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LUNEDÌ 14 MAGGIO 2007 Copyright © 2007 The New York Times Supplemento al numero odierno de la Repubblica Sped. abb. postale art. 1 legge 46/04 del 27/02/2004 — Roma Illustrazioni di The New York Times Anche le stelle di Hollywood possono essere cuori solitari Prove di forza a colpi di petrolio segue a pagina IV Salvare l’aria grazie al mare Il plancton può essere un’arma per combattere il riscaldamento globale. BUSINESS ECOLOGICO VII di SHARON WAXMAN LOS ANGELES — Basta dare un’oc- chiata distratta alle riviste di pettego- lezzi per capire che la vita amorosa delle persone famose non sposate può essere un inferno. C’è la tirannia dei paparazzi — che pre- mono — e la perpetua curiosità dei fan. Inoltre l’offerta appare a volte sopren- dentemente limitata: Vince Vaughn, Jennifer Aniston, Reese Witherspoon, Kevin Federline, Jessica Simpson, Paris Hilton. Si prendono, si lasciano e riparto- no alla ricerca di un altro nome famoso. Sembrano sospesi in una sorta di eterno ciclo di relazioni celebri. Ma non tutti i famosi, scopriamo, ambi- scono a una simile trafila. Per conoscere dei “civili” che non abbiano alcun legame con il mondo dello spettacolo, un ristretto numero di star del cinema ingaggia dei professionisti dell’incon- tro: dei “matchmaker”. “Se volessero incontra- re qualcuno a Hollywood, lo farebbero. Ci hanno provato e non ha funziona- to”, dice Barbie Adler, una matchmaker di Chicago che ha messo in piedi una pic- cola ma affidabile attività per venire in- contro ai personaggi famosi — e ad altri facoltosi clienti. Qualche anno fa, dopo aver visto il suo amico di una vita Ben Afflek riempire ogni settimana le pagine dei tabloid, Matt Damon giurò che non si sarebbe mai più messo con un’attrice. Adesso è sposato con Luciana Barroso, un’ex bartender argentina. Samantha Daniels, una matchmaker di New York, ha aperto un ufficio a Los Angeles per far fronte alle crescenti ri- chieste dei personaggi celebri. Nessuno dei suoi clienti famosi, dice, desidera ac- compagnarsi ad un’altra celebrità. “Non lo dicono come verità assoluta”, dice, “ma un’attrice preferirebbe incontrare qualcuno che non sia un attore”. Frank W. Smith, un uomo d’affari di Boston di 57 anni e cliente della Adler, frequenta da otto mesi un’attrice che ha vinto un premio Oscar. “L’aspetto sen- sazionale svanisce molto velocemente. Quel che è interessante è che lei è una persona fantastica e interessante”, dice, senza fare il nome della donna. Spesso le donne celebri vogliono un uo- mo di successo, un imprenditore o “una persona di potere”, dice la Adler. E gli uo- mini “cercano una donna che non sia una diva”. E in entrambi i casi, i famosi spes- so desiderano qualcuno che sia pronto ad assumere un ruolo subalterno. Per un pacchetto che comprende l’ac- cesso all’archivio di circa 50.000 clienti, la Adler chiede circa 20.000 dollari. Per assicurarsi per un anno i servizi della Daniels, l’onorario parte da 25.000 dol- lari. Recentemente però, la Daniels ha constatato che alcuni dei suoi clienti non legati ad Hollywood avanzano delle ri- chieste. “Un tipo mi ha appena chiesto di Jennifer Aniston”, dice. “‘Se si trasfe- risce a New York, credi che riusciresti a farmi uscire con lei?’”. Perché no, ha risposto lei. “E’ un uomo d’affari dotato e di successo, con cui credo che lei potreb- be voler uscire”. di MARK LANDLER OSLO — Per essere un popolo che fonda il suo orgoglio nazionale sull’assegnazione del premio Nobel per la pace, i norvegesi si stan- no costruendo una reputazione di aggressivi. E lo fanno in maniera inaspettata, ritirando gli investimenti da Wal-Mart e altre grandi imprese come la Boeing e la Lockheed Mar- tin per quelle che definiscono carenze etiche. La Norvegia ha accumulato una fortuna di più di 300 miliardi di dollari nell’ultimo decennio grazie ai profitti derivanti dalle esportazioni di petrolio. Ma pochi Paesi han- no un rapporto più ambivalente con le loro cospicue sostanze di questa società mode- sta, socialmente consapevole, popolata da meno di cinque milioni di persone. Così, invece di gestire i mostruosi introiti semplicemente puntando alla resa migliore, questi miliardari loro malgrado utilizzano il denaro per promuovere un ambizioso co- dice etico stabilito nel 2004 per il loro fondo petrolifero, noto come fondo pensioni gover- nativo. Le scelte di investimento della Nor- vegia sono balzate al centro dell’attenzione negli ultimi nove mesi a seguito dell’esclu- sione di Wal-Mart, la catena di grandi ma- gazzini americana, non presente in questo Paese immacolato. I fondi pensione pubblici su entrambe le sponde dell’Atlantico generalmente evitano di investire in determinate società per mo- tivi sociali o etici. Ma è raro che uno Stato sovrano esprima giudizi etici ed è ancor più raro che lo faccia in maniera esplicita e pub- blica come la Norvegia. Tra i primi ad entrate in conflitto con gli standard norvegesi furono i produttori di bombe a frammentazione e di armi nucleari o componenti collegate. L’elenco include la General Dynamics e la Northrop Grumman, oltre alla Boeing e alla Lockheed Martin. Poi, nel giugno scorso, la Norvegia ha ag- giunto i magazzini Wal-Mart alla sua lista nera, accusando la catena di tollerare viola- zioni alle norme sul lavoro minorile da parte dei fornitori dei Paesi in via di sviluppo e di ostacolare l’attività sindacale in patria. Il fondo ha liquidato più di 400 milioni di dollari di azioni Wal-Mart, suscitando le proteste dell’ambasciatore americano in Norvegia, Benson K. Whitney, che ha accusato il go- verno di aver ingiustamente selezionato le società americane sulla base di un’analisi approssimativa. “Una condanna sotto il profilo etico non è un’accusa astratta”, ha dichiarato Whitney. “Si tratta di gravi accuse di mala condotta. Viene essenzialmente espresso un giudizio nazionale sull’etica di queste società”. Whitney sostiene che la Norvegia ha arbi- trariamente preso di mira alcune società, basandosi su rapporti inaffidabili di terze parti e, nel caso di Wal-Mart, di una cricca di critici della compagnia. Una portavoce di Jeff Christensen/Associated Press Alcuni personaggi celebri cercano di frequentare persone non famose. Matt Damon ha sposato Luciana Barroso, un’ex bartender. La guerra delle capre Gli abitanti delle Galapágos lottano contro un nemico singolare. SCIENZA E TECNOLOGIA VI Norvegesi, i miliardari per caso che investono in base all’etica Per la Cambogia l’oro nero rischia di essere avvelenato di SETH MYDANS SIHANOUKVILLE, Cambogia — Mentre ancora cerca a fatica di tirarsi fuori dalle rovine del suo brutale passato, la Cambogia si trova di fronte la prospettiva di un nuovo, radioso futu- ro: sembra che siano stati scoperti giacimenti di petrolio sul suo territorio. Le trivellazioni di esplorazione sono comin- ciate due anni fa e il gigante petrolifero Chevron dice di aver trovato giacimenti potenzialmente ricchissimi al largo della costa meridionale del Sudest asiatico. La compagnia petrolifera americana non ha reso noti i risultati, ma insieme ad altri proba- bili giacimenti nelle vicinanze e altri ancora in corso di esplorazione sulla terraferma, la Cam- bogia, dicono gli esperti, potrebbe trasformarsi in una nazione ricca di risorse. Alcuni alti esponenti del governo, compre- so il primo ministro Hun Sen, hanno alimen- tato l’entusiasmo quest’anno fornendo stime inopinatamente ottimistiche sull’imminente afflusso, nel giro di due o tre anni, dei proventi dell’oro nero. Ma siamo certi che si tratti di una buona noti- zia? Per molti Paesi poveri, come la Nigeria e il Ciad, il petrolio è stato una mela avvelenata che li ha trascinati in un abisso di miseria e corru- zione ancora più profondo di prima. “Questa scoperta sarà uno spartiacque per la Cambogia, in un senso o nell’altro”, dice l’ambasciatore americano Joseph Mussomeli. “Tutti sanno che sarà una straordinaria fortu- na o una terrificante disgrazia, ma di sicuro il Heng Sinith/Associated Press Il petrolio allevierà la miseria della Cambogia? Una commerciante di Phnom Penh versa benzina nelle bottiglie. 300 miliardi di profitti che finiscono solo in aziende ad altissimo standard morale. segue a pagina IV

a colpi di petrolio Prove di forza - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/nyt/140507.pdf · di petrolio sul suo territorio. Le trivellazioni di esplorazione sono comin-ciate due

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LUNEDÌ 14 MAGGIO 2007 Copyright © 2007 The New York Times

Supplemento al numeroodierno de la Repubblica

Sped. abb. postale art. 1legge 46/04 del 27/02/2004 — Roma

Illustrazioni di The New York Times

Anche le stelle di Hollywood possono essere cuori solitari

Prove di forza a colpi di petrolio

segue a pagina IV

Salvare l’aria grazie al mareIl plancton può essere un’arma per combattere il riscaldamento globale.BUSINESS ECOLOGICO VII

di SHARON WAXMAN

LOS ANGELES — Basta dare un’oc-chiata distratta alle riviste di pettego-lezzi per capire che la vita amorosa delle persone famose non sposate può essere un inferno.

C’è la tirannia dei paparazzi — che pre-mono — e la perpetua curiosità dei fan. Inoltre l’offerta appare a volte sopren-dentemente limitata: Vince Vaughn, Jennifer Aniston, Reese Witherspoon, Kevin Federline, Jessica Simpson, Paris Hilton. Si prendono, si lasciano e riparto-no alla ricerca di un altro nome famoso. Sembrano sospesi in una sorta di eterno ciclo di relazioni celebri.

Ma non tutti i famosi, scopriamo, ambi-scono a una simile trafila. Per conoscere dei “civili” che non abbiano alcun legame con il mondo dello spettacolo, un ristretto numero di star del cinema ingaggia dei

professionisti dell’incon-tro: dei “matchmaker”.

“Se volessero incontra-re qualcuno a Hollywood, lo farebbero. Ci hanno provato e non ha funziona-to”, dice Barbie Adler, una matchmaker di Chicago che ha messo in piedi una pic-cola ma affidabile attività per venire in-contro ai personaggi famosi — e ad altri facoltosi clienti.

Qualche anno fa, dopo aver visto il suo amico di una vita Ben Afflek riempire ogni settimana le pagine dei tabloid, Matt Damon giurò che non si sarebbe mai più messo con un’attrice. Adesso è sposato con Luciana Barroso, un’ex bartender argentina.

Samantha Daniels, una matchmaker di New York, ha aperto un ufficio a Los Angeles per far fronte alle crescenti ri-

chieste dei personaggi celebri. Nessuno dei suoi clienti famosi, dice, desidera ac-compagnarsi ad un’altra celebrità. “Non lo dicono come verità assoluta”, dice, “ma un’attrice preferirebbe incontrare qualcuno che non sia un attore”.

Frank W. Smith, un uomo d’affari di Boston di 57 anni e cliente della Adler, frequenta da otto mesi un’attrice che ha vinto un premio Oscar. “L’aspetto sen-sazionale svanisce molto velocemente. Quel che è interessante è che lei è una persona fantastica e interessante”, dice, senza fare il nome della donna.

Spesso le donne celebri vogliono un uo-

mo di successo, un imprenditore o “una persona di potere”, dice la Adler. E gli uo-mini “cercano una donna che non sia una diva”. E in entrambi i casi, i famosi spes-so desiderano qualcuno che sia pronto ad assumere un ruolo subalterno.

Per un pacchetto che comprende l’ac-cesso all’archivio di circa 50.000 clienti, la Adler chiede circa 20.000 dollari. Per assicurarsi per un anno i servizi della Daniels, l’onorario parte da 25.000 dol-lari.

Recentemente però, la Daniels ha constatato che alcuni dei suoi clienti non legati ad Hollywood avanzano delle ri-chieste. “Un tipo mi ha appena chiesto di Jennifer Aniston”, dice. “‘Se si trasfe-risce a New York, credi che riusciresti a farmi uscire con lei?’”. Perché no, ha risposto lei. “E’ un uomo d’affari dotato e di successo, con cui credo che lei potreb-be voler uscire”.

di MARK LANDLER

OSLO — Per essere un popolo che fonda il suo orgoglio nazionale sull’assegnazione del premio Nobel per la pace, i norvegesi si stan-no costruendo una reputazione di aggressivi. E lo fanno in maniera inaspettata, ritirando gli investimenti da Wal-Mart e altre grandi imprese come la Boeing e la Lockheed Mar-tin per quelle che definiscono carenze etiche.

La Norvegia ha accumulato una fortuna di più di 300 miliardi di dollari nell’ultimo decennio grazie ai profitti derivanti dalle esportazioni di petrolio. Ma pochi Paesi han-no un rapporto più ambivalente con le loro cospicue sostanze di questa società mode-sta, socialmente consapevole, popolata da meno di cinque milioni di persone.

Così, invece di gestire i mostruosi introiti semplicemente puntando alla resa migliore, questi miliardari loro malgrado utilizzano il denaro per promuovere un ambizioso co-dice etico stabilito nel 2004 per il loro fondo petrolifero, noto come fondo pensioni gover-nativo. Le scelte di investimento della Nor-vegia sono balzate al centro dell’attenzione negli ultimi nove mesi a seguito dell’esclu-sione di Wal-Mart, la catena di grandi ma-gazzini americana, non presente in questo Paese immacolato.

I fondi pensione pubblici su entrambe le sponde dell’Atlantico generalmente evitano di investire in determinate società per mo-tivi sociali o etici. Ma è raro che uno Stato sovrano esprima giudizi etici ed è ancor più raro che lo faccia in maniera esplicita e pub-blica come la Norvegia.

Tra i primi ad entrate in conflitto con gli standard norvegesi furono i produttori di bombe a frammentazione e di armi nucleari

o componenti collegate. L’elenco include la General Dynamics e la Northrop Grumman, oltre alla Boeing e alla Lockheed Martin.

Poi, nel giugno scorso, la Norvegia ha ag-giunto i magazzini Wal-Mart alla sua lista nera, accusando la catena di tollerare viola-zioni alle norme sul lavoro minorile da parte dei fornitori dei Paesi in via di sviluppo e di ostacolare l’attività sindacale in patria. Il fondo ha liquidato più di 400 milioni di dollari di azioni Wal-Mart, suscitando le proteste dell’ambasciatore americano in Norvegia,

Benson K. Whitney, che ha accusato il go-verno di aver ingiustamente selezionato le società americane sulla base di un’analisi approssimativa.

“Una condanna sotto il profilo etico non è un’accusa astratta”, ha dichiarato Whitney. “Si tratta di gravi accuse di mala condotta. Viene essenzialmente espresso un giudizio nazionale sull’etica di queste società”.

Whitney sostiene che la Norvegia ha arbi-trariamente preso di mira alcune società, basandosi su rapporti inaffidabili di terze parti e, nel caso di Wal-Mart, di una cricca di critici della compagnia. Una portavoce di

Jeff Christensen/Associated Press

Alcuni personaggi celebri cercano di frequentare persone non famose. Matt Damon ha sposato Luciana Barroso, un’ex bartender.

La guerra delle capreGli abitanti delle Galapágos lottano contro un nemico singolare.SCIENZA E TECNOLOGIA VI

Norvegesi, i miliardari per caso che investono in base all’etica

Per la Cambogia l’oro nero rischia di essere avvelenatodi SETH MYDANS

SIHANOUKVILLE, Cambogia — Mentre ancora cerca a fatica di tirarsi fuori dalle rovine del suo brutale passato, la Cambogia si trova di fronte la prospettiva di un nuovo, radioso futu-ro: sembra che siano stati scoperti giacimenti di petrolio sul suo territorio.

Le trivellazioni di esplorazione sono comin-ciate due anni fa e il gigante petrolifero Chevron dice di aver trovato giacimenti potenzialmente ricchissimi al largo della costa meridionale del Sudest asiatico.

La compagnia petrolifera americana non ha reso noti i risultati, ma insieme ad altri proba-bili giacimenti nelle vicinanze e altri ancora in corso di esplorazione sulla terraferma, la Cam-bogia, dicono gli esperti, potrebbe trasformarsi in una nazione ricca di risorse.

Alcuni alti esponenti del governo, compre-so il primo ministro Hun Sen, hanno alimen-tato l’entusiasmo quest’anno fornendo stime inopinatamente ottimistiche sull’imminente afflusso, nel giro di due o tre anni, dei proventi dell’oro nero.

Ma siamo certi che si tratti di una buona noti-zia? Per molti Paesi poveri, come la Nigeria e il Ciad, il petrolio è stato una mela avvelenata che li ha trascinati in un abisso di miseria e corru-zione ancora più profondo di prima.

“Questa scoperta sarà uno spartiacque per la Cambogia, in un senso o nell’altro”, dice l’ambasciatore americano Joseph Mussomeli. “Tutti sanno che sarà una straordinaria fortu-na o una terrificante disgrazia, ma di sicuro il

Heng Sinith/Associated Press

Il petrolio allevierà la miseria della Cambogia? Una commerciante di Phnom Penh versa benzina nelle bottiglie.

300 miliardi di profitti che finiscono solo in aziende ad altissimo standard morale.

segue a pagina IV

Page 2: a colpi di petrolio Prove di forza - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/nyt/140507.pdf · di petrolio sul suo territorio. Le trivellazioni di esplorazione sono comin-ciate due

Direttore responsabile: Ezio MauroVicedirettori: Mauro Bene,

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Caporedattore centrale: Angelo AquaroCaporedattore vicario: Fabio BogoGruppo Editoriale l’Espresso S.p.A.

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•Supplemento a cura di:Paola Coppola,

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•Traduzioni: Emilia Benghi, Anna Bissanti,

Antonella Cesarini, Fabio Galimberti, Guiomar Parada, Marzia Porta

MONDO

II LUNEDÌ 14 MAGGIO 2007

Amman

GIORDANIA

IRAQSIRIA

ISRAELE

ARABIA

SAUDITA

Km 160

Zarqa CISGIORDANIA

di NAZILA FATHI

TEHERAN — A pochi giorni dal re-cente inizio dell’annuale campagna per reprimere l’abbigliamento indecente — con squadre di poliziotti che fermano le donne nelle piazze principali e nelle stazionidellametropolitanapermetter-le inguardiasul loromododivestire—le autorità sono state a loro volta oggetto

di critiche.Quando è stato detto loro di vestirsi

convenientemente, molte delle donne fermate hanno reagito con rabbia. Una commissione parlamentare si è lamen-tata della campagna con il capo della polizia, mentre il presidente della magi-stratura iraniano ha fatto notare come una politica eccessivamente repressiva rischi di favorire ulteriori resistenze. Stando al quotidiano Etemad-e-Melli, persino un consulente del presidente ha esortatoallacautela,dicendoche lapoli-zia “non dovrebbe andare all’estremo”. Il capo della polizia iraniana Ismail

Ahmadi Moghaddam ha detto che le for-ze di sicurezza avrebbero preso di mira ledonnecheavevanosul capoveli picco-li o indossavano soprabiti corti e stretti o pantaloni corti. Ha anche detto che la polizia era sul punto di rivolgere la pro-pria attenzione agli uomini e ha insistito sul fatto che le autorità hanno evitato il ricorsoalla forza, eagli arresti, limitan-dosi a parlare con i contravventori per esortarli a vestirsi in maniera appro-priata. Eppure, dall’inizio della campa-gna,hadetto, ognigiorno150donnesono finite in carcere. Durante un’udienza parlamentare

della Commissione per la sicurezza na-zionale, convocata per ascoltare i recla-mi, “alcuni membri del Parlamento si sono lamentati del fatto che la polizia si sia messa nella posizione di affrontare unamateriasimile”,diceDariushGhan-bari, un membro della commissione.Il giorno che venne fermata nella

piazza Vanak lo scorso aprile, Nazanin — una donna di 28 anni — pensava di es-

sersivestita inmanierapiùcastigatadel solito. Eppure le venne detto che il suo soprabito era stretto e mostrava le for-me del suo corpo. “Ho scherzato con loro e mi sono sfor-

zata di mantenere la calma, ma mi han-no detto di sedermi per mostrare dove sarebbero arrivati i miei pantaloni una volta che mi fossi seduta”, dice Nazanin, unagiornalista.Gliagenti lehannodetto chevolevanoaiutarlaadappariremode-sta così che non venisse guardata e infa-stidita dagli uomini.Ha ricevuto un avvertimento per i

suoi grandi occhiali da sole, il soprabi-to, l’eyeliner e le calze, che, ha detto la polizia,avrebberodovutoesserepiù lun-ghe. E’ stata lasciata andare dopo aver firmato una lettera che riportava il suo nome e indirizzo, dove si diceva che non si sarebbe più fatta vedere in pubblico in quel modo. La polizia ha detto che le letteresarannousate in tribunalecontro chi trasgredirà una seconda volta.Dopo essere stata fermata dalla po-

lizia nella stazione della metropolitana di Mirdamad, Somayeh, 31 anni, pian-geva. Diceva: “Vogliono intimidirci”. Le è stato chiesto di chiamare casa per farsi dare il numero del documento di identità nazionale, l’equvalente di un co-

dice fiscale, da apporre alla lettera che avrebbedovuto firmare,nellaqualepro-metteva che non avrebbe più indossato trucco in pubblico.Dalla rivoluzione islamica del 1979 la

legge impone alle donne di tenere i ca-pelli coperti e indossare abiti lunghi e larghi.L’abitoconsiderato idealeè ilcha-dor:uncaponerochecopredalla testaai piedi. Nei primi giorni della rivoluzione le donne vestite in maniera considerata immodesta venivano flagellate, impri-gionate e multate.Molte donne però sfidano la legge e

il governo ingaggia una lotta costante contro il loro modo di vestire. Lo scorso anno lo Stato ha sponsorizzato almeno

tre sfilate di moda per inco-raggiare le donne ad adottare abiti più “islamici”. Quest’an-no, la campagna pubblicita-ria è stata particolarmente diffusa e roboante. Le auto-rità insistono nel dire che la gente ama queste costrizioni e il presidente Mahmoud Ah-madinejad le ha appoggiate, dicendo che “chi ha un’appa-renza immodesta è inviato dal nemico”.Ma altri settori del governo

e imedia invitanoallacautela. Il presidente della magistra-

tura, Mahmoud Hashemi Shahroudi, ha messo in guardia i governatori provin-ciali sui possibili rischi dell’azione re-pressiva: “Trascinare donne e giovani nella stazione di polizia non produrrà al-tri risultati se non danni sociali”, ha det-to, secondo il giornale Etemad-e-Melli.Anche il quotidiano conservatore

Kayhan ha ammonito circa il fatto che “l’abbigliamento immodestodelledonne non è l’unica depravazione”. “Le depra-vazioni dovrebbero essere affrontate in modo tale che le persone — soprattutto i giovani — capiscano che le autorità de-sideranodavverosradicarle”,hascritto, dicendo che povertà, corruzione ed in-giustizia sono problemi più importanti.

di SOUAD MEKHENNET

e MICHAEL MOSS

ZARQA, Giordania — Abu Ibrahim considera fortunati i suoi amici morti.Quattrosonomorti inIraqnel2005.Al-

tri tre sono morti quest’anno: secondo i loro parenti e la comunità, uno è morto con un giubbotto imbottito di esplosivi, un altro alla guida di un camion bomba. Abu Ibrahim, un allampanato venti-quattrenne, era in partenza per questa missione quando, nell’ottobre scorso, ha lasciato la deprimente cittadina a Nord di Amman diretto in Iraq. È riuscito ad arrivare soltanto al confine, ma lì è sta-to arrestato. Ora è di torno a casa, in un mondo che pensava di essersi lasciato alle spalle, in attesa della prossima oc-casione per compiere un martirio. “Sono felice per i miei amici e triste

per me, perché non sono ancora riuscito a farcela”,hadettoAbuIbrahim, ilnome chehaadottatocomemilitante islamico. “Voglio far crescere le radici di Dio su questa terra e liberare la terra dagli occupanti. Non mi piace nulla di questo mondo.Tuttociòchemi interessaècom-battere”. Zarqa è nota come la culla della mi-

litanza islamica sin dall’inizio della guerra in Iraq. Questa è la città dove viveva Abu Musab al-Zarqawi, il leader del gruppo di guerriglieri di Al Qaeda in Mesopotamia, ucciso l’estate scorsa. Oggi Zarqa è ancora terreno fertile per gliaspiranti jihadisti comeAbuIbrahim e cinque dei suoi amici, tutti partiti nello stesso periodo dell’autunno scorso per l’Iraq. I colloqui che abbiamo avuto con Abu

Ibrahim e i parenti degli altri dimostra-no che più che essere stati singolarmen-te reclutati da un’organizzazione quale quella di Zarqawi, si sono radicalizzati l’uno con l’altro, seguendo i passi del più determinato tra loro.

Gli imamlocali lihannoesortatiapar-tire per l’Iraq, citando versetti del Cora-no per legittimare l’uccisione di civili. I giovanihannovistovideoconmusulma-ni torturati e uccisi ripresi da Internet. Abu Ibrahim di Zarqawi dice: “Lo

sceicco era un eroe”. Poi aggiunge: “Mi sonodecisoapartirequandosonopartiti imieiamici”.Per le fasi finali, ottenere il numero di telefono di un trafficante per passare ilconfineclandestinamenteeun indirizzo sicuro in Iraq, hanno utilizzato mediatori che agiscono più alla stregua di tour operator che di leader militanti. “La maggior parte dei giovani di Zar-

qa è molto religiosa”, dice il leader della comunità islamista. “Quando al tele-

giornale vedono che cosa sta accadendo nei Paesi islamici, si rendono conto di dover andare a combattere per la jihad. Oggi non occorre dire che dovrebbero farlo: sono loro a voler diventare mar-tiri”. Nelle strade di Zarqa la rabbia è tangibile: “È americano? Rapiamolo e uccidiamolo”, ha detto un attivista isla-mistadurante l’intervistaconnoi,prima che l’organizzatore dell’incontro lo dis-suadesse. Lestoriedegliuominipartiti daZarqa

per l’Iraq contribuiscono a spiegare la sequenza,apparentementesenzafine,di attentatori suicidi, per la maggior parte straniera. Fonti americane hanno detto che in media gli attentati suicidi lì sono

42 al mese. La rabbia tra i militanti di Zarqa, una

cittadina a predominanza sunnita, è og-gi diretta tanto contro gli sciiti quanto contro gli americani e questo dato ri-flette l’escalation nelle ostilità tra i due ramidell’Islam,daquandogli sciiti sono la maggioranza nel nuovo governo ira-cheno. “Hanno tradizioni non-islamiche e odiano i sunniti”, dice Ahmad Khalil Abdelaziz Salah, un imam di Zarqa che ha curato le preghiere di alcuni attenta-tori di Zarqa. Quando abbiamo chiesto a Abu

Ibrahim di dire i suoi obiettivi, ha elen-cato: “Prima gli sciiti. Poi gli america-ni. Infine qualsiasi altro posto al mondo nel quale l’Islam sia minacciato”. Nel piccolocircolo di giovani islamisti

e loro famigliari di Zarqa, le sorti dei sei giovani morti in Iraq sono ben note: tre di loro sarebbero morti, due come atten-tatori suicidi e uno nel corso di una spa-ratoria. Un altro sarebbe prigioniero in Iraq e gli altri due, tra i quali figura Abu Ibrahim, sono stati rispediti indietro. Avevano lasciato Zarqa nell’autunno

scorso, tutti apparentemente con il me-desimo obiettivo in testa, ma indotti a perseguirlo da loro motivazioni e circo-stanze individuali. Il più giovane si chia-

mava Amer Jaradad, aveva 19 anni ed è partito senza dire nulla alla sua fami-glia. I suoi familiari non si sono stupiti. Uno dei suoi sei fratelli, Jihad — così

chiamato in omaggio al dovere islamico di difendere la propria religione — era morto a Falluja in combattimento nel 2005, dice Mufla Jaradad. “Amer era moltovicinoaJihadequandoquest’ulti-mo è diventato un martire, Amer stava frequentando l’ultimoannodiscuola.Ha iniziato a trascorrere tutto il suo tempo sui libri islamici. Una volta ho cercato di distoglierlo, dicendogli che era giunto il momento di trovargli moglie. Ma lui mi ha risposto: ‘Per me non ha nessuna im-portanza. L’unica cosa che mi interessa è la Jihad’”. Abu Ibrahim ha raccontato la sua sto-

ria in un intervista durata cinque ore e ha acconsentito a mostrarci il passa-porto dal quale risulta che nell’autunno scorsoeraentrato inSiria.Quandoè tor-nato a Zarqa, dice che i suoi genitori gli hanno detto: “Basta Abu Ibrahim. Hai cercato di partire, ma questo non è il vo-lere di Dio. Mettiti tranquillo e trovati una moglie”. “È dura lasciare le nostre famiglie”,

dice Abu Ibrahim, “ma è nostro dovere farlo. Se non la difendiamo noi la nostra religione, chi lo farà? I vecchi? I bambi-ni?”. Oggi Abu Ibrahim trascorre le sue giornate a Zarqa lavorando con i suoi fratelli. “Ho sempre lo stesso obiettivo in mente: adempiere alla legge di Dio. La prossima volta non commetterò gli stessi errori e spero che Dio mi mostri la strada”.

Zarqa, a scuola di martirioobiettivo: morire in Iraq

A Teheran la moda fa girare la testa alla polizia

Il codice di abbigliamentorepressivo si dimostracontroproducente.

Fotografie di Bryan Denton per The New York Times

ONLINE: LA CULLA DELLA MILITANZA

Il reportage online di Michael Moss e altre fotografie da Zarqa, in Giordania:nytimes.com/world

Reuters

The New York Times

A Zarqa vivono militanti come Abu Ibrahim, a destra, che prega con una guida spirituale. Spera di diventare un attentatore suicida.

Una “guardia della modestia” di Teheran riprende le donne che non rispettano il codice di abbigliamento islamico.

Istigati dagli imam giordani, molti giovani di Zarqa sono

impazienti di andare a combattere contro americani e sciiti. Sopra, Amer Jaradad, a sinistra, e suo fratello Jihad,

morti entrambi in Iraq.

Repubblica NewYork

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MONDO

LUNEDÌ 14 MAGGIO 2007 III

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mente scritto da Nina Wang, una delle donne più ricche del mondo, lascerebbe un patri-monio valutato 3 miliardi di dollari al maestro di feng shuidella signora. La vicenda ha evidenziato

l’ossessione della città per il feng shui, l’antica usanza ci-nese di disporre gli oggetti in modo da creare un ambiente armonioso. Il primo testamento, appar-

so subito dopo la morte della si-gnora Wang avvenuta lo scorso 3 aprile, non aveva niente a che vedere con il feng shui. Vedova senza figli, la Wang

lasciava il suo patrimonio ad una fondazione di beneficenza

e destinava una somma non specificata all’assistenza dei suoceri.Ma ciò che per settimane ha

polarizzato l’attenzione della città è un secondo testamento dalle origini poco chiare, scrit-to in inglese e recante la data dell’ottobre scorso. Il documento consegna

l’intero patrimonio a Chan Chun-chuen, il maestro di feng shuidella signora Wang. L’uomo è anche un affermato immobiliarista, sebbene non così affermato quanto lo era la signora Wang nel settore delle costruzioni. Chan, di tanto in tanto, era

stato fotografato al fianco

della signora, soprattutto negli anni Novanta, dopo il rapimen-to del marito di lei. Chan e la si-gnora Wang hanno pregato in-sieme spesso al tempio di Hong Kong per il ritorno dell’uomo, che non fu mai ritrovato. La signora Wang finì per

assumere il controllo delle at-tività imprenditoriali del ma-rito, dopo una lunga battaglia legale che vide la coesistenza di due testamenti.L’avvocato di Chan è Jo-

nathan Midgley, già noto a Hong Kong per aver difeso con successo la signora Wang dal-l’accusa di aver contraffatto il testamento che la lasciava ere-de delle attività del marito.Brian Gilchrist, in quell’oc-

casione avvocato della signora Wang nella causa civile, oggi rappresenta la fondazione di beneficenza (che il 25 aprile ha richiesto una verifica del-l’autenticità del testamento

per impedire a Chan di rivendicare il patrimonio) in quella che si annuncia co-me un’altra lunga battaglia legale.Gilchrist afferma di non

aver saputo dell’esistenza di alcun altro considerevole patrimonio lasciato in eredi-tà al maestro di feng shui. La rivista Forbes, il mese

scorso, ha valutato per 3,1 miliardi di dollari la fortuna della signora Wang, morta di cancro a 69 anni.Midgley ha fatto vedere

una foto dove la signora Wang era raggiante, seduta vicino a Chan, in piedi, in una posizione classica nelle nozze in Cina. La foto alimenta le speculazioni sulla relazione tra la signora Wang e Chan. Mingley ha contestato anche

l’eccessiva attenzione riserva-ta dai mezzi di comunicazione al fatto che Chan sia un mae-stro di feng shui. “La stampa ha presentato l’attività legata al feng shui come se si trattas-se di magia”, dice l’avvocato. “Se avesse fatto il lattaio o il contabile, sarebbe stato altret-tanto importante?”.Uno degli argomenti più

spinosi riguarda i rapporti personali che intercorrono tra un maestro di feng shui e i suoi clienti. Senza commentare la vicenda riguardante la signora Wang e il signor Chan, Warren Lee, che studia da 40 anni il feng shui, dice che “a differen-za della professione medica, dove esiste un codice etico, non c’è nulla che impedisca ad un maestro di feng shuidi stringe-re rapporti di natura romanti-ca con i suoi clienti”.

di NICHOLAS WOOD

SOFIA, Bulgaria — Tra cibo, vino escrosci di risate, più di 200 ospiti eranoa cena in un albergo di epoca comunistasituatoaimarginidell’abitato.Aprimavi-sta, sembrava una festa di matrimonio:i discorsi degli oratori erano interrotticontinuamentedadomandeimpertinentie l’alcolscorrevaafiumi.Il raduno al Park Hotel Moskva, però,

non era un matrimonio: era un esperi-mento per cercare di ridare slancio alprocessodemocraticoinBulgaria,doveilgovernositrovaadoverfareiconticonunnumero dei votati in netto calo e undisin-teresse crescente da parte dell’opinionepubblicapergliaffaridelloStato.Il metodo, escogitato da James S.

Fishkin, un professore dell’Università diStanford in California, rievoca gli idea-li democratici della Grecia classica: siriunisce un gruppo di persone scelte concriteri casuali, gli si forniscono informa-zionipiùapprofonditesuunadeterminataquestionee li si lascia liberididiscuterne.Daiquestionari riempiti dai partecipantiprima e dopo l’esperienza, emergono va-riazionidiopinionebenprecise,digrandeinteresseper ipolitici.Questo procedimento (che ha tanto di

marchioregistrato,DeliberativePolling)è stato usato da gruppi politici e società

private nei luoghi più disparati (Grecia,Cina, Italia, Texas) e l’Unione Europeaha intenzione di farvi ricorso prima del-l’avvio delle trattative su un nuovo pro-

getto costituzionale, previsto per questaestate.Il dibattito di Sofia, però, ha la partico-

laritàdiessere il primoesperimentocon-

dottodaungovernonazionale.L’argomento in discussione eraunodei

più scottanti in Bulgaria: come fare permigliorare le condizioni di vita dei pove-rissimi Rom della Bulgaria, che rappre-sentanocircaundecimodellapopolazionecomplessiva(laBulgariahasettemilionidi abitanti). La maggior parte dei Romviveinquartieriaffollatissimisituatialdifuoridellecittàprincipali.Il primoministro Sergei Stanishev si è

impegnato a tener conto dei risultati perdelineare la lineapoliticaalriguardo.Il procedimento è cominciato con un

questionario, rivolto a 1.344 persone, sutematiche riguardanti i Rom sul pianodell’edilizia abitativa, della criminalità edell’istruzione. All’interno del campionedipersoneintervistate,nesonostatesele-zionate 255 per il raduno, che si è svolto ametàaprile.Ipartecipantihannoricevutomateriali informativi, tra cui le propostedei partiti politici, del governo e delle or-ganizzazioninongovernative.Per due giorni hanno discusso con

esperti e politici che sostenevano tesi dif-ferenti, ponendo domande elaborate nelcorsodiriunionipiùristrette.La televisione ha trasmesso sei ore dei

lavoridiquestaassemblea.Inizialmente,ildibattitoeramoltopolarizzato.“Dovrebberodarglisolopaneeacqua”,

diceva Mariana Dragonova, una donnasui45annicheproponevaditogliereilsus-sidio a quelle famiglie Rom che avevanounparente ingalera.Allafine, ipartecipantisonostatisotto-

posti a un nuovo questionario. Quelli chepensavanoche“iRomdovrebberovivereinquartieriseparati,riservatisoloaloro”,erano scesi dal 43 al 21 per cento. Quellichevolevanopiùpoliziottiromeranosali-tidal32al52percento.“La sensazione generale che è uscita

fuori dal dibattito”, ha detto Stanishev,è che c’è “un alto livello di tolleranza, equestaè lacondizionepiù importanteperl’integrazionedeiRom”.Alcuni osservatori fanno notare però

che l’atmosfera del dibattito, in un saloneufficiale,conuncontattodirettoconipoli-tici, spingeva i partecipanti ad assumereunatteggiamentopiùaperto,dissimulan-doquei pregiudizi chemagari esprimonosenzariservetra leparetidicasa.

Bulgaria, democrazia da Grecia antica per un problema tutto moderno

Filip Horvat per The New York Times

I Rom sono spesso poveri e vivono in baraccopoli. Il miglioramento delle lorocondizioni di vita è stato oggetto di un esperimento di “governance” civica.

Che fare con i Rom?Si riunisca un’assembleaper indirizzare i politici.

DIARIO DA HONG KONG

Un’eredità da recordper il maestro di feng shui

Ha collaborato all’articolo Hilda Wang.

European Pressphoto Agency

Nina Wang ha lasciato miliardi di dollari a Chan Chun-chuen.

Repubblica NewYork

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MONDO

IV LUNEDÌ 14 MAGGIO 2007

VIETNAM

Ho Chi Minh City

Mar CineseMeridionale

Golfo diThailandia

Sihanoukville

CAMBOGIA

Phnom Penh

THAILANDIA

LAOS

Fiume Mekong

Km 160

Il fondo pensioni del governo norvegese cita le seguenti motivazioni etiche per la sua scelta di non investire in queste aziende:

BOMBE A FRAMMENTAZIONE O PRODUZIONI CORRELATE

Alliant Techsystems UsaGeneral Dynamics UsaL-3 Communications Holdings UsaLockheed Martin UsaPoongsan Corp. Corea del SudRaytheon UsaThales Francia

DANNO AMBIENTALE

Freeport McMoRan Copper and Gold UsaDRD Gold Sudafrica

DIRITTI UMANI

Wal-Mart Stores, Wal-Mart de Mexico Usa

MINE

Singapore Technologies Engineering Singapore

ARMI NUCLEARI

O PRODUZIONI CORRELATE

BAE Systems Gran BretagnaBoeing UsaEADS, EADS Finance Consorzio europeoFinmeccanica ItaliaHoneywell International UsaNorthrop Grumman UsaSafran FranciaUnited Technologies UsaIllustrazione di The New York Times

segue dalla prima pagina

Wal-Mart, Beth Keck, ha contestato le accuse norvegesi definendole fondate su informazioni superate o imprecise. Le due parti continuano a discutere. Dodici delle 21 società incluse nella

lista nera norvegese sono americane. Ma il problema non sta solo in questa proporzione, dice Whitney. Secondo l’ambasciatoreamericano, laNorvegia non ha una politica di cernita coerente. “Non sono sicuro che il governo nor-

vegese comprenda che potere deriva dall’essereunodeimaggiori investitori del mondo”, dice. Gliamministratorinorvegesirespin-

gono le critiche affermando che la loro politica è perfettamente in linea con quella dei grandi fondi che, in Europa e negli Stati Uniti, praticano i cosiddetti investimenti socialmenteresponsabili. “Siamoriuscitiacombinare lagestione professionale del fondo con un approc-cio etico”, dice Kristin Halvorsen, mi-nistro delle Finanze norvegese. “Per noi sono le due facce della stessa meda-glia”. Gli investimenti socialmente re-sponsabili, dice il ministro, non hanno penalizzato la performance del fondo. Nel 2006 ha reso il 7.9 per cento, sopra l’obiettivo fissato dal governo. La Halvorsen ha dichiarato l’inten-

zione di espandere l’agenda sociale norvegese. Tra le società oggetto del prossimo possibile scrutinio ci sono quelle che contribuiscono al riscalda-mento globale. “In un’economia globale la proprietà

delle imprese è il modo più efficace per esercitare influenza”, dice il ministro. I norvegesi più che sentirsi magna-

ti del petrolio, da tempo privilegiano l’impegno umanitario. Il Paese si è fat-to promotore del trattato delle Nazioni

Unite per la messa la bando delle mine terrestri ed ha ospitato i colloqui di Pa-ce di Oslo tra israeliani e palestinesi. Eppure, in qualità di terzo maggiore

esportatore di petrolio dopo l’Arabia Saudita e la Russia, la Norvegia non può ignorare la propria ricchezza. Con l’impennata del prezzo del greg-

gio, è diventato il maggior fondo pub-blico in Europa. Al tasso in cui cresce, diconogli esperti, nell’arcodiundecen-nio avrà un valore tra gli 800 e i 900 mi-liardi di dollari, ovvero 180.000 dollari a testa per ogni abitante (uomo, donna, bambino) della Norvergia. “Inevitabilmente inorvegesisi sento-

no a disagio nel possedere tanto dena-ro”, dice Gro Nystuen, avvocato attivo nella difesa dei diritti umani, a capo di un consiglio etico che esamina gli inve-stimenti. “Il nostro compito è far senti-re i norvegesi meno in colpa”. I motivi che giustificano l’esclusione dal fondo rientrano in cinque categorie: gravi o sistematiche violazioni dei diritti uma-ni, graviviolazionideidiritti individua-li in guerra o in corso di conflitto, gravi danni ambientali, evidente corruzione ad altre gravi violazioni delle fonda-mentali norme etiche.La decisione di mettere al bando

le ditte produttrici di mine terrestri e di bombe a frammentazione fu am-piamente accettata dai norvegesi ma quando vennero aggiunte alla lista le dittecoinvoltenellaproduzionediarmi nucleari alcuni critici osservarono che il Paese si era intenzionalmente posto

al riparosotto l’ombrellonuclearedella Nato. Il fondoha liquidatocomplessiva-menteazionidiquestesocietàperquasi un miliardo di dollari. Tra le ditte incluse nella lista nera

è presente la società mineraria Free-port-McMoRan, che la Norvegia accu-sa di grave danno ambientale nelle sue minieredirameed’oro inIndonesia.La Freeportharespintopuntoperpunto le accuse in un documento di 25 pagine. Passando dalle imprese alle nazioni,

la Norvegia ha recentemente dichiara-to che non investirà nel Myanmar, ex Birmania, che ha imposto gli arresti domiciliari all’attivista democratica Aung San Suu Kyi. I critici individuano delle contrad-

dizioni nella politica norvegese delle esclusioni. Si procede già in direzione di aggiungere le società produttrici di tabacco alla lista nera. Se Myamar verrà messo al bando, perché non scar-tare allora anche l’Arabia Saudita vi-sti i precedenti quanto ai diritti delle donne? E ancora, la società petrolifera statale norvegese Statoil, è attiva nei Paesi islamici.“Due pesi e due misure”, dice Chri-

stian Tybring-Gjedde, membro del Partito progressista all’opposizione. La Halvorsen ammette il dilemma. Escludere le imprese che hanno un impatto negativo sul cambiamento climatico dice, metterà la Norvegia in una situazione di imbarazzo, visto che la sua fortuna nazionale è fondata sui combustibili fossili.

Hanno collaborato Renwick McLean e Brent McDonald.

RIAD, Arabia Saudita — L’Arabia Saudita, che ospita i luoghi santi del-l’Islam, strabocca di ricchezza petro-lifera e riveste un ruolo sempre più influente tra i Paesi arabi, da tempo

oppone resistenza a modificare il proprio stile di vita ultra-tradi-zionalista. Ormai però le interferenze dell’econo-mia globale e della tec-nologia hanno iniziato a

sfidare apertamente alcune tradizioni, come non sarebbero riusciti a fare nep-pure i più idealisti del Paese. Le tensioni che questo provoca si sentono davvero in un dibattito sorprendentemente aperto sulla portata dei cambiamenti con i quali i sauditi vogliono moderniz-zare la loro società. Mentre la polizia religiosa ancora

adesso fa la ronda per le strade della capitale, molto sta cambiando. I sauditi sono improvvisamente oppressi dai de-biti. Migliaia si sono arricchiti, mentre altri hanno perso cifre ingenti in Borsa. Gli stranieri ormai possono investire in assicurazioni, miniere, ferrovie, linee aeree e servizi di trasmissione via sa-tellite, tutte cose un tempo proibite. Buona parte di questa frenetica at-

tività è conseguente al desiderio per l’Arabia Saudita di essere competitiva, integrata al mondo moderno al di là del-le sue frontiere. Il governo sta costruen-do vaste città industriali che dovranno richiamare migliaia di professionisti stranieri e si prevede che contribuirà a portare ulteriori cambiamenti nelle abitudini sociali e legali, come prezzo per l’ammissione all’economia globale. “Dovremo alleggerire tutte le norma-

tive vigenti, per competere non solo a livello mondiale, ma anche regionale”, dice Jamal Kashoggi, direttore del quo-tidiano Al Watan.Nel frattempo, mentre si sono arenati

i tentativi di introdurre alcuni principi di base della democrazia rappresenta-tiva, è risultato impossibile mantenerla estranea alle influenze esterne, come la televisione via satellite e Internet. L’intrusione di tentazioni e influenze

ha fatto sì che i sauditi si sentissero tra due impulsi contrastanti, lo stimolo,

al quale sono propensi, a spingere la nazione verso la modernità, e le aspet-tative di molti cittadini fortemente re-ligiosi e conservatori che vogliono che il governo continui a farsi custode delle tradizioni. La popolazione si è impegnata in un

dibattito pubblico sempre più coinvol-gente sulla propria identità. La natura eccezionalmente aperta di tale dibat-tito, di per sé una rarità per chi non co-nosce neppure i propri vicini, li ha resi nervosi.“Che si tratti di una cosa positiva o

meno, questa è la realtà dei fatti”, dice Saleh al-Wohaibi, segretario generale dell’Assemblea mondiale dei giovani musulmani. “Si dibatte, se ne parla nei media e perfino quando si prega”. Cinquant’anni fa Riad, la capitale,

era una città di case di fango nella quale

la popolazione doveva costruirsi da sola perfino le scarpe. Oggi il centro della città ha un accesso wireless a Internet, caffè Starbucks e grandi magazzini Saks Fifth Avenue. Per tradizione, le città saudite non hanno mai avuto una piazza nella quale la gente potesse incontrarsi e scambiarsi apertamente le opinioni, ma oggi a Riad molti centri commerciali sono diventate vere e proprie piazze. Nell’aria condizionata contro il caldo torrido, uomini e donne si accalcano già di prima mattina. Un anno e mezzo fa un nuovo programma tv, La questione del giorno, ha iniziato a inviare i propri giornalisti nei centri commerciali a intervistare la gente sul-le proprie opinioni. Le interviste hanno coperto una mol-

teplicità di argomenti: le donne e il lavo-ro, i comportamenti religiosi, la febbre

aviaria. L’emittente Al Ekhbariya, per la prima volta, ha chiamato alla condu-zione del telegiornale una donna. Quando, due anni fa il re Abdullah è

salito al trono, predominava un diffuso senso di aspettativa: molti pensavano che avrebbe accelerato il processo di ri-forme politiche e sociali. Per procedere in questa direzione, il re aveva bisogno del consenso delle diverse basi del po-tere, prima di tutto della sua famiglia che annovera principi in linea di succes-sione al trono, allineati con i religiosi conservatori. La leadership saudita, per esempio,

finora non ha modificato il corso di stu-di nella scuola pubblica, con insegna-menti che promuovono l’intolleranza e l’ostilità nei confronti delle altre reli-gioni. Ma questo è stato criticato perché non prepara per la vita di oggi. Dopo

che una classifica internazionale aveva collocato agli ultimi posti ben tre uni-versità saudite, il re ha annunciato che investirà 32 miliardi di dollari in nuovi progetti per migliorare il livello educa-tivo e uno prevede di aprire gli atenei a consulenti stranieri. Gli indizi di un cambiamento ci so-

no, ma sono ambigui. Fawziya Abou Khalid, docente di Sociologia alla King Saud University, che caldeggia il rico-noscimento dei diritti delle donne, si è riunita con altre donne, per 14 anni, in varie abitazioni private per discutere e analizzare diverse questioni. Non molti mesi fa, il governo ha fatto sapere che prima di poter organizzare riunioni co-sì è necessario avere un’autorizzazione. Di fatto, ha impedito queste riunioni. MuhammadAl Zulfa, storico e

membro dello Shoura, un organismo diconsulenza dei vertici dellamonarchiache assomiglia a un parlamento senzaaverne l’autorità legislativa, dice:“I conservatori non amano nessuntipo di cambiamento. Dicono di volerdifendere i valori della nostra società,ma stanno difendendo soltanto i loroprivilegi”.Lo sceicco Ibrahim al-Huqeil, l’imam

della moschea, non è d’accordo e so-stiene che l’effettivo intento dei conser-vatori è quello di preservare l’identità islamica. La sua più grande paura, ha detto, è che l’Islam possa finire come il Cattolicesimo, nel quale i membri della Chiesa non si sentono in obbligo di obbe-dire alle loro autorità. “Se i liberal intendono promuovere

i valori occidentali, non possono af-fermare di voler contestare i valori islamici. La gente non lo accetterà mai. Ecco che allora cercano di innescare un cambiamento delle tradizioni. Ma ciò significa cambiare la nostra identità islamica”.

Il regno del deserto al bivio tra modernità e tradizione

MICHAEL

SLACKMAN

OPINIONE

Il petrolio della Cambogiauna benedizione o un rischio?

Shawn Baldwin per The New York Times

La vista dalla Kingdom Tower di Riad dà un’idea del ruolo economico globale che i leader sauditi auspicano. Ci si chiede come il cambiamento influirà sulle tradizioni conservatrici.

Ha collaborato Mona el-Naggar.

Aziende ‘etiche’ per i miliardidella Norvegia

Paese ne uscirà cambiato”.In effetti il paese manifesta già molti

dei sintomi della maledizione dell’oronero, ancora prima che sia stata estrat-ta una sola goccia di greggio. Con la suaeconomia fragilissima, le sue istituzionideboli, la povertà diffusa e la corruzioneendemica, la Cambogia sembra il Paesemeno indicato per assorbire la ricchezzachesiprevede leporterà ilpetrolio.Lapopolazioneèancoratraumatizzata

daglieccididimassapermanodeiKhmerrossi tra il 1975 e il 1979, quandomoriro-no 1,7milioni di persone, e dai decenni diguerracivile,brutalitàemiseriachesonoseguiti. Ora, 28 anni dopo la cacciata deiKhmer, laCambogiastaperdare il viaalprocesso di quei pochi leader dei Khmerrossi ancora in vita, un’iniziativa che po-trebbericucire la ferita.L’imminente processo e la manna pe-

trolifera che si staglia all’orizzonte sonoil segnale di una transizione dalle feriteancoraaperteaunfuturochesiprospettapiù impegnativo. “Amio parere, questa èl’ultimagrande occasione per laCambo-gia di prendere il posto che le spetta nelmondoenellaregione”,diceMussomeli.LaCambogiapossiedeseipossibiligia-

cimentinelGolfodelSiam,oltre160chilo-metri al largodiSihanoukville, piùdiver-si altri in zone contese con la Thailandia.Sullaterraferma,hannoscopertodepositidinumerosiminerali,comebauxiteeoro,che potrebbero andare ad accrescere laricchezza. Se usati saggiamente—comeprometteHun Sen— i proventi del petro-lio potrebbero rappresentare la salvezzaperi14milionidiabitanti—il35percentoviveconmenodimezzodollaroalgiorno.Complessivamente, l’oroneropotrebbe

produrreunosviluppoeconomicodigranlunga superiore alla ripresa economicasupiccolascalaincorsonelPaese(l’annoscorsosi è toccatoun tassodi crescitadel10 per cento), basata soprattutto su indu-stria dell’abbigliamento e turismo, oltrecheediliziaeagricoltura.Isoldidelpetro-liopotrebberoservirepercostruireclini-

cheescuole,stradeecanalidiirrigazione,eperportare l’energiaelettricaaquell’82percentodi cambogiani cheattualmentene sono privi. Oppure potrebbero esseresucchiativiadaunapiccolaepotenteélitechegiàsidivoragranpartedellaricchez-za, eventualità che farebbe insorgere isintomi della maledizione dell’oro nero:tracollodeiservizipubblici,dellastabilitàeconomicaedell’ordinesociale.Alcuniedificipubblicisonostativenduti

afinispeculativi.Laconcessioneturisticaper le visite al più famoso campo di ster-miniodelPaeseèstatadataaunasocietàgiapponese. I soldi dei biglietti per il sim-bolonazionale, i templidiAngkor, finisco-noper lopiù inmaniprivate.Per evitare le conseguenze peggiori la

Cambogia dovrebbe cambiare metodo,ma i personaggi al potere forse non sonopreparati a resistere alle tentazioni chehanno travolto altre nazioni ricche dioro nero. “Se guardiamo il passato, nonc’è ragione di essere ottimisti”, dice SokHach,presidentedell’EconomicInstituteofCambodia, un gruppodi ricercapriva-to. “Io spero sempre che le persone chedetengono il potere possano cambiare.Ma se non cambierà nulla, la Cambogiarischieràveramente ilcollasso”.

The New York Times

segue dalla prima pagina

Heng Sinith/Associated Press

Al largo di Sihanukville potrebbero esserci giacimenti di petrolio.

Repubblica NewYork

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di WAYNE ARNOLD

SINGAPORE—Questa prospera cit-tà-stato di 4,5milioni di abitanti aspiraadiventare il rifugio dei ricchi delmon-do e del loro denaro, la risposta asiaticaaGinevra e Zurigo.Singapore, con la sua famadi ordine e

sicurezza garantiti da un regime auto-ritario, ha a lungo puntato sulle multi-nazionali per l’occupazione nel settoremanifatturiero e per la crescita econo-mica. Ma con l’ascesa della Cina comecolosso industriale, Singaporeha inizia-to a cercare un nuovo elisir in tutta unaserie di attività economiche di tenden-za, dalla tecnologiaai farmaceutici allaricerca sulle cellule staminali.Oggi Singapore, minuscola enclave

all’estremità della penisola malese,cerca di crearsi una nuova nicchia nel-l’economia globale rafforzando le leggisul segreto bancario e offrendo genero-si incentivi fiscali.“Non saprei indicare un altro posto

in cui il private banking cresca altret-tanto”, dice Henrik T. Mikkelsen, dellaCommerzbank di Singapore. “Puntia-mo a diventare la Svizzera dell’Asia”.Manca forse il magnifico panorama

alpino,ma l’auspicio degli amministra-tori qui è che allettare i ricchi e i lorobanchieri non serva solo a diversifica-re l’economiama contribuisca anche a

controbilanciare il tasso di natalità incalo e ad arricchire la popolazione sta-ticadi Singaporedi “talento straniero”,come si dice qui.“Creaposti di lavoro, dàvita all’indu-

striadei servizi, produce reddito e, l’im-migrazione va ad integrare il calo difertilità del nostro paese’’, dice VivianBalakrishnan,ministro per lo sviluppodella comunità, la gioventù e lo sport.Circa 40 banche private dispongono

oggi di sedi regionali a Singapore tracui istituti solidi e affidabili come laBanca JuliusBaer.La sede centrale di Citigroup per il

private banking fuori dagli Stati Unitioggi è a Singapore e altrettanto valeper la divisione global banking dellabritannica StandardCharteredBank.Il capitale privato gestito qui, stima-

to in 150 miliardi di dollari, è un’ineziaconfronto ai 1700 miliardi di dollariamministrati dai banchieri svizzeri.Ma a quanto si dice sta crescendo ra-pidamente, alimentato dal denaro pro-veniente dalle economie asiatiche inrapida espansione, dai petrodollari delMedio Oriente e dai patrimoni giappo-nesi ed europei in fuga a fronte di nuovitentativi di tassare i redditi esteri.I banchieri provvedono alle neces-

sità di personaggi come Robert V.Chandran, emigrato negli Stati Uniti

dall’India , e arricchitosi nel ramo im-mobiliare in California e nel settore deicarburanti.Nel 2005, progettando di ritirarsi da-

gli affari, ha trasferitoqui la suasocietàe la sua famiglia, ha acquistato un ap-partamento in centro e dei posti barcain un resort sul litorale. Ha scambiatoil suo passaporto americano con uno diSingapore.Chandran dice che ad attrarlo a Sin-

gapore è stata la miscela di comoditàoccidentali e valori asiatici e l’impegnodel governo a mantenere alta la com-petitività del paese. “Qui non esiste unsistema di tassazione globale”, quindiil reddito da capitali e da interessi nonè soggetto a tassazione. (Singapore im-pone solo un’aliquota del 20 per centosui redditi prodotti in loco).Il mercato dei servizi destinati ai su-

per ricchi dell’Asia è indubbiamente inespansione.La regione in piena crescita econo-

mica sforna ogni anno almeno 200.000nuovi miliardari, stando ad un recenterapporto di Merrill Lynch e CapGemi-ni.Permolti lanuova infrastruttura, l’ef-

ficiente burocrazia e il governo stabiledi Singapore compensano la carenza dilibertà di stampa, di dibattito politico edi fermento artistico.

di EILENE ZIMMERMAN

D.Perparecchiannidopolamaterni-tàèrimastaacasa.Oggi isuoi figlivan-no a scuola e sta pensandodi riprende-re a lavorare. Riuscirà questa donna atrovareun lavoro soddisfacente?

R. Certo. In realtà non si smette dilavorare, anche se non si riceve più unsalario. Le donne spesso non sono con-sapevolicheallevandoi figlihannoaffi-nato leproprie capacitàgestionali e or-ganizzative, dice Jen Singer, creatricediMamaSaid.net, un sitoweb dedicatoallemadri che si dedicanoa tempopie-noopart-timealla casaeai figli.

D. Come tenersi aggiornate profes-sionalmente?

R. I modi sono tanti, dice Nancy Col-lamer, consulente professionale non-ché fondatrice di Jobsandmoms.com, un sito dedicato alle professioniste in cerca di attività lavorative flessibili.Seguirecorsiper tenersiaggiornate.

Frequentare congressi e seminari per migliorare la conoscenza del settore. Fare volontariato che abbia impatto sui risultati finanziaridiun’organizza-zioneorafforzi lepropriecapacitàdiri-genziali. E iniziare a leggere periodici e pubblicazioni specializzate.

D. A chi può rivolgersi la donna inte-ressata a rientrare nel mercato del la-voro? Meglio affidarsi ad un’agenzia, agli annunci o a ex colleghi?

R. Partire dagli ex colleghi è consi-gliabile. Chiamate le persone con cui avevate rapporti di lavoro e portatele apranzo.Forseèpiù importantericon-tattare i colleghi che facevano riferi-mento a voi quando lavoravate, inclusi quelli che avete formato.“E’ gente che ha fatto carriera du-

rante la vostra assenza e in molti casi èora inposizionedapoterviassumere, e si ricordadivoi”, diceCarolFishman Cohen, co-autrice di “Back on the Ca-reer Track: a Guide for Stay-At-Home Moms Who Want to Return to Work.’’ (Dinuovo incarriera:guidapermam-

me casalinghe che vogliono riprende-re a lavorare).Gli annuncipossonoservireacapire

quali profili professionali sono richie-sti. I cacciatori di teste probabilmente serviranno a poco perché in genere si occupano di ricollocare dirigenti con alle spalle una carriera tradizionale, diceLisaKojisdella PrincetonOne, so-cietà di ricerca di personale esecutivo con sede a Skillman, New Jersey.Se siete rimaste fuori dal mondo del

lavoro per meno di due anni potreste trovare un impiego rivolgendovi ad un’agenzia della vostra zona, aggiun-ge, soprattutto se il vostro è un profilo professionale molto richiesto, come contabile o infermiera.

D. Come giustificare gli anni di “bu-co” nel curriculum?

R. Cancellate le date. Stilate il curri-culum non in ordine cronologico ma in baseai successiprofessionali.Dovrete comunque specificare il motivo della pausa lavorativa ma fatelo nella lette-ra di accompagno e nella sezione del curriculum riservata ad informazioni “sulla persona”, dice Allison O’Kelly, direttrice e fondatrice di Mom Corps (Atlanta). Non dimenticate di citare i corsi frequentati e le attività di volon-tariato svolte mentre eravate a casa. “Ad esempio se siete in grado di scri-vere nel curriculum ‘ha incrementato del 25 per cento la vendita di spazi pub-blicitari sull’annuario della scuola ele-mentare lo scorso anno’ dimostrerete di saper vendere spazi pubblicitari”, aggiunge la O’Kelly.

D. Come prepararsi al meglio ad un colloquio di lavoro se si è fuori eserci-zio?

R. Fare le prove. Il segreto del suc-cesso nei colloqui è mostrarsi sicuri di sé. Iniziate esponendo i vostri progetti lavorativi ad amici, familiari o altri, suggerisce la Cohen. “Vi chiederanno che cosa intendete fare e dovrete tro-vare le parole per dirlo”.

La Svizzera d’AsiaSingapore attira i ricchi

A casa dopo la maternità,ecco come ributtarsi nel lavoro

Reuters

Sentosa Cove, la zona di Singapore dove yacht e stranieri aiutano a creare l’immagine di paradiso per ricchi.

ECONOM I A E SOC I E TÀ

LUNEDÌ 14 MAGGIO 2007 V

Repubblica NewYork

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S C I E N Z A E T ECNO LOG I A

VI LUNEDÌ 14 MAGGIO 2007

di CARL ZIMMER

LITCHFIELD,Connecticut—“Que-

sto è il campione”, dice l’ecologa com-

portamentale Patricia Brennan chi-

nandosisullepartibassediunmaschio

di anatra — un’anatra del Meller del

Madagascar, ad essere precisi — cer-

cando con delicatezza di estrarne il

fallo.L’anatraèa testa ingiù, adagiata

sullo stomaco di Ian Gereg, un avicol-

tore che lavora qui, presso la Riserva

di uccelli acquatici Livingston Ripley.

Ogni due settimane Brennan, ricerca-

trice post-dottorato all’Università di

Yale e all’Università di Sheffield, visi-

ta la riserva per misurare i falli di sei

specie di anatre.

La prima volta, a gennaio, i falli era-

nograndicomechicchidigrano;ades-

so molti stanno crescendo rapidamen-

te, e il campione è questa anatra del

Meller, il cui fallo è un lungo tentacolo

a forma di spirale. I falli di alcune ana-

tre sono lunghi quanto il loro corpo; in

autunno, i genitali scompaiono per poi

riapparire in primavera.

Se si considera che il 97 percento di

tutte le specie di uccelli non possiedo-

no un fallo — molti uccelli maschi

emettono il proprio sperma da

un’apertura — l’anatomia delle

anatre è particolarmente insoli-

ta. Brennan sta cercando di ca-

pire come si sia arrivati a un tale

prodigio.

Per decenni, ha scoperto, la

risposta a questo interrogativo è

stata cercata senza prendere in

considerazione alcuni dati: a de-

terminare nei maschi delle ana-

tre dei genitali così straordinari

potrebbero essere stata la straor-

dinarietà dei genitali delle fem-

mine. Gli uccelli sono costretti ad

una lotta evolutiva per la propria

riproduzione.

Prima del 1999, Brennan non si

era mai interessata ai falli degli uccel-

li. In una foresta di Porto Rico osservò

l’accoppiamento di un paio di uccelli

chiamati tinami. “Quando si stacca-

rono,notaiquest’enormecosachepen-

deva dal maschio”, dice. “Non potevo

crederci. Presi nota: perché questi

maschi hanno un fallo enorme?”.

Per la maggior parte del tempo

il fallo di un uccello resta invisibile,

raccolto all’interno del suo corpo. Ma

durante l’accoppiamnto si riempie di

fluido linfatico e si espande in lunghez-

za, assumendo una forma a spirale.

Per raggiungere la femmina, lo sper-

ma dell’uccello scorre lungo un solco a

spirale situato sulla parte esterna del

fallo.

Per saperne di più, Brennan decise

di sezionare il maschio di tinamo.

“Allora com’è fatta la femmina?”,

dice. “Ovviamente non si può avere

una cosa simile senza un posto dove

collocarla”.

Solitamente, il tratto inferiore del-

l’ovidotto (che negli uccelli è l’equiva-

lente della vagina) è un semplice tubo.

Masezionandoalcunefemminediana-

tra Brennan scoprì che presentavano

un’anatomia decisamente diversa:

“C’erano tuttequestestrutturestrane,

queste sacche e queste spirali”, dice.

Le femmine di alcune specie di ana-

tra si legano ad un maschio per un’in-

terastagione,mavengonougualmente

infastiditedaaltrimaschi, che leobbli-

gano all’accoppiamento. Le specie che

presentano una maggiore incidenza

di accoppiamenti forzati tendono ad

avere falli più lunghi. Questo nesso ha

portato gli scienziati a ritenere che il

fallo delle anatre fosse spiegabile con

il fatto che i maschi devono competere

tra di loro per fertilizzare le uova.

Ma Brennan capì che gli scienziati

avevanoavanzatoquesta ipotesi senza

averosservato le femmine.Forse idue

sessi si stavano evolvendo contempo-

raneamente, e l’elaborato tratto infe-

riore dell’ovidotto induceva l’evolversi

della lunghezza dei falli.

Lavorando insiemeaKevinMcCrac-

ken dell’University of Alaska e ai suoi

colleghi, Brennan ha preso e sezionato

16speciedianatreeoche,paragonando

l’anatomia del maschio e della femmi-

na.Seunmaschioavevaun lungo fallo,

la femmina tendeva ad avere un tratto

inferiore dell’ovidotto più elaborato. E

se il maschio aveva un fallo piccolo, la

femmina tendeva ad avere un ovidotto

elementare. “La correlazione era in-

credibilmente diretta”, dice.

Brennan crede che l’elaborata ana-

tomia delle anatre femmina si evolva

come difesa contro i maschi aggressi-

vi. “Il maschio prescelto rappresenta

per loro la migliore scelta possibile: è

con lui che vogliono riprodursi”, dice.

“Nonvoglionountipochearrivavolan-

dodachissàdove,edè logicocheabbia-

no sviluppato una difesa”.

Brennan sospetta che con lo svilup-

podidifesemigliori, le femminediuna

specie inducano l’evoluzione del fallo

nel maschio. “I maschi devono ade-

guarsi e produrre un fallo più lungo e

flessibile”, dice.

“E’ raro trovare qualcosa di così

sfacciatamente ovvio nell’anatomia

femminile”,dice.“Sonocertacheacca-

da inaltrivertebrati,maprobabilmen-

te in modi più sofisticati e più difficili

da cogliere”.

Uomini contro capre nella battaglia per le isole Galápagosdi SIMON ROMERO

PUERTO AYORA, Isole Galápagos

—Conunfucilesemiautomaticoatracol-

la, AlonsoCarrión,rangerdelGalápagos

NationalPark,qualchetempofacihamo-

strato l’impressionante arsenale ben cu-

stodito inuncomplessodiquestacittà.Al

suointernosonoammassati fucili,proiet-

tili esplosivi, cannocchiali telescopici,

radio, reti di nylon e un canile che ospita

cani importati dalla Nuova Zelanda. Se

l’arsenale pare sufficientemente attrez-

zatoperrespingereun’invasioneèperché

questoèdiprecisoloscopoalqualeserve.

Questo arcipelago, che ispirò a Charles

Darwin lasuateoriadell’evoluzione,èda

decenni lo scenariodiunaguerra tradue

speciedianimalinonoriginariedelposto,

chehannoentrambealterato inmaniera

inverosimile la vita sulle isole. Parliamo

diunaguerra trauominiecapre.

“Talvolta è necessario uccidere una

specie perché le altre possano soprav-

vivere”, spiega Carrión. Adesso, grazie

a circa 10milioni di dollari forniti da do-

natori privati e dall’Onuper finanziare il

progetto di sterminio auspicato dalle au-

toritàdelParcodelle isole edallaFonda-

zione Charles Darwin, pare proprio che

gliuomini sianoprossimiallavittoria.

Dalla Nuova Zelanda sono arrivati

alcuni piloti di elicottero per sorvolare

l’isola più grande, Isabela, e consenti-

re ai cecchini di liquidare intere greggi

di capre con i fucili Ar-15. I ranger e gli

scienziatihannodettochesonostateucci-

secosìdecinedimigliaiadicapre,chedi-

sturbanounambiente di grandevalore e

minaccianoalcune specienativecome le

tartarugheconlequalicompetonoperal-

cunefontidicibo,peresempioicactus.Le

squadrediuominiarmatisiavventurano

anche a piedi, accompagnate da cani, e

seguono le tracce delle capre in località

remote, inbattutedicacciadurateanche

ventigiorni.Alle lorospalle,adecompor-

sisotto il sole tropicale, lesquadre lascia-

nomigliaiadicarcassedicapra.

Oggi alcune delle isole più piccole e

partedell’Isola Isabela sonoormaiprive

di capre. “Non è stato piacevole, ma era

assolutamente necessario per il futuro

delle isole”, dice Felipe Cruz, un galapa-

gueño che ha contribuito a controllare lo

sterminio.

Il problema delle capre delle Galápa-

gos è andato crescendo col passare del

tempo. Si racconta che furono i balenieri

i primi a lasciare alcune capre su queste

isole circa due secoli fa per potersene ci-

bareai tempi incui le isoleeranopocopiù

che una breve tappa di rifornimento per

le loro navi in viaggio dal NewEngland.

Il traffico delle baleniere si ridusse nel

XIX secolo, in seguito al primo boom

petrolifero che fece calare la domanda

di olio di balena. Ma le capre si moltipli-

carono.AllafinedeglianniNovantaoltre

140.000capreselvaticheavevanoeletto le

isoleGalápagosa lorodomicilio.

Nel frattempo la popolazione umana,

arrivata nella stessa epoca di Darwin,

intorno al 1830, e che contava sì e nomil-

le anime alla metà del secolo scorso, è

cresciuta anch’essa, arrivando a 30.000

abitanti. Oggi la popolazione cresce a un

ritmo superiore al sei per cento annuo,

parialdoppiodel restodell’Ecuador.

Il progetto di sterminio delle capre,

iniziatoneglianniSettantaprimadiriac-

quistare slancio alla fine degli anni No-

vanta,hasollevatoparecchieobiezionidi

natura etica. Al progetto si sono opposti

i residenti indigenti delle isole che sulle

capre contavano per cibarsene e come

fontedi reddito.

Ilparcohadatempoautorizzato igala-

pagueñieglialtriabitantidelle isoleada-

re lacacciaallecapreaSantaCruz, l’iso-

la più popolata, con circa 18.000 abitanti.

Le capre catturate vive procurano fino a

quindici dollari a capo quando sono ven-

dute ai commercianti che le conducono

nei macelli di Guayaquil, sulla terrafer-

ma,maicacciatori lamentanochelepre-

de sono sempre più difficili da catturare

daquandoirangerdelparcohannomolti-

plicato i lorosforzidi sterminio. “Uccido-

nolecapredaglielicotterielelascianolìa

morire, quando io invece potrei sfamare

imiei figli”,diceEladioPeñafiel, 35anni,

preparandosiadandareacacciadicapre

a dorso di cavallo. “È come se volessero

sterminareanchenoi”.

Altri sostengono invece che lo stermi-

nio di capre è solo l’ultimo di una lunga

seriediesempidicomegliuominivoglio-

no trasformare la vita a loro piacimen-

to. “L’ambiente delle Galápagos ha già

subito il massiccio impatto delle attività

umane”, dice Robert H. Nelson, esperto

digestionedellerisorsenaturalidell’Uni-

versità delMaryland. “Questa è solo una

simulazionedellanaturaoriginariamen-

te creatadaDio e incontaminata. Si trat-

ta più di una Disneyland che di qualcosa

diautentico”.

Le autorità del parco mettono in evi-

denza i loro sforzi contro altre specie in-

vasive, quali gli asini selvatici, i cani e i

gatti.Anchealcunepiante importate, co-

melemoreelaguava,stannominaccian-

do lavegetazionelocaleesistastudiando

comelimitarne lacrescita.

Si stanno liberando in natura alcune

cosiddette“capreGiuda”, femminesteri-

lizzate trattateconormoni ingradodiat-

tirare all’aperto le capre sopravvissute,

cosìcheanch’essepossanoessereuccise,

mentre i cani da caccia restano all’erta.

“Siamo in guerra e abbiamo vinto una

delle più grandi battaglie”, dice Cruz.

“Ma non potremo fermarci finché non le

avremo uccise tutte”.

Nei genitali delle anatreuna scoperta sull’evoluzione

Christopher Capozziello per The New York Times

Patricia Brennan, ecologa comportamentale, studia l’elaborato apparato genitale delle anatre.

David Rochkind/Polaris, per The New York Times

Come creare la fotografia perfetta, pixel dopo pixeldi PETERWAYNER

A dicembre mancano ancora quasi

sette mesi, un tempo che potrebbe non

bastare però ai puristi che vogliono per-

dere dieci chili, farsi crescere i capelli

dopo quel taglio sbagliato e ritoccare i

difetti del viso prima di farsi scattare le

fotografie che decoreranno i biglietti di

augurinatalizi.

Niente di cui preoccuparsi, perché ora

il settoredellaelaborazioneedeiritocchi

fotografici, rendepiùfacilerisolveretutti

questiproblemiconpochiclicdelmouse.

I fotografi professionisti si affidano

da tempo a mani esperte e a software

sofisticati per fare diventare una buona

fotografiaqualcosadieccezionale.Lano-

vitàècheoraquestiservizisivendonosul

web.Percifrechevannodai20ai200dol-

lari,chiunquepuòavereunapanciameno

sporgente, una pelle più liscia e denti più

bianchi, almeno in fotografia.

Nonsi tratta, tuttavia,diunmercato in

cuidominasolo l’umanavanità,vistoche

molti di questi servizi sono specializzati

nella risoluzione di altri tipi di problemi,

come il fissaggio di fotografie storiche

non ben conservate, o la rimozione dei

segni della polvere o il bilanciamento dei

colori. EmyCraciunescu, comproprieta-

riodiPhojoe.com,spiegacheilcinquanta

per cento del suo lavoro è costituito dal-

l’elaborazione fotografica progressiva

dell’immaginediunapersonanellevarie

età. “Lavoriamomolto per i dipartimen-

ti della polizia e quelli che si occupano di

personescomparse,perchihadivorziato

e la cuimoglie si portata i figli inCalifor-

nia ...”,dice.“Èinpartescienzae inparte

arte,conunapiccoladose

di intuizione”.

Quandoiproblemisono

semplici, possono essere

risolti,nellamaggiorpar-

tedeicasi, con il software

in dotazione allemacchi-

ne fotografiche digitali

o ai computer. iPhoto

della Apple, per esempio,

fornisce un modo per eli-

minare gli occhi rossi.

Il pacchetto EasyShare

della Kodak permette di

aggiustare luminosità,

contrastoecolori.

Molti problemi, però,

richiedono unamaggiore

abilità e comprensione di

come il computer com-

pone le immagini. Per

togliere le rughe del con-

torno inferiore degli oc-

chi, per esempio, bisogna

evidenziare la zona e usare un filtro che

fonderà le rughe sostituendo ogni pixel

conunpixeldelvaloremediodeipixelche

locircondano.

Molti professionisti utilizzano Adobe

Photoshop.Eancheglialtripacchettisof-

tware gratuiti come GIMP (disponibile

all’indirizzo www.gimp.org) sono usatidiffusamente.

BorisKobringestisce,assiemeallamo-

glieNatalya, il sitoTouchofGlamour.La

loro specialità è la “glamourizzazione”,

unprocessocheprevedeeffetti standard

comeripulirelapelleoeliminarequalche

centimetrodallavitaealtrimenoovvico-

me rimodellare le varie

parti del viso. Allarga le

labbra, rimpicciolisce i

denti, ricostruisce le ci-

glia, aggiusta la forma

dellesopracciglia.

Questi artisti del re-

staurosonoanchecapaci

di elaborazioni dove si

estraggonoosiaggiungo-

noparti auna fotografia.

Molti clienti richiedono

questoserviziopertoglie-

reexmaritioexmoglida

fotografiedi famigliacui

sonomolto affezionati. A

una cliente di FixUpPix.

compiacevasolounafoto

sua nella quale il marito

avevagli occhichiusi.

Ma questa tecnica può

sollevare questioni eti-

che. “Un ragazzo voleva

vendicarsi della sua ex

ragazzaecichiesedimontarelasuatesta

suuncorponudo”,raccontaCraciunescu,

“manoinon facciamoquestecose”.

Giornali e agenzie hanno regole rigi-

de che vietano a fotografi o redattori di

usare questi metodi per alterare le im-

magini. Ma quando si tratta di questioni

di famiglia o di vanità, l’equazione etica

è diversa. “Quando simostra ai bambini

una fotografia del matrimonio, è bello

che i genitori siano belli”, dice Andrew

Berend,responsabilediAnthropicsTech-

nology, che produce il software Portrait

Professional.“Lacrudarealtànonèsem-

preciòche lagentepreferisce”.

Alcuni siti web offrono la rimozione di macchie e altri interventi estetici sulle foto.

Immagini prima e dopo il ritocco compiuto da touchofglamour.com.

Alle Galápagos, i ranger

cercano di sbarazzarsi delle

capre perché minacciano l’ecosistema.

Molte famiglie povere delle

isole le allevano per cibarsene.

Repubblica NewYork

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B U S I N E S S ECO LOG I CO

LUNEDÌ 14 MAGGIO 2007 VII

Km 80

Tulum

Mérida Cancún

MESSICO

QUINTANAROOCAMPECHE

YUCATÁN

Mar deiCaraibi

Golfo del Messico

Chichén

Itzá

Cobá

PENISOLA DELLOYUCATÁN

Los Arboles Tulum

RISERVA

DELLA BIOSFERA

DI SIAN KA’AN

OceanoPacifico

Golfo del Messico

La PazMESSICO

USA

Area indettaglio

Città del

Messicodi KEVIN BRASS

Nella fitta foresta tropicale che sorgea Ovest delle rovine Maya di Tulum, unimprenditore edile texano sta creandoun complesso residenziale nella giungla,nella speranza di attirare acquirenti piùinteressatiauccelli esotici eorchideesel-vatichecheallevedutesull’oceano.Il complesso, chiamato Los Arboles

Tulum (www.losarbolestulum.com), èil primo progetto di edilizia residenzialeattento all’ambiente nell’entroterradellaRiviera Maya, la meta turistica messi-cana famosa per i suoi villaggi turistici eper la vita notturnadiCancún. “Ci siamoresi conto che sul mercato esisteva unadomandaperprodotti comequellocheof-friamonoi”,diceJasonSchnurr,direttoreper lo sviluppo delle attività per il TierraGroup, la società controllata dalla fami-gliaSchnurrchestarealizzandoilproget-todelLosÁrbolesTulum.“NoncisarannosolomilionarisullaRivieraMaya”.La costa della Riviera Maya, sul lato

orientale della Penisola dello Yucatán, èunodeimercati residenziali in più rapidacrescita del Messico, con un’offerta in-

centrata sui residence. Il problema è chei terreni convista sulmare stannodiven-tando rari e costosi. Un ettaro di terrenoedificabilepuòarrivarea500.000dollari,mentregliappezzamentidelLosÁrbolesTulum, ognunogrande due ettari, sono invenditaper55.000dollari l’uno.Per contribuire a preservare l’ecosi-

stema della giungla, però, gli acquirenti

devono accettare di costruire solo sul 5per centodei loroappezzamenti e devonoprovvederedasoliall’approvvigionamen-toenergeticodelleloroabitazioni,conogniprobabilitàattraversopannellisolarioge-neratori.L’acquasaràestrattadaipozziei liquami saranno trattati conun sistemadi filtraggionaturalemoltodiffuso.Levillette nella giungla sonomolto dif-

fuse inPaesi come ilCostaRica,masonouna rarità per il Messico, dove la mag-gior parte degli acquirenti va in cerca dispiagge tropicali o fascino coloniale. “Lavedo difficile”, dice Bruce Greenberg,consulente e perito immobiliare espertodel mercato messicano. “Vendere villet-te nellagiunglanonsarà facile, amenodinonriuscireaoffrireuno stile di vitapar-ticolare, chepossaattirare quel determi-nato tipodiacquirente”.Il LosÁrbolesTulumvuole offrire l’oc-

casione di vivere in uno degli ecosistemipiùinsolitidelmondo.NellaPenisoladelloYucatánnonesistonocorsid’acquasuper-ficiali,masolofiumisotterraneichescor-ronosotto la superficie rocciosa, creandoimponentigrottenotecolnomedicenotes,

cherivestonounagrandeimportanzaspi-ritualeper lepopolazionimaya.Lazonadovesorgeilcomplessoèsitua-

tacirca13chilometrinell’entroterra, lun-go la stradachecollega le rovine costierediTulumaCobáunsitoarcheologicoma-ya ancora in gran parte inesplorato, cheuntempo,forse,rivaleggiavainsplendorecon lapiù famosaChichénItzá.SecondoSchnurr,sonogiàstativenduti

40 lotti, il sessanta per cento adacqui-renti americani e il 40 per cento a eu-ropei. Stephen Vernstrom, 60 anni, diMaple Grove, nel Minnesota, e lamo-glieMonasono stati fra i primiacom-prare uno di questi appezzamenti. Laloro intenzioneècostruirciunasecon-dacasaealla finetrasferirsiqui.“Cercavamo una casa grande, do-

ve non si dovesse stare ammassaticon diecimila altre persone”, diceVernstrom, dirigente una scuola diarrampicatasportivanelMinnesotaespessoguidatourecologici inMessico.“Se stai sulla costa, è uno stile di vitacompletamentedifferente”.La presenza di numerose specie

rare di piante e animali nella giunglaha attirato sul Los Árboles Tulum leattenzioni particolarmente scrupolo-se degli ispettori pubblici e dei caccia-

tori locali di etniamaya, che temono chelevillettepossano farscappare i tacchiniselvaticie icinghialipresentinellazona.Shawn Bandick, agente immobiliare

dellaOneStopRealEstatenellazonadel-la RivieraMaya, dice che esista unmer-catoperil tipodiesperienzanaturalisticaoffertodalLosÁrbolesTulum:“Potrannoattirare una clientela che non ne può piùdellavitaurbana”.

Plancton mangia-gas,grande affare in alto mare

The New York Times

I ‘crediti’ sulle emissioni alleviano il riscaldamento globale o solo la coscienza?

di MATT RICHTEL

SAN FRANCISCO — Il plancton po-trebbe contribuire a salvare il pianeta?Alcuni tecnocrati della Silicon Valleyscommettono di sì. Nel tentativo di limi-tare le conseguenze del riscaldamentoglobale, numerosi gruppi di ricerca lavo-rano alla possibilità di far crescere vasticampigalleggiantidiplanctoncheassor-ba l’anidride carbonica dall’atmosfera elaporti inmareaperto.Sitrattadiun’ideasulla quale gli scienziati dibattono da an-ni, un’idea che potrebbe apparire fanta-scientifica, ed è proprio lì che numerosistudiosi larelegano.Anche se i dubbi restano numerosi, il

primo progetto commerciale dovreb-be diventare operativo entro maggio. IlWeather Bird II, un’imbarcazione di 35metri per le ricerche, partiràdai cantieridella Florida diretta alle Galápagos e alPacificomeridionale. L’imbarcazionehainprogrammadi spargere suun trattodioceano di diecimila chilometri quadratisvariatimetri cubi di ferro, di cui il plan-ctonsinutre.Quando il ferropromuoveràlacrescitaelariproduzionedeiminuscoliorganismi,gliscienziatidelWeatherBirdIIsiripromettonodimisurarequantaani-dridecarbonica ingerirà ilplancton.L’idea è simile a quella di piantare in-

tere foreste che possano assorbire l’ani-dride carbonica, applicata ad aree ocea-

niche remote. “In fondo si tratta di faregiardinaggiobiologico.Nonèqualcosadifantascientifico”,diceRussGeorge,capoesecutivo diPlanktos, la società dietro alprogettoWeatherBirdII.“Potràrivelarsiun sistemacosì facile comenoi crediamochesia?Lostiamoperscoprire”.SecondoGeorge,nonèsoltantoscienza

e ambientalismo, ma è anche affari. Sepossibile, ungrandeaffare. In tutto il pia-neta nuovi trattati costringono le societàa cercare di neutralizzare in ogni modole loro emissioni di anidride carbonica, ePlanktos e altre società sue concorrentipotrebberoessereingradodiguadagnareparecchi milioni di dollari assicurando iloroservizi.Planktos e la sua concorrente Climos,

fondatadaunmilionarioarricchitosigra-zie al boomdot-com, intendono commer-cializzare la fertilizzazione dell’oceano.Il loro impegno sottolinea gli sforzi pertogliere l’anidride carbonica dall’atmo-sfera. Dalla Silicon Valley — dove gli in-novatori si stanno sempre più rivolgendoal business ambientale—cominciano adarrivareleprimesoluzioni.Iritornifinan-ziari potrebbero essere assai rilevanti,hadettoDanielM.Kammen,docentedel-l’UniversitàdellaCaliforniaaBerkeley.InEuropa,doveesisteunmercatoper i

crediti dell’anidride carbonica, oggi neu-tralizzareuna tonnellatadi emissioni co-

staappenaduedollari,mafinoanonmol-totempofaservivano35dollari.Planktoscrededipoterguadagnareingentiprofittichiedendo5dollaripercatturareeporta-re sottacqua una tonnellata di anidridecarbonica. “Oggi costameno compensa-re le emissioni di anidride carbonica conqueste tecnologie che costruire pannellisolariomuliniavento”,diceKammen.Alcuni esperti di oceanografia dicono,

però,chepromuoverelacrescitadelplan-cton èmolto pericoloso. KenBuesselermdell’Istituto oceanografico Woods Hole,ha detto che anche se inizialmente l’ani-dride carbonica potrà essere assorbita,una certa quantità inevitabilmente ritor-nerà nell’atmosfera quando il planctonsaràmangiatoosidecomporrà.Altri temonoche l’aumentodi plancton

possa rilasciaremetano e ossido nitroso,

che potrebbero a loro volta aumentare igasserra.George,57anni,èfondatorediPlanktos

inCalifornia.DopoaverlavoratoinCana-da come consulente ambientale, nel 1997haideatoPlanktos,propriol’annodelPro-tocollodiKyoto, il trattatochehaimpostodelle normative sulla riduzione dell’ani-dride carbonica. In realtà si ripromettequalcosadipiùcheridurre leemissionidianidride carbonica. Intende anche ripri-stinareilplanctonandatopersononostan-te ilcambiamentoclimatico.Neglisforzidicommercializzazionedel

progetto sono coinvolti anche alcuni illu-stri studiosi. Margaret S. Leinen, ex vicedirettrice del settore geoscientifico dellaFondazionenazionaleper lescienze, oggicapo scientifico di Climos, è la madre diDanWhaley, il suo fondatore.Aveva fatto

fortunaconilboomdelledot-dom,fondan-doGet-There.com.Adessohamessoinsie-meungruppodiconsulenti scientificichecomprendel’expresidentedell’AmericanAssociation for the Advancement of Sci-ence e il direttore delNational Center forAtmosphericResearch.Whaley non ha fatto sapere quando e

in chemodoClimos fornirà almercato laprovacheèpossibileusarelafertilizzazio-nedeglioceanipergarantireunacompen-sazionealungoterminedelleemissionidianidridecarbonica.Questo non gli ha impedito di lanciare

unasfidaaPlanktos:“Chiunqueabbiase-rie intenzioni deve coinvolgere e invitarei leader di spicco della comunità oceano-grafica a prendere parte ai progetti. Nonpuòlimitarsiadandarseneingiroagetta-repalatedi ferro inmare”.

Messico, vacanza alternativa con l’ecorifugio

Thor Swift per il New York Times; in alto a sinistra Jay Paul per il New York Times

Russ George sta studiando la teoria secondo cui spargendo ferro nell’oceano si può stimolare la crescita di plancton, che a sua volta può assorbire anidride carbonica. A sinistra la nave ricerche Weather Bird II.

Ladietaecodimagranteormai impaz-za:tutticercanodibuttargiùqualchetonnellatadiCo2.Unalistasemprepiù lungadigrandi

aziende—bancheinternazionali, i taxidiLondra, lineeaerepermanager—sfoggianol’etichettadi“aziendaaemissionicompensate”.LaSilverjet, lineaaereatransatlanticadi lusso,sivantadiessere laprima

“aCo2compensata”:suognibigliettoandata-ritorno,versacirca28dollariaunfondodestinatoafinanziareprogettiglobaliche,almenointeoria,comporta-no l’eliminazionedellastessaquantitàdianidridecarbonicageneratadalla lineaaerea,circaunatonnellataperpassegge-ro,dice laSilverjet.E’emersonegliultimi tempi ilmerca-

to,ancoranonregolamentato,dellecom-pensazionidelleemissionidiCo2.Consu-lentioaziendesi incaricanodistimare la

produzionedigasserradiun individuoounasocietà,perpoivendere“compen-sazioni”,cioèversamentia favorediprogetti, inaltrezone,checomportanol’assorbimentodiunquantitativoequiva-lentedianidridecarbonica,adesempiopiantandoalberioppurefertilizzandol’oceano inmodoche lealgheripuliscanol’ariadall’anidridecarbonica.CalcolieffettuatidallarivistaBusinessWeekediversigruppiper ladifesadell’ambientestimanoinpiù di100milionididollariall’annoquestocommerciodicompen-sazioni.Manonpotrebbeesseresemplicemen-

teunatrovatapubblicitaria?Gliambientalisti sono indisaccordo.

Alcuniritengonochesiautileperchéser-veacostruireconsenso,altriaffermanochequestecompensazioninonproduco-nonessunrisultatosignificativo, senoneliminareunpo’disensidicolpaodareunaspolverataecologistaallareputazio-nediqualcuno.Permolti, lacampagna

per lacompensazionediCo2èunsegnodei tempi:pochisacrificie tantoconsu-mismo.“Ipeggiori fraquestiprogrammidi

compensazionericordano lavenditadelle indulgenzedapartedellaChiesacattolicaprimadellaRiforma”,diceDenisHayes,presidentedellaBullittFoundation,ungruppoper laraccoltadifondipercauseambientaliste. “Invecedi ridurre lapropria improntaecologica,lagentesiprende jetprivati emegali-mousineepoipensadipotersi comprareun’indulgenzaperottenere laremissio-nedeipropripeccati”.Alcuniambien-

talisti difendonoquestomercatogiudi-candolounmodo legittimo,perquantoimperfetto, persostenereunmovimentoambientalistaetico-politico.“Nonfermeremoilriscaldamentoglo-

balecon lecompensazionivolontarie,marappresentanoun’opzionepossibileperchicercaunmodo,oltrearidurreperso-nalmente ilproprio impatto in terminidiemissionieafarepressionesuirap-presentantielettipersostenerepoliticheadeguate,perdare ilpropriocontributoarisolvere ilproblema”,diceDanielA.Lashof,direttorescientificodell’associa-zioneNaturalResourcesDefenseCoun-cil.Però, inEuropaenegliStatiUnitisi stannocreandostandardecodicidicomportamentovolontaripergarantirecheunatonnellatadianidridecarbonicaacquistatasi traducainunatonnellatadianidridecarbonicarisparmiata.CharlesKomanoff, economista

newyorchesespecializzatonelsettoreenergetico,diceche ilmercatodellecom-

pensazionidiCo2potrebbeavereeffettidannosi,perché lascerebbe intendereall’opinionepubblicacheesisteunasolu-zionefacile, riducendocosì il sostegnoaquellepolitichechesarebberorealmen-tenecessariesul lungoperiodoecioèfissare limitivincolantialleemissionio imporreunatassasuicarburanticheproduconogasserra.JonathanSlopey,amministratore

delegatodellaCarbonNeutralCompany,società inglesecheoperanelsettoredellecompensazionidiCo2, lavorandosoprat-tuttocon le imprese(solo il 5percentodellecompensazionivienevendutodiret-tamenteasingoli individui), insistechequestomercatovaacolmareundivariocruciale.Tantopiù,afferma,chetrattaticomeilProtocollodiKyoto,chestabili-scono limitiobbligatorialleemissionidigasserra,nonsonoriuscitiancoraadar-restare lacrescitadelleemissioni. “Nonserviràamettercisullastradagiusta”,diceShopley.

ANDREW

C. REVKIN

OPINIONE

Per gli scettici i piani di

compensazione sono come

indulgenze per chi inquina.

La famiglia di Matthew Schnurr sta costruendo un complesso di villette “ecologiste” nell’entroterra della penisola dello Yucátan.

Kevin Brass

Repubblica NewYork

Page 8: a colpi di petrolio Prove di forza - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/nyt/140507.pdf · di petrolio sul suo territorio. Le trivellazioni di esplorazione sono comin-ciate due

A R T I E T E N D E N Z E

VIII LUNEDÌ 14 MAGGIO 2007

di BEN SISARIO

Pur non essendo noti al pubblico, due norvegesi dall’aspetto sano e la carnagione bianca sono rapidamente diventati tra i personaggi più richiesti nel mondo della musica pop.

Dal loro arrivo negli Stati Uniti, due anni fa, Tor Erik Hermansen e Mikkel S. Eriksen — conosciuti come Stargate — hanno messo a segno un’invidiabile sfilza di successi, come Irreplaceable di Beyoncé, Unfaithful di Rihanna e So Sick di Ne-Yo, una cantante in asce-sa di Las Vegas di 24 anni che spesso collabora come autrice (il suo nuovo disco, Because of You, uscito recen-temente per la Def Jam, comprende due canzoni di Stargate). Aggiungete il singolo che ha segnato il ritorno di Lionel Ritchie, I Call It Love, e il sedu-cente brano Beautiful Liar, di Beyoncé e Shakira, che alla sua uscita, a marzo, è spiccato ai vertici della lista dei bra-ni più venduti di iTunes.

L’industria discografica è alla di-sperata ricerca di successi e Stargate ne ha guadagnato, basandosi su una ricetta relativamente semplice: un R&B dolce e cadenzato in stile Michael Jackson, vivacizzato da un pop euro-peo ricco di melodia che riveste tutto di colori smaglianti.

“Nell’industria, la fama del loro name è potente quanto quella di Timbaland”, dice Jeff Rabhan, l’agente di Elliott Yamin, di American Idol, il cui nuovo album che porta il suo nome compren-de due brani firmati Stargate.

Ma in quest’epoca di producer super-star, Hermansen e Eriksen rappresen-tano un’eccezione, e non solo per il loro vivace accento scandinavo e le ma-gliette e le felpe che danno loro un’aria da profughi di una squadra di calcio. Dietro le quinte sono dei maniaci del lavoro che preferiscono trascorrere il loro tempo in un angusto studio.

“Da dieci settimane abbiamo un di-sco al primo posto in tutto il Paese, ma quando usciamo per strada nessuno sa chi siamo”, dice Hermansen, che come il suo socio ha 34 anni, un cranio lucido, ed è molto magro. “E’ fantastico”.

Mentre le etichette e gli artisti spes-so aspettano settimane o addirittura mesi per assicurarsi la canzone di un producer di grido, solitamente Starga-te ne produce due, tre, quattro o più al giorno.

“Molti producer americani hanno delle grandi difficoltà con il genere pop”, dice Barry Weiss, il presidente della Jive Records che recentemente ha ingaggiato Hermansen e Eriksen per lavorare con Usher, Chris Brown

e Joe. “Questi ragazzi invece con il pop ci sono cresciuti. Sono cresciuti con gli Abba. Sono cresciuti con Boney M. Sono influenze alle quali attingono per creare dischi pop molto melodici e accattivanti, con ritornelli fantasti-ci. Con l’autore giusto — e di talento — uno più uno fa tre”.

Formatosi dieci anni fa in Norvegia, Stargate ha ottenuto i primi successi in Gran Bretagna, con decine di singo-li interpretati da cantati giovanissimi come Blue, Atomic Kitten e Hear’s Say raggiunsero i Top 10.

I due uomini missavano canzoni di hip-hop americano e R&B, addolcen-dole per la radio europea con ulteriori strati di melodia. Presto, iniziarono a sognare uno studio a New York.

“Sapevamo che per fare i dischi che volevamo davvero fare saremmo do-vuti andare in America”, dice Erik-sen.

Secondo il tipico metodo di Stargate — comune nella produzione di musica hip-hop e pop — Hermansen e Eriksen creano una pista strumentale di sot-tofondo e ricorrono poi ad un collabo-

ratore per la scrittura del testo e della melodia vocale.

Lo stile non invadente del duo è inol-tre invitante per i clienti e si addice alle dinamiche dell’ego delle pop star: tutti vogliono un brano di successo, ma nessuno vuole essere messo in ombra dal producer.

Hermansen e Eriksen respingono l’idea che la loro notevole produttività possa essere favorita da testi scritti secondo delle formule.

“Ogni forma d’arte ha una sua tec-nica”, risponde Hermansen. “Bisogna padroneggiare la tecnica, ma allo stesso tempo occorre essere creativi, nei limiti del formato con cui si lavora. Noi abbiamo un certo...” “...linguaggio musicale, diciamo”, dice Eriksen, con-cludendo la frase del collega come se stesse concludendo una strofa. “Non bisognerebbe aver paura di questo. Anche se magari ti ricorda qualcos’al-tro, non devi abbandonarlo. Perché è la nostra espressione”.

Dalla Norvegia con ritmo i nuovi maghi del pop

Un allegro giro del mondo scoprendo l’adulterio

Robert Stolarik per The New York Times

Mikkel S. Eriksen, a sinistra, e Tor Erik Hermansen, noti come Stargate, combinano R&B ad un pop europeo ottimista e melodico.

Il museo ‘latino’, un pezzo di storia d’AmericaBrani di successo per grandi star, come Beyoncé e Shakira.

SAN ANTONIO — Era soltanto questione di tempo. Mezzo secolo di riflessione culturale sull’identità ame-ricana dei naturalizzati ha dato vita ad un museo americano dedicato a loro.

Questa istituzione rende omaggio al processo di naturalizzazione, studiando in che modo gli ispano-americani, gli arabo-americani, gli afro-americani e gli

altri gruppi etnici sono stati modificati dall’incontro dei due mondi e come, a lo-ro volta, queste etnie hanno dato il loro indelebile contributo.

Ma creare un museo delle culture naturalizzate non sempre è un’impresa facile, come si può percepire dal Museo Alameda che è stato inaugurato a San Antonio il mese scorso e che ha suscitato grande interesse. Questo museo latino-americano, costato 12 milioni di dollari, soffre di problemi concettuali che dimo-strano quanto possa essere difficile il percorso verso la naturalizzazione.

Il museo, spiega il materiale illu-strativo, vuole “raccontare la storia dell’esperienza dei cittadini americani di origine ispanica attraverso l’arte, la storia e la cultura”. Si tratta, dicono al museo, di “una storia americana”. E sebbene non possieda una collezione propria, il museo Alameda si definisce “il più grande museo degli americani di origine ispanica degli Stati Uniti”.

Henry R. Muñoz III, presidente e fon-datore del museo, spiega che l’Alameda intende assomigliare quanto possibile allo Smithsonian’s National Museum dedicato agli indiani americani: occu-parsi dell’identità, della sua forma e del suo contenuto, determinata dai popoli coinvolti.

E’ stata sollevata qualche critica per la predominanza dell’influenza messi-cana, ma Laura Esparza, direttrice del museo, dice che si è posta attenzione so-prattutto alla mescolanza delle diverse culture latine e americane.

E’ presente anche un’influenza di tipo quasi opposto. Muñoz spiega che l’idea del museo è nata da una conversazione avuta oltre dieci anni fa con i dirigenti della Smithsonian Institution, ritenuta poco attenta al contributo della cultura

ispanica. Il museo Alameda — a quel tempo privo di una sede — divenne così il primo affiliato dello Smithsonian. Pagando una quota annuale di 2.500 dollari, gli affiliati possono ricevere dei prestiti museali dalle collezioni dello Smithsonian.

Perciò le motivazioni in gioco sono raccontare la propria storia (celebran-do un aspetto del processo di naturaliz-zazione) e sottolineare il rapporto con lo Smithsonian (celebrando così l’altro aspetto). Sfortunatamente, esistono problemi con entrambi gli aspetti.

La prima aspirazione (essere un mu-

seo che appartiene ad un popolo il quale racconta da sé la propria storia) è debole qui come altrove. Il rischio è quello della condiscendenza e della mancanza di prospetti-va; la celebrazione del popolo diventa la nota dominante.

E’ assente un com-pendio della complessa storia del Messico e del Texas, non c’è traccia delle difficoltà che mes-sicani e altre popolazioni ispaniche hanno incon-trato per farsi accettare nella società del Texas meridionale, né si cerca di studiare le celebrità, gli scienziati o gli scritto-

ri americani in cui è presente una forte influenza della cultura ispanica.

C’è invece un video di otto minuti rea-lizzato da George Cisneros che cerca di “interpretare la storia degli americani di origine ispanica, i loro sogni e le loro aspirazioni” attraverso colori sempre mutevoli, icone religiose, foto di fami-glia e immagini di ex combattenti.

La maggior parte degli oggetti espo-sti allo “Smithsonian di San Antonio”, che dovrebbero “raccontare la storia biculturale delle comunità di origine ispanica negli Stati Uniti”, non narra altro che l’impaziente aspirazione “smithsonianesca” del museo.

Peggio, la presenza di tanti oggetti provenienti dallo Smithsonian fa ap-parire inconsistente il collegamento ispanico. Dal momento che la mostra cambierà almeno ogni sei mesi, forse con il tempo il museo acquisirà maggio-re esperienza nel processo di naturaliz-zazione e nel modo di spiegarlo.

EDWARD ROTHSTEIN

CRITICA D’ARTE

Eric Gay/Associated Press

Michael Stravato per The New York Times

Nel suo Lust in Translation, un’inda-gine globale sulle varie forme di adul-terio in tutto il mondo, Pamela Druc-kerman dà questo consiglio alle donne che tradiscono i loro partner: “Cercate

di non mostrarvi troppo allegre. Se non avete mai cantato sotto la doccia, non iniziate a farlo pro-prio adesso”.

La fonte non poteva es-sere che Cosmopolitan.

Ma quale edizione nazionale della rivi-sta? Questo libro disinvolto fa tappa in Giappone, Sudafrica, Indonesia e Stati Uniti nella sua ricerca su un argomento tabù. Il monito a non cantare sotto la doccia viene dall’edizione russa del pe-riodico ma sarebbe valido ovunque.

Lust in Translation è suddiviso in re-gioni geografiche, ciascuna delle quali

spinge l’autrice, ex cronista di The Wall Street Journal, a un nuovo insieme di generalizzazioni. Le storie sono narrate con vivacità e spesso sono divertenti, ma l’avida ricerca di materiale (a scapito dei contenuti) rende il libro grossolano.

Un francese racconta alla Drucker-man che aveva smesso di andare dallo psichiatra poco dopo l’incontro con la donna che sarebbe diventata la sua amante perché finalmente era felice.

I finlandesi donnaioli non si fanno tanti problemi a commettere adulterio, forse perché la stampa locale non mo-stra a riguardo un atteggiamento mo-ralistico e forse perché viaggiano mol-to. I finnici rispondono senza esitazione alle domande sulla loro sessualità.

“In tutto il mondo il ‘maggior fattore di rischio’ per l’infedeltà è semplicemente essere maschio”, scrive la Druckerman.

Benché l’autrice oggi viva a Parigi, Lust in Translation dedica un’attenzione partico-lare al comportamento degli americani e a quel-la che la Druckerman definisce l’industria del-la consulenza matrimo-niale. “Non mi ero mai resa conto di quanti problemi potessero sorgere in un matrimonio finché non ho visto le cure”, dice stupefatta.

Un adultero pentito americano può attendersi di passare “migliaia di ore” a discutere dell’accaduto e a chiedere un perdono che potrebbe non essere mai concesso.

Un francese intanto spiega che si sentiva ragionevolmente giustificato nella scelta del sesso extraconiugale a

motivo dell’aspetto fi-sico della moglie. “Non mi sento molto in colpa, perché le ho chiesto tantissime volte di cam-biare, di vestirsi meglio, in maniera più sexy, di andare dal parrucchie-re”, dice.

Arrivando in Russia la Drucker-man trova un atteggiamento vanitoso riguardo al sesso, associato alla con-fusione derivante dai mutati costumi dopo il crollo dell’Unione Sovietica. L’autrice si avvale della collaborazione di un istituto di ricerca sul “patrimonio di conoscenze del coito slavo” che offre consulenza sulle molestie sessuali. L’avvertimento è che le belle ragazze che lavorano in grandi ditte possono

incorrere in molestie.Quello che più turba di questo libro è il

panorama sui Paesi africani dove l’Ai-ds e la sua negazione danno vita ad una combinazione letale. C’è più sarcasmo nella sezione dedicata all’Asia, dove il boom economico cinese ha creato una comunità di cosiddette seconde mogli sul continente.

In Giappone, l’autrice trova le donne a struggersi per i loro ex mentre gli uomini seguono la rigida regola dei bar con entreneuse e dei sex club. L’adulte-rio è un’ossessione, ma in gran parte è semplicemente un desiderio.

“Il sesso che manca nei matrimoni raramente si trova altrove”, scrive l’au-trice. “Anche l’adulterio in Giappone sembra virtuale, fatto più di fantasie che di sesso vero e proprio”.

The Penguin Press

JANET MASLIN

LIBRI

“Il solo fatto di esser maschio”, dice la Druckerman, è un fattore di rischio in materia di infedeltà.

Rosita, un dipinto di Jesse Treviño, è una delle opere esposte alla prima mostra del museo Alameda, in alto.

Il nuovo spazio espositivo un po’ troppo celebrativo e di scarsa prospettiva.