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a Francesca e Stefano Anna a Diego Lara

a Francesca e Stefano Anna a Diego Laracollana diretta da Giorgio Parisi Professore Ordinario di Teorie Quantistiche Università degli Studi di Roma “La Sapienza” © 2006 Edizioni

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a Francesca e StefanoAnna

a DiegoLara

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collana diretta da Giorgio ParisiProfessore Ordinario di Teorie Quantistiche

Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

© 2006 Edizioni LapisTutti i diritti riservati, riproduzione vietata

ISBN-10: 88-7874-035-7ISBN-13: 978-88-7874-035-8

Edizioni LapisVia Francesco Ferrara, 50

00191 Roma

e-mail: [email protected]

Progetto grafico e impaginazione: Manuela Cordella

Finito di stampare nel mese di novembre 2006presso Grafica Nappa - Aversa (CE)

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Anna Parisi - Lara Albanese

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Avvertenza:

nelle equazioni è stato usato un puntino al posto del segno xdella moltiplicazione.Se vuoi puoi sempre saltare le equazioni e andare avanti senzaleggerle, ma ti consiglio di provare a guardarle, magari dopoun po’ ti diventeranno familiari.

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GLI ANTEFATTI RELATIVISTICI

Macchine e lampadine

Siamo agli inizi del ‘900 e sulla fisica, come dice unodei maggiori scienziati viventi all’epoca, Lord Kelvin,(1824-1907) splende un soleluminoso… a parte 3 nuvolette.

Effettivamente nel secoloappena passato gli studiosi aveva-no fatto passi da gigante nellacomprensione della natura e ilmetodo di ricerca iniziato nel‘600 da Galileo Galilei (1564-1642) aveva portato i suoi frutti.

Dopo la metà dello stessosecolo, Isaac Newton (1643-1727) aveva scritto le leggidella meccanica e proposto una legge della gravitazionein grado di descrivere i moti osservati dei pianeti.

Gli scienziati successivi, basandosi sui risultati diGalileo e Newton, avevano sviluppato una serie di con-cetti e metodi che avevano permesso loro di affrontare e

risolvere i problemi legati almoto dei corpi, al calore, all’ener-gia e alla sua trasformazione inlavoro. Questi studi avevano datoanche una fortissima spinta allaproduzione tecnologica: le mac-chine iniziavano a sostituire gliuomini nei lavori faticosi e itreni, con i loro motori a vapore,sostituivano i cavalli.

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Forse tutto questo è ancora niente se paragonato allatotale rivoluzione nella vita quotidiana e sociale che siebbe, dalla seconda metà dell’800, grazie all’utilizzo del-l’elettricità. Insomma, la fisica aveva realmente illumina-to, e questo è proprio il caso di dirlo, la vita delle perso-ne, risolvendo quei problemi che per secoli erano rimastiincompresi.

Il mondo di onde

Nel 1864, James Clerk Maxwell(1831-1879) aveva pubblicato le equazio-ni a cui obbediscono le onde elettroma-gnetiche e proprio queste equazioni con-tenevano, anche se non esplicitamente,una delle 3 nuvole che oscuravano la luce

che illuminava gli orizzonti della conoscenza scientifica.Ormai il mondo era sicuro che i campi elettromagne-

tici si propagassero come onde e che la luce fosse compo-sta da onde elettromagnetiche. Fin qui nessun problema.

La “nuvoletta” nasceva dal fatto che le onde, da chemondo è mondo, si propagavano in un mezzo e non certonel vuoto. Ad esem-pio un’onda comequella marina sipropaga nel mare,oppure in un lago oin fiume, magarianche in piscina oin un catino, ma senon c’è acqua…non c’è nemmenol’onda.

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Anche un’onda sonora, un rumore, ha bisogno del-l’aria o di qualche altro mezzo per propagarsi. Nei filmwestern si vede ogni tanto qualcuno che poggia l’orecchiosulle rotaie del treno per sentire se sta arrivando o meno.Le onde sonore, infatti, si propagano meglio (e anche piùvelocemente) nelle rotaie che nell’aria (quindi il treno sisente quando è ancora lontano), ma per farle arrivare allenostre orecchie almeno l’aria serve.

Cosa oscilla?

D’altra parte un’onda è un’oscillazione di qualchecosa. Ad esempio un’onda marina è uno spostamento insu e in giù di una certa quantità d’acqua. Se l’acqua nonc’è, cosa oscilla, cosa potrebbe mai alzarsi e abbassarsi rit-micamente?

Le onde sonore comprimono l’aria e questa compres-sione viaggiando crea una decompressione e quindi un’al-tra compressione, e così via. Ma se non ci fosse l’aria, cosasi comprimerebbe? Il vuoto si può forse comprimere?

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Aristotele torna di moda

Tutti questi erano ottimi motiviper pensare che anche le onde elet-tromagnetiche, e quindi la luce,avessero bisogno di un mezzo, unamateria che vibrando permettessealle onde di propagarsi.

Certo, questa materia dovevaessere un po’ particolare: perfetta-

mente trasparente, altrimenti la luce del Sole non sareb-be arrivata fino a noi, e finissima, dato che non si riusci-va a “toccarla”. Avrebbe dovuto essere immobile e riem-pire tutto l’universo. Ovviamente questa materia fu bat-tezzata “etere”, dato che Aristotele (uno dei più impor-tanti filosofi greci, vissuto nel IV secolo a.C.) aveva chia-mato etere la materia perfettissma, immobilissima e tra-sparentissima che, secondo lui, formava tutto l’universosopra il nostro cielo.

Scienziati capa-tosta

Scommetto che hai già capito come è andata a finirequesta storia. Non è certo la prima volta che gli scienzia-ti avevano ipotizzato l’esistenza di una qualche materiacon caratteristiche un po’ particolari. Il flogisto, per spie-gare il fuoco; il calorico per spiegare il calore; e poi i flui-di elettrici e magnetici… insom-ma erano esistite tante “materieparticolari” e tutte si erano in pocotempo rivelate una grande bufala!

Perché proprio l’etere dovevaessere più realistico delle altre?Ah, saperlo!

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Nebbia in val Padana

Comunque l’esistenzadell’etere era una delle 3nuvolette che secondoLord Kelvin offuscavanol’azzurro cielo della fisicaall’inizio del nuovo secolo(1900). Nessuno riuscivaa dimostrarne l’esistenza ela nuvoletta si trasformòin nebbia densa che venne poi spazzata via dalla teoria cheprenderà il nome di “relatività speciale” o “relativitàristretta”.

Una coppia famosa

L’esperimento che decretò la morte dell’etere fu rea-lizzato nel 1887 da due scienziati americani: AlbertAbraham Michelson e Edward Williams Morley. Il primo

non era proprio ameri-cano-americano, infattiera nato nel 1852 aStrzelno in Polonia, maera arrivato negli StatiUniti insieme alla fami-glia all’età di soli 2anni.

Studiò e dopo inse-gnò all’Accademia mili-tare, quindi iniziò la

carriera universitaria e nel 1907 vinse il premio Nobel infisica per “i suoi strumenti ottici di precisione e le misure effet-tuate con essi”.

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Il premio Nobel era stato isti-tuito nel 1901 e Albert Michelsonera il primo americano (o almenoquasi-americano) che lo vinceva.

Edward Williams Morley, inve-ce, era nato negli Stati Uniti, e pre-cisamente nel New Jersey, nel1838.

Insegnò chimica e geologia, mail suo nome rimase indissolubil-

mente legato a quello di Michelson in una frase che èdiventata quasi una sola parola: “l’esperimento-di-Michelson-e-Morley”, cioè il più famoso esperimento nonriuscito della storia!

In-successo?

In fisica un esperimento che non riesce può essere piùinteressante di uno che riesce perché in questo mododimostriamo che una teoria è sbagliata. È proprio facen-do cadere qualche “verità” data per scontata che sono natele più grandi scoperte scientifiche.

In onore al fatto che ha vinto il Nobel, forse potrestiscegliere Michelson per farti rac-contare il famoso esperimento.

– La luce è sempre stata lamia passione, fin daitempi dell’Accademia emi piace misurarne lavelocità.

– Perché non era stata ancoramisurata?

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– Oh sì, certo, ci avevano provato in molti, pensa, ancheGalileo aveva fatto un esperimento per misurare lavelocità della luce, ma gli strumenti da lui usati eranotroppo rudimentali.

– D’accordo, ma forse nel 1887 c’era qualche misura miglio-re di quelle di Galileo.

– Sì, forse la misura migliore era quella effettuata daifrancesi Armand Hippolyte Louis Fizeau (1819-1896)e Jean Bernard Léon Foucault (1819-1868), infattinoi abbiamo uti-lizzato un appa-rato sperimenta-le simile al loro.

– E avete ottenutorisultati migliori?

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Relativo alla relatività

– A noi non interessava tanto il valore assoluto della velo-cità della luce, ma il suo valore relativo.

– Questo lo dice perché lei sa di essere finito dentro a un libro di relatività.

– Oh, ci sono abituato, io finisco dentro TUTTI i libri direlatività. Il nostro problema, comunque, era quello dirilevare l’esistenza dell’etere.

– E che c’entra la velocità della luce?

– Semplice: se l’etere esiste e se come noi supponiamo èfermo, allora la velocità della luce deve essere diversa sela Terra si muove nella stessa direzione della luce o indirezione opposta.

– Non capisco cosa c’entri la luce con l’etere.

– L’etere è proprio il mezzo dentro al quale si propaga laluce e rispetto all’etere la luce deve viaggiare semprealla stessa velocità di circa 300.000 km/s (trecentomilachilometri al secondo), che per comodità possiamochiamare velocità c (cioè c=300.000 km/s). Questo vuol

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dire che, rispetto alla Terra, la luceviaggerà ad una velocità c-v se lavelocità della Terra è v e la luce sista muovendo nella stessa direzio-ne in cui si muove la Terra. Mentreavrà una velocità c+v se viaggia indirezione opposta.

– Spiega meglio.

L’etereo vento

– Guarda il disegno. L’etere è immobile. La luce rispetto

all’etere viaggia sempre alla velocità c e la Terra, rispet-to all’etere, viaggia alla velocità v. Quando la luce e laTerra si muovono nella stessa direzione, dalla Terra laluce si vede più lenta (c-v, infatti la luce “rincorre” laTerra a velocità c, ma intanto la Terra “scappa” a velo-cità v). Se invece luce e Terra hanno velocità opposte,allora la velocità della luce vista dalla Terra è maggiore(c+v, come avviene in un urto frontale).

luce

c-v

c v

luce

c+v

c v

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– E come fate a far muovere la luce nella stessa direzione dellaTerra o in direzione opposta?

– Semplice, guarda la figura qui sotto, la Terra gira intor-no al Sole con una velocità di circa 30 km/s. Se misuria-mo la velocità della luce in direzione del movimentoterrestre, allora questa velocità apparirà più piccola, seinvece la luce viaggia nelladirezione opposta, allora saràmaggiore. Se, terza possibilità,la velocità della luce la misu-riamo in direzione perpendico-lare al moto terrestre, allora lavelocità della luce ci appariràuguale a c.

– Geniale, ma sei sicuro che la velocità della Terra non siatroppo piccola rispetto a quella della luce e che non si riescaa misurare niente?

– Qualche probabilità che prima di fare l’esperimento ioabbia fatto due conti, esiste! Guarda un po’ cosadovrebbe accadere.

c-v

v

c+v

c

c

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Interferisco io

Lo strumento di misura utilizzato da Michelson eMorley si chiama interferometro e misura l’interferenzatra due raggi luminosi.

L’idea è questa. Guarda la figura. Il raggio di luceparte dalla sorgente S, arriva allo specchio semiriflettenteA. Mezzo raggio di luce viene riflesso e arriva allo spec-chio completamente riflettente B, l’altro mezzo raggio diluce attraversa A e arriva allo specchio completamente

riflettente C.Il raggio riflesso

da B torna quindi inA, mezzo passa arri-vando sulla lastra D emezzo se ne tornaverso la sorgente. Lastessa cosa accade alraggio riflesso da C.

Se la distanza traA e B è uguale a quel-la tra A e C (in figuraquesta distanza l’ab-

biamo chiamata L) allora il tempo impiegato dal raggio diluce per andare da A a B e tornare indietro sarà ,t = 2L

c

AD

S

B

C

B

A

L

L

CS

D

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uguale al tempo che il raggio impiegherà a fare il percor-so, andata e ritorno, tra A e C.

Infatti la velocità è proprio lo spazio percorso divisoil tempo impiegato a percorrerlo, quindi ,da cui si ricava e questo è il tempo che la luce, che viaggia a velocità c,impiega a percorrere L, quindi a fare il percorso dell’an-data. Al ritorno il tempo sarà uguale e quindi il tempototale è il doppio .

Uguale a se stesso

Il nostro raggio di luce è sempre lo stesso, solo chenoi in A lo abbiamo spezzato a metà e gli abbiamo fattofare percorsi diversi, anche se lunghi uguali e che il rag-gio ha percorso nello stesso tempo. Quando dunque ledue metà del nostro raggio si rincontrano, si trovano in“fase”. I raggi, sono infatti onde luminose e, come le ondedel mare, hanno un punto “alto” e un punto “basso”. Se iraggi sono in “fase” vuol dire che i punti alti delle dueonde coincidono, così come i punti bassi e si vedono dellebelle figure di interferenza: cerchi dove la luce è massima,alternati a cerchi scuri perché la luce non c’è, come vedinel disegno.

Se le onde, invece, sono unpo’ fuori fase, vuol dire che iloro massimi e minimi non sitrovano esattamente allo stessopunto. Quando le onde si som-mano, allora, non raggiunge-ranno in nessun punto la lumi-nosità massima di prima e nem-

meno ci sarà un punto completamente buio.

t = 2Lc

t = Lc

c = Lt

D

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Mettiamo in moto

Adesso dobbiamoricordarci che la Terrasi muove a velocità v.In questo caso lo spec-chio B è in posizioneperpendicolare al motodella Terra, mentre lospecchio C è parallelo.Il raggio arriva semprenello specchio semiri-flettente A e viene dinuovo diviso in due.Una parte va verso lospecchio B e l’altra

verso lo specchio C. Le due situazioni, però, sono piut-tosto diverse. Guardiamo prima dalla parte di B.Mentre il raggiodi luce viaggiada A a B, Bintanto rispettoall’etere si è spo-stato nella posi-zione B1 e quan-do torna indie-tro, A sarà nella nuova posizione A1. Se guardi la figura,vedi che il raggio di luce rispetto all’etere non percorrepiù lo spazio L, ma uno spazio più lungo L1. Per percor-rere questo spazio impiegherà un tempo t1 e sarà

.Mentre il raggio di luce arrivava in B1 lo specchio A

si è spostato nella posizione H alla velocità v e quindi ladistanza sarà .d = v · t1AH s

L1 = t1 · c

B

AC

v

B

A H

L

B1

A1

L1

v

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Applicando il teorema di Pitagora si trova:

Dato che il ritorno è uguale all’andata, il tempo tota-le di andata e ritorno sarà:

Avanti e indietro

La situazione verso C è diversa. La distanza tra A e C,infatti, rimane sempre costante e uguale a L, ma il raggioluminoso si muoverà ad una velocità c - v se viaggia nellastessa direzione della Terra e c + v nel caso opposto. Iltempo totale dell’andata e ritorno sarà

che risulta quindi più piccolo di tb e precisamente se L =1 metro e v = 3 • 104 m/s (cioè la velocità di rivoluzionedella Terra), allora tB-tC = 3 • 10-17 s e per T = 10-15 secondi(periodo di oscillazione dell’onda luminosa), allora l’in-terferenza delle onde dovrebbe cambiare di un 3% chedovrebbe essere osservabile.

tc = Lc + v + L

c − v = 2 · Lc · 1

1−v2

c2

tb = 2t1 = 2 · Lc · 1√

1−v2

c2

t21 · c2 = L2 + v2 · t21

L2 = t12 · c2 − v2 · t12 = t1

2 · (c2 − v2) = t12 · c2 · (1 − v2

c2 )

da cui:

L = t1 · c ·√

1 − v2

c2 ; e quindi t1 = Lc · 1√

1−v2

c2

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L2 = t21 · c2 − v2 · t21 = t21 · (c2 − v2) = t21 · c2 · (1 − v2

c2 )

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Nada de nada

L’effetto non fu mai osservato. La differenza dei tempitB-tC è sempre risultata compatibile con zero. Se vuoivedere i risultati ottenuti per misurare questa differenzain esperimenti compiuti nel corso di vari anni puoi anda-re a pagina 162.

Sembra che il raggio luminoso impieghi lo stessotempo per fare due percorsi di lunghezza diversa e questoè veramente molto strano.

I grandi dell’epoca

Per provare a capirci qualchecosa, facciamo entrare in scena ungrandissimo personaggio: HendrikAntoon Lorentz.

Nacque ad Arnhem, in Olanda, il 18 luglio del 1853.Si laureò in matematica e fisica a Leyden dove, quandoaveva solo 25 anni, fu creata per lui la cattedra di FisicaTeorica. Nonostante fosse stato invitato ad insegnare unpo’ ovunque nel mondo, rimase sempre nella sua univer-

sità e, tutti i lunedì matti-na della sua vita, tennedelle conferenze pubblichesu temi di fisica.

Questa bella abitudinedei grandi scienziati diparlare in pubblico delle

loro ricerche oggi èandata quasi com-pletamente persa,ed è veramente un

gran peccato.

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Nobel

Nel 1902, Lorentz divise ilsecondo premio Nobel della storiacon un suo connazionale, PieterZeeman (1865-1943) come “ricono-scimento del contributo straordinario daloro reso con le ricerche sull’influenza del magnetismo nei feno-

meni della radiazione”.Radiazione, onde elettro-

magnetiche, cariche elettri-che in movimento, luce:questi erano gli argomentiai quali i fisici giravano

intorno all’epoca. Lorentz èmolto disponibile a rispon-

dere alle domande delpubblico, forse con-viene approfittarne.

Fuori uno

– Lorentz, tu hai trovato una soluzione al perché Michelson eMorley non videro mai nulla nel loro esperimento?

– Ci sono varie ipotesi. La prima è che l’etere non esista.

– La più logica…

– … la meno logica. Come fanno le onde elettromagne-tiche, e quindi la luce, a propagarsi nel vuoto? Le ondenon sono composte di materia, ma, almeno per quantoabbiamo visto fino ad ora, sono movimenti che si pro-pagano nella materia. Come fanno dei “movimenti” apropagarsi nel vuoto? Cos’è che si muove?

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– Va bene, non è logico che le onde sipropaghino nel vuoto, e allora come sirisolve il problema?

Fuori due

– È possibile, ad esempio, che l’eterevicino alla Terra si muova con essa,venga trascinato come è trascinatal’atmosfera. In questo caso non si sentirebbe nessuneffetto dell’etere perché la parte di etere vicina allaTerra sarebbe ferma rispetto alla Terra.

– Ovvio, è questa la soluzione!

– Già, ma se la terra trascina l’etere, allora trascina anchela luce che si muove nell’etere e quindi una stella si

vedrebbe semprenella stessa posi-zione, dato che ilraggio di luceche arriva da leisarebbe solidalecon l’etere, equesto sarebbesolidale con la

Terra. Ma noi vediamo cambiare le posizioni delle stel-le per effetto della parallasse. Durante la rivoluzionedella Terra, infatti, cambiamo l’angolazione da cuiguardiamo le stelle e queste ci appaiono in una posizio-ne leggermente diversa.

– Bene, scartiamo anche questa soluzione… e adesso cosa cirimane?

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Ci si è ristretto l’interferometro

– C’è un’altra possibilità che è statagià proposta dal fisico irlandeseGeorge Francis FitzGerald (1851-1901) nel 1889.

–E quale sarebbe?

– Che la materia si restringa nella direzione del moto.

– Ma che dici? Questo perché risolverebbe il problema?

– Se fai i conti puoi vedere che le cose vanno come se ladistanza tra A e C diminuisse di un fattore . Inquesto caso, infatti il raggio luminoso non dovrebbepiù fare un cammino L per arrivare da A a C,

ma

e quindi impiegherebbe un tempo

esattamente uguale a quello impiegato per andare da Aa B e se i tempi fossero uguali, allora non si vedrebbel’interferenza. Come infatti non si vede.

– Ma si possono restringere gli spazi solo perché si muovono adalta velocità? Un interferometro nonè mica un golfino di lanalavato in lavatrice! Epoi la lavatrice non èancora stata inventata.

– Questa, però, apparecome l’unica spiega-zione.

tc = 2 · Lc · 1√

1−v2

c2

L ·√

1 − v2

c2

√1 − v2

c2

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Strano, … ma vero?

– Non ti sembra un po’ strano?

– Forse, ma nel 1902, mi torna lo stesso risultato anchequando cerco di trovare le dimensioni di un elettrone,una piccola particella di cui è composta la materia.

Anche in questo caso trovo che le sue dimensioni nelladirezione del moto dipendono dalla velocità e varianoesattamente come dove L è la lunghezzadell’elettrone fermo e v è la sua velocità.

– Incredibile!

– Al contrario, se l’elettrone si contrae, allora la materiasi contrae e quindi si contrae la lunghezza del lato del-l’interferometro nella direzione del moto, mentre ilbraccio perpendicolare al moto rimane della stessa lun-ghezza.

– Si contraggono solo le lunghezze nella direzione del moto?

– Sì, se vuoi fare i conti giusti devi usare delle equazioniche si chiamano, appunto in mio onore, trasformazioni

L ·√

1 − v2

c2

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di Lorentz, ma non te le scrivo e non te le spiego, ticonviene prima conoscere un altro famoso scienziato,Albert Einstein che capirà il vero significato delle mietrasformazioni.

Questo era il quadro della situazione nel 1902, quan-do Albert si era appena laureato e aveva qualche difficol-tà a trovare un lavoro. Ma cerchiamo di conoscere il gran-de personaggio un po’ più da vicino.

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I PRIMI PASSI

Nella città di Ulm, inGermania, alle 11:30 del mat-tino del 14 marzo 1879,venne alla luce AlbertEinstein. Suo padre sichiamava Hermann efaceva il commerciante,la madre era Pauline Koch.

La famiglia Einstein era di religione ebraica, ma nonosservante e diedero ai figli un’educazione molto liberale.

Albert ci mise quasi tre anni per imparare a parlare.A dire il vero, da grande si giustificò sostenendo che

rimuginava le frasi fino a che nonle ritenesse degne di essere pro-nunciate. Mantenne un atteggia-mento simile per tutta la vita:

rimuginava i problemi peranni e poi, tutto ad un tratto,

tirava fuori la soluzione. Omagari due, tre soluzioni

ad altrettanti problemi con-temporaneamente.

Non tutti gli individui rie-scono a trarre idee brillanticome quelle di Einstein dai loro

pensieri, ma forse pensare unpo’ di più (e parlare un po’

di meno) non farebbemale a nessuno.

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Castelli in aria

Mentre Albert era indecisose iniziare o meno a pronuncia-re le sue prime frasi, i genitorisi trasferirono a Monaco e glimisero al mondo una sorella,Maria, detta Maja. Albert sicomportava a casa da bravo fra-tello, cioè adorava Maja, ma cilitigava anche, come si usa nor-

malmente tra fratelli. Probabilmente Albert non apprez-zava molto gli interventi dellasorellina durante uno dei suoigiochi preferiti, che era quellodi costruire alte case con lecarte da gioco. È effettivamen-te un bel gioco, ma sicuramen-te quando si arriva versa il 5° o6° piano, si preferisce che lesorelle piccole stiano lontane.

A scuola si comportavacome ci possiamo aspettare daun “piccolo scienziato”: era bravo, contrariamente a

quanto si racconta, ma abbastanzataciturno, solitario e piuttosto anno-iato dalle attività scolastiche, pernon parlare dello sport, verso cuiprovava una vera avversione.

Problemi scolastici

I genitori, per problemi di lavo-ro del padre, si trasferirono a Pavia

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lasciando Albert, ormaisedicenne, a Monaco perfinire la scuola. Ma luidopo poco decise diabbandonare la scuola eraggiungere la famigliain Italia, promettendodi finire gli studi priva-tamente.

Così fece e, nell’ottobre del 1895, Einstein andò aZurigo per sostenere, da privatista, l’esame di ammissio-ne al Politecnico. Fu bocciato, e da questo unico episodiodipende la sua pessima fama scolastica, che dura fino ainostri giorni.

Per recuperare lasituazione gli venne con-sigliato di iscriversi aduna scuola svizzera e fre-quentare l’ultimo anno,prima di provare nuova-mente l’esame. Albert sirecò ad Aarau, presso lafamiglia Winteler e trovòla scuola svizzera moltopiù interessante e diver-tente di quella tedesca.

Si trovò bene anche in famiglia, con ben 7 nuovi fra-telli che magari facevano un po’ di confusione, ma sicura-mente mettevano allegria.

Albert preferiva la Svizzera alla Germania, tanto chenel 1896 rinunciò alla cittadinanza tedesca e, ben cinqueanni più tardi, ottenne quella svizzera.

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Pompiere o poliziotto?

Durante l’anno in cui Albert studiò ad Aarau, decisecosa avrebbe fatto da grande: non il pompiere, non ilpoliziotto, bensì il professore di matematica e fisica.

Ottima scelta, dato che lui ritene-va di avere una certa propensioneal pensiero astratto e matematico,mentre si riteneva uomo di scar-

sa fantasia e poco senso prati-co. Albert aveva ragione, ma ilresto del mondo fece di tuttoper ostacolarlo.

Comunque riuscì a passare l’esame, entrò alPolitecnico dove studiò con discreto successo e conobbealcune delle persone, come Marcel Grossmann e MicheleAngelo Besso, che rimasero suoi amici per tutta la vita.Ottenne la qualifica di insegnante nel 1900 ma, unico diquelli che si laureò in quella sessione, non ottenne unposto di lavoro al Politecnico.

Molto probabilmente la colpa fu proprio del suo pro-fessore di fisica che non apprezzava abbastanza il lavorosperimentale di Albert, ilquale a sua volta apprezzavapoco il metodo di insegna-mento del suo professore.

Disoccupazione giovanile

Così Einstein ero riuscitoad ottenere la qualifica di pro-fessore, ma non aveva studentie specialmente non aveva sti-pendio, proprio in un periodo,

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tra l’altro, in cui la famiglia non navigava nell’oro, datoche l’azienda che suo padre aveva aperto insieme a suozio, era stata chiusa.

Alla fine riuscì a trovare un lavoro di supplenza.Insegnare gli piacque molto, anche perché gli lasciava iltempo per continuare ad approfondire la sua preparazio-ne e lavorare alle sue idee di fisica. Così, durante l’inse-gnamento, scrisse qualche articolo scientifico e preparò lasua tesi di dottorato, ma… non venne accettata.

Nulla da fare: ilmondo accademico, diAlbert Einstein nonne voleva sentir parla-re e lui fu sufficiente-mente intelligente dacercare un altro lavo-ro. In questo fu aiuta-to dal suo amico ed excompagno d’universi-tà, Marcel Grossmannche, attraverso suopadre, lo raccomandòper un posto che si erareso vagante all’ufficiobrevetti di Berna: l’ufficio brevetti più famoso delmondo!

In realtà, nel 1902, quando Albert fu assunto inprova, quello di Berna era un ufficio brevetti normale,come tanti altri, ma solo 3 anni più tardi, un quasi sco-nosciuto impiegato di quell’ufficio pubblicò sei articoliscientifici destinati a porre le basi della fisica moderna;nessun ufficio brevetti aveva mai avuto e mai avrà nelfuturo, un simile lancio pubblicitario.

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L’annus mirabilis

L’impiegato era, ovviamente,proprio Albert Einsteinche, incurante dell’incu-ranza del mondo accade-mico verso di lui, avevadeciso di continuare aragionare di fisica prepa-rando la sua tesi di dotto-rato.

Albert terminò nel 1905sei lavori importantissimi.Tutti e sei gli articoli apparverosulla prestigiosa rivista di fisicaAnnalen der Physik. I primi tresul numero 17, il quarto articolo sul numero 18, mentreil quinto e il sesto vennero pubblicati l’anno successivo,il 1906, sul numero 19 sempre di Annalen der Physik.

E uno

– Albert, cosa hai pubblicato in quell’anno?

– Il primo lavoro fu “Un punto di visto euristico circa la pro-duzione e la trasformazione della luce”.

– Che razza di titolo! Che significa “euristico”?

– Significa “non proprio rigoroso, ma credibile, intuitivo”.

– Cioè?

– Be’, non ho proprio dimostrato che le cose fossero esat-tamente come dicevo io, ma ho proposto la mia inter-pretazione dei fatti come un’ipotesi accettabile, ovvia-

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mente era necessario verificarla sperimentalmente conattenzione prima di prenderla per vera.

– E qual era il fenomeno che hai cercato di spiegare? Chec’entra la luce?

– Il fenomeno oggi si chiama “effettofotoelettrico” ed è semplice da rac-contare: in alcuni casi, quando unfascio di luce illumina un metallo,da questo metallo “escono” dellepiccolissime particelle elettriche,chiamate elettroni.

– O certo, le cellule fotoelettri-che vengono oggi comune-mente usate per aprire echiudere automaticamente leporte dei supermercati. Sepassa una persona che inter-rompe il fascio di luce, glielettroni non escono più dalmetallo e… la porta siapre! Nulla di speciale.

– Di speciale c’è il fatto che la quantità di elettroni cheescono dal metallo non dipende dalla quantità di luceche lo colpisce, ma solo dalla “qualità” della luce.

– Ma dai, è una cosa così importante?

– Abbastanza importante da vincerci un Nobel. Non ècon le mie teorie della relatività che io ho vinto ilNobel, ma proprio per questo studio sull’effetto fotoe-lettrico.

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– Tu sei diventato il fisico più famosodella storia per la teoria della relati-vità, mentre nessuno conosce il tuolavoro sull’effetto fotoelettrico. Non tisecca aver vinto il premio Nobel suquesta cosa così sconosciuta e forseanche così poco importante?

– Poco importante lo dici tu. I fisicituoi contemporanei pensano chealla relatività, nel giro di poco, cisarebbe arrivato qualcun altro…ormai era nell’aria. Mentre la com-

prensione dell’effetto fotoelettrico è stato veramente unfatto inatteso e innovativo, anche se all’inizio la miaidea fu definita “una stupidaggine”.

E due

– Insomma, poteva bastare questo come lavoro per l’anno1905?

– Poteva bastare questo come lavoro per una vita! In real-tà, però, proprio nello stesso numero della rivista, pub-blicai altri due lavori parecchio importanti.

– Sulla relatività, finalmente?

– Il secondo, che terminai amaggio, ancora no. Era“Sul moto di piccole particellesospese su liquidi a riposo,spiegato dalla teoria cineticamolecolare del calore”.

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– Ma non posso crederci! Di cosa diavolo ti sei occupato? Chesarebbero queste particelle sospese sui liquidi?

– Polline.

– Polline?

– Nel 1828, Robert Brown, un naturalista britannico,scoprì che minuscoli granellini di polline gal-leggianti sull’acqua si muovevano a scatti,come se fossero spinti da qualcuno. Questo

avveniva solo se i granellini eranosufficientemente piccoli. Lo stranomoto fu chiamato, dal suo scopri-tore, moto browniano (si legge“brauniano”) e non si riuscì adargli nessuna spiegazione.

– Ovviamente ci hai pensato tu!

– Il mio scopo era quello di trovare fatti che confermas-sero l’esistenza degli atomi. Non voglio prendermitutto il merito della cosa. Il grosso del lavoro l’avevanofatto Ludwig Boltzmann e Josiah Willard Gibbs, ma ioal tempo non cono-scevo il loro lavoro.Loro avevano suppo-sto che i gas fosserocomposti da particel-le piccolissime, atomio molecole (gruppi diatomi legati insieme).Avevano ipotizzato anche che le caratteristiche dei gasche noi possiamo misurare, come ad esempio la tempe-ratura, in realtà dipendessero dalla velocità degli atomi

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o delle molecole di cui è composto il gas. Molti studio-si loro contemporanei non credevano affatto all’esisten-za degli atomi. Con questo lavoro io dimostrai chel’unico modo per spiegare il moto browniano era crede-re che realmente, non solo i gas, ma anche i liquidi fos-sero composti da atomi o molecole e che il moto delpolline fosse dovuto unicamente agli urti con questemolecole in movimento casuale, la cui velocità è lega-ta, appunto, alla temperatura del liquido.

– C’era qualcuno che non credeva ancora agli atomi? Maquanto tempo prima di te hanno vissuto Gibbs eBoltzmann?

– Gibbs è morto nel 1903 e Ludwig Boltzmann l’annosuccessivo al mio articolo, nel settembre del 1906, aDuino, vicino Trieste.

Non c’è due senza tre

– Incredibile, ancora non si credeva all’esistenza degli atomiall’inizio del 1900!

– Incredibile, ma vero.

– Bene, dopo aver appoggiato la teoria atomica ti sei final-mente deciso a pubblicare qualcosa sulla relatività?

– Sì, sempre sul numero 17 (e poi dicono che porta sfor-tuna!) della prestigiosa rivista Annalen der Physik èfinalmente uscito l’articolo che tanto aspettavi:“Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”.

– “Elettrodinamica dei corpi inmovimento”!? Che c’entra con larelatività?

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Adesso si esagera: quattro, cinque e sei!

– Poi ne parliamo con calma, adesso finisco di raccontar-ti cos’altro ho scritto nel 1905. Anche il prossimo è unarticolo di relatività: “L’inerzia di un corpo dipende dal suocontenuto di energia?”.

– Mi spiace, proprio non so risponderti.

– Mica è una domanda, è il titolo dell’ar-ticolo. Comunque la risposta la troviscritta un po’ ovunque, pure sullemagliette. È contenuta nell’equazioneche chiude in bellezza la mia teoriadella relatività ristretta: E=mc2.

– Oh sì, questa l’ho vista. Cosa voglia realmente dire lo saisolo tu, ma l’equazione si trova effettivamente un po’ ovun-que. Nulla da invidiare ad un marchio di vestiario o discarpe da ginnastica.

– È strano questo fatto. La stragrande maggioranza deifisici è assolutamente sconosciuta al resto del mondo,per non parlare poi delle equazioni! Ad esempio, a parteGalileo e Newton, quale altro nome di fisico tu conosci?

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– Galileo, … Newton, … il tuo… e poi… il tuo e poi basta.Le equazioni, solo ed esclusivamente la tua E=mc2. Non sonemmeno se Galileo o Newton abbiano scritto equazioni.

– In realtà il mio lavoro, considerato così rivoluzionario,si basa proprio sul loro. Il principio di relatività l’hascoperto Galileo e l’ha messo a punto Newton. Io l’hosolo ampliato, ma ampliandolo ho dovuto necessaria-mente eliminare i concetti di “spazio assoluto” e“tempo assoluto”, tanto cari a Newton.

– Ma guarda un po’, gli unici scienziati conosciuti al grandepubblico si sono tutti e 3 occupati di relatività. Strano no?

– Effettivamente… non l’avevo mai notato.

– Bene. È finito il tuo lavoro del 1905?

– È finito quello che è stato pubblicato in quell’anno, maio ho terminato altri due lavori, pubblicati all’iniziodell’anno successivo. Al primo tengo molto, perché èstato finalmente accettato come mia tesi di dottorato:“Una nuova determinazione delle dimensioni molecolari” e ilsecondo “Sulla teoria del moto browniano” completa ilmio lavoro precedente.

– Pazzesco.

La speranza è l’ultima a morire

– Hai ragione. Devo ammetterlosenza falsa modestia: pazzesco,tanto più che tutto questo l’hopubblicato quando ero un impie-gatuccio dell’ufficio brevetti diBerna. Bravo impiegato, per cari-

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tà, ma un lavoro così non è richiesto nemmeno ad un esi-mio professore durante tutto il corso della sua carriera.

– Hai continuato a lavorare a questo ritmo?

– Non esageriamo, ma non è finita qui. Quello che ioconsidero il pensiero più felice della mia vita lo ebbi inseguito, nel 1907, e da quel pensiero nacque la teoriadella relatività generale.

– Ad averne di pensieri così!

– All’età tua nemmeno io homai osato sperare tanto.Non è assolutamente dettoche tu non avrai ideeanche migliori delle mie.

Famiglia e carriera

Ma per seguire il lavoroscientifico di Einstein, abbiamo tralasciato la sua vitapersonale. Con l’impiego all’ufficio brevetti, Albert ebbefinalmente uno stipendio e si sposò. Lo fece nel gennaiodel 1903 con Mileva Maric, sua ex collega di corso

all’università. Nel maggio del-l’anno successivo nacque il loroprimogenito: Hans Albert.

Dato che era un bravo impie-gato, Albert ottenne una promo-zione all’interno dell’ufficio bre-vetti, ma non abbandonò il suosogno e nel 1907, allegando copiadi tutti i suoi articoli scientifici,fece richiesta all’università per

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ottenere la “libera docenza” (un’abilitazione all’insegna-mento universitario, che non corrispondeva necessaria-mente ad un posto di lavoro). Molti professori votarono afavore, ma Albert non ottenne la libera docenza e questoperché non aveva allegato nessun lavoro non ancora pub-blicato, che avrebbe potuto rappresentare la necessariatesi di abilitazione. Niente tesi, niente libera docenza. Ilfatto che Albert Einstein avesse già virtualmente vinto ilpremio Nobel non era noto agli svizzeri che non feceronessuno strappo alla regola.

Chi la dura la vince

Ma alla fine di questoestenuante braccio di ferro,vinse Einstein. Presentò latesi di abilitazione e final-mente, nel febbraio del1908, a trentun anni, fuinformato che gli era stato

concesso il diritto di insegnare all’università.Iniziò, quindi, la carriera accademica di Einstein, ma

iniziò senza soldi e senza… studenti.Lavorando all’uf-

ficio brevetti, infatti,Albert poteva tenerele lezioni in oraristrani. Il primo corsolo tenne nel semestreestivo, dalle sette alleotto di mattina. Lelezioni erano seguiteda 3 studenti, tutti e

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3 suoi amici. Il semestre successivo decise di cambiareorario, tenendo le lezioni la sera. Effettivamente fu unabuona idea: il numero di studenti crebbe di 1!

Si torna a Zurigo

Sebbene le sue lezioni non fossero così seguite, lafama di Einstein stava aumentando velocemente all’inter-no del mondo accademico e i suoi articoli di quattro anniprima cominciavano ad essere conosciuti e apprezzati.Albert ricevette l’invito a ricoprire la posizione di profes-sore associato di fisica teorica all’università di Zurigo e aquell’epoca era già annoverato “tra i più importanti fisiciteorici”.

Il 6 luglio 1909, Einstein si licenziò dall’ufficio bre-vetti di Berna e iniziò, finalmente, la carriera accademica.

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LA RELATIVITÀ RISTRETTA

La porta ri-stretta

– Non voglio andare avanti a conoscerela tua vita senza sapere cosa hai scrit-to nel 1905 sulla relatività.

– Hai ragione, ma parleremo dopodell’articolo, preferisco farti entrare nella relatività daun’altra porta.

– Perché? È molto difficile?

– Be’, lo puoi capire dal titolo “L’elettrodinamica dei corpiin movimento”, l’articolo è centrato sulle equazioni diMaxwell, che a dirla tutta non sono troppo semplici,ma gli stessi concetti posso spiegarteli da un altropunto di vista e tutto ti apparirà chiaro. Alle equazionidi Maxwell ci arriveremo dopo, per adesso ti dovrebbebastare sapere cosa sia la velocità. Lo sai?

– Sì, più o meno…

– È possibile definirla come lo spazio percorso in un certotempo: quando dici “50 chilometri all’ora” (50 km/h),vuol dire che in un’ora percorri cinquanta chilometri.

– Bene, mi è chiaro.

Allacciate le cinture!

– Adesso andiamo un po’ a sbattere: tu sei in macchina,la tua macchina si muove ad una velocità di 50 km/h e

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va a sbattere contro un’auto ferma. A che velocità seiandato a sbattere?

– Direi a 50 km/h… anche se mi sembra troppo facile.

– È giusto. Seguimi ancora. Se invece vai a sbattere con-tro un’auto che ti viene addosso con una velocità di 50km/h a che velocità hai sbattuto?

– Be’, io vado a 50 km/h verso di lei, lei viene a 50 km/hverso di me… direi che quando sbattiamo, abbiamo unavelocità reciproca di 100 km/h. Cioè l’urto avviene a 100km/h e mi faccio molto più male di prima…

– Effettivamente, hai mai sentito parlare di un “urtofrontale”? Il peggiore di tutti, proprio perché le veloci-tà si sommano.

– E si sottraggono anche?

– Certo, si sottraggono. Perché in quei dannati insegui-menti dei film, i malviventi non vengono mai presi? Seuna macchina va alla velocità di 50 km/h e tu la rincor-ri con una velocità di 50 km/h, quando mai la acchiap-perai? Infatti la velocità relativa tra te e lei è esattamen-te zero. Sei d’accordo?

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– Sì, direi che sono d’accordo.

– Bene, ma continuiamo un po’. Questa storia delle velo-cità che si sommano o si sottraggono è veramenteimportante per capire la relatività.

– Penso di aver capito, ma se vuoi continuiamo.

Buon viaggio

– Adesso sei su un treno, che si muove rispetto al terre-no ad una velocità di 100 km/h. Tu stai correndo nelladirezione del moto del treno ad una velocità di 10km/h, rispetto al treno. A che velocità ti muovi rispet-to al terreno?

– Direi che rispetto al terreno, cioè alla stazione, mi muovocon una velocità di 110 km/h. È giusto?

– Sì, e se invece andassi nell’altra direzione?

– Be’ mi muoverei, rispetto al terreno, di (100 – 10) km/h equindi di 90 km/h.

10 km/h 100 km/h

110 km/h

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– Benissimo, più che benissimo, sei quasi pronto. Adessodevo solo assicurarmi che tu sappia come funziona l’oc-chio umano.

Il bello della diretta

– Ma che dici Albert? Che c’entra l’occhio?

– Devo assicurarmi che tu sappia bene come funziona ilmeccanismo attraverso il quale noi vediamo, altrimen-ti non riuscirai a seguirmi.

– Sì, penso di sapere come funziona.Un raggio di luce colpisce unoggetto, rimbalza e poi entra nelmio occhio e lì…

– Va bene, basta così, cosa accadedentro l’occhio non mi riguarda, ma è importante chetu sappia che noi possiamo vedere perché un raggio diluce entra nell’occhio e se il raggio non entra, comeaccade in una stanza buia, allora non vediamo nulla.Inoltre è importante che tu capisca che noi vediamo

sempre una cosa “passata”, magari da pochissimotempo, ma non vediamo mai quello che acca-

de mentre accade. Vediamo quello che èaccaduto un “pochino” prima, dove questo“pochino” è un tempo che può essere pic-colissimo, ma non è mai zero.

– Questo mi sembra molto strano. Se tu staiscrivendo alla lavagna, io ti vedo “men-tre” tu scrivi, mica dopo. Solo le trasmis-sioni televisive possono essere “in differi-ta”, la realtà è sempre “in diretta”.

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– Tu mi vedi perché un raggiodi luce mi illumina, si riflet-te su di me e poi ti arrivadopo aver attraversato lospazio che separa la mia per-sona dal tuo occhio.

– Certo.

– Ebbene, quel raggio di lucenon ci metterà un po’ di tempo ad arrivare fino a te?Quel tempo sarà piccolissimo, e quindi a te sembreràimmediato, ma non è zero. Il bello della “diretta” è chenon esiste!

– Direi che tu hai ragione, ma direi anche che questo tempo ètalmente breve che io lo considero uguale a zero.

Questione di dimensioni

– Non posso biasimarti. La luce si muove a circa 300.000km/s (chilometri al secondo), se io e te siamo lontani 3metri, allora la luce impiega circa 1 centimilionesimodi secondo ad arrivare da me a te.

– Per me non vuol dire molto “1 centimilionesimo di secondo”.

– Hai ragione, allora pensa che un rag-gio di luce, in un secondo, percorre-rebbe circa 100 volte la distanza traRoma e Berlino. Ti è più chiaro, ades-so, quanto è veloce la luce?

– Accidenti, sì. Ecco perché il tempo che cimette per arrivare da te a me, mi sembra uguale a zero.

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– Capisco che tu possa considerarlo un tempo nullo, manon lo è! In fisica, e peggio ancora in matematica, zeroè zero e “piccolissimo” non è zero!

– Ma se io non posso accorgermi della differenza, devo perforza considerarlo zero!

– Ma se tu fossi sulla Luna te ne accorgeresti. Laluce impiega circa un secondo ad arrivare.Quando Armstrong era sulla Luna ci arrivavala sua voce, portata da onde elettromagneti-

che, con questo ritardo. Per capire il mioragionamento, facciamo finta che la

velocità della luce sia molto, ma molto, ma molto piùpiccola, ad esempio di soli 10 metri al secondo (10m/s)… il ragionamento non cambia enoi possiamo intuire cosa succede.

– Proviamo.

Un altro incidente è possibile

– Bene. Allora adesso ti metti per stra-da e guardi una macchina che ti stavenendo incontro con i fari accesi. Lamacchina si muove ad una velocità di10 m/s verso di te. La luce esce daifari ad una velocità di 10 m/s nellatua direzione, quindi, per la sommadelle velocità che abbiamo appenavisto, la luce si muove a 20 m/s versote che stai fermo, diciamo a 100 metri dalla macchina.La luce che esce dai fari impiegherà quindi

(5 secondi) ad arrivare fino al tuo occhio.100 m20 m/s

= 5 s

10m

/s

20m

/s

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– Cioè io in realtà vedo quelloche di fatto è accaduto 5 secon-di prima?

– Esatto. Se il pilota, quandoè a 100 metri da te spegnes-se i fari, tu continueresti avedere la luce per 5 secondiperché dopo 5 secondi tiarriverebbe l’ultimo raggiopartito dai fari 5 secondiprima. Va bene?

– Direi di sì.

– Ecco, adesso pensiamo che, invece di spegnere i fari,l’auto avesse un incidente con un’altra macchina chestesse viaggiando in direzione perpendicolare a lei,sempre alla velocità di 10 m/s. Guarda la figura. Lamacchina nera non ti sta venendo incontro e quindi lavelocità della luce che esce dai suoi fari non si somma aquella dell’auto. I raggi della luce della macchina nerasi muovono verso di te con una velocità di soli 10 m/s equindi, per percorrere i 100 metri che ti separano dal-l’auto, impiegano !

Punti (esclamativi) di vista

– Perché hai messo un punto esclamativo? Cosac’è di strano?

– C’è di strano che in un certo istante le autovanno a sbattere ad una distanza di 100

metri da te. Dopo 5 secondi tu vedil’auto bianca frantumarsi senza nessun

100 m10 m/s

= 10 s

10m

/s

20m

/s

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motivo apparente, mentre alla nera non è ancora acca-duto nulla. Solo dopo altri 5 secondi, finalmente anchela macchina nera apparirà incidentata! Allora? Non tisembra un po’ strano?

– Certo, ma il trucco ce l’hai messo tu all’inizio: la velocitàdella luce è molto, ma molto, ma molto più grande e quin-di tu non ti accorgi nemmeno della differenza di tempo chepassa tra quando vedi la prima auto rotta e quando vedirotta anche la seconda.

– Questo è vero, ma perquanto tu non potrestipercepirla, la differen-za di tempi esistereb-be ugualmente e inaltre occasioni potreb-be diventare impor-tante, ad esempio, inun ipotetico urto tradue navicelle spazialiveloci e lontane, nelcaso in cui si scontrassero mentre una si avvicina allaterra e l’altra no (nel caso in cui, quindi, per una navi-cella la sua velocità andrebbe sommata a quella dellaluce e per l’altra no).

– Hai ragione. E allora dov’è il trucco? Come si risolve ilproblema?

– Non c’è trucco: esiste unavelocità massima e questavelocità non può mai esseresuperata. La velocità massi-ma è la velocità della luce.

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Limite di velocità

– Ma che c’entra qui?

– Se la velocità massima è quella della luce, allo-ra nessuna velocità può essere sommata a questa(altrimenti si otterrebbe una velocità maggiore).Quindi la velocità in cui ti arriva la luce dei fari dellamacchina bianca è sempre di 10 m/s, anche se i farisono collocati su un’auto che si muove a 10 m/s nellatua direzione. In questo modo, quando le auto sbatto-no, la loro luce ti arriva nello stesso istante, dato chesono alla stessa distanza da te e che la luce viaggia, inogni caso, sempre alla stessa velocità. Cioè la velocitàdella luce non dipende dalla velocità della sorgente chela emette.

– Certo, se la velocità della macchina non si somma alla velo-cità della luce risolvi il problema, ma questo è falso, abbia-mo appena visto che se un’auto sbatte contro un’altra le duevelocità si sommano!

– È più giusto dire “si compongono”, nel senso che nonsi sommano “esattamente”.

– E se 2 raggi di luce vanno a sbattere uno contro l’altro, nonsbattono a 2 volte la velocità della luce?

– No, altrimenti avresti superato, anzi raddoppiato, lavelocità della luce!

La “somma” limitata

Una delle equazioni che Albert Einstein pubblicò nelsuo articolo del 1905 è proprio quella della “somma”delle velocità, eccola:

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dove vab è la velocità relativa tra il corpo A e il corpo B ec è la velocità della luce.

Adesso usiamo il valore vero per la velocità della luce evediamo cosa accade nel caso in cui 1 macchina vada asbattere con velocità va = 50 km/h contro una ferma(vb=0). Allora la velocità reciproca è:

bene, se uno dei due corpi è fermo, ritroviamo il nostro“vecchio” risultato e la cosa ci piace.Vediamo cosa accade se 2 macchine che camminano a 100km/h si scontrano frontalmente. 100 km/h è uguale a circa 0,03 km/s (100 km/h =100/3600 km/s, in un’ora ci sono 3600 secondi). va = 0,03 km/s, vb = 0,03 km/s, la velocità della luce è300.000 km/s.La velocità relativa, cioè la velocità dell’impatto sarà:

0, 06

1 + 0, 00000000000001= 0, 0599999999999994 km/s

0

vab =0, 03 + 0, 03

1 +0, 03 · 0, 03

3000002

=0, 06

1 +0, 0009

90000000000

=

vab =50 + 0

1 +50 · 0

c2

=50

1 + 0= 50 km/h

v

vab =va + vb

1 +va · vb

c2

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cioè in meno di quanti neotteniamo se facciamo la somma normale delle velocità.

Effettivamente, se le velocità sono piccole rispetto aquella della luce, possiamo sommarle normalmente e tra-scurare una differenza così irrilevante.

1+1= 1

Guarda però cosa accade per 2 raggidi luce che si vengono incontro, nel caso,cioè in cui va = c e vb = c:

2 raggi di luce che viaggiano alla velocità di 300.000km/s uno incontro all’altro, sbattono alla velocità di300.000 km/s!

E questo non è strano, strano sarebbe il contrario.Sarebbe strano, infatti, se non esistesse una velocità mas-sima e quindi la velocità potesse sempre aumentare.Innanzitutto, come hai discusso prima con Albert, se lavelocità con la quale un raggio di luce arriva fino a noidipendesse dalla velocità della sua sorgente(nel caso di prima i fari dell’automobile)allora noi non potremmo riuscire a capire,nell’esempio di prima, se e quando le 2automobili avrebbero sbattuto.

Inoltre, la mancanza di una velocitàmassima, porterebbe all’esistenza di una velocità

vab =c + c

1 +c · cc2

=2c

1 +c2

c2

=2c

1 + 1=

c

2= c

0, 0000000000000006 km/s

v

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infinita (perché potrebbe sempre aumentare) e questosarebbe un po’ imbarazzante dato che un corpo che simuove a velocità infinita impie-gherebbe un tempo uguale a zeroper andare da un posto all’altro,cioè si troverebbe contemporanea-mente in 2 posti diversi. Nonsarebbe male, ma purtroppo acca-de solo nei film di fantascienza!

Suoni e luci

Ai tempi di Einstein, gli scienziati pensavano che lavelocità della luce non dipendesse dalla velocità della sor-

gente luminosa e che fossecostante rispetto al mezzo nelquale si muoveva e ritenevanoche questo mezzo fosse l’etere.

Gli scienziati, infatti, giàconoscevano bene le ondesonore e sapevano che la velo-cità di propagazione delsuono è indipendente dalla

velocità della sorgente sonora e la sua velocità di propa-gazione in un mezzo è costante, quindi si aspettavano lostesso comportamento anche dalle onde luminose. Lavelocità della luce doveva essere costante rispetto all’ete-re e proprio per questo non dove-va essere costante rispetto a noiche ci muoviamo nell’etere… macome hai visto i risultati dell’espe-rimento di Michelson e Morleynon confermavano questa ipotesi.

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Titolo dell’articolo

L’esistenza dell’etere era giustificata anche dal fattoche nelle equazioni che descrivono la propagazione delleonde elettromagnetiche compare una velocità assoluta e,guarda caso, questa velocità è proprio 300.000 km/s, cioèla velocità della luce! Le equazioni dovevano essere vali-de, quindi, solo rispetto all’etere (anche se funzionavanobenissimo anche sulla Terra che si muove rispetto all’ete-re, ma nessuno riusciva a capire perché) dato che compa-re proprio e solo quella che tutti pensavano dovesse esse-re la velocità della luce rispetto all’etere.

Ti ricordi il titolo del primoarticolo di Albert sulla relatività?“L’elettrodinamica dei corpi in movi-mento”. In questo articolo, infatti,Albert dimostra che la velocitàdella luce è costante sempre, nonrispetto all’etere, ma rispetto aqualsiasi cosa, che questo “qual-siasi cosa” si muova o meno.

Allora non c’è bisogno del-l’etere, assolutamente fermo, per-ché la luce si muova a velocità c,la luce si muove sempre a veloci-

tà c e per questo le equazioni dell’elettrodinamica sonovalide sempre.

Riassumiamo:1. non è possibile distinguere tra lo stato di quiete e dimoto rettilineo uniforme.2. la velocità della luce è costate, sempre uguale a300.000 km/s.

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Questi sono i 2 postulati, cioè affermazioni nondimostrabili, che Albert Einstein mette come base ditutta la teoria della relatività ristretta. Sono indimostra-bili, è vero, ma come tutti i postulati sono affermazioni“evidenti”.

La forma della luce

Quando tu accendi una lampa-dina, la luce si propaga come unasfera che si espande a velocità c. Iraggi luminosi, infatti, viaggiano inlinea retta, in tutte le direzioni, e tuttii raggi viaggiano alla stessa velocità.

Ovviamente te non vedi questa sfera che si allargaperché la luce si muove con una velocità talmente eleva-ta che tutto accade in un attimo. Però si può scriverel’equazione matematica che descrive la sfera che si allargaa velocità c.

Secondo la relatività questa equazione deve avereesattamente la stessa forma, sia che tu stia descrivendo laluce che si propaga da un lampione quando la vedi restan-do fermo per strada, sia che tu la stia descrivendo mentrepassi in macchina, a velocità v sotto al lampione.

In tutti e 2 i casi (sia che tu stia fermo rispetto allasorgente luminosa, sia che tu ti muova), la luce deveavere, infatti, la stessa velocità c in tutte le direzioni incui si sta propagando.

Complicazioni matematiche

Se tu vuoi, come voleva Einstein, che le 2 equazioniscritte quando tu sei fermo o quando tu ti muovi siano

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uguali, allora devi usare le famose trasformazioni diLorentz per passare da un’equazione all’altra.

Se vuoi vedere i conti puoi leggere a pagina 163.Questo non è valido solo per l’equazione di propaga-

zione della luce, ma per qualsiasi equazione che descriveuna qualsiasi legge fisica.

Spostandoti da un sistema di riferimento in quiete (teche stai fermo sotto al lampione) ad uno che si muove dimoto rettilineo e uniforme rispetto al primo (te che ti

muovi in macchina sottoal lampione), qualsiasilegge della fisica deveavere la stessa forma e sipuò passare da un siste-ma di riferimento all’al-tro usando le trasforma-zioni di Lorentz.

Valori e leggi

Qui dobbiamo stare attenti auna cosa: i valori delle variabilicambiano se li misuriamo standofermi o muovendoci di moto ret-tilineo uniforme, sono le leggidella fisica che non cambiano, cioè le relazioni tra levariabili.

Facciamo un esempio. Se io mi trovo seduta in untreno che si muove a 100 km/h rispetto al terreno, la miavelocità rispetto al treno è zero, diversa dalla mia veloci-tà rispetto al terreno (100 km/h). Anche lo spazio che iopercorro rispetto al treno (sempre zero, se rimango sedu-ta) è diverso dallo spazio che percorro rispetto al terreno,

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o almeno lo spero, dato che ho preso il treno per andarein un’altra città.

Quello che non cambia, però, è la relazione che esistetra la mia velocità e lo spazio che percorro. Questa rela-zione deve essere uguale sia che calcolo le variabili rispet-to al treno, sia che le calcolo rispetto al terreno.

Affinché la relazione rimanga uguale,per passare dalle variabili che ho calcola-to rispetto al treno a quelle calcolaterispetto al terreno (o viceversa) devo uti-lizzare le trasformazioni di Lorentz.

Riferendosi ai riferimenti

Guarda il disegno. Se chiamo R il sistema di riferi-mento fermo rispetto al terreno e R’ il sistema di riferi-mento del treno, che si muove con velocità v, in direzio-ne dell’asse x, allora le trasformazioni di Lorentz mi dico-no che, se a tempo t io mi trovo nella posizione x, yrispetto a R, allora se calcolo il tempo e la mia posizionerispetto a R’ sarà:

x′ =x − v · t√

1 − v2

c2

y′ = y

t′ =t − v · x

c2√

1 − v2

c2

R R’ v

xx’

y=y’

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Tra Galileo e Lorentz

Voglio farti vedere una cosa: se la velocità v a cui timuovi è molto piccola rispetto alla velocità c della luce,allora v2/c2 è piccolissimo e possiamo trascurarlo.Le trasformazioni di Lorentz, allora, diventano:

Queste sono le trasformazioni di Galileo, proprio quel-le che venivano usate per passare da un sistema di riferi-mento in quiete ad uno in moto rettilineo uniforme convelocità v, prima della scoperta della relatività e sono le tra-sformazioni che si possono usare anche oggi quando la velo-cità v è molto piccola rispetto a quella della luce o, come sidice, quando gli effetti relativistici sono trascurabili.

Se vuoi vederle un po’ meglio, puoi leggere a pagi-na 165.

x′ =x − v · t√

1 − v2

c2

=x − v · t

1

y′ = y

t′ =t − v · x

c2√

1 − v2

c2

=t − 0

1

cioe

x′ = x − v · t

y′ = y

t′ = t

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Troppo banale

– È tutta qui la relatività?Io avevo sentito parlare di cose assurde, distanze che si rim-piccioliscono, tempi che si allungano…

– Non sono cose assurde, sono le conseguenze di quantohai visto fino ad ora. Sei convinto che le leggi della fisi-ca non debbano cambiare se cambiamo sistema di rife-rimento dal quale le misuriamo?

– Sì, mi sembra che sia ragionevole…

– Sei convinto che la velocità della luce sia la stessa inqualsiasi sistema di riferimento?

– Mi hai convinto tu, altrimenti non vedrei nemmeno lo scon-tro tra due automobili…

– Sei convinto che dobbiamo usare le trasformazioni diLorentz per passare da un sistema di riferimento all’al-tro?

– Mi fido della tua bravura in matematica… in fondo sonocalcoli… vada per le trasformazioni di Lorentz…

– Perfetto, anche il resto viene fuori dai calcoli. Guardaun po’, calcoliamo la lunghezza del segmento in figura.Nel sistema R, in cui il segmento è fermo, la sua lun-ghezza è x = 1. Giusto?

R

1 2 3

R’v

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– Non bisogna essere maghi per saperlo: l’hai disegnato pro-prio lungo 1…

– Esatto. Ma adesso calcolo la sua lunghezza nel sistemaR’, che si muove di velocità v rispetto a R.

– Lo so fare anche io, hai scritto l’equazione poco fa:

poi sostituisco i numeri e trovo x’.

Uniti per l’eternità

– Certo, ma come vedi questa equazione non ti basta percalcolare x’. Conosci infatti x (che è uguale a 1), macome fai a conoscere t?Non devi mai dimenti-care anche la trasforma-zione del tempo:

Se la velocità della lucerimane costante, spazioe tempo sono indissolu-bilmente legati.

– Con quest’altra equazione non mi sembra che la situazionesia migliorata.

– Invece sì, posso calcolare la lunghezza del segmento nelsistema R’ al momento t’=0. Qualunque momento va

t′ =t − v · x

c2

1 − v2

c2

x′ =x − v · t√

1 − v2

c2

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bene, non è che il segmento si allunga o si accorcia alpassare del tempo…

– Giusto. E allora?

– Perciò, se il mio segmento è lungo x = 1, nel sistemain cui è fermo, allora sarà lungo di meno se si muovecon velocità v rispetto al sistema in cui lo misuro.

– Quanto di meno?

– Dipende dalla velocità. Se si muove con ,allora risulterà lungo

cioè più piccolo di 1 (la sua lunghezza da fermo).

x′ =√

1 − 14

= 0, 866

1

v =c

2

Per t′ = 0, t =v · xc2

, sostituendo nella equazione

x′ =x − v · t√

1 − v2

c2

si ottiene:

x′ =x − v2

c2· x

1 − v2

c2

= x ·1 − v2

c2√

1 − v2

c2

quindi x′ = x ·√

1 − v2

c2

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Dimagrimento veloce

– Questa è la stessa “contrazione” dellamateria trovata da Lorentz per l’in-terferometro di Michelson e Morley(basta mettere L a posto di x e l’equa-zione è identica)!

– Esatto, infatti sia L che x sono misu-re di lunghezza, le abbiamo solochiamate con lettere diverse. Peròl’interpretazione è diversa. Per mela materia non si sta “contraendo”.

– Non si sente “rimpicciolire”?

– No! Lui, rispetto a lui, stafermo o si muove?

– Rispetto a lui sta fermo, come fa uno a muover-si rispetto a se stesso? Si dovrebbe “sdoppiare”.

– Esatto, non è possibile. Allora se sta fermo, ammessoche un segmento abbia sensazioni, lui si “sentirà” sem-pre della stessa lunghezza.Ammesso che un segmentoabbia la capacità di misurar-si, se si misurerà, la misurarisulterà sempre uguale a 1, cioè uguale a quella che iomisuro se il segmento è fermo rispetto a me.

– E allora?

– Ma se lui si muove con velocità rispetto a me,allora a me apparirà lungo 0,866 e non lungo 1.

– A te appare, a te appare… ma qual è la verità?

v =c

2

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Tutto è relativo

– La verità è che non esiste una “misura vera” e una“misura falsa”. La verità è che la lunghezza del segmen-to è relativa. Dipende dalla velocità, rispetto al seg-mento, del sistema di riferimento da cui la misuro.

– Allora è vero che le lunghezze si accorciano???!!

– Ma che modo assurdo di parlare! Che vuol dire le lun-ghezze si accorciano? Quello che è provato sperimen-talmente è che le lunghezze risultano diverse se misu-rate in sistemi di riferimento che si muovono di motorettilineo uniforme rispetto a quello che dobbiamomisurare. Ovviamente questo accade solo alle lunghez-

ze nella direzione del moto, non tutte, infatticome dicono le trasformazioni di Lorentz, y’=yperché è misurata nella direzione perpendico-

lare alla velocità.

– Non so se credere a queste cose…

– Le differenze delle misure si osservano nella realtà, maprima di vedere le prove sperimentali che hanno reso lamia teoria un mattone fondamentale della scienzamoderna, vediamo quali altre “stranezze” vengonofuori dai calcoli.

Di male in peggio

– Peggiora la situazione?

– In un certo senso sì,infatti dobbiamo vederecosa accade alle misuredel tempo.

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– Cosa vuoi che accada? Posso anche accettare che la misuradi una lunghezza dipenda dalla velocità a cui la misuro…ma il tempo proprio no. Il tempo è uguale per tutti, da chemondo è mondo…

– Mi spiace deluderti, contrariamente a quanto avevaaffermato Newton, non solo non esiste uno spazio asso-luto, ma nemmeno un tempo assoluto.

– Lo spazio posso capir-lo. Nell’universo tuttosi muove: stelle, pia-neti, galassie e quindidobbiamo accettare ilfatto che, non esistendo nulla che sia fermo in assoluto, pos-siamo osservare solo i moti relativi. Ma il tempo, certo cheesiste il tempo assoluto.

Botte piena o moglie ubriaca

– Bisogna fare una scelta: o è assoluta la velocità dellaluce o il tempo.

– Perché non tutte e due insieme?

– Perché una velocità è un rapportotra uno spazio e un tempo, se lospazio non è assoluto (lo abbia-mo appena visto), non puòesserlo nemmeno il tempo,dato che il loro rapporto deverestare costante se la velocitàdella luce è costante, propriocome sembra che sia.

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– Questa storia del rapporto tra spazio e tempo non mi con-vince. Esiste un modo per capire meglio perché il tempo nonpuò essere assoluto?

Orologi di design futuristico

– Innanzitutto costruiamo un oro-logio a luce. Guarda il disegno.Abbiamo un raggio luminoso cheparte da A, arriva in B, vieneriflesso e torna in A. Per fare que-sto percorso il raggio luminosoimpiegherà un tempo t = 2d/c,dove d è la distanza tra A e B e cè la velocità della luce. La veloci-tà, infatti è proprio la misura di quanto spazio vienepercorso in un certo tempo. Ci sei?

– Sì, mamma mia quante lettere, ma più o meno ci sono. Vaiavanti.

– Adesso mettiamo in moto l’orologio in modo che,rispetto a noi, si muova con velocità v nella direzioneperpendicolare al raggio luminoso. Quando il raggio

parte da A, lo specchio si trovanella posizione B, ma quandoil raggio arriva allo specchio,questo si sarà spostato nellaposizione B’ e quando torna,arriverà in A’. Quindi il raggioluminoso, rispetto a noi, nonpercorre più la distanza d, mafa un cammino più lungo, d’.

B

d

A

B’

A H A’

v

d d’

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– Mi serve un po’ di immaginazione per “vedere” quello che tudici, ma sì, direi che mi convinci.

– Se, come vedi nel disegno, d’ è più grande di d e se ilraggio luminoso si muove sempre alla stessa velocità c,allora il tempo t’ = d’/c sarà maggiore del tempo t = d/c.

– Certo, il tempo è maggiore perché il raggio luminoso ha per-corso più strada.

– In realtà sono io che, muovendomi rispetto all’orologio,vedo il raggio luminoso fare un percorso più lungo equindi impiegare un tempo maggiore.

– Per l’esattezza quanto ti sembrerà più lungo il tempo?

Il solito Pitagora

– Questa domanda è facile… basta utilizzare il teoremadi Pitagora, infatti, se l’orologio si muove a velocità v,allora nel tempo t’ che il raggio impiega ad andare daA a B’, il ricevitore avrà percorso uno spazio AH=v • t’e applicando il teorema diPitagora, si trova

Se vuoi vedere i calcolipuoi andare a pagina 167.

– Va bene, credo al fatto che setu misuri il tempo con questostrano orologio ottico, allora

t′ =t√

1 − v2

c2

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troverai 2 tempi diversi se li misurerai stando fermo o muo-vendoti rispetto all’orologio. Ma dico io… non potresti usareun elegante orologio da polso come tutte le persone normali?Allora non venirmi a dire che otterresti lo stesso risultato deltuo orologio ottico!

– Certo che te lo dico e anzi, te lo dimostro. Ammettiamoche il tuo bell’orologio da polso scandisca il tempo sem-pre alla stessa velocità, sia che stia fermo, sia che simuova, va bene?

– Certo che va bene… è ovvio!

– Prendiamo 2 orologi da polso e 2 orologi a luce, tutti e4 perfettamente sincronizzati. Nel sistema R mettiamo1 orologio da polso e 1 a luce, lo stesso facciamo nelsistema R’ che si muove con velocità v rispetto a R. I 2orologi da polso continueranno ad essere perfettamentesincronizzati, giusto?

– Giustissimo.

Perdiamo la sincronia

– Ma quelli a luce no. Lo abbiamo appena visto. L’orologioa luce L rimarrà sincronizzato con l’orologio P (stanno

P’

L’

P

R R’

Lv

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fermi uno rispetto all’altro). L’orologio P’ si muoverispetto a P e a L ma rimane sincronizzato con loro, datoche tu dici che gli orologi da polso non perdono la sin-cronia se si muovono. L’orologio L’ perde, però, la sin-cronia con gli altri 3, dato che si muove rispetto a P e aL. Non si muove però rispetto a P’, ma dato che P’ rima-ne sincronizzato con P e L, L’ non sarà più sincronizzatocon nessuno dei 3. Ti torna?

– Accidenti, questo ultimo pezzo non mi è piaciuto molto…Infatti, perché L’ non dovrebbe essere più sincronizzato conP’ dato che è fermo rispetto a lui?

– La tua domanda è piuttosto intelligente, ma per adessonon rispondo e continuo a seguire il mio ragionamen-to. Se gli orologi da polso rimanessero sempre sincro-nizzati, indipendentemente dalla loro velocità, alloraaccadrebbe quanto ho appena descritto?

– Sì.

– Bene, avresti trovato un modo per determinare il motoassoluto. Complimenti.

– Non ho capito perché.

– Perché puoi sincronizzare un orologio da polso e unorologio a luce e poi aspettare un po’ e vedere cosa acca-de. Se rimangono sincronizzati (come avviene per L eP), allora i due orologi sono fermi in assoluto. Se inve-ce perdono la sincronia (come avviene per L’ e P’), allo-ra i due orologi si stanno muovendo insieme e possia-mo anche sapere a che velocità, infatti dall’equazione diprima si può ricavare la velocità.

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E se fosse?

– Ma questo potrebbe essere vero! Anche se ate l’idea non piacerebbe, potrebbe esistere ilmoto assoluto, il tempo assoluto e non esse-re valido il principio di relatività.

– A me l’idea non piacerebbe affatto.Comunque, anche se io non ci credo,

“a priori” potresti aver ragione, dovranno essere i risul-tati sperimentali a confermare o meno la mia teoria.Ma l’importante è che tu capisca che “una ciliegia tiral’altra”.

– Ma cosa c’entrano adesso le ciliegie?

– Cioè se i miei due postulati (la prima ciliegia) sonoveri, allora lo spazio e il tempo sono relativi e la loromisura dipende dalla velocità del sistema da cui limisuriamo (la seconda ciliegia, quella “tirata”).

– E mi puoi ricordare qualisono i tuoi 2 postulati?

Postuliamo

1. vale il principio di relatività: le leggi della fisica hannola stessa forma in ogni sistema di riferimento inerziale.2. in ogni sistema di riferimento inerziale la velocità dellaluce è sempre la stessa.

– In fondo, se il postulato 2 non fosse vero, si potrebbesempre misurare le differenze della velocità della luceper decidere se ci troviamo in un sistema di riferimen-to fermo o in moto.

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– Va bene, ho capito: o è tutto falso o è tuttovero.

– Ecco, o esistono lo spazio e il tempo asso-luti, come diceva Newton, e alloradovremmo trovare un esperimento che cipermetta di determinarli, oppure è vero ilprincipio di relatività, non esistono spazioe tempo assoluti, le distanze si accorciano e i tempi siallungano… non c’è scampo.

– Tutto questo se la velocità della luce è costante.

– Esatto. Accettato questo si può andare avanti e studia-re tutti i fenomeni che noiosserviamo per vedere se cam-bia qualche cosa, se dobbiamoaggiungere, togliere, modifica-re… insomma, riscrivere unpo’ di fisica.

Non si buttano gli avanzi!

– Tutta? Ma molte cose funziona-vano già.

– Certo, e proprio per questodobbiamo anche stare attentiche per basse velocità si ritrovi-no i risultati della “fisica classi-ca”, quella che come dici te, “funzionava già”.

– Quali sono le “basse velocità”?

– Le velocità piccole rispetto alla velocità della luce che èdi 300.000 km/s. Per capirsi il suono viaggia a circa

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300 m/s = 0,3 km/s, cioè 0,3/300.000 = 1 milionesimodella velocità della luce. Anche la velocità di un aereosupersonico (più veloce del suono) è bassa rispetto aquella della luce.

– Cioè la “fisica classicafunzionava già” perchéfunziona sempre?

– Nelle cose di tutti i giorni sì, la fisica classica funzionasempre. È per questo che noi scienziati ci abbiamomesso così tanto ad arrivare alla mia relatività, ci basta-va quella di Galileo!

La star

– Per me, però, la relatività rimane lega-ta all’equazione più famosa del mondo:E = mc2 ma fino ad ora non mi sembradi averla vista da nessuna parte.

– Ho lasciato, infatti, un po’ disuspance prima di mostrarla… comeun bravo scrittore. L’ho fatta appari-

re qualche mese dopo, sul numero 18 sempre della rivi-sta Annalen der Physik, nel settem-bre del…

– … 1905.

– Esatto, sempre lui, l’annus mirabilis. Ho pubblicato lafamosa equazione in un articoletto striminzito di sole 3paginette (scritte larghe, come direbbe qualche tuainsegnante) e dal titolo piuttosto giornalistico: “l’iner-zia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia?”.

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– Cosa c’entra adesso l’inerzia? E che cos’è, poi, questa bene-detta inerzia?

– … e che cos’è, poi, questa benedetta massa?

– Qui le domande le faccio io! Che c’entra la massa conl’inerzia?

– È difficile parlare di massa senza usare il concetto di iner-zia. Newton ad esempio, definisce la massa come “quan-tità di materia” di un corpo, ma questo è solo un modoper spostare il problema. Infatti, che cos’è la materia?

– Ma la materia è… , la materia… , la materia è la cosadi cui siamo fatti!

– E cos’è questa cosa? Non è cambiando nome che le cosesi capiscono meglio. Noi “pensiamo” di capire cosa siala materia perché è lì, sotto i nostri occhi tutti i giorni,ma se proviamo a definirla ci mettiamo nei pasticci.

Ottima soluzione

– Ho trovato: la materia è fatta diatomi! E questo lo dicono tutti, larisposta è giusta, non puoi contrad-dirmi!

– Prima cosa: nel 1905 non tuttiancora la pensano così. Secondacosa: mi hai appena detto “la

materia è fatta da pezzi di materia più piccoli”… comerisposta, ammettilo, lascia un po’ a desiderare.

– Sei esasperante! Dato che tu solo puoi capire qualche cosa,allora dai, dimmi un po’ te cos’è la massa.

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– È appunto l’inerzia che un corpo oppone al moto quan-do gli applichi una forza.

– Ah…, e questa sarebbe una risposta più chiara della mia?Ti faccio notare che mi hai appena detto: “quando io appli-co una forza ad un corpo, il corpo comincia a muoversi, maoppone una certa inerzia a questo moto. L’inerzia la chia-mo massa”. Strano no? Che c’entra questa descrizione dimassa con la materia?

Torniamo indietro

– Ti ricordi la secondalegge di Newton? Èfacile: F = ma. Cioèla forza è uguale allamassa per l’accelera-zione. Applicando a 2 oggetti la stessa forza F, questinon subiscono la stessa accelerazione, ma un’accelera-zione inversamente proporzionale alla loro massaa=F/m, cioè più è grande la loro massa, più piccola saràl’accelerazione, più è grande la loro massa, più avranno“difficoltà a spostarsi”… ecco perché “inerzia”. Lamassa è proprio la “difficoltà a muoversi” che un ogget-to oppone alla forza che lo spinge.

– Sì, carino. Capisco cosa vuoi dire: se un corpo ha una massapiù grande (che posso anche pensare come una maggiorequantità di materia) allora dovrò applicare una forza piùgrande per riuscire a farlo arrivare ad una certa velocità.

– … e quindi, tanto più grande è la massa, quanto più ilcorpo “non vuole cambiare” il suo stato… ecco perchéla massa è l’inerzia che un corpo oppone alla forza.

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Torniamo avanti

– Bene, andiamo avanti.

– Prendiamo un corpo che emette una quantità di energiaE sotto forma di radiazione in due direzioni opposte. Se

facciamo i conti in un sistemadi riferimento che si muove divelocità v, troviamo che l’ener-gia emessa è E’, diversa da E.Ce lo aspettavamo. Infatti nelsecondo sistema di riferimentoil corpo si muove e quindi

dovrà avere un’energia dovuta proprio al suo movimen-to (se un palla ti arriva addosso, più è veloce e più ti famale). Con queste considerazioni e un po’ di conti…esce fuori la famosa equazione al cappello.

Per avere un’idea un po’ più precisa puoi leggere apagina 168.

Logica deduzione

– Davvero voi fisici ragionate così? Conun po’ di trucchi vi viene fuori un’equazio-ne e affermate che la cosa debba essere vera?

– Sì, noi fisici teorici ragioniamo così… espesso ci azzecchiamo! Comunque poi i fisici sperimen-tali si preoccupano di verificare se una teoria è giusta omeno, cioè se viene confermata dai risultati degli espe-rimenti.

– Ma come si fa a verificare se E = mc2, che significa real-mente?

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– Ad esempio che se uncorpo emette una certaenergia E sotto forma diradiazione, allora la suamassa diminuirà di unaquantità E/c2.

– È un po’ come quando unofa ginnastica: emette energia e dimagrisce…

– … in un certo senso. Possiamo arrivare alla conclusio-ne che la massa di un corpo sia una misura del

suo contenuto di energia, così, se l’energiacambia, cambierà anche la massa.

– Comunque, caro Albert, ammettiamo chetu ci abbia azzeccato e che, effettivamente,la massa sia una forma di energia, ebbe-

ne, allora come dici te: “hai solo spostato il pro-blema” spiegami adesso cosa sia questa benedetta energia!

– Gli scienziati sostengono che l’energia sia la possibilitàdi compiere un lavoro.

L’altro lato della fisica

– Allora da tutti questi ragiona-menti si arriva alla ridicolaaffermazione che la massa siala possibilità di compiere unlavoro. Assurdo, non trovi?

– Meno assurdo e più triste diquanto tu non possa pensare.La bomba atomica si basa

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proprio su questa equivalenza e una piccola parte dellamassa del nucleo di uranio viene trasformata in energia.Una piccola massa, moltiplicata per c2, diventa unagrande energia e il lavoro compiuto, bello o brutto chesia, non è certo piccolissimo!

– Ma cosa è accaduto nel mondo scientifico quando, nel1905, hai fatto cadere lo spazio assoluto, il tempo assolu-to, la “massa” assoluta e indistruttibile, e tutto il resto?

– Secondo Max Planck, dall’assoluto non si scappa, lafisica è sempre una ricerca di principi assoluti. Newtonli aveva identificati in spazio e tempo, mentre per me

l’assoluto è la velocità della luce.

– Chi è Max Planck?

– È il primo scienziato che ha notato imiei articoli sulla relatività.

– Tutta qui la sua importanza?

– Assolutamente no. Nel 1905 era considerato da moltiil più grande scienziato tedesco vivente. Nel 1900aveva pubblicato il lavoro che ha fondato la meccanicaquantistica, ipotizzando l’esistenza del “quanto di ener-gia”. Per questo, nel 1918, vincerà il Nobel.

– È stato importante, quindi, che avesse notato il tuo lavoro?

Commenti relativi

– Assolutamente sì. Quando i mieiarticoli sono apparsi su Annalender Physik, mi aspettavo molticommenti e anche parecchie cri-

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tiche e invece, niente. Tutti tacevano. È stato Planck,dopo un po’ di tempo, a rompere il silenzio e scrivermiper chiedere spiegazioni.

– Sei stato contento?

– È come se tu ricevessi una lettera dal più grande scien-ziato del tuo paese…

– Ecco, io non riconoscerei il mittente…

– Io invece, Planck l’ho riconosciuto e come! Mi battevail cuore mentre aprivo la busta. Una gioia così si provapoche volte nella vita e l’ho raccontato subito a miamoglie e a mia sorella.

La strada è aperta

Planck si innamorò subito della relatività, forse pro-prio per il suo contenuto di assoluto e iniziò a lavorarci,ne parlò nei congressi, la fece approfondire agli studentinelle tesi di dottorato e già nel 1906 pubblicò un lungoarticolo sulla relatività nel quale viene ricavata un’altrafamosa equazione:

quindi la massa di un oggetto aumenta con l’aumentaredella velocità.

m =m0√

1 − v2

c2

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Così deve essere riscritta anche la famosa equazione diNewton che dice: .La sua formula relativistica sarà:

dove m0 è la massa a riposo.

Vediamo perché dobbiamo cambiare l’equazione diNewton. Per semplicità occupiamoci solo del caso in cuil’accelerazione sia costante e quindi si possa scrivere:

“girando” l’equazione si ottiene

Possiamo vedere che prendendo un tempo t moltolungo la velocità può diventare molto grande, per l’equa-zione appena scritta, basta aspettare un tempo abbastan-za lungo e si può superare la velocità della luce.

Ahi, ahi, questo non è carino. Se però la massa maumenta all’aumentare del tempo (dato che l’oggettoaumenta con il tempo la sua velocità), allora la velocitànon crescerà più. Per v=c, ad esempio, servirebbe unaforza infinita per riuscire ad accelerare ancora il corpo dimassa a riposo m0.

Infatti F = a · m0√

1 − v2

c2

= a · m0

0

v =F · tm

a =v

te dunque F = m · v

t

F =m0√

1 − v2

c2

· a

F = m · a

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IL PARADOSSO DEI GEMELLI

Capito tutto?

Adesso, però, che ci sembra diaver capito tutto, che ci sembra ovvioche i tempi si dilatino, le distanze siaccorcino e le masse aumentino e sitrasformino in energie… adesso èarrivato il momento di rimetteretutto in discussione e lo faremo provando a studiare unfamoso paradosso: il paradosso dei gemelli.

La storia è questa

Un giorno due gemelli, Pietro e Cecilia, decidono diverificare la teoria di Einstein e compiono un interessan-te esperimento. Costruiscono un razzo spaziale di capaci-tà sorprendenti, in grado di viaggiare ad una velocità di180.000 km/s, cioè a 0,6 volte la velocità della luce.

Cecilia sale sul razzo e parte per raggiungere il piane-ta Arancio, distante 6 anni luce dalla Terra.

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Un anno luce è la distanza che la luce compie in unanno. Il conto è facile: in un anno ci sono 365 giorni,ognuno di 24 ore, ognuna di 60 minuti, ognuno di 60secondi, quindi in un anno ci sono 365x24x60x60 secon-di = circa 31.500.000 (31 milioni, 500 mila) secondi. Inogni secondo la luce percorre circa 300.000 km, quindiin un anno percorre 300.000 x 31.500.000 km =9.450.000.000.000 km = novemilaquattrocentocinquan-ta miliardi di chilometri. Però!

Dato che il razzo di Cecilia viaggia a v=180.000 km/s= 0,6 c, il pianeta non le apparirà più ad una distanza di6 anni luce, ma ad una distanza

Quindi per arrivare su Arancio impiegherà un tempot = 4,8 anni luce / 0,6 c = 8 anni.

Per Pietro, però sono passati 10 anni, infatti lui, cheè rimasto fermo rispetto alla Terra, ha visto la sorella per-correre 6 anni luce con una velocità di 0,6 c e quindi t =

6 anni luce/ 0,6 c = 10 anni.

Quant’è bella giovinezza

Arrivata a destinazione, Ceciliariparte immediatamente per tornarea casa. Al ritorno vale esattamentela stessa relazione e quindi quando

= 6 ·√

0, 64 = 6 · 0, 8 = 4, 8 anniluce

1

L′ = L ·√

1 − v2

c2= 6 ·

√1 − 0, 62 = 6 ·

√1 − 0, 36 =

=

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arriva sulla Terra si ritrova di ben 4 anni più giovane disuo fratello Pietro. 2 anni li ha “risparmiati” all’andata e2 al ritorno.

– Hai visto Pietro, la relatività funziona. Sono quattroanni più giovane di te.

– È vero, ma pensandoci bene, c’è qualche cosa che non mitorna…

– E cosa?

– Non capisco come sia possibile.

– Ti ci deve abituare… è il bello (per me) e il brutto (perte) della relatività…

– Ma sì, lo so… mi va bene che se vai veloce rimani più gio-vane, il problema non èquesto…

– E allora?

– Allora, dal tuo punto di vista, io e la Terra siamo partiti date in direzione opposta e quindi siamo stati io e la Terra, sevisti da te, a viaggiare con una velocità di 180.000 km/s.

– Be’, sì, se vi guardavo dal mio razzo, vi vedevo allonta-nare a quella velocità… dove vuoi arrivare?

Paradossale

– Ecco il punto: rispetto a te sono stato io a viaggiare, alloraperché non sono stato io a rimanere più giovane?

– Hai ragione, è un bel pasticcio… adesso capisco perchéquesto viene chiamato “paradosso dei gemelli”. Ma sul

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fatto che sono io ad essere più giovane non c’è storia, èevidente!

– Già, ma perché? Rispetto a me sei te che viaggi veloce equindi invecchi meno, ma rispetto a te sono io che viaggioveloce e quindi dovrei invecchiare meno. Dato che non è così… forse…

– … stai dicendo che niente, niente,abbiamo scoperto il moto assolu-to? Se tra due uno invecchiaprima, allora è lui che sta fermo.Chi invecchia sta fermo!

– Questa frase starebbe bene sulla boccadi un allenatore di calcio… ma nonso quanto Albert la apprezzerebbe.

I vecchi sportivi

Infatti Einstein non sarebbe affatto d’accordo; per luineanche chi invecchia sta fermo! O comunque non si sa…magari sta fermo rispetto alla sua poltrona, comodamenteappollaiato sopra, ma chissà rispetto a cos’altro si muove…

La soluzione del paradosso dei gemelli sta proprio nelfatto che la realtà non può cambiare se la guardiamo da

un sistema di riferimento(Pietro) oppure da un altro(Cecilia) in tutti e due i casideve venire fuori che Ceciliarimane più giovane. E alloraci tocca fare due conti percapire perché Pietro invec-chia più di Cecilia.

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Partenza… via!

All’inizio mettiamo a zero tutti e 2 gli orologi equindi iniziamo il viaggio.

Quando Cecilia mette piede sul pianetaArancio, come abbiamo appena visto, ilsuo orologio segna 8 anni, infatti,secondo lei, ha percorso 4,8 anni luce in0,6 c e quindi t = 4,8/0,6 = 8 anni.

Atterraggio in differita

Ma quale ora segnerà l’orologio di Pietroquando vede atterrare Cecilia? La risposta, anche se aprima vista sembra assurda è 16 anni. Come è possibile?Facile: 10 anni, secondo Pietro, servono a Cecilia per arri-vare su Arancio (6 anni luce / 0,6 c = 10 anni) e altri 6anni servono alla luce per tornare sulla Terra, dato cheArancio dista proprio 6 anni luce, cioè una distanza taleche la luce impiega 6 anni a percorrerla.

Pietro non vedrà Cecilia atterrare quando lei mettepiede sul pianeta, ma dovrà aspettare che questa notizia“Cecilia è atterrata” arrivi a lui e questo avverrà soloquando la luce, partita da Cecilia mentre lei atterrava,arriverà a Terra.

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Bene, quindi secondo Pietro il suo orologio segneràun tempo doppio a quello dell’orologio di Cecilia.

Il doppio della metà

E come stanno le cose per Cecilia? Anche Ceciliavedrà sul suo orologio un tempo doppio di quello diPietro. Assurdo? No, giusto. Infatti sappiamo che Ceciliaguardando il suo orologio legge “8 anni”, ma guardandol’orologio di Pietro mentre lei sta atterrando su Aranciolegge “4 anni”. Infatti sappiamo che sull’orologio diPietro, in quel momento, sono passati 10 anni, ma leilegge quello che la luce le sta facendo vedere in quelmomento, cioè quello che si trovava sull’orologio di

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Pietro 6 anni fa (10 – 6 = 4 anni). Sul pianeta Arancio stainfatti arrivando in quel momento l’informazione diquello che avveniva sulla Terra 6 anni prima, dato chequesto è il tempo che ci mette la luce per viaggiare dallaTerra ad Arancio.

Principio di relatività

Bene, allora è vero che la situazione è simmetrica:Pietro misura sul suo orologio un tempo doppio rispetto aquello misurato da Cecilia e Cecilia misura sul suo orolo-gio un tempo doppio rispetto a quello misurato da Pietro!

Mettiamo un punto esclamativo, perché siamo un po’stravolti… ma Albert sarebbe felice, infatti ognuno dei

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due misura un tempo doppio rispetto all’altro e quindinon possiamo certo affermare chi dei due si sia mosso echi, invece, sia rimasto fermo.

Tornando a casa

Ma adesso dobbiamo occuparci del viaggio di ritorno.È chiaro che quando Cecilia torna sulla Terra, l’orologiodi Pietro dovrà segnare 20 anni. Infatti, ammesso cheCecilia sia ripartita immediatamente appena arrivata, leiha impiegato, secondo l’orologio di Pietro, 10 anni adandare e 10 anni a tornare.

Quindi, per Pietro, Cecilia impiega solo 4 anni pertornare, infatti parte quando il suo orologio (di Pietro)segna 16 anni e arriva quando segna 20 anni.

Durante il viaggio di ritorno, però, l’ora dell’orologiodi Cecilia aumenta di 8 anni, passando da 8 a 16 (il viag-gio per lei dura 8 anni, come quello dell’andata).

Pietro, quindi, vede il suo tempo veloce il doppio diquello di Cecilia. Per lui sono passati 4 anni mentre perlei ne sono passati 8.

La stessa cosa, come ormai possiamo aspettarci, avvie-ne per Cecilia. Sul suo orologio, infatti, sono passati 8anni, ma su quello di Pietro, secondo lei, ne sono passati16. Infatti quando Cecilia parte da Arancio l’ora che leileggeva sull’orologio di Pietro era 4 anni, ma quandoarriva trova indicato 20 anni.

Quindi per Cecilia il suo orologio è 2 volte più velo-ce di quello di Pietro e la situazione, anche nel viaggio diritorno, è simmetrica.

Però, alla fine, quando Pietro e Cecilia si rincontranoleggono “20 anni” sull’orologio di Pietro e “16 anni” suquello di Cecilia. Cecilia, quindi, è effettivamente 4 anni

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più giovane, chiunquesia a leggere gli orologi.

Strana situazione

Ma cosa è accaduto?La situazione è simmetrica all’andata (e non possiamo direchi si sta allontanando), è simmetrica al ritorno (e anche inquesto caso non possiamo sapere chi si sta muovendo e chiè fermo), ma alla fine non risulta simmetrica e possiamoessere sicuri che chi è andata e tornata è Cecilia, dato chesarà più giovane di 4 anni. Dov’è l’inghippo?

L’asimmetria è dovuta al fatto che Cecilia lascia ilsistema di riferimento della Terra e ci torna.

Per lasciare la Terra, deve accelerare, cioè cambiarevelocità, prima di partire, infatti era ferma. Anche pertornare deve prima frenare fino a fermarsi e poi accelera-re nuovamente.

Pietro invece, non lascia la Terra e non cambia la suavelocità.

Questo esperimento dei gemelli è fantasioso, ma seleggi più avanti potraivedere come i fisici hannorealmente misurato la dila-tazione dei tempi, la con-trazione delle distanze el’equivalenza tra massa edenergia.

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TRA LE DUE RELATIVITÀ

Un’altra laurea

Abbiamo lasciato Einstein il 6 luglio del 1909, gior-no in cui si era licenziato dall’ufficio brevetti per dedicar-si esclusivamente alla carriera accademica.

Oltre alla tanto desiderata nomina di professore asso-ciato, Albert ricevette anche il primo riconoscimento

ufficiale: già l’8 luglio, fuinsignito della laurea hono-ris causa dall’Università diGinevra. Poco più tardipartecipò al suo primo con-gresso scientifico dove pre-sentò un lavoro sulla radia-zione, l’emissione di luce daun corpo caldo.

Einstein è ricordato come “l’uomo della relatività”,ma non possiamo dimenticare i suoi contributi alla teoriaquantistica specialmente quelli che aiutarono a chiarire lanatura corpuscolare della luce,come appunto il lavoro presenta-to a questo congresso o quelloche abbiamo già visto sull’effettofotoelettrico, per il quale Albertvinse il Nobel.

In questo volume non neparleremo, ma ci serve sapere chelavorò a questi problemi percapire di cosa si occupò tra il1907 e il 1911.

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I dubbi generali

Già nel 1907 Albert cominciò ad avere dei dubbisulla sua stessa teoria della relatività e cominciò a sentirela necessità di pensare alla relatività in modo “più gene-rale”, ma i primi articoli, ancora molto confusi, sulla rela-tività generale, usciranno solo dal 1911 e si dovrà arriva-re al 1915 perché la relatività generale assuma la sua

forma definitiva. Tra il 1911 e il 1915

Einstein cambiò tre voltelavoro: mentre prima erarifiutato anche dalla stessauniversità che l’aveva vistostudente, adesso tutte leuniversità se lo litigavano.

Praga magica

Nel marzo del 1911,Albert si trasferì a Pragadove divenne professoreordinario. L’anno primaera nato il suo secondofiglio, Eduard e così aPraga arrivarono il profes-sor Einstein, sua moglie edue piccoli Einstenini.

Ma insegnare gli pesava molto perché lo distraeva dalsuo lavoro di ricerca e lo occupava per troppo tempo,inoltre a Praga Albert era piuttosto isolato, mentre avevabisogno, specialmente adesso che cercava di concentrarsisui problemi della relatività generale, di lavorare conbravi matematici.

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Così fu ben felice, quando ricevettel’invito di tornare a Zurigo. Il suo excompagno di corso, il matematicoMarcel Grossmann era diventato presidedella Facoltà di Matematica e Fisica delPolitecnico di Zurigo e, subito dopo lanomina, richiamò in città il suo amicoAlbert: sedici mesi dopo essere partitoper Praga, Einstein era già di ritorno.

Nella terra natia

Ma siamo solo all’inizio degli spostamenti. Nelmarzo del 1914, Albert parte nuovamente da Zurigo per

raggiungere Berlino dovelo aspettano incarichi dielevatissimo livello: unposto all’Accademia

Prussiana, una cattedraall’Università e la dire-zione di un istituto di

fisica che sarebbe statoaperto di lì a poco.

La cosa più attraen-te, oltre allo stipendio,era il fatto che all’uni-versità non era obbligatoa tenere lezioni, avrebbepotuto farlo solo se aves-se voluto!

Questa volta, però, la famiglia rimase con lui solopochi giorni. Mileva ed Albert, infatti, si separarono e ifigli tornarono a Zurigo con la madre.

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Tra Nobel e Nobel

A Berlino, Albert, fu invitatoprincipalmente da Max Karl ErnstLudwig Planck (1858-1947), per gliamici Max, il fisico teorico conside-rato “padre” della teoria quantisticae colui che per primo aveva notatogli articoli sulla relatività.

Max Planck vinse il premio Nobel nel 1918 “per ilriconoscimento dei servizi da lui resi all’avanzamento della fisi-ca con la sua scoperta dei quanti di energia”.

Anche Albert, tre anni dopo, nel 1921, vinse il pre-mio Nobel “per i suoi servizi alla fisica teorica e specialmenteper la sua scoperta della legge dell’effetto fotoelettrico”. Questalegge si basa sull’ipotesi che la luce sia formata da “quan-ti” di energia.

Tutti quanti?

Quindi sia Planck che Einstein vinsero il Nobel perscoperte legate alla fisica quantistica, ma se Planck rima-se sempre leggermente scettico su questa teoria, Einsteindivenne forse il maggior oppositore degli sviluppi della

meccanica quantistica, non tanto per-ché fosse più critico di altri, quanto

perché le sue critiche era così sottili eprofonde da non poter mai essere supe-

rate con facilità.Oggi sia la teoria della relatività

che quella quantistica fanno partedel bagaglio di base di ogni fisico,

anche se non tutti i problemisono stati risolti.

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Non era Planck l’unico fisico di levatura mondialeche lavorava in quel momento a Berlino e finalmenteEinstein si troverà in uno degli ambienti più stimolantidel mondo per un fisico in quegli anni, anche se manca-no pochi mesi all’inizio di un’altra realtà che affiancheràla vita di questi uomini fino a quasi la metà del secolo:la guerra.

La pace è terminata

Il 1° agosto del 1914, laGermania entra in guerra, laprima guerra mondiale. Trale due guerre l’Europa vedràl’ascesa e l’affermazione delnazifascismo e quindi l’av-vento della seconda guerramondiale.

Planck perderà tre figlinella prima guerra mondia-le e un quarto sarò uccisodai nazisti. Einstein, di ori-gine ebraica subirà dellepersecuzioni personali e sarà

costretto ad abbandonare la Germania e mettersi in salvonegli Stati Uniti, la vita si farà sempre più dura e più dif-ficile per tutti.

Non è facile immaginare un periodo storico peggio-re, specialmente per l’Europa, della prima metà del ‘900,ma è anche difficile immaginare un periodo della storia incui abbiano vissuto contemporaneamente scienziati dicosì alto livello e la fisica abbia fatto passi avanti tantoinnovativi e fondamentali.

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Fughe di cervelli

La vita di questi scienziatifu in generale molto difficile e

molto dolorosa. Se poi oggi parlia-mo di fuga dei cervelli, questa non è

nulla rispetto a quanto accadde quandol’Europa era dominata dalle dittature nazi-

fasciste: la quasi totalità dei fisici europei di più altolivello espatriarono negli Stati Uniti e fu così che la fisi-ca americana passò in primo piano rispetto a quella euro-pea che fino a quel momento aveva dominato la scena.

Give peace a chance

Allo scoppio della prima guerramondiale, Albert Einstein fece sentireforte la sua voce di pacifista. Invitò gliintellettuali europei ad unire le proprieforze per combattere la pazzia dilagan-te. Ma la guerra andò avanti per intermi-nabili anni.

Nonostante la guerra, Einstein riuscì nel 1915 adarrivare alle equazioni della relatività generale. Tra l’al-tro, proprio in quegli anni, iniziò ad avere dei seri proble-

mi al fegato e allo stomaco. Dovevaseguire una dieta molto severa e intempo di guerra, a Berlino, non erafacile trovare il cibo adatto. MaAlbert non aveva più ripreso la cit-

tadinanza tedesca e questo gli permi-se di ricevere pacchi di cibo dai parentisvizzeri.

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Secondo matrimonio

A Berlino viveva anche Elsa Einstein Lowenthal, lacui madre era sorella della madre di Albert e il cui padreera cugino del padre di Albert. Quindi Elsa era cuginaprima di Albert da parte di madre e cugina di secondogrado di Albert da parte di padre.

Elsa era stata sposata e aveva due figlie, ma il matri-monio non era durato e adesso era divorziata. Lei e Alberterano amici fin da piccoli e in questo momento difficileElsa si occupò molto del cugino e della sua malattia.Andarono a vivere vicini, si frequentarono sempre di piùfino a quando, dopo che Albert ebbe ottenuto il divorzio,il 2 giugno 1919, si sposarono.

Nella sentenza didivorzio di Albert, vennedeciso che Mileva, la suaex moglie, avrebbe avutodiritto ai soldi del PremioNobel di Einstein. Questofu un fatto molto singola-re, dato che il Nobel,Albert lo riceverà solo 2anni più tardi. Sembrava

già assolutamente evidente che, prima o poi, l’avrebbericevuto e questo per merito della relatività. E invece lovinse per un altro motivo, ma la relatività gli avrebberegalato una fama mondiale come nessun altro fisico,ebbe e avrà mai.

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LA RELATIVITÀ GENERALE

Ah, comoda poltrona!

Dopo i successi della relatività speciale, molti sisarebbero messi in poltrona a rice-

vere complimenti e avrebberosmesso per sempre di cercare

nuove teorie, convinti diaver fatto tutto quello chesi poteva fare.

Albert Einstein no!Anzi, la sua idea più

rivoluzionaria non eracontenuta nei famosi sei articoli del 1905, ma arrivò unpo’ dopo, nel 1907 quando “il pensiero più felice della suavita”, come egli stesso lo definì, transitò per la sua mente.

– Nel 1907, stavo passeggiando e vidi un imbianchino suuna scala che tinteggiava una casa. In quel momentoebbi il pensiero più felice della mia vita…

– Non so se voglio saperlo…

– … te lo dico lo stesso:il campo gravitazio-nale ha solo un’esi-stenza relativa, infattiper un osservatore checade liberamente daltetto di una casa nonesiste nessun campogravitazionale!

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– Lo sapevo che se stavi zitto era meglio, un pizzico di impre-cisione evita un mondo di spiegazioni che adesso devi darmi.Primo: cos’è un campo gravitazionale? Secondo: cos’è unosservatore? Terzo: perché se uno cade non esiste il campogravitazionale? Quello cade proprio perché è attratto dallaTerra e tu mi vieni a dire che non c’è la gravità!

Primo: cos’è un campo gravitazionale

– Ti ricordi la legge sulla gravitazione universale diNewton?

– Mica tanto.

– Bene: due corpi dotati di massa si attraggono con unaforza proporzionale al prodotto delle loro masse (piùsono grandi e più si attraggono) e inversamente propor-zionale al quadrato delle loro distanze (più sono distan-ti e meno si attraggono). L’equazione è:

– Sì, la tua spiegazione non è chiarissima, ma il disegno miaiuta a ricordare. Due corpi si attraggono con una forza cheNewton ha chiamato forza gravitazionale, e va bene, ma tumi parli di “campo gravitazionale”!

– È lo stesso fenomeno visto da un altro punto di vista.Prendi una grande massa, ad esempio il pianeta Terra e

F =m1 · m2

d2

F Fm1

d

m2

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mettila in un punto dell’Universo.Adesso puoi pensare che la pre-senza della Terra trasformi inqualche modo lo spazio circo-stante, creando un campo gravi-tazionale che visualizziamo dise-gnando delle linee che prendono ilnome di linee di forza. Se un’altramassa entra in questo campo, il suo comportamento nesarà influenzato e si muoverà lungo le linee di forza cheabbiamo disegnato.

– Non è vero. La Luna risente del campo gravitazionale crea-to dalla Terra, ma non si muove lungo le sue linee di forza,altrimenti ci sarebbe cascata addosso.

– Ma la Luna non sta ferma, ha una sua velocità e se nonci fosse la Terra se ne andrebbe dritta nello spazio.Prendi una scodella e una biglia. Se lasci la biglia sul

bordo della scodella, cade versoil centro seguendo le linee diforza della scodella (cioè quelledi massima pendenza). Se inve-ce le dai una piccola spinta ini-ziale, la biglia ruoterà intornoal centro, proprio perché il

bordo della scodella è in pendenza, cioè ci sono dellelinee di forza che cercherebbero di mandare la bigliaverso il centro. Se la scodella, infatti, avesse un bordoperfettamente piatto, alloracon la piccola spinta iniziale,la biglia se ne andrebbe drit-ta e non girerebbe attorno alcentro.

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– Sì, spero di aver capito quello che accade. Ma non capiscol’utilità di parlare di “campo gravitazionale” invece che di“forza gravitazionale”.

– È facile: la forza dipende da tutte e due le masse, men-tre le caratteristiche del “campo” sono legate solo allamassa che lo produce. Tornando alla nostra scodella una

grande massa produrrà unscodella con un bordo molto“ripido”, mentre una piccolamassa sarà simile ad un piat-to. Conoscendo le caratteri-

stiche del campo, allora, potremmo sapere cosa accadràa qualsiasi altra massa che finisca dentro al campo.

Secondo: che cos’è un osservatore

– Va bene. E cos’è un osservatore?

– Nel nostro caso l’osservatore è la persona che sta caden-do dal tetto.

– E cosa osserva?

– Dovrebbe fare delle misure fisiche e osservare i risultati…

– … mentre cade? Io penso che cercherebbe solo di non farsitroppo male.

– Va bene, hai ragione, maqui stiamo parlando di unesperimento ideale. Mentrecade il nostro osservatoredovrebbe preoccuparsi difare esperimenti e osservarei risultati.

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– Che tipo di esperimenti?

– Dovrebbe cercare di capire se sta cadendo o no.

– Non mi sembra difficile.

– E invece lo è. Prova a pensareche si trovi fuori dall’atmo-sfera in un’astronave senzafinestre e quindi non possavedere se la Terra si sta avvi-cinando. Come fa a sapere sesta cadendo?

– Può lasciare un oggetto e vederese cade rispetto a lui.

Terzo: perché se uno cade non esiste campogravitazionale?

– Ma se lascia un oggetto, dato che questo subisce la stes-sa sua accelerazione, come aveva affermato giustamenteGalileo, l’oggetto cade insieme a lui, cioè lui lo vedefermo.

– Allora, dato che stiamo facendo un esperimento ideale, puòtirare fuori una bilancia a pesarsi. Il peso, infatti, è pro-prio la misura della forza che ci attrae verso la Terra.

– Vero, ma dato che anche labilancia cade alla stessavelocità dell’osservatore,l’osservatore sulla bilanciapeserà zero, andando allastessa velocità, infatti, l’os-

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servatore non spingerà sulla bilancia; si muovono insie-me e quindi la bilancia non fa opposizione.

– Bene, allora il problema è risolto: dato che l’osservatore unamassa ce l’ha, dovrebbe quindi pesare qualche cosa. Se inve-ce pesa zero, allora possiamo dedurre che si sta avvicinandoalla Terra in caduta libera…

– … oppure che è sufficientemente lontano dalla Terra danon sentire la sua attrazione. Cioè da un punto di vista

sperimentale, l’osservatorenon è in grado di sapere seè attratto dal campo gravi-tazionale terrestre ed è incaduta libera, oppure se sitrova al di fuori del campogravitazionale terrestre equindi non risente dell’at-trazione terrestre.

– E allora?

– E allora, se prima avevamo detto che una misura ditempo o distanza dipende dal moto uniforme (cioè nonaccelerato) dell’osservatore, adesso dobbiamo ammette-re che una misura di forza, come ad esempio la forzapeso, dipende dal moto non uniforme (cioè accelerato)dell’osservatore.

– Ma se mentre sono in caduta libera io non sento la forzapeso e non posso trovare nessun modo di misurarla, l’attra-zione gravitazionale esiste o no?

– Un campo di forza, come anche la durata e la distanza,non è nulla di più di una relazione tra la natura e l’os-servatore.

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– Allora l’osservatore può annullarequesta relazione e trovare il modo divivere senza gravità. Sarebbe como-do… ma mi sembra poco realistico.

Assenza di gravità

– Non so se sarebbe comodo, ma sicuramente è realistico.All’epoca tua esisteranno i “voli parabolici”.

– E cosa sono?

– Servono per allenare gli astronauti e per fare esperimen-ti senza gravità. Un aereo parte a 45° con una fortissi-

ma accelerazione, poi vengono spenti i motori. L’aereosale ancora, disegnando una parabola. Raggiunge la sua

massima altezza e poi scende,sempre seguendo la parabola. Daquando vengono spenti i motori,gli astronauti all’interno dell’ae-reo non pesano più.

– Speriamo che i piloti riprendano intempo le redini della situazione einterrompano la picchiata prima dispiaccicarsi al suolo!

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– Le navicelle in orbita, invece, noninterrompono mai la picchiata.Quando tu vedi in televisione gliastronauti “galleggiare” senza pesonelle loro astronavi è proprio per-ché sono in caduta libera, non certoperché sono fuori dal campo gravi-tazionale terrestre.

– In caduta libera?

– Certo, se fossero fuori dalla gravità come farebbero arimanere in orbita? Cosa li farebbe curvare continua-mente verso la Terra? Quando tu lanci un sasso cadepercorrendo una parabola, selo lanci più forte cade piùlontano, ma se lo lanci fortis-simo entra in orbita, cioècade in continuazione senzamai toccare il suolo. Per que-sto non servono i motoriquando si è in orbita ed è perquesto che non si sente ilproprio peso: gli astronautisono in caduta libera intornoalla Terra.

– Fantastico, adesso provo a fare un salto!

– Ecco, io non lo farei, ti consiglio invece questo esperi-mento meno pericoloso. Quando vai in ascensore tienile gambe “molli”. Durante la fase di accelerazione versol’alto sentirai le gambe che si piegano, perché staipesando di più. Quando inizi a scendere, invece, legambe si distendono perché pesi di meno.

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– Non ci credo!

– Prova! Oppure portauna bilancia in ascen-sore e guarda il tuopeso. Appena l’ascen-sore inizia a salire lovedrai aumentare unpoco. Appena inizia ascendere, invece, pese-rai un po’ di meno. Latua personale relazio-

ne con il campo gravitazione terrestre, quindi, cambie-rà un po’ a seconda dell’accelerazione del tuo ascensore.

– Come prima le mie misure dispazio e tempo cambiavano aseconda della mia velocità?

– Esattamente, adesso cam-biano le misure della forzaa seconda della tua accele-razione.

– Pazzesco.

– Eppure il fatto che la misu-ra di una forza venga alte-rata dal moto accelerato dell’osservatore (così come lamisura della lunghezza o della durata vengono alteratedal suo moto uniforme) è ciò che ci saremmo potutiaspettare dalla natura di queste grandezze in quantosono solo relazioni con l’osservatore.

– Be’, te lo saresti potuto aspettare te, io in realtà avevo tut-t’altro per la testa. Perché ti sei posto questo problema?

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Generalmente relativo

– C’era una cosa che non riuscivo a capire…

– Nemmeno te? Allora non dirmela!

– No, è semplice. Newton aveva detto che noi non pote-vamo distinguere tra lo stato di quiete e quello di motorettilineo uniforme.

– Vero… ma se non sbaglio è quello che dicevi anche te.

– Certo, io più di Newton. Lui, infatti, diceva che se ave-vamo due corpi che si muovevano uno rispetto all’altronon potevamo sapere quale si muo-veva. Potevamo però misura-re il moto di un corpo rispet-to alle stelle fisse e in quelcaso decidere se, effettiva-mente, si muoveva o meno.Esisteva per Newton unospazio assoluto, indicatodalle stelle fisse… quindila sua relatività era solorelativa.

– Mentre tu sei stato più radicale…

– Sì. Niente stelle fisse, niente spazio assoluto, nientetempo assoluto.

– E che ti serve di più?

– Non mi piace che la relatività ristretta sia valida soloper un sistema che si muova di moto rettilineo unifor-me e non sia valida per un sistema accelerato.

– Perché?

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– Perché se non esiste lo spazio assoluto e quindi nonpossiamo misurare le velocità assolute, perché dovreb-be essere possibile misurare le accelerazioni assolute?

– Detto così non mi sembra che tu abbia tutti i torti… peròla situazione è effettivamente diversa. Se sono chiuso in unacabina che si muove di moto rettilineo e uniforme non miaccorgo se sto fermo o mi muovo, ma se la cabina accelera,certo che me ne accorgo…

– … e se la cabina cade in caduta libera, cosa senti? Comefai a misurare la tua accelerazione? Lo abbiamo appenavisto, non è possibile. Questo perché vale il principio diequivalenza.

Equivaliamo

– Ecco fatto. Ogni duesecondi te ne esci conun principio nuovo.

– Prendiamo una meladi massa mi (mi =massa inerziale). Laseconda legge di Newton ci dice che se applichiamo aquesto oggetto una forza F, vale la relazione:

. Va bene?

– Sì.

– Adesso prendiamo la legge di gravitazione universaledi Newton e vediamo quanto vale la forza di attrazionetra la nostra mela e la Terra. Sappiamo che questa forzasarà proporzionale alla massa della mela, ma nessuno cidice che questa massa che entra nella legge di gravita-

F = mi · a

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zione sia propriouguale alla massainerziale della mela.Chiamiamo questanuova massa mg (mg

= massa gravitazio-nale) e la legge diNewton ci dice chela loro attrazionetra mela e Terravale:

(dove MT è la massa gravitazionale della Terra e d è ladistanza tra la nostra mela e il centro della Terra).

– Continua.

– La mela, quindi, opporrà alla forza gravitazionaleun’inerzia mi e possiamo scrivere (uguagliando le forze):

se la massa inerziale della mela è uguale alla sua massagravitazionale, cioè se

allora l’equazione si può semplificare e diventerà:

questa sarà quindi l’accelerazione che subirà QUALSIA-SI oggetto a distanza d dalla massa MT della Terra. Comevedi, infatti, la massa della mela non compare più.

a =MT

d2

mi = mg

mi · a =mg · MT

d2

F =mg · MT

d2

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Sulla superficie terrestre sarà

dove d, in questo caso, è il raggio della Terra.

Grande Galileo

– È vero! L’accelerazione digravità è uguale per tutti.Me lo ricordo, l’aveva giàdetto Galileo.

– Esatto e Galileo non si erareso conto di quanto fosse importante la sua scoperta.L’accelerazione di gravità è uguale per tutti proprioperché vale il principio di equivalenza, cioè il fatto cheper ogni oggetto la massa inerziale e quella gravitazio-nale sono la stessa cosa.

– E cosa accadrebbe se non fosse così?

– Accadrebbe che l’equazione di sopra non si potrebbesemplificare e quindi ogni oggetto nel campo gravita-zionale della Terra subirebbe un’accelerazione

che sarebbe diversa per ogni oggetto perché dipende-rebbe dal rapporto tra la sua massa gravitazionale mg equella inerziale mi.

– Sarebbe tanto grave?

a =mg

mi

· MT

d2

a =MT

d2= 9, 8 m/s2

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– Sì, non varrebbe la relativitàgenerale.

– E perché mai?

– Perché mentre cadi in cadutalibera potresti sempre tirarefuori dalla tua tasca una biglia efarla cadere vicino a te. Tu sen-

tiresti la TUA accelerazione di gravità e lei la SUA,quindi andreste a velocità diverse e a quel punto potre-sti tranquillamente affermare: “mi trovo in un campogravitazionale!”. Se la biglia, come succede, cade insie-me a te, invece non puoi dire niente.

– Giusto. Ma allora potrebbe anche essere che tutto il nostrouniverso stia cadendo in caduta libera rispetto ad un altrouniverso e noi non lo sapremmomai.

– Esatto, non lo sapremmo maie quindi possiamo tranquil-lamente non preoccuparcene.

– E se poi facciamo il botto?

– A quel punto, a che servepreoccuparsi?

Risolto tutto

– Va bene, mi hai convinto anche stavolta: non esiste un’acce-lerazione assoluta. E adesso che ti manca?

– Vorrei poter continuare a dire che la velocità della lucerimane costante.

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– Oh mamma mia! Certo che deve rimanerecostante… Che fai, mi cambi le carte intavola?

– Non riesco ad ottenere i 2 risultati con-temporaneamente, o rimane costante lavelocità della luce o la relatività vale inun sistema accelerato.

– Quale dei 2 ti sembra più importante?

– Il secondo, la relatività generale. Per lei rinuncereianche alla velocità costante della luce, ma certo mispiace molto e così continuo a pensare e pensare… forseprima o poi una soluzione la trovo.

– Albert, io mi fido di te, ma non capisco perché le 2 cose nonpossano funzionare insieme.

Divagazioni spaziali

– Facciamo un esempio.Prima di partire per lospazio, vai al mercato eacquisti 1 kg di arance.Ovviamente prima dipagare te le fai pesare,così sei ben sicuro chesia 1 kg. Quindi parti ete ne vai bel bello ingiro per lo spazio.

– … e in giro per lo spazio le mie arance peseranno zero.

– Esatto, ma ad un certo punto senti una forte accelera-zione. Pesi le tue arance e, meraviglia, pesano di nuovo

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1 kg. Ti pesi anche te e vedi che la bilan-cia segna i tuoi soliti 40 kg, quanto pesa-vi prima di partire. Cosa è accaduto?

– Sono tornato a Terra.

– … o magari un dispettoso gigante cosmi-co ha deciso di prendere la tua astronavetra le mani e dargli una tirata verso l’altocon un’accelera-

zione di 9,8 m/s2. Come fai asapere quale tra queste dueforze stai sperimentando?

– Forse posso provare a supporreche i dispettosi giganti cosmicinon esistano…

– Se vuoi metterla su questo piano ok, allora tiposso rispondere che qualcuno ha acceso imotori e la tua astronave sta accelerando a 9,8m/s2. Sarebbe possibile anche questo o sbaglio?

– Certo, sarebbe possibile anche questo. Se io e tuttoquello che ho intorno “sentiamo” un’accelerazionedi 9,8 m/s2 come faccio a dire se è a causa dellaTerra o dei motori?

– Infatti non puoi e questo è un altro modo diesprimere il principio di equivalenza.

– Cioè: “una forza vale l’altra”?

– Più precisamente: se senti una forza che sembra gravita-zionale, dato che tutto cade con la stessa accelerazione,non sai se c’è una forza gravitazionale oppure il tuosistema di riferimento (il tuo razzo) sta accelerando.

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Illuminiamoci

– Va bene, ma cosa c’entra la luce ela sua velocità che non può piùessere costante?

– Rimani dentro al razzo e illumi-na con una torcia elettrica la

parete di fronte a te. Adesso arriva il gigante cosmico esolleva il tuo razzo in direzione per-pendicolare al fascio di luce. Allorala luce colpirà la parete del razzo inun punto più basso rispetto a quel-lo che accade quando nessun gigan-te ti infastidisce. La luce viaggiainfatti in linea retta (rispetto a teche sei fermo rispetto a lei), mentreil razzo accelera in una direzioneperpendicolare alla direzione delmoto della luce. È giusto?

– Certo, e che male c’è?

– Che se qualcuno guarda la scena dafuori del razzo, vede la luce fare una curva. La luce non

va più dritta!

– E allora?

– Allora deve fare lo stesso in uncampo gravitazionale. Se nonpossiamo distinguere tra laforza gravitazionale e un’altraforza, allora la luce deve curvarequando si trova in un campogravitazionale.

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– Non mi sembra gravissimo, anche quando lancio un sasso inun campo gravitazionale, questo curva. La Luna che si muovenel campo gravitazionale terrestre curva anche lei. Non misembra né un fatto così sensazionale, né così tremendo!

– Già, ma la velocità della luce dovrebbe, a miomodesto avviso, rimanere costante!

– E allora? Anche se curva non può andare sempre aisuoi bei 300.000 km/s?

– Ma la velocità, in fisica, non è un numero ebasta. È un vettore, cioè possiede anche una direzione eun verso. Se la velocità delle luce deve essere costante,deve essere costante il suo modulo,cioè 300.000 km/s, ma anche la suadirezione e il suo verso. Se curva, lavelocità della luce non è più costante.

– Ahi, ahi. Ti sei ficcato in un vicolo cieco…Però ammettiamolo, te la sei andata a cer-care! Ti fai le obiezioni da solo e allorapeggio per te. Adesso cavatela!

Un pensiero lungo 10 anni

Albert Einstein ci mise un po’ ditempo a tirarsi fuori dai pasticci in cuisi era ficcato. Se è vero che la primaintuizione la ebbe nel 1907, dovetteaspettare quasi 10 anni quando, versola fine del marzo 1916, riuscì a spedi-re alla rivista Annalen der Physik l’arti-colo intitolato “I fondamenti della teoriadella relatività generale” nel quale è

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presente la versione definitiva della teoria e sono descrit-te le prove sperimentali da realizzare per verificare omeno la sua esattezza.

Leggere e capire l’articolo di Einstein sulla relativitàgenerale non è cosa da tutti, bisognerebbe conosceremolta, molta matematica, assai di più di quanta ne cono-sceva lo stesso Albert quando ebbe “il pensiero più felicedella sua vita”. Fu per questo, tral’altro, che ci mise circa 10 anniper arrivare ad una soluzione sod-disfacente dei suoi problemi:dovette studiare molta matema-tica nuova, appena sviluppata daisuoi contemporanei.

Parlando in generale

Possiamo però cercare di capire cosa si nasconde die-tro le equazioni.

All’inizio dell’articolo, Einstein si pone esattamente iproblemi che tu hai appena discusso con lui. Egli affermache le leggi della fisica non possono cambiare al variare

del sistema di riferi-mento dell’osservatore,sia che questo stia inquiete o che si muova dimoto rettilineo unifor-me (e questo è quelloche afferma la “relativi-tà ristretta”, o “relativi-

tà speciale”) o che si muova di qualsiasi altro moto (e que-sto è il punto di partenza della relatività generale).

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Quindi, continua Albert, dobbiamo scrivere le leggidella fisica in modo che siano valide per ogni sistema diriferimento, a prescindere da come esso si muova. Inoltre,se abbiamo due sistemi di riferimento che si muovonocon accelerazione costante l’uno rispetto all’altro nonpotremmo mai sapere se questa accelerazione sia dovuta omeno all’esistenza di un campo gravitazionale. Questo èil principio di equivalenza ed è dovuto al fatto che ilcampo gravitazionale possiede lanotevole proprietà di impartire atutti i corpi la stessa accelerazione.

Come mettersi nei guai

Da queste riflessioni, continua l’articolo, si vede chel’introduzione della relatività generale deve contempora-neamente condurre ad una teoria della gravitazione, dalmomento che si può “generare” un campo gravitazionalesemplicemente mettendoci in un sistema di riferimentouniformemente accelerato.

Ma non basta, conclude Einstein, dal momento che unraggio di luce possiede una traiettoria rettilinea in unsistema di riferimento in moto rettilineo uniforme mentrepossiede una traiettoria curvilinea in un sistema di riferi-mento accelerato, allora sarà anche necessario modificarein qualche modo il principio che la velocità della luce sia

costante in qualsiasi sistemadi riferimento.

A questo punto Albertsi mette a cercare le equazio-ni che descrivono la fisica eal tempo stesso non cambia-

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no se cambiamo sistema di riferimento e questa è la partetroppo difficile per essere raccontata qui.

Come uscirne

Comunque, altrimenti non starei qui a raccontarte-lo, alla fine Albert trova le equazioni e queste equazionidescrivono uno spazio a quattro dimensioni, tre perquello che noi normalmente chiamiamo spazio (altezza,lunghezza e profondità), mentre la quarta dimensionedescrive il tempo, ma non è tutto, questo spazio risultaessere… curvo! Ed è per questo che la luce curva anchese la sua velocità rimane costante: non è lei a cambiaredirezione (cioè a curvare), è lo spazio che lei attraversa adessere curvo.

Come puntini

Per farci un’idea di cosa sia uno spa-zio curvo pensiamo di essere un puntino

che vive in un mondo a 2 dimensioni, adesempio un foglio.

Se il nostro mondo è il foglio, possiamomuoverci solo in 2 dimensioni, una è la larghezza e l’al-tra è l’altezza. Non possiamo in nessun casouscire dal foglio come fa la nostra pennaquando smettiamo di scrivere e la alzia-mo (il nostro mondo normale, infatti,è a 3 dimensioni, non a 2, e possiedeanche la profondità); siamo costretti a rimanere appicci-cati, “schiacciati” nelle 2 dimensioni del foglio, per ilsemplice fatto che la terza dimensione, nel nostro mondoinventato di puntini, non esiste.

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Adesso, te che sei un puntino, titrovi nel punto A del nostro foglio evuoi raggiungere il punto B per lavia più corta. Facile, basta trac-ciare una linea retta e seguirla.

Mondo a palloncino

Complichiamo un po’ la situazione. Adesso tu sei sem-pre un puntino e vivi sempre in un mondo a 2 dimensio-ni, questa volta però il tuo mondo non è un foglio, ma lasuperficie, a 2 dimensioni, di un palloncino. Quindi non

puoi entrare dentro né staccarti da lui, devisempre gironzolare sulla sua superficie.

Il tuo compito è lo stesso: spostartida A a B per la via più corta. Guarda ildisegno. Questa volta non ti sei mosso

lungo una retta, ma lungo una linea curva,non perché tu ti sei messo a girare, ma solo

perché è il tuo mondo ad essere curvo e tu non puoifar altro che spostarti seguendo la sua curvatura.

Esattamente quello che fa un raggio di luce: seguesempre la via più corta, più diretta, ma quando lo spazioè curvo, allora curverà anche lui. La strada, però, rimanela più diretta possibile rispetto allo spazio che sta attra-versando.

I punti di vista

In realtà la strada sembracurva a noi, che la vediamo dauno spazio piatto, ma a chi simuove sul palloncino la strada

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sembra piatta e se dal palloncino guarda noi nel nostrospazio piatto, allora sarà lui a vedere noi che facciamouna curva.

Questa è proprio la relatività: “dipende dai punti divista”, direbbe un profano, “dipende dal sistema di riferi-mento”, dice un fisico.

La misura di lunghezze, tempi, forze,masse ed energie dipende dal sistema diriferimento, ma la relazione tra questegrandezze, cioè le leggi della fisica (com-presa la velocità della luce) devono rimane-re le stesse in ogni sistema di riferimento.

Quando si curva?

Ma quando è che lo spazio è curvo? Le equazioni diEinstein parlano chiaro. Quando una massa lo deforma.Possiamo immaginare lo spazio come un telo di gomma.Il telo è perfettamente teso, ma basta aggiungere unamassa per deformarlo. Supponi per esempio che il sole siauna palla pesante. Metti la palla sul telo e si crea una spe-cie di buca. Se metti due palle, ciascuna delle due tendea cadere nella buca dell’altra e se il telo non si vede, allo-ra sembra che le palle si stiano attraendo.

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Se vuoi fare un esperimento sulle masse che incurva-no lo spazio, puoi leggere a pagina 169.

Attrazione fatale

Ed ecco finalmente spiegato il mistero dell’attrazionegravitazionale che tanti problemi aveva creato a Newton.Pensiamo di entrare in una stanza buia e vedere una gran-de palla fosforescente sospesa al centro della stanza. Ci

accorgiamo anche cheun’altra sfera fosfore-scente, più piccola,gira nel vuoto su sestessa e intorno allapalla grande. Com’èpossibile? Nessuno laspinge, non ci sonorumori di motori o

stridio di ruote su rotaie. Non ci può essere un filo checostringe la sfera piccola a girare intorno alla grande per-ché la piccola gira anche su se stessa e quindi il filo le siarrotolerebbe intorno.

Eppure è evidente che tra le due esiste un’attrazione,altrimenti la piccola se ne andrebbe per la sua strada.

Misuriamo la forza con cui si attraggono e, strano mavero, troviamo che risulta .

È un mistero.Come fanno le due sfere ad attrarsi, a comunicare tra

di loro? A dirsi della reciproca esistenza, a dirsi quantosono lontane (d) e quale sia laloro massa (m e M) in mododa sapere esattamente conquale forza devono attrarsi?

F =m · M

d2

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Queste erano le domande alle quali Newton nonaveva saputo rispondere.

E luce sia!

E Albert, finalmente, accende la luce, illumina lastanza e scopre il trucco. Vede la sfera poggiata su unospazio curvo a quattro dimensioni, vede l’avvallamentoche crea e vede la sfera piccola girare nel bordo di questoavvallamento, nell’unico modo in cui potrebbe girare,come prima la biglia girava nel bordo della scodella. Ledue sfere non si attraggono, non comunicano niente: si

muovono tutte e due nello spazioincurvato dall’altra.

Newton può riposare in pace.

Esiste la gravità?

La gravità, quindi, non è una forza, ma una deforma-zione dello spazio-tempo creata dalla presenza di unamassa. I corpi, in questo spazio, si muovono “di motonaturale”, o se vuoi “per inerzia” cioè seguendo con motouniforme le traiettorie dello spazio-tempo deformatodalla presenza delle masse.Se noi però, come faccia-mo di solito, guardiamo ilmondo dal nostro sistemadi riferimento che è unospazio piatto a 3 dimen-sioni e il tempo lo consi-deriamo una variabile indipendente dallo spazio, alloranel moto in caduta libera le traiettorie ci sembrano curvee il moto ci sembra accelerato.

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Non ci si crede

Ma cosa aveva detto il tanto bistrattato Aristotele?Nel lontano IV secolo a.C., Aristotele aveva asserito: «senessuno li disturba, i corpi si muovono verso la Terra ointorno alla Terra per “moto naturale”».

Ma Galileo e Newton,nel ‘600 rispondono: «no,se nessuno li disturba icorpi si muovono di motouniforme e seguono le lineepiù corte dello spazio, cioèle rette. Una delle cose che

disturba i corpi e fa cambiare il loro moto è proprio l’at-trazione della Terra».

Oggi Albert Einstein riassume: «è vero, se nessuno lidisturba i corpi si muovono di moto uniforme e seguonole linee più corte dello spazio (che non sono sempre rette),questo è il loro moto naturale ed è proprio verso la Terrao intorno alla Terra (o qualsiasi altra massa)».

Gli studi classici

È poco probabileche Aristotele, descri-vendo l’attrazione gravi-tazionale come “moto naturale”avesse in mente la teoria della relati-vità generale, ma spesso sembra chetutte le intuizioni fondamentali chepoi si svilupperanno nella nostracultura, fossero già presenti nelpensiero greco.

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Onde gravitazionali

Le masse, abbiamo visto, incurvano lo spazio, lodeformano, ma le masse si muovono e accelerando, secon-do la teoria di Einstein, increspano lo spazio-tempo egenerano delle onde un po’ come accade ad un sasso lan-ciato in uno stagno. Queste onde vengono chiamate ondegravitazionali e si dovrebbero propagare in tutto l’univer-so alla velocità della luce.

L’esistenza delle onde gravitazio-nali, come vedrai nel prossimo capi-

tolo, è una delle conseguenze dellarelatività generale che gli scien-

ziati non sono ancora riusciti averificare. Una pagina della fisica

che deve ancora essere scritta.

Deformazione esagerata

Cosa accade se in un puntodello spazio-tempo mettiamouna massa molto, molto grande?Questa massa creerà un bucomolto profondo, tanto profondoda far cadere dentro di sé tuttociò che si trova nelle vicinanze.In questo modo aumenta lamassa nel buco e quindi il bucodiventa più profondo e attiraancora di più. Questo circolovizioso non si chiude: più entrala massa più il buco è profondo,più il buco è profondo e piùentra la massa!

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La teoria di Einstein prevedeinfatti l’esistenza dei “buchi neri”.Sono regioni dello spazio-tempo tal-mente “profonde” da non permette-re nemmeno alla luce di uscirne. Per

questo si chiamano “neri” perchéanche la luce che passa nelle vicinanze ci

“casca dentro” e non ne esce più.

Il centro

Oggi gli astrofisici hanno trovato diversi buchi nerinell’universo, anzi è probabile che il centro di ogni galas-sia sia occupato proprio da un buco nero e che quindistelle e pianeti girino continuamente intorno a questistrani oggetti celesti (anzi neri) previsti dalla teoria dellarelatività generale.

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PROVARE PER CREDERE

Il punto di partenza

Per costruire le teorie della relatività, Albert Einsteinsi era basato su postulati e esperimenti mentali. Unpostulato è “un’affermazione ovvia ma indimostrabile”…magari per noi nemmeno tanto ovvia, ma comunque èseccante il fatto che non sia dimostrabile: dobbiamo cre-dere o no alle teorie di Einstein?

Le persone sono sempre innocenti fino a che non siadimostrato il contrario, ma teorie così rivoluzionarie,invece, sono sempre sbagliate fino a che non si trovinoprove a loro favore. Anche Albert lo sapeva, così, alla finedei suoi articoli aggiungeva sempre un’idea per qualcheesperimento che potesse provare o meno la fondatezzadelle sue intuizioni.

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Perielio di Mercurio

L’articolo sulla Relatività Generale si chiude con lasoluzione di un giallo “celeste” che aveva turbato i sognidegli astronomi per molto tempo: il pianeta Mercurio, ilpiù vicino al Sole, non seguiva l’orbita che la teoria diNewton prevedeva per lui.

Mercurio dista mediamente dal Sole 58 milioni di chi-lometri e percorre la sua orbita in circa 88 giorni. Il perie-lio è il punto dell’orbita più vicino al Sole. Il perielio diMercurio non è fisso nello spazio ma, lentamente, si muove

in direzione del moto delpianeta, come puoi vede-re in figura. Dato che ilperielio si sposta, si diceche ‘precede’ oppure che èsoggetto ad un moto diprecessione.

La precessione delperielio di Mercurio è un fenomeno previsto e spiegatodalla teoria di Newton però i conti non tornavano: ilperielio di Mercurio si muoveva più veloce del previsto eogni 100 anni si trovava 43 secondi d’arco più avanti diquanto gli astronomi si aspettassero.

Francia-Germania 0 a 1

Questa stranezza era stata sco-perta dall’astronomo francese LeVerrier (1811-1877) il quale, perspiegarla, aveva ipotizzato l’esisten-za di un altro pianeta ancora maivisto che con la sua presenza avrebbe perturbato l’orbitadi Mercurio, il messaggero degli dèi.

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Ma questo pianeta non fu mai trovato. Allora si pensòche Venere fosse più pesante ed esercitasse su Mercurioun’attrazione maggiore… ma anche questa ipotesi nondiede i risultati sperati. Si ipotizzò l’esistenza di un satel-lite di Mercurio… ma niente, i conti non tornavano mai

e questi ipotetici corpi celesti non veniva-no osservati.

Ed ecco che dopo circa un secolo diipotesi che non portavano a nulla,

Albert Einstein chiude il suo arti-colo con due conticini e dimostrache se la sua teoria è valida…ecco uscire dalle equazioni pro-prio quei 43 secondi di arco in

più ogni 100 anni che mancavanoall’appello.

Ovviamente il conto torna alla virgola, ma altrettan-to ovviamente non basta questa prova al mondo scientifi-co per digerire una teoria che prevede un universo a 4dimensioni, curvo, e senza forza di gravità!

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Udite, udite

– Il 29 maggio del 1919, tra solidue anni, ci sarà un’eclisse di Sole!

– Fantastico, ma chi è lei?

– Sono Sir Arthur Stanley Eddington,il direttore dell’Osservatorio diGreenwich, vicino Londra.

– Allora posso crederle, è tra i più informati del suo temposulle eclissi.

– Certamente. Questa eclisse sarà davvero speciale. Nelmomento in cui sarà oscurato dalla Luna, il Sole si trove-rà in una posizione del cielo che, vista dalla Terra, pre-

senta un ammasso eccezionaledi stelle luminose, di granlunga il miglior campo stella-re che possa incontrare.

– Bene, e… allora?

– Non dico che la teoria dellarelatività non possa esseremessa alla prova in altreoccasioni, ma dico che biso-

gnerebbe attendere qualche migliaio d’anni prima chesi ripresenti un giorno così fortunato!

Congiunzione astrale

– Perché le serve un’eclisse?

– Dobbiamo misurare se è vero che la luce si curva pas-sando vicino ad una massa, se “cade” anche lei in un

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campo gravitazionale, come la teoria prevede. La massae le dimensioni della Terra sono troppo piccole pervedere la curvatura della luce sul nostro pianeta, ma sela luce di una stella, per arrivare a noi, passa vicino alSole, allora la massa del Sole dovrebbe deviarla abba-stanza per poter misurare questa deviazione.

– Perché bisogna fare le misure proprio durante un’eclisse?

– Perché altrimenti la luce del Sole non ci fa vedere le stel-le! Possiamo forse spegnerlo con l’interruttore il Sole?

– Mi scusi, ha ovviamente ragio-ne lei.

– L’eclisse ci sarà tra due anni,speriamo che la guerra siafinita. Se proprio non riusci-remo a fare le misure nel1919, potremo riprovare nel1938 quando ci sarà nuova-mente un’altra eclisse con il

Sole vicino a stelle luminose. Certo, sembra incredibileche la teoria della relatività sia stata proposta propriopoco prima di due eventi così favorevoli per poteremisurare la sua credibilità.

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– Ci sarebbe quasi da creder nelle stelle!

– Certo, le stelle sono propizie, mal’uomo ce la mette tutta per rovina-re una situazione così favorevole.Adesso c’è la guerra e chissà comesarà la situazione nel ‘38!

Il fantasioso Swift

– Forse è meglio che non le dica niente. È così importante per leifare queste misure? Le piace così tanto questa strana teoria?

– È fantastica. Da buon inglese sono cresciuto leggendo“I viaggi di Gulliver”. Quando Gulliver incontra i

Lillipuziani li vede picco-li, piccoli, come dei nanie i Lillipuziani vedonoGulliver come un gigan-te. Ci vuole una certa fan-tasia per immaginare unasituazione simile.

– E che c’entra con il fatto chele piace la relatività?

– Perché la relatività ci diceche la situazione è reci-proca. È come se Gulliver

vedesse i Lillipuziani come nani e allo stesso tempo iLillipuziani vedessero Gulliver come un nano… maquesto è troppo assurdo per essere scritto in un roman-zo; un’idea così può trovare posto solo tra le “serie enoiose” pagine della scienza!

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Per vedere se l’immaginazione diSwift (l’autore dei viaggi di Gulliver)era poca cosa rispetto alla capacità fan-tastica della realtà, vennero organizzate

due spedizioni per osservare l’eclissidel 29 maggio del 1919. Per fortunala prima guerra mondiale era finita,

anche se da poco.

Spedizioni storiche

L’eclissi sarebbe stata visibile solo nell’emisfero sud esi decise di osservarla da Sobral, nel Brasile settentriona-le e da Principe, un’iso-la nel golfo di Guinea,in Africa occidentale,qui si recò Eddington,col quale hai appenaparlato.

Le spedizioni dove-vano essere almeno due,sia per avere più dati epoterli confrontare, sia per ridurre la possibilità che ilbrutto tempo oscurasse il cielo e rendesse impossibili lemisure. Tutte e due le spedizioni furono organizzate dagliinglesi.

Con il fiato sospeso

Come quando Cristoforo Colombo partì perl’America, anche adesso solo pochi sapevano dell’impresache stava per cambiare il mondo, uno di questi, ovvia-mente, era Albert Einstein, il quale in una lettera aveva

BRASILE

GUINEA

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confessato al suo amico Angelo Bessoche si fidava della teoria relativisticaanche senza sapere i risultati degliesperimenti… Ma la sua felicità fuenorme quando gli arrivò un telegram-ma da Lorentz che lo avvertiva che iprimi dati erano in linea con i risultatiteorici.

Albert inviò la buona notizia, sem-pre per telegramma, a sua madrePauline, ricoverata in ospedale aLucerna perché molto malata. La mamma di Albert mori-rà l’anno successivo, ma non prima di veder esplodere lafama del figlio.

Siamo in riunione

Al ritorno delle spedi-zioni, gli inglesi organizza-rono una riunione in cui,mostrando i risultati dellemisure ottenute, decretaro-no il successo della teoria diEinstein.

Questa storica riunionefu organizzata il 6 novem-bre 1919 nella sede della

Royal Society dalla Royal e dalla Astronomical Societescongiuntamente. I risultati sperimentali, entro l’errore,erano in perfetto accordo nelle due spedizioni e assoluta-mente compatibili con quelli ipotizzati da Einstein.

Il ritratto di Newton, devotamente appeso alle pare-ti della stanza, sentì pronunciare queste parole: «Questo

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è il risultato più importante otte-nuto in connessione con la teoriadella gravitazione dai tempi diNewton… Tale risultato è unadelle conquiste più grandi delpensiero umano».

Newton ha sempre ragione

Erano state pronunciate daJoseph Thomson, presidente della RoyalSociety che, da buon inglese, fece anchenotare che la deflessione della luce era già

stata suggerita da Newton. E questo èvero. Infatti Newton sosteneva che la

luce fosse formata da piccolissimeparticelle e come tali queste nonpotevano non subire l’attrazionegravitazionale come ogni altrocorpo.

Ma i calcoli di Newton prevedevano una curvatura deiraggi luminosi di circa la metà di quanto fu osservato,mentre le misure corrispondevano esattamente a quantoprevisto dalla teoria di Einstein.

Rassegna stampa

Le parole di Thomson, e nonsolo quelle, finirono sul Times delgiorno dopo, il 7 novembre 1919,sotto il titolo “Rivoluzione nella scienza– Nuova teoria dell’universo – Le idee di Newton superate”. Ilresto del giornale mostra cosa fosse l’Europa di quel

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periodo: una regione devastata dalla guerra appena finitae alle prese con pochi segnali di ricostruzione.

L’8 novembre il Times conti-nuò: “Rivoluzione della scienza –Einstein contro Newton – Le opinionidi eminenti fisici”.

Il 9 novembre la notizia fu ripresadagli americani e comparve sul New

York Times e definita «forse la più grande conquista delpensiero umano».

Il 19 novembre fu Lorentz a prendere la parola infavore di Einstein sulla stampa olandese.

Il 23 novembre comparve un articolo di un altroeminente fisico tedesco, Max Born (1882-1970) su unquotidiano di Francoforte. Il titolo era: “Spazio, tempo egravitazione”.

Tra veri gentlemen

Einstein stesso fu invitato adesporre le sue idee sul Times, e l’arti-colo comparve il 28 novembre.Nell’occasione Albert ringraziò gliinglesi con queste parole: «Era con-forme alle grandi e fiere tradizionidella scienza nel vostro paese chescienziati inglesi dedicassero tempoe fatiche alla verifica di una teoria pubblicata nel paesedei vostri nemici nel bel mezzo della guerra».

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Un complimento che gli inglesi davvero meritavanoessendo riusciti a mettere la scienza al di sopra delle parti,cosa che non sempre è accaduta nella storia.

Notizie… scientifiche

Insomma, la notizia era uscita dai giornali specialisti-ci, letti esclusivamente da scienziati e ricercatori, e appa-riva sui quotidiani di un numero continuamente crescen-te di paesi nel mondo. Tutti si occupavano anche di com-mentarla: “non si capisce niente”, “gli scienziati ci devo-no spiegare come sia possibile…”, “le stelle non si trova-no dove appaiono… ma non c’è da preoccuparsi”, “la luceva storta in cielo”… insomma, i giornalisti colorivano unpo’ la notizia e più che altro cercavano di coglierne gliaspetti spettacolari e capaci di affascinare il pubblico… epoche teorie sono adatte come la relatività ad affascinare.

Sognando ad occhi aperti

La relatività è una teoria che nasce guardando la luce,che cambia il nostro concetto di tempo, che descrive unospazio curvo e, come se nonbastasse, è una teoria le cuiprove sperimentali dobbia-mo ricercare nelle stelle!

Gli ingredienti perfarci sognare ci sono proprio tutti,compreso il fatto di scardinare sicu-rezze acquisite, come la gravitazionedi Newton, ma senza distruggerle,solo superarle, guardare più in là,andare avanti, aprire un futuro.

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Questo sogno, tra l’altro,nasce tra le due guerre,in un periodo in cuimotivi per sognare cen’erano assai pochi.

Non c’è da stupirsiche Albert Einstein, aquaranta anni, divennefamoso come una stelladi Hollywood.

La terza prova

Il famoso articolo di Albert riportava tre prove speri-mentali per verificare la validità della sua teoria.

La prima era il calcolo del perielio di Mercurio, e ilrisultato tornava. La seconda era la deflessione dei raggiluminosi a causa del campo gravitazionale del Sole, eanche qui le cose erano andate bene, ma ce n’era ancheuna terza: “lo spostamento verso il rosso” della luce

quando usciva da un fortecampo gravitazionale.

Cerchiamo di capire diche si tratta.

Il colore della luce èdato dalla sua frequenza,cioè da quante oscillazionifa in un secondo. Il dise-gno ti dà un’idea della dif-ferenza di frequenza diun’onda luminosa di colorerosso e di un’onda lumino-sa di colore blu.

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Rallentare a velocità costante

L’energia di un’onda è proporzionale alla sua frequen-za, quindi un raggio di luce blu, che ha un’alta frequenza

(cioè fa tante oscillazio-ni in un secondo), avràanche un’alta energia,

mentre un raggio rossoha un’energia più bassa.

Uscendo da un campogravitazionale un oggettoperde energia cinetica e

questo lo vediamo perchérallenta, ad esempio quando

lanciamo in alto una pietra,vediamo che salendo rallenta.Anche la luce dovrebbe perdereenergia, secondo Einstein, ma

BLU

ROSSO

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dato che la sua energia è legata alla frequenza ed inoltre lavelocità della luce non può cambiare, la perdita di energiadovrebbe manifestarsi come una diminuzione della fre-quenza dell’onda luminosa e noi la dovremmo vederecome uno spostamento verso il rosso del suo colore.

Non è facile osservare questo fenomeno sulla terra,dato che il suo campo gravitazionale è piccolo, ma è piùfacile osservarlo nell’Universo. Gli astronomi si sonoaccorti che nella luce emessa da stelle molto pesanti siosserva uno spostamento verso il rosso anche del 10%.

Effetti collaterali

Un’altra conseguenza della teoria della relativitàgenerale sta nel fatto che il tempo va più veloce in cimaad una montagna che al livello del mare. Non perché la

luce abbia qualchepreferenza sul luogodi villeggiatura, maperché in cima allamontagna la gravitàè un pochino piùbassa, dato che siamopiù lontani dal cen-tro della Terra.

Nel 1955 venne realizzato il primo orologio atomico.Gli orologi atomici funzionano sfruttando la radiazione,sempre uguale, emessa da certi atomi.

Ad esempio, oggi, l’unità di misura del tempo chechiamiamo “secondo” è definita come il tempo occorrentealla radiazione emessa dall’atomo cesio-133 per completa-re 9.192.631.770 (nove miliardi, centonovantadue milio-ni, seicentotrentun mila, settecentosettanta) oscillazioni.

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Oscillazioni di oscillazioni

Abbiamo visto, però, che la frequenza di oscillazionedella radiazione dipende dal campo gravitazionale circo-stante e quindi non possiamo aspettarci che sia la stessase il campo gravita-zionale cambia. Leequazioni di Einsteinmostrano che un oro-logio in montagnadovrebbe andare piùveloce di un orologioal livello del mare.

L’istituto GalileoFerraris di Torino ha fatto un esperimento per provarequesta previsione della relatività generale. Ha preso dueorologi atomici che andavano perfettamente d’accordo inpianura e ne ha portato uno in cima al Monte Rosa per unpo’ di giorni. Si è così scoperto che l’orologio sul MonteRosa era più avanti di 30 nanosecondi (trenta miliardesi-mi di secondo) rispetto a quello che era rimasto in città.

Spazio e tempo

Non abbiamo ancora visto, però, nessuna prova checonfermi la relatività speciale. Sarà proprio vero che semisuriamo cose che si muovono rispetto a noi otteniamodistanze più corte e tempi più lunghi che se le misurassi-mo da ferme?

Il maggior problema nel cercare le prove sperimenta-li alla relatività ristretta stava proprio nella difficoltà diraggiungere velocità talmente elevate da avere deglieffetti relativistici abbastanza grandi da poter essereosservati.

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Ma anche in questo caso, come era già accaduto conl’eclisse, Albert fu aiutato da quanto accadeva in un altrocampo della fisica. Gli scienziati stavano iniziando aguardare sempre più profondamente dentro la materia estavano scoprendo le “particelle elementari”, i piccolissi-mi mattoncini da cui è composta la materia. Si eranoaccorti anche che la Terra viene continuamente bombar-

data da particelle elementari di alta energia, cioè velocis-sime, che giungono dallo spazio, i “raggi cosmici”.

Muuuu

Ad un tipo di particella presente nei raggi cosmicivenne dato il nome di mesotrone, poi ribattezzato in

muone, e noi qui useremo solo il suonome più moderno.

Ecco la carta d’identità di unmuone, spesso indicato con il simboloµ (cioè la emme greca, che si legge mio, come la pronunciano i fisici, mu):

• la sua massa (mµ) è circa 200 volte più grande di quel-la di un elettrone ed è quasi 1,9 • 10-28 kg

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• esiste sia il muone con carica elettrica positiva che quel-lo con carica elettrica negativa, si indicano µ+ e µ-

• il muone ha un tempo di dimezzamento (tm) di 1,56microsecondi

questo è quanto è necessario sapere sulle particelle ele-mentari: la loro massa, la loro carica elettrica e il tempo didimezzamento, cioè dopo quanto tempo metà della parti-celle sono decadute, trasformandosi in altre particelle.

La realtà supera sempre la fantasia

Ecco una particolarità delle parti-celle elementari: dopo un certotempo decadono e si trasfor-mano in altre particelle.È come se il tuo tavo-lo, dopo un po’ sitrasformasse indue sedie e le duesedie in una coppiadi sgabelli o magariin un bel fascio diluce.

D’altra parte anchequesta possibilità delleparticelle di trasformarsiin altre è legata alla relatività. Sappiamo infatti che lamassa può trasformarsi in energia, ma l’energia può nuo-vamente trasformarsi in massa. Certo, non sono permessetutte le trasformazioni, ad esempio la somma iniziale dimasse ed energie dovrà risultare uguale alla loro sommafinale, dopo la trasformazione.

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Laboratorio universale

La nostra Terra vive sotto ilbombardamento continuo deiraggi cosmici e tra le particelleche ci arrivano dallo spazio adalta velocità ci sono i muoni.Noi possiamo studiare il lorocomportamento direttamenteutilizzando le particelle che ciarrivano “gratis” dall’universo.

Vediamo cosa accadrebbe, ad esempio, se noi osser-vassimo 1.000.000 (unmilione) di muoni a 10km da terra, che stannoviaggiando verso di noialla velocità di 0,98volte la velocità dellaluce, cioè

Quanto tempo impiegherebbero ad arrivare a terra?

Ma dopo 1,56 microsecondi, metà sarebbero decadu-ti e dopo altri 1,56 microsecondi si sarebbero nuovamen-te dimezzati, insomma se a 10 km di altezza ce ne fosse-ro N0 = 1.000.000, a terra ne arriverebbero solo:

(fidati dei conti) = 0, 3

N = 2−t

tm · N0 = 2−3,41,56 · 1.000.000 = 0, 0000003 · 1.000.000 = 0,

t =s

v=

10 km

294.000 km/s= 0, 000034 s = 34 microsecondi

N

v = 0, 98 · 300.000 km/s = 294.000 km/s

t

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10 km

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Questo è quanto avverrebbe seil tempo scorresse allo stesso modoin tutti i sistemi di riferimento manoi, fermi sulla Terra, vediamoviaggiare i muoni alla straordinariavelocità di 294.000 km/s e quindi,se diamo ragione ad Einstein, dob-biamo pensare che il tempo, per unmuone che va così veloce, dovrebbedilatarsi, scorrere più lento e quindii 10 km non sarebbero percorsi in34 microsecondi ma in:

Se noi guardiamo l’orologio del muone lo vediamopiù lento rispetto al nostro e quindi, mentre sul nostroorologio sono passati 34 microsecondi, sul suo ne sonopassati solo 6,8.

Se questo fosse vero, cioè se il tempo per il muone scor-resse più lento, allora in questo poco tempo decadrebberomeno muoni e noi, sulla terra, ne osserveremmo di più.

Precisamente, se a 10 km di altezza ci fossero 1 milio-ne di muoni che viaggiano a velocità di 294.000 km/s (equindi impiegassero, secondo il loro orologio, 6,8 micro-secondi ad arrivare a terra), ne arriverebbero:

= 49.000

d

N = 2−t0tm · N0 = 2−

6,81,56 · 1.000.000 = 0, 049 · 1.000.000 = 49.

= 6, 8 microsecondi

N

t0 = 34 ·√

1 − v2

c2= 34 ·

1 − 294.0002

300.0002= 34 · 0, 2

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… parlando di relatività…

Ma tu potresti farmi notare, prima di fare l’esperi-mento, che la cosa ti convince poco. Infatti, se la relativi-tà è vera, allora la fisica non può dipendere dal sistema diriferimento e se scegliamo il sistema di riferimento delmuone, allora lui sta fermo e il tempo, per lui, scorre“normalmente”.

È vero. Se ci mettiamo “a cavallo” del muone, lovediamo fermo e quindi, per fare 10 km, lui impieghe-rebbe i famosi 34 microsecondi di prima… ma nondovrebbe più percorrere 10 km!

Infatti, a causa della velocità con cui il muonevedrebbe la terra avvicinarsi, la distanza della terra, misu-rata dal muone, risulterebbe:

quindi la distanza da percorrere sarebbe solo di 2 km everrebbe percorsa in

ma guarda un po’, ci ritroviamo nella situazione di prima,i muoni impiegano sempre 6,8 microsecondi ad arrivarea Terra e quindi, se la relatività è vera, al livello del suolodovranno arrivare circa 49.000 muoni su 1 milione, se èfalsa ne vedremo solo 0,3, cioè circa 1 muone ogni 3milioni di muoni che troviamo a 10 km dal suolo.

t =d

v=

2

294.000= 6, 8 microsecondi

1

d = 10 ·√

1 − v2

c2= 10 ·

1 − 294.0002

300.0002= 10 · 0, 2 = 2 km

t

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Con un po’ di pazienza

Fu solo nel 1940, cioè ben 35anni dopo il famoso articolo diEinstein, che Bruno Rossi (Venezia1905 - Massachusetts 1993), unodei più grandi fisici italiani del

secolo scorso, trovò uno straordinario accordo tra ilnumero di muoni che vedeva arrivare sulla terra e quellicalcolati usando la dilatazione dei tempi (o la contrazio-ne delle distanze) relativistica.

– … e così, Bruno, sei stato costretto a credere alla teoriadella relatività.

– Ma io ci credevo già. Erano passati ben 35 anni e tuttigli esperimenti fatti in quegli anni si accordavano benecon la relatività, quindi ci aspettavamo quello che abbia-mo visto, cioè il tempo si dilata o ledistanze si accorciano.

– E allora perché ti seimesso a misurare imuoni se già lo sapevi?

– Per sapere cosa fossero ecome si comportavano. Inrealtà il risultato più importan-te del nostro esperimento è stato proprioquello di verificare il fatto che i muoni decadono.

– E che c’entra questo con la relatività?

– Come hai appena visto, per sapere quanti muoni deca-dono dobbiamo calcolare la dilatazione relativistica deltempo. Non ci è proprio mai venuto in mente di non

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usarla, ma usandola i conti tornano e quindi il nostroesperimento è stato anche considerato come una provadella validità della relatività ristretta.

Contatore di muoni

– Scusa Bruno, ma come li haicontati questi benedetti muoni?Penso che arrivino anche qui,adesso, ma io non li vedo e nonli sento.

– Certo che arrivano. Si possono “rivelare” in diversimodi, io ho usato i cosiddetti tubi di Geiger e Muller.Sono dei cilindri con dentro il circuito elettrico mostra-to in figura. Il filo centrale, detto anodo, è tenuto apotenziale positivo, mentre il cilindro esterno, il cato-do, è negativo.

– Non capisco quello che dici.

– Basta che tu prendi una pila elettrica normale, quellache usi per il game boy, ad esempio, e puoi vedere chevicino al “pirulino” c’è un segno +, mentre dall’altraparte vedi un -. La pila produce infatti una differenza di

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+

-

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potenziale + da un lato e – dal lato opposto. Se colle-ghi i due poli con un filo conduttore passa correnteattraverso il filo, se il filo non lo chiudi, rimane invecela differenza di potenziale.

– Ma come fai a contare muoni con un circuito elettrico?

– Per capirlo dovresti avere almeno un’idea di come sonofatti gli atomi.

– Una idea molto vaga ce l’ho. Al centro c’è un nucleo, compo-sto da protoni, con carica positiva, e neutroni, senza caricaelettrica. Intorno al nucleo girano gli elettroni, con caricaelettrica negativa. Il numero di elettroni che girano intornoal nucleo è uguale al numero di protoni presenti nel nucleo.

Urti microscopici

– Diciamo che per quello che ti rac-conto oggi, questa tua immaginedell’atomo va bene, la riassumonel disegno qui accanto. Neltubo di Gieger e Muller ci sonodegli atomi di gas. I muoni sonoparticelle piuttosto grosse, la loromassa a riposo è circa 200 volte maggiore di quella del-l’elettrone, inoltre arrivano a velocità molto elevata. Seun elettrone di un atomo del gas viene investito da unsimile bolide prende proprio una bella botta ed esce dalla

sua orbita intornoal nucleo.

– Come se un asteroi-de 200 volte piùgrosso della Terra

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++ ++

- --

--

-

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la colpisse a velocità elevatissimae la scaraventasse fuori dalla suaorbita intorno al Sole?

– Esatto… non sarebbe propriouna bella cosa! Ma c’è una dif-ferenza: la Terra chissà dovefinirebbe, mentre l’elettrone

ormai libero, avendo carica negativa, sarebbe attrattodall’anodo, che ha carica positiva. Allo stesso tempo,l’atomo a cui è stato tolto l’elettrone, risulta carico posi-tivamente perché adesso il numero dei protoni è supe-riore di 1 a quello degli elettroni e viene attratto dalcatodo negativo. Noi possiamo misurare proprio questecariche elettriche che arrivano nel nostro circuito equindi contare i muoni che hanno attraversato i tubi.

La grande scienza

La dilatazione dei tempi vieneormai osservata tutti i giorni alCERN di Ginevra.

Il CERN (Centro Europeo perla Ricerca Nucleare) è un grandissimo laboratorio scien-tifico, costruito nei pressi di Ginevra in Svizzera. È statofondato nel 1954 da 12 paesi: Germania (allora soloGermania Ovest), Belgio, Danimarca, Francia, Grecia,Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia,Svizzera e Iugoslavia.

Poi la Iugoslavia andò via, ma si aggiunsero neglianni Austria, Spagna, Portogallo, Finlandia, Polonia,Ungheria, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca eBulgaria così che oggi sono 20 i paesi che aderiscono.

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Circa 3.000 sono le persone assunte dal CERN, fisi-ci, ingegneri, tecnici e amministrativi, ma a queste siaggiungono circa 6.500 ricercatori che, mandati da circa500 università di 80 paesi del mondo, lavorano al CERNper un periodo, partecipando agli esperimenti.

In questo laboratorio è stato costruito il più grandeacceleratore di particelle elementari del mondo.

Le particelle vengono accelerateda campi magnetici a velocità pros-sime a quella della luce e sono poiutilizzate come proiettili ad altissi-ma energia.

Tutti gli esperimenti fatti al CERN hanno conferma-to con grandissima precisione i risultati della relativitàristretta, sia per quanto riguarda la dilatazione dei tempio la contrazione delle distanze, sia per quanto riguarda laconversione di massa in energia e viceversa.

Nel male e nel bene

Ma vediamo ad esempio, comela conversione di massa in energia,principio che come hai visto è allabase del funzionamento dellabomba atomica, possa essere uti-lizzato anche per fini opposti, cioècome supporto alla medicina.

Una delle grandi difficoltà che si incontrano nellostudiare il funzionamento degli organi interni degli esse-ri viventi è che se tagli un essere vivente per guardarcidentro, in genere quell’essere… non è più vivente!

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E se l’essere non è più vivente, tra l’altro, il suo orga-no non funziona più.

Nell’ultimo secolo, però, l’uomo ha imparato a guar-dare all’interno di un organismo senza fargli male edisturbandolo il meno possibile. Le tecniche di indagineinterna sono sempre più sofisticate e meno invadenti.

Tra le più nuove c’è la PET (Tomografia ad Emissionedi Positroni) che funziona proprio sul principio di trasfor-mazione della massa in energia.

Antimateria

Per capire come funziona la PET, dobbiamo dareun’occhiata alla famigerata antimateria. In natura esisto-no le particelle elementari, ma anche le loro anti-particel-le. Un’anti-particella è identica alla sua particella, ma hacarica elettrica esattamente opposta.

L’anti-particelladell’elettrone si chiama“positrone” e ha caricaelettrica positiva.

In un urto tra unaparticella e una suaanti-particella, le due

particelle si “annichilano”, cioè vengono completamentedistrutte, le loro masse si trasformano completamente inenergia e questa energia viene emessa sotto forma di 2fotoni di alta energia che viaggiano in direzione opposta.I fotoni sono le particelle da cui è formata la luce.

Nel punto dove elettrone e positrone si scontrano,nascono 2 raggi luminosi che si propagano in direzioneopposta. Elettrone e positrone scompaiono, non esistonopiù.

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C’è, ma non si vede

Il trucco sta qua. Si costruiscono delle molecole, adesempio di zucchero, con atomi che emettono positroni,quindi si inietta questo zucchero nel paziente che deveessere sottoposto all’analisi.

Quando un positrone dello zucchero viene emesso,incontra quasi subito uno dei tanti elettroni presenti,questi si annichilano (distruggono), emettendo i 2 fotoniche possono essere osservati dallo strumento. Dalle traiet-torie dei fotoni si riesce a ricostruire il punto in cui èavvenuta l’annichilazione e quindi i medici riescono acapire dove si trova esattamente lo zucchero, quali cellu-le lo hanno assorbito e quali invece no e decidere, quindi,se si tratta di cellule sane o malate.

Questo è solo uno dei moltissimi esempi che leganoil mondo della fisica a quello della medicina: quando siconosce il funzionamento della natura, questa può essereutilizzata per i propri scopi ed è compito di ognuno vigi-lare affinché questi scopi siano rivolti al bene degli uomi-ni e non alla loro distruzione.

Dovremmo inoltre sempre ricordare che la natura e lasua conoscenza sono patrimonio di tutta l’umanità, unpatrimonio che è stato costruito nel corso di migliaia digenerazioni, con il contributo di tutte le idee e quindi ditutti gli uomini.

Facciamo l’appello

Cosa manca per completarele verifiche sperimentali delleteorie di Einstein?

Al momento nessuno ha maivisto un’onda gravitazionale!

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Ovviamente queste onde non si vedono, ma dovrebbeessere possibile misurarne gli effetti. Per questo in molteparti del mondo si svolgono da tempo esperimenti con iquali si cerca di individuarle.

Il ritardo della notizia

Il 23 febbraio del 1987 arrivò sulla Terra una notiziaun po’ datata, ma spettacolare: circa 165.000 anni fa,nella Nube di Magellano, una piccola galassia che giraintorno alla nostra Via Lattea, è esplosa una stella!

La Nube di Magellano, infatti, dista dal nostro piane-ta più o meno 165.000 anni luce e quindi era servitotutto questo tempo perché la notizia arrivasse fino a noi.

Durante l’esplosione di una stella viene liberataun’energia enorme e per qualche mese la stella rimanetalmente luminosa da splendere più dell’intera galassia.La luce emessa è paragonabile a quella che il Sole emettein un miliardo di anni.

Nel 1987, quindi, arrivò fino a noi la grande luce diquesta esplosione e arrivarono, se esistono, anche delleintense onde gravitazionali che i nostri strumenti avreb-

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bero potuto rilevare… ma sfortuna volle che TUTTE leantenne gravitazionali installate sulla Terra, per un moti-vo o per l’altro erano spente!

L’umanità perse questa grande occasione… ad aver-lo saputo prima… ma, anche se l’esplosione era giàavvenuta 165.000 anni prima, nessuno poteva saperlo,perché nulla viaggia più veloce della luce, nemmenol’informazione.

Caccia al tesoro spaziale

Così la caccia alleonde gravitazionali rima-ne aperta e gruppi diesperti stanno realizzandograndi sistemi in gradodi rilevarle.

La teoria prevede cheuna massa in moto acce-lerato emetta onde gravi-tazionali cioè oscillazioni del campo gravitazionale che sipropagano alla velocità della luce, un po’ come un sassoche cadendo sulla superficie di uno stagno genera le bennote increspature.

Un’onda gravitazionale, propagandosi, produce unadeformazione oscillante dello spazio tempo per cui ladistanza fra due corpi investiti dall’onda risulta allungar-si e accorciarsi così come avviene alla distanza fra duesugheri galleggianti su uno stagno nel quale è stato get-tato un sasso.

Sembrerebbe tutto abbastanza banale da misurare,peccato che la variazione di distanza dovrebbe essereestremamente piccola.

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Chi lo vede?

Per fare una misu-ra di questo tipo gliastronomi italiani efrancesi hanno pensa-to di costruire Virgo,un rivelatore interfe-rometrico di ondegravitazionali che sitrova a Cascina, pocolontano da Pisa, cittànatale di Galileo

Galilei. Attualmente esiste solamente un altro strumentosimile negli Stati Uniti chiamato LIGO.

Prova ad andare vicino a Cascina: vedrai una grande“L” blu in mezzo alla pianura pisana, attraversata da cin-que ponti, dalla quale non entra e non esce alcuna strada.

Non si tratta di una galleria in costruzione e neppu-re di un segnale umano per comunicare con eventualivisitatori extraterrestri. Quella “L” è proprio Virgo eserve per rilevare le onde gravitazionali.

Dettagli strutturali

Il principio che sta alla base di interferometri di que-sto tipo consiste nel determinare la distanza fra dueoggetti misurando il tempo che la luce impiega per pro-pagarsi dall’uno all’altro. Il metodo è estremamente simi-le a quello dell’interferometro di Michelson e Morley chehai visto all’inizio del libro.

Nell’edificio centrale di Virgo, un laser genera unfascio di luce infrarossa che viene diviso in due. Le duemetà del fascio viaggiano ognuna in una delle braccia

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della “L” e quindi viaggiano una perpendicolare all’altrain piste contenute in un tubo sotto vuoto lungo circa 3km posto all’interno delle due misteriose gallerie blu chesi vedono arrivando a Cascina.

In ciascuna pista il fascio laser percorre 120 km per-ché rimbalza più volte su degli specchi. Terminato il per-corso i due fasci rientrano nell’edificio centrale dove, se illoro cammino non è stato alterato dalla presenza diun’onda gravitazionale, interferiscono in modo tale danon produrre alcun segnale. Un segnale si vedrebbe inve-ce se il cammino di uno dei due fasci venisse modificatodalla presenza di un’onda gravitazionale.

Gara luminosa

Potremmo paragonare i due raggi a due fratelligemelli con abilità identiche che fanno una gara di corsaall’interno dei tunnel blu. Quando arrivano in fondo altunnel toccano lo specchio e tornano indietro ripetendo

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l’operazione molte volte. Se iloro tragitti sono identici idue gemelli arrivano contem-poraneamente e l’arbitro nonassegna la vittoria a nessuno.Se qualcuno, però, sposta unpochino lo specchio in fondoal tunnel accorciando il tragit-to di uno dei gemelli, ad ogniandata e ritorno quel gemelloguadagnerà terreno e arriverà prima alla meta per cui l’ar-bitro potrà fischiare e assegnargli la vittoria. Anche se sitratta di una analogia approssimativa, in Virgo i due fra-telli gemelli sono i due fasci laser, la gara avviene nelledue piste sotto i tunnel blu, l’arbitro è il rilevatore, men-tre chi sposta la posizione relativa degli specchi è l’ondagravitazionale.

Cantiere sperimentale

Certo non è stato un giococostruire Virgo, il rivelatore dionde gravitazionali più precisodel mondo, frutto di oltre diecianni di lavoro dei progettistiitaliani dell’INFN (IstitutoNazionale di Fisica Nucleare) edei fisici francesi del CentroNazionale per le RicercheScientifiche (CNRS) francese.

Se vuoi, puoi fare un po’ didomande a quello che senzadubbio è il padre di Virgo, il

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fisico Italiano Adalberto Giazotto che perprimo ha progettato l’innovativo Virgo e unostraordinario modo per rendere questostrumento estremamente preciso.

– Be’, la prima domanda che miviene in mente è: come fate adistinguere un’onda gravitazio-nale da uno spostamento dovutoad un’altra causa, ad esempio una scossa sismica?

– Questo effettivamente è un grosso problema e la solu-zione trovata per Virgo è proprio quello che lo rende ilmigliore rivelatore di onde gravitazionali del mondo.

Visto che gli effetti delle ondegravitazionali sullo strumentosono così piccoli, bisogna chenon ci siano effetti indesiderati,bisogna eliminare quello che noifisici chiamiamo rumore e allon-tanare tutte le altre cause didisturbo. Per evitare di misurarespostamenti degli specchi pro-vocati da movimenti sismici equindi segnali non dovuti allapresenza di onde gravitazionali,

abbiamo creato un sofisticato sistema di pendoli com-posti detti “super attenuatori” che riducono l’effettonon desiderato di oltre un miliardo di volte. Gli spec-chi, di altissima precisione, sono sospesi ai super atte-nuatori che li isolano meccanicamente dal contesto ter-restre, in modo da eliminare gli effetti delle sorgenti didisturbo. Grazie a tutti questi accorgimenti, Virgo

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risulta sensibile a un vasto spettro di onde gravitazio-nali, da circa 10 a 5000 Hertz, e potrà captare segnalile cui sorgenti si trovano sia all’interno della Via Latteache in galassie esterne, fino alla distanza dell’ammassodella Vergine che si trova a oltre 3 milioni di anni luce.

– Ma perché cercate fenomeni così lontani?

– Per avere effetti misurabili è indispensabile avere masseenormi come i grandi corpi celesti. Produrrebberoeffetti misurabili le esplosioni delle Supernovae oppurela rotazione di una coppia di buchi neri, oppure di unastella di neutroni. Il nome dell’apparato sperimentaleVirgo deriva proprio dal nome della zona dalla qualepotrebbero provenire onde gravitazionali: il cosiddettoVirgo cluster, un insieme di più di 2000 galassie che sitrovano lontane da noi più di 1000 diametri galattici.

– Comunque non sono sicuro di avere ben capito come funziona-no questi super attenuatori. Potrebbe dirmi qualcosa di più?

– Bene, vediamo un po’… sai andare in altalena?Immagina di essere su un’altalena attaccata al ramo diun albero. Tu cominci a dondolare fino a quando non

riesci a mantenere la stessafrequenza. Questa frequenzaprende il nome di frequenzadi risonanza. Arriva il ventoe l’albero si mette a dondo-lare anche lui. Un bel fasti-dio per te che ti trovi sul-l’altalena! Ma il fastidio èancora più grosso per un tuoamico che si è arrampicatosull’albero. Infatti, se l’albe-

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ro a cui è attaccata l’altalena si mette a dondolare a fre-quenza maggiore di quella di risonanza dell’altalena, lavibrazione dell’albero che tu senti è inferiore a quellache sente chi si trova sull’albero.

– E cosa c’entra tutto questo coi super attenuatori?

– Beh, i super attenuatori funzionano un po’ come unacatena di altalene. Immagina di mettere lo specchio alposto del bambino e,anzi, immagina di met-tere un’altalena attacca-ta all’altra e sull’ultimaaltalena lo specchio…stai immaginando unsuper attenuatore. Lospecchio non è fisso,attaccato all’albero, masi trova su un’altalenaattaccata ad altre altale-ne e per questo sentemeno gli effetti delvento che fa oscillarel’albero. Fatte le debitedifferenze che tu stessopuoi immaginare que-sto è proprio ciò cheabbiamo fatto coi superattenuatori. Virgo ancora non è finito e c’è semprequalche cosa da migliorare, la macchina comunquefunziona perfettamente anche per un tempo prolunga-to e speriamo che, fra non molto, in collaborazione conLIGO, si possa finalmente avere una misura direttadelle onde gravitazionali!

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DALLE STELLE… ALLE “STELLE E STRISCE”

Già nel 1919, Albert scri-veva ad un suo amico fisicoparlando di come fosse fortel’antisemitismo in Germania.Einstein era ebreo e nondimenticò mai di appoggiarela causa del suo popolo, coniu-gandola, comunque, con unforte sentimento internaziona-

le. Fin da giovane, infatti, Albert credeva nella possibili-tà della creazione degli Stati Uniti d’Europa (che non sisono ancora realizzati) e nel disarmo totale e mondiale.Parlava ancora di disarmo quando in Germania era giàsalito Hitler al potere, ma contro questo dittatore fucostretto in seguito a cambiare idea.

Sebbene Einstein fosse diventato un personaggioveramente di fama mondiale, il razzismo antisemita incontinua crescita in Germania, non lo risparmiò.

Si svolgevano manifestazioni contro “la fisica ebrea”davanti ai luoghi dove lui teneva conferenze e venneattaccato duramente anche da alcuni colleghi.

Scienza e vita

L’attività scientifica di Einstein certo non si esaurì nel1916, con la relatività generale, ma quello di cui si occu-pò negli anni successivi non rientra negli argomenti diquesto volume… ma la sua vita sì.

Nell’ottobre del 1922 partì da Berlino, con la moglie,per un viaggio di 5 mesi in Asia e fu informato di aver rice-vuto il premio Nobel quando si trovava in Giappone, così

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non andò a ritirarlo. Tornò aBerlino nel 1923 e ripartì nel1925 per un lungo viaggio inAmerica del Sud.

Quindi ebbe qualche pro-blema di cuore e per un po’ sene stette buono, si fece costrui-re una piccola casa in campa-gna, a Caputh, dove riposò eimparò ad andare in barca avela.

Vecchia Europa

Quando si ristabilì, Albert iniziò nuovamente a viag-giare e passava, insieme a sua moglie Elsa, lunghi perio-di negli Stati Uniti. Gli Einstein rimasero in Californiadal dicembre 1930 al marzo del 1931, quindi ancora daldicembre 1931 al marzo 1932 e poi partirono nuovamen-te per la California nel dicembre del 1932. Einstein nonmise mai più piede in Germania, dopo poco Hitler preseil potere.

Nel marzo del 1933, Einstein tornò in Europa e sipreparò per Princeton, dove era stato invitato ad insegna-re e dove vivrà poi il resto della sua vita.

Non poté più rientrare in Germania, addirittura lasua casa di campagna fu perquisita alla ricerca di armi. Lanotizia fu data dal New York Times. Albert comunque fuaiutato dagli amici a trovare un alloggio in Belgio e iparenti riuscirono a fare uscire da Berlino i suoi mobili ele sue carte.

In quel periodo tutte le università europee gli offriro-no una cattedra, ma Einstein aveva ormai deciso e il 17

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ottobre del 1933 sbarcò a New York insieme a sua moglieElsa, la sua segretaria Helen Dukas e il suo assistenteWalther Mayer.

America!

Dopo poco che furonoarrivati in America morì aParigi Ilse, una delle figlie diElsa, così l’altra, Margot, rag-giunse la madre a Princeton.Ma nel 1936 morì ancheElsa, la seconda moglie diAlbert.

Nel 1938 Hans Albert,il primogenito di Einstein sbarcò negli Stati Uniti consuo figlio, Bernhard Caesar, il primo nipote. Non c’eraquasi più in Europa un posto dove si potesse vivere, spe-cialmente per chi era di origini ebraiche.

Nel 1939 anche Maja, la sorella di Albert, dovettelasciare l’Italia, dove viveva vicino a Firenze, a causa delleleggi razziali promulgate da Mussolini.

Nemmeno l’America era sicurissima, infatti aPrinceton fu consigliato ad Einstein di vivere con riserva-tezza perché simpatizzanti nazisti si nascondevano sicura-mente anche negli Stati Uniti e la notorietà del grande fisi-co era tale da potersi considerare comunque in pericolo.

Guerra e pace

Durante gli anni della seconda guerra mondiale,Albert abbandonò le sue idee pacifiste: la guerra dovevaessere vinta. Il regime nazista rappresentava un pericolo

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tremendo, ma questo era tantopiù vero per gli ebrei.

In quegli anni, Einsteinscrisse lettere al presidente ame-ricano Roosevelt, dal quale erastato anche ospitato alla CasaBianca, pregandolo di sostenerela ricerca scientifica necessariaper la costruzione della bomba atomica.

A guerra finita, e a bomba sganciata, si pentì di averfirmato quegli appelli e dichiarò che non lo avrebbe maifatto se avesse saputo che i tedeschi erano molto lontanidalla possibilità di costruire un’arma atomica.

In seguito riprenderà la sua politica pacifista e firme-rà appelli per il disarmo mondiale.

IL maiuscolo

Dall’ottobre del 1933, fino alla sua fine della sua vita,Albert rimase sempre a Princeton e non smise mai dilavorare. Il problema che cercò di risolvere per i resto dei

suoi giorni è, ancoraoggi, forse IL proble-ma della fisica, cioèl’unificazione delleforze.

I greci hanno ini-ziato a ragionare sullanatura cercando LAmateria, cioè un prin-cipio unico e unifican-te, dal quale tuttodoveva essere formato.

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Dai primi passi dei greci alla fisica dei tempi diEinstein, certo erano stati fatti passi da giganti, ma ilproblema dell’unificazione non era ancora stato risolto.

Quello che Albert cercava era un principio unico dalquale discendessero sia la forza gravitazionale che quellaelettromagnetica, come casi particolari.

Questo principio ancora non è stato trovato.

Unificare

… Ma i ricercatori non si arrendono. Sono convintiche questo principio esista. Ed è un po’ presto per dire sesia vero o se questo bisogno di unificare sia un’esigenzasolo umana che abbia poco a che fare con la natura. Certol’idea è affascinante e perseguirla, per adesso, ha portato asplendidi risultati intermedi e la natura è stata capitasempre meglio… ma non ancora fino in fondo.

Non solo fisica

Era fortissima in Albert la con-vinzione che per risolvere i grandiproblemi dell’umanità fosse neces-sario un governo sovrannazionale,che garantisse la civile e pacificaconvivenza tra tutti i popoli. Anchequesto è un sogno che l’umanità sta

ancora cercando di perseguire, anche questo è un sognoche siamo ancora lontani dal realizzare. Certo, anche que-sta idea è affascinante e cercare di realizzarla porta asplendidi risultati intermedi.

Bisogna ricordare che una settimana prima di mori-re, Albert Einstein sottoscrisse un manifesto in cui si

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chiedeva a tutti i paesi del mondo di rinunciare alle arminucleari.

Questo appello era stato preparato da BertrandRussell, uno dei maggiori intellettuali del secolo scorso,anche lui grande pacifista.

Israele

Nel 1948 era nato lo Stato di Israele. Albert avevasempre appoggiato la sua realizzazione, tanto che nel1952, subito dopo la morte del primo presidente israelia-no Chaim Weizmann, fu chiesto proprio a lui se volessediventarne il nuovo presidente. Lo scienziato ovviamenterifiutò, tra le altre non era certo giovane e non godeva diottima salute, ma questa offerta ci può far capire quantoAlbert Einstein fosse considerato una persona di grandis-simo valore, anche al di là delle sue indubbie capacitàprofessionali.

Il 18 aprile 1955, all’una eun quarto di notte, AlbertEinstein passò da una vitaleggendaria, diretta-mente alla storia.

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APPENDICE

Risultati sperimentali con gli interferometri

Gli esperimenti per verificare la teoria della relativitàcontinuarono negli anni successivi per ottenere una preci-sione maggiore e per essere più sicuri dei risultati.

Guarda questa tabella allegata, pubblicata nel 1955che riporta i risultati di diversi esperimenti con diverselunghezze L dell’interferometro.

Nella prima colonna appare il nome di chi ha fattol’esperimento e l’anno in cui è stato fatto.

Nella seconda, trovi le lunghezze dell’interfermetro,nella terza sono riportati i valori che si dovrebbero otte-nere se la teoria dell’etere fosse giusta, nella quarta, ivalori che effettivamente si ottengono e nella quinta ilrapporto tra il valore calcolato e quello misurato.

Se la luce mantenesse una velocità costante rispettoall’etere e quindi variabile rispetto alla Terra, allora ilrapporto tra quanto calcolato e quanto misurato speri-mentalmente dovrebbe sempre essere molto vicino a 1,infatti i valori osservati dovrebbero essere uguali a quellicalcolati. Nell’esperimento di Michelson e Morley (laseconda riga), il valore calcolato risultava essere circa 40

Esperimento

Michelson, 1881

Michelson & Morley,1887

Morley & Miller, 1902-04

Illingworth, 1927

Joos, 1930

Misurato

.02

.01

.015

.0004

.002

Rapporto

2

40

80

175

375

L (cm)

120

1100

3220

200

2100

Calcolato

.04

.40

1.13

.07

.75

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volte maggiore di quello misurato e, nell’ultimo esperi-mento eseguito nel 1930, addirittura il valore calcolatorisultava essere 375 volte più grande di quello misurato!

Da questi dati si può dire che lo sfasamento dei dueraggi luminosi risulta sempre molto vicino a zero e quin-di la velocità della luce risulta costante sia che si muovanella direzione parallela che perpendicolare al moto dellaTerra, come afferma la relatività.

Equazioni dei cerchi

In due dimensioni, l’equazione del cerchio è:

per ogni istante t, la circonferenza avrà un raggio ugualea c • t.

Adesso mettiamoci in un sistema di riferimento R’ che simuove di velocità v e calcoliamo la nuova equazione usan-do le trasformazioni di Lorentz:

x =x′ + v · t′√

1 − v2

c2

y = y′

t =t′ +

v · x′

c2√

1 − v2

c2

x2 + y2 = c2 · t2

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Sostituendo nella equazione della circonferenza si ha:

e quindi le due equazioni nei due diversi sistemi di rife-rimento appaiono identiche; non possiamo, guardando laluce, sapere se ci troviamo in un sistema di riferimentofermo, oppure in moto.

x′2 − v2 · x′2

c2

1 − v2

c2

+ y′2 =c2 · t′2 − v2 · t′2

1 − v2

c2

x′2 · (1 − v2

c2)

1 − v2

c2

+ y′2 =c2 · t′2 · (1 − v2

c2)

1 − v2

c2

x′2 + y′2 = c2 · t′2

(x′ + v · t′)2

(

1 − v2

c2)2

+ y′2 = c2 ·(t′ +

v · x′

c2)2

(

1 − v2

c2)2

x′2 + v2 · t′2 + 2x′ · v · t′

1 − v2

c2

+ y′2 = c2 ·t′2 +

v2 · x′2

c4+

2t′ · v · x′

c2

1 − v2

c2

x′2 + v2 · t′2 + 2x′ · v · t′

1 − v2

c2

+ y′2 =c2 · t′2 +

v2 · x′2

c2+ 2t′ · v · x′

1 − v2

c2

x′2 + v2 · t′2

1 − v2

c2

+ y′2 =c2 · t′2 +

v2 · x′2

c2

1 − v2

c2

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Trasformazioni di Galileo

Cerchiamo di ragionare in modo un po’ generale eprendiamo un “sistema di riferimento”, cioè disegniamodue linee ortogonali numerate, come in figura. Questo è

il nostro sistema di rife-rimento, cioè il nostrospazio, all’interno delquale possiamo misura-re le posizioni deglioggetti.

Possiamo chiamarloR. La nostra macchina

si trova nel punto A di R. Questo punto è definito da duecoordinate precise: x = 2 metri e y = 1 metro.

Adesso prendiamo un altro sistema di riferimento chesi muova con una velocità costante rispetto al primo. Èchiaro che le coordinate del punto A cambieranno ognimomento se misurate nel sistema in movimento, chechiamiamo R’. Ad esempio, se la velocità di R’ rispetto alsistema R, è v = 1 m/s, allora al tempo t = 1 s il punto A,rispetto al sistema R’ si troverà nel punto:

x′ = x − v · t = 2 − 1 · 1 = 2 − 1 = 1

y′ = y = 1

x

Ry

x1

1 A

2 3

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È vero, guarda ildisegno, dopo unsecondo il siste-ma R’ si è sposta-to nella posizionein figura e quindile coordinate delpunto A, rispettoa R’, sono proprio

x’ = 1 e y’ = 1

Dopo un altro secondo (cioè 2 secondi dall’inizio) ilsistema R’ sarà avanzato di un altro metro e il punto A sitroverà in:

e così via.Queste sono le trasformazioni che devono essere fatte

alle coordinate, cioè ai numeri che individuano le posizio-ni di un punto, se vogliamo conoscerle in un sistema diriferimento (R’) che si muova di moto rettilineo unifor-me, con velocità v, rispetto al sistema di riferimento (R),fermo rispetto al punto A, nel caso in cui la velocità v siapiccola rispetto a quella della luce.

x′ = x − v · t

y′ = y

x′ = x − v · t = 2 − 1 · 2 = 2 − 2 = 0

y′ = y

R

A

0

0

1

R’ v

xx’

y=y’=1

2

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Calcolo del tempo

Prendiamo l’orologio ottico di pagina 63.

Per il teorema diPitagora si ha:

Infatti nel tempo t’ il raggio luminoso raggiunge il puntoB’ a velocità c, e nello stesso tempo il punto B si sposta inB’ a velocità v (la distanza è BB’ = AH). Sostituendo si ha:

(c · t′)2 = (c · t)2 + (v · t′)2

c2 · t′2 = c2 · t2 + v2 · t′2

c2 · t′2 − v2 · t′2 = c2 · t2

t′2 · (c2 − v2) = c2 · t2

t′2 =c2 · t2

c2 − v2

t′2 =t2

1 − v2

c2

t′ =t√

1 − v2

c2

d′2 = d2 + AH2

mad′ = c · t′d = c · tAH = v · t′

B’B

A H A’

v

d d’

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E = mc2

Nel sistema R l’energia emessa dal corpo è E, mentrenel sistema R’ sarà:

se calcoliamo la differenza di queste energie viene:

questa equazione assomiglia molto all’equazione del-l’energia cinetica (l’energia che un corpo ha perché simuove a velocità v):

anzi le due equazioni sono proprio uguali se

cioè se

E = m · c2

E

c2= m

T =1

2· m · v2

T =1

2· E

c2· v2

E ′ =E√

1 − v2

c2

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Costruisco lo spazio curvo

Per costruire il tuo spazio curvo puoi prendere uncerchio di quelli che si usano per fare l’hula hop. Prendipoi una stoffa molto elastica e con pazienza cucila intor-no al grande anello. Procurati poi diverse palline ciascu-na con peso diverso e mettendole sul telo guarda un po’cosa succede.

Supponi per esempio che il sole sia una biglia pesan-te. Metti la biglia sul telo e… si crea una specie di bucanel telo. Se metti due biglie, ciascuna delle due tende acadere nella buca dell’altra: insomma le due biglie siattraggono. Scegli poi una biglia pesantissima, la bucadiventa più profonda e qualunque cosa tu metta sul teloci cade dentro. È un po’ quello che succede nell’universo.

I buchi neri nell’Universo possono esercitare unaforza di gravità davvero tremenda, tanto che qualunquecosa si avvicini al buco nero viene risucchiata. Essi sononeri perché neppure la luce può uscirne. Se vicino al buconero non c’è nulla, niente di grave, ma se là vicino cadequalunque cosa, addirittura una stella normale, la forza digravità del buco nero può strappare via della materia allastella e inghiottirla, un po’ come succede quando il tuotelo è deformato da una biglia molto pesante: qualunquepallina gli passi vicino cade nella buca della biglia…

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Gli antefatti relativistici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Michelson (1852-1931) e Morley (1838-923). . . .Hendrik Antoon Lorentz (1853-1928) . . . . . . . . . . .

I primi passi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .La giovinezza e gli studi di Albert Einstein . . . . . .L’annus mirabilis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

La relatività ristretta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .La composizione delle velocità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .La velocità della luce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Trasformazioni di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Contrazione delle distanze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Dilatazione dei tempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Equivalenza di massa e energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Massa relativistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Il paradosso dei gemelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tra le due relatività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .La carriera accademica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .La prima guerra mondiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

La relatività generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Il pensiero più felice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Assenza di gravità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Principio di equivalenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Curvatura della luce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

INDICE DEI CAPITOLI

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Lo spazio quadridimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Onde gravitazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Buchi neri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Provare per credere (le prove sperimentali)Perielio di Mercurio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Sir Arthur Stanley Eddington (1882-1944)e la curvatura della luce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Il trionfo di Albert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Lo spostamento verso il rosso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Variazione del tempo con la distanzadal centro della Terra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Contrazione delle distanze e dilatazionedei tempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Il CERN .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .La PET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Le onde gravitazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .VIRGO .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Dalle stelle… alle “stelle e strisce” . . . . . . . . . .

Appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Risultati sperimentali con gli interferometri . . .Equazioni dei cerchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Trasformazioni di Galileo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Calcolo del tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .E = mc2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Costruisco lo spazio curvo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Anna ParisiNUMERI MAGICI E STELLE VAGANTI

I primi passi della scienza

Seguendo i ragionamenti dei primi uomini che hannocercato di capire come funziona la natura, il volumeripercorre i primi passi del lungo cammino della scien-za, tra bellissime risposte e problemi irrisolvibili.

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Anna ParisiALI, MELE E CANNOCCHIALI

La rivoluzione scientifica

Il volume racconta lo sviluppo della prima rivoluzionescientifica. Da Copernico a Newton i lettori potrannocapire il “nuovo” disegno dell’universo, che passerà allastoria con il nome di “fisica classica”.

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Parisi - TonelloIL FILO CONDUTTORE

L’anticamera dell’atomo

Il volume affronta quel periodo di sensazionali scoperteche portò a comprendere e utilizzare le grandi potenzia-lità dell’elettricità e del magnetismo, e alla definizionedella termodinamica. In questo periodo nasce un’ipotesiaffascinante: l’ipotesi l’atomica!

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Ettore PerozziIL CIELO SOTTO LA TERRA

In viaggio nel sistema solare

Pianeti, decine di nuovi satelliti, comete e asteroidi. Un“universo” tutto da scoprire. Questo libro è un tentativodi raccontare ai ragazzi cosa succede quando si parla diScienze Planetarie. Storie di astronomi, idee e intuizionigeniali sul mondo al di là delle nuvole.