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1 ACCADEMIA DEI ROZZI Anno XVII - N. 32

ACCADEMIA DEI ROZZI · QUELLE CONIATE DURANTE L’ESILIO MONTALCINESE TRA IL 1554 E IL 1559. ... 1494 con la discesa di Carlo VIII in Italia ... Regno di Napoli) e gli altri lo erano

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ACCADEMIA DEI ROZZI

Anno XVII - N. 32

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IL CATALOGO DELLA MOSTRA ORGANIZZATA A MONTALCINO PER CELEBRARE LA

RICORRENZA DELLA PACE DI CATEAU-CAMBRESIS, SIGLATA DA CARLO V DI SPAGNA

ED ENRICO II DI FRANCIA NELL’ APRILE DEL 1559, RIPRODUCE AL FRONTESPIZIO LA

COEVA TAVOLETTA DI BICCHERNA CON LA QUALE I GOVERNANTI SENESI, ORMAI

SOTTOPOSTI ALLA SOVRANITA’ MEDICEA, INTESERO RIMARCARE L’ AVVENIMENTO.

L’IMPORTANTE RASSEGNA,TENUTASI NELLO SPLENDIDO COMPLESSO MUSEALE DI S.

AGOSTINO NELL’INVERNO 2009-2010, E’ STATA INTRODOTTA E ILLUSTRATA AL PUBBLI-

CO DA ENZO MECACCI CON UN SAGGIO STORICO CHE ACCADEMIA DEI ROZZI

RIPROPONE INTEGRALMENTE ALLE PROSSIME PAGINE, SEGUITO DA UNA DESCRI-

ZIONE DELLA MOSTRA NELLE SUE ARTICOLAZIONI ESPOSITIVE, NONCHE’ DA UNA

ESAUSTIVA CATALOGAZIONE DELLE ULTIME MONETE DELLA REPUBBLICA DI SIENA:

QUELLE CONIATE DURANTE L’ESILIO MONTALCINESE TRA IL 1554 E IL 1559.

L’IMPORTANTE TRATTATO, IL PRIMO DI DIMENSIONE EUROPEA DELL’EVO MODERNO,

SEGNO’ IL TRAMONTO DELL’INDIPENDENZA SENESE, EROICAMENTE DIFESA CON-

TRO LA GRANDE POTENZA ASBURGICA PROPRIO TRA LE INVITTE FORTIFICAZIONI DI

MONTALCINO ED E’ STATO RICORDATO A SIENA PER INIZIATIVA DELLA NOSTRA

ACCADEMIA CON LA PUBBLICAZIONE DEL VOLUME FORTIFICARE CON ARTE, DI-

STRIBUITO AI SOCI IN OCCASIONE DELLO SCORSO NATALE.

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Cateau-Cambrésis:i motivi di una celebrazionedi ENZO MECACCI

Il Trattato di Cateau Cambrésis, siglatoil 3 aprile 1559 da Filippo II di Spagna edEnrico II di Francia, è un avvenimento dirilievo straordinario per la storia d’Italia ed’Europa, in quanto pone fine ad una lungaserie di guerre durata 65 anni ed iniziata nel1494 con la discesa di Carlo VIII in Italianel tentativo, fallito, di conquistare ilRegno di Napoli. Tutte queste guerre viderocontrapporsi Francia e Spagna, che si con-tendevano non solo la supremazia inEuropa, ma anche il controllo sull’Italia, dalmomento che nella nostra Penisola non siera avviato un processo di costituzione diuno Stato nazionale, a differenza di quantoera accaduto già nel corso del Medioevo inInghilterra, Francia e Spagna. Inoltre, lamiope politica di equilibrio, che era stataalla base della Pace di Lodi (1454), con laquale da una parte si era garantito un cin-quantennio di tranquillità, ma dall’altraveniva cristallizzata la frammentazione ter-ritoriale del nostro Paese, aveva portatocome conseguenza la debolezza politica neiconfronti delle grandi Monarchie continen-tali e l’impossibilità di opporsi alle loromire espansionistiche, oltre che l’incapacitàdi entrare in concorrenza con i centri mer-cantili europei, circostanza aggravata dallascoperta dell’America e dal conseguentespostamento dal Mediterraneo all’Atlanticodelle rotte commerciali.

A Cateau Cambrésis venne delineatoquell’assetto geo-politico dell’Europa, chesarebbe rimasto sostanzialmente invariato,con i pochi cambiamenti generati dallaGuerra dei Trent’Anni (1618/48), fino alletre Guerre di Successione, che insanguina-rono il Continente per quasi tutta la primametà del sec. XVIII (spagnola – 1701/13,polacca – 1733/35, austriaca - 1740/48).Con gli accordi contenuti nel Trattato del1559, la Spagna si affermò come la princi-

pale potenza europea, mentre la Francia, sepur sconfitta, aveva, comunque, raggiuntolo scopo di rompere quell’accerchiamento,che era venuto a determinarsi quando CarloV, già sovrano di Spagna, era stato incoro-nato anche Imperatore del Sacro RomanoImpero; quest’ultimo, infatti, nella fasefinale della guerra (1556) aveva abdicato,affidando la corona imperiale al fratelloFerdinando e quella spagnola al figlioFilippo. Questi, continuando la dissennatapolitica economica paterna, poneva, però,le basi della progressiva ed inarrestabiledecadenza del suo Stato, che, a partire dalsecolo successivo, subì anche un sensibileindebolimento politico, cui contribuì inmisura determinante la già citata Guerra deiTrent’Anni.

Per l’Italia, Cateau Cambrésis vollesignificare il passaggio quasi completo sottola sfera di influenza spagnola: alcuni Statiitaliani erano direttamente sotto la suadominazione (Ducato di Milano, Stato deiPresidi, Regno di Napoli) e gli altri lo eranoindirettamente, con la sola eccezione dellaRepubblica di Venezia e del Ducato diSavoia. Nello specifico, per quello che ciriguarda più da vicino, il trattato sancì lacaduta della Repubblica di Siena, conqui-stata dalla Spagna e ceduta in feudo all’al-leato Cosimo de’ Medici (già il 3 luglio1557, a due anni dalla caduta della città). Pertale motivo tutte le storie di Siena antiche eparte di quelle moderne prendono la datadel 1559 come conclusione delle loro nar-razioni. In realtà si tratta di una scelta sba-gliata, perché, se è vero che nulla è più tra-gico per un popolo della perdita della pro-pria libertà ed indipendenza, la fine dellaRepubblica non segnò contestualmentequella della storia senese, né, tanto meno, laperdita della propria identità da parte deisuoi cittadini, che, anzi, forse per orgoglio e

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per reazione, l’hanno ancor più conservatae coltivata. Bisogna riconoscere che il sensodi identità non era diffuso solo fra i Senesidella città, ma anche fra gli abitanti del suoterritorio e fu dimostrato proprio in occa-sione di questa guerra, se si considera quan-ti rischiarono la vita, e quanti la persero:molti nei combattimenti e durante gli asse-di, molti altri per cercare di portare aiuti eviveri (per la verità non sempre disinteressa-tamente) all’interno di quella città sulla col-lina che probabilmente non avevano nep-pure mai visto. I più sfortunati non giunge-vano nemmeno a vederla, perché, catturatidagli Spagnoli, venivano appesi alle forchelungo le strade come monito.

Con Siena non cadeva soltanto unoStato che ricopriva una forte importanzastrategica, in quanto era la “porta” setten-trionale dello Stato della Chiesa, che pote-va in qualche modo essere tenuto sotto con-trollo, quindi, da chi aveva in potere Siena(di qui la centralità del problema senese

nello scacchiere internazionale e la successi-va creazione sulla costa dell’enclave spa-gnola dello Stato dei Presidi, di grandissimaimportanza militare per i porti che include-va); infatti veniva a scomparire l’ultimaRepubblica che aveva conservato un siste-ma politico, mutuato dal Medioevo, che, adifferenza degli altri due Stati repubblicaniitaliani, Genova e Venezia, prevedeva unagestione del potere affidata a magistraturecollegiali, senza la presenza di un Capodello Stato (eccezion fatta per la “pseudosi-gnoria” di Pandolfo Petrucci). Inoltre loStato senese aveva occupato, pur con alti ebassi, un posto di rilievo nello scenario ita-liano, sia in campo finanziario, ad esempiocon i banchieri del sec. XIII, sia in quellomercantile, si pensi allo sviluppo dellaprima metà del XIV, sia in ambito spiritua-le, con mistici, come Caterina eBernardino, ma anche il beato Colombini oBernardo Tolomei e, con riformatori, qualil’Ochino e Lelio e Fausto Sozzini, sia in

Veduta di Montalcino ai tempi dell’assedio nella primavera del 1553. Da L. Banchi S. Borghesi, Il Campo Imperiale sottoMontalcino, Siena 1888.

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quello intellettuale: dallo Studio alla pro-duzione letteraria, dalle arti figurative all’ar-chitettura, dall’ingegneria alle scienze. Aquesto proposito è bene ricordare comel’importanza di Siena nella vita culturale sisviluppò durante tutto il corso della sua sto-ria e non solo, come troppo spesso vieneaffermato, nel Medioevo, perché la città èstata un centro importante anche nelRinascimento, quando fu patria di grandiumanisti e vide il formarsi di un linguaggioartistico propio, originale e raffinato, con ilquale seppe affiancarsi, se non contrappor-si, a quanto avveniva in altre fiorenti realtàitaliane.

Tutto questo è stato finalmente postonel giusto rilievo dall’interessante ed inno-vativa mostra Renaissance Siena. Art for aCity, tenutasi presso la National Gallery diLondra a cavallo fra 2007 e 2008. Anchel’attività delle Accademie senesi, così nume-rose da far soprannominare la città “l’Atened’Italia”, era molto ricca e vivace, e ben lo

comprese Cosimo I, che provvide a farlechiudere nel 1568. A tale proposito è d’uo-po ricordare come si fosse sviluppata un’in-teressante produzione teatrale, che portò gliIntronati ad introdurre delle innovazioninelle tematiche e negli intrecci delle lorocommedie e i Rozzi ad interpretare le lorotrame popolaresche davanti a pontefici esovrani, creando entrambi modelli dram-maturgici che la critica pone alla base dellosviluppo del teatro moderno italiano edeuropeo.

Un grande patrimonio culturale ed arti-stico, dunque, che non poteva essere can-cellato dalla perdita dell’indipendenza.Infatti, dopo un comprensibile periodo didisorientamento, si trova una nutrita schie-ra di eccellenti artisti senesi attivi dagli anni70 del ‘500 in poi, come fu illustrato, soloper fare un esempio, dalla mostra del lonta-no 1980 L’arte a Siena sotto i Medici, checon salace motto, ma assolutamente nonprivo di fondamenti storici, qualcuno volle

Gli esuli senesi sono accolti a Montalcino dopo la caduta della città in mano all’esercito imperiale nell’Aprile del 1554 (dipintodi A. Maffei per il teatro degli Astrusi di Montalcino).

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ribattezzare “L’arte a Siena nonostante iMedici”. In quegli stessi anni riprendonovita le attività editoriali, cessate a seguitodella guerra; mentre soltanto con l’iniziodel secolo XVII riapriranno le celebriAccademie. Si deve anche rammentare che,fino alle riforme leopoldine della secondametà del XVIII secolo, lo Stato di Siena,come entità territoriale, se non più politica,rimarrà in essere ancora quale “Statonuovo” all’interno del Granducato diToscana, continuerà Siena ad inviare suoicittadini ad amministrare la giustizia nellesue Terre e le vecchie magistrature repubbli-cane saranno conservate, mantenendo invita solo l’apparenza di un’autonomia, chenei fatti non esisteva più.

Celebrare i 450 anni del Trattato di CateauCambrésis significa ricordare un momentocardine per la storia europea ed italiana, maanche, per noi, non perdere la memoria di unavicenda dolorosa (che ha segnato una cesura,un punto di non ritorno, nella storia senese) edi tutti coloro che si sacrificarono nel tentati-vo di evitare il tragico epilogo.

Celebrare questo anniversario aMontalcino vuol dire sottolineare il capar-bio e disperato, quanto effimero, tentativooperato dai Senesi e dalle truppe francesi diopporsi ad un destino ormai segnato, nellasperanza di un improbabile ribaltamentodelle sorti della guerra.

La mostra organizzata a questo scopo sipone come un’iniziativa di alto profilo peril valore documentario e culturale e la rari-tà dei pezzi esposti nelle sue tre sezioni, chesono rispettivamente dedicate alla numi-smatica, alla cartografia ed alla bibliografia:nella prima si raccolgono, per la prima voltain tale quantità, le monete coniate dallaRepubblica di Siena ritirata in Montalcino,insieme ad altre del periodo precedente; laseconda, anch’essa molto ricca e di granderilievo, espone una serie di piante, alcunedelle quali inedite, di Montalcino e localitàlimitrofe; nella terza, infine, viene sottopo-sta al visitatore una significativa scelta delnutrito corpus di cinquecentine (circa 500volumi) possedute dalla BibliotecaComunale di Montalcino.

I versi di G. Marradi che celebrano l’eroica resistenza di Siena contro lo strapotere asburgico effigiati in una lapi-de sulla Rocca di Montalcino, che fin da ultimo difese la libertà dell’antica Repubblica.

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Una città nella storia, la storia nella città

Nell’ aprile 1559, a Cateau-Cambrésis,tra Enrico II di Valois, re di Francia eFilippo II d’Asburgo, re di Spagna (e figliodell’imperatore Carlo V), fu siglato il tratta-to che, nel definire l’assetto politico e terri-toriale d’Europa, sancì la fine dellaRepubblica di Siena.

Per nove durissimi anni gli eserciti impe-rial-medicei e franco-senesi si erano con-frontati in Toscana in una guerra senza quar-tiere. Assedi di straordinaria intensità, comequelli di Monticchiello e Montalcino nel1553, o quello di Siena nel 1554-5 ed unabattaglia campale, come quella di Marciano,2 agosto 1554, che sarebbe passata alla storiacome una delle più sanguinose del XVIsecolo, non avevano risolto una vicenda bel-lica destinata a protrarsi lungamente inmolte aree del territorio senese.

Nove tremendi anni di guerra, vissutidalle popolazioni toscane tra lutti, carestie eprivazioni di ogni genere, affrontati daidifensori di Siena, nella capitale e nel terri-torio, con eroica determinazione fino all’e-stremo sacrificio, non erano bastati allapoderosa armata ispano-medicea per sopraf-fare i Senesi e riportarli sotto l’egida del-l’imperatore.

Il breve tempo necessario all’ apposizio-ne di due firme fu invece sufficiente persuggellare un avvenimento di portata epo-cale, che avrebbe chiuso definitivamente itempi del Medio Evo e consolidato unanuova fase della storia europea.

Ma il trattato che sancì la caduta dellaRepubblica senese non fu il semplice atto dimorte di una qualsiasi entità comunalefiglia dell’antichità.

Anche in questo triste epilogo gli studio-si hanno visto e sottolineato l’eroica deter-minazione con cui, tra le invitte mura diMontalcino, fu difesa l’antica libertà diSiena da un popolo forse incapace di com-prendere il senso della storia, ma non inca-pace di offrire al mondo un sublime e raro

esempio di attaccamento alla patria. Unpopolo protagonista di un sogno, si badibene e non si dia importanza ad alcunemoderne interpretazioni revisioniste, con-diviso da gran parte delle popolazioni spar-se sul territorio senese e soprattutto dagliabitanti di Montalcino, che fino all’ultimogiorno affrontarono con generoso disinte-resse le stesse sofferenze degli esuli senesi ene sostennero le speranze.

Pertanto, non senza ragione la ricorren-za dei 450 anni dal trattato di Cateau-Cambrésis meritava una sottolineatura, ed èparticolarmente significativo che questa sot-tolineatura sia avvenuta proprio aMontalcino, dove Siena ammainò il suoultimo gonfalone repubblicano.

A tal fine, presentata dalla dotta disser-tazione storica di Enzo Mecacci che si leggeintegralmente alle pagine precedenti, è stataallestita una esposizione di documenti sto-rici: piccola nelle dimensioni, ma grandenelle motivazioni che l’hanno determinatae negli interessi che ha suscitato, assoluta-mente innovativa per alcuni documenti ine-diti che ha esibito.

E’ noto che una delle principali funzioniin cui uno stato estrinseca la sua sovranità è ilbattere moneta e anche durante l’esilio mon-talcinese la Repubblica di Siena continuò aprodurre giuli, testoni e parpagliole: pezzi inargento e anche in oro, scomparsi già inepoca granducale perchè ritirati da un edittocosimiano, che ritroviamo in mostra nellaloro quasi totalità. Alla serie delle moneteconiate a Montalcino è stata aggiunta unaesaustiva raccolta della precedente moneta-zione senese, dal XIII al XVI secolo, favoren-do così l’esposizione di un corpus numisma-tico tanto importante sotto il profilo storicodocumentale, quanto ambito da musei e dacollezionisti privati. Una rassegna espositivamai vista prima in questi termini di comple-tezza e di qualità dei soggetti esibiti.

L’impegno degli organizzatori ed in par-

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ticolare di Renato Villoresi e di AngeloVoltolini è stato premiato dalla generosadisponibilità degli enti prestatori: Montedei Paschi, Comune di Siena e MuseoNazionale del Bargello di Firenze, chehanno permesso loro di realizzare questaeccezionale selezione numismatica.

Alle pagine seguenti abbiamo estrattodalla mostra il corpus delle monete coniatedalla Repubblica di Siena negli anni dell’e-silio montalcinese, corredato da un brevesaggio di storia numismatica.

Chi scrive ha invece curato la sezionededicata alla cartografia ed alla vedutistica,che presenta, anche in questo caso in primaassoluta, piante e raffigurazioni diMontalcino realizzate con varie tecnichegrafiche e pittoriche. Una galleria in cuispiccano due famose tavolette di Biccherna,munificamente prestate dall’Archivio di

Stato di Siena, nonchè altri documenti car-tacei provenienti da collezioni private –quelle di Marcello Griccioli, di Paolo TiezziMaestri e dei montalcinesi Claudio Boc-cardi e Mario Pianigiani – e da enti pubbli-ci - come l’Archivio di Stato di Firenze e laBiblioteca degli Intronati di Siena -.

Il tema dell’assedio del 1553 e quellodelle fortificazioni montalcinesi legano idocumenti cartografici esposti, mai primastudiati in un contesto organico ed esibitinella loro complessità di serie. Mi domandoquanti altri comuni italiani non capoluogodi provincia possano vantare un così riccopatrimonio iconografico!!!

La terza sezione, infine, ha inteso illu-strare e promuovere l’ingente fondo librariocinquecentesco conservato presso laBiblioteca Comunale montalcinese. Vadetto subito che esiste un collegamento solocronologico, e non storico, con la pace diCateau Cambrésis o con le ultime dramma-tiche vicende della Repubblica di Siena, mala rilevanza di questa collezione libraria cheannette quasi seicento cinquecentine è note-vole, come appare dall’accurato studiointroduttivo di Katia Cestelli e CristinaPaccagnini pubblicato sul catalogo dellamostra, nonché dall’attenta schedatura dellastessa Cestelli, che permette l’immediataverifica del fondo montalcinese.

L’importante occasione celebrativa, chesostiene la mostra ed il relativo catalogo, hafavorito l’esposizione delle edizioni genera-te dalla cultura senese del Cinquecento edin alcuni casi prodotte da stampatori locali.Non posso non citare, a tal proposito, ilrarissimo libro con l’Opera omnia diAgostino Dati - Segretario della Repubblicadi Siena e grande figura del Quattrocentoingiustamente dimenticata - che fu pubbli-cato nel 1503 da Simone di Niccolò diNardo: il più antico editore senese che rea-lizzò con questa opera una delle sue primeimprese tipografiche.

E.P.Frontespizio della prima cronaca a stampa relativa all’assediodi Montalcino del 1553.

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La zecca della Repubblica diSiena ritirata a Montalcino (1556-1559)di RENATO VILLORESI E ANGELO VOLTOLINI

L’apertura della zecca a Montalcino fuuna delle conseguenze della caduta dellaRepubblica di Siena, che il 21 Aprile 1555,malgrado gli aiuti del re francese Enrico II,dovette arrendersi all’imperatore Carlo V eal suo alleato Cosimo I dei Medici.

A causa della sconfitta, 252famiglie nobili e 435 popola-ne, per non dover sottosta-re ai vincitori, deciserodi abbandonare la cittàe, sotto la guida delCapitano delPopolo MarioBandini, si rifugia-rono a Montal-cino dove, sem-pre sotto la pro-tezione di En-rico II, conti-nuarono a vive-re secondo leantiche leggidella repubblicasenese.

La roccafortedi Montalcino ac-colse, da quelmomento, tutti colo-ro che intesero difende-re ad oltranza la libertàdella patria perduta ericrearvi le antiche autonomierepubblicane e uno dei primi attidella nuova Repubblica fu quello di di-sporre l'apertura della zecca che operò perquattro anni battendo moneta, quale altaespressione di indipendenza.

L’incarico di aprire un’officina monetale

venne affidato ad Agnolo di NicolòFraschini, che già dal 1548 aveva marcatocon il suo segno, una A entro un cerchio,quasi tutte le ultime emissioni della zeccasenese, anche lui profugo in Montalcino,

circostanza che gli fruttò da partedegli imperiali una condanna a

morte in contumacia.L’apertura della zecca

a Montalcino fu sicura-mente voluta per dare

un ulteriore segnodi continuità alleistituzioni comu-nali senesi e perribadire il con-cetto che il tra-sferimento nonera altro cheuna prosecu-zione del pas-sato modo divivere e l’appal-to concesso alFraschini rien-

trava perfetta-mente in questa

idea. La produzione

della zecca di Mon-talcino iniziò nel mag-

gio del 1556 e fu semprecontraddistinta da una accu-

rata incisione dei conii, grazieanche all’indiscussa abilità del

Fraschini, e, malgrado il breve periodo diattività, vi furono coniate svariate tipologiemonetali le cui rappresentazioni si rifecerosempre a quelle delle emissioni senesi con

Al centro: Medaglione del Capitano del Popolo realizzato in oro e smalto durante l’esilio montalcinese, opera dello zecchiereAgnolo Fraschini. La Spezia, Museo Lia.

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l’Assunta, la lupa che allatta i gemelli, unoscudo araldico con la parola “LIBERTAS”inscritta in una banda trasversale e la lettera“S” iniziale del nome della città di Siena.

Furono emessi in oro scudi (fig. 2) emezzi scudi (fig. 3), a cui si affiancò unrarissimo multiplo da 4 scudi (fig. 1), conia-to quasi sicuramente per provocazione oforse scherno nei confronti degli imperiali edei loro alleati fiorentini, quindi in argentovennero battuti testoni (fig. 4), mai prodot-ti dalla zecca di Siena, giulii (fig. 5) e mezzigiulii, in mistura (lega di argento e rame)parpagliole (fig. 6 - 7 ) e mezze parpagliole(fig. 8) ed anche quattrini (fig. 9).

La Repubblica di Siena in Montalcinoebbe vita breve e conseguentemente anchela sua zecca, perchè a seguito della sconfittainflitta ai francesi a San Quintino (10 ago-sto 1557) ad opera delle truppe spagnolecomandate da Emanuele Filiberto diSavoia, il 3 aprile 1559, a Cateau-Cambrésisfu firmata la pace tra Filippo II di Spagna eEnrico II di Francia. Tale pace poneva fineanche alla guerra che vedeva Spagna eFrancia fronteggiarsi in Italia ed imponeva aquest’ultima di abbandonare la Repubblicadi Siena in Montalcino.

Così il 31 di luglio del 1559, Alessandrodi Vanoccio Biringucci, Capitano delPopolo, dovette sottoscrivere la capitolazio-ne della piccola repubblica e la cessione delsuo territorio al comandante delle truppespagnole. Per le monete coniate in questiquattro anni, piace ricordare quello chescrisse il Porri: “Il 14 d’Agosto del 1559,

quattordici giorni appunto dopo la resa diMontalcino, da Siena, dalla Balìa, ove giàservivano (tanto hanno potenza l’oro e glionori!) il novello padrone, chi sa quanti diquelli stessi, i quali poco dianzi si gloriava-no liberi, di servire città libera, fu pubblica-to un editto, col quale, a nomedell’Illustrissimo ed Eccellentissimo SignorDuca nostro Signore (essi dicevano) fissan-do il valore delle diverse monete in corso,erano colpite di un orribile anatema quellebattute in Montalcino, le quali per solotutto il mese di Settembre consecutivo,erano dichiarate conservare il loro valorenominale; dopo di che, tanto premeva cheandassero disperse, era ridotto a minore delreale. Enorme ingiustizia, la quale aggiuntaalla confisca, all'esilio, ... [ ... ] Quasichédistruggendo l’odiata moneta, rimanessedistrutta ogni memoria di un fatto piùunico che maraviglioso; [ ... ] Ma la mone-ta fu di certo distrutta; ed i pochi esempla-ri, i quali furono allora con mano timorosa,gelosamente nascosti e custoditi siccomereliquie del gran naufragio, or di rado s’in-contrano; [ ... ].”

Con la chiusura della zecca diMontalcino terminò la secolare e splendidaattività monetaria della Repubblica diSiena, in quanto da quel momento, le uni-che monete abilitate a circolare nei suoi ter-ritori, ad eccezione di alcune emissioni di-sposte da Cosimo I proprio per Siena, furo-no quelle del vincitore con l’immagine diSan Giovanni.

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Le monete della zecca di Montalcino

QUATTRO SCUDI d’oro 1556

Fig. 1) D/ Giglio . R . P . SEN . IN . M . ILICINO . HENRICO . II . AVSP . nel campo la lupa asinistra retrospicente mentre allatta i gemelli, sotto 15 (segno dello zecchiere Agnolo diNicolò Fraschini) 56, entro doppia cornice lineare.R/ + . TVO . CON FISI . PRAESIDIO . nel campo l’Assunta seduta di fronte sulle nuvo-le affiancata da quattro teste di cherubino per parte, entro doppia cornice lineare.Peso gr 13,23. Diametro mm 29,4.Montalcino 1555-1559. Il Trattato di Cateau Cambrésis, una pace tra due ere. Numismatica,Cartografia, Editoria. Montalcino, 12 dicembre 2009 - 28 febbraio 2010. n. 82.

SCUDO d’oro 1556

Fig. 2) D/ Giglio . R . P . SEN . IN . MONTE . ILICINO . nel campo la lupa a sinistra retrospi-cente mentre allatta i gemelli, sotto 15 (segno dello zecchiere Agnolo di Nicolò Fraschini)56, entro cornice lineare. R/ . HENRICO . II . AVSPICE . nel campo scudo ovale ornato con banda con scrittaLIBERTASPeso gr 3,18. Diametro mm 24,1. Montalcino 1555-1559. Il Trattato di Cateau Cambrésis, una pace tra due ere. Numismatica,Cartografia, Editoria. Montalcino, 12 dicembre 2009 - 28 febbraio 2010. n. 83.

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MEZZO SCUDO d’oro

Fig. 3) D/ : R . P . SEN . IN MONTE ILICINO nel campo grande S ornata R/ . . HENRI . . . II . AVSP . nel campo scudo ovale ornato con banda con scrittaLIBERTA Peso gr 1,66. Diametro mm 18. Montalcino 1555-1559. Il Trattato di Cateau Cambrésis, una pace tra due ere. Numismatica,Cartografia, Editoria. Montalcino, 12 dicembre 2009 - 28 febbraio 2010. n. 85.

TESTONE 1558

Fig. 4) D/ Giglio R . P. SEN . IN . M . ILICI . HENR . II . AVSP nel campo la lupa a sinistraretrospicente mentre allatta i gemelli, sotto 15 (segno dello zecchiere Agnolo di NicolòFraschini) 58, entro cornice lineare.R/ TVO . CONFISI PRAESIDIO nel campo l’Assunta seduta di fronte sulle nuvoleaffiancata da quattro teste di cherubino per parte, entro doppia cornice lineare interrotta inalto.Argento. Peso gr 9,20. Diametro mm 30,3. Montalcino 1555-1559. Il Trattato di Cateau Cambrésis, una pace tra due ere. Numismatica,Cartografia, Editoria. Montalcino, 12 dicembre 2009 - 28 febbraio 2010. n. 86.

GIULIO 1556

Fig. 5) D/ Giglio R . P. SEN . IN . M . ILICI . HENR . II . AVSP nel campo la lupa a sinistraretrospicente mentre allatta i gemelli, sotto 15 (segno dello zecchiere Agnolo di NicolòFraschini) 58, entro cornice lineare.

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R/ . TVO . CONFISI PRAESIDIO . nel campo l’Assunta seduta di fronte sulle nuvoleaffiancata da due cherubini che la sorreggono entro cornice lineare interrotta in alto.Argento. Peso gr 3,00. Diametro mm 26,5. Montalcino 1555-1559. Il Trattato di Cateau Cambrésis, una pace tra due ere. Numismatica,Cartografia, Editoria. Montalcino, 12 dicembre 2009 - 28 febbraio 2010. n. 88.

PARPAGLIOLA 1556 da 10 quattrini

Fig. 6) D/ Giglio . R . P. SEN . MONTE . ILICINO nel campo la lupa a sinistra retrospicentecon uno dei gemelli sdraiato sul suo dorso, mentre allatta l’altro, sotto 1556, entro cornicelineare. R/ (segno dello zecchiere Agnolo di Nicolò Fraschini) . HENRICO . II . AVSPICE . nelcampo croce con le estremità a forma di giglio con rosa nel centro entro cornice lineare.Mistura. Peso gr 1,81. Diametro mm 21,5. Montalcino 1555-1559. Il Trattato di Cateau Cambrésis, una pace tra due ere. Numismatica,Cartografia, Editoria. Montalcino, 12 dicembre 2009 - 28 febbraio 2010. n. 91.

PARPAGLIOLA 1557 da 10 quattrini

Fig. 7) D/ Giglio . R . P. SEN . MONTE . ILICINO nel campo la lupa a sinistra retrospicentementre allatta i gemelli, sotto 1557, entro cornice lineare. R/ (segno dello zecchiere Agnolo di Nicolò Fraschini) . HENRICO . II . AVSPICE . nelcampo croce con le estremità a forma di giglio con rosa nel centro entro cornice lineare.Mistura. Peso gr 1,75. Diametro mm 22,1. Montalcino 1555-1559. Il Trattato di Cateau Cambrésis, una pace tra due ere. Numismatica,Cartografia, Editoria. Montalcino, 12 dicembre 2009 - 28 febbraio 2010. n. 92.

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MEZZA PARPAGLIOLA 1557 da 5 quattrini

Fig. 8) D/ R P SEN IN MONTE ILICINO nel campo la lupa a sinistra retrospicente mentreallatta i gemelli, sotto 1557. R/ (segno dello zecchiere Agnolo di Nicolò Fraschini) HENRICO II AVSPICE nelcampo scudo ornato con banda con scritta S P Q S. Mistura. Peso gr 0,95. Diametro mm. 19.Asta NAC n. 53 del 7/11/2009, lotto n. 101.

QUATTRINO battuto secondo delibera del 23 settembre 1558

Fig. 9) D/ + R . P . SEN . IN . M . ILICINO nel campo grande S fogliata entro cornice lineare.R/ + HENRICO II AVSPCE nel campo LI // BE . RT // ASMistura. Peso gr 0,61. Diametro mm 17.Montalcino 1555-1559. Il Trattato di Cateau Cambrésis, una pace tra due ere. Numismatica,Cartografia, Editoria. Montalcino, 12 dicembre 2009 - 28 febbraio 2010. n. 93.

Le monete sono riprodotte su autorizzazione del Comune di Montalcino.

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La famiglia Mazzeinella storia di FonterutoliLa singolare vicenda di un borgo chiantigiano sul confine traSiena e Firenze appartenuto ininterrottamente alla stessa fami-glia dal 1437

di UBALDO MORANDI; fotografie di ROBERTO GERMOGLI/FOTOCRONACHE

FONTERUTOLI NELLA "CURTlS"DI TREGOLE DURANTE L'ALTOMEDIOEVO E QUELLO CENTRALE(SECC. IX - XlI)

Le vicende storiche della zona chianti-giana intorno a Fonterutoli, relative all'altoMedioevo e a quello centrale, non sonostate finora oggetto di ricerche approfondi-te, nonostante esista una scelta di temi cheinducono ad occuparsene.

Il toponimo Fonterutoli è ricordato per

la prima volta durante il passaggio dell'im-peratore Ottone III che, diretto a Roma perla via chiantigiana, si fermò appunto aFonterutoli ove il 20 Giugno 998 emanò undiploma imperiale per decidere l'apparte-nenza di alcune pievi ai Vescovi di Arezzo,Siena e Fiesole. Il più antico documentoche ne ricorda invece le vicende storiche, èun atto stipulato il 20 Maggio 1101 colquale vengono donate al Monastero diPassignano diverse terre tra le quali la "cur-tis" di Tregole, con la Chiesa di "San

La facciata della villa di Fonterutoli.

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Miniato a Fonterutoli". Era quella curtisuna circoscrizione territoriale piuttostoestesa, perché aveva per confini le terre diColleperroso e Cispiano, a nord; e quella diTopina a sud. Dal documento ora citato eda un altro rogato nell'Ottobre 1003 si trag-gono notizie che consentono di conoscereil signore feudale cui era stata affidata la cur-tis: si tratta di un nobile di origine germani-ca, di nome Tederico che fu insediato aTregole dall'imperatore Ottone I, quando,sceso in Italia, trovò la penisola devastata dacontinue guerre interne. Fu allora chel'Imperatore, per motivi di sicurezza, posefeudatari tedeschi nei castelli edificati a dife-sa dei valichi appenninici e della regionechiantigiana.

I documenti del 1003 e del 1101 ricor-dano i membri di una famiglia signorile diorigine germanica i cui discendenti sonoattestati quali signori della curtis di Tregole,e quindi di Fonterutoli, per tre generazionie fino al sec. XII. L'ultimo di essi non aven-do figli, donò tutti i suoi beni al Monasterodi Passignano con atto rogato il 20 Maggio1101.

Successivamente la storia di Fonterutolisi svolse nell' ambito delle vicende delMonastero ora ricordato, e della disputa fraSiena e Firenze per la supremazia sul conta-do. Alcuni sostengono che in Fonterutoliebbero signoria i Soarzi di Staggia; madocumenti che comprovino questa signorianon sono stati trovati. Non è da escludere,che, nell'intento di affermare il predominiopolitico nel Chianti, la Repubblica seneseabbia sollecitato i propri amici Soarzi a con-dizionare l'espandersi di Firenze nella zonaintorno a Fonterutoli. Caratteristica domi-nante dei secoli XII e XIII fu il dissolvi-mento dell'antica curtis di Tregole, ed il for-marsi della piccola proprietà, consistente interreni di modeste dimensioni, non sempreuniti, e sparsi in diversi luoghi. In un secon-do tempo alcuni proprietari ed anche pro-prietari - lavoratori di piccole porzioni diterra riuscirono, attraverso permute, acqui-sti e vendite ad accrescere il patrimoniofondiario e a strutturarlo in una più ampiaunità di coltura. La trasformazione oraricordata accadeva proprio quando le più

cospicue famiglie fiorentine cominciavanoad interessarsi ad acquisti di proprietà fon-diarie della zona chiantigiana.

PAESAGGIO AGRARIO E STRUT-TURA SOCIALE A FONTERUTOLI(SECC. XII-XV)

Fin dal secolo XIII Fonterutoli ha fattoparte della circoscrizione della pieve di S.Leonino il cui territorio, detto piviere, com-prendeva undici popoli: S. Leonino inConio, S. Michele a Rencine, S. Lorenzo aBibbiano, S. Giovanni a Rondinella, S.Pieroa Cagnano, S. Michele alla Leccia, S.Lorenzo a Tregole, S. Romolo a Corni a, S.Salvatore alla Castellina, S. Miniato aFonterutoli e S. Bartolomeo a Godenano.Tradizionale territorio chiantigiano dimedia ed alta collina con rilievi non moltoaccentuati (m. 260 - 567), a sud di Firenze,oggi componente l'attuale Comune diCastellina in Chianti.

Nel terreno della zona predomina la roc-cia argillosa, detta galestro, dove prospera-no le viti che forniscono uno dei vini piùpregevoli: il vino Chianti Classico.Anticamente la superficie a coltura eramodesta. Prevalente era il bosco ceduo epromiscuo, inframmezzato da campi e dapascoli, con filari di cipressi lungo i traccia-ti delle strade campestri, o disposti in pic-coli gruppi sparsi qua e là. Un paesaggio chei documenti dei secoli XIII - X ricordanocome “terra laboratoria”, ‘terra et silva’,“terra et vinea”, "vinea', “terra olivata”,“prato”, “pastura”, ecc.

Le colture principali erano vino, olio,grano, orzo, spelda, fave e biada. La produ-zione del vino, anche nei poderi più colti-vati, era piuttosto modesta. Durante il sec.XV, a S. Maria a Siepi, podere classico pereccellenza, la produzione annua non supe-rò mai i dieci barili; e quella dell' olio eraancora minore. Le viti e gli olivi erano pro-miscui in piccole porzioni di terra, conqualche raro pezzo a "vinea", soltanto con isecoli successivi si fece più attento l'interes-se al terreno intorno a Fonterutoli, quandos'incominciarono ad incrementare le pian-tagioni, ma soltanto con il secolo XIX note-

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voli estensioni sono state destinate alla col-tivazione di una sola specie di piante; men-tre la nota dominante odierna è data da vitied olivi a coltura specializzata in crescentecontinua espansione.

Per quanto riguarda la struttura socialedel territorio, i documenti relativi alla rile-vazione eseguita nel 1371 segnalano quattronuclei familiari esistenti a Fonterutoli, percomplessive quindici persone, oltre al par-roco. Il loro allibramento oscillava da unminimo di trenta a un massimo di quattro-cento lire annue, che furono assegnate aGiovanni di Neri. Oltre che possedere duecase a Fonterutoli, Giovanni era proprieta-rio di due poderi, quello di Santa Maria aSiepi e l'altro detto "Barberino": una pro-prietà che faceva di Giovanni il più facolto-so proprietario fondiario dell'intero pivieredi S. Leonino.

Le altre tre famiglie erano proprietaricoltivatori di piccoli appezzamenti di terredalle quali ritraevano a stento il necessarioper le più elementari necessità della vita.Dalle rilevazioni catastali del 1427 sappia-mo che i nuclei familiari erano divenuti cin-que e venti le persone, mentre immutata siera mantenuta la struttura sociale.Bartolomeo, figlio di Giovanni di Neri,

aveva consolidato la preminenza della fami-glia fra i proprietari fondiari del piviere di S.Leonino poiché ai due poderi erano statiaggiunti alcuni pezzi di terra acquistati nelpopolo di S. Lorenzo a Tregole. La concen-trazione di una notevole proprietà fondiariafin dalla metà del sec. XIV in una sola fami-glia, fa ragionevolmente supporre che i pro-prietari siano comitatini discendenti dalceto dei signori del contado.

Bartolomeo di Giovanni era nato nel1359; e quando nel 1412 e 1427 denunciò ipropri beni al catasto dichiarò di abitare aFonterutoli con la moglie, due figli e lamamma, novantenne, in una casa di suaproprietà confinante con la via, con i benidella parrocchia e con la piazza della chiesa.Dalla stessa denuncia dei beni sappiamoche ciascun mezzadro lavorava il poderecon l'ausilio di un paio di buoi e qualcheasino, acquistati dal proprietario.

Apprendiamo inoltre che la famiglia abi-tava nella casa annessa al podere; e che ilfondo era composto da terreno vineato, oli-vato, lavorativo, pomato e seminativo. Ilterreno boschivo e quello a pastura eradestinato al pascolo delle pecore, capre esuini che tanto rilievo avevano nell'econo-mia familiare.

Due suggestive immagini della villa dopo una nevicata negli anni ‘50. (Archivio fam. Mazzei)

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LA FAMIGLIA MAZZEI A FONTE-RUTOLI. M.a SMERALDA DI GIO-VANNI DI SER LAPO ELEMENTOOPERANTE DI DIFFUSIONE E CON-SOLIDAMENTO DELLA PRO-PRIETÀ. (SEC. XV)

Prima di stabilirsi a Firenze, la famigliaMazzei dimorava a Prato. Il più noto perso-naggio fu ser Lapo, il quale, oltre che nota-ro fu uomo di cultura assai stimato nellasua città. Durante la seconda metà delTrecento lasciò Prato e si trasferì a Firenze,ove si affermò a tal punto che la Signoriafiorentina gli affidò alcune ambasciate tra il1383 e il 1389. Divenuti cittadini fiorentinii Mazzei venderono in parte i beni fondiariposseduti nel pratese e cominciarono adinteressarsi ad acquisti di terre nella regionechiantigiana. L'acquisto di proprietà terriereda parte di famiglie fiorentine è ben docu-mentato fin dal sec. XIII. Coloro che ave-vano accumulato ricchezze desideravanopossedere terre nel contado, specialmenteverso il Chianti. Per quanto attiene la fami-glia Mazzei, tramite di questo interessa-mento fu una donna, m.a Smeralda, figliadi Giovanni di Ser Lapo. Nata probabil-mente fra il 1415 e il 1418, Smeralda erauna ragazza con caratteristiche che le confe-rivano motivi di distinzione nella societàfiorentina, tanto da non sfuggire all' atten-zione dei cittadini ed anche dei comitatini.Fra costoro si ricorda particolarmente un

giovane di Fonterutoli, Giovanni diAngiolo, nipote di quel Bartolomeo diGiovanni, il più facoltoso proprietario diterra dell'intero plebatico di S. Leonino.Nella prima metà del Quattrocento, Firenzeoffriva occasioni di lavoro ai campagnolipiù intraprendenti ma, soprattutto, erano ipiù ricchi che lasciavano la campagna per lacittà. A questo movimento di caratteregenerale, spesso si aggiungevano i fatti rile-vanti d'interesse civico - artistico - religiosodella vita cittadina. Ed allora molte personedel contado erano solite recarsi in città perpartecipare agli avvenimenti. Quando nel1434 il Brunelleschi terminò la cupola diSanta Maria del Fiore; e poi, nel 1436, papaEugenio IV consacrò la cattedrale, furonomolti i cittadini e i comitatini che parteci-parono alle cerimonie, secondo i cronistidel tempo. È probabile che vi partecipasseanche Smeralda per assecondare, fra l'altro,gli inviti dello zio Bruno, il valente artistache aveva eseguito i lavori in oreficeria peril duomo di Prato. Infatti lo zio Bruno,amico e stimatore del Brunelleschi (il qualeaveva esordito proprio come orafo nella suaprima attività artistica) non poteva mancaread una cerimonia tanto rilevante.Comunque è certo che in quegli anniavvenne il fidanzamento di Giovanni conSmeralda, e il matrimonio si compì nel1437. Dall'abitazione paterna fiorentina,Smeralda si trasferì a Fonterutoli in casa delmarito, che sorgeva dove oggi esiste la villaMazzei. Le relazioni con Firenze non s'in-terruppero perché Giovanni e Smeralda vi sirecavano spesso per incontrare i parenti cheabitavano in Via dei Servi, Via dei Ginori enel popolo di S. Marco. Andavano a trova-re spesso anche lo zio Bruno, l'artista, ilquale, sebbene ottantenne, teneva nel 1469ancora "buttiga" di orafo al "canto deiCavalcanti". Dal matrimonio di Giovanni eSmeralda nacque un figlio, a cui fu impostoil nome di Bartolomeo. Il fanciullo trascor-se l'adolescenza e la giovinezza a Firenze,dove, anche i genitori, avevano eletto ai finifiscali la residenza nel quartiere di S.Giovanni, gonfalone Drago. Nel 1469Smeralda rimase vedova e, dieci anni dopo,il 20 luglio, perse anche l'unico figlio,

Stemma della famiglia Mazzei.

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19La villa in una foto d’epoca. (Archivio fam. Mazzei)

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Bartolomeo: furono anni di sgomento cheperò riuscì superare. Lasciò Fonterutoli e sitrasferì a Firenze in casa di Lapo Mazzei,suo fratello; e, dalla città, prese ad ammini-strare il patrimonio fondiario lasciatole dalmarito con tanta oculatezza e previdenza.

A Castellina in Chianti acquistò uncasolare - fortezza "per rifugiare le cose intempo di guerra" come ella scrive. Eranoanni difficili quando Smeralda prese a gesti-re il patrimonio dopo la morte del marito.Nella regione chiantigiana infatti, l'esercitodi re Ferdinando d'Aragona più volte avevafatto dannose scorrerie.

Ma specialmente nel 1478, dopo la con-giura dei Pazzi contro Lorenzo ilMagnifico, centri di grande importanzastrategica come Panzano, Castellina, Radda,Tregole e Brolio furono assediati e "moltibeni abbruciati", come scrisse il commis-sario fiorentino, dalle truppe napoletanedel Duca di Calabria alleato di Siena.

Ma le "cose" di Smeralda, donna previ-dente, furono preservate.

Altri piccoli pezzi di terra sparsi qua e làfurono acquistati intorno a Fonterutoli colproposito, forse, di costituire un'altra unitàpoderale. Ne sono prova la denuncia deibeni fatta dagli abitanti nel 1504 e 1508 iquali dichiarano che i loro terreni confina-vano con appezzamenti di "M.a Smeraldadei Mazzei".

Dopo una vita laboriosa vissuta per lafamiglia, Smeralda morì il 5 Agosto 1508avendo superato i novanta anni. Qualchetempo prima aveva fatto testamento. NelFebbraio 1504 si presentò innanzi al notaioBaldassarre Bondoni per dettare le sue dis-posizioni testamentarie, dalle quali emergeuna figura di donna non comune, come delresto aveva dimostrato in tutta la vita. Sonoquelle disposizioni pervase di un forte sen-tire civico - religioso - familiare. Dopo averraccomandato la propria anima a Dio edalla Vergine, si dichiara citt. fiorentina abi-tante nel popolo di San Michele. Disponeche il suo corpo sia sepolto a Firenze nellaChiesa di San Marco "sub altaria et in sepul-tura de Mazzeis". Costituisce poi alcuni lega-ti a favore di conventi e monasteri dellacittà. Lascia denari a donne fiorentine alle

quali era legata da vincoli di parentela e diamicizia; in particolare a Lucrezia diLeonardo Mazzei, dopodiché nomina suoieredi il fratello Lapo ed i nipoti Giovanni,Raffaello e Leonardo, figli del defunto fra-tello Mazzeo.

Se non è il caso di dilungarsi sulla per-sonalità della gentildonna è certo comun-que che ella occupa una posizione distintatra i personaggi Mazzei per il contributodato dalla sua opera previdente, e di sagaceamministratrice del patrimonio familiare.Un patrimonio piuttosto notevole quello dicasa Mazzei, se oltre ai beni lasciati da M.aSmeralda, si considerano anche quelli esi-stenti a Prato. Per stendere i rogiti necessaria raggiungere, fra le persone di casa Mazzei,un equo equilibrio nella divisione delle pro-prietà possedute nel territorio pratese echiantigiano, fu incaricato il notaioBaldassarre Bondoni, della cui gestionenotarile si trovano registri dal 1509 al 1522interessanti appunto la divisione dei beni.A conclusione di quelle operazioni i fratelliBernardo, Leonardo, Mazzeo e Antonio,figli di Giovanni di Mazzeo, nel 1534,dichiararono di possedere il podere nelpopolo di S. Maria a Siepi " con casa dasignore e lavoratore e terra vignata, ulivata,boschiva e soda". Cristoforo di Leonardo diMazzeo, abitante a Fonterutoli dichiarò dipossedere il podere "Barberino". MentreFrancesco di Lapo di Giovanni, abitante aFirenze in via de' Ginori, dichiarò d'essereproprietario del podere di S. Miniato aFonterutoli "con casa per sé e per il lavora-tore" costituito dalla defunta Smeraldanegli ultimi anni del secolo XV.

Nella metà del successivo si andò adaffermare la diffusione dell'unità poderaleverso il Chianti, quando altre famiglie fio-rentine acquistarono piccoli appezzamentidi terreno contigui per formare una solaunirà lavorativa. Come fecero i banchieriStrozzi a Gagliole e, più tardi, il ducaSalviati, a Castagnoli; i nobili Landi, con ilpodere "Leccio", e i Cerchi che formaronoun podere nel popolo di Siepi che, nelSettecento, fu accorpato per un'unica gran-de unità colturale con quello di S. Maria aSiepi, posseduto dalla famiglia Mazzei.

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LO STATO SOCIALE DELLAPOPOLAZIONE DI FONTERUTOLINEL CINQUECENTO. INCREMEN-TO DEMOGRAFICO E EDILIZIO.PRESENZA E SVILUPPO DELL 'ARTI-GIANATO.

Non abbiamo documenti che attestinogli effetti della peste del 1348 sugli abitantidi Fonterutoli, e il declino demografico pro-vocato da quell' epidemia e dalle conse-guenti carestie. Abbiamo tuttavia motiviper ritenere che anche quella popolazionenon sia stata risparmiata. Infatti la rilevazio-ne del 1371 indica il momento più bassodella depressione demografica aFonterutoli. L'inizio della ripresa si notanella prima metà del Quattrocento con unamodesta crescita di nuclei familiari e di abi-tanti; ma è soltanto con la seconda metà diquel secolo, l'inizio di un sicuro, costanteaumento della popolazione. In rapportoinvece alla struttura sociale rileviamo che,alla presenza di un solo proprietario cittadi-no, m.a Smeralda Mazzei, nei primi annidel Cinquecento, Fonterutoli vede l'affer-marsi del ceto dei piccoli proprietari - lavo-ratori e il timido apparire dell' artigianato.

Indice di questa crescita è l'incrementoedilizio che si nota fin dal principio di quelsecolo, nonostante la condizione di povertàdegli abitanti. Costoro infatti erano in pre-valenza piccoli proprietari che lavoravano"pezzuoli di terra lavorativa, vignata eboschiva". Dalla rilevazione del 1504appaiono dodici famiglie di cui, soltantouna possedeva e lavorava un "poderuzzo"con annessa casa e capanna. Era quella deifratelli Tommaso e Domenico di Andrea.Per mancanza di abitazioni, tre nuclei fami-liari abitavano fuori: uno a Poggibonsi, l'al-tro a Castellina mentre, il terzo, quello diSanti di Biagio con la moglie e due figlie, "istava per fatore con Piero di GiovanniRicasoli". Bartolomeo di Nanni abitavainvece in una casa di sua proprietà, mentrei rimanenti nuclei avevano, come propriadimora, una porzione di casa. Infatti, nonpotendosi permettere subito un completoedificio abitativo, procedevano nel tempoper gradi, come si deduce dalla denuncia

del 1504 quando alcuni dichiararono di abi-tare in una "mezza casa" oppure in una"parte di' casa", cercando di utilizzare almassimo il volume disponibile. Così feceVirgilio di Nello che dichiarò di possedereun terzo di casa" per mio abitare... e, sottodetta casa, una boteguccia ad uso di fabro".La conclusione dell' edificio avveniva suc-cessivamente o per opera del primo pro-prietario, oppure degli eredi, come ci ricor-dano Baldassarre, Antonio e Simone figli dilacopo di Virgilio Nelli, i quali, nel 1570,dichiararono di possedere "una casa" perabitazione, con sottostante la bottega aduso di fabbro, confinante con i beni diFrancesco Mazzei.

Nella seconda metà del Cinquecento sierano determinate le condizioni per lo svi-luppo e l'affermazione di attività lavorativea livello familiare. Oltre all'aumento pro-gressivo di lavoro per preparare e riparareoggetti in ferro e serramenti, esercitato daifratelli Nelli, l'aumento di superficie desti-nata alla vite richiese presto la presenza diun artigiano per i vasi vinari. Fu Francesco

Il portale cinquecentesco della villa decorato con una corni-ce in bugnato.

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di Carlo di Nello che, nel 1567, si dichiaròartigiano per la fabbricazione e riparazionedi botti e barili.

Altra attività esercitata nell' ambito fami-liare era quella dei fratelli Lorenzo, Paolo eTaddeo di Taddeo che si dichiararono tessi-tori di pannilani e fornitori di copertepesanti per l'inverno. Un artigiano diPoggibonsi, Giovanni Battista di Francesco,proprietario di una casa a Fonterutoli, nel1576 dichiara di esercitare l'arte del carbo-naio preparando il carbone sul posto e ven-dendolo poi in Val d'Elsa.

Quelle che ora sono state brevementericordate sono tutte persone operanti aFonterutoli verso la fine del Cinquecentonell' attività artigianale che, nei secoliseguenti, andrà notevolmente crescendo.

INCREMENTO PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA MAZZEI

Prima della metà del sec. XVII il patri-monio fondiario si accrebbe di una nuovaunità poderale. Nel 1647, infatti, Francescodi Raffaello di Zanobi di Raffaello diMazzeo di Giovanni di Ser Lapo, ottennedal rettore della chiesa di San Miniato aFonterutoli in enfiteusi per sé ed i figlidiscendenti maschi "in perpetuum", unpodere composto di pezzi di terreno confi-nanti, posti a Fonterutoli. Nel rogito notari-le sono scritti i nomi dei luoghi coi quali siidentificavano gli appezzamenti di terra,che in parte si vogliono qui ricordare, persegnalare l'importanza della toponomasti-ca. In alcuni casi si tratta di toponimi alto-

Antiche costruzioni nel borgo di Fonterutoli.

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23Nel cuore del borgo, sulla destra, il tabernacolo dipinto da Luciano Guarnieri.

medievali come la "Fonte", una sorgente diorigine remotissima dalla quale si è formatoil nome del paese "Fonterutoli".

Un toponimo di rilevante interesse è“Monsanese” che indica l'altura da cui siosserva il panorama di Siena, ricordato findal secolo XIII. Altri traggono origine dallecondizioni del suolo o dalla vegetazionequali "Macia", "Pianacci", "Prato", "Colto","Ginepraio", ecc.

Altri sono nati probabilmente per eti-mologia popolare come le "Tavernacce"."Sopra la strada maestra", "Barberine""Truologo", "Campo alla fonte", "Bombi"ecc. Questi nomi, ed altri che si omettono,consentono di ricostruire la fisionomia delterritorio oggetto di questa indagine.

In difetto della linea mascolina di

Francesco, i beni sarebbero passati ai figlimaschi di Zanobi e di Piero suoi fratelli.

Nella motivazione della concessioneenfiteutica si dice che i fratelli Mazzei"sono stati sempre e sono di presente bene-fattori di detta Chiesa"; e poiché il poderenon aveva la casa per il mezzadro, l'enfiteu-ta Francesco avrebbe provveduto con unalloggio che possedeva in paese. QuestoFrancesco era persona stimata anche in rap-porto alle sue capacità giuridiche tanto che,nel 1648, fu chiamato ad esercitare le fun-zioni di Vicario a Vico Pisano. Durante ilsec. XVII la proprietà fondiaria della fami-glia prese ad espandersi in un altro popolo,quello di S. Niccolò al Trebbio doveMazzeo di Giovanni compare come pro-prietario del podere la "Fonte" e, nel sec.

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XIX, anche il podere la "Badiola" conannessa un'antichissima e pregevole cappel-la di architettura romanica, entrò nel patri-monio familiare. Infine, semprenell'Ottocento, i fratelli Zanobi - Mattias eCarlo Mazzeo di lacopo, acquistarono ilpodere "Valacchi" provvisto di aia e casa peril mezzadro, di stile cinquecentesco, ancoraben visibile. Dai registri del catasto particel-lare toscano impiantato negli anni 1825 -30, ed aggiornato fino ai primi decenni delXX secolo, si rileva il paesaggio agrario del-l'intera proprietà. I fondi "Fonte" e"Badiola" erano provvisti di casa colonica,capanna e aia, con terreno vitato e lavorati-vo, pioppato e a pastura; nel fondo "Fonte"predominava il bosco a palina per la produ-zione di pertiche e pali. Diverso il paesaggiodei fondi intorno a Fonterutoli e a Siepi,che era costituito principalmente da semi-nativi semplici e arborati, consistenti, iprimi, in terreno lavorativo nudo e, i secon-di, in terreno vitato, olivato, pioppato, vita-to e pomato, vitato e olivato, con alcuniprati e orti, specialmente a Siepi e a

Valacchi. In particolare a Siepi si nota unacrescita di superficie destinata ai seminativi,vigneti e oliveti. Ciascun podere era provvi-sto di fabbricati rurali come la casa per ilmezzadro, la capanna e l'aia. Soltanto ilpodere ricevuto in enfiteusi era sprovvistodi casa. Quello invece posto a Siepi, avevaun'abitazione molto grande che occupava1254 braccia quadrate di superficie (l brac-cio = 0,58 centimetri). Nella prima metàdell'Ottocento la proprietà dei beni di cui siè accennato, si concentrò nei fratelliFrancesco, Jacopo e Antonio Mazzeo diMattias Maria di Antonio di Jacopo diMazzeo di Zanobi, fratello, quest'ultimo,dell' enfiteuta Francesco. Questi beni per-vennero, nel 1856, a Francesco e lacopo diMattias Maria. Alla morte di Carlo Mazzeo,figlio di Jacopo, avvenuta a Firenze il 24dicembre 1899, divennero comproprietariper metà, Zanobi Mattias del fu Jacopo e,per l'altra metà, Maria Teresa, MariaAntonietta e Jacopo del fu Carlo Mazzeo.Nel 1919, infine, Jacopo ne divenne unicoproprietario.

Il borgo di Fonterutoli nell’ottocentesco disegno di Ettore Romagnoli.

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La riscoperta della Via Lauretana nel tratto senese ed aretinoUn antico percorso di fede e di artedi FRANCO BOSCHI

Una tavola Rotonda tenutasi a Valianoil 26 settembre dal Centro Culturale “GensValia” sul tema “La Via Lauretana dalleCrete Senesi alla Val di Chiana Senese-Aretina”, un antico itinerario di artisti, pel-legrini e mercanti dalla Via Francigena aSiena alla Via dell’Alpe di Serra pressoCamucia di Cortona, ha riacceso l’interessedegli studiosi su questa storica via regia.

Una strada molto transitata tra il XV e ilXVII secolo, che, staccandosi dalla ViaFrancigena a Siena, aveva origine a Porta

Pispini e si rivolgeva ad est per raggiungereCamucia ai piedi di Cortona. Poi l’anticopercorso lauretano si dirigeva sulla spondaorientale del Lago Trasimeno, attraversavaPassignano, lambiva Perugia e proseguivasino a Foligno. Da questa città, si dirigevaverso gli Appennini umbro-marchigiani,valicandoli all’altezza del Passo diColfiorito, per giungere attraverso varielocalità a Loreto. Colà, secondo la tradizio-ne, nel 1294 si adagiò, portata dagli angelisu un colle di lauri, vicino al mare, la pic-

L’uscita da Siena attraverso Porta Pispini in una foto di mezzo secolo fa. Da qui i pellegrini iniziavano il loro percorso di fedealla volta di Loreto, per pregare nella piccola casa nazarena di Maria, che, secondo una leggenda, vi era stata trasportata mira-colosamente in volo dagli angeli.

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Particolare della carta della Val d’Ombrone superiore, tratta dall’atlante di Attilio Zuccagni Orlandini (Firenze, 1832). La carta indica chiaramente l’itinerario della Lauretana da Siena fino a Poggio Pinci e alle sorgenti termali di Montalceto, attra-verso Taverne, Monselvoli, Vescona ed Asciano.

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cola casa di Nazareth dove era avvenutol’Annuncio dell’Angelo a Maria e doveGesù aveva vissuto fino al suo magisteropubblico.

A differenza della vicina Francigena cheha continuato ad essere percorsa anche neitempi moderni da chi si recava a Roma, laLauretana senese-aretina, itinerario essen-zialmente devozionale, ha perso nei secoliviandanti e pellegrini di lungo percorso, chehanno scelto nuove strade per raggiungerela meta. La strada è stata quindi dimentica-ta e sostituita da altri tracciati più comodi:difficilmente chi vi transita oggi ne ricollegail nome all’antico pellegrinaggio versoLoreto.

Alcuni ricercatori sisono concentrati nellostudio delle presenzeartistiche ed architetto-niche disseminate lungol’antico percorso ed inparticolare Divo Savelliha richiamato l’attenzio-ne su di un affresco,probabilmente dell’an-no 1500, che si trova inuna vetusta chiesa d’im-pianto romanico adAsciano, lungo la vec-chia Lauretana appenafuori del borgo.

Un’opera di pregevo-le qualità e di nonmodesto rilievo artisti-co, che lo studioso rife-risce per aspetti stilisticie iconografici ad unadelle tante decorazionidevozionali che si trova-no lungo la via di pellegrinaggio.

In virtù di una scritta graffita sull’affresco,oltrechè dell’esame oggettivo della figura,Savelli ha poi sostenuto che il dipinto fossestato eseguito dal sommo Raffaello proprioin occasione del grande Giubileo di MezzoMillennio (Silvia Roncucci in ACCADE-MIA DEI ROZZI, 23-2005, da p. 51).

Per avvalorare questa ipotesi occorrevaaccertare che veramente il termine di ViaLauretana si riferisse proprio al cammino

dei pellegrini verso Loreto. Occorreva quin-di trovare dei segni, delle testimonianze checonfermassero questa sua, oggi dimenticata,ma un tempo importante funzione.

I toponimi di spedale, taverna, osteria, lefonti e i ruderi di antichi abbeveratoi per icavalli che si susseguono ancora lungo lastrada e, poi, vistosi tabernacoli, cappelleviarie, grandi croci ai bivi delle strade, offro-no importanti e suggestivi indizi.

Ovviamente, la testimonianza più atten-dibile che è stata trovata è quella data dallenumerose immagini di devozione al cultomariano, spesso con specifici riferimentialla Madonna di Loreto, presenti nellechiese lungo la strada o nelle sue vicinanze,

sia nelle Crete senesi chein Val di Chiana.

A Siena, sulla facciatadella stessa porta Pispini,dove ha origine la ViaLauretana, Sodoma ave-va affrescato una nativi-tà, oggi in gran parte per-duta, ma immagine pereccellenza del cultomariano e testimonianzaevidente dell’antico a-more dei Senesi per laloro celeste protettrice.Successivamente la Lau-retana incrociava laScialenga in prossimitàdi Monselvoli, dove unantico documento riferi-va della presenza di unospedale per pellegrini eviandanti e, proseguendoverso oriente, lambiva isacelli di San Florenzio a

Vescona e di San Giovanni alla Pievina.Superato con un ponte il fiume Ombronela strada raggiungeva Asciano, dove trovavaben due chiese con importanti riferimenti alculto mariano: la cappella stradale di S.Sebastiano in Camparboli, nella cui absidetroviamo uno straordinario affresco con laMadonna Assunta di Benvenuto diGiovanni e di Girolamo di Benevenuto e lachiesa romanica dedicata ai Santi Ippolito eCassiano. 27

Questo ottocentesco disegno di J. Anton Rambouxriproduce nella sua interezza la Natività dipinta dalSodoma sul frontale di Porta Pispini, di cui oggi siconservano solo scarsi frammenti.

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L’Assunzione affrescata da Benvenuto di Giovanni e Girolamo di Benvenuto nella cappellastradale di S. Sebastiano in Camparboli ad Asciano.

E’ questa la struttura religiosa, già annessaad un ospedale dei Gesuati, nella qualeSavelli ha ipotizzato l’intervento pittorico delgiovane Raffaello. Lasciata Asciano, laLauretana proseguiva verso Sinalunga affron-tando la collina del Lecceto, alle cui falde ipellegrini potevano avvalersi della importante stazione termale di Montalceto eseguendo poi un percorso segnato da alcuni cippi miliari - tutt’oggi visibili - cheindicavano la distanza dalla colonna grandu-cale di Arbia.

In val di Chiana, la Via Lauretana nonpoteva rivolgersi direttamente verso Cortonaa causa dell’area paludosa che impediva ilpassaggio a uomini ed animali, dovendo, pertanto, costeggiare lapianura tra Sinalunga e Torrita, che raggiun-

geva in prossimità di Rigaiolo: il piccoloborgo, situato non lontano dalla pieve sina-lunghese di San Pietro ad Mensulas, dovealcuni scheletrici apparati della chiesa strada-le detta della Madonna del Gallo - oggi inrestauro - e un vistoso tabernacolo settecen-tesco a forma di cappella si offrono ancora alla devozione dei passanti.

In prossimità di Torrita di Siena, laLauretana passa in mezzo ad una sorgente e ad un’altra chiesa consacrata alculto mariano, la Madonna delle Fonti a Giano: simile nella configurazionearchitettonica seicentesca al limitrofo, bassoedificio che era stato eretto a protezione diuna fonte dove si dissetavano in passatouomini e animali. Sempre a Torrita, troviamoun altro edificio mariano, la Madonna delle

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Nevi, forse non ricollegabile alla Lauretana ealla devozione dei pellegrini, ma capace dievocare nella semplice aula rettangolare preceduta da una loggia in lateri-zio il tipico aspetto di una cappella stradale,arricchita, come a Camparboli di Asciano, dauna pregevole Assunzione di Girolamo diBenvenuto.

Proseguendo il viaggio, entriamo in terri-torio poliziano. La Lauretana, ad Abbadia diMontepulciano, attraversa longitudinalmen-te il centro abitato, sfiorando la Parrocchialedi San Pietro del XVI sec., quindi, in uscitadal borgo, lascia, a sinistra, la medievale chie-setta di San Pietro Vecchio, da poco restaura-ta e, a destra, la Fattoria Granducaledell’Abbadia, con la Villa Granducale impre-ziosita dal parco all’italiana, con la Casa del

Fattore ed i locali per le maestranze; unnucleo di immobili al servizio dell’agricoltu-ra che risale al 1806 e che annuncia l’ormaiprossimo fondovalle della Val di Chiana:grande area pianeggiante, antico Granaiod’Etruria, prima impaludata nel 1055 adopera degli Orvietani, poi bonificata dairegnanti toscani ad iniziare dal 1551.

Superato il torrente Salarco si può apprez-zare una delle opere più belle della bonificachianina, ovvero la Serra del Salarco, proget-tata dall’Ing. Alessandro Manetti nel 1849 -come scritto sulla parete verticale ove cadonole acque con un gran salto - al fine di inverti-re il corso del torrente dal lago diMontepulciano al Foenna. In questo luogoaveva origine il gran canale Allacciante diSinistra.

Un’altra pregevole Assunzione di Girolamo di Benvenuto nella cappella torritesedella Madonna delle Nevi.

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Madonna con Bambino e Santi nella chiesadei Santi Ippolito e Cassiano, situata lungola Lauretana poco fuori Asciano.Sulla figura di destra dell’affresco si legge ilgraffito con la firma “Rafael“, che ha ali-mentato la recente attribuzione al grandemaestro urbinate, sollevando motivate per-plessità in assenza del necessario supportodocumentale.Autorevoli critici, infatti, hanno espressonon pochi dubbi al riguardo ed è opinionecomune che il problema della paternità del-l’affresco debba essere affrontato con la mas-sima cautela, in attesa di adeguati appro-fondimenti di studio.D’altra parte l’opera mostra non modestipregi formali, che giustificherebbero ulterioriattenzioni critiche anche a prescindere dallaesigenza di chiarire l’enigmatica presenza diRaffaello. La foto in basso evidenzia il sempliceimpianto romanico della chiesa ascianese.

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Questa sezione della Lauretana corre daprima perpendicolare e poi parallela alCanale e, dopo circa due chilometri, raggiun-ge il bivio posto presso la Chiesa della Maestàdel Ponte, a Montepulciano Stazione: un edi-ficio sacro che nasce nel 1616 - come impres-so nel trave dell’orditura maestra - da unacappella stradale con l’immagine dellaMadonna situata sul bivio dell’antica strada

alla fine del lungo tavolato su pali che attra-versava la palude proveniente dal piede dellacollina di Valiano.

Due chilometri dopo la Lauretana superail Canale Maestro della Chiana sul ponte diValiano: dove si dice che transitasse Annibalecon il suo esercito per sferrare l’attacco alConsole Flaminio sulle rive del Trasimeno.

Attraversato il maggior canale della

La chiesa stradale della Madonna del Gallo a Rigaiolo di Sinalunga; la targa devozionale sul portale della chiesa torritese dellaMadonna delle Fonti a Giano; particolare del basso edificio che protegge l’antica sorgente antistante l’edificio sacro; la cappelladella Madonna delle Nevi, sempre a Torrita di Siena (dall’alto in basso).

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Fotografie d’epoca che riprendono il sinuoso percorso della Lauretana nelle Crete ascianesi, tra Monselvoli, Mucigliani e LaPievina, quando la sede stradale era ancora bianca e polverosa. Non è fuori luogo pensare che la vecchia provinciale seguisse in questa tratta l’originale tracciato della Lauretana.

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bonifica di questa valle, dopo tre curve suuna ripida salita, la Lauretana giunge alborgo medievale di Valiano, fondato inepoca romana dalla Gens Valia. Il castello,appartenuto dal 1100 ai Marchesi BourbonDel Monte Santa Maria, passò nel 1357 aiDel Pecora di Montepulciano con l’aiuto diPerugia; estintasi la Signorìa poliziana, nel1427, il popolo di Valiano ottenne daFirenze che il borgo fosse riconosciuto libe-ro Comune e lo rimase fino al 1774, quan-do Pietro Leopoldo con la riforma comuni-tativa ordinò che fosse annesso a quello diMontepulciano. All’interno delle stretteviuzze del centro storico c’è l’antica Pieve diSan Lorenzo, restaurata e ampliata a crocelatina nel 1804, con al suo interno un mira-coloso Crocefisso ligneo del XVI secolo etre pregevoli dipinti di cui uno su tavola conil Santo Patrono ed un altare ricostruito deiDella Robbia. Sulla piazza osserviamo ilpalazzo comunale, oggi centro civico, e ilpalazzo dei Del Pecora; di lato alla porta diaccesso la portella del gabelliere.

Ripreso il cammino sulla Lauretana,dopo circa tre chilometri su di una collina adestra si ammirano il Borgo storico diPalazzi e le cinquecentesche ville signorilidel Vescovo Vagnucci e del Cardinale SilvioPasserini, vicario in Toscana del PapaClemente VII; più avanti, oltrepassato ilconfine provinciale Senese-Aretino, ci siimmerge nel territorio dell’antica lucumo-nìa della Tabula Cortonensis e si attraversa-no i borghi di Centoia e di San Lorenzo,per poi raggiungere, a Camucia, l’innesto

con l’antica Via dell’Alpe di Serra - oggi laS.P. 71 Umbro-Casentinese -.

Da qui il percorso della Lauretana prose-gue verso l’Umbria e le Marche, fino aLoreto, dove la Santa Casa, oggi postaall’interno di una grande basilica cinque-centesca, annuncia il termine del viaggio.

E’ stata scoperta, da chi scrive questanota, un’altra curiosità storico-territorialedel percorso della Via Lauretana e dellecause che avevano determinato l’ attraversa-mento della Chiana sullo storico Ponte diValiano. Comunemente, infatti, le vie regieo le vie di pellegrinaggio puntavano al lon-tano luogo di arrivo seguendo itinerari ret-tilinei, compatibilmente con la conforma-zione del terreno; ma la via Lauretana, nellasezione senese-aretina, anziché seguire l’at-tuale tracciato del raccordo autostradaleSiena-Perugia, allungava e non di poco ilsuo percorso verso Sud, perchè?

Questo il motivo. La Val di Chiana erastata allagata dal 1055 dagli Orvietani conla realizzazione del noto Muro Grosso diCarnaiola, presso Fabro, e come dimostra ilrilievo di Leonardo da Vinci del 1503, ilponte più vicino all’itinerario lauretano eraquello di Valiano, che, come detto, univa laterraferma attraversando la palude con untavolato su palafitte dalla località Maestàdel Ponte al piede della collina di Valiano.Gli unici altri ponti si trovavano molto piùdistanti, presso Arezzo e alle Torri chiusinedi Beccati questo e Beccati quest’altro.

Da notare che la Via Lauretana era l’uni-ca strada che conduceva da Perugia a Siena

La piccola chiesa della Maestà del Ponte, lungo laLauretana presso Montepulciano Stazione.

Veduta seicentesca di Cortona, dove nel sobborgo di Camuciala Lauretana incrociava l’antica via dell’Alpe di Serra.

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e fa piacere pensare che anche i pittoriumbri: Perugino, Pinturicchio e lo stessoRaffaello, quando si recavano a Siena,seguissero il percorso Lauretano.

Riguardo al sommo Raffaello, sappiamoche debuttò, diciassettenne, a Città diCastello, in occasione del Giubileo del 1500- occasione, come tutti gli Anni Santi, digrandi fioriture artistiche - con un’ immagi-ne strettamente lauretana: l’Incoronazionedi San Nicola da Tolentino, eseguita per l’al-tare dei Baronci nella locale chiesa diSant’Agostino. San Nicola da Tolentino è ilSanto che, dal suo convento di Recanati,avrebbe visto la Santa Casa scendere, sorret-ta dagli angeli, sul colle di Loreto. Raffaellosi sarebbe poi recato a Siena, in questa mis-sione decorativa al seguito del suo maestroPinturicchio, lasciando varie, probabili trac-ce del suo passaggio.

L’attività di Raffaello, il celebre pittoredelle Madonne, ma inedito pittore laureta-no, sarebbe continuata più tardi a Firenzecon la Madonna del cardellino, dipinto incui, sulla destra, l’edificio a pianta centraleche svetta su una collina potrebbe ricordareil Santuario di Loreto. La tavola fu eseguitaper le nozze di Lorenzo (Laurentius) Nasi, ilmercante fiorentino che aveva una cappella

nella chiesa di Santa Lucia dei Magnoli,contigua al suo palazzo di Via de’ Bardi,cappella che fin dal ‘600 risulta dedicata allaMadonna di Loreto e che addirittura ripro-duce le dimensioni della Santa Casa.

Il percorso lauretano di Raffaello sarebbeinfine terminato a Roma, in Santa Maria delPopolo, la prima chiesa che i pellegrini pro-venienti da Loreto trovavano entrando incittà. A Roma ristrutturò per il banchieresenese Agostino Chigi la Cappella di Loreto,che il cardinal Girolamo Basso della Rovere,protettore della Santa Casa, aveva fattocostruire a fine ‘400, e per la quale dipinseuna Madonna di Loreto, ora a Chantilly,che ne ha adornato a lungo l’altare.

Dunque una strada, la Lauretana, costel-lata di pregevoli opere artistiche e architet-toniche che attestano la colta devozionedelle popolazioni locali. Ma quante ancorasaranno da scoprire? Vi terremo aggiornati e... state pronti. Con la buona stagione i ricer-catori del “Gens Valia“ e di altre associazio-ni culturali della Val di Chiana programme-ranno nuove escursioni alla riscoperta deitesori di questa antica via della fede e dellameravigliosa parte della Toscana che essaattraversa.

Uno dei molti cippi miliari della Lauretana, ancoravisibili lungo la tratta tra Asciano e Sinalunga.

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Aretafila Savini de’ Rossi:ritratto di una letterata senese del Settecentodi ELEONORA SPINOSA

Aretafila Savini de’ Rossi,1 letterata e dise-gnatrice senese del primo Settecento, diven-ne celebre grazie all’Apologia in favore deglistudj delle donne, redatta nel 1723 a seguito diuna disputa tenutasi all’Accademia deiRicovrati di Padova sullo scottante temadell’educazione femminile. Nel 1723Antonio Vallisneri, medico e filosofo natu-ralista, allora “principe” dell’accademiapatavina, aveva proposto un tema «curioso»e inusuale di discussione: Se le donne si deb-bano ammettere allo studio delle Scienze e delleArti belle. Assegnate d’ufficio le parti delladisquisizione, si scontrarono nell’arena ora-toria il dotto padovano GuglielmoCamposampiero, favorevole all’istruzionefemminile, e il professore d’eloquenzaGiovanni Antonio Volpi, che invece tentòdi dimostrare il danno sociale che l’ammis-sione femminile agli studi avrebbe compor-tato. Il «gran romore» suscitato dalla dispu-ta dei Ricovrati e in particolare dalle tesi delVolpi raggiunse Siena, provocando lo sde-gno della Savini che rispose in difesa delproprio sesso con una lettera, in seguito

denominata Apologia in favore degli studj delledonne. L’opera della poetessa senese ottenneil privilegio delle stampe nella compositaedizione dei Discorsi Accademici del 1729,un traguardo a dir poco lusinghiero, consi-derato il caratteristico riserbo femminile apubblicare e l’ardito contenuto, apertamen-te in contrasto con la tradizione misoginasettecentesca.2 L’audacia e la spregiudicatez-za delle tesi esposte dalla letterata nel brevescritto in favore della causa femminile lehanno garantito l’epiteto di femminista antelitteram da parte della critica letteraria del-l’ultimo quarantennio.3

Sebbene più volte menzionata all’interno diuna cospicua bibliografia relativa al temadell’istruzione della donna, la figura diAretafila non è stata tuttavia approfondita-mente indagata dalla critica. Scarsa o quasinulla è stata l’attenzione rivolta finora allabiografia della Savini. Questo contributo sipropone quindi di colmare tale lacuna rico-struendo per sommi capi le vicende biogra-fiche della letterata. L’esiguità dei documen-ti facenti riferimento alla Savini de’ Rossi

1 Il singolare nome ‘Aretafila’ è ispirato ad Areta-fila di Cirene, vissuta ai tempi di Mitridate, eroinadall’inusitata bellezza e dal nobile spirito civico la cuistoria è narrata nel trattato Le virtù delle donne diPlutarco. Aretafila significava infatti: ‘amante dellavirtù’.

2 Cfr. Discorsi accademici di vari autori viventi intor-no agli studj delle donne; la maggior parte recitatinell’Accademia de’Ricovrati di Padova. Dedicati a S. E. lasig. Procuratessa Elisabetta Cornaro Foscarini, Padova,Giovanni Manfrè, 1729 (d’ora in avanti semplice-mente Discorsi accademici).

3 Il primo critico ad occuparsi di lei fu GiulioNatali che definì la sua opera «lodevole per rigor dilogica e vivezza di dettato». Negli anni Ottanta poi laSavini de’ Rossi fu oggetto di studio da parte diLuciano Guerci che evidenziò il suo peculiare contri-

buto alla vexata quaestio degli studi femminili. Nuovaattenzione le fu dedicata nel 1994 da AntonellaGiordano Letterate toscane del Settecento, fino alla piùrecente trattazione della studiosa americana RebeccaMessbarger. Cfr. G. NATALI, Gli studii delle donne, in id.Il Settecento, Milano, Vallardi, 1964, vol. I, pp. 120-157; L. GUERCI, La discussione sulla donna nell’Italia delSettecento. Aspetti e problemi, Torino, Tirrenia, 1987; A.GIORDANO, Letterate toscane del Settecento. Un regesto,con un saggio di L. Morelli, Firenze, all’insegna delGiglio, 1994; R. MESSBARGER, The century of women,Representations of women in eighteenth century italianpublic discourse, Toronto, University of Toronto Press,2002; R. MESSBARGER, P. FINDLEN, The Contest forKnowledge: Debates over Women’s Learning in Eighteenth-Century Italy, Chicago, University of Chicago Press,2005.

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sembra il residuo di una sorta di damnatiomemoriae che ha colpito molte altre scrittri-ci dell’epoca e che per il nostro personaggiopare essere stata devastante. A soccorrerci,tuttavia, intervengono le stesse fonti sette-centesche, i contemporanei della nobildon-na che, indirettamente o di sfuggita, ci infor-mano sulle sue vicende personali. Grazieallo spoglio di documenti d’archivio e allaconsultazione delle fonti coeve è stato pos-sibile reperire informazioni, seppur fram-mentarie, in merito all’erudita poetessa.Aretafila Savini nacque a Siena il 2 dicem-bre del 1687 da genitori aristocratici: il cava-lier Antonio Maria Savini e MargheritaCorti.4 Il padre di Aretafila, Anton MariaSavini (1645-1691), figlio di GiovanniBattista di Annibale Savini, ricoprì diversecariche pubbliche, secondo l’iter previstoper i rampolli delle casate nobiliari senesiintegrate nel governo mediceo.5

Primogenita di quattro figlie femmine, indata 6 maggio 1706 Aretafila fu data insposa, con una dote di 1200 scudi, al fio-rentino Isidoro Rossi6, provveditore dellaFortezza medicea di Siena dal luglio 1703all’agosto del 1721.7 Secondo le consuetudi-ni matrimoniali dell’epoca alle nozze dove-va seguire il trasferimento della donna nellaresidenza del marito, ma in questo caso, ilprolungato soggiorno senese di IsidoroRossi, sembra suggerire la permanenza dellacoppia nella stessa città di Siena. Con tuttaprobabilità la carica di “Provveditore alla

Fortezza” non richiedeva una costante pre-senza in loco e, anzi, consentì alla coppia disoggiornare per qualche tempo a Firenze.Tale ipotesi è avallata dalle parole di AntonFrancesco Marmi che scriveva dalla capitalemedicea all’amico senese UbertoBenvoglienti:

Di giorno in giorno riaveranno costà laspiritosissima signora Retafila Rossi colsignor Cavaliere suo Consorte, al qualeè stato fatto dir’, o che lasci la Carica diProvveditore di codesta Fortezza o purvenga speditamente a esercitarla. Io chesento, che gli sia riuscito all’una; e all’al-tro infinitamente rincrescevole, mentresi erano ben provisti di abitazione, digratissima Conversazione, tanto fre-quentata dal Signor Dottor Vaselli, che sirende, per dir così, invisibile.8

Sul finire del 1719 i coniugi dovettero quin-di a malincuore lasciare la città granducaleper rientrare a Siena, come si evince da que-sta interessante missiva del Marmi. Agliinizi del 1720 infatti, la lontananza daFirenze iniziava a sconfortare gli assidui fre-quentatori fiorentini di casa Savini, special-mente Crescenzio Vaselli.9 Apprendiamodunque che fino al 1719 Aretafila vivevacon il marito a Firenze. Dalla testimonian-za del Marmi, che parla appunto di «gratis-sima conversazione», è possibile supporrel’esistenza di un salotto fiorentino animatodalla Savini, di cui sfortunatamente non

4 La notizia della nascita di Aretafila si trova inARCHIVIO DI STATO DI SIENA (d’ora in avanti ASS),ms. D 140, Raccolta delle famiglie nobili della città diSiena […] Libro delle femmine, c. 457.

5 Antonio Maria Savini compare infatti con il tito-lo di eques nel Monte di Riformatori del Terzo di Cittàper gli anni: 1669, 1676, 1678 e 1687. Cfr. M. A.CEPPARI RIDOLFI, S. MASSAI, P. TURRINI, I ‘riseduti’della città di Siena in età medicea (1557-1737), in M.ASCHERI (a cura di), I libri dei Leoni. La nobiltà di Sienain età medicea (1557-1737), Milano, Amilcare Pizzi,1996, pp. 505-528.

6 ASS, ms. A 57, Denunzie di contratti di famiglie esi-stenti nel 1714, c. 152v.

7 Per l’incarico di Isidoro Rossi a Provveditoredella Fortezza di Siena si veda: ASS, ms. A 139,Ufficiali forestieri nelle magistrature senesi, c. 17v.

8 BIBLIOTECA COMUNALE DI SIENA (d’ora in poi

BCS), ms. E IX 15, U. Benvoglienti, Carteggio, letteradi A. F. Marmi a U. Benvoglienti, Firenze 17 Ottobre1719, c. 195r.

9 Crescenzio Vaselli (1645-1739) fu medico dellaprincipessa Violante di Baviera, poi archiatra allacorte di Torino. Dei suoi scritti si conserva la Vita diPirro Maria Gabbrielli inserita tra quelle degli Arcadiillustri raccolte da Giovanni Mario Crescimbeni.Frequente è la menzione del Vaselli nelle missive delMarmi al Benvoglienti che trattano della Savini. Cfr.BCS, ms. E IX 14, U. Benvoglienti, Carteggio, letteradi A. F. Marmi a U. Benvoglienti, Firenze 7 Gennaio1718 [1719], c. 117v; BCS, ms. E IX 14, U.Benvoglienti, Carteggio, lettera di A. F. Marmi a U.Benvoglienti, Firenze 14 Febbraio 1718 [1719], c.116v; BCS, ms. E IX 11, U. Benvoglienti, Carteggio,lettera di A. F. Marmi a U. Benvoglienti, Firenze 27Gennaio 1719 [1720], c. 62r.

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rimane alcuna traccia. La pratica della con-versazione salottiera, a metà strada tra ladimensione pubblica e quella privata, eranel Settecento un’occasione preziosa per ledame istruite (o che agognavano a esseretali) per poter partecipare attivamente allarealtà culturale del tempo. Spesso erano ledonne, a vivacizzare i salotti e a ospitarlinella propria dimora, sì da violare modera-tamente quel principio di riservatezzaimposto loro dalla società.10

Di grande rilievo per la ricostruzione bio-grafica di Aretafila è stato l’esame delCarteggio tra il senese Uberto Benvoglienti eil corrispondente fiorentino AntonFrancesco Marmi, conservato manoscrittopresso la Biblioteca Comunale degliIntronati di Siena, dove è stato possibilerinvenire dodici lettere del Marmi, finorasconosciute, con notizie sulla Savini dal

1711 al 1730.11 Grazie a tali testimonianzeabbiamo reperito nuove informazioni bio-grafiche sulla letterata senese: l’amicizia conil celebre traduttore fiorentino Anton MariaSalvini, al cui vaglio inviava i propri com-ponimenti; l’elezione a membro dell’Ac-cademia del Disegno fiorentina; la difficilerelazione con il marito; il trasferimento aSiena e la vedovanza.Innanzitutto dal carteggio in questioneapprendiamo della partecipazione di Aretafilaalle principali istituzioni culturali del tempoche garantivano alle donne una possibilità didialogo con i letterati: le accademie.Ella fu infatti membro dell’Accademia delDisegno di Firenze, accademica Assicuratadi Siena e pastorella d’Arcadia. Nel 1711, a votare per la sua nomina adaccademica del Disegno12 troviamo AntonFrancesco Marmi, anch’egli membro del-

10 Sui salotti femminili cfr. E. BRAMBILLA, M. L.BETRI (a cura di), Salotti e ruolo femminile in Italia trafine Seicento e primo Novecento, Venezia, Marsilio, 2004.

11 Vedi nota n. 9. Già nel 1901 Giovanni BattistaGerini (G. B. GERINI, Gli scrittori pedagogici italiani delsecolo decimottavo, Torino, Paravia, 1901, p. 81) avevasegnalato l’esistenza di una lettera del Marmi alBenvoglienti in cui si trattava di una commedia «scrit-ta con molto garbo» da Aretafila Savini, notizia ricon-fermata da Maria Bandini Buti nel 1941 (M. BANDINI

BUTI, Poetesse e scrittrici, serie VI, Enciclopedia biograficae bibliografica italiana, Roma, Istituto Editoriale CarloTosi, 1941, vol. II, pp. 219-220).

12 La notizia della sua elezione presso l’Accademiadel Disegno si ricava dai relativi registri, oggi conser-vati presso l’Archivio di Stato di Firenze, recanti ladata 14 maggio 1711. Vedi L. ZANGHERI (a cura di),Gli accademici del Disegno: elenco alfabetico, Firenze, LeoS. Olschki, 2000, p. 293. La notizia del pagamento diimmatricolazione si ricava da: ARCHIVIO DI STATO DI

FIRENZE (d’ora in avanti ASF), Accademia delDisegno, 129, Entrata e Uscita per conto di Matricole etasse, 1693-1711, c. 122: «Sig.ra Aretafila Savini ne iRossi avere 1711 a dì primo lire due – per entratura».

Stemma della famiglia Savini in un manoscritto settecen-tesco della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena

Emblema dell’ Accademia delle Assicurate in un docu-mento della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena

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l’accademia, che ne dava notizia alBenvoglienti pochi giorni dopo l’elezione:«la Signora Aretafila Savini Rossi fu vintaper Accademica del Disegno; e io ebbi l’o-nore di servirla nel voto favorevoli, e gli [ene] promossi molt’altri; onde ella ebbe unbellissimo partito».13 È senza dubbio unapresenza privilegiata quella della Savini trale Accademiche fiorentine del Disegno,dato che è accompagnata soltanto da altredue esponenti femminili che entrarono afarne parte dal gennaio 1710, cioè daGiovanna Fratellini e Agnese Baci (Bacci).14

La Savini coltivò una dilettantesca passioneper il disegno e la pittura, nelle quali sicimentò ricevendone degne lodi dai con-temporanei. In suo onore l’amico AntonMaria Salvini compose un sonetto Sopra ildisegnare della Sig. Aretafila Savini ne’ Rossi

Gentildonna Senese, poi inserito nella raccol-ta di sonetti dell’autore pubblicata a Firenzenel 1728. Il disegno di Aretafila vienemagnificato dal Salvini in quanto dotato di«avvenente misura, e dolce norma […] eun’armonia celeste».15

Altri sonetti, per lo più anonimi, dedicatialle doti pittoriche e figurative della Savinisi trovano manoscritti presso la BibliotecaComunale di Siena, e tra questi ricordiamo:La bella mano, e virtuosa della medesima Sig.ra;Sopra gli studi del disegno della Med.ma Sig.ra;Per occasione della medesima che per suo nobiledivertimento si esercita nellj studi, e in quelli, enel disegno riesce mirabilmente.16

La Savini fu inoltre membrodell’Accademia senese delle Assicurate, isti-tuzione tutta al femminile, costituitasi nel1654 come controparte dei “fratelli”

Frontespizio dell’ Apologia di Aretafila Savini de’ Rossi in “Discorsi Accademici”, Padova 1729

13 BCS, ms. E IX 4, U. Benvoglienti, Carteggio, let-tera di A. F. Marmi a U. Benvoglienti, Firenze 16Maggio 1711, c. 45v.

14 ASF, Accademia del Disegno, 118, Quaderno diriscossione (1704-1711), c. 22r.

15 A. M. SALVINI, Sonetti di Anton Maria SalviniAccademico della Crusca, Firenze, nella Stamperia diSua Altezza Reale, Tartini e Franchi, 1728, p. 350.

16 BCS, ms. C V 6, U. Benvoglienti, Miscellanee,cc. 122r -141v.

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Intronati, finalizzata all’arte della conversa-zione galante, dei giochi di spirito e delleveglie in stile senese.17 Non a caso Aretafilaviene menzionata come «Assicurata, donnadi spirito» dall’Aurieri,18 sebbene la suanomina non compaia nel catalogo delleaccademiche stilato nel prezioso manoscrit-to della Biblioteca Comunale Originedell’Accademia dell’Assicurate di Siena che siarresta alla data 18 giugno 1704, lasciandopresumere un suo più tardo ingresso tra leAssicurate.19 Il termine ante quem dell’iscri-zione di Aretafila all’Accademia si collocainvece nel 1710, allorquando l’avventuradelle Assicurate sembra concludersi conl’ammissione all’Accademia degli Intronatidi alcune illustri poetesse – Elisabetta CrediFortini, Settimia Tolomei Marescotti eEmilia Ballati Orlandini – , non più in qua-lità di ospiti onorarie ma come membrieffettivi. L’appartenenza al ceto nobiliareera prerogativa imprescindibile di accesso aquesta femminile societas senese, pertantonon stupisce che tra i nominativi delleAssicurate spicchino diverse dame recanti ilcognome Savini, quale testimonianza ditale circolo èlitario di parentela.20

Ma l’evento che maggiormente dischiusealla Savini la possibilità di entrare in con-tatto con l’élite culturale del tempo fu lanomina a pastorella d’Arcadia, ottenuta nel1712 sotto la custodia di Giovanni MarioCrescimbeni.21 In accordo col programma

di educazione al gusto letterario previstodal Crescimbeni, i ranghi accademici sierano aperti nel primo decennio del XVIIIsecolo anche alle gentildonne. A Sienal’Arcadia romana aveva costituito una colo-nia, fondata nel 1699 su iniziativa di PirroMaria Gabbrielli, con il nome di coloniaFisiocritica di Siena, poiché utilizzava lasede e i locali dell’omonima accademiascientifica.22 Il dato singolare è tuttavia l’i-scrizione della Savini, all’accademia pasto-rale di Roma anziché alla recente coloniaFisiocritica di Siena. Anche le altre poetessesenesi rinomate all’epoca, quali EmiliaBallati Orlandini e Lisabetta Credi Fortini,erano iscritte alla sede romana d’Arcadiainvece che a quella di Siena. Tuttavia, la pre-senza delle dame senesi agli incontri pasto-rali della loro città natale è attestata dalDiario Sanese di Girolamo Gigli.23

Secondo il polemico drammaturgo le pub-bliche adunanze dei pastori senesi si tene-vano «nel delizioso bosco domestico delgentile, Pastore Iposandro, che tale è lapastoral denominazione dell’erudito Sig.Francesco Piccolomini».24 E in tali occasio-ni era presente anche Aretafila Savini.L’accesso alla celebre Accademia d’Arcadiacon lo pseudonimo di Larinda Alagonia legarantì l’opportunità di entrare in contattocon un ampio entourage di letterati ed erudi-ti, in particolare con il pastore bolognese enoto drammaturgo, Pier Jacopo Martello.25

17 Per approfondimenti cfr. C. M. SCAGLIOSO, Un’Accademia femminile. Le Assicurate di Siena, Città diCastello, Marcon, 1993, ma anche G. CATONI, Lepalestre dei nobili intelletti. Cultura accademica e pratichegiocose nella Siena medicea, in M. ASCHERI (a cura di), Ilibri dei Leoni. La nobiltà di Siena in età medicea (1557-1737), cit., pp. 131-170.

18 ASS, ms. A 27, A. Aurieri, Notizie storiche sullefamiglie nobili senesi, c. 167.

19 BCS, ms. Y II 22, Origine dell’ Accademia dell’ As-sicurate di Siena col Ruolo de’ Nomi, et Imprese di quelleDame che si ascriveranno alla medesima.

20 Nel ms. Y II 22 troviamo diverse Savini iscrittealle Assicurate: la Contessa Laura AttendoliBolognini Savini (la Desta, 1664), Caterina SaviniGori Pannilini (l’Insuperabile, 1691) e OlindaTancredi Savini (l’Armonica, 1699).

21 Cfr. A. GIORDANO, Letterate toscane del Settecento.

Un regesto, cit., pp. 146-148.22 Sulla fase di compresenza tra l’accademia fisio-

critica e la colonia senese d’Arcadia si veda: M.PROVASI, La colonia Arcade senese (pagine di storiadell’Arcadia), in «Bullettino senese di storia patria»,XXX (1923), pp. 55-77 e 133-155; M. LISI, La coloniad’Arcadia, in id. I Fisiocritici di Siena: storia di una acca-demia scientifica, «Accademia delle scienze di Sienadetta de’Fisiocritici. Memorie», 10 (2004), pp. 36-41.

23 Sulla controversa figura del Gigli (1660-1722)cfr. L. SPERA, Gigli Girolamo, in Dizionario biograficodegli Italiani, 54, Catanzaro, Istituto dellaEnciclopedia Italiana, 2000, pp. 676-679.

24 G. GIGLI, Diario Sanese, Siena, Tip. Dell’Ancora,1854, giornata del 13 aprile, pp. 141-142.

25 Pier Jacopo Martello (1665-1727) fu poeta ecommediografo, noto tra gli Arcadi con il nome di

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Il Martello si era rivelato infatti singolareestimatore delle donne letterate, da nonconfondersi con le «saputelle» che sorgeva-no dall’Arcadia per istituire «Tribunal diCuffie – su i Virili Poemi», come stigmatiz-zato nella commedia Che bei pazzi del1715.26 Al contrario, si discostavano dallepedanti dottoresse alcune poetesse di pecu-liare talento che il Martello citava esplicita-mente all’interno del testo teatrale, tra cuifigurava anche la nostra Larinda Alagonia.27

La stima nutrita dal poeta bolognese perAretafila Savini emerge in tutta evidenzadalla dedica della tragedia L’Elena Castacomposta nel 1721. Il tragediografo affer-mava infatti di essersi ispirato proprio allanobildonna senese per descrivere la perso-nalità della protagonista Elena, di cui, insie-me alla rinomata e proverbiale bellezza,intendeva celebrare anche la virtuosa casti-tà. D’altronde l’abbinamento casta-dottanon era raro all’epoca e veniva spesso usatoper stemperare la presunta trasgressività chel’erudizione avrebbe potuto arrecare alruolo sociale subalterno della donna. Ladedica del Martello ci fornisce informazio-ni, seppur sommarie, sull’attività letterariadella Savini de’ Rossi. Si apprende che lanobildonna fu autrice di commedie enovelle amorose, riferendosi egli a «qualchepellegrina commedia che so voi avere spiri-tosamente intrecciata e con plautini salicondita» e a «qualche amorosa novella ch’io

so voi avere scherzevolmente e alla certal-dese inventata».28 Oltre a questa testimo-nianza ci soccorre con alcune informazionisulla produzione teatrale della Savini unsonetto di Giuliano di S. Agata: «Per unagiudiziosissima Commedia della NobileSignora Aretafila Savini de Rossi, in cui pervarj caratteri esposti colla più viva natura-lezza si fa un’ingegnosa, e severa censuradel vizio».29 La notizia di Aretafila autrice dicommedie è riconfermata dal Marmi chescrive al Benvoglienti: «Sento, che la Sig.raAretafila Rossi abbia composta non so’qualCommedia in prosa, e sonetti, l’una, e gl’al-tri mandati alla censura del S.[igno]rSalvini, e che la Commedia sarebb’andatain palco all’Autunno».30

A Firenze Aretafila godette del favore diAnton Maria Salvini, anch’egli accademicodel Disegno dal 1706 e membrodell’Arcadia romana con lo pseudonimo diAristeo Cratio, nonché accademicoIntronato dal 1711 con il nome diCopioso.31 Infatti, grazie alla frequentazio-ne dei medesimi circoli accademiciAretafila e Anton Maria strinsero amicizia.Un’amicizia che per il Salvini, quasi sessan-tenne e dalla consolidata fama di tradutto-re, dovette assumere le vesti di una sorta dipatronato e tutorato artistico verso la giova-ne e dilettante poetessa. Allo scrutinio delcelebre professore di lettere greche Aretafilainviava appunto le proprie composizioni,

Mirtilio Dianidio e fondatore insieme a EustachioManfredi della Colonia Renia d’Arcadia, divenutocelebre per l’invenzione del verso “martelliano” cheintendeva sostituire l’endecasillabo sciolto comeverso privilegiato della nuova tragedia italiana. SulMartello si vedano: W. BINNI, Pier Jacopo Martello e lesue commedie per letterati, in id. L’ Arcadia e il Metastasio,Firenze, La Nuova Italia, 1963, pp. 152-168; A.DOLFI, L’ Arcadia bolognese. Cultura e ideologia nella poe-tica di Pier Jacopo Martello, in «Studi urbinati», 2(1973), pp. 382-432; G. PIZZAMIGLIO, Martello, PierIacopo (1665-1727), in V. BRANCA (a cura di),Dizionario critico della letteratura italiana, Torino,UTET, 1973, vol. II, pp. 542-546; I. MAGNANI

CAMPANACCI, Un bolognese nella repubblica delle lettere.Pier Jacopo Martello, Modena, Mucchi, 1994.

26 P. J. MARTELLO, Che bei pazzi, in id. Teatro, a curadi H. S. Noce, Laterza, 1980, vol. I, p. 227.

27 Ivi, p. 296. Le altre pastorelle d’Arcadia citate

dal Martello figurano tutte nelle Poesie italiane di rima-trici viventi raccolte da Teleste Ciparissiano pastore arcade,Venezia, Sebastiano Coleti, 1716, eccetto la Savini.

28 P. J. MARTELLO, L’Elena Casta in id. Teatro, a curadi H. S. Noce, Bari, Laterza, 1982, vol. III, p. 322. Ditali scritti purtroppo non si conserva alcun esemplarea stampa, né al momento sono state rinvenute tra leraccolte manoscritte della Biblioteca Comunale diSiena.

29 BCS, ms. P V 2, Zibaldone in prosa e in verso daconsultarsi per le cose diverse Sanesi, c. 29v.

30 BCS, ms. E IX 23, U. Benvoglienti, Carteggio,lettera di A. F. Marmi a U. Benvoglienti, Firenze 15Maggio 1714, c. 182v.

31 Anton Maria Salvini (1653-1729), dopo i primistudi di giurisprudenza presso l’Università di Pisasotto l’egida di Francesco Redi, si diede allo studiodel greco e del latino. Seguendo la propria vocazioneper le lingue imparò inoltre il francese, l’inglese, lo

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Fig. 1 A. Montauti, medaglia in bronzo in onore di Aretafila Savini de’ Rossi,1710, Palazzo Chigi, Siena. Per gentile concessione del Monte dei Paschi di Siena. Fotografia di F. Lensini

Fig. 2. A. Montauti, medaglia bronzea in onore di Aretafila Savini de’ Rossi, 1712. Per gentile concessione del Museo Civico di Siena.

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come è attestato dal Marmi. Probabilmentela conoscenza divenne presto stima recipro-ca, dato che già nel 1713 il Salvini avevadedicato alcuni suoi discorsi accademiciproprio ad Aretafila. Apprendiamo la notizia da una lettera delMarmi al Benvoglienti, datata 5 Marzo1713, dove si legge: «I discorsi del Salvinisono già stati messi in vendita ben cari,parendomi che ne voglino 8 paoli: quegli inlode della gentilissima Signora AretafilaSavini Rossi dubito, che non vi sieno com-presi, perché non letti, ch’io sappia, tra gliApatisti».32

Tuttavia, i discorsi accademici del Salvini inonore della senese non compaiono né neivolumi delle Prose Toscane (orazioni recitateall’Accademia della Crusca), né in quelli deiDiscorsi Accademici tenuti pressol’Accademia degli Apatisti. Proprio ai rap-porti tra il Salvini e Aretafila, nonché a talediscorso accademico in suo onore sembrafare riferimento nel 1717 il VocabolarioCateriniano del Gigli. Trattando di alcunigallicismi come calesse, barulè33 e toeletta, edella loro penetrazione nella lingua corren-te di contro al purismo professato dallaCrusca, il Gigli affermava:

[…] e voglio credere, nel nuovo fioren-tino Vocabolario elleno usciranno perbelle e buone; e particolarmente labarulè, per averne fatto uso un anziano

Accademico della Crusca nelle sue maldritte gambe, in grazia della nostrapastorella Larinda Alagonia sanese,fatta ultimamente la più chiara facellach’abbia in Firenze accesi d’amor vir-tuoso platonico i Socrati più continen-ti dell’Arno; e che è stata la prima, cheabbia cotta la farina stantía della tra-moggia al fuoco dell’onestissima beltàdi Siena.34

Nel passo sopra citato, interpretando l’er-metica metafora, l’erudito senese elogiava laconcittadina Aretafila per aver utilizzatouna lingua che cedeva a incursioni nel dia-letto senese, senza velleità di adoperare sol-tanto la «farina stantia» degli accademicifiorentini, ovvero quel fiorentino intessutodi arcaismi trecenteschi promosso dallaCrusca. Tale affermazione può forse inten-dersi come un richiamo alla lingua impiega-ta dalla Savini nelle composizioni poeticheprecedenti alla stesura dell’ Apologia.Il Gigli rivendicava con orgoglio municipa-le la superiorità del dialetto senese su quel-lo fiorentino, in aperta polemica con ilpurismo della Crusca, dalla quale fu espul-so a causa delle sue posizioni linguistica-mente poco ortodosse. Il VocabolarioCateriniano difendeva infatti la tradizionedialettale senese documentata dalla prosa diSanta Caterina e fu messo al rogo pubblicoil 7 settembre 1717, per ordine del granducaCosimo III.35 La speranza del Gigli era che

spagnolo e l’ebraico. Nel 1677 dopo la scomparsa diCarlo Dati, divenne professore di Lettere Grechepresso lo Studio fiorentino. Raggiunse la fama grazieall’infaticabile opera di traduttore, soprattutto dalgreco: tradusse infatti l’Iliade, l’Odissea, laBatracomiomachia e gli Inni di Omero, nonchéTeognide, Orfeo, Proclo, Esiodo e Euripide. Celebreanche la sua trasposizione italiana della tragedia Catodi J. Addison. Fu Accademico della Crusca e collabo-ratore per la terza e quarta edizione del notoVocabolario. Sul Salvini si veda: C. CORDARO, AntonMaria Salvini. Saggio critico biografico, Piacenza, ArtiGrafiche G. Favari, 1906; M. P. PAOLI, Anton MariaSalvini (1653-1729). Il ritratto di un «letterato» nellaFirenze di fine Seicento, Ècole Française de Rome,Roma, 2005.

32 BCS, ms. E IX 23, U. Benvoglienti, Carteggio,lettera di A. F. Marmi a U. Benvoglienti, Firenze 5Marzo 1712 [1713], c. 148v. Ettore Romagnoli, in un

breve profilo biografico della «dottissima letterata» e«poetessa squisita» senese, ribadisce la notizia delladedica del Salvini, sebbene con diversa datazione: «Ilcelebre Anton Maria Salvini amicissimo d’Aretafilacompose nel 1714 un discorso in onore di essa, loda-to dal cav. Marmi, come ci fa noto una lettera di que-sto dotto scritta al Benvoglienti». Cfr. BCS, ms. Z II32, E. Romagnoli, Raccolta biografica d’illustri senesi chefa seguito alle Pompe senesi, c. 237r.

33 Per barulè si intendeva una particolare piega cheuniva le calze ai calzoni secondo la moda francese (fr.bas roulés, “calze arrotolate”). Cfr. A. DARDI, Dalla pro-vincia all’Europa: l’influsso del francese sull’italiano tra il1650 e il 1715, Firenze, Le Lettere, 1992, pp. 126-127.

34 G. GIGLI, Vocabolario Cateriniano o Siennese, ovesi spiegano alcuni voci e frasi di S. Caterina da Siena, usatenelle sue opere, secondo il dialetto Sanese, Firenze, TitoGiuliani, 1866, parte seconda, p. 111.

35 Cfr. P. TRIFONE, Il “Vocabolario cateriniano” di

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alcuni francesismi venissero accolti nella lin-gua letteraria, oltre che in quella d’uso. Sipreparava in questi anni la quarta edizionedel Vocabolario della Crusca, che uscì in seivolumi tra il 1729 e il 1738 (dove per altronon compare nessuno dei francesismi che ilGigli sperava) e alla quale Anton MariaSalvini collaborò attivamente. Sembra dun-que di poter identificare il dotto grecista nel-l’anziano accademico della Crusca che avevaadoperato il termine barulè in una scrittura infavore della pastorella senese. In senso menostrettamente linguistico e letterario, puòinvece essere interpretato il riferimento delGigli all’amore «virtuoso platonico» suscitatodalla Savini nei dotti fiorentini.Gli ammiratori di Aretafila Savini, furononumerosi, non solo entro i confini dellapenisola. Compiendo il suo grand tour attra-verso l’Italia, il letterato francese Guyot deMerville, nel suo Voyage historique d’Italie,diede ampio resoconto del panorama cultu-rale senese. Tra le «moltissime signore»senesi, «assai stimate come intellettuali» nelsecolo in cui scriveva, spiccava «AretafilaSavini, di cui Monsignor Savini di Firenzeha fatto incidere l’effigie su una medaglia».36

La fama di Aretafila quale erudita è testi-moniata infatti da due medaglie bronzeeconiate in suo onore dallo scultore e inciso-re fiorentino Antonio Montauti, rispettiva-mente nel 1710 e nel 1712.37 La primamedaglia celebrativa38 raffigura, nel recto, il

profilo della nobildonna senese e nel versocompaiono invece Venere e Minerva, corre-date dal motto virgiliano GRATIOR ETPULCHRO, per segnalare le qualità esteti-che e intellettive della letterata.39 Sembrache la medaglia con ritratto, considerata pri-vilegio di monarchi e sovrane, avesse susci-tato all’epoca una lieve polemica, a cui ilMontauti si sentì in dovere di risponderedifendendo la propria scelta artistica in unoscritto intitolato: Sopra una medaglia conferi-ta alla Sig.ra Aretafila Savini Rossi. Essendostato detto, che l’onore d’una medaglia di bronzodedicata alla M.ma Sig.ra Aretafila SaviniRossi era eccessivo, per esser questa una cosa daRegina così, parla l’autore di s(uddetta) meda-glia.40 In tale scritto veniva poi elogiata lasua «singolar velocità d’ingegno». A soli dueanni di distanza, stando alle parole delMarmi, intervenne nel 1712 un secondoconio della medaglia onorifica: «Si rifà connuovo rovescio la Medaglia della SignoraAretafila Savini Rossi».41 Il nuovo versodella medaglia recava l’effigie di un’aquilacon lo sguardo rivolto verso il sole, accom-pagnata dal motto MENTIS ACUMEN.42

La Savini raggiunse la notorietà nel 1729con la pubblicazione dell’Apologia in favoredegli studj delle donne all’interno del volumedei Discorsi Accademici. Allo scritto dellaSavini si ispirò in seguito un altro sosteni-tore della causa femminile, il concittadinoGiovanni Niccolò Bandiera che nel 1740

Girolamo Gigli, in «Accademia dei Rozzi», 20, XI (2004),pp. 15-20.

36 Il presente passo del Voyage (1729) si trova cita-to in A. BRILLI, Viaggiatori stranieri in terra di Siena,Roma, De Luca, 1986, p. 549.

37 Antonio Montauti (1685-1746), fiorentino, fu ilpiù brillante allievo dello scultore GiuseppePiamontini e iniziò il proprio apprendistato comemedaglista. Dal 1720 poté godere delle prestigiosecommissioni medicee. Nel 1732 fu chiamato daGiovanni V, re di Portogallo, per realizzare una seriedi statue colossali per la cattedrale di Mafra. Nel 1733tornò in Italia e soggiornò a Roma, dove il ponteficeClemente XII gli commissionò una Pietà marmoreaper la cappella Corsini in S. Giovanni in Laterano,una delle più celebri sculture dell’artista. Nel 1735ottenne la prestigiosa nomina di “architetto di SanPietro”.

38 Oggi tale medaglia è conservata presso la colle-

zione del Palazzo Chigi Saracini di Siena, inv. MPS902/81, cfr. M. FILETI MAZZA, G. GAETA BERTELÀ (acura di), Collezione Chigi Saracini nel Palazzo di Siena.Inventario generale, I, Siena, Palazzo Chigi Saracini,2005, p. 622. Un secondo esemplare si trova presso ilmedagliere del Museo Nazionale del Bargello diFirenze, inv. 9315, cfr. F. VANNEL, G. TODERI, Lamedaglia barocca in Toscana, Firenze, SPES, 1987.

39 La citazione virgiliana è tratta da Eneide, 5, v.344: «gratior et pulchro veniens in corpore virtus» (lavirtù ancora più gradita quando si manifesti in uncorpo bello).

40 BCS, ms. C V 6, U. Benvoglienti, Miscellanee.Sopra una medaglia conferita alla Sig.ra Aretafila SaviniRossi, cc. 116-121.

41 BCS, ms. E IX 23, U. Benvoglienti, Carteggio,lettera di A. F. Marmi a U. Benvoglienti, Firenze 7Settembre 1712, c. 109v.

42 Un esemplare del secondo conio è conservato

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pubblicò a Venezia un anonimo Trattatodegli studj delle donne, in due parti diviso, operad’un Accademico Intronato.43 Stimolato dallesollecitazioni dei Discorsi Accademici, ilBandiera aprì una nuova frontiera nel dibat-tito sull’educazione femminile, ponendosiin ideale continuità con l’opera diAretafila.44 Sfortunatamente, eccetto l’Apo-logia, non una sola riga in prosa o in versodi mano della Savini è nota ai giorni nostri.Rimangono infatti ancora aperte le possibi-lità di ulteriori ricerche sulla produzione let-teraria della nobildonna che sembra esserstata autrice anche di un’autobiografia,secondo la testimonianza del sacerdotesenese Assunto Picchioni che nel 1801 ciriferisce: «Aretafila Savini ne’ Rossi diFirenze, che ha scritto la vita di se stessa».45

La morte della letterata non deve esseresopraggiunta prima del marzo 1731. A taledata risale l’ultima testimonianza finoradocumentata relativa alla Savini, il cuinominativo compare nei registridell’Accademia del Disegno per il pagamen-to della tassa d’iscrizione dei quindici anniarretrati.46 La figura di Aretafila Savini de’Rossi merita dunque di essere riscattata da

una memoria storica inclemente con lascrittura femminile, sia per il coraggio cheebbe di replicare alle accuse tradizional-mente rivolte alle donne studiose (accuseche ebbe la sfortuna di sperimentare sullapropria pelle), sia per l’intelligenza e la saga-cia con cui difese le possibilità di studiofemminili, impiegando mezzi e termini chefossero accettabili e convincenti anche pergli interlocutori maschili. Dopo le brillantieccezioni di Elena Lucrezia CornaroPiscopia, di Laura Bassi e di Maria GaetanaAgnesi, ammesse per la prima volta nei ser-rati ranghi delle università, la cultura acca-demica più elevata rimase, anche dopo ilsecolo dei Lumi, appannaggio prevalente-mente, quando non esclusivamente,maschile. Suona ancora più straordinario,pertanto, l’audace invito della Savini:«Studino dunque tutte quelle, a cui il cieloha dato in sorte volontà, ed ingegno, senzasprezzare un tanto dono per vano timore: leNobili, e Civili, per utile, e decoro proprio;le vulgari, non solo per sé stesse, ma perinsegnare alla Fanciulle volenterose diapprendere le Scienze».

presso il Museo Civico di Siena. La testimonianzadell’erudito fiorentino confuta l’ipotesi di Vannel eToderi di una medesima datazione per le due meda-glie. Cfr. F. VANNEL, G. TODERI, La medaglia barocca inToscana, cit.

43 G. N. BANDIERA, Trattato degli studj delle donne, indue parti diviso, opera d’un’ Accademico Intronato, dedi-cata a Sua Eccellenza La N.D. Procuratessa LisabettaCornaro Foscarini, Venezia, appresso Francesco Pitteri,1740.

44 Sul Bandiera cfr. M. L. LENZI, G. PERRONE, Gio-vanni Niccolò Bandiera, 1695-1761: Alla ricerca di ungrande figlio di Siena, tra i Rozzi “accademico scartato”, in

«Accademia dei Rozzi», 23, XII (2005), pp. 43-47; M.L. LENZI, Intorno a un’inedita biografia in latino di PietroAndrea Mattioli (prime note), in «Gli attidell’Accademia delle Scienze di Siena detta de’Fisiocritici», serie XV, tomo XX (suppl.), 2001, pp. 1-16; G. CATONI, Bandiera Giovanni Niccola, inDizionario Biografico degli Italiani, 5, Roma, Istitutodella Enciclopedia Italiana, 1963, pp. 686-688.

45 BCS, ms. A VIII 26, A. Picchioni, Dei Sanesi, edi altri Personaggi in qualche maniera a Siena spettanti,effigiati nelle Medaglie, cc. 28v-29r.

46 ASF, Accademia del Disegno, Debitori eCreditori, K (1716 -1739), c. 79 sin.

Le fotografie degli stemmi sono pubblicate su autorizzazione della Biblioteca Comunale degli Intronati.

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Siena 1944L’arrivo degli americani e il camarlengo del Montonedi GIAMPIERO SANTUCCI

Nella Cronistoria del Palio – in prosecu-zione allo storico studio su “Le contrade diSiena e le loro feste” – si ricorda, fra le carat-teristiche figure di contradaioli senesi,Giacomino Cenni, l’economo diValdimontone. Definendolo anzitutto “l’in-superato mago, progettista e regista dellestupende cene di Valdimontone” e poirichiamando un episodio avvenuto nell’e-state 1944 quando Giacomino “col rischiodella vita salvò costumi e suppellettili dellacontrada che due soldati di colore stavanoarraffando per portarli via dopo aver infran-to le vetrine. Nonostante non avesse untemperamento di guerriero, afferrata unalancia, si avventò contro i giovani militariche, sorpresi e sbigottiti dall’inconsuetaarma, se la svignarono”1.

Le illuminazioni per le cene delle vitto-rie di Valdimontone che Giacomino realiz-zava fecero epoca: basta ricordare la festaper il palio straordinario di S. Bernardinonel settembre 1950; migliaia di lampade, ungiardino incantato, una fonte irreale, uncavallo alato che volava verso il cieloimpennandosi e trattenendo fra le zampe ildrappellone conquistato sul Campo2.

In quanto allo scontro con i due ameri-cani che volevano appropriarsi dei costumidella contrada preme dire che non era cosa

proprio nuova in quanto, sempre in quel-l’estate 1944, Giacomino aveva cercato dicontrastare l’innata superficialità e l’irrispet-tosa noncuranza con cui militari statuniten-si trattavano quanto si opponeva alle lorosbrigative iniziative. Il contrasto – se così sipuò chiamare – avvenne nella tarda matti-nata del 3 luglio 1944 davanti a PortaRomana ed è rimasto ignorato sia per l’ec-cezionalità della giornata, sia perché risolto-si in un batter d’occhio vista la sproporzio-ne dei contendenti: da una parte una colon-na di carri armati bloccata davanti a unmuro che ostacolava il loro ingresso vitto-rioso in Siena, dall’altro un modesto bor-ghese per nulla intimidito dalla strapotenzadei sopravvenuti quanto deciso a cercare diimpedire che – per far presto a entrare incittà peraltro già occupata dai francesi findall’alba – si recassero danni, con l’uso diesplosivo, a quell’antica Porta che lui stesso“un vero virtuoso dell’arte muraria” avevaanni prima ripristinato su incarico dellaSovrintendenza ai Monumenti che gli affi-dava lavori di estrema delicatezza e respon-sabilità.

Ma raccontiamo con ordine. Giacominoera un tipico senese: schivo, un tantinoscontroso, buono nel profondo, odiava lasopraffazione. Si era trovato così, già nel

1 “Le Contrade di Siena e le loro feste” di VirgilioGrassi e “Cronistoria del Palio” di Alberto Tailetti.Edizioni Periccioli, 1973, pagg. 91-92.

2 Nel maggio 1950 il Montone vinceva il Paliostraordinario dedicato a S. Bernardino con la cavalli-na scossa “Gaia”. La festa della vittoria, svoltasi in set-tembre, fu memorabile e l’eco si diffuse ben oltre iconfini del Senese. Pierre du Colombier nel volume“Sienne et la peinture siennoise”, Ed. Arthaud, Paris1955, pag. 22, scriveva: “J’au vu de la sorte, au mois deseptembre, la contrade du « Mouton » célébrer sa quaran-

te-troisième victoire. Les tables du banquet étaient dresséessur la petite rue en pente qui monte vers Santa Maria deiServi. Des cyprès, des pots de fleurs lumineuses se succédaientde part et d’autre. Au fond caracolait dans le ciel un Pégasequ’éclairaient des projecteurs. Plus loin encore, contre lafaçade, une Sienne en carton, la Sienne synthétique de sesPrimitifs : la cathédrale, la Torre del Mangia, l’enceinte.Puis les barrières qui isolaient les dîneurs furent abaissées etla foule se promena avec une joie naïve, parmi les refrainsdes chansons .... ».

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1919, forse il solo dei cattolici popolari adopporsi, anche fisicamente, a fianco deisocialisti alla devastazione della Camera dellavoro ad opera dei fascisti, al cui partitomai intese aderire scontandone ovviamen-te, quale piccolo imprenditore, la messa albando da ogni appetibile affidamento dilavori.

Contrario alla guerra, pacifista convinto,era atterrito dal pensiero che i bombarda-menti alleati e il passaggio del fronte nonavrebbero potuto non provocare danni achiese, palazzi, abbazie, monasteri delSenese, al cui ripristino si era dedicato concompetenza, intelletto, amore.

Nel marzo 1944, quando sempre più sievidenziava il pericolo di uno scontro deva-stante, Siena si era proclamata CittàOspedaliera. Pur in mancanza di un forma-le riconoscimento, tuttavia le forze militarigermaniche non ostacolarono la chiusuracon un muro delle Porte di Camollia e diRomana (che praticamente impediva iltransito di forze armate e mezzi bellicientro la cerchia delle mura cittadine) adat-tandosi a compiere un tortuoso percorsoextraurbano che certo non agevolava larapidità dei loro movimenti da nord versosud e viceversa.

Incaricato dell’opera dalla Sovrinten-denza dei Monumenti, Giacomino, con isuoi operai, non intese a sordo, e costruì,pur fra le intuibili contingenti ristrettezze dimateriali, degli sbarramenti che nulla aveva-no di provvisorio e di fatiscente. Ricorseanche a qualche introvabile “longarina” perrafforzarne la tenuta ed impedire ai tedeschiod a quant’altri eventuali forzature.

All’alba del 3 luglio 1944 le truppe fran-cesi entravano in Siena attraverso Porta S.Marco e Fontebranda. Non si verificaronoscontri di sorta perché quei pochi soldatitedeschi che presiedevano la città si eranoeclissati nella notte. Mentre il suono delCampanone, annunciava ai senesi l’attesoevento, i militari francesi occupavano il

centro convergendo in parte su Piazza delCampo ed in parte, per Pantaneto, si spin-gevano fino a Porta Romana. E qui lacolonna di carri armati francesi3 si arrestava,contenuta all’interno della Porta dal solidosbarramento che ostruiva il passaggio. E,spettacolo inconsueto per i sopravvenutiche, avendo incontrato finora solo popola-zioni affamate, umiliate, disperse, vinte,videro uscire dai cancelli dell’OspedalePsichiatrico infermieri e suore di S.Vincenzo (le cosiddette “cappellone”) che,portando ceste ricolme di pane, prosciuttoe fiaschi di vino, davano il benvenuto aicompatrioti del loro ordine religioso. I mili-tari francesi e nord africani, sorpresi da taleinedita accoglienza, si sporgevano dall’altodei mezzi corazzati per afferrare quantoloro offerto o per declinarne, con garbatisorrisi, l’assaggio perché impediti da divietireligiosi.

Mentre tutto questo avveniva all’inter-no, fuori Porta Romana si presentavano intarda mattinata, provenienti dallaCoroncina, i carri armati Sherman di unbattaglione Usa4 che combatteva in appog-gio al Corps Expéditionnaire Français.Giunti tardi – anche per rispetto alle inteseche prevedevano la conquista di Siena daparte dei francesi – bloccati dalla Portaostruita, gli americani premevano davantiall’imprevisto ostacolo. La loro irritazioneera pari all’incapacità di rendersi conto chequel solido muro (con tanto di Croce Rossain campo bianco) era stato edificato perimpedire il transito di qualsiasi mezzo mili-tare nell’intento di salvaguardare le attrez-zature sanitarie ma soprattutto il patrimo-nio artistico-culturale della città. EGiacomino, che contro il tedesco invasorenon aveva avuto occasione alcuna di diver-bio, fu il primo senese che ebbe a che farecon i soldati americani i quali, incuriositidalle proteste del personaggio ed infastiditidall’inutilità dei tentativi di far breccia nelmuro a colpi di blindato, volevano in fretta

3 Trattavasi di cacciacarri “M10” e carri armati“Stuart” del sottogruppo blindati De Linares.

4 Era una colonna di carri armati Sherman del

755° battaglione Usa che, scavalcate le colline diMonsindoli, aveva risalito la SS n. 2 Cassia daMalamerenda a Valli.

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Raggiunta Siena dopo aver percorso la Cassia in Val d’Arbia, la colonna dei blindati americani era stata fermata fuori Porta Romana dallo sbarra-mento in muratura eretto dal Cenni nel varco dell’antemurale. Dopo i vani tentativi di un carro armato e di un robusto picconatore, fu fatta esplodereuna mina che, alzando un denso polverone, distrusse lo sbarramento - non senza danneggiare l’affresco sul frontale della Porta - e permise alla colonnadi entrare finalmente in città.Anche quattro secoli prima, il 26 luglio del 1552, un corpo di spedizione assoldato dal re di Francia e comandato da Enea Piccolomini, che aveva il com-pito di attaccare Porta Romana per entrare in Siena e scacciare l’infausto presidio imperiale, si era dovuto fermare davanti all’ermetica fotificazione.Mentre le sentinelle spagnole appostate sulla Torre del Mangia gridavano: “mucha gente està arrivada a Puerta Nueva“, fu dato fuoco al portone conmucchi di fascine per aprire un varco, ma, ovviamente, i carboni ardenti impedirono il passaggio dei soldati guidati dal Piccolomini, costringendoli adentrare in città da Porta Tufi, che intanto era stata conquistata ed aperta da alcuni cittadini insorti contro l’oppressore asburgico.

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distruggerlo per entrare in Siena e filmarel’avvenuta conquista5. Nonostante tutti glisforzi, anche mimici, di Giacomino che,neppure con l’aiuto di un italo-americano,riuscì a fare intendere che una carica diesplosivo avrebbe compromesso non solol’antimurale ma soprattutto un importanteaffresco che impreziosiva l’arco esternodella Porta, ogni insistenza per una demoli-zione manuale rimase vana; allontanatocon la bonaria violenza tipica dei soldatiUsa, la carica fu fatta esplodere e così anda-va in frantumi un affresco di grande pregio6,cui faceva seguito nella stessa giornata edancora per motivi di viabilità (!) lo scempiodei colonnini della Costarella rimasti alungo mozzati a documentare le sbrigativemaniere dei nuovi arrivati.

Gli alleati, come tutti i vincitori daOmero in poi, ebbero i loro laudatori cheesaltarono la decisione del generale france-se di non aver voluto che “un solo obicecadesse sulla città”. Rinuncia più logica cheriguardosa dei monumenti “al di sotto delXVIII secolo”7, dal momento che in Sienanon c’era alcun obiettivo militare da colpi-re e tutti i soldati tedeschi se ne erano anda-ti per evitare scontri all’interno della città.

La velata anticipazione di tale intendi-mento era forse già riposta in una scarnaconsiderazione che il generale alla guida delripiegamento del fronte tedesco, sommessa-mente esprimeva ad una suora, sua conna-zionale, accomiatandosi dopo un’ammirata

visita alla cattedrale e cioè che la salvezzadella città era imposta dalla sua singolarebellezza8.

Siena, risparmiata dalla guerra, fu quindiinvasa da soldati di ogni razza e da copiosimezzi bellici ed il 14 luglio, festa nazionalefrancese, accoglieva in Piazza del Campo ivertici delle Forze anglo-franco-americaneche passarono in rivista tale potenziale.Meno male che le armate tedesche eranocosì malridotte e soprattutto tanto maleinformate da non cogliere l’occasione perfar fuori, in un solo colpo, tutto il summitalleato, con intuibili conseguenze per lacittà che di ospedaliero conservava solo l’e-norme croce rossa dipinta sul mattonato diPiazza del Campo. Passarono i giorni: ifrancesi e con loro i nord africani, appagatidalla storica conquista, vennero dirottativerso i patrii lidi, gli americani continuaro-no nei loro caroselli con gran dispiego dimezzi e di risorse, mentre un Town Majorbritannico riprendeva le fila delle vecchieistituzioni. In quanto a Giacomino Cenni,toccò a lui e ai suoi aiutanti consolidare,con uno spericolato ponteggio, i resti del-l’affresco di Porta Romana, stemperandoliin uno scialbo incolore, e correre poi aMontalcino per cancellare, senza recardanno all’abside ed alle colonne romani-che, le oscenità che i goumier marocchiniavevano raffigurato nel loro bivacco all’in-terno della millenaria basilica diSant’Antimo.

5 In uno dei filmati dei cineoperatori alleati rac-colti nel pregevole documentario “War news” prodot-to dall’Istituto Storico della Resistenza Senese, siosserva prima l’inutile tentativo di un carro america-no di far breccia nel muro di Porta Romana e poi losgombero delle macerie provocate dalla devastanteesplosione. Quindi l’abile reporter mette in mostral’ingresso dei carri Usa circondati dalla popolazioneintenta ad intercettare il rituale lancio di sigarette ecioccolato. Esattamente l’inverso di quanto avvenutopoche ore prima in quel bel vialone alberato quandoi francesi erano rimasti sorpresi dalla dignitosa edospitale accoglienza dei senesi.

6 Porta Romana, di bellissima architettura conantemurale attribuito ad Agnolo di Ventura (1327)aveva sopra l’arco esterno un affresco con l’incorona-zione di Maria, successivamente elaborato da Taddeodi Bartolo (1417) dal Sassetta (1447) e da Sano diPietro (1459).

7 Il generale De Monsabert, uomo di cultura eappassionato di storia dell’arte che guidava l’attaccodelle truppe francesi, proibì al comandante della suaartiglieria di tirare sulla città: “Tirez où vous voudrez,mais je vous défends de tirer au delà du XVIII siècle”(René Chambe “L’épopée française d’Italie”, 1944,chapitre XXV, La prise de Sienne).

8 Il generale tedesco Frido von Senger undEtterlin, cattolico di fine cultura, innamorato dellaToscana, soggiogato dal fascino dei pittori senesi del‘300, visitò, accompagnato dal solo aiutante, piùvolte Siena (“La guerra in Europa”, Frido von Senger,pagg. 370-371). La visita alla cattedrale si era svoltanell’ultima decade di giugno e la suora che gli avevaespresso la sua preoccupazione per le sorti della cittàdato l’imminente passaggio del fronte, era Suor KlaraWolmer, delle Sorelle dei Poveri di Santa Caterina daSiena.

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Siena e i libri:un primato incompreso?di ETTORE PELLEGRINI

Prima di GutenbergIn uno studio pubblicato nel 1978,

Kenneth William Humphreys trascriveva ecommentava il catalogo della biblioteca delConvento di San Francesco a Siena1: undocumento di fine Quattrocento meritevoledi attenta considerazione anche se non deltutto sconosciuto, in quanto tramandato daun manoscritto della Biblioteca degliIntronati già parzialmente pubblicato daiPazzini Carli nel 1797 e annotato da SelinaZafarana tra le pag. della LXXXVI annata delBullettino Senese di Storia Patria2.

L’elenco, che registra oltre 1300 mano-scritti, descrive le dimensioni, le condizionidi conservazione, le legature, la collocazionenei banchi di un fondo librario andato pur-troppo disperso, in quanto molto probabil-mente bruciato insieme a importanti opered’arte dall’incendio che, nel 1655, distrussegran parte del monastero francescano.

La preziosa documentazione bibliograficaoffre allo studioso precise e abbondanti indi-cazioni, che gli consentono di effettuare unaricostruzione organica di questa biblioteca eduna verifica degli elementi dottrinari che neindirizzavano l’ordinamento, della sua fun-zionalità didattica e perfino della sua artico-lazione topografica; illuminando, così, unarealtà di non modesto interesse per la storiadel libro e delle più antiche raccolte librarieitaliane.

E’ noto che i maggiori depositi di volumialla fine del Medio Evo si trovassero ancora

nei conventi, ma, per i dati in mio possesso,gli studi sulle biblioteche monastiche deltempo non sono molti. Lo stessoHumphreys, dopo aver analizzato l’orga-nizzazione libraria degli Ordini Mendicantinel tardo Medio Evo, pubblicava i cataloghidei fondi del Carmine a Firenze edell’Antoniana a Padova, mentre altri autoriesploravano la biblioteca dei Francescani diAssisi, nonchè quelle dei Domenicani diPadova, Firenze e Perugia3.

Le proficue annotazioni di Humphreysevidenziano una nuova, affascinante fonte diconoscenza per chi indaga sull’origine, sulladiffusione e sugli effetti della cultura aglialbori del Rinascimento. Tra queste ne horavvisata una che mi sembra meritevole diattenzione: Sebbene la biblioteca dei Francescanisia stata la maggiore di cui abbiamo traccia, èimportante constatare che nella Siena del tempo esi-stevano numerosi altri fondi librari, alcuni deiquali potevano essere consultati dagli studenti e daiprofessori dell’Università. Questi erano possedutidalla Cattedrale, dai conventi di Monte Oliveto (aiTufi), di San Domenico in Camporegio, di SantoSpirito e di Sant’Agostino, nonchè da privati come... Nicola Acciaiuoli e Niccolo di BartolomeoBorghesi.4

Dunque nella Siena del Quattrocento esi-stevano ragguardevoli biblioteche di enti reli-giosi, ma anche di privati cittadini.

D’altra parte, l’importanza dei volumiposseduti da Niccolò Borghesi era già stataevidenziata da Ludovico Zdekauer tra le pagi-

1 K.W. Humphreys, The Library of the Franciscans ofSiena in the late fifteenth century, Amsterdam 1978.

2 Vedi K.W. Humphreys, The Library..., cit., p. 11.Maggiori dettagli in: S. Zafarana, Per la storia della bib-lioteca di San Francesco in Siena: in margine ad una recentepubblicazione, B.S.S.P., LXXXVI - 1979, pp. 284-286.

3 Sintetiche ma utili notizie bibliografiche sui

fondi conventuali del tardo Medio Evo sono forniteda Z. Zafarana, cit., note 6-18.

4 K.W. Humphreys, The Library..., cit., p. 31.Inoltre, alle pp. 32-41, l’Autore effettua un’ampia ri-cognizione sulla consistenza delle altre bibliotechesenesi appartenute a enti o a privati cittadini alla finedel Medio Evo.

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ne del suo celebre lavoro sullo Studio Senesenel Rinascimento5 e successivamente avvaloratada Curzio Mazzi in una specifica descrizionedel fondo borghesiano. Nei loro interventi idue autori non avevano mancato di esamina-re altre biblioteche senesi raccolte da docentiuniversitari e il Mazzi aveva pure collaziona-to quelle di semplici cittadini, comeGiovanni di Pietro Fecini - alcuni classici lati-ni, testi spirituali e letterari, tra cui ben dueesemplari della Commedia dantesca: “unosenza chiose“ – e come il medico Bartalo diTura - in gran parte opere attinenti allaMedicina o commenti ai classici della mate-ria6.

I proficui scavi che Mazzi aveva condottonei giacimenti documentari dell’Archivio diSiena tra la fine del XIX secolo e i primi annidel successivo, sarebbero stati d’esempio perulteriori studi sugli antichi fondi bibliotecarisenesi.

Orazio Bacci, in un opuscolo per nozzeapparso nel 18957, pubblica il curioso elencodi una quarantina di libri posseduti da SanBernardino. Il prolifico Zdekauer commentauna biblioteca privata, quella di AntonioGriffoli8, esponente di una delle più ragguar-devoli famiglie del contado; mentre un com-mento ai volumi posseduti da un altro esimiopersonaggio del tempo, il cardinale GiovanniPiccolomini, è inserito da Paolo Piccolomininella sua biografia di Sigismondo Tizio9.

M. Hyacintius Laurent descrive tra le pagi-

ne dell’annata XLVIII del Bullettino Senesedi Storia Patria i trenta manoscritti che nel1734 si trovavano ancora nella biblioteca diLecceto10, segnalando l’imponenza di questofondo agostiniano prima dell’incendio che fuappiccato al sacro eremo dalle truppe impe-riali del Marignano nel 1554. Anche la biblio-teca di un altro importante monastero sene-se, quello dell’Osservanza, aveva subito neltempo diverse traversie, perdendo gran partedel proprio patrimonio librario.

Fortunatamente è stato ritrovato un elen-co di oltre 200 volumi, tra quattrocentine ecinquecentine, ancora a disposizione deiMinori Osservanti nella seconda metà delXIX secolo, che offre una precisa idea dell’antica ricchezza del fondo. Il prezioso elen-co, trascritto da Gino Garosi, fu pubblicato acura dell’Ateneo senese nel 1991.

Sempre con il patrocinio dell’Università,Paolo Nardi e Roberta Bargagli hanno effet-tuato il tentativo di ricomporre le bibliotechegiuridiche appartenute a Mariano il Vecchio eBartolomeo Socini: figure prestigiose nellaStoria del Diritto italiano11, che giustificavanopienamente un’impresa resa ardua dalla man-canza di inventari; mentre Angela DillonBussi, sorretta invece da un esauriente episto-lario, ha potuto illustrare la passione per ilibri di un altro colto umanista senese, quelSozino Benzi12 figlio di un celebre medico delQuattrocento, lui stesso professore diMedicina a Ferrara ed apprezzato archiatra di

5 L. Zdekauer, Lo Studio di Siena nel Rinascimento,Milano, 1894, pp. 85-94.

6 C. Mazzi in alcuni suoi saggi trascrisse inventarie fornì utili notizie in merito alle principali bi-blioteche private senesi del XV secolo: La biblioteca diMesser Niccolò di Messer Bartolomeo Borghesi ed altre inSiena nel Rinascimento, in “Rivista delle Biblioteche edegli Archivi“, 6-1895; Libri e masserizie di Giovanni diPietro di Fece (Fecini) nel 1450 in Siena, B.S.S.P., XVIII-1911; La casa di maestro Bartolo di Tura, B.S.S.P., III-1896 / VII-1900.

7 O. Bacci, Inventario degli oggetti e libri lasciati da S,Bernardino da Siena, Castelfiorentino, 1895 (Per nozzeDel Lungo - Sani).

8 L. Zdekauer, Una bibliotechetta senese del Quattro-cento, in “Rivista delle Biblioteche e edegli Archivi“, 8-1897.

9 P. Piccolomini, La vita e l’opera di SigismondoTizio, Roma, 1903, p. 162.

10 M. H. Laurent, Un catalogo settecentesco dell’anticabiblioteca di Lecceto, B.S.S.P., XLVIII-1941, pp. 280-290.

11 Paolo Nardi e Roberta Bargagli hanno accurata-mente ricostruito la figura dei due grandi giuristi se-nesi del XV secolo, investigando sulle rispettive pro-duzioni trattatistiche e sulle fonti di diritto impiegate.Purtroppo, le loro biblioteche private sono andatedisperse ed i due Autori hanno solo potuto tentare dieffettuare una ricostruzione a posteriori della loro con-sistenza. Vedi P. Nardi, Mariano Sozzini giureconsultosenese del Quattrocento, Milano, 1974, pp. 108-113 e R.Bargagli, Bartolomeo Sozzini giurista e politico(1436.1506), Milano, 2000, pp. 218-221.

12 A. Dillon Bussi, Un bibliofilo del Quatttrocento:Sozino Benzi, medico di Pio II, in “Lo Studio e i testi“,catalogo della mostra coordinato da M. Ascheri,Siena, 1996, pp. 147-176.

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Pio II, che possedeva una considerevole col-lezione di codici miniati: dall’opera medicadi Avicenna, a volumi di storia, all’epistolariodi papa Piccolomini.

Risalgono a questo periodo anche i trat-tati di Architettura e di Ingegneria chehanno reso celebri due poliedrici personag-gi senesi, il notaio Mariano di Jacopo, detto“Il Taccola“ e Francesco di Giorgio Martini:pittore, scultore e architetto allora assaiapprezzato pure lontano dalla Toscana. Laloro produzione di codici illustrati, oggettoda sempre di importanti attenzioni critiche,è considerata un elemento fondante dellagrande Architettura rinascimentale.

Autorevoli studiosi riconoscono alTaccola il merito di essere stato tra i primi

in Italia – se non il primo – a predisporreuna moderna codificazione della materia eammirano in Francesco di Giorgio la capa-cità di proporre geniali intuizioni tecniche,applicate, in particolare, all’architetturamilitare e diffuse da una vasta produzionetrattatistica, anche tramite codici apocrifi –basti pensare che un codice martiniano fupure studiato dal sommo Leonardo13.

Altri scrittori hanno informato sui cora-li finemente miniati posseduti dalle treprincipali collezioni senesi: quelle dellaCattedrale, della basilica dell’Osservanza edel monastero di Monte Oliveto, mettendoin risalto non solo le caratteristiche codico-logiche dei volumi, ma e soprattutto i pregiartistici delle miniature. Infine non è man-

13 Sui trattati del Taccola e soprattutto del Martiniesiste una vastissima letteratura, nel cui ambito emer-gono importanti scritti di Gustina Scaglia, PietroMarani, Alessandro Parronchi, Massimo Mussini,Francesco Paolo Fiore. Un articolato complesso criti-co che illustra anche la grande diffusione dei codici

martiniani e ne evidenzia la modernità concettualealla base della cultura architettonica ed ingegneristicadel suo tempo.

Per una visione dettagliata della critica più recentesulla trattatistica martiniana, vedi il mio contributo in“Accademia dei Rozzi“, 32-2009, pp, 53-66.

Benedetto Giovannelli Orlandi, Pianta del Convento di Lecceto, da “Sacra Leccetana Selva“, Roma, Cavalli, 1657. L’accuratarilevazione eseguita dall’Orlandi attesta l’importanza attribuita anticamente alla grande sala destinata ad ospitare la bibliote-ca, contrassegnata in pianta con la lettera “D“ e posta, tra i due chiostri, nel cuore del monastero agostiniano.

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Due esempi della trattatistica di Francesco di Giorgio, che correda il testo con chiari disegni esplicativi.

Due pagine di disegni progettuali tratte dai codici di Mariano di Jacopo.

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cato uno studio approfondito della valenza,in questo caso, liturgica e teologica delcodice che, per ben quattro secoli, sarà con-siderato il testo ufficiale delle celebrazioniecclesiali di rito romano: il Pontificalis Liber,la cui stesura era dovuta ad un altro umani-sta senese, Agostino Patrizi Piccolomini,vescovo di Pienza e Montalcino, poiPresidente delle cerimonie pontificie e pureattento bibliofilo14.

Si deve, tuttavia, alle vaste e accuratericerche di Enzo Mecacci se il rapporto traSiena e i libri alla fine del Medio Evo haavuto un inquadramento critico rigoroso edesauriente, destinato ad attestare significati-vamente la cura che in questa città venivarivolta alla produzione, alla ricerca ed allaconservazione dei fondi librari.

Un suo studio del 1981 analizza con orga-nicità ed ampiezza d’indagine la composizio-ne della biblioteca di Ludovico Petrucciani,

docente di diritto a Siena nel Quattrocento15, spie-gando i motivi che avevano indotto il giuristaa selezionare i volumi della sua libreria ecommentando le cono-scenze teorico prati-che allora ritenute necessarie per la formazio-ne dei giureconsulti.

In un successivo contributo Mecaccidescrive i fondi librari di altri docenti delloStudio senese nel XV secolo: il medicoAlessandro Sermoneta, nonchè i giuristiGiorgio Tolomei e Domenico Maccabruni efornisce pure opportune notizie biograficherelative a questi personaggi, fino ad alloraprivi delle attenzioni critiche che avrebberoinvece meritato.

Questo articolo fu pubblicato su “StudiSenesi“ – ultracentenaria rivista del CircoloGiuridico senese – tra le cui pagine sonoapparsi successivamente altri due importan-ti approfondimenti condotti dallo stessoautore su antichi inventari di manoscritti:

14 Vedi a questo proposito l’edizione anastatica ele accurate annotazioni di Manlio Sodi in Il“Pontificalis Liber“ di Agostino Patrizi e GiovanniBurcardo (1485), Città del Vaticano, 2006.

Per ulteriori notizie sulla biblioteca privata dell’il-

lustre prelato vedi: R. Avesani, Per la biblioteca diAgostino Patrizi vescovo di Pienza, in “Mèlanges EugèneTisserant”, 1964, pp. 1-187.

15 E. Mecacci, La biblioteca di Ludovico Petrucciani,docente di diritto a Siena nel Quattrocento, Milano, 1981.

Raffinate illustrazioni miniate eseguite da artisti senesi per un innario liturgico ( a sinistra) e per un volume della DivinaCommedia (a destra).

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in merito, il primo, alle anomalie del per-corso compiuto da un gruppo di codici oli-vetani, passati dalla biblioteca del monaste-ro fondato da Bernardo Tolomei alle colle-zioni della Biblioteca degli Intronati; relati-vo, il secondo, al censimento di un altrofondo giuridico privato, quello del canoni-co Francesco di Neri16.

Un altro importante saggio di Mecacci,apparso nel 1996, riguarda i codici delloStudio senese e oltre a descrivere con dotteannotazioni numerosi manoscritti funziona-li a vari insegnamenti - oggi conservati pres-so la Biblioteca degli Intronati -, presenta unattento excursus sulla produzione libraria nelbasso Medio Evo. Allora la sete di cono-scenza promossa dalle più antiche universitàricondusse nei centri urbani l’interesse per ilibri17, che prima del Mille era stato coltivatoquasi esclusivamente all’interno di ristretticircoli monastici di studio e di trascrizionedei testi: tanto provvidenziali per il salvatag-gio della cultura greco-romana e paleocristia-na, quanto difficilmente accessibili.

In un recentissimo contributo Mecaccicontinua a indagare sui codici dello Studiosenese e, in particolare, su quelli provenien-ti da Bologna. La sua accurata analisi codi-cologica, assai utile per conoscere l’evolu-zione del libro universitario nel Medio Evo,è corredata da interessanti considerazioni dicarattere storico circa l’esistenza e l’operati-vità di uno Studium a Siena fin dal XIIIsecolo18.

Dunque, sulla base di pazienti ricerche edi accurati studi, si è formato un vasto cor-pus bibliografico che evidenzia il dinami-smo della cultura senese, capace di stimola-re sia non comuni produzioni librarie, siaun intenso interesse per i libri e che attestacome le non modeste dimensioni di questofenomeno avessero favorito la formazionedi numerose biblioteche possedute da pri-

vati cittadini, da istituzioni, nonchè da entireligiosi.

Dunque, in tempo di Repubblica, Sienametteva a disposizione di chi sapeva leggereun patrimonio librario di non comune con-sistenza per seguire gli insegnamenti delloStudio, per raggiungere una valida forma-zione religiosa o, più semplicemente, per ilpiacere della conoscenza.

E’ difficile confrontare il patrimoniolibrario senese alla fine del XV secolo conquello delle altre città italiane del tempo ericercarne le differenze quali-quantitative;certamente non risponde ad un mero eser-cizio di vanagloria campanilistica. Solo inpochi casi, purtroppo, è possibile fondarequesto confronto su giaciture di antichi attiprivati abbondanti come quelle dell’Archi-vio di Stato senese ed è possibile verificarel’esistenza di un patrimonio librario ingen-te come quello che si conservava a Siena.

D’altra parte, se un interesse così forteper i libri era pienamente giustificato dalleattività d’insegnamento promosse dalloStudio – come anche a Bologna, Ferrara,Perugia o Padova – e quindi dalla presenzain città di non pochi e non oscuri docentiuniversitari, è ancora da approfondire inquale misura tale interesse dipendessedall’effervescenza degli strati culturalmentepiù evoluti della popolazione, non necessa-riamente attivi nel contesto dell’Università,o non necessariamente appartenenti allalocale classe dirigente. Inoltre Siena, qualecapitale di uno stato, concentrava adempi-menti burocratici necessari per l’ammini-strazione pubblica, la legislazione e le atti-vità economiche correlate alla vita quotidia-na, che richiedevano una registrazione car-tacea. La clamorosa propaganda che è statafatta attorno al Costituto del 1309-1310 haingiustamente relegato in secondo piano ledimensioni storiche e istituzionali della fun-

16 Tre saggi di E. Mecacci pubblicati su “StudiSenesi”: Contributo allo studio delle biblioteche universi-tarie senesi, 1985, pp.125-178; La biblioteca giuridica diun canonico senese del primo Quattrocento: Francesco diNeri, 1993, pp.427-473; “Liaisons dangereuses” straneunioni di manoscritti, 1996, pp. 365-411.

17 E. Mecacci, Lo Studio e i suoi codici, in “LoStudio e i testi” cit., pp.17-38

18 E. Mecacci, Codici universitari bolognesi nelloStudio di Siena, in “Annali di storia delle universitàitaliane”, 11-2007, pp. 301-310.

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zione legislativa, a Siena quanto mai raffina-ta ed evoluta, che aveva generato questaimportantissima opera giuridica e che, pro-muovendo, nell’arco di almeno quattrosecoli, la redazione di numerosi testi statuta-ri destinati a regolamentare i rapporti didiritto pubblico e di diritto privato nellacittà capitale, come nelle comunità sottopo-ste del Dominio, aveva creato un grandiosoapparato di norme, difficilmente riscontra-bile in altri contesti italiani per impiantogiuridico e capillarità della diffusione19.

Per tutti questi motivi, forti dinamicheimprenditoriali ruotavano attorno alla pro-duzione ed alla compravendita dei libri, sti-molando un indotto assai articolato, di nonscarsa rilevanza economica e perfino conimportanti epiloghi artistici: dal fiorentecommercio della carta – ben supportatodagli opifici cartari della vicina Colle vald’Elsa20 –, alle attività di rilegatura dei volu-mi, culminanti nella realizzazione dellecelebri copertine dipinte dei registri diBiccherna e, soprattutto, al lavoro degliamanuensi, la cui potente corporazionetentò addirittura di impedire l’aperturadelle prime imprese tipografiche21.

Dopo GutenbergFino ad ora, infatti, ho parlato soltanto

di opere manoscritte: dai grandi antifonariliturgici riccamente miniati su pergamena,ai comuni testi divulgativi in carta bamba-gina, senza considerare l’effetto che l’inven-zione della stampa avrebbe prodotto sulmovimento librario, a Siena assai rilevante -come abbiamo visto - sia in funzione di un

potenziale culturale non comune nell’Italiadel tempo, sia per le implicazioni di carat-tere economico.

E’ noto che la famosa Bibbia diGutenberg, prima opera a stampa della sto-ria, fu terminata nel 1456 e che il primolibro prodotto in Italia fu realizzato diecianni dopo nel monastero benedettino diSubiaco ad opera di altri due tipografi tede-schi, Arnold Pannarz e Conrad Sweyn-heym. Solo nel 1470 fu aperta una tipogra-fia a Parigi e solo nel 1476 in Inghilterra.

La diffusione di questo straordinario erivoluzionario mezzo di comunicazionepuò sembrare oggi lentissima, ma va rap-portata ai ritmi della vita sullo scadere delMedio Evo ed alla particolare esigenza diottenere contestualmente molte copie di unlibro, che era avvertita soprattutto nellepoche università allora esistenti. D’altraparte i numeri descrivono bene l’enormesuccesso della nuova arte tipografica: sestime empiriche enumerano in circa250.000 volumi il patrimonio di manoscrit-ti esistente in Europa nel 1450, altre stime,basate su dati verificabili, annotano che allafine del Quattrocento, appena 50 annidopo, nel continente erano già stati stam-pati diversi milioni di libri – oggi denomi-nati incunaboli22 – considerando una tiratu-ra media di circa 250 copie per ogni volumepubblicato.

In questa frazione del XV secolo, oltre10.000 opere giungono agli onori dellastampa in Italia; 800 in Francia, poco più di300 in Gran Bretagna. Inizialmente il feno-meno coinvolge quasi in via esclusiva centri

19 In merito all’antica legislazione senese esisteuna vastissima letteratura, dalle opere di LucianoBanchi, Ludovico Zdekauer e Alessandro Lisini pub-blicate tra la fine dell’Ottocento e i primi anni delsecolo successivo, ma tutt’oggi indispensabili per lostudio della materia, ai moderni contributi di PaoloNardi, Enzo Mecacci, Donatella Ciampoli e, soprat-tutto, Mario Ascheri.

Alla Ciampoli si deve il meticoloso recupero dioltre 100 statuti territoriali usciti a stampa, molti deiquali in edizioni personalmente dalla studiosa. Di M.Ascheri, oltre ad una miriade di saggi apparsi su ri-viste e volumi miscellanei anche stranieri, si devonodue saggi fondamentali: Antica legislazione della

Republica di Siena, Siena, 1993 e L’ultimo statuto dellaRepubblica di Siena, Siena,1993. Dello stesso autore,utile anche lo studio comparato con la legislazione dialtri centri italiani nel Medio Evo in: Dagli Statuti deiGhibellini al Constituto in volgare dei Nove con una rifles-sione sull’età contemporanea, Siena, 2009.

20 Vedi la raccolta di studi eseguiti da vari autori:Carte e cartiere a Colle, Firenze, 1982.

21 Tornerò in seguito su questo punto, commenta-to anche da C. Bastianoni e G. Catoni, ImpressumSenis. Storie di tipografi, incunaboli e librai, Siena,1988.

22 Con il termine “incunabolo” si definisce con-venzionalmente un volume – ma anche un semplicedocumento - stampato con la tecnica dei caratteri

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dove ha sede un’università; ma nei primianni del XVI secolo ben 80 città italianegodranno di installazioni tipografiche fissee nella sola Venezia saranno attivi centinaiadi editori, capaci di alimentare fino ad unquarto della produzione libraria europea.

Dopo la fugace apertura di una prototi-pografia a Foligno, già negli anni Sessantadel Quattrocento, attività editoriali vengo-no avviate a Napoli, Bologna e Ferrara nel1470, a Pavia nel 1473, a Genova e Perugianel 1474. In Toscana il primo incunaboloappare probabilmente nel 1471 a Firenze,ad opera di un calcografo locale: BernardoCellini e si sviluppa, poi, nel 1482, quandoLorenzo de’ Medici trasferisce l’editoria

universitaria a Pisa, affidando a GregorioDe Gente la pubblicazione di opere giuridi-che23. A Firenze, come a Siena, le corpora-zioni amanuensi contrastano per ovvi moti-vi di sopravvivenza la diffusione dell’edito-ria ed è proprio in Toscana ed Emilia che siacuisce lo scontro tra i circoli universitari,assai interessati alla promozione della stam-pa per la molteplicità delle copie riproduci-bili e le corporazioni dei copisti con l’ovviorisultato di frenare la crescita delle appenanate attività editoriali.

Certamente, a Siena, dove solide attivitàamanuensi sopravviveranno fino all’epocadell’ Illuminismo, si conosce l’invenzionedi Gutenberg già negli anni settanta del

mobili inventata da Gutenberg e realizzato tra la metàdel XV secolo e l’anno 1500. Meno comune è ladefinizione “quattrocentina”, mutuata da quella im-piegata per i libri stampati tra il 1500 e il 1599, chia-mati appunto “cinquecentine”. Secondo alcuni stu-diosi, la definizione di incunabolo, che deriva dal lati-no e significa “in culla”, può essere estesa anche adedizioni realizzate nei primi vent’anni del

Cinquecento e assimilabili per tecnica tipografica alleprecedenti.

23 Sugli Studi di Firenze e di Pisa nei primi annidella tipografia toscana, vedi: A. F. VERDE, Lo Studiofiorentino, 1473-1503, I e II, Firenze, 1973; R. DEL

GRATTA, Gli studi di Pisa e di Firenze nel XV secolo, orain “Scritti minori”, Pisa 1999, pp. 101-119; R.BARGAGLI, Bartolomeo Sozzini, Lorenzo de’ Medici e lo

Nel 1895 la Fratellanza Tipografica Senese pubblicò la formale richiesta di produrre libri a stampa avanzata al Consiglio dellaCampana nel 1484 da tre professori dell’Università: Lorenzo Cannucciari, Jacomo Germonia e Luca di Niccolò d’Antonio di Neri.

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secolo per l’importazione degli incunaboliche, pur carissimi, invadono il mercato e inrelazione al significativo incremento dellaproduzione cartaria di Colle val d’Elsa,fortemente incentivata proprio dal protago-nismo delle nuove imprese tipografiche24.Per altro un incunabolo con il De Materiamedica di Dioscoride fu impresso nella cittàvaldelsana da Giovanni da Medemblick giànel 147825; mentre antiche tradizioni fareb-bero risalire addirittura al 1471 un’edizionecolligiana della Aurea Legenda di Jacopo daVarazze curata da Maestro Bono diBethun26. Non è ben documentato, ma èquindi probabile che in val d’Elsa si stam-passero libri appena cinque anni dopo l’u-scita dell’archetipo sublacense, ben cinqueanni prima dell’inizio di attività editoriali inInghilterra e comunque contestualmenteall’apertura delle prime tipografie in alcunecittà universitarie italiane.

Altri studi del Mazzi, interessanti anno-tazioni di Luciano Banchi sugli annali dellaprototipografia senese redatti da ScipioneBichi Borghesi27 e, più recentemente, un pre-gevole saggio di Giuliano Catoni e CurzioBastianoni28 hanno compiutamente illumi-nato le più antiche vicende della stampa aSiena ed a questi rimando per i necessariapprofondimenti sull’attività colligiana diMaestro Bono e su quella senese di Enricoda Colonia, Enrico di Haarlem, SigismondoRodt e Giovanni Walbeck, i tipografi tede-schi che per primi poterono contrassegnareil colophon dei loro incunaboli con la fatidi-ca annotazione Impressum Senis.

Bastianoni e Catoni registrano 74 incu-naboli stampati a Siena, ad iniziare dallaLectura super sexto libro Codicis di Paolo diCastro, che uscì dai torchi di Enrico daColonia “e compagni“ il 21 luglio del148429: un elenco che comprende 57 volumi

inerenti a materie giuridiche, 9 di impiantofilologico, 4 di carattere scientifico e 3 reli-gioso, oltre ad una guida di Roma e che vor-rei ampliare solo con l’Opera della diva e sera-phica Catharina da Siena, di Giovanni PollioLappoli30. Volume decorato da un bel fron-tespizio in xilografia, che la vedova diEnrico da Colonia, Antonina, pubblica aSiena in associazione con Andrea Piacenti-no nel 1505, quando, già da alcuni anni,Simone di Niccolò di Nardo conduce atti-vità tipografiche: è lui il primo cittadinosenese capace di affermarsi nell’arte dellastampa per l’aggiornata tecnica delle sueedizioni e la sua entrata in scena concludeil breve ma intenso periodo della prototi-pografia senese31.

Inoltre i due studiosi si soffermano sullasituazione socio politica della città nell’ulti-mo quarto del XV secolo, alla ricerca deimotivi che avevano determinato l’indubbioritardo, rispetto ad altre realtà italiane, concui erano state avviate attività editoriali. Nelcorso della loro analisi documentano lerichiamate resistenze della potente corpora-zione amanuense e ricostruiscono conricchezza di particolari il contesto cittadino,allora fortemente impoverito dai costosiconflitti esterni contro Firenze e Perugia escosso da interminabili tensioni interne,giunte più volte sull’orlo della guerra civile.Condizioni che a Siena avrebbero reso acci-dentato il cammino dei primi tipografi econvalidato in termini di disattenzione, senon di arretratezza, il ruolo della città neiconfronti della forte evoluzione culturaleche allora si stava verificando in Italia32.

Sul contrastato rapporto che a Siena siera sviluppato tra le istituzioni universitariee quelle politiche di “reggimento“ dellaRepubblica nella seconda metà del XV seco-lo si è accesa recentemente un’articolata e

Studio di Pisa (1473-1494), in “La Toscana al tempo diLorenzo il Magnifico. Politica, economia, cultura,arte”, III, Pisa 1996, pp. 1165-1171.

24 Vedi, C. Bastianoni e G. Catoni, “ImpressumSenis”..., cit., p. 12 e pp. 22-23.

25 Vedi C. Mazzi, Cartiere, tipografie e maestri digrammatica in Valdelsa, in “M.S.D.V.”, IV-1986, p. 4.

26 Ivi p. 3.27 In “Il Bibliofilo“, Firenze, a. I, 6, 1880 e segg.28 Cit. a nota 21.

29 Vedi C. Bastianoni, A. Catoni, “ImpressumSenis”... cit., pp. 61-73.

30 Vedi, Siena Bibliofila, Siena, 2009, scheda p. 27.31 Per un approfondimento sull’attività tipografica

e sulle opere stampate da Simone di Niccolò di Nardo,vedi N. Pallecchi, Una tipografia a Siena nel XVI secolo.Bibliografia delle edizioni stampate da Simone di NiccolòNardi, in “B.S.S.P.”, CIX - 2002, pp. 184-233.

32 Vedi C. Bastianoni, A. Catoni, “ImpressumSenis”... cit., pp. 9-16.

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vasta discussione, anche al fine di chiarire see in quale misura gli intellettuali senesi deltempo avessero influito sulla grande affer-mazione del pensiero umanistico.

La critica è ormai concorde nel riferire lecause della instabilità interna proprio aicontrasti sempre latenti nelle classi di gover-no e alla loro continua preoccupazione dimantenere gli antichi privilegi politici, chegenerava una gravosa pressione, incessante-mente rivolta al controllo dei competitors eche spesso sfociava nella violenta conflit-tualità tra gli ordini citta-dini. Una instabilitàinterna che allontanavapiù o meno velocementei pur prestigiosi docentiingaggiati per lo Studio ecostringeva non pochiintellettuali senesi a tras-ferirsi in altre città, o perinseguire migliori condi-zioni di studio e di inse-gnamento, o perchè inse-guiti da una condannaall’esilio33.

Il timore di guerreintestine e il sospetto dimire espansionistiche col-tivate da bellicosi confi-nanti erano sentimentiben presenti anche in altrerealtà dell’Italia centro set-tentrionale, ma a Siena, come ha fatto no-tare in modo assai convincente CatherineIsaacs34, assumevano fondamentale impor-tanza perchè, in un sottile gioco di pesi econtrappesi istituzionali, incidevano sullapossibilità di esercitare un negotium politicostrettamente intrecciato con la funzioneamministrativa dello Stato, dalla quale granparte delle famiglie di “reggimento“ traeva-

no un’insostituibile fonte di reddito. Lacaduta di Pandolfo Petrucci fu la conse-guenza evidente della paura di perdere ibenefici derivanti dall’assegnazione dei tra-dizionali uffici comunali e dei commissa-riati del Domi-nio. Una paura avvertita damolti senesi preoccupati di mantenere unprestigio politico rilevante soprattutto perl’ambìto ritorno economico: un’entrataormai divenuta necessaria per assicurare laloro soprav-vivenza, mentre l’assetto finan-ziario della Repubblica era sempre più

pesantemente debilitatoda fenomeni recessivi elo spettro della povertàsempre più inquietante.

Dunque un quadro disofferenze istituzionali edi crisi economica tale daimpedire il sereno diffon-dersi della cultura e dacondizionare lo sviluppodelle tendenze umanisti-che, costringendole a ris-tretti circoli di amatoricon scarse prospettive dicrescita35. Lo stesso Filel-fo in una sua lettera con-danna aspramente lo“status popularis“ diSiena incapace di garanti-re la stabilità e la serenitànecessarie per un profi-

cuo svolgimento degli studi36; più tardi,Aonio Paleario, segnalerà senza mezzi ter-mini l’arretratezza culturale della città e laricollegherà all’infausto predominio politi-co degli ordini popolari: causa di insicurez-za e di disgregazione37. Altri docenti silamenteranno per lo spirito di fazione chesconvolge la città e sacrifica la funzionedocente dello Studio38.

33 Molti saggi analizzano la tormentata situazioneinterna senese del secondo Quattrocento, special-mente in riferimento ai complessi intrecci tra politi-ca, cultura e università. Su tutti, anche per opportuniriferimenti bibliografici, cfr. G. Fioravanti, Alcuniaspetti della cultura umanistica senese nel ‘400, in“Università e città. Cultura scolastica e cultura uman-istica a Siena nel ’400”, Firenze, 1980, pp. 142-167

(28-53).34 Vedi A. K. Isaacs, Popolo e monti nella Siena del

primo Cinquecento, in “Rivista Storica Italiana”,LXXXII-1980, pp. 148-149.

35 Vedi G. Fioravanti, Alcuni aspetti..., cit., p. 148.36 Vedi G. Fioravanti, Alcuni aspetti..., cit., p. 149.37 Vedi nota prec.38 Vedi nota 36.

Ritratto di Paolo di Castro in un’ incisione cinque-centesca.

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Sembrerebbe pertanto corretto coniuga-re l’inziale diffidenza di Siena per l’introdu-zione della stampa, alla pigrizia intellettua-le dei ceti dirigenti e alla scarsa sensibilitàper il potenziamento dell’insegnamentouniversitario mostrata dalle istituzioni citta-dine, che lesinano gli investimenti nelcampo della cultura, relegandone il compi-to a pochi umanisti “mancati”39.

Un giudizio, però, non del tutto condi-visibile e meritevole di riconsiderazione.

In primo luogo, l’oggettivo ritardo concui a Siena si avviano attività tipografichestabili, non è così pesante e negativo, seconsideriamo che tutta la Toscana non bril-la per entusiasmo verso la nuova arte. Pisaprecede Siena appena di due anni e Firenzestessa, dove si inizia a stampare gia neiprimi anni Settanta del XV secolo, nonmostra una capacità produttiva di incuna-boli pari al dinamismo intellettuale della

città. Venezia da sola supera nettamente icentri toscani per il numero degli editori ela quantità delle opere stampate. E’ signifi-cativo, semmai, che a Firenze e a Pisa ope-rino da subito calcografi locali, mentre aSiena un editore cittadino, il citato Simonedi Niccolò di Nardo, pubblicherà il suoprimo volume soltanto nel 1502.

Insomma, considerando l’intero con-testo nazionale, è facile verificare che Siena,pur preceduta nell’apertura di esercizi tipo-grafici da alcune città sedi universitarie - lecitate Napoli, Bologna, Ferrara, Pavia,Genova e Perugia - anticipi in questocampo molte primarie località toscane e dialtre regioni, come attestano i principali stu-diosi della prototipografia italiana, checonoscono bene e non mancano di segna-lare l’importanza della produzione librariasviluppata a Siena da Enrico da Colonia edagli altri suoi connazionali.

39 Vedi G. Fioravanti, Alcuni aspetti..., cit., p. 154.

Pagine iniziali di due incunaboli senesi: quella di sinistra appartiene al De jure jurando di Giovan Battista Caccialupi e l’altra adun’opera umanistica del segretario della Repubblica di Siena, Agostino Dati.

Colophon di due opere di Paolo di Castro. Quello di sinistra apre la Lectura super sexto libro Codicis, il primo libro stampato aSiena nel 1484; l’altro un’opera giuridica dello stesso autore uscita 2 anni dopo.

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Ma esistono pure importanti aspetti dicarattere sostanziale.

E’ noto che le discipline maggiormentecoinvolte nella produzione di incunabolisono quelle giuridiche, nel cui ambito glistudiosi locali o i docenti presso lo Studiosenese collezionano numerose edizioni deiloro trattati, pubblicate in varie partid’Italia. Subito dopo il sommo Bartolo daSassoferrato, che gode in assoluto dellamaggiori fortune editoriali, troviamo giuri-sti senesi di adozione, come NiccolòTedeschi, Paolo di Castro e FrancescoAccolti, che passeranno alla storia, rispetti-vamemente, con 63, 48 e 25 successive edi-zioni delle loro opere e giuristi senesi dinascita, come Bartolomeo e MarianoSozzini, i testi dei quali godranno rispetti-vamente di 19 e 15 differenti ristampe40;senza contare quelle del secolo successivo.

Le pubblicazioni di autori comunquecollegati con lo Studio senese sono pertan-to ben presenti nella Storia del Diritto Ita-liano, dove occupano una posizione diprimo piano. Non mi sembra azzardatoipotizzare che questo non comune protago-nismo sia frutto del forte interesse per laGiurisprudenza che si era coagulato a Sienanel XV secolo, alimentando un fiorentecommercio di testi giuridici e stimolando lapreferenza degli editori locali per la pubbli-cazione di opere di diritto41.

Per altro, una più attenta analisi delleopere stampate a Siena mostra una selezio-ne dei titoli e degli autori correlata allenuove tendenze nate in ambito umanistico.Se è vero che a Siena le avanguardiedell’Umanesimo non avevano ricevutoun’accoglienza entusiastica, più imitazioneche accoglimento concettuale – come èstato detto42 –, è pure vero che proprio alcu-ni incunaboli senesi sono il frutto di un

incontro proficuo tra tradizione giuridica eattenzione per le humanae litterae; di un’in-terazione capace di creare quelle che auto-revoli commentatori hanno definito le basidell’Umanesimo giuridico43.

Oltre a Bastianoni e Catoni, anche stu-diosi attenti come Carlo Dionisotti44,Gianfranco Fioravanti45, Petra Pertici46,hanno scritto approfondimenti importantisul rapporto tra Umanesimo e cultura sene-se, dai quali viene confermata la supremaziadella Scolastica aristotelica, ma viene ancherivalutata la capacità di penetrazione delmessaggio umanistico in alcuni circoli intel-lettuali della città. Un reale interesse versola nuova dottrina, non semplici ammicca-menti, attestato proprio dai titoli che sonopubblicati a Siena da giuristi di culturaumanistica e destinato a portare un nonmodesto contributo alla cultura letterariaitaliana del Quattrocento.

Tra Riforma e Controriforma Minori interessi critici ha invece destato

il ruolo degli autori senesi nella produzionedi opere di carattere religioso. Ho già ricor-dato la ricchezza delle biblioteche di alcunimonasteri locali, che prima ancora dell’av-vento della stampa mettevano a disposizio-ne degli studiosi un ingente patrimonio dimanoscritti: testi biblici, dottrinari e filoso-fici, agiografie, ma anche opere secolari diargomento medico e scientifico, di diritto edi letteratura. Se è stato evidenziato il pro-filo bibliografico di questi fondi, resta peròda approfondire come essi interagisserosulla formazione degli intellettuali locali,religiosi e laici, e come la cultura cittadinane subisse l’influsso.

Un recente, meticoloso studio diIsabella Gagliardi47 ha mostrato la centralitàdi Siena nella formazione del pensiero reli-

40 Devo la segnalazione del computo a A.Mattone e T. Olivari, Dal manoscritto alla stampa: illibro universitario italiano nel XV secolo, in “Quaderni diDiritto e Storia“, 4-2005.

41 Vedi C. Bastianoni, G. Catoni, “ImpressumSenis”... cit. p. 34-35.

42 Vedi P. Piccolomini, La vita..., cit., p. 134.43 Vedi C. Bastianoni, G. Catoni, “Impressum

Senis”... cit. p. 33.44 C. Dionisotti, Jacopo Tolomei fra umanisti e rima-

tori, in “Italia medievale e umanistica“, VI-1963.45 G. Fioravanti, Alcuni aspetti..., cit.; Pietro De Rossi.

Bibbia e Aristotele nella Siena del ‚400 , Firenze, 1980;Classe dirigente e cultura a Siena nel ’400, in “I ceti diri-genti nella Toscana del Quattrocento”, Firenze, 1987.

46 P. Pertici, Tra politica e cultura nel primoQuattrocento senese. Le epistole di Andreoccio Petrucci(1426-1443), Siena, 1990.

47 I. Gagliardi, I Pauperes Yesuati tra esperienze reli-giose e conflitti istituzionali, Roma, 2004.Vedi rec. in

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gioso tra Trecento e Quattrocento, che, amio avviso, trova non poche motivazioniproprio nella rilevanza dei fondi librari con-ventuali, capaci di coinvolgere studiosi diteologia e filosofia, e di favorire, quindi, lagestazione di un apparato dottrinario desti-nato a manifestarsi autorevolmente nei piùalti contesti della Chiesa; nonchè, allo stes-

so tempo, di alimentare le basi ideologichedi accese querelle tra istituzioni religiose chesi verificano in quegli anni. E’ sempre laGagliardi che descrive la controversia tra iseguaci di San Bernardino e quelli diGiovanni Colombini, raccolti nell’ordinedei Gesuati48, prodromo locale dell’accesodibattito dottrinario tra Agostiniani e

“Accademia dei Rozzi“, 24-2006. 48 I. Gagliardi, I Pauperes..., cit., p. 214 e segg.

Il bel frontespizio figurato delle opere di Santa Caterina pubblicate dalla vedova di Enrico da Colonia in associa-zione con Andrea Piacentino nel 1505.

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Domenicani, che avrebbe avuto ampioseguito in Italia fino al XVI secolo.

Se molti apprezzati studiosi hanno rivol-to le loro attenzioni al movimento dellaRiforma, che in Italia ebbe tra i principalipromotori pensatori senesi come Bernar-dino Ochino, Lelio e Fausto Sozzini, solorecentemente, per merito soprattutto diGiorgio Caravale e Stefano Dall’Aglio49, sisono accesi rilevanti interessi critici anchesu un altro personaggio, senese di nascita edi formazione, che fu il principale opposi-tore delle tesi riformiste e protestanti,Ambrogio Catarino Politi: avvocato in gio-vanissima età, poi monaco domenicano evivace protagonista della polemica antiereti-cale, fino ai suoi apprezzati interventi alConcilio di Trento, nel 1546, e alla presti-giosa investitura cardinalizia, sei anni dopo,che solo una morte improvvisa gli impedìdi ricevere. Il Politi, che vivente godetteeccellente fama di pensatore eclettico emolto colto, dette alle stampe opere di dirit-to e di teologia; fu pure oggetto di conte-stazioni per sue affermazioni ai limiti dell’e-resia e cadde ingiustamente nell’oblio dellastoria. Ma la sua ardente polemica contro letesi di Bernardino Ochino ebbe vasta riso-nanza, non solo in Italia, a conferma delruolo primario avuto dai due pensatorisenesi nell’aspro confronto tra Riforma eControriforma e quindi nella storia del pen-siero teologico-filosofico cinquecentesco.

Se Ambrogio Politi avesse potuto indos-sare il galero cardinalizio, su una cinquanti-na di cardinali convocati al conclave che sitenne nell’aprile 1555 per eleggere il succes-

sore di Giulio III, ben 3 sarebbero stati diorigine senese: Fabio Mignanelli, MarcelloCervini, che ne uscì poi papa con il nomedi Marcello II e, appunto, il Politi. IlCervini, poliziano come altri due cardinalipresenti in quel conclave: Roberto de’Nobili e Giovanni Ricci, era stato discepolodel Catarino ed era ascritto alla nobiltà diSiena, dove aveva studiato sotto la prote-zione degli Spannocchi.

Oltre a Marcello II, nei due secoli inter-correnti tra la metà del Quattrocento e lametà del Seicento, Siena avrebbe dato altripapi alla Chiesa: Pio II e Pio IIIPiccolomini, Paolo V Borghese, AlessandroVII Chigi e lo stesso Giulio III, figlio dellasenese Cristofora Saracini e studente diDiritto presso la locale Università. Tra que-sti, Enea Silvio Piccolomini e Fabio Chigiavrebbero lasciato un’impronta indelebilenella storia per il valore dalla loro missioneapostolica e, in misura non inferiore, per lastatura culturale esibita durante il pontifica-to. Specialmente il Piccolomini, singolarefigura di pontefice amante delle humanae lit-terae e dell’arte, fu autore prolifico, onoratopost mortem da una ragguardevole serie diedizioni delle sue opere ed esaltato da unosconfinato corpus di studi, che hanno meti-colosamente analizzato la sua attività let-teraria, le sue raffinate iniziative in campoarchitettonico ed urbanistico, la sua passio-ne politica ed oratoria.50 Senza considerare icommenti strettamente connessi al ruoloapostolico dei successori di Pietro, nessunaltro pontefice gode di un apparato biblio-grafico così vasto ed articolato51, o è stato

49 La bibliografia di riferimento è assai estesa per ilfiorire degli studi sia sull’Ochino (R. Bainton), sia suiSozzini (V. Marchetti). Sintetiche, ma comunque utilile annotazioni di P. Misciattelli, Misticismo Senese, acura di A. Lusini, Firenze, 1966, pp. 137-151 e 173-179.

Molto meno estesa, invece, quella su AmbrogioPoliti, la cui figura solo recentemente è stata oggettodi adeguate analisi critiche: cfr. G. Caravale, Sulle trac-ce dell’eresia Ambrogio Catarino Politi, Firenze, 2007, S.Dall’Aglio, Catarino contro Savonarola: reazioni epolemiche, in ”Archivio Storico Italiano”, 164 – 2006,pp. 55-127.

50 I numerosi riferimenti bibliografici ruotanoattorno al fondamentale studio di C. Ugurgieri della

Berardenga, Pio II Piccolomini con notizie su Pio III ealtri membri della famiglia, Firenze, 1974, nonchè sugliatti del convegno Enea Silvio Piccolomini papa Pio II, acura di D. Maffei, Siena, 1968. Altre biografie delpontefice senese redatte da R.J. Mitchell, G. Paparelli,C.E. Naville recano un cospicuo contributo diconoscenze alla descrizione di una figura realmentedi rilievo nella storia dell’Italia quattrocentesca e perl’affermazione delle humanae litterae nella cultura deltempo.

51 La sconfinata produzione letteraria delPiccolomini e la sua proficua fortuna critica sonostate attentamente indagate da G. Bernetti, Saggi estudi sugli scritti di Enea Silvio Piccolomini papa Pio II,

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63Frontespizi di alcune opere di Enea Silvio Piccolomini stampate nel corso del XVI secolo.

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oggetto di una tale proliferazione di atten-zioni da animare, solo in questi ultimi anni,una decina di eventi tra mostre e convegnisvoltisi in diverse città italiane. Insommauna fortuna critica che ne ha consolidato lacollocazione tra i padri dell’Umanesimo ene ha elevato la fama quale figura di riferi-mento della cultura europea del XV secolo52.

Un’ampia serie di pubblicazioni quattro-centine e cinquecentine sarà conseguita puredalle opere sulla vita e dai volumi delle lette-re di Santa Caterina: l’edizione aldina delleEpistole devotissime uscita il 15 settembre del1500, è seconda, tra i capolavori delManuzio, solo alla celebre HypnerotomachiaPoliphili e i raffinati disegni di FrancescoVanni con la vita, mors, gesta et miracula... dellaSanta, nei rami incisi da Pieter De Jode e

pubblicati da Matteo Florimi, otterranno unalunga serie di ristampe in Italia e all’estero.

Devo pure una citazione alla BibliotecaSancta di Sisto da Siena, forse il testo teolo-gico più diffuso in Italia nel XVI secolo.L’autore, oggi assolutamente dimenticato,ma che ancora nel XVIII secolo era consi-derato tra i toscani più illustri di tutti itempi e più apprezzato del suo stesso mae-stro Ambrogio Politi, merita di essere ricor-dato anche per un curioso episodio capita-to a Cremona, dove era stato inviato dalCardinale Inquisitore per verificare uningente fondo di libri sospettati di eresia edestinati pertanto al rogo, che però il predi-catore senese, sfoggiando una straordinariaerudizione bibliografica, riuscì in buonaparte a salvare dalla distruzione, certifican-

Firenze, 1971 (Bernetti è pure curatore della piùaccredita edizione dei Commentari, Milano, 1981).Cfr. anche Nimphilexis. Enea Silvio Piccolomini,l’Umanesimo e la geografia. Manoscritti Stampati MoneteMedaglie Ceramiche, catalogo di una mostra organizza-ta dalla Biblioteca Casanatese, Roma, 2005.

52 Cfr. Il sogno di Pio II e il viaggio da Roma aMantova, Atti del convegno di Mantova a cura di A.

Calzona, Firenze, 2003; Enea Silvio Piccolomini. ArteStoria e Cultura nell’Europa di Pio II, Atti dei convegnidi Rimini, Viterbo, Ancona, Allumiere, Roma, a curadi R. Di Paola, A. Antoniutti, M. Grillo, Roma, 2005;Conferenze su Pio II di L. D’Ascia, A. Esch, A. Scafi, F.Ricci, a cura di E. Mecacci, Siena, 2006; Pius SecundusPoeta Laureatus Pontifex Maximus, Atti del convegnodi Roma a cura di M. Sodi e A. Antoniutti, Roma,

I ritratti di Marcello II Cervini e Sisto da Siena in incisioni settecentesche.

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do l’ortodossia di almeno duemila titoli.Non sono solo dati numerici, o valuta-

zioni quantitative, perchè danno un sensopreciso, invece, della rilevanza assunta daSiena tra Quattrocento e Cinquecentoquale centro di studio e di approfondimen-to della cultura religiosa in molte sue rami-ficazioni e, pure, contraddizioni. Non puòessere frutto di una banale coincidenza chein questa città si siano formati personaggiche avrebbero occupato posizioni cardinenella storia della Chiesa e, con loro, unanutrita classe di intellettuali che proprionegli anni delle più clamorose dispute traRiforma e Controriforma avrebberosostenuto davanti all’Europa cristiana ilpericoloso onere, da una parte, del pensieroprotestante e, dall’altra, quello meno peri-coloso ma non meno gravoso della difesadell’ortodossia romana.

Altri approfondimenti sarebbero neces-sari per collegare con sicurezza al ruolo for-mativo assunto dalla cultura religiosa sene-se nelle controversie dottrinarie quattrocen-tesche e negli interminabili dibattiti delConcilio tridentino l’indubbia ricchezza dimanoscritti e di opere a stampa che caratte-rizzava le biblioteche - non solo conventu-ali - allora presenti in città. Alla luce, tutta-via, di queste considerazioni, mi sembrache sia difficile escludere un rapporto dicausa effetto per affermarne uno di meraoccasionalità. Analogamente sarebbe diffi-cile negare il contributo dato dagli ingentifondi librari senesi e dalla stessa produzio-ne prototipografica di Enrico da Colonia edi Enrico di Haarlem al “forte influsso dellacultura senese nella letteratura italiana delRinascimento“ notato da Carlo Dionisotti eribadito da Bastianoni e Catoni53.

In questa sede, basta la semplice citazionedi altri scrittori senesi del Cinquecento, figu-re del calibro di Pier Andrea Mattioli,Vannoccio Biringucci, Alessandro Piccolo-mini, Claudio Tolomei, Girolamo e Scipione

Bargagli, per ricordare autori le cui operehanno goduto per secoli di innumerevoli edi-zioni, anche in lingue straniere, ottenendonei rispettivi campi disciplinari un successoche gli intellettuali senesi dei secoli successivinon sarebbero più stati capaci nemmeno disfiorare. Come basta ricordare la fortuna cri-tica, non solo locale, ottenuta da molte com-medie patrocinate dalle Accademie dei Rozzie degli Intronati nel corso del Cinquecento,che induce l’autorevole studioso ingleseRichard Andrews ad osservare come allora ladrammaturgia comica senese costituisse unfenomeno di portata europea, tale da recareun fondamentale contributo alla storia delteatro54.

Certamente l’interattività, a Siena, tra leingenti risorse librarie e le più alte espressioniletterarie o scientifiche degli intellettuali loca-li tra il XV e il XVI secolo non può essereliquidata con le mie poche righe, meritando,invece, più attente indagini ed approfondi-menti specifici. Sarebbe, comunque, un graveerrore disconoscere gli effetti o minimizzarela portata di questo stretto e fertile rapporto;negare la rilevanza del contributo offerto, all-ora, ad un’operosità degli studiosi senesi chespaziava ben oltre le mura della città e cherappresenta tuttoggi un formidabile potenzia-le culturale lasciato in eredità ai loro privile-giati discendenti.

Uno sguardo al presenteE oggi cosa resta a Siena di questo ingen-

te patrimonio librario? e, soprattutto, cosaresta di quella particolare, premurosa atten-zione per i libri che attestava la civica con-sapevolezza del loro valore e che, comeabbiamo visto, aveva dato una spiccataidentità culturale alla città?

Non intendo effettuare adesso un esamedelle moderne biblioteche cittadine – contodi svolgerlo in un prossimo intervento, rin-viando però fin da ora agli esaurienti appro-fondimenti di Mario De Gregorio sulla loro

2007; Pio II umanista europeo, Atti del convegno diPienza a cura di L. Secchi Tarugi, Milano, 2008.

53 C. Bastianoni, G. Catoni, “Impressum Senis”...,

cit., p. 11.54 Vedi R. Andrews, Il contributo senese al teatro

europeo, in corso di pubblicazione su “B.S.S.P”.

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formazione sette-ottocentesca – ma, mentredubito molto che si sia conservata l’anticabibliofilia, è facile constatare come Sienacontinui a possedere una serie di fondilibrari assai consistenti, specialmente in rife-rimento a volumi antichi, rari e pregiati,posseduti da diversi enti cittadini o custodi-ti in collezioni private.

Personalmente mi sento orgoglioso nelpensare che la Biblioteca degli Intronati èconsiderata tra le più ricche biblioteche itali-ane per dotazione di manoscritti, incunabolie cinquecentine: una fonte inesauribile edindispensabile di conoscenze a disposizionedegli studiosi ed una collezione antiquaria diinestimabile valore, anche economico, talida promuovere l’imperitura riconoscenzadei senesi verso quegli intellettuali che perprimi iniziarono a ordinarne le basi nelXVIII secolo. Il loro solerte e accorto impeg-no, insieme a quello manifestato nel tempodalle Accademie cittadine, dalla stessaUniversità, da colti cittadini, va ricordato neitermini di un grande apprezzamento.

Ovviamente, è giusto ritenere che solouna parte delle antiche giaciture librarie siasopravvissuta all’usura del tempo e all’incu-ria degli uomini, nonchè ad inevitabili ces-sioni, ma non mi sembra azzardato afferma-re che Siena potrebbe essere considerata una“città biblioteca”.

Mi domando quanti, in questa città,siano a conoscenza di un così ingente patri-monio di saperi e di rarità antiquarie, e se lesue potenzialità al servizio della culturasiano adeguatamente impiegate, oppure,sottovalutate, siano relegate in un disarmoingiusto e colpevole.

Lo scorso anno sono state organizzatedue esposizioni di libri antichi: la prima“Hic liber est“55 presso la Biblioteca degliIntronati e la seconda, “Siena Bibliofila“,nelle sale della Pinacoteca Nazionale: even-ti che avrebbero dovuto evidenziare, conl’importanza, l’attualità degli antichi volu-mi, richiamandone alla pubblica attenzione

il rilievo documentale e scientifico, special-mente per lo studio della Storia, e non solola rarità o la preziosità antiquaria.

Non so se questi obiettivi siano stati rag-giunti. Certo fa riflettere quanto affermatoda Roberto Barzanti in un suo breve com-mento alla mostra “Siena Bibliofila“: Tuttiquei libri sotto teca, o chiusi o aperti ad una pagi-na a caso, senza poterli sfogliare e soppesare, vienfatto di considerarli imprigionati e lontani56.

A differenza di un dipinto o di una sta-tua, che esibiscono un’identità squisitamen-te esteriore, direttamente esposta all’osser-vatore, un libro esiste in funzione del testoo delle immagini che propone al suo inter-no. Quindi un libro vive soltanto se unqualsiasi lettore può aprirlo per esplorarneil contenuto, anche scorrendone fugace-mente le pagine, o limitandosi ad osservar-ne le figure. Altrimenti il libro è un oggettoinanimato e quindi sterile, inutile; comedice Barzanti: “imprigionato“ e quindi inca-pace di esprimersi e di farsi conoscere.

Il concetto è immediatamente estensibi-le alle biblioteche, quali aggregazioni dilibri. Queste istituzioni, pur vaste che siano,conducono un’ esistenza senza vita se nonfanno conoscere i volumi posseduti, se nonesaltano i loro pregi e non favoriscono laloro consultazione. Come un libro dimen-ticato in una vetrina chiusa, una bibliotecasenza lettori non serve la cultura e diventail freddo contenitore di testi in letargo, col-pevolmente abbandonati nell’oblio dell’i-nedia. A Siena, purtroppo, esistono situa-zioni del genere, che ho avuto la sorte diconoscere personalmente.

Così la straordinaria collezione di Storiadella Botanica, una delle più complete almondo per testi antichi, che l’Accademiadei Fisiocritici è costretta a tenere inscatola-ta in un magazzino, non disponendo dispazi sufficienti alla sua esposizione, men-tre nell’accogliente volumetria della chiesadella Rosa, limitrofa all’Accademia, potreb-be avere una sistemazione tanto comoda,

55 Vedi la nota di S. Centi in “Accademia deiRozzi“, 31-2009, p. 76

56 R. Barzanti, Collezionisti in mostra, in “IlGazzettino senese“, nov. 2009.

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quanto proficua. Ma sembra che l’Univer-sità, che ne è proprietaria, non lo permetta.

Così la mancata aggregazione delleimportanti biblioteche di Storia dell’Arte rac-colte e ordinate dai compianti professoriEnzo Carli, Cesare Brandi e GiulanoBriganti, che oggi sono appoggiate pressodifferenti enti cittadini e solo in minimaparte aggiornate con le pubblicazioni perio-diche e monografiche pertinenti alla materia,che sono uscite dopo la morte degli studiosi.

Avevo lanciato l’idea della creazione diun fondo specialistico proprio dalle paginedi questa rivista, ormai alcuni anni fa57,nell’intento di richiamare a Siena tanti stu-diosi delle discipline artistiche che oggi sonocostretti ad emigrare a Firenze, in particolarenella fornitissima biblioteca dell’IstitutoGerma-nico, e, soprattutto, di far uscire daltriste letargo le tre straordinarie collezioni,che aggregate potrebbero dar corpo ad unarinnovata, grande e pregevole biblioteca dilivello internazionale. Grazie a questa fusio-ne potrebbe nascere un efficiente centro diperfezionamento in Storia dell’Arte, unanuova struttura bibliotecaria capace di resti-tuire a Siena quella funzione di promozioneculturale che, come abbiamo visto, avevaegregiamente svolto nel suo glorioso passato.

Non modesti pure i ritorni economici deri-vanti dalla realizzazione di questo progetto,che restituirebbe a Siena molti studiosi stan-ziali e, poi, per il vantaggio di poter gestire letre strutture bibliotecarie con un unico gruppodi lavoro e per l’opportunità di risparmiare suicosti d’acquisto dei volumi, dovendo sostene-re un solo aggiornamento editoriale.

Sembrava inizialmente che la propostafosse stata accolta con lungimirante apprez-zamento, ma, ad oggi, nulla è stato fatto.

Le tre biblioteche d’Arte continuano asonnecchiare in una inconcludente emar-ginazione e pure il fondo botanico è ancorarigorosamente bloccato nei magazzini.Intanto si perdono occasioni di crescita ed

emerge la colpevole, duratura incapacità delleistituzioni di mettere a frutto una parte signi-ficativa del patrimonio culturale della città.

Una battuta d’arresto che stride con ilclamore suscitato attorno al tentativo diproporre Siena come capitale europea dellacultura per il 2018, perchè la possibilità dioffrire ad intellettuali di tutto il mondo uncomplesso di fondi librari davvero eccellen-te per organicità e specializzazione in moltee importanti discipline rappresenterebbeuna sicura rampa di lancio verso il successofinale. A chi obietta che l’era di Internetridimensiona la scrittura su supporto carta-ceo, è facile rispondere che senza i libri nonsarebbero esistiti nemmeno gli straordinaristrumenti informatici di oggi e che proprioi libri, come abbiamo visto, furono alla basedi quella variegata cultura senese che svolseun ruolo non marginale nel progresso diciviltà instaurato dall’Umanesimo e guidatodal Rinascimento.

Dunque l’atteggiamento che le istituzio-ni senesi sapranno assumere nei confrontidelle preziose collezioni conservate nellesue biblioteche - universitarie e non - costi-tuirà un significativo banco di prova pertestare la capacità di autoproporsi nella ker-messe della cultura europea; per verificare laforza reale del progetto e la congruità delleconseguenti scelte operative; per evitare chealtisonanti proclami si trasformino in chias-sose e vane ostentazioni muscolari. Ma nonsolo: infatti qualsiasi miglioramento gestio-nale dei fondi presenti nelle molte bibliote-che senesi renderebbe comunque un servi-zio alla diffusione del sapere e gioverebbenon poco ad un quanto mai opportunorilancio d’immagine dell’Università.

Ovviamente, a tal fine, dovrebbe esserepromossa un’adeguata campagna promozio-nale per informare tutti coloro che, giovanistudenti e attempati studiosi, hanno bisognodi consultare libri antichi o comunque diffi-cilmente reperibili anche negli specialistici

57 E. Pellegrini, Un’occasione che Siena non deveperdere, in “Accademia dei Rozzi“, 23-2005.

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contesti delle biblioteche di facoltà. Per faresapere che in Siena si concentra un polobibliotecario di livello internazionale.

Altrimenti, se non si capirà che qualsiasiprogramma finalizzato a sviluppare ladimensione culturale della città e a valoriz-zarne i pregi non potrà non aver cura dellefunzioni inerenti alla gestione dei libri, saràdifficile raggiungere gli obbiettivi proposti;come sarà difficile difendersi dall’accusa dinon saper impiegare e valorizzare le grandirisorse culturali esistenti. Inoltre, qualun-que sia l’ambito progettuale del program-ma, penso che non potranno essere emargi-nate quelle straordinarie palestre intellettua-li che sono le antiche Accademie cittadine,nonchè molti enti civili e religiosi sparsi nel

territorio, tra la val di Chiana, l’Amiata e ilmare, che fu l’antica culla della culturasenese e che conserva monumenti e opered’arte di altissimo pregio, si adorna di unastraordinaria collana museale, stimolaancora proficui fermenti di quella cultura.

Prendendo ad esempio la citata mostra“Siena Bibliofila“ o le celebrazioni montal-cinesi per la ricorrenza della pace di CateauCambrésis – di cui si parla in altra parte diquesta rivista – mi fa piacere ricordare epropagare il senso dell’eccellente sinergiaintercorsa tra soggetti pubblici e privati cit-tadini, che è stata imprescindibile elementopropositivo e concreto riferimento organiz-zativo per la realizzazione delle due prege-voli iniziative culturali.

La foto d’epoca mostra la grandiosa sala di lettura della Biblioteca senese degli Intronati,che conserva negli antichi scaffali collezioni librarie di altissimo pregio.

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EVENTI

La battaglia di Montapertivista al di là delle Alpi

Presentazione degli atti del convegno organizzato dall’Accademia dei Rozzi “Alla“Alla ricerca di Montaperti. Mito, fonti documentarie, storiografia”

di THOMAS SZABÓ

Quando ho avuto il gentile invito a par-tecipare alla presentazione del volume “Allaricerca di Montaperti”, per un momento misono chiesto: perché questo onore? Dopoun attimo di riflessione, il motivo dellarichiesta avanzatami dagli organizzatori mifu subito chiaro: poiché noi, tedeschi, par-tecipammo alla grande vittoria già ottocen-to anni fa, un professore tedesco non pote-va mancare alla presentazione del nuovolibro sulla battaglia. Poi mi sono accortoche, forse, c’erano anche altri motivi: la sto-riografia tedesca si è interessata da sempre,come sappiamo tutti, alla storia dellaToscana; inoltre, magari, ci sono fonti d’ol-tralpe finora non prese in considerazione,che rispecchiano gli eventi del 1260 e che ioavrei potuto presentare. Questi saranno,dunque, i due punti, che tratterò breve-mente: le fonti d’oltralpe e poi, un po’ piùdettagliatamente, la genesi della grandeattenzione che la storiografia tedesca hadedicato all’Italia e alla Toscana.

L’attenzione della quale la grande vitto-ria godeva, si spiega non solo perché aMontaperti è stata impartita una severalezione all’arroganza di Firenze (che offen-deva i contemporanei) e non solo perchénella battaglia si sono scontrati due grandirivali, ma anche perché dietro a loro c’era ilmaggiore conflitto del tempo, quello tra

Papato e Impero, come scrive MarioAscheri nella sua introduzione.1

La vittoria dei Senesi sui Fiorentini hadestato una grande eco in tutta l’Europa,ma ha inciso nelle fonti transalpine inmodo disuguale: i giornali quotidiani diallora: i cantautori - mi sia permesso questoparallelo - ci mostrano la reazione imme-diata del pubblico. I cronisti invece, chefurono meno veloci, buttarono giù le loroimpressioni più tardi, quando forse, nelmomento di scrivere, altri avvenimenti col-pirono di più la loro attenzione – un’osser-vazione che vale almeno per le regioni piùlontane dagli avvenimenti.

L’eco immediata della battaglia si rispec-chia nei sirventes provenzali. I loro autori,“serventi” di corte, cioè poeti-cantautori,intrattenevano il loro pubblico con canzonifatte ad hoc, nelle quali commentavano gliavvenimenti politici del tempo. PatriziaTurrini nel suo contributo ha richiamatol’attenzione su queste fonti importantissi-me2 che, attraverso 9 sirventes, composte dadiversi autori, commentano gli sviluppi trail 1259 e 1268: il primo (di Raimon de Torsdi Marsilia) scritto all’alba dell’intervento diManfredi, si augura che il re di Sicilia,appoggiato dai Lombardi, impartisca unadura lezione ai suoi avversari e al clero;3 il

1 Mario Ascheri, “Un’introduzione: Il contestostorico di Montaperti”, in Alla ricerca di Montaperti.Mito, fonti documentarie e storiografia. Atti delConvegno (Siena 30 novembre 2007), a cura di EttorePellegrini, Siena 2009, pp. 7-14, ivi pp. 10 sq.

2 Patrizia Turrini, “Le fonti a stampa”, in Alla ricer-ca, cit., pp. 15-69, ivi p. 17.

3 Friedrich Schirrmacher, Die letzten Hohenstaufen,Göttingen 1871, p. 656 no. I.

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secondo (di Peire Vidal) esalta la vittoria diManfredi riportata sugli orgogliosiFiorentini, che dopo la loro disfatta sonodiventati cortesi e gentili;4 il terzo (di PeireVidal) applaude ai successi ulteriori diManfredi in Toscana; nel quarto (una pasto-relle di Paulet di Marsilia) il cantautore noncapisce perché Carlo d’Angiò maltratti iprovenzali e perchè, appoggiato dal clero,voglia togliere a Manfredi il suo regno;5 ilquinto (“a torto ascritto” a Aimeric dePeguillan, come scrive Schirrmacher)lamenta la morte di Manfredi, etc.6

In Germania, di questa categoria di vocie reazioni immediate, si è conservato soloun lamento del 1268 sulla morte diCorradino7 e un altro, che descrive la lottatra gli Hohenstaufen e gli Angiò nel regnodel Sud come una partita di roulette persa daManfredi e da Corradino.8

Per quanto riguarda la cronachisticadell’Europa del nord, in particolare riferi-mento alla Francia, sarebbe da citareGuglielmo de Nangis, attivo tra il 1250 e1299, cioè un contemporaneo della batta-glia, sul quale anni fa Odile Redon haopportunamente richiamato l’attenzione.9

L’autore, che scrive a Parigi, a Saint Denis,narra che da Firenze sia partito un grandeesercito per distruggere Siena; ma che poi iFiorentini siano stati vinti dai milites diManfredi, guidati dal Conte Giordano, eche la loro città sia stata conquistata e, infi-ne, sottomessa al potere di Siena.10

Ci piacerebbe sapere che cosa si disse suifatti d’Italia in Inghilterra, ma il grande eben informato cronista del tempo,Mattheus Paris, che scrisse le sue cronachevicino a Londra, a St. Albans, si era spentonel 1259.

Il domenicano Martino da Troppau,nato in Slesia, che da penitenziario aposto-lico passò gli anni 1261-1278 a Roma, nelsuo Chronicon pontificum et imperatorum sud-divise i fatti in tre fasi: Fiorentini eLucchesi, fiduciosi nelle proprie forze e nelloro grande esercito, invasero il contadosenese; i Senesi, appoggiati dal re di SiciliaManfredi, andarono loro incontro;Fiorentini e Lucchesi furono traditi, perchéall’inizio della battaglia i primi et precipui deiFiorentini passarono dalla parte dei Senesi;a seguito della loro sconfitta, ci sarebberostati più di 6000 tra morti e prigionieri.11

La ricca cronachistica germanica di que-sti anni, invece, passa sopra gli eventi diMontaperti, preoccupata in misura maggio-re per il fatto che il paese doveva digerireuna grossa novità intorno ai tre re, cioèCorradino e gli altri due sovrani eletti con-tro di lui su istigazione papale: Riccardo diCornovaglia (fratello di Enrico III diInghilterra) e Alfonso di Castiglia (re diCastiglia e Leon). Riguardo all’Italia si notasolo il movimento dei flagellanti – che giànelle cronache italiane del tempo suscitavagrande scalpore.

Tra i cronisti tedeschi posteriori solo due

4 Turrini, “Le fonti a stampa”, cit., p. 17;Schirrmacher, Hohenstaufen, p. 657 no. II.

5 Ivi, p. 659-660 no. IV.6 Ivi, pp. 660-66 no. V; cfr. anche ivi pp. 658 e

660-662 no. III, V.7 Ivi, pp. 673-74 no. XI.8 Ivi, p. 672 no. X.9 Odile Redon, Lo spazio di una città. Siena e la

Toscana meridionale (secoli XIII-XIV), Roma 1999, p.219.

10 Ex Guillelmi de Nangis Chronico (MonumentaGermaniae Historica. Scriptores vol. 26, p. 638, cit.MGH SS 26 etc.)

11 Martini Chronicon (MGH SS 22, p. 473): AnnoDomini 1259. Constantinopolis, que olim per

Gallicos et Venetos capta fuerat, per PaleologumGrecorum imperatorem vi prelii recuperata fuit.Eodem anno in Thuscia Ytalie Florentini et Lucanimiserabilem eventum habuerunt. Nam confisi desuorum multitudine et fortitudine cum comitatumSenensium intrassent, et Senenses freti auxilio domniManfredi tunc regis Sycilie ipsis ad bellum obviamexivissent, Florentini et Lucani fraude suorum suntcircumventi. Nam in inchoacione conflictus, quiprimi et precipui inter Florentinos erant ad hostesaccedentes, in suos cum Senensibus sunt quam plu-rimum debachati. Dicuntur autem de Florentinis etLucanis tunc inter mortuos et plus quam 6 milia cor-ruisse.

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sono da citare: Giovanni da Viktring, l’aba-te dell’omonimo monastero cistercense inCarinzia (†1345/47)12 che scrive 80 annidopo la battaglia, e Theodoricus da Nyhem(Dietrich von Nieheim, 1340-1418), nato inVestfalia,13 che scrive un secolo e mezzodopo Montaperti. Ambedue, sia Giovanni14

che Theodoricus, riportano quanto hannoletto nell’opera di Martino da Troppau.15

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Con l’invenzione della stampa, che fececircolare tutte le opere più importanti, finallora soltanto manoscritte e difficilmentedisponibili, la scena cambia di colpo: assi-stiamo agli albori della storiografia – dicia-mo – moderna e possiamo osservare ancheun cambiamento dei motivi che stimolanola ricerca e alimentano lo scrivere.

Negli ultimi decenni del ‘500, MartinoCrusius, professore di greco e latinoall’Università di Tubinga – editore tra l’altrodi Diodoro (1 sec. a.C.), di Heliodoro (3./4.sec. d.C.), del romanzo bizantino Kallima-chos, dei viaggi verso l’oriente di un con-temporaneo – scrive i suoi Annales Suevici,ispirato dal fatto che la Svevia, sua terranatale, quasi cent’anni prima, nel 1495, fuelevata in ducato. L’opera – una storia dellaSvevia dalla creazione del mondo fino aitempi dell’autore – si basa su una pletora dimateriale, citato di passo in passo per auto-re, titolo, libro e capitolo. Per le parti che

raccontano la storia di Siena utilizza comefonti le opere di Orlando Malavolti eGiugurta Tommasi. Per quanto riguarda gliavvenimenti del 1260, Crusius descrive ilconflitto tra Guelfi e Ghibellini a Firenze, lapartecipazione dei tedeschi e dei fuoruscitifiorentini alla battaglia che ebbe luogo –così l’autore – al fiume Arbia il 4 settembre,con 3000 morti e 4000 prigionieri, e finiscecon la sottomissione della Toscana aManfredi. Fra parentesi, gli Annales suevicigodettero di una tale stima presso i con-temporanei e pure in seguito, che nel 1733vennero tradotti dal latino in tedesco eaggiornati fino al 1733.

Nel 1744 esce a Lipsia la Vita di Riccardo,eletto imperatore romano, conte di Cornova-glia.16 La genesi della biografia è curiosa.L’autore, Georg Christian Gebauer, professoriuris dell’Università di Gottinga, che inse-gnava storia del diritto europeo e storiaeuropea, un bel giorno si imbattè in undiploma di dubbia autenticità. Per risolverela questione Gebauer, con l’aiuto della suastimatissima università, si procurò dagliarchivi della Germania un’intera serie didiplomi di Riccardo di Cornovaglia e finìcon lo scrivere una biografia di fondamen-tale importanza su questo anti-re.17 Per lasua redazione Gebauer consulta e cita nonsolo i documenti da lui raccolti e non solola bibliografia senese, come la Historia diSiena di Orlando Malavolti del 1599, maanche le recenti edizioni dalla cronachistica

12 Heinz Dopsch, s.v. “Johann v. Viktring”, inLexikon des Mittelalters vol. 5, München 1991, coll.519-520.

13 Katharina Colberg, s.v. Dietrich von Nieheim“,in Lexikon des Mittelalters, vol. 3, München 1986, coll.1037-1038.

14 Iohannes Victoriensis, Libri certarum historiarumI (MGH Scriptores rerum Germanicarum in usum schola-rum, vol. [36, 1], Hannover 1909, p. 200): Hoc eciamanno Meinfredus rex Sycilie in adiutoriumSenensibus venit contra Florentiner et Lucanos; etFlorentinis fidem non servantibus sue parti et decli-nantibus pluribus ad Senenses, sex milia hominumLucanorum atque Florentinorum in prelio sunt pro-strata; ubi Meinfredi virtus est maxime commendata,et pape et cardinalium mens ad stridorem dencium

sauciata.15 Historie de gestis romanorum principum (MGH

Staatsschriften des späteren Mittelalters vol. 5, 2,Stuttgart 1980, p. 109): Anno domini MCCLIX. …Eodem anno Florentini et Lucani hostiliter intrave-rant comitatum Senensem et maximum receperuntconflictum auxiliantibus Senenses magnifice ipsoManfredo principe Tarentino, filio dicti Frederici II.augusti, et quodam eius magno capitanio Teutonicoin bellis experto.

16 George Christian Gebauer, Leben und denckwür-dige Thaten Herrn Richards erwählten Römischen Kaysers,Grafens von Cornwall und Poitou, in dreyen Büchern,Leipzig 1744.

17 Allgemeine deutsche Biographie, vol. 8, 1878, pp.449-452.

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italiana, come i racconti di RicordanoMalaspini e Giovanni Villani, edite dalMuratori nel 1726, ris. 1728.18 Al di là delleAlpi, Gebauer è il primo a fornirci un det-tagliato racconto degli antefatti e del corsodella battaglia di Montaperti; nonchè ilprimo a pubblicare diversi documenti ine-diti, come ha mostrato Maria AssuntaCeppari nel volume qui presentato.19

Tra il 1823 e il 1825, Friedrich vonRaumer (1781-1873), ufficiale ministerialeprussiano, viaggiatore con interessi politico-economici, professore universitario, pubbli-cista e scrittore, dette alle stampe la suaStoria degli Hohenstaufen e del loro tempo.L’autore, addolorato per il tramonto del-l’impero germanico – sconfitto daNapoleone nel 1806 – rivolge lo sguardoverso un passato lontano e glorioso, chericonosce nel periodo degli Hohenstaufen.L’opera – uno dei più importanti testi del-l’idealismo tedesco, ristampata 5 volte finoal 1878 – ottenne un grande successo dipubblico e influì sui contemporanei perdue ordini di motivi nettamente distinti,ma ugualmente ispirati dal grande passato:l’uno sul piano politico-ideale e l’altro, chequi ci interesserà forse di più e che trattere-mo dopo, sul piano della ricerca storica.

Per quanto riguarda il piano politico, lesperanze dei tedeschi già dagli anni trentadell’ 800 si divisero: alcuni sognavano ilrisorgimento del vecchio Reich per operadella Prussia luterana; altri grazie all’inter-vento dell’Austria e della chiesa cattolica. Ecosì l’eco della Storia degli Hohenstaufen,nonchè degli scritti di altri successivi autori,suscitò un’aspra discussione tra gli storici –

la cosiddetta controversia Sybel-Ficker. Isostenitori della Prussia, affermavano che isovrani del medioevo con la loro Kaiser-politik sprecarono le energie del popolotedesco: invece di fare le loro spedizioniverso sud e di dedicare le loro attenzionipolitiche all’Italia, avrebbero dovuto svilup-pare una Ostpolitik; gli altri, il cui esponentepiù in vista era Julius von Ficker, riteneva-no, invece, che il tanto vituperato indirizzopolitico degli Hohenstaufen rientrasse nellalogica del tempo: per loro era assurdo criti-care il corso della storia.

In quegli anni sessanta, in un clima poli-tico liberale e anticlericale, con tensioni trastato e chiesa che sboccavano nel cosiddet-to Kulturkampf, lo storico FriedrichSchirrmacher, professore all’Università diRostock e allievo del Ranke, pubblicò primain 4 volumi la Storia di Federico II 20 e poi,nel 1871, Gli ultimi Hohenstaufen.Quest’ultimo libro porta come motto sultitolo il programma di Innocenzo IV del1245 “Perdatis huius Babylonii nomen etreliquias, progeniem atque germen”21 –“distruggete la stirpe degli Hohenstaufen”.

Schirrmacher (a titolo di curiosità: suo-cero del mio bisnonno, come ho saputopoco tempo fa) che dedica un terzo dellesue 700 pagine alla politica di Manfredi edue interi capitoli alla battaglia diMontaperti e agli eventi conseguenti e chepure pubblica documenti inediti – come hamostrato Maria Assunta Ceppari – addebitale guerre di quegli anni e la caduta dellagrande famiglia imperiale all’intransigenzadel Papato, cioè all’intervento del poterespirituale negli affari dello stato.

18 Gebauer, Leben und denckwürdige Thaten, cit., p.579.

19 Maria Assunta Ceppari, “Repertorio delle fontipiù antiche e meno note. I documenti del Duecento”,in Alla ricerca, cit., pp. 71-117; a pp. 96-98 Lettera diBuonaccorso Latini; pp. 102-105 Lettera scritta daiguelfi fiorentini; pp. 106-112 Lettera dei senesi aRiccardo di Cornovaglia.

20 Friedrich Wilhelm Schirrmacher, Kaiser FriedrichII., 4 voll., Göttingen 1859-1865.

21 Friedrich Schirrmacher, Die letzten Hohenstaufen,

Göttingen 1871; cfr. J.F. Böhmer, Regesta imperii V.2.Die Regesten des Kaiserreichs unter Philipp, Otto IV,Friedrich II, Heinrich (VII), Conrad IV, Heinrich Raspe,Wilhelm und Richard. 1198-1272. Nach derNeubearbeitung und dem Nachlasse Johann FriedrichBöhmer’s neu herausgegeben und ergänzt von JuliusFicker und Eduard Winkelmann. Dritte Abteilung,Innsbruck 1892, p. 1280, no. **7550; ErnstKantorowicz, Kaiser Friedrich der Zweite, Berlin 1927,pp. 545-546.

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Per noi, in questa sede, sarà più interes-sante verificare l’influsso della Storia degliHohenstaufen di Von Raumer sulla ricercastorica.

L’idea del grande passato stimolò gene-razioni di storici a scavare negli archivi e amettere allo scoperto il filo dei grandi avve-nimenti di quei tempi. E strada facendo, laricerca d’archivio ha sviluppato un nuovo ediverso affascinante obbiettivo, quello dellaricerca stessa e dello scoprire nuovi materia-li, mai visti e mai consultati da altri, con cuicostruire una trama storica che si auspicasempre più vera ed oggettiva.

Già Friedrich von Raumer ha usato gliarchivi e ha passato nel periodo 1816/181722

quasi un anno a Roma. Ma il primo grandefrequentatore degli archivi fu il biblioteca-rio di Francoforte e collaboratore deiMonumenta Germaniae Historica, JohannFriedrich Böhmer (1795-1863).23

Questo studioso, per un contributo aiMonumenta, nel 1850 è venuto a Siena edha copiato l’importante KalendariumEcclesiae Senensis, che pubblicherà poi sottoil titolo Annales senenses nel diciannovesimovolume in folio degli Scriptores.24

In base alle indicazioni del Böhmer, chein quella occasione aveva conosciuto lastraordinaria ricchezza dei documenti con-servati nell’ Archivio di Siena e con le suelettere di raccomandazione, un giovaneprofessore dell’Università di Innsbruck,Julius Ficker, comincia i suoi viaggi per visi-tare archivi e passa, tra il 1853 e il 1854,quasi 6 mesi in Italia.25 A Firenze, accompa-gnato dal direttore del locale Archivio,Francesco Bonaini, potrà vedere il corpus

documentale riordinato; poi, continuandoil suo viaggio verso Roma e l’Italia del Sud,Ficker passerà per Siena, dove rimarrà forte-mente impressionato dalla città26.

Nel ritorno, passando di nuovo perSiena, gli batte il cuore dall’emozione per-ché gli sembra di fiutare l’aria del medioe-vo.27

Non è questo il luogo per soffermarsisulle esperienze e sulle scoperte di Ficker inItalia e, in particolare, in Toscana, né suisuoi Studi intorno ai tribunali e al dirittonell’Impero, il cui quarto volume è dedicatoal direttore dell’Archivio di Stato di Siena,Luciano Banchi, che gli mostrò tutti i docu-menti senesi rilevanti per la politica deisovrani germanici e l’amministrazione dellagiustizia nell’Impero.28

L’ingente materiale raccolto da Ficker nelcorso dei suoi viaggi attraverso l’Italia daglianni cinquanta fino agli anni settantadell’Ottocento confluiva nella grandeimpresa iniziata da Böhmer. Già negli anniventi Böhmer aveva cominciato a raccoglie-re i diplomi di re e imperatori tedeschi, pub-blicando nel 1831, come primo frutto dellasua impresa, i Regesta chronologico-diplomati-ca regum atque imperatorum Romanorum indea Conrado I usque ad Heinricum VII.29 La rac-colta comprendeva, per il periodo dal 911al 1313, indicati in tabelle e disposti su 284pagine tutti i diplomi allora conosciuti,segnalando il contenuto in una riga e illuogo di pubblicazione del documento. Nelcorso degli anni trenta e quaranta, Böhmer,al fine di rendere i regesti più espliciti allar-gando l’arco cronologico e inglobandonella raccolta anche notizie cronachistiche,

22 Stefan Jordan, s.v. „Raumer, Friedrich von“, inNeue deutsche Biographie, vol. 21, Berlin 2003, pp. 201-202.

23 Gottfried Opitz, s.v. “Johann Friedrich Böh-mer”, in Neue deutsche Biographie, vol. 2, Berlin 1955,pp. 393-394.

24 Cfr. MGH SS 19, pp. 225 sq.25 Julius Jung, Julius Ficker (1826-1902). Beitrag zur

deutschen Gelehrtengeschichte, Innsbruck 1907, pp. 176 sq.

26 Ivi, pp. 176-177.27 Ivi, p. 182.28 Julius Ficker, Forschungen zur Reichs- und Rechts-

geschichte Italiens, vol. 4, Innsbruck 1874.29 Johann Friedrich Böhmer, Regesta chronologico-

diplomatica ecc., Frankfurt am Main, 1831, XXII, 284

pp.

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leggi e documenti, ha pubblicato diversisupplementi.30 Quattro anni dopo la mortedi Böhmer, nel 1867, Ficker venne incarica-to di dirigere la riedizione dei RegestaImperii, fino ad allora usciti dalla penna diBöhmer. Nella nuova impresa Ficker assunsela redazione del quinto libro dei Regesta, che,uscito tra il 1882 e 1901 in tre volumi - ormaicon regesti così completi che si poteva quasifare a meno dei documenti originali - pre-sentava la storia politica del Reich, compresiriferimenti all’Italia e alla Borgogna nelperiodo 1198-1272, disposti su 2196 pagine,oltre a 228 pagine di indici.31

Scorrendo questo ricco materiale per ilperiodo di Manfredi ci si imbatte in unaquarantina di regesti che documentano isuoi contatti con Siena. E vi troviamo,naturalmente – a parte i rinvii sui docu-menti pubblicati da Gebauer eSchirrmacher e trovati da Böhmer e dallostesso Ficker – una ricca bibliografia finoagli anni di uscita delle singole parti dell’o-pera. Sotto la data del 4 settembre 1260 silegge un breve racconto della battaglia, conl’ovvio rinvio al Libro di Montaperti diCesare Paoli e si trovano indicate tutte lefonti che raccontano l’avvenimento: icosiddetti Annales Senenses, la lettera diBuonaccorso Latini, il Thomas Tuscus, gliAnnales Januenses, - Piacentini, - Parmensesecc.32

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Dopo tante scrupolose ricerche di eccel-lenti storici – e in questo caso anche ricchedi motivi interessanti, perché legate ad unabattaglia rilevante sia per la storia di Siena,

sia anche per quella del Reich – che cosa sipoteva trovare e dire di nuovo sulla batta-glia di Montaperti? Che cosa, dopo cheanche uno studioso come Davidsohn avevalavorato assiduamente su questo materiale el’aveva arricchito con nuove scoperte? Checosa si poteva, infine, trovare e dire dinuovo dopo che, dai tempi di Davidsohn,ulteriori e preparate generazioni di storici sisono occupate della Battaglia diMontaperti?

Sfogliando e leggendo il libro qui pre-sentato diventa subito chiaro che valeva lapena riaffrontare l’argomento, perché gra-zie Alla ricerca di Montaperti si sono fattiulteriori passi in avanti. Nuovi, utili risulta-ti sono stati possibili a seguito dell’esamescrupoloso dei problemi centrali della que-stione: perché gli autori del volume si sonoappoggiati non solo all’ingente corpus dellaletteratura relativa alla battaglia, ma anche eanzitutto al riesame della tradizione archivi-stica e delle fonti in materia.

La scrupolosa disamina del materialestampato da parte di Patrizia Turrini hamostrato che il ricordo di Montaperti, daigiorni della battaglia fino ai nostri, non si siamai spento. Perché c’è – nonostante la perdi-ta completa del materiale archivistico deltempo della battaglia, cioè del secondosemestre del 1260 – un filo ininterrotto diricordi, che inizia con le cronache italianedel medioevo, sia tramite i manoscritti dellaBiblioteca comunale e dell’Archivio di Stato,sia tramite le opere a stampa dal ‘500 all ‘800,e si inserisce nella storiografia dei nostri gior-ni, che discute tuttora la genesi, il corso, illuogo, e il significato della battaglia.33

Maria Assunta Ceppari ha raccolto i

30 Cfr. Santifaller, „Geleitwort“ nel reprint(Hildesheim 1966) pp. 5* sq. di J. F. Böhmer, RegestaImperii I. Die Regesten des Kaiserreichs unter denKarolingern 751-918; a cura di Engelbert Mühlbachere Johann Lechner, Innsbruck 1908. (Il reprint contie-ne oltre il „Geleitwort“ un „Vorwort,Konkordanztabellen und Ergänzungen“ diCarlrichard Brühl e Hans H. Kaminsky.).

31 Johann Friedrich Böhmer, Regesta imperii V. 1-3.Die Regesten des Kaiserreichs unter Philipp, Otto IV,

Friedrich II, Heinrich (VII), Conrad IV, Heinrich Raspe,Wilhelm und Richard. 1198-1272. Nach derNeubearbeitung und dem Nachlasse Johann FriedrichBöhmer’s neu herausgegeben und ergänzt von JuliusFicker, Innsbruck 1882-1901 (reprint Hildesheim1966).

32 Regesta imperii V.2, cit., p. 2039 no. 14135d.33 Patrizia Turrini, “Le fonti a stampa (Excursus

bibliografico mirato)”, in Alla ricerca, cit. pp. 15-69.

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documenti che sono la base della nostraconoscenza della battaglia e dei suoi ante-fatti e li ha arricchiti con diverse testimo-nianze archivistiche assai importanti, per-chè finora escluse dal novero delle nostreinformazioni.34

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C’erano per di più problemi intorno allabattaglia ancora non presi in considerazio-ne e quindi non risolti.

In questo contesto Aude Cirier ha arric-chito la problematica della battaglia esami-nando l’ intelligence service di Siena, cioè l’ef-ficienza dei “servizi segreti”del Comune inrapporto all’esigenza di avere costantemen-te informazioni, sia in tempo di pace che diguerra.35

Per quanto riguarda i due eserciti che siscontrarono a Montaperti si conoscevafinora – tramite il cosiddetto Libro diMontaperti e l’analisi di Cesare Paoli – solola disposizione dell’esercito Fiorentino.Grazie alle precise e approfondite ricerchedi Giovanni Mazzini – che si è avvalso diuna ricca documentazione manoscritta e astampa – e nonostante la ricordata gravelacuna archivistica del secondo semestre del1260, abbiamo finalmente un’idea abba-stanza chiara anche della controparte, vale adire dell’esercito Senese: della sua mobilita-zione e composizione, nonché delle diretti-ve circa l’adunata e la partenza per il campodi battaglia.36

Rimane il problema del teatro della bat-taglia, sul quale, nel Novecento, sono sortialcuni legittimi dubbi. In questo contestoRolando Forzoni ha richiamato l’attenzione

sulla tradizione orale dei nonni e sulle lorocredenze intorno alla localizzazione delloscontro, rammaricando che gli archeologinon si siano finora adeguatamente occupa-ti del presupposto campo di battaglia. Inaltre parole: potrebbe valere la pena, tenen-do conto della tradizione orale, indagaredirettamente sul terreno per trovare forsequalche reperto dell’aspro combattimentosparpagliato nella campagna.37

Ettore Pellegrini ha fatto una propostaattraente e nuova riguardo all’itinerario del-l’ultima tappa percorsa dall’esercito fioren-tino: itinerario che in assenza di documentiè stato spesso oggetto di illazioni infondate.I Fiorentini avrebbero campeggiato poco aest di Pieve Asciata, nella valle dell’Arbia, econtinuato poi la loro marcia rimanendosul territorio fiorentino, cioè sulla sinistradel fiume e tenendo questo tra sè e la nemi-ca Siena.38

Nella sua conclusione Duccio Balestrac-ci ha passato in rassegna, in un esame chia-ro e puntuale, tutti i risultati dei contributipresentati, delimitando, in merito alla gran-de battaglia del 1260, ciò che è documenta-bile, rispetto a ciò che è il mero frutto dellafantasia di chi ha scritto39 e mostrando,quindi, che il Convegno aveva raggiunto ilsuo obbiettivo di selezionare il vero dalfalso.

Sono bei risultati, utili e concreti, in untempo nel quale, sotto l’influsso di nuovemode e di innumerevoli turns la storiografiainternazionale tende ad allontanasi semprepiù dalla storia; forse perché manca il lega-me tra la vita e la storia. Un legame che sisente solo nei grandi momenti della storia;o, se uno è Senese, quando la storia della

34 Maria Assunta Ceppari, “Repertorio delle fontipiù antiche e meno note. I documenti del Duecento”,in Ivi pp. 71-118.

35 Aude Cirier, “un altro aspetto della battaglia diMontaperti: lo spionaggio al servizio del Comune diSiena”, in Ivi, pp. 125-140.

36 Giovanni Mazzini, “ ‘Ad hoc, ut exercitus sitmangus et honorabilis pro Comuni.’ L’esercito senese

nel sabato sanguinoso di Montaperti” in Ivi pp. 141-230.

37 Rolando Forzoni, “Tradizione orale e topono-mastica” in Ivi pp. 119-123.

38 Ettore Pellegrini, “Uno sguardo al territorio” inIvi pp. 231-241.

39 Duccio Balestracci, “Conclusioni” in Ivi pp.243-247.

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sua città si ricollega in modo vitale allagrande storia, nel nostro caso, alla grandestoria del Medioevo.

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A proposito del campo di battagliasarebbe da aggiungere un ultimo dettaglioche illustra bene la fama ottocentesca diquel lontano 4 settembre: Julius Ficker,

quando nel 1874 soggiornò a Siena e copiò,nel palazzo Piccolomini, alcuni documentiarchivistici, ricevette la visita di un collega eletterato tedesco. Questi ci riferisce ilseguente episodio: il celebre professore,cioè Ficker, volle accompagnarlo all’ultimopiano dell’Archivio per mostrargli che di làsi poteva vedere il famoso Campo diBattaglia di Montaperti.40

40 Jung, “Ficker”, cit. p. 425.

A.Viligiardi, Ritorno dell’esercito senese dalla battaglia di Montaperti. Affresco che decora il soffit-to del salone dei concerti in Palazzo Chigi Saracini, a Siena. Anche in pittura il mito di Montaperti indu-ce gli autori a commettere errori macroscopici: in questo caso il Viligiardi dipinge come quinta della gran-de scenografia una realistica veduta del frontespizio di Porta Pispini, dimenticando che la struttura sareb-be stata eretta mezzo secolo dopo la battaglia.

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Roberta Cella, La documentazio-ne Gallerani-Fini nell’Archivio diStato di Gent (1304-1309).di GIOVANNI MAZZINI

La vicenda della conservazione, pressol’Archivio di Stato di Gand (Gent in fiam-mingo), del fondo documentario relativoalla compagnia senese dei Gallerani – attivaa Parigi, Londra, Cambrai e presso la cortepontificia, e con interessi nelle Fiandre – èuna vicenda avventurosa. Una serie di cir-costanze fortuite ne ha determinato lasopravvivenza attraverso i secoli, ed ora illibro di Roberta Cella pone finalmenteall’attenzione del pubblico e degli studiosiitaliani la rilevanza di un complesso docu-mentario che ha pochi eguali.

Le carte della compagnia dei Galleranisono giunte fino a noi in virtù della cadutain disgrazia di Tommaso Fini, socio dellacompagnia e divenuto ricevitore generaledel conte di Fiandra tra il 1306 e il 1309.

Nella primavera del 1306 il conte diFiandra Roberto III di Béthune nominòinfatti il mercante senese Tommaso Fini“recheveur souverain et especiael” incarica-to di tutte le riscossioni nella contea. Gliaveva lasciato il posto BuonsignoreBuonsignori, marito di una figlia diCiampolo Gallerani, uno tra i più eminentimembri dell’omonima compagnia commer-ciale, di cui lo stesso Tommaso Fini erasocio. Il Fini prese casa a Bruges nel giugnodel 1306 e in qualità di ricevitore generale sitrovò a gestire un complesso sistema di esa-

zioni ordinarie e straordinarie, dotato di unassetto burocratico incredibilmente effi-ciente per l’epoca. Nello svolgimento dellasua attività ebbe rapporti anche conGiovanni Villani, fattore della bancaPeruzzi incaricata da Filippo il Bello diFrancia di riscuotere la taille de roi (l’impres-sionante balzello di 400.000 lire imposte alconte di Fiandra e da pagarsi entro il 24 giu-gno 1309).

L’attività di Tommaso Fini come ricevi-tore generale delle Fiandre prosegue fino al1 ottobre 1309, quando viene accusato dimalversazione. Arrestato insieme al fratelloBartolomeo che lo coadiuvava nell’incarico,gli vengono sequestrate tutte le carte e i libriin loro possesso. Bartolomeo fu forse giu-stiziato. Tommaso riuscì invece a fuggire inFrancia, ma le carte rimasero in mano delconte Roberto. Tra la documentazionesequestrata si trovavano sia le carte relativeall’incarico di esattore del conte di Fiandra,sia i documenti della compagnia Gallerani,di cui il Fini fu socio fino all’agosto del1308: documenti che – come commental’autrice – per motivi ignoti e tali da susci-tare non pochi interrogativi, nel settembre1309 erano ancora nelle mani dell’ex socio.

Le carte e i libri sequestrati furono depo-sitati nel castello di Rupelmonde, poco asud di Anversa, insieme all’archivio comita-

Un recente studio, pubblicato da SISMEL-Edizioni del Galluzzo, illustra l’eccezionale valore della ricer-ca condotta da Roberta Cella tra le carte dell’Archivio di Gand: una “Pompei documentaria medievale”,un unicum archivistico di grande importanza per la storia di Siena e, più in generale, dei traffici com-merciali in Europa tra ‘200 e ‘300

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le, di cui da quel momento in avanti segui-rono le sorti. Nella seconda metà del XVIsecolo da Rupelmonde l’archivio del contedopo vari spostamenti finì a Gent, dovesolo nel 1773-1778 fu stabilito il trasferi-mento definitivo nell’ex convento deiGesuiti. Una parte della documentazionevenne inventariata da Jules de Saint Genoisnel 1843-46 e in seguito tali carte furonotrasferite al Rijksarchief della città. La parterestante rimase invece abbandonata nel gra-naio dell’ex convento, dove si trovava dal1778. L’archivista Victor Gaillard nel 1852trovò le carte nel granaio e ne riordinò unaulteriore parte. Subito dopo il 1920 un altroarchivista – Henri Nowé – rinvenne tra ilmateriale documentario sfuggito a SaintGenois e Gaillard i due libri delle filiali deiGallerani di Londra e Parigi e li consegnòallo studioso Georges Bigwood. Dopo lasua morte tali libri passarono nelle mani diArmand Grunzweig, che non senza difficol-tà e tribolazioni riuscì finalmente a darlialle stampe nel 1961. Un incremento nellasistemazione delle carte Gallerani avvenneanche grazie all’archivista Carlos Wijffers,che nel 1958 completò l’inventario diGaillard e trovò altre carte. Fin qui la storiapiù o meno nota del fondo documentarioproveniente dall’attività commerciale deiGallerani.

È però nel 2003 che l’autrice, durante unsopralluogo all’Archivio di Stato di Gent,scopre che nonostante il lavoro dei prede-cessori, altri libri e carte provenienti dalsequestro Fini – quasi tutti in volgare italia-no – non erano mai stati né classificati néstudiati e giacevano affastellati disordinata-mente in tre faldoni, più un quarto di cartenon inventariate.

Infatti del fondo – smembrato sottodiverse segnature archivistiche – erano adoggi noti soltanto le carte in latino regesta-te negli inventari a stampa del Rijksarchief ei due libri volgari, con i loro interfoliati, tra-scritti e studiati dal Bigwood e pubblicatidal Grunzweig nel 1961-1962. Dunque ilvolume di Roberta Cella ricostruisce edescrive analiticamente l’intera fisionomiadella documentazione in volgare (in mini-ma parte anche francese), nonché fornisce

l’edizione rigorosa di dodici pezzi senesi.La maggior parte della documentazione

conservata proviene dalla filiale di Parigi,che pare essere la più antica della compa-gnia, documentata già nel 1251. Da essadipendevano anche coloro che operavanostagionalmente alle fiere della Champagneper conto della compagnia, pur risiedendoa Parigi. Alla sede di Parigi facevano capo lafiliale di Cambrai (della quale non è con-servata nessuna documentazione) e la filialedi Londra, di cui era agente BiagioAldobrandini. Il socio rappresentante dellasocietà a Parigi era Giacomino o Mino diStricca. A lui successe Giacomino o Minodi Giacomo Ubertini. Nelle Fiandre invecenon esisteva una filiale prima dell’arrivo inzona dei fratelli Fini.

Il materiale in volgare conservato, datatodal 1 gennaio 1304 all’agosto 1309, costi-tuisce il più nutrito e organico fondo mer-cantile italiano cronologicamente anterioreall’archivio di Francesco Datini, compren-dendo 30 libri di conto tra frammentari eintegri, 36 annotazioni contabili, 8 lettere, 4scritture non contabili, oltre a circa 46biglietti di servizio interfoliati ai pezzi prin-cipali. La varietà delle scritture documenta-te è incomparabilmente superiore a quellepossedute per ogni altra compagnia com-merciale italiana dell’epoca. La tenuta con-tabile Gallerani-Fini, sostanzialmente uni-forme nelle diverse filiali, si rivela comples-sa e articolata in più tipologie testuali: nesono pilastri il grande libro, il libro dei conti, illibro dell’entrata e dell’uscita, il libro di primanota e, in forme non librarie, le registrazioniausiliarie e i consuntivi.

Si tratta inoltre di una quantità eccezio-nale di materiale se rapportata all’età crono-logica: centinaia di pezzi soprattutto latiniche possono essere studiati tramite i regestiSaint Genois, Gaillard e Wijffers, più deci-ne di fascicoli e fogli sciolti, in massimaparte in volgare senese, in quattro faldonid’archivio. Si consideri che per Siena abbia-mo entro il 1300 solo una ventina di testipratici, più altri 16 testi editi entro il 1360.

Il fondo Gallerani-Fini di Gent permettecosì di analizzare almeno in parte il com-plicato sistema di rapporti contabili tra filia-

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li sviluppato dalle compagnie toscane, perun’età reputata aurorale nella storia dellafinanza moderna. A quanto risulta non esi-ste un altro fondo mercantile italiano pari-menti vasto e coerentemente coeso attornoall’attività di una sola compagnia commer-ciale, articolata in varie filiali, fino allo ster-minato archivio del pratese FrancescoDatini tra gli ultimi decenni del XIV secoloe il primo del successivo.

Notevole è anche l’importanza rivestitadalla documentazione in questione sulpiano linguistico, ambito questo nel qualel’autrice si muove con dimestichezza, essen-dole proprio. Dal punto di vista storico-lin-guistico, dunque, i reperti documentalicoprono il periodo cruciale del passaggiodel volgare senese dalla sua forma più arcai-ca a quella trecentesca, costituendo la piùampia documentazione di natura praticaalmeno per tutto il secolo XIV; la peculiari-tà di registrare attività commerciali svolteoltralpe comporta inoltre un ampio cam-pionario di prestiti dal francese, dall’inglesee dal fiammingo.

Alla rilevanza quantitativa si unisce per-tanto la qualità del fondo Gallerani-Fini, laquale si rivela soprattutto nella varietà tipo-logica dei documenti conservati: dalle oltre200 carte notarili in latino di cui abbiamodetto (e di cui l’autrice non si è occupata),ai libri e alle decine di annotazioni contabi-li in volgare, dalle quietanze di pagamentoin francese e in toscano, alle lettere private,fino agli appunti più minuti che si poteva-no trovare sulla scrivania di un mercantemedievale senza per questo essere destinatialla conservazione: ad esempio alcuneannotazioni di calcolo di interessi a scaden-za, nonché la descrizione particolarmentesingolare di un itinerario di viaggio daLucca verso i passi alpini del Sempione edel San Bernardo. Si tratta di una singolacarta con evidenti segni di piegatura, verga-ta in grafica corsiveggiante. L’itinerario,appartenente sul piano linguistico all’ambi-to toscano occidentale (verosimilmente luc-chese), riporta in miglia la distanza tra letappe. Dopo un percorso da Lucca a Pavia,offre due cammini alternativi per raggiun-gere le regioni d’Oltralpe: il primo, attraver-

so Milano, prosegue per il passo delSempione fino a raggiungere Briga (l’attua-le Brig), Sione (Sionne), San Morici (SaintMaurice), e Losana (Losanna); il secondoattraverso Vercelli, Ivrea e Aosta giunge finoal passo del Gran San Bernardo, da doveproseguiva fino a ricongiungersi con lavariante del Sempione.

La ricchezza tipologica e la disponibilitàdi materiale contabile complementare,quali sono ad esempio le registrazioni ausi-liarie rispetto ai libri dei conti e ai libri del-l’entrata e dell’uscita, permettono poi dicondurre sul fondo documentario in ogget-to ricerche relative sia alla formularità di-spiegata nei vari tipi testuali, sia alla storiadella tecnica di registrazione delle operazio-ni. Fino ad oggi, in effetti, non disponendodi un complesso organico di scritture inter-relate, ma solo di frammenti poco rappre-sentativi delle tipologie testuali originarie,trarre conclusioni circa il modo di tenere lacontabilità nel periodo precedente la docu-mentazione Datini poteva essere poco indi-cativo. Il fondo Gallerani-Fini viceversa,caso unico nella fase più antica della storiadelle compagnie toscane, conserva due qua-derni dell’entrata e dell’uscita in sequenza:entrambi direttamente funzionali alla tenu-ta del grande libro della filiale, pur’essoeccezionalmente conservato quasi per inte-ro insieme a qualche frammento del librodei conti. Sono invece conservati ben duelibri dei conti della filiale di Parigi.

Al di fuori della documentazione diinteresse contabile è poi del tutto inedita,nel panorama antico, la tipologia delle trelettere di natura strettamente privata, invia-te l’una dopo l’altra da padre a figlio. Scritteda Nimes in Provenza, dove i Gallerani-Finipare non abbiano avuto filiali, essendo mis-sive del tutto private ed essendone nullal’attinenza con l’attività della compagnia, laloro conservazione è tanto più fortuita. Lostesso si può affermare di un’altra lettera,anch’essa privata, inviata da Siena o dal suocontado: presumibilmente da S. Galgano,poiché lo scrivente al nipote Tommaso Finiè un frate dell’abbazia, forse Nicola oNiccolò di Guido Mazzi o Maizi, sotto-priore di S. Galgano nel 1308.

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Ad una concatenazione di casi moltoparticolari, prima una confisca poi una tra-vagliata vicenda di carte abbandonate epazientemente recuperate, si deve dunquela conservazione del fondo Gallerani-Fininel Rijksarchief di Gent, che si rivela straor-dinariamente interessante per più aspetti.Siamo in presenza di una vera e propria“Pompei documentaria medievale”, secon-do la definizione della stessa autrice: infat-ti, quando le carte furono sequestrate aTommaso Fini, gli incaricati del conte diFiandra non selezionarono la documenta-zione rilevante sotto il profilo giuridicoscartando il superfluo o l’eccedente, maconfiscarono tutto, persino i più insignifi-canti fogli di appunti che certo non sareb-bero stati conservati dal Fini, né da nessunaltro mercante del tempo. Questa circostan-

za spiega perciò la presenza all’interno delfondo documentario di materiale tanto ete-rogeneo e altrettanto raro sul piano dei con-tenuti. Va indubbiamente ascritto a meritodell’autrice di questo volume, non solo enon tanto aver provveduto a classificare edordinare le carte riconducibili alla compa-gnia Gallerani e all’attività di Tommaso Finiconservate al Rijksarchief di Gent, in depre-cabile stato di conservazione a causa del set-tantennale abbandono nel granaio dell’exconvento dei Gesuiti, e materialmente ripo-ste in ordine promiscuo entro grandi racco-glitori senza elenchi analitici; quanto averlepreparate col presente libro alla fruizionedel pubblico e degli esperti ed aver resoquesti antichi e perduti documenti prontiper parlare, a quanti vorranno ascoltare, distoria e di lingua.

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I fantasiosi progetti diPeruzzi & seguaci: quelle torrigemelle non s’hanno da faredi ROBERTO BARZANTI

E se ce l’avesse fatta Pandolfo Petrucci afar costruire torno torno il Campo un belporticato? L’idea – secondo quanto attestauna deliberazione di Balia del 1508 – nonfu di quelle che vengono lanciate e cadonopoi nel vuoto, se tutta una serie di docu-menti, appunti, abbozzi dimostra a doviziache sull’audace ipotesi in molti si affaccen-darono e a lungo. E non solo a propositodel porticato, ma per rimettere a nuovo inchiave anticheggiante una piazza che neiprimi decenni del Cinquecento apparivatroppo irregolare e inadeguata ai canoni diuna solenne e equilibrata simmetria. Senzadubbio tra le carte che registrano questocantiere, per fortuna potenziale, lo schizzopiù sconvolgente è quello di BaldassarrePeruzzi, forse del 1532: data celebre, adesempio nella storia della letteratura italia-na. Tanto per rinfrescare la memoria è ladata dell’edizione definitiva dell’ “Orlandofurioso” di Ludovico Ariosto. Non eranotempi da star tranquilli: la situazione politi-ca si faceva di giorno in giorno più dram-matica. I Noveschi nel 1531 erano statiriammessi al governo dopo il fallito tentati-vo di rovesciare le istituzioni repubblicane.A Firenze si metteva a punto una riformaistituzionale per trasformare la signoria inprincipato, ma con scarsa fortuna. I nodivenivano al pettine. I fragili Stati italianinon reggevano all’urto delle grandi poten-ze. Meglio rifugiarsi in sogni di grandezzanon meno bizzarri dei Castelli tratteggiati

nei poemi cavallereschi, la fiction di allora.Ed ecco che Peruzzi – il suo schizzo si con-serva all’École des beaux-arts di Parigi –immagina un portico che s’apre ai due latidi un Palazzo Pubblico troneggiante isolatoal centro. La Torre del Mangia è trasforma-ta in una colonna, alla sommità della qualecollocare un’enorme statua, e sia questosvettante cilindro che la cappella ai suoipiedi vengono duplicati sul fianco versoMalborghetto: in modo da avere, si direb-be, perfettamente bilanciate, due imponen-ti torri gemelle in forma di colonne. Ilpiano centrale del Palazzo sarebbe culmina-to in una fronte di tempio. Un’operazionedel genere avrebbe fatto assumere alla piaz-za una geometria non solo classicheggiante,ma sacra e romana. Infatti Peruzzi mirava atrapiantare nella sua città natale esperienzeraccolte nel cantiere di San Pietro a Roma ea Bologna, a San Petronio. Neppure ilDuomo sarebbe stato immune da questoardimentoso revisionismo, quando revisio-nismo era. A volte si trattava di pura e sem-plice distruzione e sostituzione. Una seriedi disegni fanno intravedere una robustatrasformazione dell’edificio. “Vien pensatauna mole – fa notare Matthias Quast – cheavrebbe marcato la ‘silhouette’ di Siena conun imponente segno all’antica”. Addiosogno gotico! Il saggio di Quast su“Baldassarre Peruzzi e la visione di unaSiena all’antica” è compreso, insieme a con-tributi di Elisa Bruttini, Mauro Mussolin,

Le annotazioni di Roberto Barzanti a margine della fortunata mostra: ARCHITETTI A SIENA -Testimonianze della Biblioteca Comunale tra XV e XVIII secolo.

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Emanuela Ferretti, Bernardina Sani, IlariaBichi Ruspoli, Alina Payne, Giovanni MariaFara, Daniela Arrigucci, Bruno Mussari,Milena Pagni e Annalisa Pezzo nel volume“Architetti a Siena. Testimonianze dellaBiblioteca comunale tra XV e XVIII secolo”(Silvana editoriale, Milano 2009), edito inoccasione della mostra che s’è tenuta a cele-brazione dei duecentocinquant’anni dellaBiblioteca di via della Sapienza.L’attenzione per l’architettura è uno dei filo-ni più riconoscibili tra i molti coltivati dacoloro che – da Giuseppe Ciaccheri aSallustio Bandini – hanno raccolto con diu-turna passione l’insieme dei testi che rendela Biblioteca un deposito tanto ricco e pre-zioso: così i fondatori non sono stati ricor-dati a chiacchiere – sottolinea il direttoreDaniele Danesi – ma “attraverso l’esibizio-ne dei risultati tangibili della loro azione, leacquisizioni e il talvolta lento, talvoltatumultuoso, accrescimento delle collezio-ni”. La presidente Bernardina Sani aggiun-ge, a giustificazione del tema prescelto, ch’èsembrato molto istruttivo favorire unamigliore conoscenza, anche ad un pubbliconon specialistico, di un libero dinamismoprogettuale, magari non sempre andato abuon fine, ma in grado di stimolare inter-pretazioni e riflessioni: “Apparentementeferma nel tempo, Siena ha tentato incessan-temente di trasformarsi, sia quando ha pen-sato di dotare di portici la piazza delCampo – seguendo i dettami dell’antichità– progetto più volte affrontato e più volte

fallito, sia quando per incoraggiare la devo-zione alla Madonna miracolosa diProvenzano, i Medici, coadiuvati dal lorofedele collaboratore, il Balia IppolitoAgostini, si fanno garanti della costruzionedella imponente collegiata di Santa Mariadi Provenzano”. E tanti altri momenti sipotrebbero citare.

La mostra, e ora il libro che ne resta amemoria, hanno fatto ben intendere lafecondità di itinerari che immettano leforme architettoniche nel flusso delle pro-poste fallite, cadute per artificiosità internao per smisurate ambizioni. Ripercorrere lastoria urbanistica di una città – è una lezio-ne di metodo – significa anche riflettere suquello che non è stato fatto e sulle ragioniche probabilmente ne hanno minato osconsigliato la realizzabilità. Insomma, ognidiscorso su come Siena poteva essere e nonè stata, chiama in causa un inquadramentoculturale e storico senza il quale il rischio èdi fare elenchi che inducano a curiosità eru-dita o a divertita nostalgia. Anche in tempirecenti la questione portici è stata riformu-lata, in termini meno fragorosi. Agli inizidegli Anni Settanta era stato ideato un por-ticato che da Fontebranda conducesse a SanDomenico, forse con l’occhio a quello delsantuario bolognese della Madonna di SanLuca. L’arcivescovo ne era un sostenitoreentusiasta. Il Comune come poteva dir nocon ferma cortesia e buone argomentazio-ni? Si trovò uno stratagemma semplice. Siinvitò Cesare Brandi ad esprimere un suo

Il progetto di Baldassarre Peruzzi per ilPalazzo Pubblico di Siena (1530 circa).Parigi, École des beaux-arts.

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parere subito dopo l’esposizione del proget-tista. E Brandi con la stizzita e oracolarelaconicità che lo distingueva rispose con unquesito che gelò gli astanti: “Perchè sidovrebbe fare proprio a Siena un porticato?I portici non sono nel nostro stile, nonsono nel nostro linguaggio: l’assurdo porti-co dei Comuni a elle basta e avanza!”.Pensai al porticato che si piccava di realiz-zare il volitivo Pandolfo. Se fosse stato fatto

la deduzione sfumava del tutto. E poi si sa:un progettaccio tira l’altro.

Sia come sia, il Peruzzi e i suoi seguacinon riuscirono a tramutare gli effimeri por-ticati che di tanto in tanto si improvvisava-no attorno alla conchiglia in qualcosa distabile. Lo spazio del Campo riuscì aimporre la sua legge e ad evitare un simileingombrante e bislacco stravolgimento.

Progetto di anonimo per un porticato intorno a Piazza del Campo (XVII° secolo). Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana.

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Fig. 1 - Vicolo degli Orefici.

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La Banca dati delle facciatedel centro storico di Siena:note sui palazzi nel Terzo di S. Martinodi MATTHIAS QUAST

Il presente contributo fa parte di unaserie di articoli, pubblicati in questa rivistaa partire dal 20081 e dedicati all’architetturacivile senese, avvalendosi delle osservazionie analisi connesse alla realizzazione dellaBanca dati delle facciate del centro storico diSiena2. Va detto che questi articoli che pro-cedono per Terzi non vogliono ripetere insintesi aspetti che si trovano comunquenella Banca dati. Propongono una scelta difacciate particolari, siano esse schedate onon; puntano quindi il dito anche su argo-menti non trattati. Vogliono evidenziareche la Banca dati, realizzata tra il 2004 e il2006 per il Comune di Siena con il finan-ziamento della Fondazione Monte deiPaschi e del Comune stesso, e messa on linesul sito del Comune all’inizio del 2007,necessita urgentemente di un aggiornamen-to, dal momento che la ricerca nel campodell’architettura civile continua a produrreinnumerevoli nuovi risultati, spesso pubbli-cati in vesti prestigiose3, più spesso ancora,però, in sedi non facilmente reperibili. È

quindi auspicabile una seconda fase di lavo-ri che permetterebbe di colmare le lacune,non solo correggendo errori, inserendo inuovi risultati della ricerca, aggiornando leinformazioni bibliografiche e arricchendola documentazione iconografica, ma ancheampliando il corpus delle facciate schedate4,migliorando e aggiungendo letture descritti-ve che permettano ai non addetti ai lavoriuna più facile comprensione delle informa-zioni tecniche e delle analisi sintetiche,nonchè inserendo ulteriori voci specie inriferimento ai lavoro di restauro, allo statoattuale e ai colori delle facciate.

Finora, nei numeri precedenti di questarivista, sono stati trattati i Terzi di Città e diCamollia, e un ultimo contributo sarà dedi-cato alla piazza del Campo. Come tutti iTerzi, anche il Terzo di S. Martino presentaun campionario ricco di esempi squisiti ditutte le epoche, a cominciare con la primagenerazione dell’architettura residenzialeurbana, la torre gentilizia. Nel vicolo degliOrefici, situato tra via di S. Martino e via di

1 Il primo articolo della serie: Matthias Quast, “LaBanca dati delle facciate del centro storico di Siena:note introduttive”, in: Accademia dei Rozzi, XV, 2008,28, pp. 66-75; seguito da “La Banca dati delle faccia-te del centro storico di Siena: note sui palazzi delTerzo di Città”, in: Accademia dei Rozzi, XV, 2008, 29,pp. 69-85; “La Banca dati delle facciate del centro sto-rico di Siena: note sui palazzi nel Terzo di Camollia,Parte I: Esempi di architettura medievale”, inAccademia dei Rozzi, XVI, 2009, 30; “Parte II: L’etàmoderna”, in Accademia dei Rozzi, XVI, 2009, 31; “LaBanca dati delle facciate del centro storico di Siena:note sui palazzi nel Terzo di S. Martino”, inAccademia dei Rozzi, XVII, 2010, 32; “La Banca datidelle facciate del centro storico di Siena: note sui pro-

spetti della piazza del Campo”, in Accademia deiRozzi, XVII, 2010, 33.

2 www.comune.siena.it, procedere poi via “ServiziOnline”. Accesso diretto: http://db.biblhertz.it-/siena/siena.xq

3 Va menzionato l’esempio eccellente del libro diFabio Gabbrielli, Siena medievale: L’architettura civile,Siena 2010.

4 Si proporrebbe in primis la schedatura delle viedi Vallerozzi, Refe Nero, del Giglio, SallustioBandini, del Moro, di Calzoleria, delle Terme,Termini, piazza Indipendenza, di Diacceto,Franciosa, piazzetta della Selva, Due Porte, pian deiMantellini, via delle Cerchia, Duprè.

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Pantaneto, si è conservata la torre dei Cauli,dal corpo di fabbrica chiuso, ancora dinotevole altezza, interamente in pietra, conl’adiacente casatorre in laterizi (non scheda-te nella Banca dati)5. È caratteristica la com-binazione tra le due strutture edilizie.Un’altra casatorre – o palazzetto – consi-derevole, che Fabio Gabbrielli colloca “tra ipiù interessanti edifici della Siena medieva-le”6, si trova in via del Porrione, 61-63(Banca dati, cat. 474) [fig. 2]. Gli evolutiparticolari scultorei permettono confronticon il palazzo Tolomei e quindi una data-zione ipotetica alla seconda metà delDuecento7.

Un’idea approssimativa dell’aspetto diuna strada a Siena in quel periodo, ci offreil sovramenzionato vicolo degli Orefici(nessuna segnalazione nella Banca dati)nonostante le solite trasformazioni realizza-te nell’età moderna [fig. 1]. Nel vicolo sisono conservate alcune caratteristiche dellestrade senesi medievali: l’andamento irrego-lare, l’altissima densità del costruito, le casecostruite sopra il vicolo. Vi si accede sotto

un arco, e lungo il suo percorso si susse-guono ulteriori archi o ponti, come vengonochiamate le ali degli edifici che, moltonumerosi, scavalcavano le strade. L’alta den-sità del costruito si percepisce soprattuttonella parte posteriore del vicolo, oggi unastradina senza uscita, fiancheggiata da edifi-ci molto alti. L’andamento del vicolo èsinuoso e le fughe delle fronti degli edificinon sono ben allineate ma aggettano e rien-trano. Anche se la maggior parte di questiaggetti non sono medievali ma risultanodagli interventi antisismici aggiunti dopo iterremoti, specie dopo l’orribil scossa del17988 - allora furono costruiti innumerevolisperoni che incidono tuttora nel volto dellacittà - il movimentato andamento del vico-lo rispecchia fedelmente una delle più signi-ficative caratteristiche di vicoli e strademedievali, in cui l’attuazione dei regola-menti, sanciti fin dal XIII secolo, non fuosservata o neanche richiesta. Ulteriori ele-menti delle strade medievali erano le scaleesterne e i ballatoi, spariti nel vicolo degliOrefici: in questo caso, il lungo e instanca-

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5 Cfr. recentemente Gabbrielli, Siena medievalecit., p. 30.

6 Gabbrielli, Siena medievale cit., p. 66.

7 Gabbrielli, Siena medievale cit., p. 67.8 Marina Gennari, L’orribil scossa della vigilia di

Pentecoste: Siena e il terremoto del 1798, Siena 2005.

Fig. 2 - Casatorre in via del Porrione, 61-63 (cat. 474).

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bile lavoro delle autorità comunali che vole-vano demoliti i ponti e gli archi, le scaleesterne e i banchi, i ballatoi aperti e chiusiha portato frutti evidenti – un processo inatto fino a tutto il XV secolo9.

Al numero civico 13 del vicolo (nonschedato nella Banca dati) [fig. 3] sonoancora ben leggibili le tracce di due piani diun palazzetto duecentesco. Al piano terra:archi dalla fronte piatta in mattoni colorrosso scuro e graffiati che poggiano su sem-plici blocchi di mensole di pietra calcarea;tra il piano terra e il piano superiore: uninsolito triplo fregio a dente di sega; alprimo piano superiore: resti di ampi archiravvicinati l’uno all’altro in modo da for-mare un “loggiato”.

Per confermare l’altissima qualità non-ché l’altissima standardizzazione dell’archi-tettura senese del Trecento, vanno segnalatidue esempi che evidenziano anche le straor-dinarie dimensioni di edifici privati nellacittà del XIV secolo. Possibilmente com-missionato da Riccardo Petroni, giurista evicecancelliere di papa Bonifacio VIII, ilpalazzo Petroni in via di Pantaneto, 11-15(Banca dati, cat. 398)10 è databile al primoTrecento. Sorprendono le vaste dimensioni,l’altezza notevole delle originarie aperturetrecentesche. Va menzionato inoltre ilpalazzo in via del Porrione, 69-75 (Bancadati, cat. 477) [fig. 4]11, sempre assegnabileal primo Trecento. La facciata sviluppaancora quattro piani i cui superiori si apri-vano con bifore, una volta protette da unatettoia fissata nell’ultimo piano.

Il Quattrocento senese, la cui secondametà è caratterizzata dalla contemporaneitàdi varie scelte stilistiche12, nel Terzo di S.Martino è rappresentato da eccellenti esem-pi che illustrano i tre filoni tipologici: il

palazzo del Capitano di Giustizia (Bancadati, cat. 580) e il palazzo Binducci (Bancadati, cat. 437) [fig. 5] spiccano tra i palazzidi un ricco secolo gotico; il palazzoTodeschini Piccolomini (Banca dati, cat. 047e 495) [fig. 6] e il palazzo di S. Galgano(Banca dati, cat. 519) [fig. 7] appartengonoal piccolo gruppo dei palazzi senesi di deri-vazione fiorentina; il palazzo di AndreaTodeschini Piccolomini (Banca dati, cat.153) [fig. 8], che si avvale della alloramodernissima soluzione a edicola semplifi-cata per incorniciare le nuove aperture ret-tangolari, è tra i primi esempi di un rinno-vamento dell’edilizia civile in chiave anti-cheggiante.

Il palazzo del Capitano di Giustizia13 e ilpalazzo Binducci14, ambedue databili aglianni Sessanta del XV secolo, tramandanol’esempio del palazzo Pubblico nel pienoQuattrocento, anche se rinunciano al rive-stimento del piano-zoccolo in pietra calca-rea. Arricchiscono invece l’apparato delleforme decorative della facciata inserendofregi ad archetti sotto le cornici-davanzale earchi polilobati nelle trifore dei piani supe-riori [fig. 5].

I palazzi Todeschini Piccolomini e di S.Galgano, nella combinazione di un rivesti-mento a bugnato piatto con finestre a bifo-ra ad arco a tutto sesto e con un cornicioneclassicheggiante, seguono il modello tipolo-gico dei palazzi del Quattrocento fiorenti-no scelto dai Piccolomini al fine di contra-stare visibilmente – per motivi politici – ilGotico trecentesco, ovvero l’espressionearchitettonica per eccellenza della vecchiaRepubblica, la cui struttura governativavolevano modificata a favore del Monte deiGentiluomini15.

Il palazzo di Andrea Todeschini

9 Cfr. Petra Pertici, La città magnificata: Interventiedilizi a Siena nel Rinascimento. L’Ufficio dell’Ornato(1428-1480), Siena 1995.

10 Gabbrielli, Siena medievale cit., pp. 241-243.11 Gabbrielli, Siena medievale cit., pp. 248-249.12 Matthias Quast, “Il linguaggio di Francesco di

Giorgio nell’ambito dell’architettura dei palazzi sene-si”, in Francesco di Giorgio alla Corte di Federico daMontefeltro. Atti del convegno internazionale di studi,Urbino, 11-13 ottobre 2001, a cura di Francesco

Paolo Fiore, Firenze 2004, pp. 401-431.13 Patrizia Turrini, ‘Per honore et utile de la città di

Siena’: Il comune e l’edilizia nel Quattrocento, Siena 1997,pp. 115-121; Gabbrielli, Siena medievale cit., pp. 286-288.

14 Gabbrielli, Siena medievale cit., pp. 288-290.15 Cfr. Matthias Quast, “I Piccolomini commit-

tenti di palazzi nella seconda metà del Quattrocento”,in Archivi Carriere Committenze: Contributi per la storiadel Patriziato senese in Età moderna. Atti del Convegno,

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Fig. 3 - Palazzetto in vicolo degli Orefici, 13.

Fig. 4 - Palazzo in via del Porrione, 69-75 (cat. 477).

Fig. 5 - Palazzo Binducci (cat. 437). Fig. 8 - Palazzo di Andrea Todeschini Piccolo-mini (cat. 153).

Fig. 7 - Palazzo di S. Galgano (cat. 519).

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Piccolomini, infine, è uno dei primi a Sienache formuli pienamente lo standard dellafacciata architettonica all’antica, realizzan-do una sobria articolazione con le aperturerettangolari incorniciate a edicola semplifi-cata, linguaggio scelto, a partire dagli anniOttanta del XV secolo, dalla nuova élitepolitica sotto la guida del Monte dei Novee della famiglia dei Petrucci. La motivazio-ne di questa scelta è sempre politica, similea quella dei Piccolomini: la rottura con latradizione doveva essere completa; il nuovolinguaggio all’antica era il linguaggio deiprincipi come Federico da Montefeltro, lacui signoria fungeva da modello per i sene-si. Francesco di Giorgio, apprezzato archi-tetto senese che offriva contributi fonda-mentali alla costruzione della dimora duca-le a Urbino, non poteva non influenzarepure le scelte architettoniche della nuovaélite politica senese. Durante il XVI secolo lafacciata all’antica con le aperture a edicoladiventava lo standard sia nelle ristruttura-zioni, sia nelle costruzioni ex novo dell’edi-lizia privata, e non solo a Siena; la spintaper questo importante cambiamento dove-va essere considerevole dal momento che ilprospetto del palazzo di Andrea TodeschiniPiccolomini verso la piazza del Campo èstato il primo a rompere l’antica regolaespressa negli Statuti che imponeva finestrea “colonnelli” nelle facciate intorno allaprincipale piazza senese16, sottintendendoaperture ad arco suddivise da una o due

colonnine. Nonostante la nuova tendenzasi nota una discreta permanenza del Goticoanche nel Cinquecento, almeno nei primidecenni17. Nel Terzo di S. Martino ne è unbellissimo esempio il palazzetto in via deiServi, 17-19 (Banca dati, cat. 676) [fig. 9],addirittura immortalato nell’Architecturetoscane di Grandjean de Montigny eFamin18.

L’edificio a tre piani dal paramentomurario di mattoni presentava aperture adarco a tutto sesto con la fronte ricassata,determinate dalle doppie cornici, cioè lecornici-davanzale e quelle all’altezza delleimposte. Fino a questo punto le caratteristi-che sono trecentesche. Il fatto però che lecornici siano di pietra serena e che la loromodanatura mostri una gola diritta slancia-ta, ci conduce alla seconda metà delQuattrocento; i ferri murati nei piani supe-riori inoltre, i cosiddetti erri a collo dicigno, i quali presentano non solo barreattorcigliate ma soprattutto anche una pic-cola voluta terminale, ci permettono unadatazione ai decenni intorno al 1500.Datazione confermata dall’edicola centraleal pianterreno che fa parte della costruzioneoriginale, come prova l’osservazione in situ:la sua cornice davanzale, parte integrantedella cornice d’imposta che collega gli archidi quel piano, nel punto in cui diventa ildavanzale dell’edicola viene sorretta damensoline a voluta, tipologia che a Sienaappare solo verso la fine del Quattrocento19.

Siena, 8-9 giugno 2006, a cura di M. Raffaella deGramatica, Enzo Mecacci, Carla Zarrilli, Siena 2007,pp. 324-337.

16 Wolfgang Braunfels, Mittelalterliche Stadtbau-kunst in der Toskana, Berlin 1988, pp. 121, 250.

17 Cfr. Matthias Quast, “I palazzi del Cinquecentoa Siena: il linguaggio delle facciate nel contesto stori-co-politico”, in L’ultimo secolo della Repubblica di Siena:arti, cultura e società. Atti del Convegno internaziona-le, Siena, 28-30 settembre 2003 e 16-18 settembre2004, a cura di Mario Ascheri, Gianni Mazzoni,Fabrizio Nevola, Siena 2008, pp. 153-170.

18 Auguste Henri Victor Grandjean de Montigny eAuguste Pierre Sainte-Marie Famin, Architecture tosca-ne, ou Palais, maisons, et autres Édifices de la Toscane ...Nouvelle Édition, Paris 1846, p. 41 e tav. 99.

19 Cfr. le finestre a edicola semplificata nel palaz-

zo del Taia, la cui facciata viene portata a termineintorno al 1491 (Fabrizio Nevola, “‘Per Ornato DellaCittà’: Siena’s Strada Romana and Fifteenth-CenturyUrban Renewal”, in The Art Bulletin, LXXXII, 2000,pp. 26-50: 33). In effetti le finestre del piano terraincorniciate a edicola semplificata ionica con menso-le a voluta che portano sia il davanzale sporgente chela cornice terminale si accostano piuttosto a quest’ul-tima data. Tra le prime finestre “ioniche” di questotipo spiccano quelle della villa di Lorenzo ilMagnifico di Poggio a Caiano, anni Ottanta del XVsecolo. Sono poi riprese nella villa Chigi a Le Volte,costruita tra il 1496 e il 1505 (cfr. Francesco PaoloFiore, Villa Chigi a Le Volte, in Francesco di Giorgioarchitetto, catalogo della mostra, Siena, 25 aprile-31luglio 1993, a cura di Francesco Paolo Fiore-Manfredo Tafuri, Milano 1993, pp. 318-325: 322).

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Uno sguardo infine alla cornice termina-le del palazzetto può precisare ulteriormen-te la datazione: la sua modanatura è quasiidentica a quella dei cornicioni di una seriedi palazzi senesi databili intorno al secondoe terzo decennio del Cinquecento20.

Un sobrio esempio per il primo Cinque-cento senese è il palazzo Bulgarini in via diPantaneto, 70-72 (Banca dati, cat. 415) [fig.10]. Tipologicamente esso fa parte di ungruppo che combina l’incorniciatura all’an-tica – a edicola semplificata – con una deco-razione pittorica oppure, come in questocaso, con un ricco apparato di ferri di fac-ciata, questi ultimi caratterizzati da forme avoluta [fig. 17]. Questo gruppo di palazzi,del quale fanno parte il palazzo delMagnifico Petrucci (Banca dati, cat. 456) e laseconda fase del palazzo Borghesi (Bancadati, cat. 286), è databile intorno al primo einizio del secondo decennio del XVI secolo.

Adiacente al palazzo Bulgarini il palazzo

Griffoli Bandinelli (Banca dati, cat. 416)[fig. 11], recentemente datato “tra il 1574 eil 1587”21 perché su uno dei portali appareun busto identificato con il GranducaFrancesco I de’ Medici, i cui anni di gover-no coprono tale periodo. Il busto, invece,rappresenta con ogni probabilità Ferdi-nando I, perché la mensola che lo reggeporta il motto di questo granduca, MAIE-STATE TANTVM22. È evidentementeun’aggiunta posteriore. La sua mensolacopre completamente la chiave dell’arcooriginariamente mitrato, e la testa diFerdinando si interseca con la cornicedavanzale del primo piano superiore. Il lin-guaggio architettonico, comunque, nonpermette una datazione nel periodo deigranduchi medicei, ma piuttosto nel secon-do decennio del Cinquecento. Il bugnatodei portali, continuo e regolare, si accostaperfettamente a quello che si trova nel grup-po dei palazzi databili tra il palazzo

Ma un’anticipazione in chiave ridotta di questa tipo-logia si trova già nel palazzo Piccolomini di Pienza,1459-62, nella loggia del pianterreno volta verso ilgiardino: qui il davanzale delle finestre viene sorrettoda mensole semplici, la cornice terminale invece damensole a voluta (Elisabeth Heil, Fenster alsGestaltungsmittel an Palastfassaden der italienischen Früh-und Hochrenaissance, Hildesheim-Zürich-New York1995, p. 240).

20 Tra gli esempi più importanti il palazzoBorghesi (Banca dati, cat. 286), la facciata laterale delpalazzo Bichi in via dei Rossi (Banca dati, cat. 535) eil palazzo Francesconi (Banca dati, cat. 225).

21 Fabio Bisogni, “La nobiltà allo specchio”, in ILibri dei Leoni: La nobiltà di Siena in età medicea (1557-1737), a cura di Mario Ascheri, Siena 1996, pp. 200-283: 222.

22 Ringrazio Alberto Cornice per l’osservazione.

Fig. 6 - Palazzo Todeschini Piccolomini (cat. 047).

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Bargagli, 1509, e il palazzo Chigi al Casato,1510, da un lato, e il palazzo Bichi in viadei Rossi, intorno al 1520, dall’altro; ibugnati a partire dagli anni Trenta invece(nei palazzi Palmieri, Guglielmi, Chigi allaPostierla) mostrano sempre le bugne alter-nanti in larghezza. Le finestre ad arco incor-niciate a edicola semplificata sono uguali aquelle del palazzo Giglioli Bulla, databileintorno al 1520 soprattutto in base all’ana-lisi dei ferri di facciata.

Per quel che riguarda i ferri dell’età rina-scimentale23, proprio il Terzo di S. Martinooffre uno straordinario campionario di

cosiddette campanelle. La forma standar-dizzata del Trecento, il semplice braccio,spesso inciso con motivi geometrici, chetiene l’anello (la campanella vera e propria)e che termina con una piccola piramide, sitrasforma durante il Quattrocento in unsimbolo allegorico o araldico. La piramidesi spacca per diventare un fiore o un frutto[fig. 12], se non cambia completamenteforma tutto il braccio per mutarsi in un ani-male più o meno fantasioso e stilizzato[figg. 13, 14]. Le pecore nel palazzoTodeschini Piccolomini (Banca dati, cat. 047e 495) che tengono mezzelune invece degli

23 Cfr. Matthias Quast, “Un patrimonio dimenti-cato: i ferri di facciata senesi. Parte I: Tipologia fun-zionale. Parte II: Sviluppo stilistico tra Duecento e

Cinquecento”, in Accademia dei Rozzi, XII, 2005, 23,pp. 21-30; XIII, 2006, 24, pp. 17-26.

Dall’alto in basso: Fig. 9 - Palazzetto in via dei Servi (cat.676). Fig. 10 - Palazzo Bulgarini (cat.415). Fig. 11 - Palazzo Griffoli Bandinelli (cat.416). Fig. 18 - Palazzo in via dei Pispini, 88-92.

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Fig. 12 - Porta Pispini, campanella quattrocentesca. Fig. 13 - Porta Pispini, campanella quattrocentesca. Fig. 14 - Porta Pispini,campanella quattrocentesca. Fig. 15 - Palazzo Todeschini Piccolomini, campanella. Fig. 16 - Palazzo di S. Galgano, campanel-la. Fig. 17 - Palazzo Bulgarini, campanella. Fig. 19 - Palazzo in via dei Pispini, 88-92, campanella. Fig. 20.

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anelli, rappresentano l’araldica della casata[fig. 15], come nel palazzo di S. Galgano(Banca dati, cat. 519), le campanelle sonoappese alle spade del Santo, una diversa dal-l’altra [fig. 16]. La più grande diversitàmostra l’antimurale di porta Pispini (nonschedata)24, databile, anche grazie all’analisimorfologica dei ferri, alla seconda metà delQuattrocento. Vi si trovano forme zoomor-fe – bracci con teste di draghi e serpenti[figg. 13, 14] – ma anche fitomorfe e piùdifficilmente associabili, dalle bizzarreforme geometriche.

Verso la fine del Quattrocento e soprat-tutto nel primo Cinquecento le forme deiferri di facciata diventano architettoniche: ibracci delle campanelle ormai terminanocon volute, come quelle del palazzoBulgarini (Banca dati, cat. 415; si vedasopra) [fig. 17]; così appaiono numeroseanche in un palazzo in via dei Pispini, 88-92(non schedato) [figg. 18, 19], dove risultanoquasi identiche a quelle del PalazzoAringhieri in via dei Termini (Banca dati,cat. 717), firmate e datate 152225.

L’età barocca, nel Terzo di S. Martino, simanifesta con un notevole teatro, vale a direpiazza scenografica26, nella seicentesca viadel Refugio (Banca dati, cat. 492, 493 e494)27. I lati della strada poco profonda main considerevole discesa sono definiti daun’architettura minimalista di stampo cin-quecentesco in laterizi; il prospetto dellachiesa S. Raimondo al Refugio, invece,sfruttando la posizione bassa in fondo alladiscesa, sviluppa un sontuoso prospettotutto di marmo, articolato in addirittura tre

piani, con una superposizione degli ordinidorico, ionico e composito a paraste.

Il Settecento è rappresentato in modomonumentale dal palazzo De Vecchi in viadi Pantaneto (Banca dati, cat. 412 e 480)28.La costruzione inizia nel 1771; l’architetto èil senese Paolo Posi (1708-1776). Il prospet-to verso la via di Pantaneto presenta dueordini giganti sovrapposti, semplificati, dicui il primo, dai pilastri angolari bugnati,comprende il piano-zoccolo con pianterre-no e mezzanino, mentre il secondo ordinedefinisce i piani superiori. Nel piano-zocco-lo le tre campate mediane risultano eviden-ziate; si articolano con una sequenza ritmi-ca, marcata da un ordine tuscanico a para-ste e culminante nel monumentale portalecentrale, alludendo a un arco trionfale; idue piani superiori invece sono caratteriz-zati da fantasiose variazioni del tema edico-la per incorniciare le aperture delle finestre.

L’Ottocento favorisce le facciate classi-cheggianti: durante il XIX secolo e soprat-tutto dopo l’Unità d’Italia, nei centri storicie nelle zone periferiche trova diffusioneenorme uno schema di facciata a primavista anonimo e tale da sfuggire al passante,ma solo perché si tratta dell’impiego ricor-rente di un repertorio stilistico apparente-mente standardizzato e assai limitato29. ASiena, un esempio semplice ma rappresen-tativo di questo modello è la facciata dellacasa Mari in via dei Pagliaresi, 10-16 (Bancadati, cat. 388), stradina che collega la via diS. Martino con la via di Pantaneto (e che dàaccesso al vicolo degli Orefici, menzionatosopra). È conservato il disegno del prospet-

24 Cfr. Gabbrielli, Siena medievale cit., pp. 297-298.25 PAVLVS : SALVETVS : F : A : D : M : D : X :

X : II. La datazione del palazzo in via dei Pispini –pur restaurato – al secondo-terzo decennio delCinquecento trova ulteriore conferma nella modana-tura del cornicione. Si veda sopra, palazzetto in viadei Servi, 17-19 (Banca dati, cat. 676), e i confronticitati al riguardo.

26 Per il termine teatro nell’età barocca, si vedaRichard Krautheimer, The Rome of Alexander VII:1655-1667, Princeton 1985.

27 Cfr. Gioia Romagnoli, “La facciata della chiesadel Refugio”, in Alessandro VII Chigi (1599-1667): IlPapa Senese di Roma Moderna, catalogo della mostra aSiena 2000, a cura di Alessandro Angelini, Monika

Butzek, Bernardina Sani, Siena 2000, pp. 440-447.28 Cfr. Bruno Mussari, “Tradizione, innovazione e

rappresentatività nell’architettura civile del ‘700 aSiena. Le fabbriche alla romana e la memoria medie-vale nelle proposte di Giacomo Franchini,Ferdinando Ruggieri, Paolo Posi, Ferdinando Fuga,Antonio Valeri e Luigi Vanvitelli”, in Quaderni delDipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico,XIV, 2004, 27-28, pp. 75-114: 94-95.

29 Cfr. Matthias Quast, “Rinascimento e neorinas-cimento. Per una lettura del linguaggio neorinasci-mentale a Siena nella seconda metà dell’Ottocento”,in Architettura e disegno urbano a Siena nell’Ottocento trapassato e modernità, a cura di Margherita AnselmiZondadari, Siena-Torino 2006, pp. 104-129.

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to dell’architetto Agenore Socini30.Il progettista l’aveva presentato al “con-

corso a premi [bandito dalla Banca Montedei Paschi] a favore dei piccoli proprietari dicase in Siena, che … [avessero] effettuatoentro l’anno 1901 lavori di restauro alle fac-ciate vecchie e cadenti che non avesserovalore artistico o pregio di antichità”31.

Il progetto fu eseguito secondo il dise-gno e l’esito è tuttora verificabile in situ.

Tutte le componenti dell’alzato appartengo-no ai motivi irrinunciabili di un prospettoneorinascimentale canonico: il piano terra ècaratterizzato come piano-zoccolo da unbugnato regolare; le sue aperture rettangola-ri conducono a botteghe o laboratori. Ipiani superiori, invece, hanno il paramentoliscio e intonacato. Le sue aperture, semprerettangolari, sono incorniciate; in questomodo si evita il brusco contrasto luministi-

30 Archivio del Monte dei Paschi di Siena, XV A 4,36/30; Giovanni Brino, Laura Vigni e.a., Le facciatedelle case di Siena 1900-1902: I bozzetti del concorso delMonte dei Paschi di Siena, catalogo della mostra a Siena

2007, Siena 2007, cat. 23.31 Siena, ACS, Postunitario, cart. X A, cat. XIV, b.

34, ins. 1901, “Restauri delle facciate delle case”, 21gennaio 1901.

Dall’alto in basso: Fig. 21 - Palazzo in via Salicotto, 45-51. Fig. 22 - Palazzo in via Salicotto, 99-111. Fig. 23 - Facciata inPiazzetta Artemio Franchi, con finestre ibride tre-quattrocentesche. Fig. 24 - Facciata in Piazzetta Artemio Franchi, arpioni datenda trecenteschi e quattrocenteschi.

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co tra la parete chiusa e il buco nero dell’a-pertura, e si evidenza e nobilita l’aperturadelle finestre. Può sembrare esagerato parla-re di nobilitazione, ma non va dimenticatoche lo stilema ricorrente dell’incorniciatura– cornice intorno all’apertura e cornice ter-minale orizzontale, spesso con fregio inter-medio – deriva dall’edicola antica.

L’incorniciatura delle finestre, inoltre,insieme all’altezza dei piani, contribuiscead articolare la distribuzione gerarchica tra ipiani superiori dell’edificio. Di solito, ilprimo piano superiore, con le edicole sem-plificate delle incorniciature, viene definitopiano nobile grazie alla loro presenza.Talvolta, quando il palazzo possiede piùpiani superiori, anche un ulteriore livelloriceve la stessa nobilitazione. L’ultimo o gliultimi piani invece non solo sono meno alti,ma presentano anche un’incorniciaturaridotta delle finestre, rinunciando, ad esem-pio, alla cornice terminale. Ulteriore ele-mento essenziale sono le cornici-davanzale,sulle quali si elevano le incorniciature dellefinestre.

Per il Novecento, infine, il Terzo di S.Martino offre un interessante esempio diregionalismo creato durante il Ventenniofascista nel rione di Salicotto: interessanteperché si nota la ricerca di riproporre solu-zioni trovate nella tradizione dell’architet-tura gotica senese, senza però seguire unrigore archeologico. Nell’insieme, il nuovoquartiere, sacrificando la struttura medieva-le e sconvolgendo il tessuto sociale, alteracompletamente le proporzioni delle stradee degli edifici, i cui prospetti, a prima vista,suggeriscono stilisticamente un Trecentopurificato: vengono usati i materiali tradi-zionali pietra calcarea e laterizio a vista, masenza protezione con scialbature o intona-ci; la tipologia edilizia si avvale del murocontinuo in laterizio, perforato dalle aper-ture; le forme delle finestre si avvicinanoallo standard gotico: in generale gli archihanno la fronte ricassata. Ma non vienericreato l’aspetto di un’epoca precisa.Vengono creati ibridi tipologici combinan-do elementi duecenteschi, trecenteschi equattrocenteschi.

In un caso si allude al sistema strutturalepisano a pilastri e archi, duecentesco, comesi vede nel palazzo in via di Salicotto, 45-51, all’angolo con la piazzetta dellaPaglietta (facciata non schedata) [fig. 21].La stessa facciata ha le finestre tipologica-mente trecentesche. Dove nei prospettisono inserite mensole e buche, nelMedioevo previste per le travi delle sovra-strutture, nel nuovo Salicotto questi dispo-sitivi risultano privi di senso costruttivo equindi solo di valore decorativo (si veda ilpalazzo in via di Salicotto, 99-111; facciatanon schedata). Nella retrofacciata dello stes-so edificio, dall’aspetto purista, viene pro-posta l’interpretazione di una scala-balla-toio (del palazzo in via di Salicotto, 99-111;non schedata) [fig. 22]. In tutto il nuovoquartiere sembra notevole la mancanzadelle doppie cornici, caratteristica irrinun-ciabile dell’architettura civile del Trecentosenese. Se non viene completamenteabbandonato il ricorso alle cornici, le fac-ciate di Salicotto presentano o solo la cor-nice-davanzale [fig. 23] o solo la corniced’imposta [fig. 21].

Le combinazioni stilistiche sono rintrac-ciabili anche nelle forme delle finestre e deiferri. Una finestra ad arco ogivale puòsovrastare una bifora ad archetti a tuttosesto (esempio in piazzetta ArtemioFranchi) [fig. 23]. I ferri di facciata, nonmolto frequenti, appaiono nelle differentitipologie trecentesche e quattrocentesche,anche in uno stesso prospetto, specie quan-do si tratta di arpioni da tenda (la versionequattrocentesca è riconoscibile nella frontelarga e piatta) [fig. 24], e quando si tratta dierri (la versione quattrocentesca ha la barrainferiore doppiamente incurvata). Per quelche riguarda le campanelle, le forme diven-tano caricaturali (si veda un esempio in viadi Salicotto, 126; facciata non schedata)[fig. 20].

Una sintesi complessiva suggerisce che, inun breve arco di tempo, è stato creato unquartiere nuovo e differenziato, i cui prospet-ti caratterizzati da un linguaggio eclettico-decorativo mostrano di essere il frutto di unosviluppo progressivo scandito in varie fasi.

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Indice

ENZO MECACCI, Cateau-Cambrésis:i motivi di una celebrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 3

Una città nella storia,la storia nella città . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 7

RENATO VILLORESI E ANGELO VOLTOLINI, La zecca dellaRepubblica di Siena ritirata a Montalcino (1556-1559) . . » 9

UBALDO MORANDI, La famiglia Mazzeinella storia di Fonterutoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 15

FRANCO BOSCHI, La riscoperta dellaVia Lauretana nel tratto senese ed aretino . . . . . . . . . . . . . . » 25

ELEONORA SPINOSA, Aretafila Savini de’ Rossi:ritratto di una letterata senese del Settecento . . . . . . . . . . . » 35

GIAMPIERO SANTUCCI, Siena 1944L’arrivo degli americani e il camarlengo del Montone . . . . . » 45

ETTORE PELLEGRINI, Siena e i libri:un primato incompreso? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49

THOMAS SZABÓ, La battaglia di Montapertivista al di là delle Alpi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 69

GIOVANNI MAZZINI, Roberta Cella, La documentazioneGallerani-Fini nell’Archivio di Stato di Gent (1304-1309) » 77

ROBERTO BARZANTI, I fantasiosi progetti di Peruzzi & seguaci: quelle torri gemelle non s’hanno da fare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 81

MATTHIAS QUAST, La Banca dati delle facciatedel centro storico di Siena: note sui palazzi nel Terzo di S. Martino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 85