi permane.Non bisogna però soffermare l’attenzione solo su un ipotetico colpevole, o illudersi di poter affermareche la colpa è dell’uno o dell’altro schieramento; si cadrebbe nuovamente nel pericoloso gap politicoalimentandone la profondità. Perché è stata proprio questa la miccia dell’ ordigno a cui è stato datofuoco negli anni di piombo: l’intolleranza.Intolleranza che si estese a macchia d’olio in ogni ambito della società diventando motivo di scontro etroppo spesso anche di morte. La legge del taglione sembrava l’unico credo politico a cui ci si potesseappellare. Eppure, molti anni fa or sono, Galilei disse: “Occhio per occhio rende cieco il mondo”; taleaffermazione si è rivelata una grande verità, ma purtroppo inapplicabile perché l’uomo per quanto siaun buon predicatore della morale, di fatto cerca sempre di prevaricare sugli altri, cosa che, come dicevail grande Darwin potrebbe derivare da un disegno biologico molto più grande e più antico di noi: l’istintodi sopravvivenza; per cui un bene, quale in questo caso la supremazia, tanto più è scarso, quanto piùci si azzuffa per ottenerlo. Profetiche furono dunque le rivelazioni dei nostri celeberrimi avi, ma forse ilbuon Darwin, me ne perdoni, dimenticò che l’uomo non è solamente un essere organico che pullula diistinti, né “è solo ciò che mangia” a differenza di quanto affermò il filosofo Feuerbach; è altro, l’uomo èmolto di più. Egli è vita, è storia, è più di un istinto primordiale, a cui certamente bisogna far fede, maa cui nel corso del tempo abbiamo imparato ad accostare un’etica, un rigore; una consapevolezzasempre maggiore di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Come scrisse Dante nel canto XXVI del-l’Inferno: “Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza.”. Tuttavia, quandoè a noi che tocca agire, questa consapevolezza tende a venir meno. L’istinto di sopravvivenza prevale;ed è così che si risolvono molte pagine nere della storia del mondo. Nello specifico quanto accaddenegli anni di piombo, altro non fu che il ripetersi della lotta tra bene e male che è in ciascuno di noi. Ilconfine tra l’una e l’altra sponda è sottile, talvolta impercettibile; tanto più quando alla base dei nostrigiudizi vige l’intolleranza verso il prossimo, nei confronti di un’idea diversa dalla nostra.È molto più facile di quanto si possa credere cedere alla tentazione di eliminare il nemico, che in questocaso è chi la pensa diversamente da noi, vantandoci di una onniscente superiorità che di fatto non ab-

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biamo; siamo uomini e come tali dobbiamo sentirci ognuno alla pari dell’altro; e dalla diversità fisica,economica, sociale, culturale, o politica dobbiamo trarre insegnamento, non creare motivo d scontro.Il principio del pluralismo delle idee deve restare ben saldo in ognuno di noi e deve essere il punto divista mediante il quale poggiamo lo sguardo sugli altri; solo così possiamo evitare di cadere nella di-scriminazione e possiamo affrontare le divergenze ideologiche senza urtare la sensibilità altrui. A que-sto proposito il giornalista Giorgio Bocca nel libro “ Fratelli coltelli. Dal 1943-2010. L’Italia che hoconosciuto” scrisse:<< Posso dire che conosco il paese in cui sono nato e vissuto? Sì e no. Le virtù continuano a stupirmicome i suoi difetti. Dopo aver per due volte primeggiato nel mondo, ne siamo ancora in certo modoestranei: i nostri imperi non hanno lasciato il segno nel nostro carattere, i santi, gli eroi, i navigatorihanno vissuto invano, non hanno lasciato una traccia nel nostro modo di essere e forse questa è lanostra peculiarità: dobbiamo ancora imparare a vivere in società, a essere Stato, inutilmente furbi, in-guaribilmente infantili, ma molto umani nelle nostre debolezze come nelle virtù, in un certo senso ras-segnati a questa nostra umanità: capaci di fermarci prima della ferocia del fanatismo. >>La perseveranza nel cadere negli stessi errori è sintomatica dell’essere umano; proprio per questo èfondamentale riflettere nel presente sul passato per far sì che ciò che ieri fu non sarà anche domani.

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Cognome TURATINome GIOELEScuola IIS GADDA, PADERNO DUGNANOClasse QUINTA

’69-’80 RIFLESSIONE SUGLI ANNI DELL’ODIO

Per potere affrontare questo argomento del terrorismo, delle sue radici ideologiche e delle vittime cheha seminato, ritengo importante collocare il periodo di riferimento, ovvero gli anni compresi tra il 1969e il 1980, in un contesto politico, sociale ed economico molto più ampio.Per capire meglio questi fatti, serve chiarire il quadro complessivo in cui avvengono.Per cominciare, bisogna forse ricordare gli anni Cinquanta, quando il nostro Paese ebbe un periodo dicrescita economica e al tempo stesso di stabilità sociale. L’Italia iniziava la sua nuova vita democraticae lavorava, dopo il disastro della seconda guerra mondiale, a partire dalla ricostruzione.Cominciarono però a sorgere dei problemi quando si determinò una certa tensione al cambiamento, le-gato soprattutto alla condizione delle masse, dei ceti popolari, che volevano migliorare le loro condizionidi vita. Di fronte a queste richieste la DC - Democrazia Cristiana -, il più grande partito italiano e garantedell’equilibrio del sistema politico, si pose per tutti gli anni Cinquanta in una posizione di mezzo, di equi-distanza tra sinistra e neofascisti.

Questa politica cosiddetta “centralista” della Democrazia Cristiana, con l’appoggio di alcuni partiti minori(liberali, repubblicani e socialdemocratici), da una parte impostava la nuova vita del Paese, dall’altradoveva contrastare la “minaccia comunista”, cioè impedire che la nuova situazione sociale portasse auna svolta di sinistra nel nostro paese.In tutto questo, pesava fortemente il contesto internazionale della divisione del mondo in due blocchie della guerra fredda, in cui l’Italia rimaneva nel blocco dell’Occidente ed il comunismo era vissutocome pericolo (anche se in Italia il PCI - Partito Comunista Italiano - era una forza democratica comele altre, presente in Parlamento e non rivoluzionaria).Con l’arrivo degli anni Sessanta, l’Italia vide crescere questa voglia di cambiamento e accolse la nascitadel centro-sinistra, che significava la fine del centrismo (sempre più instabile nelle alleanze politiche)per un ampliamento della base politica del governo, aprendo così la possibilità di far nascere forze piùvicine ai ceti popolari e operai.Intanto ci fu il “miracolo economico”, proprio a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, che rese l’Italiaun moderno paese industriale, seppure con i suoi squilibri tra Nord e Sud.Nello stesso periodo, si affermavano i nuovi orientamenti della Chiesa in campo sociale, con GiovanniXXIII e Paolo VI, che proponevano di rinnovare la vita della Chiesa come comunità ecclesiale e, soprat-tutto, modificare la posizione della Chiesa nei confronti del mondo contemporaneo.Così la svolta politica, il boom economico, le aperture sociali e culturali, tutto questo insieme creò dellegrandi aspettative di riforma. Peccato, però, che gli anni Sessanta “non mantennero le promesse”.Infatti sul piano economico si mostrò la fragilità del nostro sistema, la difficoltà di mantenere la crescitaeconomica, quando giustamente in un tempo di crescita i sindacati chiesero gli aumenti salariali ancheper i lavoratori. Mentresul piano politico, si formarono diversi governi democristiani, appoggiati pienamente dai socialisti, chesi dimostrarono però incapaci di dare risposta alle esigenze di modernizzazione del paese. La vita po-litica fu anzi caratterizzata da un progressivo deterioramento, con fenomeni sempre più evidenti diclientelismo e di spartizione dei posti di potere fra i partiti del governo (la cosiddetta lottizzazione). Nel-l’occupazione politica dei vari posti di lavoro e di dirigenza (posti nelle imprese e nei vari uffici controllatidai partiti politici, spesso in cambio di voti) riemergevano così la mancanza di senso dello Stato e la ten-denza all’illegalità che sembravano caratterizzare, in maniera profonda, il sistema di potere italiano.

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In questa Italia, con la sua forte crescita economica e con i suoi grandi cambiamenti sociali, ma ancorasegnata da squilibri e miserie, arrivò il movimento di protesta del 1968.Proveniente dall’estero, e in Europa soprattutto dalla Francia, questo movimento fu fortemente vissutodai giovani. Si diffuse nella scuola e nell’università, dove al grande aumento della popolazione studen-tesca non era corrisposto alcun adattamento delle strutture e dei metodi di insegnamento.Così il movimento studentesco diede voce, come negli altri paesi occidentali, al disagio delle giovanigenerazioni nei confronti del conformismo sociale e dell’arretratezza delle strutture politiche ed edu-cative, con la ricerca di nuove forme di espressione e di partecipazione, dai gruppi di studio autogestitialle assemblee.Dappertutto i giovani occupavano le facoltà e le scuole superiori, scendevano nelle piazze a manife-stare contro l’autoritarismo dei docenti e della famiglia, il perbenismo imperante e il modello di vitaconsumistico. Il movimento studentesco appariva fortemente politicizzato a sinistra. I suoi riferimentiideologici, marxisti e rivoluzionari, si rifacevano alla cultura comunista e in parte a quella cattolica.

La mancanza di dialogo concreto con i partiti e di sbocchi alla protesta portò però rapidamente al for-marsi di una sinistra extraparlamentare, che contestava anche la politica del PCI e respingeva il rifor-mismo sociale come un tradimento delle speranze rivoluzionarie. Come se i miglioramenti che sirealizzavano fossero solo “le briciole”, fossero sempre minori di un grande cambiamento sociale checi si aspettava.Questo portò il movimento a diventare più radicale, insieme all’atteggiamento di repressione adottatodal governo e dalle forze di polizia. Iniziò così una spirale di violenza e lo scontro fisico divenne unacostante nelle manifestazioni in piazza.Insomma, la grave insoddisfazione della parte più politicizzata del movimento giovanile verso i partitie l’immobilismo della società fu anche all’origine delle scelte di molti protagonisti del futuro terrorismodi sinistra, che inseguiva confusi disegni rivoluzionari.La contestazione si spostò presto dall’università alla società, dalla scuola alla fabbrica, e alla protestastudentesca si affiancarono le lotte operaie del cosiddetto “autunno caldo”, con gli scioperi del 1969per i nuovi contratti di lavoro.Gli operai non chiedevano solo aumenti salariali, ma anche più potere in fabbrica e mettevano in di-scussione le forme del lavoro precedenti, come l’organizzazione del lavoro nei reparti e i licenziamenti.Vennero adottati tipi di lotta particolarmente duri, dagli scioperi selvaggi alle interruzioni delle linee fer-roviarie, dall’occupazione delle fabbriche ai picchetti.Quindi da una parte ci furono conquiste importanti del mondo del lavoro, come l’unione dei grandi sin-dacati (Cgil, Cisl e Uil) in una confederazione unitaria nel 1972 o, sul piano delle leggi, l’approvazionedello “Statuto dei lavoratori” già nel 1970, che fissava nuove norme nei rapporti tra dipendenti e datoridi lavoro (maggiori libertà sindacali e tutela dai licenziamenti).Ma d’altra parte l’Italia, proprio in questi anni, attraversò una delle fasi più tormentate della propriastoria unitaria, segnata da una forte crisi economica, politica e sociale, che in alcuni momenti sembrò“fuori controllo”. Esplose così la violenza durante gli anni Settanta, nel periodo definito degli “anni dipiombo”, nelle forme del terrorismo e dello stragismo.

A questo punto, ricostruito il quadro sociale e politico, si entra nel cuore del nostro argomento e alcunedomande sorgono spontanee.Chi erano e cosa volevano ottenere i terroristi e gli autori delle stragi che insanguinarono l’Italia peroltre un decennio? Che rapporto c’era tra le loro idee, le loro azioni violente e la realtà italiana? E poi,si è ristabilita l’amara verità di quei fatti e si è fatta giustizia nei processi, innanzitutto per le vittime eper i loro familiari, ma anche per l’intera società italiana?

Per rispondere a queste domande, tra i tanti scritti sul terrorismo, c’è un libro fondamentale di Fasanellae Sestrieri, Segreto di Stato, in cui gli autori intervistano Giovanni Pellegrino, presidente della Com-missione stragi voluta dal Parlamento (di cui dico meglio più avanti, seguendo il filo cronologico).

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Ma si può anticipare che ancora oggi la risposta è no, rispetto all’esigenza di giustizia. Molti processi,soprattutto quelli relativi alle stragi, non hanno mai trovato dei responsabili e hanno anche incontratoostacoli (compreso il segreto di stato) e subìto gravi depistaggi.Invece la verità più generale, quella di capire la logica dei diversi gruppi terroristi e stragisti, quella veritàsi è potuta abbastanza ricostruire negli anni, come racconta il presidente Pellegrino, collegando i risultatidei vari processi e testimonianze raccolte.Cerchiamo allora di ricostruire i fatti principali e la logica dei diversi gruppi.

La cosiddetta “strategia della tensione”, propria dei gruppi neofascisti e coperta da alcuni settori deviatidello Stato, voleva utilizzare appunto le tensioni sociali per favorire una svolta autoritaria dello Statostesso. Si trattava di colpire la gente comune, di disseminare il panico, per addossare la colpa ai mo-vimenti sociali del periodo (movimenti degli studenti, degli operai, “minaccia comunista”, ecc) e di con-seguenza chiedere o imporre un ordine statale più autoritario.Questa strategia si attuò in Italia con una serie di stragi.La prima strage di questo periodo fu quella di piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 1969, con l’esplo-sione di una bomba che colpì una banca e la gente che si trovava lì, provocando sedici morti e un cen-tinaio di feriti. Della strage furono subito incolpati gli anarchici e ci vollero anni prima che le responsabilitàdegli ambienti di destra emergessero.Di matrice “nera” fu anche la strage di piazza della Loggia a Brescia, nel 1974: 8 morti uccisi da unabomba durante una manifestazione democratica, voluta da sindacati e partiti politici e partecipata damolti cittadini, proprio contro la violenza eversiva di quel periodo.E ancora nel 1974 ci fu l’attentato al treno Italicus, saltato in aria per l’esplosione di un ordigno nella gal-leria nel percorso tra Firenze e Bologna: si contarono dodici vittime.Infine avvenne la strage della stazione di Bologna, la più sanguinosa di tutte: 87 morti e oltre 200 feriti,il 2 agosto 1980. Questa volta l’esplosione colpì la folla presente in una stazione ferroviaria, in un pe-riodo di vacanze. Fatti tragici che hanno profondamente segnato la storia dell’Italia repubblicana, la-sciando strascichi non ancora risolti, fino a quando non si farà giustizia nei processi, finché non si daràun nome ai mandanti di queste stragi.Al terrorismo “nero”, stragista, si contrappose subito un terrorismo di opposta matrice politica: il terro-rismo “rosso”, che si intendeva rivoluzionario.Si iniziò con il sequestro di un dirigente della Sit-Siemens nel marzo del 1972. Nello stesso mese morìdilaniato da una carica di tritolo nei pressi di un traliccio dell’energia elettrica l’editore di sinistra Gian-giacomo Feltrinelli. Poco dopo, il 17 maggio, fu assassinato a Milano il commissario di polizia Luigi Ca-labresi, accusato dalla sinistra extraparlamentare di aver provocato la morte dell’anarchico Pinelliall’indomani della strage di piazza Fontana, ma già prosciolto in tribunale da tale imputazione.Il gruppo di maggior nome del terrorismo di sinistra furono le Brigate rosse. Nate agli inizi degli anni Set-tanta e presto dotatesi di una struttura clandestina armata, agirono dapprima nelle fabbriche con inti-midazioni e sequestri-lampo di dirigenti industriali e capireparto.Il rapimento del giudice genovese Mario Sossi, nel 1974, e l’assassinio del procuratore di Genova Fran-cesco Coco, nel 1976, segnalarono il passaggio delle Brigate rosse alla cosiddetta fase di “attacco alcuore dello Stato”.

In questa successione di omicidi politici e atti di violenza, alle Brigate rosse si affiancarono presto iNuclei armati proletari e Prima linea.Obbiettivi del terrorismo “rosso” furono esponenti della magistratura, della polizia, della classe di go-verno e giornalisti. Nemmeno le personalità della sinistra riformista vennero risparmiate.E mentre il terrorismo “nero” aveva come fine l’instaurazione di un regime autoritario, il terrorismo di si-nistra si poneva l’obbiettivo della rivoluzione proletaria.A partire da questi scopi diversi, il risultato sicuramente raggiunto dall’uno e dall’altro terrorismo fu diintrappolare nell’incertezza la classe di governo italiana e di bloccare la spinta riformista.Punto massimo, ma anche inizio del declino del terrorismo, fu il rapimento e l’assassinio, dopo cin-

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quantacinque giorni di prigionia, del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Il 16 marzo1978, giorno in cui in Parlamento si apriva il dibattito sulla fiducia del nuovo governo di “solidarietà na-zionale”, un commando delle Brigate rosse rapì Aldo Moro, uccidendo i cinque uomini della scorta.Scopo dei brigatisti era colpire, attraverso il leader democristiano, il dialogo tra forze di centro e di si-nistra, che dal loro punto di vista avrebbe bloccato “la rivoluzione proletaria” che avevano in mente.Il Paese visse 54 giorni di angoscia e di paura, mentre i partiti si dividevano sull’opportunità di trattareil rilascio dell’uomo politico. Infatti, dopo averlo condannato a morte, le Brigate rosse ne chiesero loscambio con alcuni terroristi detenuti. Il cosiddetto fronte della fermezza, che comprendeva il governoe altri partiti, sostenne che non si doveva trattare, per non dare legittimazione ai brigatisti, mentre altricercarono di contrastare questo orientamento.Dal Vaticano, il pontefice Paolo VI rivolse ai brigatisti un accorato appello a liberare Moro, i cui messaggidalla prigionia suscitavano aspre polemiche.Fu tutto inutile, il 9 maggio 1978 il cadavere di Aldo Moro venne trovato riverso nel bagagliaio di un’autoposteggiata in via Caetani a Roma, non lontano dalle sedi del Partito Comunista e della DemocraziaCristiana.Il delitto Moro diede al terrorismo la massima visibilità e la strategia della violenza ne trasse nuovo im-pulso. Nel 1979 gli attentati salirono a 805, mentre le vittime delle Brigate rosse o di altre formazioniarmate di sinistra furono 22 nel 1979 e addirittura 30 nel 1980.Ma l’uccisione dello statista democristiano segnò anche la fine delle connivenze e delle complicità cheavevano consentito al terrorismo di radicarsi nella società. Si era superato un limite e, con la fine deglianni Settanta, lo Stato riuscì finalmente a impostare contro l’estremismo di sinistra una strategia effi-cace. Venne soprattutto incoraggiato il “pentitismo”, con una legge che riduceva la pena in cambio dicollaborazione. Si aprì in tal modo una strada che portò alla resa di molti militanti dei gruppi armati eallo smantellamento delle strutture eversive.

Dunque soltanto negli anni ’80 l’Italia venne fuori dagli “anni di piombo”, dagli attentati e gli omicidi, irapimenti e le bombe, in una parola dal terrore.Sui libri e nelle varie memorie si tende poi a ricordare soprattutto i nomi delle vittime note a quell’epoca,ma il numero dei morti conteggiati in quegli anni non comprende solamente gli esponenti politici, ma-gistrati e poliziotti. In realtà una grande quantità di persone persero la vita solo perché esprimevano iloro ideali, perché esercitavano il loro diritto di sciopero o di manifestazione, o solamente perché si tro-vavano al posto sbagliato nel momento sbagliato.

Naturalmente, alla fine di tutto questo, si fanno i conti con ciò che è successo, che è ingiusto ed èormai irreparabile. Ma come trasformare quel dolore, soprattutto quello di chi resta e ricorda e non haancora avuto giustizia, in qualcosa di costruttivo?In questo senso, bisogna ricordare almeno due fatti importanti.

Per prima cosa, negli anni a seguire, ci fu la nascita di molte associazioni per le vittime e per i familiaridelle vittime, per far modo che il loro ricordo non venisse sepolto e trascurato e che venisse ottenutala giustizia dovuta.Queste associazioni, con tutte le loro iniziative di grande valore civile, hanno assunto un carattere fortedi denuncia, nei confronti di chiunque voglia depistare o sottovalutare la gravità della mancata rispostagiudiziaria, continuando a richiedere l’accertamento della verità nei processi.Piazza Fontana, piazza della Loggia, la stazione di Bologna e le altre stragi impunite vengono ancoraricordate da queste associazioni e, con loro, da tutta Italia.

L’altro segnale di movimento, per la ricostruzione della verità almeno sul piano storico, lo diede anchelo Stato, quando costituì in Parlamento la cosiddetta Commissione Stragi (“Commissione parlamentared’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili dellestragi”).

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Nata nel maggio 1988, composta da 20 deputati e 20 senatori oltre al presidente (il senatore GiovanniPellegrino), rimase attiva per 13 anni, fino al 2001, dato il grosso lavoro che doveva svolgere. Senza so-stituirsi ad altri organi dello Stato, in particolare alla magistratura, svolse un ruolo prevalente di visionegenerale del fenomeno del terrorismo e delle stragi in Italia, collegando i risultati dei vari processi e unamole di materiali utili.La Commissione stragi rispose finalmente a una domanda di verità. Fu un organo pubblico di grandeautorevolezza, che lavorò per far luce sui molti misteri della recente storia italiana.

In chiusura di questo scritto, cosa rimane a noi oggi di tutta questa esperienza? Forse, in coincidenzacon i 150 anni dell’Italia unita, si può fare una differenza storica, ma che importa ancora oggi, nel nostropresente.Da una parte ci sono quei veri rivoluzionari, come Garibaldi o Mazzini o altri, che hanno dato la vita peruna causa realmente esistente, come è stata l’unità d’Italia. Nella storia, queste persone vengono poicelebrate come “eroi”.Dall’altra parte ci sono dei falsi rivoluzionari, presi dalla loro follia di iniziare una rivoluzione popolare chein realtà non esiste, che è solo nella loro mente.E poi, come in tutta la storia, ci sono sempre i potenti attaccati solo alla conservazione del loro poterecon ogni mezzo, fino allo spargimento di sangue di persone innocenti.E di fronte a tutto questo, la continua ricerca della verità e della giustizia sono “le armi” più potenti di unademocrazia.

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Cognome VANOLONome BRUNOScuola IIS “EINAUDI”, MAGENTAClasse QUINTA

’69-’80 RIFLESSIONI SUGLI ANNI DELL’ODIO-MAI PIU’ GIOVANI UCCISI PER UN’IDEA

Anni ’70; qualcuno li ha definiti anni di Piombo, anni di porfido, anni di guerra, anni di gioia e dolori, annidi un passato così prossimo e così vivo del quale ancora oggi si fa fatica a parlare; ma sono realmentefiniti gli Anni ’70?È questo il quesito che è venuto spontaneo porre a me e ad altri coetanei interessati a questo periodostorico.Quanti sono i protagonisti di quella stagione dell’odio che ha segnato per un decennio la vita del nostroPaese, disposti oggi a parlarne serenamente e a chiudere definitivamente con quel passato che, certo,non è di buon esempio per le nostre nuove generazioni?Per noi quegli anni di violenza sono lontanissimi. Per noi, fino a qualche settimana fa, era impossibilepensare che si potesse essere demonizzati, aggrediti e magari cacciati di scuola, solo per averespresso idee o voglia di sapere. Pensavamo che, a distanza ormai di 35 anni dalla morte di SergioRamelli, fosse possibile, per la generazione dei nostri padri, parlare serenamente o semplicemente rac-contare come vissero quegli anni di spranga e di piombo.Ma ci sbagliavamo, e di molto.

Tutto è iniziato qualche mese fa, quando incuriosito dal Concorso bandito dalla Provincia di Milano hodeciso di organizzare una conferenza rivolta ai ragazzi, nel Comune di Magenta, in modo da appro-fondire maggiormente ed analizzare l’argomento attraverso testimonianze storiche.Lo scopo era esclusivamente quello di promuovere la conoscenza di un’importante decennio della no-stra storia, creando un dibattito culturale e sociale “bi parte” in modo da escludere qualsiasi tipo di fa-ziosità, e arrivare così ad un’unica affermazione comune: «Mai più giovani uccisi per un’idea».Avendo deciso di organizzare la conferenza nella maniera più onesta possibile e reputando che il con-fronto sia l’unico mezzo efficace per una conoscenza approfondita e non di parte dell’argomento, ab-biamo voluto invitare due relatori competenti e “militanti”, in quel periodo storico, in movimenti giovanilicontrapposti; così facendo avremmo potuto far riflettere i ragazzi sull’odio e sulla violenza politica cheha caratterizzato quegli anni, in modo da evitare che certe cose possano ancora ripetersi.La conferenza era strutturata in modo da avere un moderatore super partes, che ponesse una seriedi domande sull’esperienza personale dei due ospiti, le domande avrebbero permesso di capire: cosaspingeva i ragazzi ad avvicinarsi alla politica giovanile, quali erano i motivi di aggregazione all’internodelle “sezioni”, quali erano i rapporti con i ragazzi delle altre fazioni, ma in particolare come hannoreagito di fronte alla morte di un amico e se fossero stati disposti e/o coscienti di poter morire perl’idea.Partiti con l’organizzazione subito sono iniziate le prime difficoltà.Da una parte, quella - diciamo così - di destra: abbiamo cercato la disponibilità di vecchi missini, machi per motivi d’età, chi per ritrosia, chi forse ancora per timore di esporsi, è stato quasi impossibile tro-vare qualcuno che volesse intervenire al dibattito. Infine, abbiamo trovato la disponibilità del giornalistaGuido Giraudo (autore del libro inchiesta sul delitto Ramelli) che, anche se poco a Magenta, è statouno dei protagonisti di quegli anni.A sinistra, invece, avevamo trovato subito la disponibilità di un ex militante di Lotta Continua, ma dopole iniziali promesse, lui come molti altri, si è tirato indietro. La risposta era sempre la stessa: «no... aMagenta non è successo nulla... ma io non me la sento di espormi e di parlarne». Ancora troppa paura,

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troppa viltà.Più parlavamo con le persone di quella stagione di odio e di violenza, più ci rendevamo conto che, no-nostante a Magenta non si fossero registrati episodi particolarmente sanguinosi, tragici o che potesserolasciare strascichi nel tempo, nessuno, né da una parte né dall’altra, parlava volentieri. È come se unacappa scura gravi ancora su quella generazione. Chi ha sofferto troppo, chi ha preferito dimenticare,chi ha ancora paura e chi non vuole che si “rinvanghino” vecchie storie, probabilmente ingloriose. Unmisto di timore e di vergogna.In quel momento ha incominciato a prendere corpo in noi l’idea che proprio lo sforzo di far parlare one-stamente di quegli anni fosse il tema su cui concentrarci, più ancora che sui contenuti delle testimo-nianze stesse.

Perché ancora oggi tanta paura? Perché quel senso di orrore o di nausea che molti hanno esternato?Perché quella ritrosia ad affrontare l’argomento? Perché questo malcelato respingimento?La sensazione era che non fosse una cosa buona alzare il sipario sugli anni di piombo. Il fatto poi chel’iniziativa di noi studenti partisse su sollecitazione della Provincia di Milano non aiutava per nulla, anzi,incrementava il sospetto di chissà quali “strumentalizzazioni” politiche, ed è stato subito manifestato ilfastidio per il fatto che la nostra “curiosità” fosse orientata alla ricerca di “cattivi maestri” e non al ten-tativo di disegnare quegli anni come “formidabili”.A un certo punto, proprio quando eravamo più propensi a rassegnarci, abbiamo trovato un professoredi lettere ex militante dell'area della sinistra, molto disponibile, che ha accettato volentieri il nostro in-vito.Mano a mano che l’appuntamento si avvicinava, con la diffusione della locandina e dei comunicatistampa la tensione si è fatta palpabile, e ci sono giunti i primi “avvertimenti” minacciosi, fino all’inaspet-tata telefonata del professore che, con dubbie giustificazioni, rinunciava all’incontro facendoci intenderedi aver subito pressioni e ricatti da parte di altre persone di sinistra e, paradossalmente, ha dichiaratoal “Corriere Della Sera” di essere stato avvicinato da noi con l’inganno.Cosa è successo? È stato minacciato? Ricattato? Intimorito proprio come ai tempi dei "servizi d'ordine"di 40 anni fa?Quali che siano le considerazioni personali che ognuno vorrà trarre su questo comportamento è evi-dente che le pressioni subite dal professore devono essere state notevoli. Senza voler polemizzare, ciha dimostrato che, ancora oggi, in Italia, a Magenta, una città tranquilla, non scossa da gravi episodidi violenza, è difficile trovare il coraggio civico di testimoniare le proprie idee. Una cosa è evidente:prevale ancora una forma di pesantissima censura ammantata di ideologia.Non oso immaginare cosa i colleghi, gli amici, i “compagni”, forse i familiari stessi abbiano detto al pro-fessore per costringerlo a fare pubblicamente marcia indietro.Ma è su questo che ci siamo interrogatiIl tema della Provincia chiede appunto di “Riflettere sull'odio e la violenza politica che caratterizzaronogli Anni di Piombo” sulle sue cause sulle sue origini, su cosa può aver spinto una generazione al ma-cello. Nell’atteggiamento del professore e di tanti che avevamo incontrato abbiamo incominciato a ca-pire che “gli anni Settanta non sono ancora finiti” che, evidentemente, qualcosa o qualcuno continuavaa seminare quel germe di odio e di paura. Ma chi?La risposta ci è venuta, fortissima, inattesa, bruciante e rivelatoria dalla lettera aperta inviata da “PuntoRosso”, un’associazione di sinistra, al Sindaco di Magenta.La forma e la sostanza riportano immediatamente ai linguaggi e agli atteggiamenti degli anni Settanta.Si tratta di un comunicato carico di tutta la retorica, la demagogia, la violenza verbale e le falsità chepare ricalcare a pieno i volantini di Lotta Continua o di Avanguardia Operaia degli anni ‘70; con quellaeterna voglia di redigere liste di proscrizione, di mettere all'indice chi non la pensa come loro, di accu-sare di tutti gli orrori del secolo scorso dei ragazzi che hanno oggi solo 18 anni!

Analizzando con attenzione, assieme ad un giornalista esperto degli anni ’70, il comunicato, abbiamoritrovato al suo interno la stessa terminologia, tipica degli anni di piombo, un linguaggio che tende a

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etichettare il “nemico”, il politicamente diverso, in una categoria automaticamente ghettizzata.C’è, inoltre, un palese inquadramento generale fatto in base a “parole d’ordine” precostituite, che fannovenire a mancare un’onesta e personale valutazione dei fatti, ma è evidente che all’estensore non im-porta la verità, importa poter costruire, con una strategia dialettica, un’accusa infamante che possa an-nientare l’oppositore di pensiero.Gli estensori del comunicato ci hanno descritto come: « …persone che non nascondono il loro apprez-zamento verso la Germania nazista e la Repubblica sociale italiana, così come non fanno mistero delloro disprezzo verso alcune categorie di persone giudicate indegne di vivere». Secondo il sillogismoimplicito in questa affermazione, si arriva all’ardita conclusione che dei ragazzi di Magenta, dell’età di16, 18 anni, sono da ritenere co-responsabili di guerre, persecuzioni, violenze, stermini, stragi e diogni genere di atrocità commesse nel Novecento.Vale la pena di ricordare che proprio con questo stesso meccanismo logico e dialettico si è arrivati adaccusare di “fascismo” e poi a colpire a morte Sergio Ramelli, diciassettenne, “reo” solo di aver scrittoun compito in classe contro le Brigate Rosse.Arrivato a questo punto non ho potuto che esclamare: “fantastico”! Anche se è triste ammetterlo, nonpoteva esserci prova migliore che gli "Anni Settanta non sono finiti" e che il germe dell'odio ancora covanei cuori di vecchi "residuati bellici" che non hanno fatto i conti con la storia, ma neppure con la realtà.Ciò che è avvenuto è, quindi, solo la prima parte di un esperimento perfettamente riuscito.Volevamo dimostrare ai giovani e giovanissimi studenti magentini che l'odio, la faziosità la falsità chehanno portato orrori, omicidi, stragi e viltà negli anni Settanta in Italia, sono ancora vivi, anche a Ma-genta."Riflettere sull'odio e la violenza politica che caratterizzarono gli Anni di Piombo perché non riaccadanopiù”: e' questo secondo me l'intento della borsa di studio istituita dalla Provincia di Milano per ricordareLuigi Calabresi commissario della Polizia di Stato ucciso 38 anni fa, Sergio Ramelli, il giovane missinoucciso tre anni dopo, Claudio Varalli militante di Movimento Lavoratori per il Socialismo morto lo stessoanno, e tutte le vittime di quella stagione racchiusa tra la Strage di Piazza Fontana e la Strage di Bo-logna.Questo era il tema assegnato a noi giovani studenti perché lo sviluppassimo e ne facessero tesi di di-battito e questo noi abbiamo incominciato a fare ottenendo un risultato ancora superiore alle nostreaspettative. Facciamo, però, un passo indietro, che anni erano gli anni ’70? Anni si di fede e dedizioneper l’ideale, ma soprattutto anni di odio, di violenza, di contestazione, sia a destra che a sinistra, annidi “guerra civile”; Erano gli anni in slogan come: “Uccidere un fascista non è reato” o “Se vedi unpunto nero spara a vista:o è un carabiniere o è un fascista”. Erano gli anni non certo “formidabili”, neiquali una “meglio gioventù” ghettizzava altra gioventù. Erano anni di innumerevoli morti. Vittime spessodimenticate, morti di una rivoluzione soffocata con la violenza e il sangue, delle quali oggi nessuno piùse la sente di parlare.Perché, invece, è giusto oggi parlare e ricordare quei morti? Perché i giovani devono conoscere unpassato così recente dell’Italia, durante il quale migliaia di giovani bollati come fascisti, o di poliziottivisti come oppositori alla rivoluzione furono vittime dell’odio tramandato da una generazione all’altrae da cattivi maestri che quest’odio fomentavano e insegnavano. Affinché tale odio, oggi, non debbapiù tornare occorre consegnare per sempre la guerra civile italiana alla storia.Quante furono davvero le vittime degli anni ’70? È una domanda che mi sono posto visto che nessunolo insegna o ce lo vuole raccontare. Non ne voglio fare un discorso di schieramenti o di freddi numeri,perché penso che ogni morto meriti il rispetto dovuto. Non voglio una statistica…ma almeno vorrei ca-pire di cosa stiamo parlando. Mi è venuto un articolo del “Corriere della Sera” del 28 gennaio 1988(citato nel libro “Sergio Ramelli, una storia che fa ancora paura” – Sperling & Kupfer 2007) che riportadati del Ministero dell’Interno e che, personalmente, ho trovato tanto agghiaccianti quanto sbalorditivi:«(…)Nei quindici anni che vanno dal 1969 al 1984 gli attentati (di qualsiasi natura ed entità) sono stati14.495 di cui 343 con morti e feriti. Pauroso il conto delle vittime accertate in quei 15 anni: 394 mortie 1.033 feriti. (…) Dal 1969 al 1984, i variegati gruppi d’ispirazione comunista hanno massacrato nientemeno che 149 persone. I morti causati dall’estremismo di destra sono invece 29 (…)».

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Tra tutti questi morti contiamo certo molti attivisti, estremisti, militanti, ma ciò che sconvolge di più sonole vittime innocenti di quell’odio e di quella violenza, la cui unica colpa fu quella di pensarla in modo di-verso dai propri assassini; si poteva morire semplicemente perché si passava davanti a una sezionedel MSI o perché si indossavano i camperos, piuttosto che l’eskimo, nel posto sbagliato al momentosbagliato.Continuo a chiedermi, cosa abbiano fatto di male questi uomini, questi cittadini, questi servitori delloStato, questi ragazzi con una vita normale; nessuno di loro probabilmente aspirava a diventare uneroe, ad essere mitizzato dalle generazioni successive; magari da grandi sarebbero diventati dirigentidi partito, magari no, ma a quel tempo di certo non lo erano, volevano semplicemente vivere, viveredavvero.

“Sole d'Occidente che accogli il nostro amico,ritorna a illuminare il nostro mondo antico. Dai colli del-l'Eterna ritornino i cavalli, che portano gli eroi di questo mondo stanchi”.Un gruppo musicale di quegli anni dedicava queste parole a Mikis Mantrakas, un giovane militante didestra che si era iscritto da soli due mesi al Fronte Universitario quando fu trafitto in piena fronte daun colpo di calibro 38 sparato da Alvaro Lojacono, militante di Potere Operaio.Sergio Ramelli… un’altra storia che ha dell’incredibile, un ragazzo che fu aggredito sotto casa a colpidi chiavi inglesi sulla nuca solo per aver scritto un tema sulle Brigate Rosse. La sua agonia durò 47giorni fino alla morte, sopraggiunta il 29 aprile. Mentre Sergio giaceva in coma all’Ospedale Policlinicodi Milano, la violenza degli anni di spranga arriva al suo punto culminante. Il 16 aprile, un gruppo delservizio d’ordine del Movimento Studentesco aggredisce con le chiavi inglesi tre “fascisti” sorpresi inun bar di piazza Cavour. Uno di essi si rifugia in macchina, estrae una pistola, spara in aria e uccideun giovane che era sul tetto della sua vettura. Da quel giorno, in tutta Italia si scatena un’autenticaguerra civile, che causa altri 3 morti e centinaia di feriti. È il punto più “caldo” della violenza politica, unavera e propria prova generale di insurrezione.È una pagina poco conosciuta dei 150 anni della storia d’Italia, soprattutto dalla mia generazione, e iostesso non pensavo che, si fosse mai arrivati a tanto.Mentre scrivo di questi ragazzi, li sento così vicini e così lontani, quando la vita fu loro troncata avevanola mia età ed ora sono “martiri dell’idea”. Rivedo le loro foto, in bianco e nero un po’ sbiadite, ragazzicome Mantrakas e Ramelli con quei loro capelli lunghi, così simili a quelli “dell’altra parte”, con le stessepassioni per la musica, lo sport, il cinema, separati solo da un pensiero, da una piazza, da una spranga.Oggi siamo nel terzo millennio e anche se non si ripresentano più con così assidua frequenza episodidi violenza, come abbiamo visto prima il rancore e risentimenti sono sempre pronti a ripresentarsi, perquesto nonostante le controversie incontrate nell’organizzazione della conferenza, ho deciso di guar-dare avanti, riorganizzandola e portando "il Caso Magenta" come tema per la borsa di studio, certo cheesso sarà apprezzato e compreso, ma soprattutto per dire basta. Basta anni ’70 perché la politica deveessere fede, credo, deve essere amore per la propria terra, per la propria gente, per i propri ideali, enon finalizzata all’odio e all’annientamento del “nemico”.

Voglio concludere con una frase molto significativa pronunciata dalla sorella di Stefano Cecchetti, unaragazzo ucciso nel 1979 quasi per caso, fuori da un locale di Roma, che recita così:«C'è stato un tempo folle, in cui anche un ragazzo che non c'entrava nulla, che non faceva politica,che non aveva altra colpa se non quella di trovarsi per strada, davanti a un bar, poteva morire uccisocome un cane. Ed è così lontano questo tempo che se lo racconto ad un ragazzo d'oggi nemmeno micrede».Per questo è giusto parlare degli anni ’70, per questo è giusto ricordare i morti che questa guerra haprovocato, non bisogna trincerarsi dietro all’omertà di silenzi che sanno ancora di paura, di coscienzesporche. Perché tutto quel sangue non rimanga una pagina strappata della storia del nostro Paese; per-ché i protagonisti di questo decennio di orrori oggi devono fare conti con la storia; perché la mia gene-razione deve gettare per sempre questo “bagaglio” di odio trasmesso dai padri, perché finche non lofarà gli anni ’70 non finiranno mai.

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Cognome VIGNATINome DILETTAScuola LICEO PARITARIO “MELZI”, LEGNANOClasse QUINTA

MAI PIU’ GIOVANI UCCISI PER UN’IDEA:UNA RIFLESSIONE SUGLI ‘ANNI DI PIOMBO’

“Quasi tutta la Storia non è che una lunga sequenza di inutili atrocità”, scriveva il filosofo e scrittore fran-cese François-Marie Arouet, detto Voltaire, nell’opera ‘Saggio Sui Costumi e lo Spirito delle Nazioni’pubblicata nel 1756.È possibile contraddire questa sua affermazione senza cadere nell’errore di negare la realtà storica disecoli e millenni di guerre tra popoli diversi o civili? A chi desiderasse ripercorrere rapidamente con lamente la storia dell’uomo fin dalle sue antiche origini, essa apparirebbe indubbiamente illuminata dal-l’inesorabile processo di sviluppo della scienza e del pensiero, della religione e dell’etica, ma appari-rebbe anche dilaniata da ogni genere di violenze ed intolleranze con una frequenza troppo rapida peressere giustificabile. E dovrebbe forse arrendersi di fronte alla violenza dell’ultimo secolo affacciatosialle porte della Storia, il XX secolo, nel quale la violenza sembra aver superato i limiti dell’umano conlo scoppio delle due guerre mondiali, i Lager nazisti e i Gulag sovietici, le Foibe, gli attentati terroristiciin Italia, negli Stati Uniti d’America, in Irlanda, in Spagna, in Germania ecc.“Se questo è il migliore dei mondi possibili, gli altri come sono?” si chiedeva ancora Voltaire nell’opera‘Candido o l’Ottimismo’ scritta nel 1759. Le ragioni che hanno portato al sorgere di questa domanda,quindi, sono forse da ricercare nella volontà del filosofo di confutare la propensione all’ottimismo in se-guito al drammatico terremoto che nel 1755 distrusse la città di Lisbona. Il suo significato profondo, in-vece, sembra essere quello di invitare a riflettere sul fatto che il mondo, ovvero la realtà, con le sueferite, le sue contraddizioni e le sue illusioni, è ciò con cui dobbiamo confrontarci ogni giorno con co-raggio. La fantasia, utile per evadere temporaneamente dai rigidi schemi delle convenzioni sociali, nonpuò sostituirsi alla realtà.La storia recente vissuta dal popolo italiano è stata segnata dal dramma dei cosiddetti ‘anni di piombo’,tra il 1969 ed il 1980 e oltre. Questo nostro mondo, questa nostra storia tanto drammaticamente riccadi violenze e di incomprensioni, non può essere tenuta nascosta dal velo dell’oblio. Altrimenti saremodi nuovo travolti dal giorno in cui esso tornerà ad essere presente, come l’acqua che travolge una valleall’infrangersi di una diga.Sono trascorsi soltanto 31 anni dall’attentato alla Stazione di Bologna, eppure, per tutti coloro chesono nati nei decenni successivi, il decennio degli anni ’70 appartiene ormai alla Storia. È un dato difatto, non una volontà di oblio da parte di chi ha vissuto quegli anni né da parte di chi ne ha ricevutosoltanto la memoria. Forse, però, a chi è dato di guardare a quel periodo con un certo distacco tem-porale, senza sentirsi coinvolto ideologicamente nelle vicende, può risultare più facile dare un giudiziodi condanna alla violenza di attentati contro innocenti come quello di Piazza Fontana a Milano del 12dicembre 1969 o di Piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974.E, mantenendo l’atteggiamento di distacco che nulla ha in comune con l’indifferenza ma, al contrario,trasforma la memoria in maestra di vita per il tempo presente, può risultare più facile estendere la con-danna a tutti gli atteggiamenti che ostacolano il dialogo fino ad impedirlo.Per esistere, il dialogo necessita di persone che abbiano costruito dentro di sé una diversa visione delmondo, oppure una diversa opinione politica, ma che desiderino che le loro idee si incontrino, per con-futarsi o approfondirsi reciprocamente. Il dialogo muore, quindi, se ad una voce, libera e pacifica, vieneopposta una bomba, il cui rumore ha come unico risultato il dolore e la paura anziché lo sviluppo dellademocrazia.Se il dialogo muore, la democrazia si estingue, soffocata dall’intolleranza. Ed è questo ad ucciderel’Uomo nella sua dignità di essere pensante e nella sua libertà di essere comunicatore. È questa la

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morte peggiore provocata dalla violenza.A distanza di tre decenni, quindi, è possibile ricordare le azioni commesse dai terroristi di qualsiasiestrazione politica (perché la violenza è soltanto violenza, e in quanto tale elimina ogni possibile diffe-renza originaria) e comprenderne i disagi oggettivi cui si sono sentiti in dovere di rispondere: la presuntainsufficienza di risposte da parte del sistema politico per quanto riguarda il disagio denunciato dal ter-rorismo nero oppure le ingiustizie sociali dovute ad una distribuzione non equa delle risorse econo-miche, ingiustizie presenti fin dalle origini della Storia dell’uomo ma esplose nella seconda metà delsecolo scorso forse a causa della maggior consapevolezza raggiunta nei Paesi occidentali grazie al-l’innalzamento del livello medio d’istruzione.Attraverso questo sforzo di comprensione, forse, sarà anche possibile imparare la dura lezione impar-tita dalle stragi degli anni ’70: la violenza non può raggiungere i risultati che si è prefissata, il dialogosì.Conoscere significa acquisire consapevolezza. Conoscere il decennio degli anni ’70, quindi, significaprendere coscienza del fatto che la mancanza o l’insufficienza di chiarezza e di dialogo all’interno diuna società può avere la conseguenza d’indurre qualche persona di natura estremista a sentirsi ab-bandonata e in urgenza d’agire tanto da abbracciare la concezione di violenza come unica soluzioneai problemi del Paese.La consapevolezza permette una reazione: è possibile rifiutare tale concezione sbagliata dell’impegnocivile, così come è possibile contraddire la concezione della storia come lunga sequenza di inutili atro-cità espressa da Voltaire, sostenendo con convinzione che una terza alternativa tra imposizione vio-lenta della propria opinione e rassegnazione esiste, ed è l’atteggiamento di fiducia. Fiducia nel proprioPaese, che va considerato non come un’entità astratta ma come un insieme di uomini, donne, bambini,anziani e cittadini stranieri che condividono un territorio , una storia, una lingua ed un patrimonio cul-turale e che dedicano quotidianamente la loro vita all’impegno per contribuire allo sviluppo nazionale,svolgendo, ad esempio, un lavoro onesto. Fiducia nel sistema politico del Paese che, pur compiendoscelte intorno alle quali è giusto discutere, dal momento che “le divergenze e le espressioni delle di-vergenze costituiscono la base di ogni democrazia” (Hannah Arendt, ‘Le Origini del Totalitarismo’,1951), rappresenta la forma più diretta di collegamento tra cittadini e politica attraverso le periodicheelezioni e l’informazione fornita dai mass media. Fiducia, infine, nel processo di sviluppo culturale edeconomico mondiale, mantenendo un atteggiamento di ottimismo che si differenzia profondamentedall’incoscienza di chi ragiona seguendo comode illusioni ma, al contrario, è dettato da un affetto irri-ducibile per il Paese che rende impossibile ogni disperazione.Appare, quindi, particolarmente significativo ricordare le stragi degli anni di piombo nel corso dell’annodurante il quale ricorre il centocinquantesimo anniversario dell’unificazione italiana. Sembra di ricevereun monito: soltanto difendendo l’unità del Paese è possibile trovare un’identità nazionale nella qualericonoscersi e confrontarsi pacificamente.“Voglio vivere in una città/ dove all’ora dell’aperitivo/ non ci siano spargimenti di sangue/ o di detersivo”cantava Fabrizio De Andrè nella canzone ‘La Domenica delle Salme’, inserita nell’album Le Nuvolepubblicato nel 1990. Appare universale, comune all’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, questo desi-derio di vivere in una società che non sia dominata dalla violenza. Una società nella quale chi si rendecolpevole di un qualche tipo di reato viene arrestato ed alle vittime viene restituita quanto meno laverità riguardo la dinamica dei fatti dai quali sono state colpite, senza ipocriti tentativi di cancellare lamemoria dell’offesa ricevuta ‘lavandola’dalla cronaca così come si lava un vestito sporco. Ciò apparecome un’esigenza quanto mai attuale, considerando che ancora oggi, nonostante i numerosi sforzi daparte della magistratura italiana, non si conoscano con certezza i nomi dei terroristi responsabili distragi come, ad esempio, quella avvenuta sul treno detto ‘Treno del Sole’ il 22 luglio 1970 presso la sta-zione di Gioia Tauro a Reggio Calabria.Prioritario rispetto alla necessità di svelare tali incognite, però, è eliminare ogni dubbio di coscienza ri-guardo gli effetti nefasti dell’intolleranza. Ancora oggi, infatti, con effetti sicuramente minori sulla pub-blica sicurezza ma non per questo più tollerabili, la cronaca è abbruttita dal racconto di episodi diviolenza tra giovani, nati da divergenze politiche che ancora non si è imparato a gestire attraverso il

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dialogo. Ne è un esempio lo scontro avvenuto il 23 settembre 2010 all’ingresso del liceo ‘Manzoni’ aMilano in seguito al volantinaggio di gruppi di destra, esploso in un pestaggio a cui, prima dell’interventodella polizia, è seguito il lancio di un casco e di alcuni sassi, che hanno provocato un trauma cranicoad un ragazzo di 25 anni, membro del partito Forza Nuova.Prioritario, perché la storia del terrorismo che ha oscurato gli anni ’70 non si ripeta mai più, è favorirelo sviluppo di una coscienza nazionale fondata sulla condanna dell’intolleranza, senza eccezioni. Lo svi-luppo in tale direzione della coscienza nazionale non è un’utopia: l’uomo è per sua natura portato a cer-care l’incontro ed il dialogo con i suoi simili. Il filosofo greco Aristotele, nel III secolo a.C. definì l’Uomocome un ‘animale sociale’, consegnando all’umanità la consapevolezza del fatto che la pace non è unavelleità ma una necessità dell’esistenza.Appaiono come un incoraggiamento ed un monito eterni,a seguito di queste considerazioni, i versi con-clusivi della canzone del cantautore DeAndrè precedentemente citata: “Mentre il cuore d’Italia,/ da Pa-lermo ad Aosta,/ si gonfiava in un coro/ di vibrante protesta”. Si potrebbe,infatti,rileggere questi versiinterpretandone l’auspicio di dare vita ad una protesta armata di profonda indignazione, che esplodeattraverso l’irrefrenabile determinazione, comune ad ogni cittadino, a considerare la libertà di pensieroe di parola di ciascuno come l’unica reale vittoria per la quale sia opportuno impegnarsi.La storia insegna, inoltre, che l’intolleranza nasce con maggior facilità nell’intimo di persone che, acausa di uno scarso patrimonio culturale personale o di un contesto familiare poco aperto verso le pro-poste offerte dalla società per ampliare i propri orizzonti (ad esempio la lettura di libri e giornali o l’ascoltodi trasmissioni di approfondimento alla televisione), siano poco stimolate ad ascoltare e comprenderemodalità diverse dalla propria di concepire la realtà ed a ricercare il ‘Bene comune’ come una meta rag-giungibile percorrendo strade diverse. Persone poco stimolate, quindi, a comprendere come il pensiero,politico ma non solo, fondi la propria dignità nella compresenza di varie alternative, tra le quali ogniuomo è chiamato a scegliere secondo la sensibilità individuale. A causa degli stessi limiti che possonofavorire la nascita dell’intolleranza, inoltre, può avvenire un’ulteriore degenerazione di tale atteggia-mento di chiusura, che sfocia nella paura del diverso e, quindi, nella propensione ad annientare coloroche esprimono valori ed opinioni avvertiti come estranei. Ogni persona corre il rischio di cadere in que-sta trappola, dal momento che, come sosteneva il filosofo ateniese Socrate nel IV secolo a.C., perquanto sia vasto il patrimonio culturale che si possiede, esso non sarà mai completo. Ogni persona, in-fatti, è chiamata a sconfiggere nel proprio intimo il demone del pregiudizio a vantaggio di ciò che sentecome diverso da sé. In che modo è possibile sconfiggerlo? Sforzandosi di applicare quotidianamentel’insegnamento impartito dal cantautore giamaicano Bob Marley attraverso i versi della canzone Redem-ption Song, inserita nell’album Uprising pubblicato nel 1980: “Emancipate yourselves from mental sla-very/ none but ourselves can free our minds”, ovvero: “Liberatevi dalla schiavitù mentale/ solo noi stessipossiamo liberare le nostre menti”.All’ipotesi secondo la quale la tendenza alla violenza sia favorita da un’insufficienza culturale, però,potrebbe essere obiettato che i terroristi fondatori dei primi nuclei delle Brigate Rosse alla fine degli anni’60 sono state persone dotate di un’istruzione superiore. Mario Moretti, ad esempio, ha frequentatol’Università Cattolica del Sacro Cuore, Giangiacomo Feltrinelli, membro di una ricca famiglia dell’altaborghesia veneta, nel 1954 fu fondatore dell’omonima casa editrice, Renato Curcio e la sua futura mo-glie Mara o Margherita Cagol, hanno frequentato il corso di sociologia presso l’università degli Studi diTrento. Curcio, in particolare, pur avendo brillantemente superato tutti gli esami, scelse di non laurearsima nel 1967 formò un gruppo di studio denominato Università Negativa, nel quale veniva svolto un ap-profondimento riguardo testi di autori ignorati dai corsi universitari, tra i quali Mao Zedong (presidentedella Cina per il Partito Comunista Cinese tra il 1943 ed il 1976), Herbert Marcuse (filosofo tedesco vis-suto tra il 1898 ed il 1979), Ernesto Che Guevara (guerrigliero argentino, protagonista insieme a FidelCastro della rivoluzione cubana tra il 1953 ed il 1959), Raniero Panzieri (politico comunista italiano vis-suto tra il 1921 ed il 1964), Freud (fondatore della psicanalisi, vissuto tra il 1856 ed il 1939) e AlbertCamus (filosofo esistenzialista, romanziere e drammaturgo francese vissuto tra il 1913 ed il 1960), ap-profondendo con passione anche lo studio del periodo della resistenza partigiana antifascista. È pos-sibile ipotizzare che sia stata proprio la coscienza della condizione umana e dei suoi disagi, acquisita

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negli anni di studio, a sviluppare la volontà rivoluzionaria di questi uomini? “Chi volesse scrivere lastoria del terrorismo italiano in termini di ragionevolezza e di buon senso può rinunciare in partenza”,scrisse Giorgio Bocca, scrittore e giornalista, ex resistente per la formazione ‘Giustizia e Libertà’ (lastessa in cui operò Enzo Biagi), tra le pagine del primo capitolo di Cattocomunismo del libro Il Terro-rismo Italiano. 1970 – 1978, pubblicato nel 1978. Le parole di Bocca sembrano costituire una rispostaefficace alla questione precedentemente posta, sostenendo che non sia possibile spiegare seguendoi tradizionali schemi di ‘causa-effetto’ le ragioni che hanno portato i terroristi degli anni di piombo a com-piere le azioni di cui si sono macchiati. Appare opportuno, quindi, limitarsi ad affermare che la consa-pevolezza dei problemi sociali è un obiettivo che ogni cittadino ha il dovere di ricercare, ma essa smettedi essere un onesto e nobile impegno civile nel momento in cui ammette come soluzione l’uso dellaviolenza.L’affermazione “Non esistono idee sbagliate, ma soltanto modi sbagliati di esprimere le idee”, scrittadal cardinal Carlo Maria Martini nel capitolo ‘Che Cosa Chiedono I Giovani di Oggi?’ all’interno dellibro ‘Liberi di Credere. I Giovani Verso una Fede Consapevole’, pubblicato nel 2009, appare comeun’efficace conclusione di tale riflessione. Il cardinale, infatti, evidenzia l’esigenza, urgente tanto nelcorso degli Anni di Piombo quanto nel 2011, di creare nella nostra società un’educazione rivolta al va-lore e alla difesa della libertà di pensiero e di parola, ricordando sempre che essa può essere soffocata,fino ad essere uccisa, dalla violenza.

BIBLIOGRAFIA

Hannah Arendt, The origino of totalitarism, 1951François-Marie Arouet ‘Voltaire’, Essai sur les moeurs et l’esprit des Nations, 1756François-Marie Arouet ‘Voltaire’, Candide ou l’optimisme, 1759Giorgio Bocca, Il terrorismo italiano 1970 – 1978, Rizzoli Editore, Milano, 1978Carlo Maria Martini, Liberi di credere. I giovani verso una Fede consapevole, ediz. In dialogo Coo-perativa culturale S.r.l., Milano, 2009

Fabrizio De Andrè, La domenica delle salme, album Le nuvole, 1990Bob Marley, Redemption song, album Uprising, 1980

Benedetta Argentieri, Scontri fra giovani davanti al Manzoni, Corriere della Sera, Milano,25 settembre 2010

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Cognome VISCARDINome BIANCAScuola LS “ALLENDE”, MILANOClasse QUINTA

Al di là del pensieroFALLIMENTO DELLE IDEE.

È la mattina del 17 Maggio 1972. Nell’Aula Magna del liceo Visconti di Roma, 400 studenti riuniti in as-semblea esplodono in un applauso entusiasta, colti da un impeto di gioia. Hanno appena ricevuto la no-tizia della morte del commissario Calabresi, assassinato da un commando di ignoti.L’assassinio di Calabresi rappresentava il terribile apice di una campagna diffamatoria nei confronti delcommissario, portata avanti dalla maggioranza della sinistra. Nella lettura dell’opinione pubblica cheseguì l’evento, l’attentato doveva vendicare l’arresto e la morte dell’attivista anarchico Pinelli, innocenteritenuto responsabile della strage di Piazza Fontana e trattenuto per l’interrogatorio nel commissariatodi Calabresi, dove trovò la morte in circostanze misteriose.Non è certo corretto generalizzare e considerare la reazione gioiosa degli studenti del liceo Visconticome lo specchio delle reazioni di tutte le forze di sinistra: una buona parte di esse, che pure inizial-mente si era unita al coro di accuse contro Calabresi, di fronte all’assassinio prese le distanze, indignan-dosi per la violenza consumata e iniziando a rivalutare i toni esagerati assunti dal conflitto.Tuttavia, leggere la testimonianza di FerdinandoAdornato¹, che era tra quegli studenti e, racconta oggicon orgoglio, non se la sentì di unirsi agli applausi, costringe ad una riflessione. Come è successo cheun gruppo di ragazzi liceali sia arrivato ad applaudire un assassinio, considerandolo un atto di giustizia?La situazione sociale e politica nel periodo denominato degli “Anni di piombo” era tale da far apparire,agli occhi di molti, normale e giustificato, se non ammirevole, un atto di violenza che aveva come obiet-tivo l’eliminazione di un singolo individuo.Episodi come quell’applauso, manifestazioni di solidarietà e addirittura stima nei confronti degli assas-sini di un servitore dello stato quale era Calabresi, nonché le posizioni espresse da alcuni articoli redattinei giorni successivi che sciaguratamente giustificavano e appoggiavano l’assassinio, forniscono unchiaro quadro di una situazione che ormai prescindeva da razionalità e umanità. L’atto di violenza eradiventato strumento di lotta, adottato dai diversi colori politici che non si scontravano più sul piano delleidee ma cercavano la propria affermazione con la sottomissione dell’altro.

La nuova generazione degli anni settanta viveva un periodo di diffuso benessere che ne fece una ge-nerazione spesso autoreferenziale, abituata a sopravvalutarsi e a considerare imprescindibili le propriepretese. La fiducia nelle proprie capacità aveva portato i giovani italiani ad importantissime conquistenel campo dei diritti, segnando per l’Italia un periodo di progresso che finalmente la risollevavano dauna situazione di grave arretratezza. Quella sicurezza, tuttavia, generò in alcuni casi narcisismo, inca-pacità di riconoscere i propri limiti, nonché odio verso tutte le posizioni differenti dalla propria. Si vivevauna certa intolleranza all’autorità, qualunque forma essa assumesse. Ciò determinava forte indisposi-zione ad ascoltare opinioni, sentenze o consigli pronunciati in nome dell’esperienza o dispensati da unaposizione di superiorità. Questo sentimento sfociò nella tendenza ad esaltare l’azione rispetto alla pa-rola. La convinzione che la realtà dovesse essere “agita” fu il primo passo verso la degenerazione vio-lenta, laddove l’azione assunse un’importanza primaria, prescindendo dalla riflessione edall’approfondimento preliminare.

Le mobilitazioni del ’68 rappresentarono un processo virtuoso di rinnovamento che degenerò tragica-mente nel periodo tra il ’69 e l’’80. Questa degenerazione ebbe le sue radici nell’allontanarsi del dibattitodalla realtà storica, sociale e politica e l’arroccarsi dei contendenti su posizioni sempre più astratte edestreme. Il fallimento della lotta democratica fu determinato dall’indebolirsi del legame fra le rivendica-zioni e la realtà.

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Gli slogan cominciarono a svuotarsi dei contenuti originari, perché le contestazioni perdevano di vistagli obiettivi concreti da conseguire, concentrandosi solo sulla sopraffazione delle posizioni opposte.Dalla lotta di classe, che portava avanti battaglie sociali per l’abolizione dei privilegi e la garanzia didiritti, si arrivò allo scontro sterile tra fazioni nemiche e minoritarie, non più disposte a confrontarsi sulpiano dei contenuti.Sorsero gruppi che si rifacevano alle idee di grandi pensatori della storia moderna e contemporanea,ma che mancavano di approfondimento e di riferimenti alla realtà nella quale si collocavano.In molti casi, i movimenti politici altro non erano che centri di aggregazione che volgevano l’insoddi-sfazione e le ambizioni di una generazione contro un nemico identificato come il movimento di colorediverso. Questi movimenti proponevano come obiettivo l’eliminazione dell’avversario politico, risultatoche pretendeva di coincidere con la soluzione dei problemi. Raccoglievano consensi soprattutto tra ipiù giovani ed entusiasti ed in generale tra coloro che non si proponevano una riflessione approfonditasu quali fossero le soluzioni migliori per affrontare la questione del rispetto reale dei diritti, le disugua-glianze esistenti nella società e l’inadeguatezza della classe politica di fronte alle esigenze dei cittadini.Il desiderio di rinnovamento e l’ambizione di migliorare la società non furono elaborati per dare originea nuove proposte politiche, nuovi progetti di coesione sociale o di innovazione culturale. Le tensionipositive si tramutarono in malcontento, sfiducia verso le istituzioni, portando moltissime persone ad ab-bracciare ideali generici che sembravano rispondere ad esigenze comuni ma in conclusione si dimo-stravano slegati dalla realtà che pretendevano di migliorare.Spesso, gli ideali erano pretestuosi e l’unico fondamento attorno al quale si riunivano i gruppi eral’odio verso un altro gruppo. Si era nemici a prescindere dal confronto sul piano delle idee. La radicedell’inimicizia pretendeva di risiedere nell’incompatibilità dei modelli di società che proponevano direalizzare; in realtà, nella maggior parte dei casi le organizzazioni avevano da tempo smesso di per-seguire quell’obiettivo, perché troppo occupati a far valere la propria identità a discapito di altri.L’allontanamento dalla realtà è riconoscibile anche nello spostamento della lotta dalle sedi istituzionalie nell’adozione di metodi antidemocratici. Il campo di azione delle contestazioni divenne estraneo alleistituzioni, agli organi di governo e alla politica, la lotta abbandonò i metodi democratici per tramutarsiin terrorismo. Le nuove organizzazioni extraparlamentari non ambivano ad un’azione all’interno dellapolitica locale o nazionale, non avanzavano richieste agli organi di governo, come era stato per lecontestazioni fino ad allora ma si ponevano in netto contrasto con qualsiasi tipo di istituzione, consi-derata un ostacolo alla realizzazione del progetto rivoluzionario. L’ambizione di cambiare le cose si tra-mutò così in aggressività verso l’ipotetico nemico. Questo processo è riconoscibile in molti altri esempiforniti dalla storia e sicuramente occorre interrogarsi su alcune manifestazioni che si possono riscon-trare ai giorni nostri.

VIOLENZA.La comparsa di fenomeni violenti ascrivibili agli Anni di Piombo si può far risalire alle manifestazionidi piazza del 1969, quando queste degeneravano in guerriglia urbana. La prima vittima degli Anni diPiombo è considerato l’agente di polizia Antonio Annarumma, rimasto ucciso a Milano durante una ma-nifestazione dell’Unione Comunisti Italiani, nel novembre del 1969. Una delle date più significativeper questo periodo storico, che segna l’inizio vero e proprio del terrorismo, è il 12 dicembre, giorno du-rante il quale in Italia avvennero ben cinque attentati, tra i quali l’esplosione della bomba in piazza Fon-tana a Milano che causò sedici morti. Le stragi, a partire da quel dicembre, si susseguirono concadenza quasi annuale.Di fianco agli attentati clamorosi e alle stragi di civili, fu portata a compimento una serie continua diatti violenti nei confronti di obiettivi minimi: militanti di partiti e movimenti politici, studenti, manifestanti,sindacalisti, oltre ad agenti delle forze dell’ordine, giornalisti, magistrati e testimoni nei processi controi responsabili degli attentati.Le violenze consumate nel corso di quegli anni apparivano in molti casi inspiegabili agli occhi dell’opi-nione pubblica. Esse devono essere considerate alla luce di due meccanismi che animarono l’estre-mismo negli anni di piombo e ne costituirono il fondamento.

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Il primo era il terrorismo, inteso come strategia del terrore. Suscitare paura divenne l’obiettivo principaledei gruppi violenti, perché l’instaurazione di un clima di terrore nel paese era considerata la stradaverso la presa del potere. Gli attentati contro gli avversari, le stragi di civili, minacce ed esecuzioni con-tro chiunque rappresentasse un pericolo o criticasse le organizzazioni, erano tutte azioni condotte conl’obiettivo di creare insicurezza generale, paura, sfiducia e diffidenza tra i cittadini, imporre la propriaforza, scoraggiare le forme di pensiero alternative, indebolire le istituzioni democratiche.

Il secondo meccanismo in atto nelle organizzazioni violente era la pretesa di fornire un esempio chesarebbe stato colto dalle masse. La convinzione di un futuro appoggio e coinvolgimento della popola-zione era caratteristica delle frange estremiste di sinistra, che consideravano se stessi un’avanguardiadella futura rivoluzione, che sarebbe stata avviata da tutto il popolo quando esso si fosse risvegliato efosse divenuto consapevole dell’ingiustizia della propria condizione. Gli atti violenti, così, ottenevanola valenza di esempi, dimostrazioni di forza per risvegliare le coscienze del popolo oppresso, cheavrebbe dovuto ribellarsi e unirsi all’avanguardia. Questa convinzione era di una certa ingenuità, con-siderato che le minoranze estreme furono da subito isolate da tutti i gruppi parlamentari, criticate anchedai movimenti radicali e, soprattutto, non trovarono appoggio nella maggioranza del popolo, che rifiu-tava l’idea di una rivoluzione da realizzare con la violenza. Tale giudizio è espresso dallo storico Gio-vanni De Luna, il quale parla dell’ambizione delle organizzazioni come dell’illusione che lo scontrorisolutivo con il potere fosse imminente, e aggiunge che quell’illusione era dovuta ad un’interpretazioneingenua di quanto stava avvenendo “nelle pieghe profonde della società Italiana.”

n una lettura particolarmente interessante degli Anni di piombo, lo storico e giornalista Ernesto Gallidella Loggia fa risalire l’origine delle violenze consumate in quegli anni a radici sprofondate nella storiaprecedente del nostro paese. Nell’editoriale per il Corriere della Sera del 21 luglio 2003, egli riconoscenella violenza un elemento di continuità di una “antica tradizione politica nostra di pensiero e di prassi”,della quale gli anni di piombo non sono che l’epilogo e costituiscono “l’ultima, sanguinosa pagina delradicalismo italiano.” Scrive Galli della Loggia, a proposito della tradizione della politica italiana, cheessa è da sempre portata “al gesto esemplare e al colpo di mano, al ruolo esorbitante degli intellettuali,al concepimento di grandi quanto azzardati disegni, e all' idea che questi possano alla fin fine giustifi-care anche la violenza”. In un altro articolo per il Corriere della Sera del 27 aprile 2007, egli riaffermala “presenza storica nella società italiana di un fondo di violenza duro, tenace, che da sempre opponeun ostacolo insormontabile alla diffusione della cultura della legalità”; spiega con queste parole la si-tuazione dalla quale è possibile comprendere i risvolti violenti che ha assunto la lotta politica italiananegli anni di piombo: “La sfera politica italiana è stata segnata profondamente dalla violenza. Sorti allastatualità da un moto rivoluzionario con alcuni tratti di guerra civile, come per l'appunto fu il Risorgi-mento, l'idea che a certe condizioni la violenza sia ammissibile (addirittura necessaria) ha caratterizzatoin modo netto tutte le moderne culture politiche che hanno visto la luce nella penisola, che affondanole radici nella realtà più autentica della nostra storia”.Questo modo di concepire la politica, che l’Italia conosce sin dai tempi del Principe di Machiavelli, se-condo Galli della Loggia ha conosciuto il suo fallimento e il suo tramonto negli anni del terrorismo,tanto che afferma che “nei cosiddetti anni di piombo - complice anche una fase acutissima della Guerrafredda - andò in scena precisamente l' ultimo atto di questa lunga vicenda nazionale”.

UNA GUERRA CIVILE?Spesso, gli anni di piombo sono anche stati definiti una guerra civile. Il presidente della CommissioneStragi, Giovanni Pellegrino, nel suo libro “Segreto di Stato” usa l’espressione “guerra civile a bassa in-tensità” per descrivere il terrorismo durante gli Anni di piombo in Italia. Il termine “guerra civile” fu usatoper identificare quel periodo storico anche in senso più ampio, come nel caso di Galli della Loggia chesi riferisce all’intero dopoguerra italiano chiamandolo “guerra civile strisciante”. Tale definizione ha in-contrato diverse critiche, tra le quali quella contenuta nel libro “L’errore storico di Mitterrand”, curato daMarc Lazar, storico e sociologo all’università di Parigi. In un’intervista alla giornalista Anais Ginori (24

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aprile 2010), Lazar constata che tale espressione si è diffusa rapidamente in Italia come in Francia,dove tuttavia ha avuto un utilizzo discutibile: “Da noi è servita a chi voleva giustificare i militanti diestrema sinistra che partecipavano alla lotta armata. Ho invece cercato di dimostrare che è un' espres-sione totalmente fuori luogo, sbagliata e non condivisa dalla schiacciante maggioranza dei protagonistidei fatti dell' epoca”. Nel tentare di recuperare l’espressione “guerra civile a bassa intensità”, Lazar pro-pone due interpretazioni. La prima è quella di una guerra interna al paese, mirata al controllo politico,come nel caso della guerra Civile Spagnola, Greca o Americana, sottoposta però ad un punto di vistariduttivo. La seconda si riferisce ad una frattura interna che assume le sembianze di una guerra civile,ma solo in senso metaforico.

MEMORIA.Di fronte ad un periodo storico tanto controverso, si pone il problema della memoria: è fondamentaleconsiderare gli avvenimenti di quegli anni nella completezza della loro complessità, tenendo conto ditutti gli aspetti utili alla comprensione dei fenomeni. Nella ricerca di un’eredità lasciata da quella paginadi storia, De Luna affronta la questione del rapporto con le regole e le leggi²: “E' evidente che quel mo-vimento fu autenticamente e profondamente illegale e, a partire dalle occupazioni e dalle forme più in-nocenti, trasgrediva. Ma quali regole trasgrediva?”. Secondo lo storico Torinese, la trasgressione delleregole si verificò in un sistema di norme e convenzioni ancora legate ad una società arretrata, sotto-posto a forti tensioni di rinnovamento, continuamente messo in discussione e per questo magmatico.De Luna propone, inoltre, un recupero dell’affidamento alla politica che caratterizzò quegli anni e della“possibilità di guardare [alla politica] come ad una risorsa, come a qualcosa che serve a tutti e non sol-tanto ad un ceto politico”.Il problema della memoria è stato recentemente risollevato dal caso del terrorista Cesare Battisti, peril quale il Presidente Brasiliano ha negato l’estradizione in Italia.Il periodo degli Anni di piombo non può essere considerato alla stregua di qualsiasi altra storia d’Italia.A quegli anni risalgono episodi emblematici delle contraddizioni del nostro paese. In quel sanguinosodecennio è riassunto il grande interrogativo dell’identità italiana. Il giusto atteggiamento nello studiodegli Anni di piombo è l’approfondimento di tutti gli aspetti della società e della condizione politica dallequale ebbe origine la violenza, approfondimento che deve superare le posizioni emotive, ideologicheo radicali per agire in modo critico. Scrive Galli della Loggia: “Il Paese deve ricordare questa storia ea questa vicenda della sua identità profonda deve apporre il suggello dell' oblio. Non deve già metterepace tra sé e i terroristi, bensì deve pacificarsi con se stesso e con la sua memoria. Lo deve al suopassato”.Siamo chiamati ad un’analisi che coinvolge personalmente tutti i cittadini italiani, poiché riguarda unperiodo significativo per l’identità stessa della nazione e ancora legato strettamente agli eventi del pre-sente.

BIBLIOGRAFIA

¹ Il grande disordine. I nostri indimenticabili anni settanta, Giampiero Mughini

² Liberazione, 31 ottobre 2009Le ragioni di un decennio.1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria, Giovanni De Luna

L’errore storico di Mitterrand, Marc Lazar

L’Italie des années de plomb, a cura di Marc Lazar e Marie-Anne Matard Bonucci

Il Corriere della Sera, 21 luglio 2003 e 27 aprile 2007 It.wikipedia.org

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Cognome ZECCHININome VLADIMIRScuola LS “BOTTONI”, MILANOClasse QUINTA

MORTI PER I FATTI

Molti pensano che ciò che è successo nei famosi Anni di Piombo sia stato causato esclusivamente daideologie estremiste, da un gruppo di esaltati che in preda ad una sorta di delirio hanno deciso di com-battere una loro personale guerra più o meno riconosciuta. Altri ritengono che i fatti di quegli anni fos-sero parte di un complotto dello Stato, volto a tenere sotto pressione la popolazione, e che tutti icoinvolti fossero d’accordo con esso. Entrambe mi sembrano sinceramente delle speculazioni sempli-cistiche e paranoiche, che non tengono conto del contesto sociale in cui si sono svolte.La verità è che lo stato italiano ha dovuto fare i conti con qualcosa che non era in grado di affrontaresenza attuare una forte repressione. Il movimento del ’68 ne è la prova: nessuna dichiarazione o misurache il il governo diramasse è mai riuscita a frenare l’impeto ribelle di una generazione che prendevacoscienza di vivere in un mondo che non gli apparteneva, plasmato su idee che non riconosceva comeaccettabili. Ma per fare un’ananalisi approfondita di questo processo storico, prima di parlare del ’68bisogna fare riferimento ad alcuni avvenimenti e teorie precedenti, che hanno portato al diffondersidegli estremismi di destra e di sinistra.Prima di tutto l’Italia dopo la seconda guerra mondiale si trovò lacerata da numerosi conflitti intestini:il conflitto ideologico tra comunisti (che avevano avuto un ruolo di primo piano all’interno della Resi-stenza)e l’alleanza delle forze democristiane e liberal-democratiche si risolse con la vittoria dei secondi,lasciando a bocca asciutta tutti coloro che speravano in una riforma più radicale del paese; inoltre tuttigli ex-fascisti, avendo subito a loro volta una pesante sconfitta (sotto il profilo ideologico e politico), pro-vavano un forte sentimento di rivalsa e, mentre si preoccupavano di insersi nel nuovo ordinamento delpaese, pensavano a come riuscire a riportare in auge le loro figure, come tornare protagonisti del pa-norama politico. Così lo Stato neonato vedeva al suo interno troppi scontenti che cercavano di ripren-dersi ciò che credevano gli spettasse per riuscire a mantenere un equilibrio a lungo. E questi scontentiriuscirono a sfruttare un momento di scontento generale per attuare le loro strategie di riaffermazioneideologica e politica. La modalità con cui hanno attuato le loro strategie curiosamente è simile, ed èdovuta alle teorie di Gramsci sull’egemonia culturale: egli sosteneva che per riuscire a riorganizzarela società secondo una determinata visione, è necessario riuscire ad ottenere un alto numero di intel-letuali che diffondano l’ideologia attraverso l’insegnamento e la scrittura. Esempio rappresentativo èla scuola di Francoforte, che ha generato l’autore del saggio più incisivo di quell’epoca, Herbert Mar-cuse, che nel suo scritto “One dimensional man” denuncia il processo del consumismo come elemontocon cui il capitalismo ci rende schiavi del superfluo e incapaci di vedere un obbiettivo nella vita che nonsia il possedere più cose possibile. Questo libro ha dato un corpo e una forma alla sensazione di di-sagio sentita dalle generazioni più giovani, che hanno cominciato a cercare un’alternativa di società,ognuno a modo proprio, seguendo anche strade antitetiche rispetto a quella prediletta da Marcuse (inquesto il filosofo marxista non è riuscito a perseguire il suo obbiettivo), finendo quindi per seguire lastrada del neofascismo.Insomma la scena del ’68 deriva da tutti questi fattori, ma in particolare dal disagio sociale avvertito:e come sempre in una situazione di disagio si inseriscono le ideologie. Da ciò derivano tutti i problemidello Stato nel controllare i movimenti che si ispirano a queste ideologie: anche se si è preparati aduna reazione non la si può contenere in modo pacifico se essa è causata da una difficoltà a vivere ilmondo per come è. Il che ha portato i vari governi ad adottare misure estremamente repressive, ordi-nando alla polizia di caricare abitualmente sui manifestanti e inserendo infiltrati nelle varie associazioniprotagoniste della protesta (come ha dichiarato pubblicamente Cossiga un paio di anni fa). Ovviamentead un’azione violenta corrisponde una risposta violenta ed i manifestanti l’attuarono presto, comin-

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ciando ad organizzarsi per resistere alle cariche della polizia, fino ad avere caratteristiche simili a quelledi un piccolo battaglione.La situazione diventò sempre più tesa, sfociando da protesta popolare a quella che alcuni ritengonouna piccola guerra civile, con tanto di scoppio di bombe. Infatti dal 12 dicembre 1969, inizia l’era dellostragismo, o gli Anni di Piombo, un decennio che ha lasciato dietro di sé centinaia di morti, molte di essesenza un colpevole vero o presunto che fosse. Lo stesso attentato del 12 dicembre, avvenuto allaBanca dell’Agricoltura di Milano in piazza Fontana, ha portato a formulare diverse accuse false, tra lequali spicca quella ad Augusto Pinelli.Insomma un velo di nebbia è calato su quelle stragi e difficilmente si giungerà mai ad una verità rico-nosciuta da tutti: troppe le persone coinvolte, troppi gli scenari teorizzati e troppo teso il contesto. Pro-babilmente lo Stato ha una responsabilità diretta in diversi attentati, travolto da una situazione che nonriusciva a controllare, sconvolto da una protesta che metteva in discussione la sua sovranità e, in ge-nerale la società nel suo insieme. E anche se non avesse una responsabilità diretta, ha una colpa difondo: non essere riuscito a frenare il livello della tensione, non è riuscito ad andare oltre alle apparenzee a capire che per quelle persone protestare non era solo l’esaltazione di un’ideologia, ma una neces-sità storica e sociale. Se un’intera generazione protesta significa che dietro quest’ansia di ribellione c’èmolto di più delle semplici convinzioni ideologiche, perché l’unica cosa che può scatenare un putiferiosimile (e molti avvenimenti storici ne sono la prova) può essere un disagio materiale che non permettedi vivere a posto con se stessi. Chiaramente alcune frange di questo movimento di protesta sono finitecon l’andare oltre e diventare associazioni terroristiche che non prendevano di mira solo personaggipolitici importanti, come le Brigate Rosse all’inizio (la qual cosa, anche se non condivisibile, può averesenso), ma causando spargimenti di sangue anche tra la popolazione neutrale ed innocente. Le stesseBR, nel tempo, sono passate dall’evitare di coinvolgere i cittadini comuni ad avere un’atteggiamentosimile a quello della RAF (RoteArmee Fraktion, nota anche come banda Baader Meinhof) in Germania;Ordine Nuovo e i NAR (Nuove Armate Rivoluzionarie), associazioni neofasciste dichiarate successi-vamente illegali per apologia del fascismo, non hanno mai guardato in faccia a niente e nessuno perottenere i loro scopi. L’atteggiamento di queste associazioni fece sì che venissero accusate di nume-rose stragi, anche quando non furono trovate prove concrete, soprattutto in occasioni in cui gravavanoforti sospetti sullo Stato, quasi fossero prese come capri espiatori, o addirittura ci fosse un accordo traloro e lo Stato stesso. Al di là delle speculazioni non dimostrabili, vero è che risulta molto difficilecredere che il governo e i suoi guardiani (ovvero le forze dell’ordine) fossero impotenti o quasi di frontead una simile ondata di violenza. Soprattutto considerando i fondi investiti nell’equipaggiamento di Po-lizia e simili, il continuo creare unità speciali antiterroristiche come il GIS (Gruppo Intervento Speciale)dei carabinieri e il NOCS (Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza) della Polizia, i mezzi a disposizionedi queste unità… Insomma, c’è qualcosa di non chiaro nell’atteggiamento dello Stato in quegli anni.Persino sul rapimento di Aldo Moro ci sono ancora degli elementi non chiariti; tutt’ora non si conoscecon precisione i mandanti di quell’ omicidio.Tonando all’origine del problema, come scritto prima, numerosi processi storici dimostrano che sono idisagi materiali più o meno gravi a scatenare le rivolte: le rivoluzioni francese, russa, americana nesono un esempio, come anche la situazione odierna nel mondo arabo. Per far capire meglio questoparagone è necessario fare un minimo di analisi storica:• La rivoluzione francese è avvenuta grazie alla spinta della borghesia, che essendo la nuovaclasse sociale economicamente dominante incominciò a reclamare i propri diritti politici, stanca di es-sere soggetta ai voleri dell’aristocrazia, che continuava a sovratassarla forte del proprio potere. Ma, no-nostante la necessità di cambiamento della borghesia, la rivoluzione fu possibile solo grazie alcoinvolgimento delle classi meno abbienti, proclamando nuovi ideali di uguaglianza, libertà, fratellanzae democrazia. L’idea del giudicare un uomo per quanto vale e non per nascita fece breccia nella testadei contadini, che appoggiarono la rivoluzione democratica (che ha portato certo un miglioramento,anche se non quanto promesso al popolo).• La rivoluzione americana differisce da quella francese per una questione di territorialità: mentrela borghesia francese si è rivoltata contro una classe dirigente presente nel paese stesso, quella futura

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statunitense è insorta contro la madrepatria inghilterra, che continuava a salassare ingiustamente i co-loni. Anche qui, comunque, il coinvolgimento della popolazione è stato determinante (anche se c’è statoun contributo importante da parte della Francia), per questioni numeriche; avere diverse migliaia di sol-dati pronti a dare la vita è ben diverso rispetto ad averne poche centinaia.• La rivoluzione russa è il caso più emblematico (almeno tra quelli elencati) di insurrezione popo-lare. Infatti non solo si destituì la società di Ancien Règime guidata dallo zar, ma se durante la primafase il processo rivoluzionario prese la strada democratico-borghese, successivamente l’organismocostituito dai soviet riuscì a prendere il potere e spodestare il governo provvisorio capeggiato da Ke-renskij e prendere il potere. Nel periodo immediatamente successivo, sotto la guida di Lenin, le as-semblee popolari continuarono ad avere un ruolo di primissimo piano nel governo del paese, ma dopola morte del leader, quando salì Stalin venne investito del potere politico, i soviet furono svuotati di ogniresponsabilità decisionale, e incominciò il processo che portò all’affermazione del regime stalinista.Anche se le conseguenze sono purtroppo state incredibilmente negative, la società feudale ancorapresente in Russia giunse finalmente alla fine, grazie alla rivoluzione.• La guerra civile ni Libia (perché è questo che sta avvenendo nella sostanza) si sta scatenandodopo un quarantennio di dittatura, in cui Gheddafi ha goduto di tutti i vantaggi scaturiti dai pozzi petro-liferi del paese, lasciando il resto della popolazione in una situazione di miseria. Anche qui come inrussia, se diversi strati della borghesia stanno appoggiando o addirittura partecipando attivamente allarivolta, la protesta è iniziata spontaneamente dalle frange più umili della società, che hanno preso d’as-salto tutti i luoghi del potere possibili, espropriando l’esercito delle armi nei casi in cui è rimasto fedeleal colonnello. Tutt’ora dicerse città della Libia sono sotto il controllo dei rivoltosi, compresi anche alcunigiacimenti petroliferi.• Le rivolte egiziana e tunisina nascono da situazioni simili a quella della libia, anche se i dittatoridi questi stati erano al governo da meno tempo di Gheddafi e, soprattutto in Egitto, mantenevano unafacciata di democrazia. Comunque anche qui il disagio è stato il vero scatenatore del sentimento rivo-luzionario.Si potrebbero fare a ltri mille esempi simili (la rivoluzione cinese, quella vietnamita, quella messicana)e in tutti si noterebbe almeno un dato in comune: un limite di sopportazione superato da parte dellemasse, che non furono più disposte a subire passivamente ciò che altri decidevano delle loro vite. Cosìè stato anche per l’Italia, anzi per tutti i paesi con una situazione simile, durante gli anni dal ’68 in poi;e se queste proteste hanno causato, per svariati motivi già elencati, migliaia di morti, hanno anche co-stretto i vari governi ad acconsentire ad alcune delle richieste della popolazione. Di fronte alla pressionesociale nessuno può avere un comportamento totalmente disinteressato, e questo significa che seanche sono stati fatti dei sacrifici (cosa sicuramente tragica), dopo si è avvertito un sensibile migliora-mento delle condizioni di vita, un aumento dei diritti sociali, un aumento delle possibilità di scelta. I me-todi, gli obbiettivi, le scelte, tutte queste cose sono condivisibili o meno, ma la ragione di fondo è semprela stessa: la mancanza di serenità e felicità. E come ha detto woody allen, “se i soldi non fanno lafelicità figuriamoci la miseria”.In fondo tutti quanti cerchiamo di cambiare il mondo secondo il nostro credo, chi nel proprio piccolo, chisu ampia scala; a livello assoluto non si può dire chi abbia ragione o chi torto, perché a seconda delpunto di vista cambia anche l’opinione. La sola cosa certa è che se c’è un folto numero di persone checerca di cambiare le cose, anche in maniera violenta significa che ci sono delle falle che vanno chiuse.Il modo va trovato, analizzando ciò che è successo in passato, evitando gli stessi processi storici cheporterebbero agli stessi errori. I fatti avvenuti negli Anni di Piombo sono tragici, hanno causato soffe-renza e terrore, ma qualche risultato ne è venuto fuori. Non bisogna mai condannare a prescindere ifatti di un periodo, ma vanno analizzati dall’esterno (ovviamente per chi li ha vissuti è più difficile), alfine di ottenere una propria opinione.Le proteste sono qualcosa che fa parte della società, non si scappa, e se assumono una dimensionetanto grande lo Stato ha il dovere di prenderneconto, e cercare di cambiare le cose. Ovviamente nonè possibile accontentare tutti quanti, ma è meglio tenere conto di una stretta fascia di privilegiati o ascol-tare il lamento di una moltitudine sofferente? Storicamente i governi scelgono la prima opzione, ma

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una strada simile alla lunga porta alla rovina. Certo, anche la seconda scelta comporterebbe enormi conse-guenze, con i privilegiati che toglierebbero il loro sostegno economico mettendo in guai seri il potere politico,ma l’alternativa di una rivolta violenta è forse meglio? Nessuno ha una soluzione in tasca, l’unica cosa da faree ripensare a ciò che è successo tentando di migliorare gli avvenimenti passati. Il domani è imperscrutabile,ma i processi economici non mentono, da una determinata azione deriva una determinata conseguenza pra-tica, che può avere duiverse modalità di espressione ma non cambia nella sostanza. L’unico modo per pre-venire qualsiasi tipo di rivolta sarebbe l’ottenere la serenità e stabilità per chiunque, cosa sicuramente nonpossibile in una struttura come quella capitalista, voltata all’affermazione individuale e ad aumentare la forbicetra classe dominante e classe oppressa. Se è possibile una società che dia la stabilità a tutti non si può sa-pere. Forse un giorno. Banalmente: ai posteri l’ardua sentenza.