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ANNALI DELLA FONDAZIONE PER IL MUSEO «CLAUDIO FAINA» VOLUME XVII ORVIETO NELLA SEDE DELLA FONDAZIONE EDIZIONI QUASAR 2010 ESTRATTO

A. Cherici, "Otium erat quodam die in foro": divagazioni su milizia, paesaggi, danze e cavalieri nella Roma più antica

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Relazione al XVII Convegno Internazionale di Studi sulla Storia e l'Archeologia dell'Etruria, "La grande Roma dei Tarquini", in Annali della Fondazione per il Museo "Claudio Faina" XIX, 2010

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a n n a l id e l l a f o n d a z i o n e

p e r i l m u s e o « c l a u d i o f a i n a »

volume Xvii

orvietonella sede della fondazione

edizioni quasar2010

estratto

Page 2: A. Cherici, "Otium erat quodam die in foro": divagazioni su milizia, paesaggi, danze e cavalieri nella Roma più antica

isBn 978-88-7140-445-5

© roma 2010 - edizioni quasar di severino tognon srlvia ajaccio 41-43 - 00198 romatel. 0685358444, fax 0685833591www.edizioniquasar.it

Finito di stampare nel mese di novembre 2010 presso Arti grafiche La Moderna - Roma

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ArmAndo CheriCi

“otium erAt quodAm die romAe in foro”. divAgAzioni su miliziA, pAesAggi, dAnze

e CAvAlieri nellA romA più AntiCA

otium erat quodam die romae in foro […], legebaturque […] ennii liber ex annalibus. in eo libro versus hi fuerunt: proletarius publicitus scuti-sque feroque / ornatur ferro; muros urbemque forumque / excubiis curant. tum ibi quaeri coeptum est, quid esset proletarius. Atque ego aspiciens quempiam in eo circulo ius civile callentem, familiarem meum, rogabam, ut id verbum nobis enarraret et, cum illic se iuris, non rei grammaticae peritum esse respondisset, “eo maxime - inquam - te dicere hoc oportet, quando, ut praedicas, peritus iuris es. nam q. ennius verbum hoc ex Xii tabulis vestris accepit, in quibus, si recte commemini, ita scriptum est: Adsiduo vindex adsiduus esto. Proletario civi quis volet vindex esto. peti-mus igitur, ne annalem nunc q. ennii, sed Xii tabulas legi arbitrere et, quid sit in ea lege proletarius civis, interpretere”. “ego vero - inquit ille - dicere atque interpretari hoc deberem, si ius faunorum et Aboriginum didicissem” […]. tum forte quadam iulium paulum poetam […] praete-reuntem conspeximus. is a nobis salutatur rogatusque, uti de sententia deque ratione istius vocabuli nos doceret: “qui in plebe - inquit - romana tenuissimi pauperrimique erant neque amplius quam mille quingentum aeris in censum deferebant, proletarii appellati sunt, qui vero nullo aut perquam parvo aere censebantur, capite censi vocabantur; extremus au-tem census capite censorum aeris fuit trecentis septuaginta quinque. sed quoniam res pecuniaque familiaris obsidis vicem pignerisque esse apud rempublicam videbatur amorisque in patriam fides quaedam in ea firmamentumque erat, neque proletarii neque capite censi milites nisi in tumultu maximo scribebantur, quia familia pecuniaque his aut tenuis aut nulla esset. proletariorum tamen ordo honestior aliquanto et re et nomine quam capite censorum fuit: nam et asperis reipublicae tempori-bus, cum iuventutis inopia esset, in militiam tumultuariam legebantur, armaque is sumptu publico praebebantur, et non capitis censione, sed prosperiore vocabulo a munere officioque prolis edendae appellati sunt,

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quod, cum re familiari parva minus possent rempublicam iuvare, subolis tamen gignendae copia civitatem frequentarent. Capite censos autem primus C. marius […] milites scripsisse traditur […]. Adsiduus in Xii tabulis pro locuplete et facile facienti dictus aut ab assiduis id est aere dando1, cum id tempora reipublicae postularent, aut a muneris pro fami-liari copia faciendi adsiduitate”.in un gustoso quadretto di otium urbano, Aulo gellio2 riassume

così quanto alla sua epoca si sapeva in merito alle modalità d’accesso ai ranghi militari - e quindi politici - nella roma contemporanea e an-teriore alle Xii tavole: i termini sono schematici ma, anche in quanto tali, probabilmente verosimili.

riassumiamo le informazioni desumibili dal brano: 1) esistevano nel lessico istituzionale romano molte parole che, pur avendo dato a suo tempo forma giuridica ad aspetti essenziali della struttura poli-tica di quella società (come “adsiduus” e “proletarius”), erano venuti a perdersi d’uso o a trasformarsi di significato con l’evoluzione della società stessa; 2) l’abilitazione alle armi era un tempo riservata a co-loro che avevano capacità economica - gli adsidui -, mentre ne erano esclusi coloro il cui unico apporto alla prosperità dello stato era costi-tuito dalla prole - i proletarii - e coloro che erano censiti solo in quanto liberi esistenti in vita, i capite censi3; 3) all’abilitazione alle armi si concorreva anche per classe d’età: lo stato arruolava infatti anche i non abilitati per censo4, ove vi fosse stata penuria di “juventus” tra gli abilitati; 5) ove il proletarius fosse stato ammesso alla milizia, il suo armamento era a carico dello stato, si basava sullo scutum e non sul clipeo della fanteria pesante di linea5, era destinato alla protezione ravvicinata della città; 5) l’esclusione dalla milizia di una parte del corpo sociale è motivata dal fatto che solo chi ha ricchezze da difende-re può aver un leale interesse alla difesa dello stato.

il punto 1) è l’esito di un fenomeno tipico dell’apparato giuridico-istituzionale di qualunque civiltà evoluta e longeva: l’assetto istituzio-nale della roma tardorepubblicana e imperiale, epoca cui sono rife-ribili la maggior parte delle nostre fonti, doveva apparire vicino - per stratificazione di nomi e funzioni - a quello dell’attuale parlamento inglese, ricco di nomi e ruoli talvolta sopravvissuti al medioevo e co-munque sedimentatisi nella storia istituzionale, senza venir rimossi

1 Cfr. CiC., Rep. ii, 22, 40; Quint. v, 10, 55; isid., Orig. X, 17.2 Gell., Noct Att. Xvi, 10 (cfr. nonius 228l).3 di fatto però, sia le Xii tavole che ennio, come varrone (vedi sotto) sembra-

no conoscere solo i proletarii.4 Sul valore politico di un tale arruolamento, codificato sotto il termine spesso

equivocato di tumultus, vedi CheriCi 1999, p. 205 s.5 su clipeus e scutum e sul diverso schieramento di chi li brandiva: CheriCi

2008, p. 200 ss.

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ma finendo per esser talora svuotati d’una reale valenza politica: da qui certa nostra difficoltà - spesso inconsapevole - nel dare sostanza a nomi e assetti politici che pur crediamo di conoscere - visto che sono alla base dei nostri attuali paesaggi mentali giuridici - ma di cui non conosciamo appieno la genesi, né gli esiti e i valori nella geografia mentale antica: stat Roma pristina nomine, nomina nuda tenemus, verrebbe da dire con Bernardo morliacense (e umberto eco)6. del re-sto, già quintiliano (Inst. v, 10, 63) ammetteva che, da un lato, le partes di cui la repubblica si componeva erano incerte, mentre certe - almeno per lui - erano solo le forme in cui essa poteva essere retta7. C’imbatteremo più sotto in difficoltà di tal fatta.

Proprietà individuale e impegno militare collettivo

il punto 2) propone uno schema di abilitazione alle armi su base economica, quindi del tipo attribuito a servio tullio8 ma di questo assai meno articolato: è stato giustamente sottolineato dal-la critica come la precisa caratura monetale riportataci dalle fonti per il composito arruolamento serviano sia improponibile in età regia, ma il brano di Gellio presenta una codificazione economica più semplice - anche se in parte proposta su base monetale - in cui la società dei liberi è divisa in due gruppi, gli adsidui abilitati alle armi e i proletarii + capite censi non abilitati; si noterà come la duplice denominazione dei “non abilitati” derivi da riscontri econo-mici oggettivi non da valutazioni pecuniarie, mentre deriverebbe da “aere dando” la denominazione del primo gruppo. i non abilitati sono coloro che non vantano altre proprietà che non siano la pro-pria prole o il proprio corpo: possesso quest’ultimo che distingueva lo schiavo dal libero, che è “persona” sede di diritti, in primis alla proprietà, ove la proprietà minima è appunto quella del proprio corpo, e subito sopra, quella della prole, non dotata della proprietà sul proprio corpo in quanto sottoposta, al pari degli schiavi, all’as-soluto potere del pater familias9. forse gellio registra una valuta-zione non “monetale” anche per il primo gruppo: adsiduus è, dice la

6 De contemptu mundi i, 952.7 vedi Catalano 1974, p. 689.8 liv. i, 43; dion. hal. iv, 16 s., vii, 59. il complesso sistema di valutazione

monetale è senz’altro anacronistico, ma reale può esser l’articolazione dello schiera-mento tramandatoci dalle fonti storiche: la situla della Certosa dimostra che nell’etru-ria padana, in epoca grosso modo coeva, si era sviluppato un apparato militare pari a quello attribuito a servio (CheriCi 2008, p. 187 ss.).

9 torneremo sotto su questo aspetto evidenziando il possibile fattore di crisi di tale sistema costituito dalla juventus.

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nostra fonte, omologo di locuples10, che gli antichi facevano deriva-re da “locus plenus” colui che ha molte proprietà (quod tum erat res in pecore et locorum possessionibus: ex quo pecuniosi et locupletes vocabantur: CiC., Rep. ii, 9, 16)11, e infatti, adsiduus dicitur qui in ea re, quam frequenter agit, quasi consedisse videatur (Paul. ex Fest. 9 m): la distinzione economica di adsiduus quindi, può esser-si formata in età premonetale, perché anche in età premonetale si poteva distinguere tra chi individualmente possedeva beni mate-riali e chi non li possedeva.

C’è del resto un’ulteriore prova che l’abbinamento tra proprietà - intesa come individuale possesso di cose - e l’accesso alla milizia abbia costituito un elemento chiave nel progresso politico, economi-co, sociale della comunità romana: sappiamo che l’archetipo storico dei diritti reali - cioè di quei diritti su cui si fonda una società umana che si organizza statualmente - è il diritto di proprietà, cioè il potere durevole, illimitato e da tutti riconosciuto di escludere dall’utilizzo di un bene gli altri appartenenti al proprio gruppo umano. la prima forma di proprietà che ci appare in roma è il mancipium familia-re, cioè il rapporto giuridico assoluto costituito a favore del pater familias sugli elementi della familia stessa, un microrganismo so-ciale, politico ed economico costituito da liberi e schiavi, animali e cose (così il proletarius aveva di fatto una proprietà esclusiva sui figli). Poi, ed è questo un elemento rivoluzionario di discrimine, la proprietà si fa diritto personale individuale, indipendente dalla fa-milia, indipendente dal ricoprire o meno il ruolo di pater familias: tale nuovo rapporto giuridico prende la significativa denominazio-ne di “dominium ex iure quiritium”. sia che Quirites derivi, come sostenevano gli antichi, da “quiris/curis” (lancia)12 e abbia quindi - almeno in origine - una marcata valenza militare, sia da “co-viri-tes”13 - con valenza militare più sfumata, ma non assente -, la paro-la identifica i cittadini romani nella loro individualità di persone e nella loro individuale abilitazione ad accedere alla milizia; un tardo episodio riferito a Cesare, considerato in proposito da alcuni studio-si, sembrerebbe negare - ma solo a una prima lettura - un rapporto

10 Quibus erant pecuniae satis locupletes, assiduos contrarios proletarios (varr. ap. non. p. 67, 25); cfr. de FranCisCi 1959, p. 679 s., niCosia 1986, p. 46 ss.; albanese 1998, p. 22 ss.

11 Cfr. Gell. 10, 5; Paul. ex Fest. 119 m; Quint. v, 10, 55; Plin. Xviii, 3, 3.12 varro, l.l. v, 51, vi, 68; ov., Fast. ii, 477; MaCr., Sat. i, 9, 16; serv., ad Aen.

i, 292; Fest. ex Paul. 43 l. È importante sottolineare qui tale etimologia antica per-ché, anche se non fosse corretta, riporterebbe comunque la parola all’ambito semantico principale entro cui la parola Quirites era sentita nell’antichità, appunto quello delle armi e della milizia.

13 KretsChMer 1920.

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tra mondo della guerra e Quirites14, ma un ben più antico brano dei Commentarii Consulares, riportatoci da varrone, è esplicito: in Com-mentariis Consularibus scriptum sic inveni: «qui exercitum impera-turus erit, accenso dicit hoc: “Calpurni, voca inlicium omnes Quirites huc ad me”. Accensus dicit sic: “omnes Quirites, inlicium visite huc ad iudices”. “C. Calpurni”, cos. dicit, “voca ad conventionem omnes Qui-rites huc ad me”. Accensus dicit sic: “omnes Quirites, ite ad conventio-nem huc ad iudices”. Dein consul eloquitur ad exercitum: “impero qua convenit ad comitia centuriata”» (l.l. vi, 88): sono i singoli cittadini, dotati di un diritto individuale in quanto Quirites, che vengono chia-mati a formare quell’entità collettiva - in cui il diritto individuale e la persona scompaiono - che è l’exercitus15: non c’è opposizione tra i due mondi, ma stretta unione, l’exercitus esiste perché un attimo prima sono chiamati a raccolta le persone abilitate a formarlo, i Quirites. possono così trovare complementarietà logica e istituzionale espres-sioni che oggi paiono ridondanti, ma che erano in antico dense di si-gnificati, fors’anche magici: le formule “Populus romanus Quiritium” o “Populus romanus Quirites”, con l’ultimo membro significativamen-te sempre al plurale, indicherebbero nella loro completezza l’essenza istituzionale, vincente, di quella “società guerriera” che è la roma più antica16: l’individualità del civis, e l’unione del populus in armi, due aspetti basilari del rapporto tra stato e cittadino, tra diritto indivi-duale e diritto collettivo, poi riassunti e resi visibili nel fascio littorio e nella scure, resi possibili anche dall’avvenuta distinzione - già con numa - della condizione di pace e di guerra17, di bellum iustum e di bellum privatum, dalla definizione di un territorio (tempio di Giano, collegi dei salii e dei feziali).

È assai probabile che l’ordinamento schematizzato da gellio non sia nient’altro che quello - più articolato - che l’annalistica attribuisce a servio tullio, forse ad esso più vicino per esser più facilmente appli-cabile in un’economia premonetale. l’uno e l’altro sistema d’accesso alla milizia si basano comunque su proprietà individuali e su doveri individuali: doveri di natura pubblicistica, che dimostrano come lo

14 Sed una voce, qua “Quirites” eos pro militibus appellarat, tam facile circu-megit et flexit, ut ei milites esse confestim responderint et quamuis recusantem ultro in Africam sint secuti (svet., Iul. lXX); vedi anche taC., Ann. i, 42; luC. v, 358; duMézil 1955 pp. 62, 268.

15 utilizzo qui il termine “exercitus” usato dalla fonte: non so se esso corrispon-da al termine che indicava il primo “esercito” della città fondata: forse “populus”.

16 harris 1979; Cornell 1988, p. 89.17 quindi tra una condizione in cui il civis diviene miles e viceversa: prima del-

la ritualizzazione codificata dalla chiusura / apertura delle porte del tempio di Giano, roma, al pari di molte comunità non ancora strutturate statalmente, viveva in una condizione di guerra permanente, con tutto quello che ne consegue sul piano dei diritti individuali e collettivi.

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stato iniziasse a subordinare all’interesse generale i diritti di cittadi-ni considerati nella loro singola personalità fisica e giuridica. L’impe-gno civico più importante, quello militare, non è più assolto su base d’età (la juventus), né territoriale (per tribù), né sulla base di consor-terie (gentes, curie, sodales) ma su basi economiche, basi cioè in netto contrasto con quelle espresse dalle codificazioni sociali precedenti, di cui non determinano la scomparsa ma il progressivo svuotamento di potere e ruolo politico; com’è noto, è probabilmente la particolare congiuntura politica, economica, sociale della roma dei tarquini che fa maturare nel nuovo sistema di arruolamento quella che di fatto è una “rifondazione” dello stato18, e l’atto del censore - cioè di colui cha abilitava nei ranghi dell’esercito censuario - è infatti sentito come un atto di fondazione, un periodico rifondare le basi della città: “urbem condere”, “rem publicam condere”, come sottolineava mommsen19.

Quanto narrato e ricostruito dalla storiografia antica dimostra che il pragmatismo romano avesse compreso come possano esserci fasi evolutive, in una società che da primitiva si struttura in senso statale, in cui le primordiali relazioni di difesa / offesa sottese alla guerra e basate sulla prestanza fisica, sull’appartenenza a un clan, sul fatto etnico o tribale20, sulla “deditio” di sodales, possano venir meno, e la garanzia di un impegno collettivo che metta a repenta-glio la propria vita individuale sia data dall’aver l’individuo stesso un possesso da difendere: è chiaro che parliamo d’una difesa territoriale, non personale e familiare, perché lì entrerebbero in gioco fattori - pure individuali - quali lo spirito di sopravvivenza e l’eventuale man-tenimento della condizione di libero, essendo la prima fonte di schiavi proprio l’attività bellica, l’acquisizione di una “praeda hominum”21.

di una fase pre-censuaria, pre-economica della milizia si ha pro-babilmente ancora un ricordo nel punto 3) del brano in esame, con un richiamo alla “juventus”. per contestualizzare però tale parola, cercando di evitare quei pericoli e quegli stereotipi interpretativi cui abbiamo fatto cenno più sopra, è necessario aprire una lunga paren-tesi.

18 Come tale sentita già dalla storiografia antica che, negli ultimi tre re, sembra ripetere tre fasi precise fasi archetipiche, costitutive ed evolutive di uno stato: Coli 1951.

19 MoMMsen 1871, ii 1, p. 306 s.20 È ben nota l’evidenza offerta dalle tavole eugubine, che comprendono tra i

nemici genti sia umbre che etrusche, ponendo quindi il discrimine su basi tribali, non etniche.

21 la parola “servi”, almeno nella cultura antica, è di pretta origine bellica: sono i prigionieri “servati” e non uccisi in una conquista militare, cfr. Pl., Capt. 557 (raFFaelli - tontini 2002, p. 52); PoMPonius in Dig. 50.16.239.1: Servorum appellatio ex eo fluxit quod imperatores nostri captivos vendere ac per hoc servare nec occidere so-lent; Florentinus in Dig. 1.5.4.2: Servi ex eo appellati sunt, quod imperatores captivos vendere ac per hoc servare nec occidere solent. vedi qui la nota 25.

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Una “antropologia” romana

È noto come la ricostruzione della più antica storia di roma sia il prodotto di una raffinata elaborazione culturale. Se prendiamo uno dei massimi monumenti superstiti su tale argomento, l’opera di livio, possiamo osservare come l’esito finale di tale ricostruzione presenti nel suo insieme un tracciato senz’altro lineare e coerente, forse per-ché le fonti a disposizione hanno consentito allo storico di ripercorrere il succedersi degli eventi nel loro necessario maturare, ma fors’anche perché, soprattutto per le fasi remote, livio ha concatenato i dati su-perstiti seguendo un suo modello evolutivo logico e cronologico: da un punto di vista macrostorico infatti, egli ci propone per la roma delle origini, focalizzate in personaggi, paesaggi e momenti archetipici, le tappe coerenti e fondamentali del passaggio di una comunità primiti-va a forme economiche, insediative e sociali via via più evolute.

È invero improbabile che una tale coerenza storica e narrativa possa derivare direttamente dall’organicità e dalla completezza delle fonti primarie a disposizione degli storici. più probabile invece che tali elementi siano stati assemblati e disegnati sulla base di una linea evolutiva che la cultura romana può aver maturato anche facendo un calco tra la propria memoria e l’osservazione e l’analisi delle strutture sociali, politiche ed economiche delle società con cui roma è venuta in contatto nella sua espansione. in altre parole: la ricostruzione degli storici e degli antiquari romani più acuti presuppone un pensiero “an-tropologico”, una compiuta consapevolezza di tipo antropologico che abbia riconosciuto e fissato le tappe essenziali dell’evoluzione di una società pre- e protourbana. tale consapevolezza può esser maturata per astrazione da quella mentalità pragmatica, normante, classifica-toria tipicamente romana su cui si fonderà tra l’altro un diritto ancor oggi valido; ma può esser stata anche generata dalla capacità di os-servazione etnografica, antropologica delle civiltà e delle culture - a diversi livelli evolutivi - con cui roma è entrata in contatto. in altre parole, sembra di poter rintracciare, nella ricostruzione della roma delle origini, una “antropologia romana” che ha consentito a quella cultura di incasellare notizie, personaggi, situazioni della sua memo-ria, in un continuum logico che difficilmente può essersi conservato nei secoli nella sua consequenzialità e nei suoi elementi concatenati, ma che può esser stato ricostruito sulla base di “calchi culturali” pro-posti da realtà meno evolute - cioè più vicine alla fasi iniziali della storia romana - conosciute, analizzate e comprese nell’ininterrotto espandersi dell’urbe.

vediamo in estrema sintesi quanto tratteggiato da livio per le età remote. dapprima il paesaggio e l’economia ch’egli ricostruisce

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sono quelli propri di gruppi umani dediti alla caccia e all’allevamento semibrado e transumante stagionale: le due aree che captano l’inse-diamento originario, i due paesaggi che per primi ci appaiono - la-vinio, Albalonga - sono relativamente lontani, distinti, ma in dichia-rato rapporto reciproco: credo sia importante sottolineare che i due poli di aggregazione insistono su territori con situazioni di pascolo stagionalmente complementari22. Lavinio - non importa qui definire la natura dell’insediamento - identifica l’interesse per un ambiente climatico e vegetale immediatamente a ridosso della costa, quindi ottimo per i mesi freddi, in cui la temperatura scende infatti rara-mente sotto i 4 gradi, oggi come probabilmente allora23; Albalonga - ovunque la si collochi - controlla lo spalto collinare immediatamen-te sopra l’Ager laurens, l’ambiente di lavinio: le caratteristiche dei suoli e un microclima indotto dal repentino sbalzo di quota (circa 400 mt), con discreta piovosità annua24, garantiscono buoni pascoli esti-vi in una zona salubre, in un periodo in cui l’Ager laurens diviene insalubre: è assai probabile, data anche la contiguità fisica e visiva, che tra i due paesaggi si muovesse la transumanza naturale - non indotta dall’uomo - del bestiame brado vaccino, ovino e suino, tran-sumanza seguita poi dai gruppi umani che in tale bestiame, cacciato prima, parzialmente mansuefatto o allevato poi, avevano identificato un’importante base alimentare prima, economica poi: in un percorso mentale che riassume nella vita di un individuo “fondatore” l’esito di un’evoluzione sociale, economica, culturale di secoli, romolo e remo ci appaiono dapprima dediti alla caccia e alla cura del bestiame (liv. i, 4, 4). il mondo in cui si muovono registra frequenti scontri tra tribù vicine, un fattore endemico in tutti i gruppi umani dediti alla caccia o all’allevamento semibrado, privi perciò di confini e di efficaci forme di controllo di un territorio che viene scelto dagli animali, non dagli uomini; in questo mondo si muovono i latrones (liv. i, 4, 9) esterni al bellum iustum25, che apparirà con la città, con la certezza di territo-rio, di confini e di riti (Feziali).

22 si ricordi che gradienti termici che oggi leggiamo come minimi, erano in un’epoca non lontana di grande importanza: una diversa temperatura stagionale anche di pochi gradi era ben percepibile per popolazioni che non avevano i nostri standard di vita, così come per bestiame non stabulato.

23 Dati Ufficio Centrale di Ecologia Agraria, stazione di Borgo San Michele. pur in un ipotetico alternarsi di fasi climatiche calde e fredde, la temperatura doveva rimaner mite anche in antico, oltre che per la quota anche per l’effetto termoregolatore del mare e della palus laurentia, un corpo d’acque non trascurabile visto che presen-tava più i caratteri della laguna che della palude.

24 CiCCaCCi et alii 1987.25 espliciti in questo i giuristi: PoMPonius in Dig. 50.16.118: ‘Hostes’ hi sunt,

qui nobis aut quibus nos publice bellum decrevimus: ceteri latrones aut praedones sunt; ulPianus in Dig. 49.15.24: Hostes sunt, quibus bellum publice populus Romanus de-

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traccia di una realtà politica immediatamente preurbana è pro-babilmente sedimentata nella memoria della tre tribù genetiche. la tribù raggruppa individui altrimenti collegati in sottostrutture: fami-glie elementari e allargate, lignaggi, clan, confraternite cerimoniali e militari; in questa unità politica prende forma e forza un’identità territoriale: sia nella società nomade che in quella agricola lo spazio è concepito come riserva di risorse alimentari, l’organizzazione in tribù contribuisce a render più necessarie, e quindi più certe e difendibili tali risorse: da qui i contatti politici tra comunità diversamente collo-cate che intravvediamo nel fondarsi di roma, gli scontri che, proprio grazie all’identificazione dell’altro, contribuiscono al prender consa-pevolezza di sé e quindi alla definizione dello stato; con il rito feziale della lancia piantata sul territorio nemico si ha una prima codifica-zione, attraverso un atto preciso, pregnante, del concetto di confine: nel momento in cui il territorio è incluso tra i rapporti politici essen-ziali, il primo percorso di trasformazione in senso “urbano” di una comunità può dirsi concluso: causa della guerra non è più un contatto occasionale di pastori o cacciatori, oggetto della guerra è divenuto un territorio definito, o quanto accade in un territorio definito, e di questo “stanzializzarsi” della guerra rimangono tracce fossili anche nella ritualità dei salii, col divieto imposto loro di cambiar casa, per un mese, dopo ogni sacrificio (Pol. XXi, 13, 10).

Anche i paesaggi sociali precedenti alla fondazione di roma sono credibili: le donne vi rivestono un’importanza notevole, basti ricordare le figure di Lavinia, Carmenta, Rea Silvia, Egeria, basti ricordare che le curie della città fondata avrebbero preso nome - se-condo le fonti - dalle sabine rapite (liv. i 13, 6): è questo un elemen-to proprio di una fase in cui l’economia di raccolta e l’agricoltura della zappa, attività femminili in quanto fisicamente sostenibili per la donna e compatibili con l’allevamento della prole, sono essenziali per la sopravvivenza del gruppo, e la donna è colei che, stazionando intorno alla capanna e all’insediamento, finisce per identificarsi in essi: è il focolare, cui l’uomo fa ritorno dopo le lunghe assenze impo-ste dalla caccia e dall’allevamento semibrado. tali attività, tali ruoli, vengono drasticamente ridimensionati dall’avvento dell’agricoltura arativa e d’impianto, che richiede costantemente la forza dell’uomo e quindi lo stanzializza26: donne ricompariranno infatti con un im-

crevit vel ipse populo Romano: ceteri latrunculi vel praedones appellantur. et ideo qui a latronibus captus est, servus latronum non est, nec postliminium illi necessarium est: ab hostibus autem captus, ut puta a Germanis et Parthis, et servus est hostium et postliminio statum pristinum recuperat: solo il bellum iustum portava dunque una regolare forma di schiavitù.

26 CheriCi 2005, p. 129 ss.

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portante ruolo politico ben più tardi, nel momento dei giochi dinastici della monarchia matura.

l’apparire dell’insediamento umano stabile a roma è preceduto dalle tracce di una frequentazione27 richiamata dalla possibilità di più facile attraversamento assicurato dall’isola tiberina, ed è ancora per la presenza di tale attraversamento che possiamo spiegare il lo-calizzarsi di culti totemici e/o profilattici incentrati sul lupo là dove la presenza di tale predatore era naturalmente più assidua e/o temuta: il punto di guado e/o di abbeverata del bestiame, ove i lupi apparivano più frequentemente per le maggiori possibilità di agguato ad animali che avevano, tra l’altro, una via di fuga sbarrata (il fiume). Ancora un paesaggio fisico perfettamente ricostruito trasportando nell’Urbe caratteri di natura selvaggia rilevati altrove è il ricordo delle aree golenali lungo il tevere, in cui vengono abbandonati i gemelli (liv. i, 4, 4).

Il costituirsi di un insediamento stabile è incentrato sulla figu-ra di romolo. lo stanzializzarsi è conseguenza e stimolo insieme del possesso stabile della terra, possesso stabile che diviene una necessi-tà con l’avvento dell’agricoltura arativa28: non è un caso che romolo sia colui che traccia il solco con l’aratro e colui che spartisce le terre in singole proprietà affidate a un pater familias.

elemento primitivo di stanzializzazione è anche la presa di co-scienza della penuria di donne e la loro acquisizione per rapimento: si può considerare il ratto delle sabine come una leggenda29, ma il ratto di donne al fine di dar corpo a gruppi umani a prevalenza maschile che intendono rafforzare la loro pressione sul territorio, o creare vin-coli con realtà viciniori, è cosa attestata storicamente, archeologica-mente e antropologicamente30.

Altro segnale del passaggio dalla caccia e raccolta all’agricoltura arativa, seminativa e d’impianto è l’interesse per i punti cardinali (quindi per i traguardi sull’orizzonte dell’anno solare) sotteso al rito augurale che insedia numa31; il calendario a lui attribuito avvicina

27 Aventino, pronipote di silvio, sarebbe stato sepolto sul colle cui darà poi il nome (liv. i, 3, 9); il rito dei lupercali è già presente sul palatino all’atto della fonda-zione (liv. i, 5, 1).

28 CheriCi 2005, p. 133 ss.29 f. zevi in CristoFani 1990, p. 149.30 esempi di rapimento selettivo di donne e bambini sembrano esser archeolo-

gicamente attestati in europa già dal neolitico: eisenhauer 1999; in età storica, note-voli sono le affinità con il rapimento, durante una festa, delle fanciulle di Silo da parte dei giovani della tribù di Beniamino (Giudici XXi 19) un fatto collocabile subito prima del regno di saul; ma la pratica continuerà anche nella tarda antichità e nel medioevo, presso i goti (siMeK 2003, p. 229), e nel mondo arabo (Corano iv 25). Cfr. anche herod. i 146; aristot., Polit. 1268b; Plut., Lyc. Xv.

31 liv. i, 18, 7.

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la computazione lunare a quella solare di dodici mesi: abbandonando progressivamente la pratica della raccolta e puntando sulla semina di piante alimentari annuali è vitale l’esigenza d’identificare con cer-tezza quei momenti dell’anno solare in cui è tassativo compiere azioni non ripetibili e fondamentali quali l’aratura e soprattutto la semina: eventi che, a fronte di una scarsissima resa seme / prodotto32, non possono fallire per un non corretto apprezzamento del calendario cui soggiace il ciclo delle messi, appunto quello solare. il consolidarsi di un’economia agricola è sottesa alla terminatio catastale di numa33, mentre la definizione numana dei collegia34, nella distinzione del sa-pere e del saper fare, è un ulteriore punto nel processo di definizione e diversificazione economico-sociale di una comunità.

Abbiamo visto sopra come il contatto e lo scontro con altre comu-nità siano necessari per ogni gruppo umano alla maturazione di una propria consapevolezza politica, di una propria identità. Con numa i riti sanciscono una distinzione tra lo stato di guerra e lo stato di pace: l’emancipazione della comunità da una condizione endemica di guerra permanente, propria delle fasi preurbane di qualunque società in via di strutturazione35, favorisce la distinzione tra due condizioni opposte di relazione politica interna: quella del civis e quella del miles. non è un caso quindi che già tra gli attori della danza saliare compaiano i protagonisti politici della città di piena età storica: praesul è colui che dà il ritmo, i passi e il tracciato al gruppo dei danzatori, suo accolito è il consul, e colui che dal gruppo si pone fuori è l’exul36.

Chiudiamo qui la nostra parentesi: una disamina necessariamen-te sommaria che ci ha permesso di osservare come tutti gli elemen-ti, tutti gli scenari tramandatici per le origini dell’urbe dalla storio-grafia romana rientrino in un processo evolutivo credibile, coerente, possibile, forse antropologicamente ricostruito allora e forse antropo-logicamente ricostruibile oggi: seguendo una coerenza evolutiva che riscontriamo verosimile ove le fonti e la documentazione archeologica ci soccorrano, possiamo forse ricostruire momenti e meccanismi non completamente tramandati, o proporre un significato per significanti che hanno perso o trasformato nel tempo il loro senso originario.

32 de Martino 1980, p. 5.33 Plut., Numa Xvi; Gabba 1996, p. 231 ss.34 Plut., Numa Xvii, 3; Plin., Nat. Hist. XXXiv, 1, 1; XXXv, 12, 159; g. Co-

lonna in Civiltà del Lazio Primitivo, roma 1976, p. 28 s., aMPolo 1980, p. 176 s.35 Weber 1961, p. 468, vedi anche p. 671 ss., ii, p. 393 s.36 MoMMsen 1871, ii, p. 74 ss.; sMith 1875, s.v. Consul.

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Dalla juventus al populus

le fonti dichiarano esplicitamente che, nella roma delle origini, tutti erano abilitati alle armi37, e questo è infatti riscontrabile in qua-lunque gruppo umano che - specie se in condizioni di oligantropia38 - debba garantirsi un proprio ambito territoriale. l’unico discrimine doveva esser quello - naturale - dell’età: la juventus39, di cui abbiamo visto rimaner traccia anche nel brano di Gellio. Credo significativo che i fatti sia “bellici” che parapolitici anteriori a tullo ostilio siano condotti da juvines e dalla juventus40. Con tullo ostilio la juventus appare poi abbinata con il termine exercitus41. l’avvenuto ordina-mento su basi censuarie - o comunque di possesso - attestatoci in età serviana, relega i juvines a ruoli esterni all’esercito42, ma la juventus rimane un gruppo di riferimento, anche politico: in liv. i, 39, 4 è dalla juventus che dovrebbe provenire il nuovo re (che sarà poi tarquinio prisco); in i, 54, 2 è sesto tarquinio che con i juvenes di gabii com-pie scorrerie nel territorio romano; in i, 59, 5, juvenes e juventus di Collatia seguono in armi Bruto contro roma: livio, nello scorcio del periodo monarchico, non attribuisce più alla juventus ruoli milita-

37 dion. hal. ii, 5; Plut., Rom. 13.38 oligantropia evidenziata dal mito (?) del ratto delle sabine.39 Com’è noto, un’analoga leva di armati per età doveva esistere anche in

ambito italico, ov’era indicata con i nomi di vereia, verchias, iovie, iuvila. È senz’al-tro ipotizzabile che la pratica del “ver sacrum”, tradotta dai romani in “primavera sacra” - per il suo coinvolgere una giovane classe d’età e per il valore della parola “ver” in latino - sia in diretta relazione con vereia, intesa come juventus. le testi-monianze inerenti la vereia / iuvila italica offrono una certa ambiguità tra valore militare e valore politico e sembrano talora riferirsi a gruppi mercenari; sono scenari insiti in quanto possiamo supporre per la juventus romana: dapprima il termine può aver indicato la leva indifferenziata degli iuvines in grado di cacciare, combattere, proteggere il bestiame poi, con il modificarsi delle basi economico-sociali del gruppo umano e il definirsi di un rapporto tra abilitazione militare e abilitazione politica, il termine perde progressivamente una valenza collettiva marginalizzandosi rispetto al panorama istituzionale, visto che le nuove forme di accesso alla milizia vertono sull’appartenenza prima, sul dato economico poi; essendosi ridotto in tal modo il ba-cino umano da cui attingere i ranghi militari, il periodo del servizio in armi per il singolo individuo abilitato deve allungarsi, determinando quindi la scomparsa di un marcatore d’età per l’esercito (sostituito a roma da “populus”). il ricordo di un ruolo, militare e politico, rimane però impresso nel termine, con il quale vengono talvolta indicati dei gruppi “politici” marginali all’ordinamento statale, salvo tornare - dopo uno specifico intervento di riorganizzazione di Augusto - a un dichiarato valore mili-tare con l’onoreficenza - simbolica - di princeps juventutis, che i tipi monetali impe-riali riconducono all’ambito delle armi (della Corte 1924). sulla vereia, intesa come compagnia di ventura: taGliaMonte 1989; PoCCetti 2000; de Juliis 2001 p. 64 ss.; sulla iuvila: CristoFani 1995, p. 108.

40 liv. i, 4, 9; 5, 4; 5, 7; 6, 1; 2; 9, 10; 12, 9; 14, 5; 31, 5.41 liv. i, 25, 3; 26, 1 s.42 liv. i, 43, 1.

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ri istituzionali, ma ne ravvisa il persistere di una valenza politica e identifica con essa gruppi in armi esterni a prassi istituzionali43.

ma la società romana più antica è passata direttamente da una leva per classi d’età a una leva censuaria, senza fasi intermedie? im-probabile, perché - teoricamente - nella leva per classi d’età entrano tutti i liberi, indipendentemente dalla loro capacità economica: tutti i liberi avrebbero avuto quindi, in una realtà urbana ormai struttura-ta quale la prima roma monarchica, e per un periodo relativamente lungo, uguali diritti politici. Ancora: nell’istituto della juventus sono i germi di contrasto per una società basata sulla familia e sul potere assoluto del pater familias; è il pater familias che ha esclusivo diritto di proprietà sulla sua prole, ma il ragazzo che, per età, entra nella juventus, è di fatto sottratto al dominio paterno: entra in un gruppo in cui forse - e probabilmente - non ha dignità di persona, cioè di individuo sede di diritti, ma risponde a un’autorità che non è quella paterna, risponde a un bisogno della comunità: il diritto individuale e assoluto del pater familias viene meno, a favore di un interesse collet-tivo, e questo di fatto dà una dignità giuridica altrimenti impossibile al ragazzo in armi, al gruppo dei ragazzi in armi: indizia da un lato il prevalere dell’interesse dello stato sui diritti individuali, dall’altro mantiene a lungo il carattere di gruppo politico - o parapolitico - po-tenzialmente eversivo.

torniamo qui al problema dei molti nomina nuda tramandatici, delle molte possibili funzioni, e dell’oggettiva difficoltà a dar loro un contenuto, una prospettiva storica. di più: la ricostruzione storiogra-fica romana sembra non cogliere, descrivere, questa fase intermedia, forse perché tale fase non è mai esistita - e quindi quanto andrò a pro-porre più sotto è puro esercizio letterario - o forse perché gli aspetti e le molteplici fasi del passaggio da una leva indistinta per età (la ju-ventus) a una leva selettiva per censo (gli adsidui di gellio), rientrano tra quelle unicità che hanno consentito a roma una progressiva e inarrestabile supremazia militare su realtà che, anche partendo talo-ra da situazioni socio-economiche affini, hanno dato loro esiti politici - e militari - meno validi; unicità che, proprio per non esser riscontra-bili in altre realtà, non hanno potuto esser riconosciute a posteriori dagli storiografi romani, e beneficiare quindi di quei calchi antropo-logici che - se è vero quanto sopra proposto - avrebbero permesso la collocazione di tasselli della memoria romana in un quadro coerente, sia evolutivo che narrativo.

mi spiego: i giovani di roma, come di altri centri latini, sono tal-volta denominati - successivamente e con minor frequenza rispetto a

43 un po’ come, in ambito italico, accadrà con la vereia, vedi alla n. 39.

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juventus - con un altro marcatore d’età, “pubes”, che i linguisti met-tono in rapporto con populus (inteso come gruppo degli abilitati alle armi) e publicus44. se il nesso tra queste parole è sostenibile, avremmo in populus l’esito di un processo in cui l’accesso a un gruppo distinto per età assume spessore politico: in estrema sintesi, il pubes è par-te del populus e tale fatto assume valenza politica collettiva in seno allo stato, come attesterebbe il nesso con publicus: e anche questo è un passaggio plausibile, in quanto il gruppo di juvines si emancipa dalla proprietà del pater familias in funzione dell’interesse collettivo (da qui il significato successivo di “publicus”) che riveste il gruppo stesso45.

se è possibile quindi ipotizzare un passaggio tra juventus e popu-lus - vedremo poi come motivato - potremmo aggiungere una chiave interpretativa a un altro dei nessi semantici costitutivi dello stato romano: senatus populusque. È noto che qui populus non è, come indurrebbe in errore l’evoluzione del significato della parola, la plebs opposta al senatus: il tribunato della plebe, infatti non enim populi, sed plebis […] magistratum esse (liv. ii 56, 12), e l’opposizione popu-lus/plebs era ben nota in antico46. la diade senatus populusque - in sostituzione di un non attestato “senatus Juventusque” di fase preur-bana - completerebbe la definizione dell’entità politica cittadina, fatta di senes - parola che dapprima potrebbe marcare semplicemente i rari anziani sopravvissuti alle guerre e alla vita, poi i patres47 - e di quanti sono partecipi alla vita del gruppo in quanto in armi, prima su base di età (la juventus), poi perché accomunati dal diritto a una piena abilitazione politica (il populus)48: visto che la plebs è originariamente composta da coloro che gentes non habent, l’opposizione populus/plebs

44 benveniste 1955; ColaClidès 1959; Morel 1964; taFaro 1989.45 Un’ultima riflessione: un istituto esterno alla familia che ottimizzi l’impe-

gno militare a interesse collettivo dei giovani atti alle armi è necessario anche per coprire un vuoto funzionale e documentale che altrimenti si creerebbe. se la prole è di propietà del pater familias, occorrerebbe immaginare un impegno militare gestito dai singoli patres a capo dei rispettivi figli atti alle armi: situazione non documentata e oggettivamente difficile da attuarsi nella realtà. Doveva quindi esistere una forma di delega del comando di giovani, non ancora investiti di personalità giuridica e momen-taneamente svincolati dall’autorità paterna.

46 sordi 2005.47 Centum creat [Romulus] senatores, sive quia is numerus satis erat, sive quia

soli centum erant qui creari patres possunt (liv. i, 8, 7), dove “patres” può riferirsi al pater familias o, più probabilmente, al pater gentis.

48 nel populus infatti non entrano soltanto i giovani (ProsdoCiMi 1979, p. 196). e questo è naturale, perché il restringimento della leva su criteri esterni all’età riduce-va inevitabilmente la base di “arruolabili”, per cui si doveva alzare l’età della milizia, accogliendo insieme ranghi di guerrieri più esperti, perché più anziani, probabile spun-to per la diversificazione di abilità e armamenti sottesa alla riforma serviana dell’eser-cito.

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può farci identificare nel populus gli abilitati alle armi in quanto in-terni a un sistema socio-economico che nel frattempo si è sviluppato, quello gentilizio.

Ad avallare tale ipotesi vorrei sottolineare tre punti: 1) se è vera l’equazione mastarna / servio tullio, il giro di boa che porta il cri-terio distinguente per l’abilitazione militare - e politica - sul censo, negando quello gentilizio, è provocato da un subalterno interno al si-stema gentilizio, al sistema del populus: Mastarna è un sodalis fide-lissimus49, e il suo nome sembrerebbe derivare da un aggettivo, l’esito di un magister-na*50, un subordinato al magister populi; 2) quando il sistema serviano sembra esser messo in discussione con il passaggio alla repubblica, uno degli attori è publio valerio publicola, il poplios valesios attorniato da sodales del lapis satricanus51, che nell’agno-men dichiara la sua contiguità con l’esercito preserviano: il populus; 3) il sistema serviano, il sistema degli adsidui, è l’esatta negazione del sistema gentilizio, in quanto basandosi su valutazioni economi-che individuali, nega l’essenza di quel sistema economico; 4) l’esercito gentilizio ha continuato a vivere parallelamente a quello censuario, avendo però perso il suo valore pubblico (l’evoluzione della parola pu-blicus si staccherà infatti definitivamente da tale contesto e signifi-cato, come pure la parola populus); anche il bellum iustum si separa dalla sfera gentilizia: i fabii al Cremera combatteranno un bellum familiare (liv. II, 48, 9), il cui esito paradigmatico sancisce la fine di un’epoca.

quali le ragioni di tali cambiamenti?, e perché tali cambiamenti - senz’altro uniti ad altri fattori che non è mio scopo qui evidenziare - portano roma a un durevole successo militare?

In una società non ancora definitivamente stanzializzata la ju-ventus - i giovani uniti dall’unico discrimine della capacità fisica - caccia, pascola, protegge il bestiame nel suo spostarsi naturale o in-dotto, compie razzie, assicura insieme la sopravvivenza alimentare e la sicurezza a un gruppo umano fatto di donne, molti impuberi e rari anziani; lo stanzializzarsi del gruppo è legato a una trasformazione economica che pone in primo piano la coltivazione della terra e l’al-levamento non brado: attività maschili e specializzate che distolgono molti elementi dall’esercizio delle armi, o meglio, di quelle attività economiche che avevano nell’arma un suo strumento. mi spiego: un cacciatore ha quotidianamente in mano un’arma, non così l’agricol-tore, che l’arma finisce per non saper più usare, perché non più stru-

49 vedi qui la relazione maras.50 Pallottino 1993, p. 245 ss.51 breMMer 1982.

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mento quotidiano; da qui la minore capacità bellica - osservabile in ogni tempo e ad ogni latitudine - di un popolo di agricoltori rispetto a uno di cacciatori / pastori. Lo stratificarsi della società consentito dal-lo sviluppo del concetto di proprietà (i bina iugera romulei)52 e dallo specializzarsi in abilità diverse (i collegia di numa), determina una diversa selezione degli elementi che si dedicano alle armi: la forza fi-sica della juventus serve ora all’aratro, e l’allenamento alle armi non si ottiene più con una attività economica acquisitiva quale la caccia, perché essa ha perso la sua essenzialità alimentare, la sua esclusivi-tà53; in altre parole, chi si dedica alle armi deve - e/o può - distogliere tempo dalla produzione primaria, deve - e/o può - emanciparsi dalle quotidiane attività acquisitive. È questo uno dei passaggi più com-plessi e oscuri nelle società antiche, perché porta di fatto alla creazio-ne di una classe politicamente egemone che nella gestione esclusiva delle armi e nella normazione dell’accesso a esse trova il suo durevole punto di forza. passaggio complesso perché gli elementi in gioco sono molteplici; oscuro perché sempre e ovunque le classi egemoni - che detengono poi la memoria storica - hanno preferito motivare l’origi-ne della loro egemonia con eventi divini, con diritti e consuetudini ancestrali, comunque slegati dalla materialità del quotidiano. nella storiografia romana il vuoto documentario si spiega forse anche con un altro fattore, che vedremo più sotto.

per ricostruire alcuni aspetti materiali del sistema politico-mili-tare legato alle gentes, analizziamo l’inizio dello scenario successivo, quello della leva su base economica, per cercar di capire gli scenari materiali che da tale sistema vengono superati. Abbiamo visto come le soglie monetali della classis serviana siano improponibili per l’età regia, ma per un livello cronologico - e politico-sociale - quasi contem-poraneo e per certi versi affine abbiamo delle valutazioni ponderali che ci possono aiutare: le fonti greche c’informano che nell’Atene di solone il livello di ammissione ai ranghi militari e ai pieni diritti po-litici era di 200 medimni, equivalenti a 8 tonnellate di grano, o 6,5 tonnellate di orzo: quantità sufficiente a nutrire - in un anno - 10-15 persone; con tali valori, anche tenuto conto della presenza di elementi improduttivi (vecchi e impuberi), rimaneva comunque un surplus ali-mentare (e quindi economico) che permetteva a un singolo elemento (l’oplita soloniano) di acquisire a proprie spese un’armatura, di allon-tanarsi dalla produzione primaria sia per l’esercizio quotidiano alle armi (maneggio di esse, affiatamento ai movimenti in linea con gli

52 su proprietà ed economia dell’aratro, vedi ancora CheriCi 2005, p. 129 ss., con bibl.

53 CheriCi 2005, p. 137 ss.

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altri opliti, mantenimento della forma fisica), sia per la guerra (con l’allontanamento del soggetto dalla possibilità di produrre54, e con le spese individuali del mantenimento lontano da casa). Ancora fonti greche ci dicono che, nel v sec., con un esercito più strutturato e in grado di porre a carico della collettività alcune spese, l’oplita medio era un buon artigiano55, o il proprietario di 4-6 ettari di terra (quindi 16-24 iugeri)56. per il latium vetus Ampolo57 ha calcolato in 7 quinta-li a ettaro la resa del farro: per arrivare alle 8 tonnellate di un oplita attico di epoca soloniana occorrerebbe quindi una proprietà indivi-duale utile, totalmente produttiva, di 11 ettari, cioè almeno 40 iugeri interamente coltivabili. possiamo considerare fattori correttivi quali la diversa fertilità dei suoli, la piovosità, la qualità del seme, possia-mo considerare l’alea di calcoli difficili, ancorati a dati scarsi e incer-ti, ma gli ordini di grandezza tra la realtà ateniese e quella romana appaiono in ogni caso molto distanti: per roma, parlando di possessi individuali, andiamo dai bina jugera delle assegnazioni romulee, ai 10 iugeri che si raggiungono solo con le assegnazioni ai veterani di Cesare; 7-8 iugeri riescono a mantenere tre-quattro persone, quindi una famiglia nucleare minima, senza i margini per emancipare un adulto valido dal lavoro primario. Anche l’analisi dell’estensione di terre necessarie ad assemblare uno schieramento valido porta qual-che problema: affrontiamo qui argomenti numerici basandoci su una documentazione scarsa e d’incerta affidabilità, ma prendendo per buoni i numeri dell’esercito gentilizio dei fabii al Cremera - 306 - avremmo, su una base d’arruolamento individuale, un territorio col-tivabile a cereali di oltre 3300 ettari (33 kmq): essendo teoricamente i terreni seminativi dell’agro romano pari a meno del 50 % del totale58, avremmo una superficie in proprietà di 6600 ettari (66 kmq), pari a 1/7 dell’ager romanus antiquus calcolato dall’Alföldi59, 1/12 di quello calcolato dal Beloch60: non propongo tali dati come valori assoluti, desidero però evidenziare come essi siano fuori scala, evidenzino un sistema di gestione del territorio necessariamente diverso da quello della proprietà individuale. l’analisi storica ha da tempo sottolineato che ai bina jugera romulei, assolutamente insufficienti per la soprav-

54 Salvo il beneficio del bottino, che però era una possibilità, non una certezza.55 van Wees 2009, p. 99.56 JaMeson 1978, p. 125 e passim; Gallant 1991, p. 82 ss.; burFord 1993, p. 67

ss:, 113 ss.; van Wees 2009, p. 99. per sparta gli studi di hodkinson parlano di 15-20 ettari, ma l’oplita spartano doveva sostenere la famiglia servile e contribuire ai sissitia: van Wees 2009, p. 101 e n. 33, con bibl.

57 aMPolo 1980, p. 25 ss., con fonti e bibliografia.58 aMPolo 1980, p. 26.59 stimabile in circa 430 kmq: alFöldi 1976, p. 202 s., con bibl.60 stimabile in circa 820 kmq: beloCh 1926, p. 169 ss.

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vivenza di un nucleo familiare, anche minimo, dovevano affiancarsi forme di utilizzo dell’ager publicus; analogamente il sistema di con-duzione economica dell’ager gentilicius deve aver permesso a roma una ottimizzazione del rendimento agricolo - in seno alle gentes - tale da permettere la costituzione di un surplus alimentare ed economico - da riversare sulla milizia - altrimenti impossibile. forse anche questo aspetto costituiva un dato esclusivo dell’urbe: probabilmente le real-tà con cui roma è venuta a scontrarsi nei primi secoli della sua storia non avevano sviluppato così compiutamente un analogo meccanismo, con una duplice conseguenza: 1) la loro inevitabile inferiorità milita-re; 2) la perdita di memoria sui meccanismi del populus pre-serviano da parte di roma: non avendone trovato traccia parallela nelle realtà oggetto dell’analisi antropologica “ricostruttiva” cui abbiamo sopra fatto cenno, la storiografia romana non ha potuto ricostruire i nessi perduti di tessere di cui ci ha conservato talvolta il solo nome.

Una dimensione politica imperfetta: l’ordine equestre, carri, cavalli e il lusus troiae61

nel complesso panorama politico-istituzionale sotteso in roma al nesso abilitazione alle armi / abilitazione politica, l’ordine equestre, molto più numeroso di quello senatorio, dotato di una propria identità e di un proprio prestigio, è quasi sempre un attore non protagonista e defilato: non ebbe mai una propria azione politica lineare e riconosci-bile, se non quella personale di singoli suoi membri. perché?

Perché nel mondo classico la cavalleria, fino all’avvento del nuovo modo di far guerra imposto dall’affacciarsi dei popoli nomadi, svolge un ruolo tattico, mai strategico: la base militare, e quindi politica, delle civiltà urbane del mediterraneo antico è la fanteria, talvolta la flotta (Atene, Cartagine), mai la cavalleria.

il cavallo permette rapidi spostamenti, è quindi essenziale nella trasmissione di comandi, nel rapido intervento (soprattutto ai fian-chi), nell’inseguimento, ma il cavaliere - greco, etrusco, romano - non staffato e privo di sella è assai debole, vulnerabile: non può utiliz-zare la lancia come un cavaliere medievale sfruttando la velocità e la massa del cavallo, perché non può scaricare il colpo sulle staffe, sulla sella o, ancor meglio, sull’arcione: sarebbe sbalzato dal cavallo al primo contrasto. non può colpire con la spada: essa dovrebbe esser

61 ringrazio il conte g.l. Borghini Baldovinetti de’ Bacci, della società mila-nese Caccia a Cavallo e il dr. g. migliorini, Campione italiano Attacchi, per le piacevoli conversazioni su cavalli, finimenti, carri e tecnica equestre.

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lunga, tagliente e sottile - come la moderna sciabola - ma la tecnologia metallurgica antica non consente la produzione di lame di tal fatta. La machaira, nel suo tipo lungo, di tre piedi, sarebbe invero efficace e tremenda, ma per un cavaliere in arcione e staffato: se “carichi” il colpo stando a pelo sul dorso sudato del cavallo, e manchi il bersaglio, cioè non scarichi su un avversario la forza che hai prima “caricato” sollevando in alto l’arma e calandola poi velocemente, il suo peso, la sua energia cinetica, la sua forza centripeda ti sbilancia e ti fa cadere. nelle fonti il cavaliere è infatti considerato in svantaggio rispetto a un fante62, e la cavalleria romana agisce, almeno in origine, appieda-ta63: è una fanteria mobile, come aveva ben intuito helbig64.

Ancora più ingestibile è il carro: il paesaggio del lazio e dell’etru-ria, segmentato da piccoli e grandi corsi d’acqua, privo di grandi pia-nure, dai suoli irregolari, esclude un uso bellico di tale mezzo: per utilizzarlo occorrerebbe scegliere e sistemare il campo di battaglia, come i terreni di gara che sicuramente esistevano65. Anche gli sposta-menti sono molto limitati, visto che un attacco multiplo necessita di vie carrarecce di notevole ampiezza: le nostre valutazioni metriche si fermano all’ingombro dell’asse del carro, che può esser relativamente stretto (con notevole pregiudizio però della stabilità del carro stesso), ma un tiro di quattro cavalli apparigliati occupa - con andatura al passo - un fronte di almeno quattro metri, la metà nel caso di una biga; tali misure crescono di una buona metà se si va al galoppo, rad-doppiano almeno ove il carro apparigliato e al passo debba compiere una lieve curva: le misure che possiamo stimare per la pariglia di una biga ad andatura normale corrispondono significativamente agli 8 e 16 piedi previsti per i tratti rettilinei o in curva dalle Xii tavole66, ma è improbabile immaginare per l’età arcaica una viabilità siffatta ramificata nel territorio.

perché, allora, il cavallo e il carro sono durevoli simboli di sta-tus? per una serie di motivi, in parte oggettivi, in parte d’immagine. Chi possiede un cavallo dichiara con ciò una cospicua capacità econo-mica: l’allevamento, l’addestramento, il mantenimento domi bellique

62 esplicito liv. i, 12, 9 ex equo tum forte Mettius pugnabat: eo pelli facilius fuit.63 liv. ii, 20; iii, 62 s.; iv, 38 s.; vii, 7 s.; iX, 39; dion. hal. vi, 12. Analogo sce-

nario per il carro, ingestibile in un’azione bellica nel paesaggio etrusco-laziale ma anche sulla piana dello scamandro, cioè ai margini di quel mondo che - consentendolo la natura dei suoli - ha visto un effettivo impiego bellico del carro: gli eroi omerici preferiscono non portare carri e cavalli in zona operazioni, li usano quale supporto logistico, ma combat-tono a piedi, mantenendoli fuori tiro; secoli dopo senofonte, che pur era un cavaliere provetto, usa il cavallo solo per spostarsi (van Wees 2009, p. 102 s., con fonti).

64 helbiG 1904; id. 1905.65 CheriCi 1994, p. 559 s.66 QuiliCi 2000, p. 75.

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del cavallo è possibile solo a chi ha grandi ricchezze67, basti pensare che un singolo cavallo mangia in un giorno tanto orzo quanto sette uomini adulti: costa quindi il suo mantenimento in pace, ed è un grosso impegno logistico il suo mantenimento in guerra, lontano dalle riserve alimentari; per la grecia classica sappiamo poi che il suo prezzo d’acquisto equiva-leva a 4-5 volte quello di un equipaggiamento oplitico completo68. poco utile nei lavori agricoli, e quindi allevato solo per funzioni “specializza-te”, il cavallo è - contrariamente all’immaginario popolare - poco incline all’accoppiamento, il suo svezzamento lungo, l’età fertile assai tarda69. non è poi animale naturalmente coraggioso: se aggredito o anche solo spaventato preferisce fuggire e solo un lungo - e costoso - addestramento lo porta a rispondere all’uomo anche in situazioni impreviste o estre-me, quale il caos e il fragore d’una battaglia. l’addestramento è ancora più difficile e intenso se il cavallo deve operare apparigliato ad altri; in questo caso al costo della pariglia si deve anche aggiungere quello dei finimenti e soprattutto quello del carro che, occorre ricordare, è uno dei prodotti tecnologici più complessi tra quelli realizzati nel mondo antico. Lungo e costoso è, infine, l’allenamento del cavaliere.

il cavallo e il carro consentono però di avvicinarsi alla battaglia senza fatica, serbando le forze per lo scontro; danno una mobilità (il cavallo), un’imponenza e una visibilità attiva e passiva tali da render chi li monta naturali punti di comando; aggiungendo a ciò il valore economico sotteso al possesso e all’uso di entrambi è chiaro che ca-vallo e carro siano elementi durevoli dell’epifania del potere, dalla deposizione di morsi e di carri nelle tombe al trionfo romano.

un’avvertenza: non sempre la presenza di una coppia di morsi, redini e bardature - come nella tomba del guerriero di tarquinia - indizia la presenza di un carro, ove questo non sia esplicitamente attestato da elementi non equivoci, quali le ruote70. Credo importante richiamare in merito alcune fonti: illuminante un passo di festo (247 l): paribus equis: id est duobus, Romani utebantur in proelio, ut su-dante altero transirent in sicco. Pararium aes appellabatur id, quod equitibus duplex pro binis equis dabatur71. i cavalieri partecipavano

67 aristot., pol. 1321.68 van Wees 2009, p. 102 s.69 Plin., Nat. Hist. viii, 164; ColuM. vi 28; viGneron 1987, p. 44 ss.70 gli elementi talora riferiti a parti di carro o alla tiranteria relativa sono

spesso troppo minuti e deboli per reggere agli stress del tiro di cavalli apparigliati: se taluni spessori sono non lontani da quelli odierni, dobbiamo tener conto della diversa resistenza del bronzo e dell’acciaio.

71 torelli 1992, p. 252 mette in relazione il brano con le scene su lastre fittili in cui è rappresentata una coppia di cavalieri affiancati: parallelo senz’altro possibile e calzante, anche se credo che, nel caso riportato dalla nostra fonte, uno dei due cavalli fosse scosso, come vedremo più sotto. l’uso del doppio cavallo sembra scomparire pri-ma delle guerre puniche (MoMiGliano 1969, p. 380).

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quindi talvolta alla guerra o alla battaglia con una coppia di cavalli, per averne sempre uno “sicco”, asciutto: è una conseguenza - e una conferma - del fatto che per un lungo periodo si cavalcava a pelo, senza selle né coperte, ponendo quindi il cavaliere in condizione di poter esprimere solo in minima parte la potenzialità bellica di un “si-stema d’arma” altrimenti formidabile, e ponendolo anzi in difficoltà ove la cavalcatura avesse il groppone sudato; si ricorreva allora a un secondo cavallo che - ritengo - non era stato fino ad allora utilizzato da nessuno, era scosso72, altrimenti avrebbe sudato anche se a mon-tarlo era lo scudiero. Anche i tarantini fanno lo stesso, binos secum trahentis equos (liv. XXXv, 28, 8), così i numidi (XXiii, 29, 5). Che si trattasse di un uso già di età regia ce lo dice granio liciniano (2 fl): verum de equitibus non omittam quos Tarquinius ita ut priores equi-tes binos equos in proelium ducerent; il brano sembra spiegare anche il perché la cavalleria fosse dapprima sdoppiata in centuriae priores e posteriores73: forse sulla base della distinta capacità di gestire econo-micamente e operativamente uno o due cavalli.

Le fonti iconografiche ci mostrano come, in età arcaica, il cavalie-re monti il cavallo con una panoplia da fante, aggiungendo difficoltà a difficoltà: il clipeo, grande e bombato, può disarcionare il cavaliere se, nel galoppo, viene orientato non opportunamente, se non viene man-tenuto controvento; indossare gli schinieri, come mostrano certe la-stre fittili e tombe dipinte74, significa non poter serrare efficacemente le gambe per meglio mantenersi sulla groppa scivolosa di un cavallo sudato; destreggiare il secondo - eventuale - cavallo, scendere e salire rapidamente senza ricorrere alle staffe con il cavallo innervosito dalla battaglia, mantenere i ranghi serrati e regolari in un trasferimento, in un inseguimento, in un’incursione sui fianchi mantenendo l’unico vero fattore di efficacia di una tale cavalleria - la schiera compatta - erano operazioni che implicavano un’accurata preparazione atle-tica individuale e uno studiato affiatamento collettivo che troviamo esplicitamente richiamato nei cicli decorativi delle tombe etrusche a camera, nel vasellame e nell’instrumentum, come nelle lastre fittili di templi e regiae75 etrusche e laziali. nei primi prevale il gesto atletico individuale, quello del desultor, il fante completamente armato che balza dal cavallo ed è pronto all’azione: il disco di lanuvio (fig. 1)76

72 Vedi le lastre fittili Winter 2009, figg. 4.8.4, 4.10.2, 4.11.1, in cui un cavalie-re armato appare affiancato a un cavallo scosso.

73 liv. i, 13, 8; 36, 8; CiC., De re. ii, 20, 36; MoMiGliano 1969, p. 379 s.74 lastre di Coopenhagen Winter 2009, roof 6-2, 6.13.1, 6.13.2; tarquinia,

tomba delle Bighe, fregio piccolo.75 secondo l’interpretazione di torelli 1992.76 f. zevi in CristoFani 1990, p. 264 ss.

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e un coperchio di cista prenestina a Berlino (fig. 2)77 - più tarda - ci danno due immagini in sequenza della stessa azione, a indicare anche il perdurare nel tempo di tale prassi78. un particolare della tomba del-le Bighe (fig. 3) illustra invece - come chiarisce una kilix di onesimos da vulci (fig. 4)79 - l’allenamento alla tecnica per balzare velocemente sul cavallo, cosa non facile in assenza di staffe: il cavaliere prendeva una breve rincorsa e, facendo perno sulla lancia, spiccava un salto con un mezzo giro su se stesso che lo portava sul cavallo, trattenuto per la bisogna da un compagno affiancato. Sempre puntando l’asta a terra il cavaliere scendeva80.

Nei cicli dagli edifici civili prevale, com’è logico visto la natura “pub-blica” di tali apparati, l’elogio della formazione, dello schieramento: im-magini di fanteria montata in parata o impegnata in decursiones81, saggi di perizia e prestanza fisica, quali una carica in schiera serrata con il grande clipeo da tenere ben aderente al corpo a contrasto di vento, quin-di con la mano sinistra chiusa a stringere l’antilabe82 e solo la destra a reggere le redini o la criniera il tutto, voglio ripetere, senza sella né staffe. Talune scene propongono l’affiancarsi di due schiere di cui l’una armata, la seconda probabilmente inerme o più leggermente armata83: il contesto in cui appaiono, il frequente abbinamento con scene di pompa trionfale con carro consentono di vedere in esse una celebrazione identi-ca o affine al lusus troiae, una cerimonia ben nota grazie alla descrizione virgiliana, che però ne ha in parte fuorviato la corretta conoscenza. le schiere equestri che virgilio ricorda sono infatti tre, avendo l’autore vo-luto creare un parallelo con le tre tribù romulee84: in realtà le fonti sto-riche che parlano della reale celebrazione “kata to archaion”85 del lusus troiae - spesso in seno ad altri riti, quali il trionfo86, come in molti dei

77 bordenaChe battaGlia 1979, p. 3 ss., tavv. i-iii. vedi anche il desultor sulla parete d’ingresso nella tomba del triclinio.

78 Opliti smontati, a fianco dei rispettivi cavalli, troviamo nel frammento di la-mina bronzea arcaica rodhe island, school of design museum of Art 2002.114.2, senza provenienza, dono Weiss (fig. 5); i peculiari elmi con corna sono attestati sulla situla di Plikasna e in un armato su biga di una lastra fittile di Velletri-Caprifico (Winter 2009, fig. 5.11.1).

79 münchen, Antikensamm. 2639; BAdrn 203311; AZ 1885, tav. 11; lan-Glotz 1922, tav. 13:20; Vereniging van Vrienden Allard Pierson Museum Amsterdam 42, 1988, p. 9, fig. 2; CasCarino 2007, fig. 34.

80 vedi quanto descrive livio per Cornelio Cosso: et ipse hasta innixus se in pedes excepit (iv, 19, 3).

81 Winter 2009, figg. 3.4.2, 3.12, 4.6.2, 4.7.1, 4.7.4, 5.3.1, 5.5, Roof 4-3, Roof 6-2, roof 6.37.

82 Cioè la maniglia che, con il porpax, ancorava al corpo del fante il clipeo.83 Winter 2009, figg. Roof 4-6, Roof 4-11, Roof 5-7; Roof 5-8; Roof 6-2; 4.2.1,

4.2.2, 4.2.3, 4.2.4, 4.3, 4.4, 4.12.2, 5.2, 5.10.1, 5.10.2, 6.12.2, 6.13.1, 6.13.2, 6.15.2.84 Cui infatti le rapporta serv., Ad Aen. v, 560.85 dio Cass. Xliii, 23, 6.86 CeCCarelli 1998, p. 148 ss.

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cicli fittili -, parlano di due schiere: di pueri minores e di pueri maio-res87; parlano anche di una pericolosità delle evoluzioni, con cadute e fratture88, e nelle lastre fittili arcaiche troviamo infatti dei “caduti”89 che hanno fatto talora propendere per una lettura bellica della scena. Altro elemento fuorviante originato dal brano virgiliano è stato quello di porre in rapporto il lusus con troia90, rapporto messo in dubbio già nel 1840 dal Klausen91.

l’evidenza offerta dalla oinochoe della tragliatella (fig. 6)92, con una coppia di cavalieri che escono da un percorso labirintico in-dicato da un’iscrizione come “truia”, ha ricondotto tale nome all’am-ptruare, redamptruare che descrivono il complesso movimento della danza saliare condotta dal praesul. un percorso sinuoso che è pro-babilmente tracciato, letteralmente come una coreografia, cioè come una resa grafica dei passi e del percorso di una danza93, nell’imma-gine labirintica sull’oinochoe. nella roma di età imperiale esisteva una grande coreografia di tal genere disegnata sul pavimento del Campo marzio proprio per i ludi pueorum, e plinio precisa che que-sta non proponeva il labirinto di dedalo, con molte false uscite, ma un lungo percorso continuo che, con una serie di circonvoluzioni, faceva percorrere diverse miglia pur rimanendo in uno spazio limi-tato94. nell’oinochoe della tragliatella sembrano uscire dal dressage labirintico le due figure di cavalieri, che sono sì armate, ma stanno esibendosi in una parata, come evidenziato dalla scimmia - animale esotico e status symbol95 - che accompagna sul dorso il primo ca-valiere; ma può esser in relazione con lo stesso percorso anche la schiera di clipeati che, pur nelle esigue dimensioni delle immagini,

87 rasCh 1882; K. schneider in RE s.v. Lusus Troaie; e. mehl in suppl. RE s.v. Troiaspiel.

88 svet., Caes. i, 43; GiGlioli 1929, p. 131.89 Winter 2009, figg. 5.3.1, 5.5.5. Caduti e cadute sono presenti in corse non

belliche di cavalli e carri: vedi il cippo chiusino Berlino 1222 (Jannot 1984, D,I,5, fig. 493), e le tombe dipinte di poggio al moro e delle olimpiadi.

90 Cordano 1980; Martelli 1987, nr. 49.91 Klausen 1840, ii, p. 820; GiGlioli 1929, p. 132; Paratore 1982, p. 435 s.92 van der Meer 1986; MeniChetti 1992.93 Chiarini 2002; cfr. GiGlioli 1929, p. 127; von PetriKovits 1939, p. 21 ss.,

Kerenyi 1983, p. 106 ss.; Kern 1983, p. 99 ss. un’iscrizione di pompei, esaltante le doti di un giovane cavaliere armato di lancia, in un ludus serpentis, prende la forma sinuo-sa del serpente, che era anche probabilmente il tracciato da seguire nell’esercizio (fig. 9): della Corte 1924, p. 20, GiGlioli 1929, p. 130. Per la resa grafica dei movimenti di un gruppo di danzatori: burette 1746.

94 parlando di labirinti, plinio ricorda che dedalo ne fece uno a Creta non - ut in pavimentis puerorumve ludicris campestribus videmus - brevi lacinia milia passuum plura ambolationis continentem, sed crebris foribus inditis ad fallendos occursus redeu-ndumque in errores eosdem (Plin., Nat. Hist. XXXvi, 85).

95 CheriCi c.s.

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sembra accennare a un passo di danza: il lusus troiae includeva in-fatti anche momenti di pirrica96.

La coreografia labirintica della Tragliatella avrà una lunga e inin-terrotta fortuna, nell’italia preromana come nel mondo romano e cristia-no, fino a tutto il medioevo: talvolta la troviamo in piccoli graffiti, piccole incisioni isolate che è difficile capire se fatte per gioco e passatempo, per ornamento, per promemoria del percorso di una danza o per richiamare il valore magico del labirinto; talvolta la troviamo in contesti narrativi, o in forme monumentali. il disegno è frequente nelle incisioni rupestri dell’arco alpino, ove non è facile capirne la relazione con eventuali figure attigue, che possono esser state incise in momenti diversi: nella roccia 1 di Naquane - Capodiponte (Fig. 7), però, in un gruppo di graffiti databili intorno al V sec. a.C., una grande figura labirintica è associata a figure di uccelli97 e a due guerrieri che sembrano tenere una corda tesa tra di loro, e sappiamo come le danze sinuose siano spesso svolte tenendosi a corde o fazzoletti (è una delle probabili origini del “filo” di Arianna).

Coreografie monumentali e percorribili com’era quella del Campo Marzio, erano tracciate - almeno fino ai secoli centrali del medioevo - sul pavimento delle grandi cattedrali dell’europa: in inghilterra, francia (fig. 8), germania, forse sicilia98, e riconnesse alla tradizione del lusus troiae, come a quella del torneo99; erano percorsi da choreae, da Kettentanzen100, in cui si rinnovava annualmente, nel periodo di pasqua, un lusus pilae101 in cui il vescovo o il sacerdote più alto in grado, detto praesul dalle fonti, dava il passo alla fila di sacerdoti che lo seguivano, maneggiando e offrendo una palla, come una palla è offerta da mamarce a thesatei nell’oinochoe della tragliatella102.

96 Lusus ipse, quem vulgo pyrrhicam vocant, Troia vocatur (serv., Ad Aen. v, 602); nelle Troiane di Seneca (775 s.), Andromaca piange il figlio Astianatte che - de-stinato a morte prematura - non potrà prender parte al troicus lusus, mobili pede […] prisco saltatu.

97 uccelli sono presenti anche nella oinochoe della tragliatella, per le cui im-magini è stata richiamata la danza detta “delle gru” (MeniChetti 1992).

98 younG 1933, i, pp. 392, 447; deMaray 1987, p. 70 ss.99 trolloPe 1858; cfr anche oaKeshott 1960, p. 191 ss.100 brittnaCher 2007, p. 49 ss.101 Tum laeva pilotam apprehendens […] tripudium agebat, coeteris manu pre-

hensis choream circa daedalum ducentibus, dum interim per alternas vices pilota sin-gulis aut pluribus ex choribaidis a Decano serii in speciem tradebatur aut jaciebatur. Lusus erat et organi ad choreae numeros. Prosa ac saltatione finitis chorus post chore-am ad merendam properabat (Victimae Paschali laudes, Cod. di Auxerre, sec. Xi, in du CanGe, Glossarium mediae et infimae latinitatis, s.v. “pelota”); cfr. Mead 1906, p. 97; younG 1933, i, pp. 392, 447; deMaray 1987; Cazal 1998, p. 201 ss.

102 Colgo qui uno spunto di versnel 1994, p. 326, per sottolineare come tale of-ferta riguardi un mamarce (nome associabile a marte del personaggio alle cui spalle è la schiera di armati, con scudo dall’identico episema) e una thesatei (nome associabile a thesan / mater matuta): il lapis satricanus ci testimonia un donario che i sodales di publio valerio publicola dedicano a mamars nel santurio di mater matuta. Abbiamo

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nella tradizione folklorica greca103 si conservano ancora le danze la-birintiche in cui i danzatori formano una lunga fila sinuosa tenendosi per mano (fig. 10), e segueno le evoluzioni e gli andirivieni tracciati da un corifeo che spesso si ferma e si esibisce in complessi salti (vivi-ficando l’etimologia del praesul) (Fig. 11); nella Grecia occidentale e in tracia se ne conserva una denominata “troiro” proprio per il chiuso andamento spiraliforme della fila di danzatori104.

esiste un nesso tra manifestazioni così vicine nella ritualità e/o nella forma, ma lontane nel tempo e nello spazio? lo storico sarebbe portato a negarlo, perché manca appunto una continuità storica tra ambienti così diversi; ma tale vuoto può esser solo un vuoto docu-mentario: un rito imponente e coinvolgente come una danza corale può conservarsi nei secoli ma può anche scomparire in un attimo, proprio per la potente carica simbolica che può trasmettere: così nel-le cattedrali di Amiens, Auxerre, sens, è lo stesso clero che esegui-va e solennizzava quella danza a decretarne poi il totale abbandono, obliterandone il tracciato sotto un nuovo pavimento105, rimuovendone la documentazione archivistica, vietandone la memoria, ma non riu-scendovi del tutto: la consuetudine - anche se in diversa forma e con diversi valori e intenti - si è perpetuata nella gente106, qualche docu-mento scritto è rimasto, il vescovo - come a suo tempo il console - non si esibisce più in brevi salti o danze ma rimane un presule, il vuoto di una damnatio memoriae si è riempito e la storia ci consente d’inter-pretare come una delle periodiche correzioni di rotta nell’ambito del cristianesimo quella che altrimenti può apparire una frattura; per la coreografia di Chartres siamo così in grado di ripercorrere una storia

quindi una concomitanza di elementi che sembrerebbero legati tra loro: sodales, marte, mater matuta. sembrerebbe di cogliere in mater matuta degli aspetti legati al mondo della guerra gentilizia, come confermerebbe anche lo stretto legame con furio Camillo (duMézil 1981, p. 93 ss.).

103 heller 1946.104 lascio ai linguisti l’onere di studiare una possibile relazione tra i due

nomi.105 La coreografia labirintica della cattedrale di Auxerre viene distrutta nel

1690, quella di sens nel 1768, quasi nello stesso periodo quella di Amiens.106 nella cattedrale di Chartres, dopo il restauro di viollet le duc che lo ha

ripristinato, i fedeli seguono singolarmente o a gruppi la coreografia senza la guida di un religioso, quale percorso di ricerca interiore: è un’evoluzione già presente nel medioevo, quando la traccia sul pavimento è ancora interpretata e percorsa come co-reografia, e con i celebranti che si dispongono e si muovono come i salii, guidati da un praesul saltante e danzante, che porge una palla come il mamarce della oinochoe della tragliatella, ma il senso dato al percorso non è più quello di una esibizione di abilità, di coordinamento, come poteva essere il lusus troiae: sta divenendo un vero percorso labirintico dell’anima, come probabilmente esemplificato già dalla pianta dell’Inferno dantesco (che noi leggiamo in sezione; ma vedi il ms. Bibl. vat., ms. Barb. lat. 4112, f. 209r, con la nostra coreografia; cfr. deMaray 1987, p. 19 ss.; reviGlio della veneria 1998).

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ininterrotta, che nella forma continua l’antico (la pianta, la coreogra-fia, la fila di officianti fìdanzanti guidati dal praesul, la palla), per i contenuti ne propone di propri (il percorso dell’anima), e distrugge quella forma quando si accorge che essa è divenuta sostanza, o non è più conciliabile con altre forme che ha assunto la ritualità della chie-sa. per tanti aspetti del passato non abbiamo la fortuna di ricostruire una storia che ricollochi i suoi relitti, stat Roma pristina nomine, no-mina nuda tenemus.

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fig. 3 - tarquinia, tomba delle bighe, particolare.

fig. 1 - lanuvio, tomba del guerriero: disco bronzeo con desultor.

fig. 2 - Coperchio di cista prenestina, particolare; Berlin Charlottenburg.

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fig. 4 - vulci, kylix di onesimos, particolare; münchen, Antikensam-ml.

fig. 5 - lamina bronzea con “opliti montati”; rodhe island, school of design museum.

fig. 6 - tragliatella, oinochoe: particolare.

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fig. 7 - naquane, roccia 1, particolare.

Fig. 8 - Chartres, Cattedrale: la coreografia labirintica.

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fig. 9 - pom-pei, iscrizione del “lusus ser-pentis”.

fig. 10 - grecia, danza in linea: partendo da fermi i dan-zatori descrivono tenendosi per mano un tracciato labirinti-co, quando tutta la fila sarà in movimento la serpentina dei danzatori avrà completato un complesso percorso circolare.

fig. 11 - grecia, danza in linea: il “pra-esul”, che guida la fila dei danzatori, compie uno dei salti con cui intercala la danza.