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1 Arcidiocesi di Trento Centro Famiglia - Ufficio Catechistico Corso diocesano per Operatori di pastorale battesimale ADULTI E BAMBINI: LA FEDE IN CAMMINO Massimo Diana Trento, 29 novembre 2009

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Arcidiocesi di Trento

Centro Famiglia - Ufficio Catechistico

Corso diocesano perOperatori di pastorale battesimale

ADULTI E BAMBINI:LA FEDE IN CAMMINO

Massimo Diana

Trento, 29 novembre 2009

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Adulti e bambini: la fede in cammino

Nascita e sviluppo della religiosità nel bambino –aspetti affettivo-relazionali e cognitivi

La religiosità dell’adulto interpellata e provocata dalla presenza del figlio/a

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Il trauma della nascita

La cacciata dalparadiso terrestre

Il lungo viaggio nellaterra desolata

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La mamma:un assoluto

Una madre sufficientemente buona

Una holding mother

Si può essere soli solo in presenza della madre

L’oggetto transizionale

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Il bambinoindifeso

Senza pelle

Il corvo

Disperazione e falso-Sé

Il bisogno di rispecchiamento, in una parola, di amore

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Il lungo processo del dischiudersi della vita

Erik Erikson

Le otto crisi evolutive

L’imprinting iniziale

L’acquisizione della fiducia di base

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1° stadioSenso fondamentale di fiducia

opposto a sfiducia(0-1 anno)

Una richiesta psico-fisica della presenza della madre, del suo sguardo rassicurante e delle sue braccia accoglienti. È a questo livello che devono esprimersi i feedback, cioè le risposte, della madre.

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“Molte persone mi rimproverano per la mia indifferenza e passività e dicono che mi arrendo così, senza combattere. Dicono che chiunque possa sfuggire alle loro (dei nazisti) grinfie deve provare a farlo, che

questo è un dovere, che devo fare qualcosa per me. Ma questa somma non torna. In questo momento, ognuno si dà da fare per salvare se stesso: ma un certo numero di persone – un numero

persino molto alto – non deve partire comunque? Il buffo è che non mi sento nelle loro grinfie, sia che io rimanga qui, sia che io venga

deportata. Trovo tutti questi ragionamenti così convenzionali e primitivi e non li sopporto più, non mi sento nelle grinfie di nessuno, mi sento soltanto nelle braccia di Dio per dirla con enfasi; e sia che

ora io mi trovi qui, a questa scrivania terribilmente cara e familiare, o fra un mese in una nuda camera del ghetto o fors’anche in un campo

di lavoro sorvegliato dalle SS, nelle braccia di Dio credo che mi sentirò sempre. Forse mi potranno ridurre a pezzi fisicamente, ma di più non mi potranno fare. E forse cadrò in preda alla disperazione e soffrirò privazioni che non mi sono mai potuta immaginare, neppure

nelle mie più vane fantasie. Ma anche questa è poca cosa, se paragonata a un’infinita vastità e fede in Dio e capacità di vivere

interiormente” (Etty Hillesum, Diario)

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2° stadioAutonomia opposta avergogna o dubbio

(2-3 anni)

2° stadioAutonomia opposta avergogna o dubbio

(2-3 anni)

è possibile “sperimentare” e “conoscere” il mondo solo in una situazione protetta affettivamente, cioè è possibile avventurarsi nel mondo e sviluppare autocontrollo senza perdere autostima, solo “sotto lo sguardo” di una madre affettivamente presente.

La vergogna: sentirsi esposti allo sguardo altrui, fino a coprirsi

con le mani il volto

Il bambino impara a desiderare ciò che puòavere e a rinunciare a ciò che

non può avere e a credere di aver desideratoquanto era lecito desiderare

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“Quando ero bambino e dovevo andare da solo a scuola provavo una grande angoscia. Mia madre, che non poteva

accompagnarmi perché aveva altri figli a cui badare, tuttavia sapeva rassicurarmi: ‘Vai pure tranquillo! La tua mamma ti

guarderà finché non sarai arrivato a scuola!’ Allora mi incamminavo sicuro, senza neppure il bisogno di voltarmi per

assicurarmi che la mamma mi stesse davvero guardando. Protetto dallo ‘sguardo’ della madre alle spalle, potevo

avventurarmi sicuro verso il mondo che mi attendeva…”

(da un racconto di un amico monaco benedettino)

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3° stadioSpirito di iniziativa opposto

a senso di colpa(4-5 anni)

3° stadioSpirito di iniziativa opposto

a senso di colpa(4-5 anni)

L’importanza del fare: il bambino vuole prendere l’iniziativa, portare avanti degli scopi e può farlo, perché acquisisce progressivamente mobilità, destrezza fisica e di linguaggio… ilgioco, come via per ritualizzare e canalizzare creativamente il senso di colpa susseguente alle prime fantasie edipiche

L’inibizione: incapacità di reagire ai sensi di colpa

L’importanza del gioco per il bambinol’attività più seria dell’infanzia

(Montaigne)

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4° stadioIndustriosità opposta

a inferiorità(6 anni-pubertà)

4° stadioIndustriosità opposta

a inferiorità(6 anni-pubertà)

il forte desiderio del bambino di entrare nel mondo più vasto della conoscenza e del lavoro, in coincidenza con l’ingresso nella scuola… per acquisire un senso di competenza e di padroneggiamento della realtà

Inferiorità: senso di inadeguatezza e di non servire a niente

Il concreto e l’educazione della mano

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6° stadioIntimità e solidarietà opposta

a isolamento(prima età adulta)

6° stadioIntimità e solidarietà opposta

a isolamento(prima età adulta)

Dalla costruzione della propria identità, alla costruzione di una relazione di coppia matura, tra intimità e solidarietà. Dopo l’io è tempo di costruire il noi. Imparare ad amare.

Isolamento: Gli altri comeminaccia

L’amore come capacità di impegnarsi in concreti obiettivi di rapporto

con gli altri, che “richiedono spesso sacrifici e compromessi non trascurabili”

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I giovani-adulti

Tra la necessità di scegliere e il fascino dei possibili. Se l’adolescenza è l’età delle “sperimentazioni vitali”, la prima etàadulta è l’età delle “decisioni vitali”. Ma non è facile, oggi. Dentro la famiglia affettiva – che è una famiglia “lunga” ma anche “stretta” – non si impara più a confliggere; manca il sano conflitto che insegna a prendere le misure e ad accogliere i limiti, sapendoli rinegoziare di volta in volta. Inoltre, il contesto sociale stesso non aiuta a prendere decisioni (disponibilità economica, lavoro, casa…), che tendono quindi ad essere rinviate. L’importanza della “soggettivazione”: imparare ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni. L’adolescente non può ancora farlo: egli deve “incolpare” gli altri, e ciò gli serve per differenziarsi; il giovane adulto deve invece imparare a farlo, se vuole crescere.

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7° stadioGeneratività opposta

a stagnazione e auto-assorbimento(seconda età adulta)

7° stadioGeneratività opposta

a stagnazione e auto-assorbimento(seconda età adulta)

L’interesse dell’individuo adulto a fondare e a guidare la generazione successiva, o attraverso l’allevamento dei figli, oppure attraverso imprese creative e produttive.

Stagnazione: l’indulgere su di sénell’autocommiserazione, la noia, la mancanza di crescita psicologica

La “cura” è disponibilità ad amare, ad accarezzare chiunque,

in stato di abbandono, rende manifesta la sua disperazione. È una disponibilità

a “prendersi-cura” delle persone, dei prodotti e delle idee

che ci siamo impegnati di curare.

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I conflitti della seconda infanzia

Il lungo processo di identificazione con il proprio simile: conformismo e ricerca di identificazione con gli altri.

L’importanza del modello paterno per passare dal principio del piacere(voglio tutto, subito) al principio di realtà (sono ancora troppo piccolo per poter realizzare tutti i miei sogni… devo crescere… devo aspettare).

La crisi dell’autorità paterna (Lacan: il padre come terzo separativo) e la nostalgia dell’onnipotenza infantile; la famiglia affettiva e non normativa (Charmet: dall’Edipo a Narciso).

I rischi di un atteggiamento eccessivamente protettivo (che non è di stimolo per affrontare la prova della realtà) oppure di un atteggiamento che considera il bambino già un piccolo adulto (la paura del bambino di perdere l’affetto dei genitori se non si dimostra all’altezza delle loro esagerate aspettative).

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Le rappresentazioni del bambino,oggi

Postman e la scomparsa dell’infanzia.Il bambino come “piccolo adulto”: non una creatura che va contenuta (affettivamente), protetta (fornendo regole e limiti),rassicurata, ma piuttosto un piccolo adulto che va adeguatamente stimolato: un interlocutore alla pari con cui negoziare. Non “un selvaggio da domare” ma “un bambino buono da valorizzare”. Rischio di confusione e/o ribaltamento dei ruoli.Es. disturbi del sonno e disturbi della condotta.Questa pariteticità non aiuta i genitori a rispecchiare adeguatamente il bambino, che deve invece essere riconosciuto nelle sue effettive caratteristiche e peculiarità, come portatore di bisogni specifici, diversi da quelli degli adulti.

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L’attaccamento

Bowlby

L’effetto mantenimento del contatto L’effetto rifugio

Il legame madre-bambino

e il

Bisogno di contatto

L’effetto ansia da separazione L’effetto base sicura

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Strange Situation

8 episodi di 3 minuti ciascuno

Ambiente sconosciuto (laboratorio)Adulto sconosciutoDue separazioni dal genitoreDue ricongiungimenti col genitore (cruciali per la classificazione)

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Differenze individuali nell’attaccamento

Ambiente

Insicuro-evitante

(25%)

Figura di attaccamento

Sicuro

(65%)

Insicuro-ambivalente

(10%)

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Stili individuali di attaccamentoIl bambino con attaccamento sicuro utilizza la madre come base sicura per l’esplorazione. Durante gli episodi di separazione, si accorge dell’assenza della madre, ma al momento della riunione saluta il genitore in modo attivo con un sorriso, un gesto o un vocalizzo. Se è triste, segnala alla madre di desiderare un contatto fisico o lo cerca attivamente e una volta confortato torna a interessarsi ai giochi e a esplorare l’ambiente.

Il bambino con attaccamento insicuro-evitante, si concentra totalmente sul contesto manifestando pochi comportamenti di affetto verso il genitore. Durante gli episodi di separazione non manifesta segni particolarmente evidenti di disagio e durante la riunione evita di guardare la madre o finge di non accorgersi del suo rientro; se preso in braccio, può segnalare il desiderio di essere rimesso giù.

Il bambino con attaccamento insicuro-ambivalente, manifesta segni di disagio, di timore o di passività già subito e fa fatica a interessarsi ai giochi. Durante gli episodi di separazione raggiunge alti livelli di stress e di disagio e al rientro della madre nella stanza, alterna comportamenti che segnalano il desiderio di contatto fisico con la madre e segni di rabbia e di rifiuto. Anche quando il genitore lo prende in braccio e cerca di consolarlo, il bambino non riesce facilmente a calmarsi.

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I modelli operativi interni

Dagli stili di individuali di attaccamento ai modelli operativi interni (MOI) che guidano l’individuo a interpretare gran parte degli eventi della sua vita futura e a costruire determinati piani d’azione.

Il modo con cui un dato individuo tende a comportarsi con i propri simili, con un eventuale partner di una relazione affettiva profonda e anche con Dio, rispecchia il suo proprio determinato stile d’attaccamento, secondo, appunto, uno specifico modello operativo interno.

Non meccanico determinismo, ma una notevole persistenza del modello di attaccamento che è andato precocemente formandosi nella relazione madre-bambino in tutta la successiva storia relazionale di quel dato individuo.

Il ruolo di figura principale d’attaccamento può essere svolto anche da una persona diversa dalla madre naturale.

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I modelli operativi interni

“Un bambino che ha avuto modo di interagire con una figura d’attaccamento accessibile e disponibile a soddisfare i suoi bisogni fisici e psicologici costruirà, con molta probabilità, una modello operativo di sé come persona meritevole di essere amata e capace di segnalare i propri bisogni. Al contrario, l’interazione con una figura d’attaccamento costantemente inaccessibile e rifiutante porterà il bambino a costruire un modello complementare di sé come persona poco amabile e poco capace di segnalare i propri bisogni e di ottenere risposte adeguate”.

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I modelli operativi interni

“I bambini con attaccamento sicuro confidano maggiormente nelle proprie capacità d’autoaffermazione; così come hanno avuto modo di sperimentare nell’infanzia, credono che i loro bisogni potranno essere soddisfatti sia perché riceveranno risposte positive da parte dell’ambiente sia in virtù del proprio impegno. Al contrario, i bambini con attaccamento insicuro nutrono scarsa fiducia nelle proprie capacità di riuscita e sono piùportati a pensare che i loro sforzi serviranno a poco e che il soddisfacimento dei loro bisogni dipenderà in gran parte dagli altri”.

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Trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento

Relazioni di attaccamentosuccessive

Contesto sociale

Caratteristiche del bambino

Comportamenti di accudimento

Qualità dell’attaccamentogenitore-bambino

Modelli operativi internidel genitore

Esperienze infantili del genitore

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Una prospettivaottimistica

I modelli di attaccamento, anche se negativi, possono comunque cambiare

Continuità,costanza, pazienza

realismo

Questo è il primo e fondamentale linguaggio della fede: la capacità di instaurare una relazione significativa, incentrata sul

riconoscimento e sul rispetto dell’altro, sull’accoglienza e accettazione incondizionata, in una parola,

sull’amore

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Seduzione narcisistica e lutto originario

Racamier

Un compito per il bambino e per

i genitori

la madre deve essere assolutamente presentee l’attaccamento sicuro affinché il bambino possa vivere con successo

l’esperienza del lutto originario.

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“La prima relazione con la madre, quella seduzione narcisisticache costituisce il sostrato di un narcisismo adulto sano, deve compiersi e terminare. Il bambino ‘volge le spalle’ alla madre per rivolgersi ad altro, e la madre deve saperlo lasciar andare. Per nascere bisogna tollerare, da entrambe le parti, di essere Altro: cioè di perdere la tranquilla beatitudine,il Paradiso terrestre della relazione amorosa di rispecchiamento tra madre e figlio”.

Il divenire adulti si fonda su una doppia competenza e volontà: “di crescere, da parte del bambino, di lasciar crescere, da parte della madre […] Quando ciò non avviene, quando la madre (o il padre, o chiunque costringa il bambino ad un ruolo di oggetto parziale) non sa – o non vuole – elaborare il lutto dell’onnipotente diade simbiotica, la seduzione narcisistica non finisce mai. Le menti e le persone saranno intrecciate l’una all’altra in un abbraccio soffocante, che non permette il costituirsi di un vero spazio intrapsichico autonomo”.

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Il lutto originario

L’esperienza del lutto è un processo essenziale della psiche, ed è fondamentale nello sviluppo dell’individuo, nelle varie età della vita; “è un processo maturativo universale […] Il lutto rappresenta un lavoro tra i più importanti tra quelli che la psiche può e deve compiere”.Il lutto originario è quel processo psichico fondamentale attraverso il quale l’Io riesce a trovarsi solo e a stare nella sua strutturale solitudine, solo nel momento in cui accetta il dolore di perdersi. Ciò richiama la verità del chicco di grano che deve cadere a terra, morire e marcire per portare frutto. Attraverso il processo del lutto l’individuo rinuncia all’illusione di onnipotenza e autosufficienza che la relazione simbiotica e narcisistica con la madre può dare, e attraverso questa dolorosa rinuncia pone le basi per il guadagno della sua vera identità di semplice uomo e creatura limitata e contingente.

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La seduzione narcisistica

Una sorta di “intensa relazione di mutua seduzione” attraverso cui madre e bambino accondiscendono ad entrare al fine di stabilire e preservare “un accordo perfetto, senza fratture e senza tensioni”. Una relazione vitale, che ha come obiettivo quello di “escludere, o quantomeno neutralizzare, le tensioni che provengono dall’interno e le stimolazioni che provengono dall’esterno”. Un unisono narcisistico che aspira a costituire un unico corpo, indistruttibile e onnipotente, che èperò un’illusione ed è dunque destinata a svanire ben presto.

“Con un pizzico di messa in scena (o di teatralità) potremmo aggiungere che il neonato deve sedurre sua madre, delusa dal fatto che lui non sia così meraviglioso come lo era nei suoi sogni ad occhi aperti e nei suoi fantasmi di futura madre. Per quanto riguarda la madre, deve sedurre il neonato, deluso dalla sua nascita per il fatto che deve conquistarsi l’aria e il cibo […] La nascita li ha separati, la seduzione narcisistica li ricongiunge”.

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La fatica della separazione

Il bambino “si distoglie dalla madre indistinta, illusoria e totale nella quale si incarna la relazione di seduzione narcisistica pura, e distogliendosene la perde. Le volge le spalle, accetta di perderla”. Proprio mettendo fine a questa simbiosi narcisistica, il bambino trova, al suo posto, l’oggetto, “un oggetto che si distingue e si investe, si desidera e si respinge, si delimita e si interiorizza, si ama e si odia: una madre. Si è allontanato da una madre che è come un’atmosfera, e la rimpiange; scopre una madre che è un oggetto, e la desidera”.

Ma è necessario che un tale lavoro trovi la sua corrispondenza e simmetria in un analogo processo (di lutto) che anche la madre deve compiere. Anche la madre deve accettare di “perdere” il suo bambino.

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Quando la separazione fallisce: l’incestuale

“Una famiglia incestuale. Nulla è più inespugnabile di questi legami inconsistenti […] L’incestuale è un clima, un clima in cui soffia il vento dell’incesto, senza che vi sia incesto […] L’incestuale ci si presenta come la maggior complicazione che deriva da una seduzione narcisistica non risolta”.

“La relazione narcisistica non termina se la madre non vuole che termini: semplicemente non lo sopporta”. Una relazione narcisistica interminabile è sempre asimmetrica e manipolatoria: “un dramma in cui il genitore è regista e il figlio o la figlia vengono manovrati, agiti […] Cosa rappresenterà questo bambino per questa madre costantemente avida di conferme narcisistiche? Rappresenterà il suo specchio: uno specchio sul quale incombe il compito di rinviarle un’immagine di se stessa sempre lusinghiera e rassicurante. Sarà il suo complemento: un organo destinato a renderla compiuta, completa e realizzata”.

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Quando la separazione fallisce: l’incestuale

In una vicenda come questa ci sono inevitabilmente un vincitore e un vinto: la madre, che ci guadagna in narcisismo, e il figlio o la figlia che ci perde in autonomia.

Il fallimento presuppone l’accettazione acritica di quelli che possiamo intendere come i tre dogmi del credo narcisistico: “1. «Insieme ci bastiamo, e non abbiamo bisogno di nessuno» (sufficienza nella complicità); 2. «Insieme e uniti, trionferemo su tutto» (onnipotenza nell’unità); 3. «Se mi lasci, io muoio» (morte nella differenziazione)”.

Un tale mortifero “ingranamento” possiede una perversa tendenza a riprodursi e a ripercuotersi su più generazioni: la madre predatrice e imprigionante fu lei stessa, un tempo, con buona probabilità, una bambina predata e prigioniera. Una maledizione che finisce fatalmente per ripercuotersi di generazione in generazione.

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Per riassumere…Bowlby e il legame d’attaccamento: l’attaccamento del bambino alla madre è assolutamente necessario e vitale e l’angoscia da separazione è il prototipo di tutte le future angosce e paure; la sanità psichica sembra essere determinata proprio da una buona relazione con una affidabile figura di accudimento.Racamier insiste, apparentemente all’opposto, sulla necessità della separazione e del distacco; sulla necessità di compiere il cosiddetto lutto originario, che pone fine alla tanto vitale quanto pericolosa seduzione narcisistica; ciò che è necessario non è tanto la relazione, quanto la separazione, e la sanità psichica sembra essere determinata piuttosto dalla possibilità che si è o meno avuta di scindere la simbiosi, di passare attraverso il lutto. Winnicott: il bambino può essere/stare solo, solo in presenza della madre. In sostanza, solo un buon attaccamento con una madre (sufficientemente) buona può essere la condizione per poter affrontare e superare il lutto originario e quindi la separazione. Sono processi che non hanno fine: da bambini è la madre colei che consente, grazie ad un buon attaccamento, la fatica della separazione; da adulti è l’attaccamento ad un Assoluto – in sostanza, una relazione di fiducia in Dio – ciò che può consentire la fatica e il dolore connessi ad un legame che ha da sciogliersi.

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In altre parole …

Ogni legame (naturale, biologicamente preordinato) non è, in definitiva, che la riproposizione del legame fondamentale, il legame di attaccamento alla madre. Da esso ci aspettiamo sicurezza e protezione, ma anche riconoscimento e comprensione; in una parola, ci aspettiamo di ricevere amore, quell’amore che è indispensabile alla vita, più ancora del cibo.Non è possibile crescere e guadagnare una propria maturità e autonomia se non si recide questo legame, se non si passa attraverso quella prima esperienza di separazione che è il lutto originario. Maturità vuol dire passare dalla necessità e dal bisogno di ricevere amore, alla libertà di dare amore, alla gratuità di prendersi cura di chi ha bisogno di amore. È solo sciogliendo i legami preordinati dalla natura per la nostra sopravvivenza che possiamo imparare ad amare in modo gratuito e adulto, costruendo nuovi legami, questa volta sulla base di una scelta libera e spirituale.Ma imparare a sciogliere i legami è un compito terribilmente arduo, perchéesige la cosa più difficile e dolorosa tra tutte: la cosiddetta elaborazione del lutto che richiede da noi il massimo del coraggio e della determinazione e anche l’aiuto di persone solide, se e nella misura in cui i modelli d’attaccamento introiettati sono di tipo insicuro e ansioso; oppure nel caso in cui la seduzione narcisistica non sia giunta alla sua naturale fine.

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La fatica di essere genitori

Il processo della separazionee la risoluzione della

simbiosi

Donna e madreUomo e padre

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Il Battesimo

Una famiglia anomala

Natura e cultura. I riti di iniziazione

Gesù e i suoi genitori

Essere discepoli di Gesù

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Un buon genitore / educatore

Fornire insieme radici e ali: non bastano solo le radici (se poi impediscono di volare) e neppure solo le ali (se poi non si sa verso dove dirigersi).

Un triplice compito: 1) rispecchiare, con uno sguardo sereno, i cambiamenti dei figli, aiutandoli a riappropriarsi del corpo checambia; 2) limitare/contenere: saper prendere le distanze dalla fusione/confusione di spazi e ruoli; una giusta distanza per non richiamare i figli dentro il magma dell’indifferenziazione per paura di perderli; 3) sostenere la progettualità e la risimbolizzazione delle rappresentazioni di sé. Nella capacitàdi attendere, che è l’aspetto essenziale della libertà.

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una essenziale continuità tra unagenerica fiducia di base

e la religiosità vera e propria

“Il credere religioso fa appello, e movimenta, le esperienze precedenti di fede, fiducia, affidamento, orientandole al riconoscimento di un referente trascendente. Le religioni (dal punto di vista della loro funzione psicologica) sono sistemi condivisi di significato e di affidamento che offrono all’individuo risposte al bisogno di conoscenza di sé e di riconoscimento da parte dell’altro, facendo specifico e qualificante riferimento al Trascendente” (Aletti).

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WinnicottUna fenomenologia

della fede

La fede come incremento di azione

Credere-inÈ solo in continuità con l’esperienza preverbale della “attendibilità umana” colta nel sentirsi abbracciato che il bambino sarà in grado di accostarsi al concetto di “braccia eterne” di Dio.

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Winnicott“Siamo in grado di insegnare il concetto di «braccia eterne di Dio»solo a coloro che nella prima infanzia hanno fatto una serena esperienza dell’essere stati amorevolmente e fiduciosamente abbracciati”.

“A un bambino che abbia sviluppato la «fiducia in» è possibile il Dio della famiglia o della società in cui egli si trova ad appartenere; ma per un bambino che non abbia «fiducia in», Dio è nel migliore dei casi il trucco di un pedagogo e, nel peggiore, la prova del fatto che le figure parentali non nutrono fiducia nei processi della natura umana e hanno paura dell’ignoto”.

“La madre sufficientemente buona è una madre che attivamente si adatta ai bisogni del bambino, un adattamente attivo che a poco a poco diminuisce a seconda della capacità del bambino che cresce di rendersi conto del venir meno dell’adattamento e di tollerare i risultatidella frustrazione”.

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… il bambino può essere solo, solo in presenza della madre…

(Donald Winnicott)

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RizzutoLa rappresentazione

di Dio

La religione: una risorsa perlo sviluppo sano

l’essere collegato, religatus, è l’essenza dell’essere umano. … L’intera psicopatologia è una patologia religiosa, nel senso generale di fallimento parziale dell’instaurare relazioni con quegli oggetti (cioè persone) di cui si aveva un estremo bisogno durante lo sviluppo…

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Che cosa dunque chiede il bambino a chi si prende cura di lui? La prima domanda è: «tu sei in grado, quando mi nutri, ti prendi cura di me, giochi e parli con me, di vedermi come io sono e di restituirmi a me stesso rispecchiandomi e rispondendo ai miei bisogni e ai miei gesti spontanei?». Se la risposta materna offre tale rispecchiamento, il bambino, ancora incapace di parola, sentirà di esistere come un essere ben-voluto, si sentirà legittimato nella propria esistenza e potrà rilassarsi in questa realtà…

(Ana-Maria Rizzuto)

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Dio figura di attaccamento ideale

Il rapporto con Dio può essere paragonato a quello tra un bambino e la madre: “Io sono tranquillo e sereno / come bimbo svezzato in braccio a sua madre / come un bimbo svezzato è l’anima mia” (Salmo 130) - dai credenti Dio è pensato come un genitore protettivo e amorevole, perennemente affidabile e disponibile a soddisfare i bisogni del proprio figlio.

La relazione dell’individuo con Dio viene concepita come una relazione d’amore. Cardine della fede cristiana è la certezza che “Dio è amore” e nel vissuto del credente vi è la profonda convinzione che “Gesù mi ama”. Il linguaggio della mistica è un linguaggio d’amore e l’esperienza della conversione è stata spesso paragonata all’esperienza dell’innamoramento.

In sostanza, Dio può essere considerato come una sorta di genitore protettivo, che si prende cura di noi e che è sempre affidabile e disponibile nei confronti dei suoi figli, quando essi ne hanno bisogno.

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Attaccamento ed esperienza religiosa

Kirkpatrick

“…il tipo di amore provato nell’ambito della relazione con Dio assomiglia molto più strettamente all’attaccamento prototipico del bambino alla propria madre”.

Ricerca e mantenimento della prossimità a Dio(effetto del mantenimento del contatto)

Dio come rifugio sicuro (effetto rifugio)

Dio come base sicura (effetto base sicura)

Reazioni alla perdita della relazione con Dio(effetto ansia da separazione)

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Religiosità e modelli di attaccamento

• Due modelli generali: il primo modello – della corrispondenza – presenta l’attaccamento a Dio in continuità e in analogia con gli attaccamenti vissuti nell’infanzia o che si sperimentano a livello di coppia nell’età adulta. In questo senso, ci si aspetta che gli individui che possiedono un modello di attaccamento sicuro si costruiscano un’immagine di Dio e della relazione con lui altrettanto sicura, un tale individuo descriverà Dio come entità che ama in modo incondizionato i suoi figli, sempre disponibile a intervenire per sostenerli nei momenti di pericolo e per guidarli nelle diverse situazioni della vita. Analogamente, gli individui che possiedono un modello di attaccamento insicuro-evitante dovrebbero rivelarsi atei o agnostici nei confronti della religione, mentre coloro che possiedono un modello di attaccamento insicuro-ambivalente dovrebbero vivere una relazione altrettanto ambivalente nei confronti della religione, il loro rapporto con Dio potrebbe essere molto profondo ma, nello stesso tempo, sofferto e poco gioioso.

• Il secondo – della compensazione – spiega l’esperienza religiosa, specie in persone con attaccamenti insicuri durante l’infanzia, come un rivolgersi a Dio quale figura sostitutiva d’attaccamento.

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Come parlare di Dioal bambino?

Le basi umane della fede

La sicurezza ontologica

La prima evangelizzazione

Il buon genitore

Il paradosso del nostro tempo

Solo una relazione può modificareun imprinting negativo

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«”Ma io non credo affatto in Dio. Come posso parlare di Dio alla mia bambina?”, fu l’obiezione di una donna. “Io non credo”, con ciò intendeva che già da tempo le era diventato estraneo e non le diceva più niente quello che la Chiesa insegnava di Dio. Ma poi si mise a raccontare che la sera accompagna la bambina dentro la notte. La piccola non deve avere paura, e così la donna si siede sul letto accanto a lei e le legge una fiaba, le accarezza la fronte, le dà un bacio e le sussurra all’orecchio: “Sono qui con te!”. Con queste parole vuole rassicurare la bambina che non sarà mai sola, che è accompagnata e custodita, in breve, che non deve avere paura e che quindi può dormire tranquilla. E tuttavia, con queste parole la donna promette una cosa che, pur con tutta la sua migliore buona volontà, non può garantire alla sua creatura: stanotte può accaderle qualcosa che le toglie, forse per sempre, la possibilità di stare a fianco della piccola. E pur tuttavia ha anche ragione di farle una promessa come quella che le sta facendo: veramente ogni creatura che viene al mondo possiede il diritto a una simile sicura protezione, solo che, fra ciò che dovrebbe essere e ciò che potrebbe essere si spalanca uno iato senza fine. A portare questa donna oltre tale iato non c’è che una fiducia che lei stessa non può giustificare, anzi, per la quale non esiste affatto un fondamento razionale; e tuttavia ella presuppone un simile fondamento irrazionale. Promette alla sua bambina qualcosa di assoluto che lei non può mantenere personalmente e sul quale però richiama l’attenzione col suo amore e col suo desiderio di protezione per la piccola e, non da ultimo, per se stessa. Questa donna, che aveva appena detto di non credere affatto in Dio e di non sapere neppure parlare di lui, tuttavia lo comunica e lo annuncia, col suo amore». (Eugen Drewermann)

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Nascita e sviluppo della religiositànel bambino

Le dimensioni cognitive dello sviluppo

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La nascita della mente

Piaget

L’adattamento all’ambiente

Le invarianti funzionali

la conoscenza è un processo il bambino costruisce la sua conoscenza

attraverso una serie di azioni

assimilazione

accomodamento

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Una sequenza di stadi

Lo sviluppo della conoscenza non consiste in un sempliceincremento quantitativo di dati, ma in una vera e propria ristrutturazione qualitativa della conoscenza.

Questo vuol dire che un bambino di un anno conosce in modo diversorispetto ad un bambino di due, di sei o di otto anni. Non conosce meno, conosce in modo diverso.

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Una considerazione pedagogica

Piaget insegna che il modo con cui un bambino conosce e comprende il mondo che lo circonda – compresa la figura di Gesù– è conforme ai caratteri dello stadio di sviluppo in cui si trova. Ma se la differenza tra uno stadio e l’altro è qualitativa, ne consegue che il bambino non sa meno rispetto ad un adulto, ma sa in modo diverso.

E’ questa consapevolezza che consente ad un educatore di costruire una relazione significativa con i propri alunni. Chi deve fare lo sforzo nella ricerca di una sintonia cognitiva è senz’altro l’educatore: è questa sua capacità di porsi sul piano del bambino, al suo livello cognitivo, ciò che farà di lui un buon educatore.

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Vygotskij

La mente come costrutto socialeL’importanza delle interazioni

Il-bambino-in-un-contesto

Dall’esterno (ambiente) all’interno (mente)

Dal prodotto al processo

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Una considerazione pedagogica

L’interazione tra adulto e bambino, anche da un punto di vista cognitivo, è fondamentale: il bambino ha bisogno dell’adulto per procedere nel suo sviluppo. È il bambino che costruisce la sua conoscenza, che è attivo nel processo del suo sviluppo, ma senza stimoli esterni adeguati questo processo non può svolgersi.

È fondamentale la distanza: affinché la relazione rappresenti un concreto stimolo alla crescita del bambino è necessario che l’adulto non sia nétroppo vicino né troppo lontano. La consapevolezza della giusta distanzaderiva dall’aver assimilato le modalità di funzionamento della mente del bambino.

In definitiva, le capacità di un buon educatore non sono semplicemente frutto di carisma personale, ma derivano anche, forse soprattutto, da precise competenze acquisite e poi assimilate, cioè fatte proprie.

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Il pensiero religioso del bambino

Sono due i caratteri del pensiero infantile nel momento in cui nasce e si sviluppa un primo pensiero religioso (Stadio pre-operatorio, 2-6 anni). Tali tratti permangono anche nello stadio successivo (Stadio delle operazioni concrete, 7-11 anni circa).

1. l’egocentrismo: il bambino è incapace di porsi da un punto di vista diverso dal proprio, di decentrasi rispetto alle proprie rappresentazioni; 2. la precausalità: il bambino è incapace di stabilire legami causali adeguati tra sé e il mondo esterno o tra le cose del mondo esterno; tali legami rispecchiano la proiezione della propria esperienza soggettiva di relazione con i genitori.

Da qui un’importante conclusione: il bambino sembra molto lontano da quel riconoscimento dell’Altro, nella sua radicale trascendenza, che èinscindibile da una religiosità matura.

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La modalità fondamentale attraverso cui un bambino entra in contatto con la religione è l’osservazione diretta della religiosità delle persone che lo circondano, in particolare di quelle più legate affettivamente a lui.

Il bambino pensa ancora in modo concreto, resta colpito soprattutto da ciò che vede… È dunque estremamente importante la coerenza del proprio concreto comportamento. A volte può succedere che, pur spiegando ripetutamente al bambino quanto sia importante la religione, non si dia poi, di fatto, con il proprio comportamento, alcun valore a quanto si va trasmettendo. Questo rappresenta per il bambino una contraddizione incomprensibile.

Gli adulti – e in particolar modo i genitori – diventano modelli di comportamento religioso e trasmettono la religiosità in forma quasi indiretta, come per un processo partecipativo, quasi osmotico.

L’incontro del bambino con la religione

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I genitori rappresentano la fonte di influsso decisamente piùimportante. Forte continuità della religiosità del bambino (e poi dell’adolescente) con la religione di famiglia; deciso ridimensionamento dell’influsso del gruppo dei pari e della comunità ecclesiale.

La controprova di un tale massiccio influsso dei genitori e della famiglia di origine sulla religiosità dei figli è fornita dagli studi recenti sul tema dell’apostasia o abbandono di una determinata fede religiosa: non forma di ribellione, adolescenziale, contro i genitori, ma conseguenza di una mancata attribuzione di importanza alla religione da parte dei genitori stessi. Se i genitori ignorano la religione o comunicano ai figli (con le parole o con il comportamento) il messaggio che la religione non è importante, i figli, con buona probabilità, finiranno per abbandonare del tutto la religione della famiglia.

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Il limite e il valore dell’educazione

religiosa

Il “cassetto della memoria”

La “seconda metà della vita”

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I primi studi sulla religiosità del bambino

Ezer,Ainsworth,

Brown

Risposte animistiche

Risposte antropomorfiche

Risposte scientifiche

La modalità religiosa di affrontare i problemi della vita è perlopiùqualcosa di acquisito tramite l’educazione e non qualcosa di innato

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Identità religiosa e preghiera

Elkind

Primo stadio (fino ai 6/7 anni)

Secondo stadio (tra i 7 e i 9 anni)

Terzo stadio (dai 10 ai 14 anni)

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I bambini e la preghiera

«Tu preghi?», «La tua famiglia prega?», «Tutti i bambini e le bambine del mondo pregano?», «I cani e i gatti pregano?», «Che cos’è la preghiera?», «Puoi pregare per più cose?», «Che cosa devi fare se la tua preghiera viene esaudita?», «Che cosa devi fare se non lo è?», «Di solito prego per…», «A volte prego per…», «Quando prego mi sento…», «Quando vedo qualcuno pregare, io…», «Da dove vengono le preghiere?», «Dove vanno le preghiere?».

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I bambini e la preghiera5-7 anni: può rivolgersi a vari personaggi; mira alla gratificazione dei propri concreti personali desideri; le preghiere volano in cielo; il mancato esaudimento disturba molto…

6-9 anni: concreta richiesta di cose o attività particolari (cibo, pioggia, neve); cani e gatti sono esclusi perché non parlano; Dio ha capacitàlimitate e non può esaudire le preghiere di tutti; ringraziamento per ciò che si è ricevuto; iniziano le preghiere altruistiche e umanitarie…

dai 10 anni: preghiera come conversazione privata con Dio (intimità), nasce dall’interno; non tutti pregano perché non tutti credono in Dio; inizio del pensiero astratto…

Mentre gli adulti credono che i bambini siano più simili a loro nel modo di pensare e meno nel modo di vivere i sentimenti, in realtà è vero il contrario.

Prima degli undici-dodici anni la maggior parte dei bambini non è capace di comprendere i concetti religiosi nello stesso modo in cui li comprendiamo

noi adulti, e attribuiscono a tali concetti dei significati che riflettono il loro modo di vedere il mondo, secondo il livello di sviluppo cognitivo

a cui sono giunti.

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Lo sviluppo della fede nel bambino

Fowler

Primo stadio: la fede primordiale o indifferenziata (0-2 anni)

Secondo stadio: la fede intuitivo-proiettiva (dai 3 ai 6 anni)

Terzo stadio: la fede mitico-letterale (dai 7 ai 10 anni)

La fede, intesa come modo di essere e di guardare la vita, nasce e si struttura secondo una modalità essenzialmente relazionale, affettivo-emotiva,

legata al corpo e alle sensazioni; e tale esperienza precede e fonda ogni successiva acquisizione a livello cognitivo, di pensiero e di comportamento. Questo stadio si situa, evidentemente, in un momento antecedente lo sviluppo del pensiero e del linguaggio: in esso il neonato forma, inconsciamente, una

sorta di disposizione originaria verso il mondo

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I bambini e la fedeLa fede intuitivo-proiettiva (2-6 anni): Dio è inteso in senso antropomorfico; fase imitativa, piena di fantasia, in cui il bambino è fortemente influenzato dagli esempi, umori, azioni e linguaggi della fede, così come è in grado di vederli negli adulti di riferimento; i processi che soggiacciono alla fantasia sono liberi e non subiscono alcuna inibizione da parte del pensiero logico; l’immaginazione è estremamente produttiva…

La fede mitico-letterale (7-10 anni): Dio interviene imprevedibilmente nelle vicende umane, ma si tratta di un Dio ancora esterno e onnipotente che punisce o ricompensa gli uomini a seconda delle loro cattive o buone azioni; il bambino inizia a fare propri i racconti, le credenze e le pratiche che simboleggiano l’appartenenza ad una comunità, ma queste vengono assorbite secondo il loro significato letterale; il raccontodiviene, a questa età, il modo principale per dare unità e valore all’esperienza: più che per concetti, il bambino si avvicina alla religione attraverso racconti semplici e concreti.

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Lo sviluppo della fede nell’adulto

Fowler

Quarto stadio: la fede sintetico-convenzionale (adolescenza)

Quinto stadio: la fede individualizzante-riflessiva (prima età adulta)

Sesto stadio: la fede congiuntiva o dialettico-polare (seconda età adulta)

Settimo stadio: la fede universalizzante (maturità)

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Gli adulti e la fedeLa fede sintetico-convenzionale (adolescenza): compare il desiderio di una relazione più personale con Dio; la fede deve poter fornire un orientamento coerente nella confusione di tutti gli impegni vari di cui la persona si fa carico e “sintetizza” valori e informazioni, fornendo una base per l'identità. È uno stadio “conformista” nel senso che è sintonizzato sulle aspettative e i giudizi delle persone a cui si tiene; non si basa su giudizi personali che permettano dicostruire e mantenere una prospettiva indipendente; l'autorità èriconosciuta in coloro che ricoprono i ruoli autoritari tradizionali o nel consenso di un gruppo ritenuto degno.La fede individualizzante-riflessiva (prima età adulta): scontri gravi o contraddizioni tra fonti di autorità importanti o profondi cambiamenti, decisi da leader ufficiali, di politiche o praticheprecedentemente considerate sacre o inviolabili, possono spingere ad una evoluzione che comporta il passaggio dalla dipendenza verso autorità esterne ad uno stato di autoregolamentazione. Si inizia di conseguenza ad assumere la responsabilità della propria vita.

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Gli adulti e la fedeLa fede congiuntiva o dialettico-polare (seconda età adulta): l’irruzione dell’inconscio, dell’altra parte… l’individuo “inizia ad avere a che fare con ciò che potrebbe percepire come una sorta di voci interiori anarchiche e fastidiose”, che lo spingono a riconoscere che la vita è più complessa della “logica” che si limita a distinzioni chiare e a concetti astratti, e quindi ad un approccio più dialettico e stratificato alla verità della vita. La fede appare caratterizzata da una “integrazione degli opposti” e si sviluppa l’esigenza di una più profonda relazione con Dio, attraverso il pensiero simbolico. Assume netta centralità la domanda sul significato dell’esistenza, per cui si apprezzano simboli, miti e riti (propri e appartenenti ad altre tradizioni) perché si coglie la profondità della realtà a cui essi si riferiscono. Si notano con più forza le divisioni e le lacerazioni della famiglia umana perché si è appresa la possibilitàdi una comunità più inclusiva.La fede universalizzante (maturità):In alcuni casi rari, la percezione di questa lacerazione porta all’esigenza di una radicale attualizzazione o lotta per incarnare l’utopia; qui la fede è caratterizzata da un senso di unità con Dio (mistica), come pure da un impegno a perseguire l’amore e la giustizia e a sconfiggere l’oppressione e la violenza. “Individui di questo tipo creano zone di liberazione per il resto dell’umanità e vengono dunque percepiti come dei liberatori e, al tempo stesso, come una minaccia”.

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La narrazione

Il racconto è a questa età il modo principale per dare unità e valore all’esperienza: più che per concetti, il bambino si avvicina alla comprensione della religione attraverso racconti semplici e concreti.

Gli attori delle storie cosmiche che si costruiscono sono personalità ancora completamente antropomorfiche e i bambini non sono ancora capaci di prendere le distanze dal racconto per formulare concetti e riflessioni: a questo livello, il significato è portato, ma nello stesso tempo imprigionato, nel racconto. Saranno proprio le contraddizioni implicite nei racconti a condurre, gradatamente, il bambino a riflettere sui significati. Ma questo avverrà solo con la transizione al pensiero operativo formale, cioè a partire dalla preadolescenza.

La narrazione rappresenta il primo tentativo che il bambino compie per assegnare un senso al mondo che lo circonda. Il bambino è in grado di comprendere e di inventare storie molto prima di riuscire a cogliere il significato di una proposizione logico-formale, anche semplice.

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I caratteri del pensiero religioso infantile

Aletti

1. Antropomorfismo cioè la tendenza a percepire Dio secondo schemi dedotti dalle proprie esperienze umane.

2. artificialismo, cioè la tendenza ad immaginare ogni realtà come fabbricata da qualcuno in senso immediato e materiale.3.animismo, cioè la tendenza ad attribuire intenzioni, una coscienza o anima vivente, anche alle cose inanimate.

4. finalismo, cioè la tendenza a vedere in ogni cosa uno scopo, letto in termini morali, dedotto dall’esperienza egocentrica; ad attribuire agli eventi del mondo esterno una intenzione benefica o malefica in relazione al proprio comportamento.5. magismo, cioè la tendenza a considerare manipolabili a proprio vantaggio, in senso cioè utilitaristico ed egocentrico, le cose che ci circondano. Compreso Dio che viene letto come un grande e potente mago, manipolabile per soddisfare le proprie richieste.

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AntropomorfismoTre fasi: 1. antropomorfismo fisico (3-5 anni): Dio è un vecchio, con una grande

barba bianca, e vive in un giardino; Gesù obbediva alla mamma e al papà. «Caro Dio, ho visto la chiesa di san Patrizio la settimana scorsaquando siamo stati a New York. Vivi in una bella casa!».

2. superantropomorfismo (6-8 anni): Dio è percepito come una specie di supereroe, un uomo grande e potente che vede tutto, come un grande mago. Gesù vede attraverso i muri. È a questo livello che inizia a comparire una embrionale coscienza di una alterità.

3. pseudoantropomorfismo (9-11 anni): Dio non si può disegnare nédescrivere con parole; tuttavia Dio rimane ancora ancorato a matrici concrete, anche se negativamente («Dio non muore, non ha età, non ha corpo…»). Il bambino si sta avviando verso una progressiva spiritualizzazione dell’idea di Dio. «Caro Dio, ci hanno detto di scrivere alla nostra persona preferita. Io scrivo a te, anche se non puoirispondermi dato che non sei una persona. Ma io volevo scriverticomunque. Con affetto. Karen»; «Caro Dio, quando è il momento migliore per parlare con te? So che sei sempre in ascolto, ma quando ascolti con particolare attenzione ad Ann Arbor, nel Michigan? Tuo Allen».

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Artificialismo

Tendenza ad immaginare ogni realtà come fabbricata da qualcuno in senso immediato e materiale: la torta esiste perché l’ha fatta la mamma.

È con questo carattere che va letta l’idea del Dio creatore, che un bambino, prima degli 11-12 anni circa, è in grado di elaborare: l’atto creativo viene inteso e compreso nel senso dell’attività di fabbricazione delle cose del mondo, come saprebbero fare anche mamma e papà.

Matteo, di quattro anni, stava raccontando come Dio avesse fatto a creare gli uomini e gli animali: «Ha preso le ossa e poi ha messo sopra la pelle e ha fatto gli animali e gli uomini…». Alla domanda: «Ma dove ha preso le ossa?». Matteo, dopo un attimo di riflessione, illuminandosi, risponde: «Dai polli!». Da qualche parte le ossa erano e poiché la sua mamma gli aveva dato spesso cosce di pollo con relativo osso ecco svelato il mistero.

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Animismo

Tendenza ad attribuire intenzioni, una coscienza o anima vivente, anche alle cose inanimate.

Anche per quanto riguarda questo tratto tipico della religiosità infantile vi è uno sviluppo progressivo: prima dei 6-7 anni sono considerate viventi, cioè animate, tutte le cose che hanno uno specifico utilizzo (anche la bicicletta quando va e la candela quando fa luce); tra i 6 e i 9 anni circa, sono viventi tutte le cose in movimento (animali, astri, nubi, fiumi), mentre non sono viventi le cose mosse dall’uomo (i veicoli); solo attorno agli 11-12 anni il bambino inizia ad attribuire una coscienza, o anima vivente, solo agli esseri viventi in senso stretto: animali e uomini.

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FinalismoTendenza a vedere in ogni cosa uno scopo, spesso letto in termini morali,

dedotto dall’esperienza egocentrica; è la tendenza spontanea del bambino ad attribuire agli avvenimenti del mondo esterno una intenzione benefica o malefica in relazione al proprio comportamento: i comportamenti riprovevoli vengono, infatti, puniti dalla natura.

Sovente questa credenza viene rafforzata dai genitori stessi: «Ti sta bene! Ecco cosa capita ai bambini cattivi!». A partire dai 6 anni, Dio diventa dunque, progressivamente, il garante della giustizia attraverso la natura, sia in senso protettivo che in senso punitivo.

«Quando mi sono rotto il braccio – l’ho rotto quattro volte – mi sono chiesto se Lui voleva che mi rompessi il braccio. Mi stavo divertendo troppo o qualcosa del genere? Talvolta me lo chiedo. Mark».

Solo attorno ai 12 anni l’intervento di Dio viene percepito solo in senso protettivo: è ora che compare un primo riconoscimento della provvidenza divina, che interviene pur senza modificare le leggi della natura.

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Magismo

Tendenza a considerare manipolabili a proprio vantaggio, in senso cioè utilitaristico ed egocentrico, le cose che ci circondano. La stessa sorte toccherebbe anche Dio: la nozione di onnipotenza è assimilata ai poteri magici di un grande mago, che possono essere manipolati per soddisfare le proprie esigenze.

Più specificamente, tra i 6 e gli 8 anni il bambino crede nell’efficacia immediata e materiale della preghiera, purché eseguita attraverso la scrupolosa osservanza dei gesti rituali.

Solo attorno ai 10-12 anni il bambino acquisisce la nozione di relazioni causali – e quindi non più magiche e manipolabili – tra le cose.

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Le direttrici di sviluppodel pensiero religioso infantile

Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur«la fedeltà al contenuto del messaggio non deve essere disgiunta dalla

fedeltà alle attuali possibilità di comprensione di colui che ne è il destinatario».

1. Dall’antropomorfismo alla spiritualizzazione della concezione di Dio

2. Dall’artificialismo al Dio creatore

3. Dall’animismo al riconoscimento della Provvidenza divina

4. Dal magismo al riconoscimento dell’onnipotenza e trascendenza di Dio

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Le direttrici di sviluppodel pensiero religioso infantile

1. Quali caratteristiche ‘umane’ il bambino attribuisce a Dio? Non èdeterminante tanto la persistenza o meno di una raffigurazione antropomorfa, quanto piuttosto cercare di individuare se, quantoe come tali caratteri umani attribuiti a Dio siano in grado di mostrare, o meno, quanto Dio venga percepito e vissuto come ‘Altro’ rispetto all’uomo.

2. Discriminante è anche il passaggio da una concezione ‘impersonale’ e ‘dottrinale’ a una concezione più ‘personale’ di Dio: è questo ciò che riesce a mostrare la qualità della ‘relazione’con Dio. Questo è uno dei tratti che evidenzia una religiosità in via di maturazione.

3. Altri tratti da tenere presenti sono, ad esempio, vedere se la religiosità espressa dal bambino è legata ad una particolare situazione oppure è trasferibile anche ad altre situazioni;

4. o ancora se la religiosità espressa evidenzia tratti narcisisti (Dio fa tutto per me), oppure più oblativi (Dio ama con me).

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Qualche conclusione

1. Il bambino non è un soggetto passivo da educare, un contenitore vuoto da riempire… esso va aiutato a costruire la sua visione del mondo (compresa quella religiosa). Non riversando contenuti ma costruendo relazioni significative.

2. Il bambino non possiede ancora le capacità mentali per comprendere i concetti astratti di una religione; la conoscenza di un bambino funziona in un modo qualitativamente diverso rispetto alla conoscenza di un adulto.

3. Un bambino non potrà che avere una religiosità da bambino cioè una religiosità inevitabilmente segnata dai tratti tipici della sua esperienza cognitiva, molto diversi dai tratti di una religiosità matura. Ne consegue che la fedeltà al contenuto del messaggio non può essere disgiunta dalla fedeltà alle attuali possibilità di comprensione di colui che ne è il destinatario. È una fondamentale fedeltà al bambino e alle sue modalitàdi comprensione dei contenuti religiosi.

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4. La religione non La religione non èè essenzialmente dottrina ma essenzialmente dottrina ma esperienza di esperienza di relazionerelazione –– ll’’esperienza della fiducia che ci fa sentire accolti, amati, esperienza della fiducia che ci fa sentire accolti, amati, benben--voluti, pervoluti, per--donati. donati. ÈÈ questa questa esperienzaesperienza ciò che può durare per ciò che può durare per tutta vita e che tutta vita e che èè realmente efficace.realmente efficace.

5. Il senso delle nozioni che ci sforziamo di trasmettere, compr5. Il senso delle nozioni che ci sforziamo di trasmettere, comprese ese secondo quanto un bambino secondo quanto un bambino èè in grado di fare, dipende dalla qualitin grado di fare, dipende dalla qualitààdella relazione che sappiamo con loro costruire. della relazione che sappiamo con loro costruire.

6. Parlare di Dio e di 6. Parlare di Dio e di GesGesùù al bambino significa anzitutto essere al bambino significa anzitutto essere disposti a giocarsi in una relazione autentica, genuina, incentrdisposti a giocarsi in una relazione autentica, genuina, incentrata ata sugli affetti e sulle emozioni sincere. Una madre parla sugli affetti e sulle emozioni sincere. Una madre parla efficacemente di Dio al bambino semplicemente guardandolo efficacemente di Dio al bambino semplicemente guardandolo affettuosamente, sorridendogli, tenendolo in braccio con delicataffettuosamente, sorridendogli, tenendolo in braccio con delicatezza ezza e cura; in una parola: rispecchiandolo e facendolo sentire, e cura; in una parola: rispecchiandolo e facendolo sentire, attraverso il proprio corpo e le proprie emozioni, attraverso il proprio corpo e le proprie emozioni, incondizionatamente accettato e benincondizionatamente accettato e ben--voluto. voluto. ÈÈ in questo modo che in questo modo che GesGesùù ha parlato a noi di Dio. ha parlato a noi di Dio.

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In definitiva,una genuina educazione religiosa passa attraverso

l’instaurarsi di una relazione significativa,incentrata sul riconoscimento e sul rispetto dell’altro,sulla accoglienza e sulla accettazione incondizionata,

in una parola sull’amore.

Ma una buona relazioneè anche quella che sa relativizzarsi e farsi da parte

aiutando il bambino a trasferire (oppure a trovare) in Dio, in un Assoluto,

quella fiducia indispensabile per osare intraprendere il lungo cammino della vita.