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OPERE VOLGARI D I LEON BATTISTA ALBERTI

Alberti, Leone Battista 1843 Opere Volgari, t.1 (Ocr)

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  • OPERE VOLGARIDI

    LEON BATTISTA ALBERTI

  • 4^ -

  • AL NOBILE SIGNORE

    MARIO MORI-UBALDINICONTE ALBERTI

    CAVALIER PRIORE DELL'ORDINE DI 8ANTO STEFANO

    HSSENDOMI prefisso di pubblicare tuttele Opere edite ed inedite scrtte involgare da LEON BATTISTA ALBERTI, ilcui illustre Nonne Voi avete ereditatocoli' amore ad ogni sorta di lodati studi,non avrei potuto mandare ad effettoil mio proponimento, specialmentein Firenze, senza cbe le medesime

  • Vi venissero intitolate; appartenendodi diritto e di giustizia alla VostraGasa di dover entrar compartecipe aqualunque onore si faccia a questo

    quale

    quandpatriaillustra l'Europa ed il mondo. Ma se

    .1.

  • questo secolo andr famoso ne posteriper aver Voi finalmente eretto unmarmoreo monumento ai mani delgran Genio del secolo decimoquinto,uscito dalla nobilissima Vostra Gente,non piccola lode spero eziandio cheabbia a conseguitargli per averglieneinalzato un altro, pi perenne del

  • bronzo, nella pubblicazione delle sueOpere immortali.

    Vi sia raccomandato il

    : AlflCK) BOKOCCI

  • DELLA VITAK

    D E L L E O P E R EDI

    L. B. ALBERTI

    DISCORSO.

    JCJCCOCI dinanzi ad uno di quegli uomini, il cuiportentoso genio e la cui immortale dottrina possonofar meglio stupire che maravigliare. Imperciocch,tanto coli' onnipotente suo ingegno tutte le provinciedell' umano scibile trionfalmente peregrin, che aleggere le sue opere, le diresti frutto delle medita-*zioni di pi sapienti e di pi secoli, piuttosto che diun solo e di sola un'et. Queste nostre parole ri-volgonsi a quel divino LEON BATTISTA ALBERTI, prin-cipe della schiera de' pochi prosatori italiani del se-colo XV, uno de'principali ristoratori dell'italianaeloquenza, la quale dopo la morte del Boccacciosi sa come andasse decaduta per l'irragionevoleopposizione fatta al nuovo volgare, dai letterati delquattrocento, onde tenere in seggio un gergo che

    ALBERTI, T.l. b

  • Xessi osavano dir latino, ed uno de' principali final-mente a far risorgere le arti, per l'inondazione deiBarbari, venute anch'esse in deplorabile corruttela,e quasi al tutto spente; mentre colle sue opere ri-chiamandole a nuova vita, primo di tutti, cui vo-lesse battere quella gloriosa via, mostrava co'suoiscritti come vi si potesse venire in fama immortale.

    N al gran riscatto procedeva egli colle soleparole, ma come colui che ben sapendo quanto alleteoriche fossero propizi gli esempi, alle sue disqui-sizioni sulla statuaria, pittura e architettura, leopere della pratica ancor v'aggiungeva, mentre e pit-ture e statue ed edilizi e getti e lavori di bulino purfece (*). Oltre di che fu matematico e filosofo valen-tissimo, e molto prode poeta. Anzi tanto per ognilato tutti i confini dell'umana sapienza tocc, chel'immenso suo ingegno, certo pu dirsi, altro limitenon avere avuto, che quello, per cos dire, insupe-rabile entro cui furono circoscritte le menti de' mor-tali. Il perch fino che il mondo star e si avrannoio pregio i lodati studi e le arti, Italia andr superbadi essere stata madre ancor di questo Grande, perfar nuova fede alle genti, come dal felice suo grembouscissero in ogni tempo fulgidissimi ingegni da rag-giare nel mondo il benefico lume di quella vera sa-pienza che pi presto pu condurne alla meta dellasospirata civilt.

    (*; CBISTOFOBO LANDINO, Apologi de* Fiorentini, pag. 164.

  • XI

    N sia chi creda il nostro dire dottato da so-verchio affetto o da prevenzione, che ove il lettorevoglia farsi a considerare le opere dell'insigne, danoi ora per la prima volta raccolte e moltissime diesse ancor per la prima volta pubblicate, facilmentecrediamo come egli abbia a venire nella nostra sen-tenza, la quale vogliamo fin d'ora mandar confor-tata dell' autorevole giudizio d' un Poliziano, che scri-vendo a Lorenzo il Maguifico dei pregi dell'Albertidiceva, come le sue lodi non una lunga orazionenon che una lettera avessero potuto comprendere,nulla essendovi per lui di si astniso e recondito chenon gli fosse chiaro ed aperto, rimanendo in forse,se pi nel verso valesse che nella prosa, e se pigravi, pi solenni o pi tersi fossero i suoi discorsi.Oltre di che, cos scrut egli le cose degli antichi,che tutta la ragione d'architettura di essi non solostupendamente comprese, ma le produsse ancora adutile esempio. E aggiungasi che macchine ed aotomimoltissimi non solo invent, ma ancora manierebellissime di edifizi oper, essendo stato di pi, pit-tore e statuario di singolare valore, onde fia megliodi lui tacere che non dirne abbastanza (*) .

    Nasceva adunque Leon Battista Alberti, fioren-tino per genitori e casato., in sul cominciare delsecolo XV in Venezia, dove la sua famiglia s'ebbe

    (*) Vedi Apfxmdice N. I.

  • XII

    a riparare dopo la cacciata dalla sua patria, frutta-tale per amor di libert. Noi non volemmo precisarela sua nascita al 1404, siccome fece Pompilio Poz-zetti, e dietro lui altri ancora, perch, se le ragioniche lo inducevano a stabilirsi in siffatta opinione sonodall'un canto ingegnose, e bisogna anche dire pro-babili molto, dall'altro d'uopo ancor convenire,che trattandosi di date, anche la maggior probabilitnon pu pienamente sodisfarne, ma vi si vuole pa-tenie irrepugnabile certezza. Ci nondimeno fra idocumenti che accompagneranno questo discorso nonmancheremo di tutti riferire eziandio i titoli checoncorsero a far venire il Pozzetti nella summento-vata credenza, perch, cui piacesse, possa a suo ta-lento seguitarli (*).

    Ritornando ora all'Alberti, suo padre come quelloche tutto amore era pe'suoi figlioli, e molto solle-cito della loro educazione, come in pi luoghi dellesue opere lo stesso Leon Battista asserisce (**), nonappena lo vedeva aggiunto a quell'et, in cui so-gliono le giovinette menti informarsi agli studi dellasapienza, tosto qual si conveniva al suo nobile li-gnaggio lo faceva ammaestrare. Ma considerandocome dalla robustezza del corpo forza acquisti l'in-telletto, l'avveduto genitore, nella lotta, nel corso edin altre ginnastiche lo esercitava, si che ben prestoil cresciuto garzonetto poteva mostrarsi assai va-

    (*) Vedi Appendice N. II.(**) Fra le altre nel libro Della comodit e incomodit delle lettere.

  • XIII

    loroso, e neir armeggiare e nel maneggiare cavallie nel resistere al corso e nella danza e nella lotta,narrandosi, che un dardo lanciato dal suo poderosobraccio, forza avesse persino di trapassare qual siapi forte corazza (*). Pervenuto quindi a quell'orain cui all'ingegno dello studioso alunno abbiso-gnano pi sostanziali studi, ecco il padre mandarloa Bologna, onde apprendere in quella celebre Uni-versit le umane lettere, nelle quali se l'Albertiprofittasse lo dicono e sempre diranno i suoi bellis-simi scritti. N solo in quel famoso Ateneo attendevaa queste discipline, ma come egli stesso e l'Anonimodel secolo XV, che ci lasci una vita di lui moltoelegantemente distesa nella lingua del Lazio, ci af-fermano, ancor vi dava opera alle leggi (**), e contanto fervore e assiduita che la fatica del soperchiostudio ebbegli a causare una molto grave infermitdi languore. Per forma che i medici a volerlo resti-tuire a sanit, ebbero a comandargli la sospensionedi que' gravi studi, come quelli che furono da essiriconosciuti unica cagione del male. E il precetto deimedici riusciva assai giovevole all'Alberti, il qualeritraendone gran vantaggio, poteva indi a non moltoriaversi da quella fiera malattia. Se non che l'amo-re immoderato che egli portava/agli studi, ancor inquesto frattempo s forte in lui faceva sentirsi, cheessendo tuttavia in cura, e prima che interamente

    (*) Vedi Appendice N. III.(**) V. App. N. HI e IV.

  • XIV

    uscisse di convalescenza, a sollievo dello spiritoavendo ricorso alla dolcezza delle muse, sua fer-vente passione, toccando allora il ventesimo anno (*)scrisse in latino uno scherzo comico intolato Filo-dossio, parola composta di due greci vocaboli im-portanti atnator della gloria, dove sotto il velamed'una molto ben concetta allegoria rappresentandose stesso, s'ingegnava a mostrare, come lo stu-dioso e sollecito, ugualmente cbe il ricco e felicepotesse divenire glorioso (**). Ma l'operetta sottrat-tagli di furto da un suo amicissimo e famigliare, inpoche ore trascritta e all'insaputa di Leone man-data fuori (quantunque ripiena d'errori seminatividal frettoloso ricopiatore, i quali per sovramercatocrebbero ancora di mano in mano che da altri nefu fatto esemplare}, non appena se ne fu impadronitoil pubblico, che tatti lodandola a cielo, non sapen-dosene l'autore, l'ebbero senz'altro per cosa anticae stupenda (***). E siccome il giovine scrittore alcunavolta dava al suo Filodossw il nome di Lepido, permostrare lo scherzo da che originava il componi*meato, ecco tantosto gli onniveggenti antiquari crearedi pianta un Lepido antico suo autore, quantunquedi nessuno scrittore di questo nome parlasse lastoria delle latine lettere. Nuova prova che ci am-maestra cosa possono essere molte volte le in ter-

    (*) Non maiori annis XX. nnos non plus viginli. App. N. I I I .(*) Vedi Appendice suddetta.(*) Vedi App. N. IV.

  • XT

    prelazioni di questa pi che sovente 9ognatrice schiera.Del quale granchio ciascuno pu credere se poi l'Al-berti in cuor suo ne dovesse mattamente ridere; ilquale per vedere anzi fin dove giungesse il costoroabbaglio, essendosi saputo come da lui provenissela celebrata Favola, e interrogato d'onde l'avessediseppellita, ed egli asserendo da un antichissimocodice, di tanto crebbe il fanatismo per la pseudo-antica Commedia, che tutti trovandovi il sapore eil sale plautino, quantunque scritta non in verso nspartita per atti, la sentenziarono assolutamente perlavoro di autore de' buoni secoli; il perch gir trion-falmente tutta Europa. Sennonch in Germania Al*berto d'Eyb, canonico di Bamberga, se al suo giu-gnere le faceva grata accoglienza, ritenendola percosa molto elocubrata e lodevole, non poteva peraverla per cosa d'antico, ma l'ascriveva invece alcelebre Carlo Marsuppini d'Arezzo (*), segretario della

    (*) CABLO MARSUPPINI nacque nel 1399, e fu uno de' primi letteratidel secolo XV. Datosi per tempo allo studio delle greche e latinelettere, ben presto vi sal in distinta eelebrit: e tanto fu caro per la B*adottrina a Coslmo de' Medio! e a Lorenio suo fratello, che secolorovollero condurlo a Verona, ove stettero alcun tempo, causa la pesteche affliggeva Firenze. Ma ritornatovi alfine e fatto pubblico professore diRettoria e Belle Lettere, si grande fa 11 favore ohe ottennero le suebelle lezioni, che ad udirlo andavano I pia nobili personaggi, lo che destTiofidia de'suoi emuli, fra'quali 11 Fllelffl, che come si vede da unsuo poscritto in una lettera ch'egli mandava a Lorenao il Magnifico perofferitegli di scrivere con franchezza la storia della famosa congiurade'Pazzi, parlandovi di Carlo lo chiamava con derisorio soprannome CarloMalcolore. Fu, Carlo, segretario della Repubblica fiorentina, nel qualeufficio succedette al celebre Leonardo suo concittadino e mori di anni 84,

  • XVI

    Repubblica fiorentina, e famoso a quel tempo pergreca e latina letteratura, stampandola nella suaMargarita Poetica fra le commedie de' secoli po-steriori da lui chiamate straordinarie, e facendoeletta delle sue molte belle frasi per proferirle inesempio della pi squisita latinit. La qual cosa adogni modo ognun vede come ritorni a lode, e nonpiccola, di Leon Battista nostro, il quale se al rigidotribunale della moderna critica (dice molto giudizio-samente il Pozzetti) non otterr in oggi un favore-volissimo voto sul suo Filodossio, pure bisogna con-venire che rispetto ali' et in cui egli la scriveva,poich solo quattr'anni appresso si poneva alle scienzesublimi 0 , la cosa non pu non meritar somma lode.

    Laonde troppo austero ci parve il sig. Renouardquando semplicemente ne disse (**) essere il Filo-dossio un men che mediocre lavoro, tanto riguardoall stile che alla condotta ; e assolutamente pocoistrutto e confuso, quando soggiunse: avere alcunipreteso essere desso, opera di Leon Battista Alberti,nato nel 1404 e morto verso il 1480, o di Albertode Albertis, architetto fiorentino e commentatore di

    11 di 24 d'Aprile del 1453, avendogli solenni eseqaie decretate il Senatofiorentino ; e Matteo Palmieri eletto a fargli I' orazion fanebre, lo co-ronava poeta nel feretro. Ci restano di lai varie opere eruditissime,ed anche opinione di vari scrittori, che egli abbia molto lavorato saipoema di Silio Italico.

    () V. Appendice N. IV.(**) AnncUes de V imprimerie des ALDB, Tom. II, pag. 156. A Pa-

    ris, chez Antoine-Augustln Renouard, MDCCCXXV, in-Svo.

  • XVlf

    Vitruvio , mentre in oggi si sa chiaramente comeil sole, il suo autore essere veramente Leon Battista,il quale non coment, propriamente parlando, Vitru-vio, ma lo illustr nella sua architettura, dichiarandopi lucidamente alcuni passi alquanto oscuri di esso,onde merit il nome di Vitruvio fiorentino.

    Ma ripigliando il filo del nostro discorso, restau-ratosi l'Alberti dalla sua malattia, di che gi si disse,e volendo poco dopo far prova di ritornare agli studilegali che aveva intermessi, eccolo nuovamente ri-cadere nella stessa infermit, per cui ebbe questavolta a ridare un addio alla visibilmente a lui nemicagiurisprudenza per non ripigliarla mai pi, sostituendoalla medesima le matematiche e la filosofia, nelle qualifece s mirabili progressi, anzi dove tanto avanz,che lasciatisi molti indietro, non fu certamente supe-rato allora da nessuno.

    Restituito intanto Cosimo de' Medici alla patriae riassunte le redini del governo, una delle sue primecose fu quella di richiamare ancora la famiglia degliAlberti; la quale ritornata in Firenze, e volendosi dalprincipe rallegrare la citt afflitta dalle miserie dellecontinue guerre avute con Filippo Maria Viscontiduca di Milano, vedevasi Leon Battista proporgli unpubblico letterario certame, con premio di una co-rona d'alloro foggiata in argento, da donarsi aquello de' campioni apollinei che in qualunque generedi versi, ma volgari, avesse meglio dette le lodi della

    ALBERTI, T.l. O

  • XVIII

    sincera amicizia (*). E l'albertiano concetto, spalleg-giato da Piero figliolo di esso Cosimo, tosto avendo ef-fetto, in Santa Maria del Fiore, perch pi decoro acqui-stasse la letteraria gara, si vedeva dischiudere l'aringo.Ma la disputata corona nessuno de' combattitori ot-teneva , perch giudicatosi che alcuni componimentii quali sopra gli altri si distinsero, fossero di ugualmerito, alla chiesa veniva dagli arbitri lasciato ilconteso guiderdone. La quale sentenza fu per altrogeneralmente ripresa ; perch dovendo ad ogni modoil premio essere d' uno de' dicitori, e del migliore diessi, non fu al certo dai giudici serbato il mandato.Per, checch ne fosse, tutti godranno del vedere, comeuna volta si riconobbe poter le lettere essere chia-mate a consolazione degli animi afflitti ancora dapubbliche calamit. N la storia ci tacque i nomi deidotti campioni, i quali furono, Michele di Noferi delGigante, Francesco (HAltobianco degli Alberti, Antoniodegli Agli, Mariotto d'Arrigo Davamati, Francescodi Buonanni Malecarni, Benedetto di Michele d'Arezzo,Leonardo di Piero Dati e Anselmo Calderoni, araldodella Signora di Firenze (**) ; e giudicatori i Segrotaridi Eugenio IV, eletti per fare onore a quel ponteficeche allora si ritrovava in Firenze. Ma se questo primocertame non tornava a intera gloria de' letterari ca-valieri, Leon Battista senza sgomentarsi, un altro ne

    (*) Vedi Appendice N. IV e V.(**) Cosi 11 dod.N. 34, pfot.41 della LaarenzJana. Il POZZETTI:

    Conte d> Vrbino. - V. App. !. V.

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    proponeva suH' Invidia, torse perch nel non conferireil premio hi quel primo concorso, questa maledettadov avervi parte : e il motivo perch il secondo nonavesse effetto, potr il lettore raccoglierlo da questeparole dello stesso Leon Battista, che si leggernel suo libro Della tranquillit dell'animo che ora danoi per la prima volta vien messo alla stampa, e dovefa dire ad gnolo Paradolfini, a proposito dell'invidia!: Ma quanto ella possa ne' nostri animi, assai ne scris-se '1 tuo Leonardo trgico (*), uomo integrissimoe tuo amantissimo, Battista, in quel suo Iemsale (**);quale egli apparcchio per questo vostro secndocertame coronario (***), istituzine ottima, utile alnome e degnila della patria, atta a esercitare pr~diarissimi ingegni, accomodata a ogni culto di buonicostumi e di virt. Oh lume de9 tempi nostri ! Oh or-namento della lingua toscana ! Quinci fioriva ognipregio e gloria de' nostri cittadini. Ma dubito nonpotere, Battista, recitare vostra opera: tanto pu lainvidia in questa nostra et fra i mortali e perver-sit! Quel che niuno pu non lodare e approvare,molti studiano vituperarlo e interpellarlo .

    (*) LENAB DO DI PIETRO DATI, era nel 1488 canonico di Firenze. Scrisse'motte cose in prosa ed in verso, assai lodate dal dotti suoi contemporanei;Fu Segretario di Callisto III, di Pio II e di Sisto IV> e nel 1467 era Ve-scovo di Massa. Il Mehus pubblic nel 1743 molte lettere di lui. Fu ilDatf ancor Notalo, pi*hn che avesse le dette dignit eccleslastiche, e settiil BvrcMeito da procuratore nelle sue domeniche liti.

    (**) una tragedia tuttavia a penna, di cui parla LEONARDO AHETINO,Llb. IX , Episl. VII.

    (***) Daa corona di' che gt si disse- fc

  • Recatosi quindi Leon Battista a Roma, quivinella lingua latina ponevasi a scrivere il suo MomoC),opera a dialogo, dove intese a formare un ottimoprincipe, e dove sparse molti solenni insegnamentied assai argute piacevolezze. E questo titolo le dava,perch da Momo (principale collocutore, inquieto eturbolento iddio, sotto il quale flguravasi dagli anti-chi la maldicenza)^ tutta la macchina, gli avvenimentie gli episodi del componimento hanno origine. Benescolpiti sonovi i caratteri degli altri personaggi checompongono tutta la filosoflca e insieme lepida sce-na, la quale talvolta partecipa del lucianesco, conmolto profitto e diletto di chi legge. Vedesi in esso,Giove, in cui rappresentato il principe, assediato dapessimi cortigiani che tentano di farsi signori delsuo animo, lungamente titubare incerto fra i vizi e lavirt; e gli adulatori v'hanno anch'essi la loro.Se non che in tale materia l'Autore se la passa unpo' troppo di liscio, contentandosi solo di dire, cheavendo i poeti comici flagellato abbastanza la peste delcostoro vizio, non istar a dirne altro, forse nellatemenza che addentratosi in siffatto ginepraio, comeavrebbe dovuto il filosofo, fossero per venirglienemaggiori inquietudini e perturbazioni di quelle concui gi, e non poco, era dagl' invidiosi tribolato. Macomunque ci sia, chi die di piglio alla penna peruscire a campo contro il vizio, da nessuno sgomento

    : i.

    (*) 11 Momo fu composto dall'Autore a Roma oel 1451.

  • XXI

    deve andar trattenuto del non perseguitarlo per ogniverso e sino agli estremi. Il perch non cos avendoquesta volta adoperato il nostro Alberti, panni nonpotere egli sfuggire da un po' di rimprovero; mentre ilfilosofo che voglia ottenere parole di giusta e interalode, dovrebbe schivare persin l'ombra del pi leg-gero sospetto di vilt. Tuttavia ne piace sentirlo dire,nel secondo libro di questa sua bell'opera, che sel'uomo fra quanti sono animali nel mondo il piintollerante di servit, deve eziandio porsi mente comeegli sia ancora il pi inchinevole e dedito a man-suetudine e docilit; che il reggere gli stati non cosa da pigliare a gabbo, n impresa da tutti; e che,se i bruti, e quelli fra essi che sono pi selvatichi, sigovernano domati da lunga consuetudine, e medianteuna specie di disciplina si tengono insieme, non sidovr con men arte e ragione governare gli uo-mini , i quali sono nati a essere socievoli pei co-modi e vantaggi della vita. E ci tanto pi, in quantoche spesso si pot ancora vedere che il volgo spon-taneamente obbedisce a chi cose oneste gli comanda.E parimente bellissima la pittura che egli vifa della vita de' furfanti, le cui pessime arti sonodalla sua filosofia smascherate colla pi patente verit,e nel tempo stesso con lepidissima satira.

    Cos l'Alberti non trascurava neanche un'altra ma-niera d'eloquenza, e forse ancor pi difficile, ne' suoiApologhi, quale la didascalica, ove, come ben avverteil Pozzetti, non s frequente l'abbattersi in esemplari

  • XXII

    che meritino un'intera commendazione. Per qui,come pu vedersi dalla stessa lettera con cui il me-desimo Leon Battista g' indirizzava a Francesco Ma-rescalchi, il nostro Autore riconosceva di per s undifetto che ne'medesimi veramente si trova, ed unpo' d'oscurit ; nel quale vizio inciampava a volereessere brevissimo; e fors'anco per avervi volutofare alcuna satirica allusione da non essere da tuttiintesa.

    Ma, se non tanto dilettevole ed utile riesci vain questo genere di componimenti, non cos eranelle Piacevolezze Matematiche, le quali, quantunquedistese in un sistema non interamente perfetto n pie-namente dedotto, pure i suoi problemi meritano moltalode. E certo faranno ognor fede di quanto valessel'Alberti nella geometria e il suo metodo per conoscerel'altezza di una torre di cui si veda soltanto la cima,e l'equilibra o livello a pendolo da lui trovato per li-vellare i terreni e le acque correnti, ed il modo ch'eglipropone per misurare, cammin facendo, la distanzatra que' luoghi ove non possono spingersi le visuali,e finalmente la stadera a bilico, modello della mo-derna bascule. E giacch trovo nelle note, di che ilcelebre Giambattista Niccolini corred il suo eloquen-tissimo elogio di Leon Battista, una molto sensataanalisi di un valente matematico, il cui nome cidispiace sia taciuto per non potergli retribuire quelleparole di lode che il suo molto assennato giudiziomeriterebbe, non sar discaro neanche al nostro

  • XXIII

    lettore di qui ritrovarla, Le Piacevolezze Matema-tiche dell'Alberti, dice adunque l'anzidetto scienziatoanonimo, non formano un'opera metodica e dedotta,ma una raccolta di Problemi modellati secondo il gustodel tempo, altrettanto facili nella loro esposizione, cheper la loro intelligenza. Egli incomincia con alcuneapplicazioni pratiche della dottrina dei triangoli similialle loro altezze e distanze accessibili ed inaccessi*bili, valutati i rapporti dei loro lati ed omessi i picomplicati fra i loro angoli ed i lati stessi. Seguonogli altri sulla profondit; fra i quali da notarsi ilmodo di rilevare quella d'un fluido in quiete, daltempo impiegato da un galleggiante per affondar visie per restituirsi alla sua superficie; idea che ha cer-tamente suggerita l'altra d'una certa importanza inDinamica, di misurar delle profondit simili col suono.Meno felici sono le indagini sulla misura del tempocolla combustione, supposta regolare, d'alcuni corpi,colla fontana d'Erone, col gnomone verticale, coll'os-servazione delle stelle circompolari, gli uni fra questimezzi essendone incapaci per loro stessi, gli altri peril modo della loro applicazione. La misura delle su-perficie piane che ne succede, limitata ai terreni, un succinto epilogo dei soliti canoni rammentatidal Golumeila e dal Fibonacci. Vequilibra o livello apenduto, offre all'Autore degli argomenti pi -distinti,sia per livellare i terreni, le acque correnti, oc.,

    sia per rilevare i rapporti di due pesi distinti, siapel maneggio dei raortari, per la direzione dei loro

  • XXIV

    colpi, ec. La stadera a bilico per valutare i pesi, un ingegnoso ritrovato, modello alla moderna ba-scule, e l'odometro, o compasso itinerario, prevale perla semplicit, per l'economia, per la fiducia a quelloideato dall'Accademia del Cimento, che il celebreRamsden si fatto proprio. N l'applicazione di que-st'odometro, consigliata dall'Autore per definire lavelocit di una nave in corso, prevarrebbe menosull'uso incerto dei lock ordinarii ci che quindi sug-gerisce per misurare l'azione del vento sopra unavela, capriccioso, e manca di fondamento e di re-lazioni. Il libro termina coll'esposizione del problemaidrostatico della Corona, che l'Autore estende allavalutazione del peso de' corpi, insistendo nella dot-trina dei galleggianti, nota dopo Archimede .

    E questa bella esposizione delle PiacevolezzeMatematiche di Leon Battista nostro, volemmo noiriportare per intero, anche perch si vegga se in essecontengansi cose di nessuna entit, siccome scrisse ilsig. Dott. Giovanni Gaye alla pag. 146 del suo primotomo del Carteggio inedito d'Artisti dei secoli XIV,XV e XVI, pubblicato in Firenze nel 1839 colle stampedel chiaro letterato e non meno illustre tipografosig. Giuseppe Molini. E qui l'occasione richiede, chesi dica eziandio come il d'altronde benemerito ederudito sig. Gaye pigliasse un abbaglio, quando apag. 345 del detto Carteggio e dello stesso volume,asseriva l'opera dell'Alberti, della quale si parla,essere tuttavia inedita, mentre ritrovasi essa gi

  • impressa fra gli Opuscoli morali di Leon Battista,fatti stampare da Cosimo Bartoli in Venezia nel 1568,in un con la Lettera con cui l'Alberti l'intitolavaal Marchese Meliaduse d'Este, la quale credeva ilGaye di avere egli, nel detto suo libro, per la primavolta resa di pubblica ragione. Per non solo ilBartoli l'aveva pubblicata, ma dal Pozzetti ezian-dio nel 1789, alla pag. 18 della seconda numerazionedel suo lodatissimo Elogio di Leon Battista, ma statapur riprodotta. Se non che hisogna saperne grado almoderno editore, per averla pi degli altri due datacorretta ed intera.

    Ma T operetta che ora ci si appresenta, cometutto manifesta il candore e la mitezza del gen-tilissimo animo di Leon Battista ! Stesa in dialo-go, interlocutori Togenio e Microtiro, subietto larepubblica, la vita civile e rusticana e la for-tuna, tu lo senti ragionare con s filosofica e lu-singhiera parola, da rimanerne preso e vinto: edi quanto diciam noi, sia questo un esempio. En-trato col suo discorso intorno alle ricchezze, Lericchezze tue, o Tichipedio, non niego, sono orna-mento alla patria e alla famiglia tua, non quanto tule possiedi e procuri, ma quanto tu bene le ado-peri. Non ascrivo a laude che a tua custodia stienocumoli d'oro e gemme: che se cos fosse, quegliche la notte sulle torri e specole hanno cura ecustodia della terra, pi arrebbono che tu da

    ALBERTI , T. l. d

  • XXVI

    gloriarci. Ma tanto ti loder, quanto in salvare ei

    onestare la patria tua e i tnoj, spenderai aon le ric-chezze sole, ma ancora il sudore, il sangue e lavita . E poco pi lontano : Per assegtrirericchezze, piene di mali, esposte a tutti i pericoli,per i quali tutti g'invidi, tutti gii avari, tutti gliambiziosi, cupidi, lascivi, voluttuosi e dati a gua-dagno, e nati alio spendere (numero infinito diomini pestileiiziosi ), ne assediano eoa anime mimi-cissimo, con opera infestissima, assidui, vigilan-tissimi per espilarci e satisfarsi de' nostri incomodi; enoi per asseguire tanta peste, sottomettiamo i nostripensieri, opere

  • X1VI1

    Scolta e le spine che in esse loro ritrovami, mo-strando eziandio quanto se ne vadano errati coloro chesperano da esse onori e dovizie (vero, che in oggi, eoasagace e libera ragione dice quel fior d* ingegno delpretodato Niccolini, parlando di questa operetta, nonavrebbe d'uopo di dimostrazione alcuna), e finalmentecome possano divenire profittevoli agli uomini e achi le coltiva, e quale esser debba il loro nobilescopo, sgomentando i profani del por piede nel torosantuario, ed infiammandovi chi invece vi si senteda segreto impulso prepotentemente chiamato : li-bretto veramente raro e magnanimo, da rendere pers solo e con tutta la sua esiguit, gloriosa persempre la memoria di uno scrittore ! Ma perch didescrivere le albertiane opere noi ci riserbiamo infine di questo Discorso, dove proponemmo di tuttenotarle con quell'ordine cronologico che meglio po-trassi; cosi ora solo a contenteremo di trattenerci sopradue altri suoi lavori filosofici, per quindi passare agliartistici. E il primo di questi la TranquillitdelrAnimo, dove l'Autore per via di dialogo distintoin tre libri, essendo interlocutori lo stesso Leon Bat-tista Alberti, con Niccola di messer Veri de' Medici eAgnolo di Filippo Pandolfini, prende a disputare inche modo il pi beatamente possa menarsi sua vita.Intorno al quale argomento tutto il primo libro siaggira ; mentre neir altro favella con quale salutaremedela guarir si possano le piaghe fatte nell'animotuo dagli altrui sdegni e dispetti : finalmente nell'ut-

  • XXVIII

    timo, come risanisi il cuore che trafitto dalle piacute spade del dolore, miseramente ti opprima equasi minacci di morte. E qui pure ad esempio delforte filosofare di Leon Battista si odano queste ve-ramente auree parole eh' egli stesso favella a messerAgnolo nel primo libro. Ragionando del poter vinceres stesso, e dicendo : Perch non potre' io quelloche poterono gli altri, quali furono in vita uominicome test sono io? E quanti furono che osserva-rono costanza e vera virilit d'animo nelle cosedure ed aspre? E a noi chi vieter che non ci sialecito nelle avversit e gravezze obsistere e deporreogni perturbazione con buona ragione e consiglio?Non dubito (l'odi tu seguitare) che se vorremo beneoffirmarci con virt, e bene offirmati opporci conmodo a chi ne offende, ci troveremo essere n men cheuomini, n men potere che possino gli uomini. N maisar sopra alle forze ascritteci dalla natura quello chec'imporranno i tempi, cio la successione e varietdelle cose rette dalla natura. Egli scrivono che So-crate fu dalla moglie contumacissima e importuna,continuo mal ricevuto, e fu dai figliuoli immodestis-*sirai in molti modi offeso in casa, e fuori di casaancora fu da molti insolenti bestialacci e da que' co-mici poeti assiduo infestato, e con varie ingiurieoffeso. E bench cos fosse da tante parti esagitato

    y

    pur visse a qualunque perturbazione della fortuna,e a qualunque ruina delle cose sue coir animo equa-bile e col volto mai mutato. Pot adunque Socrate

  • XXIX

    questo non da' deli, ma da s stesso; che volle, evolendo pot .

    E pi sotto: N si vuole giudicare quello che tupossa di te stesso prima che tu lo provi; e provando, seben non fussi, diventerai atto in vincere ogni insultoavverso vincendo te stesso. Ma noi, alcuni, troppone diffidiamo ; e come in milizia chi sia inesperto etimido, cos noi fuggiamo al primo strepito ed ombradegF inimici ; e prima soccombiamo coli' animo, chenoi conosciamo quanto possa chi ne urteggia. E comedicono che molti arrebbono acquistata sapienza, dovee' non avessono prima persuaso alla opinione suad'esser savi; cos, contro, non pochissimi rimangonsenza loro lode, dove non si fidarono potere quantovolendo gli era lecito potere. Cos mi pare qui tranoi resti assai esplicato, che noi uomini bene con-sigliati tanto potremo di noi stessi, di nostro animo,volont, pensieri ed affetti, quanto vorremo ed in-statuiremo .

    Ecco in qual modo si hanno a fare i libri, sesi voglia che non abbiano a diventar rancidi e vieti,e che si leggano con piacere e con frutto ancor neisecoli futuri. E . questo sia specchio a molti degliodierni scrittori, che invece di darci nelle loro operequel vero eterno, unico ammaestratore degli uomini,siccome fece l'Alberti, ci porgono invece un cumulodi sofismi, e di inconcepibili astrazioni: e Dio volesseche qui pur sostassero essi ! che non di rado ci ven-gono innanzi con manifeste stoltezze e spesso ancora

  • con patenti immoralit! Quanti libri dell'Alberti,di solo un uomo, di un uomo di qtiattrocenf annifa, di un tempo se non barbaro, secondo la illuminatasapienza de9 sedicenti progressisti del secolo, almenorozzo, e 4>er inopia di dottrina e per miseria dicivilt, quanti libri e quanta vera dottrina ! Quantilibri di una miriade di scrittori de' nostri tempi, deltempo dell'onniveggenza, e quanta nebbia e quantofumo, e quanta (vergognomi il dirlo

    r ma come ta-cerlo?) e spesso ancor quanta peste!

    E dell'altra assai pi grand'opera intitolata LaFamiglia o Delta Famiglia, che con tutti due i nomis'incontra, quale filosofo ancor de' nostri giorni nonvorrebbe esserne l'autore? ove colla soavit del pimansueto consiglio Leon Battista t'insinua nel cuorequella dolce e placida filosofia domestica da far beatele case degli uomini. Diviso in quattro libri, ecconel primo vi trovi qnale sia V uffizio de' vecchi versoi giovani, e il debito de'minori verso i maggiori, ecome si debba provvedere ali' educazione de' figli ;prima pietra con cui vuoi fondarsi il sociale edifizio :nel secondo, gli ammaestramenti matrimoniali; primopiano della gran fabbrica: nel terzo dell'economia;altro piano di essa ; e dell'amicizia nel quarto, che iltetto che lo ricopre e tutela dalla furia de' turbini edelle tempeste domestiche. Oh buon Plutarco ! questoveramente divino libro te ne ricorda, parendoci sentiredal labbro di Leone parlare quella bella ed utile sapien-za di che arricchivi le non mai abbastanza lodate tueOpere morali.

  • Ma fato delle migliori cose di questa terra, tantotesoro per quattro secoli quasi giaceva sconosciutofra la polvere delle bibliotechei E runico cui inquesto gran lasso di tempo capitasse alle mani e chepotesse farcelo conoscere, quell'unico, non so a qualestrano fine ne prendeva il solo terzo libro, a suo modolo raffazzonava, ai collocutori Alberti (che tutti dellafamiglia Alberti erano questi), tant' altri Pandolfinisostituiva, facendo di pi uno de'medesimi autoredell'estratto brano, un Pandolfini e quell'Agnolostesso che introdotto a ragionare nella Tranquillitdell'animo,di che gi si parl, diceva: E riferiscoviquel che io intesi spesso da lui (*), che due soli uominigli paiono ornamento della patria nostra, padri delsenato e veri moderatori della Repubblica. L'uno si Giannozzo degli Alberti suo, uomo tale per certoquale e' lo espresse in quel suo libro 111.0 de Fami-lia (**), buono uomo ed umanissimo vecchio . Ma chiquesta impostura tramasse ed eseguisse, e la manomis-sione del prezioso scritto facesse, quantunque a noiqualche sospetto ne tenzoni nella mente e forse nonsenza fondamento da poter d ancora dichiarare, noinon istaremo pi oltre a investigare, bastandoci l'esser-si fatta nota l'impostura, nella quale se poca o moltamalizia vi fosse, da ci die segue il lettore lo deduca.

    1 quattro libri della Famiglia dell'Alberti inco-minciano con una lunga introduzione, verso il fine

    (*) Da Leon Battista Alberti.(**) Appunto quel libro cbe fa volato dare al detto Agnolo.

  • XXXII

    della quale si legge: Perch non dubito che ilbuon governo, i solleciti e diligenti padri delle fami-glie , le buone osservanze, gli onestissimi costumi,l'umanit, la facilit, la civilt rendono le famiglieamplissime e felicissime.... .

    E nel prologo PandoIGni 1 lodati studi la sol-lecitudine e la diligenza, il buon governo e le buoneassuetudini, e l'osservanzie, gli onesti costumi, l'uma-nit , la facilit e la civilt, rendono le famigliedegne.... .

    E pi sotto Leon Battista nella sua introduzionesuddetta: Voi vedrete da loro (*) in che modo simolti plichi la famiglia, con che arti divenga fortunatae beata, con che ragioni si acquisti grazia e bene-volenza ed amist, con che discipline alla famigliasi accresca e diffonda onore, fama e gloria, e inche modo si commendi il nome delle famiglie asempiterna laude e immortalit .

    E il Pandolfini : Debbono adunque studiare ipadri come molti plichi la famiglia, con che mestieroed uso si aumenti e divenga fortunata e comes'acquisti grazia, benevolenza e amicizia, e con qualedisciplina s'accresca a onore, fama e gloria .

    1 quali brani confrontati, chiaramente apparisceche quegli che donar voleva al nome di AgnoloPandolfini il terzo libro del Trattato della Famigliadi L, B. Alberti, conosceva egregiamente l'opera

    () Cio dai passati Alberti.

  • XXXIII

    dell'ultimo, mentre lo vedi andare a pescare nel prin-cipio della medesima e parole e pensieri, per com-porre la piccola Introduzione al libro che egli rapiva;il quale incominciando : Aveva gi dato a pi coserisposta Lionardo, della quale, Carlo ed io, circa ildisopra ragionamento, o dubitavamo, o non benericordavamo.... , faceva pur chiaramente palesecome il discorso HI.0, libro con parziale epigrafe in-titolato V Economico, o il Padre di Famiglia, coir an-tecedente di cui necessario seguito, dovesse andar-sene collegato e congiunto. Dopo di che apertosinuovamente il dialogo fra i soliti interlocutori di casaAlberti, ed entrato finalmente Giannozzo in materia,eccolo dire: sono io prudente, e conosco chigitta via il suo, essere pazzo. Chi non ha provatoquanto sia duolo e fallace a' bisogni andare pellemerc altrui, non sa quanto sia utile il danaio. E chinon prova con quanta fatica s'acquisti, facilmentespende: e chi non serva misura allo spendere, suolebene presto impoverire: e chi vive povero, figliuolimiei, in questo mondo soffera molte necessit e moltistenti; e meglio forse sar morire, che stentandovivere in miseria. Sicch Leonardo mio, quel pro-verbio dei nostri contadini credi a me, come a chiin questo possa per prova e conoscimento non piesserne certo, cos comprendo ch'egli verissimo:chi non trova il danaro nella sua scarsella, moltomanco il trover in quella d'altrui. Figliuoli miei... !

    ALBERTI, T. I. e

  • 1XXIV

    e'si vuole esser massaio, e, quanto da uno mortaleinimico, guardarsi d^lle cattive spese .

    E Agnolo Pandolfini, subito dopo il suo breve*

    Prologo: Conosco prima, figliuoli miei, in questamia maggiore et fatto pi prudente, la masseriziaesser cosa utilissima, e chi gitta via il suo essermatto. Egli non ha provato quanto il duolo, efallace a'bisogni, andare per la merc altrui, e nonsa quanto utile il danaio risparmiato, n sa conquanta industria e fatica s'acquista; e per facilmentespende. Chi non serva misura nello spendere, suolepresto impoverire. E chi vive povero in questo mondo,patisce molte necessit e soffera molti stremi bisogni,e meglio gli sarebbe morire che stentando vivere inmiseria. Quello proverbio verissimo : chi non trovail danaro nella sua scarsella, molto meno lo troverin quella d'altrui. Per tanto, figliuoli miei, siatemassai, e , quanto da un vostro mortale nimico, viguardate dalle superchie spese .

    E fin da questo momento accompagnandosi col-l'Alberti , puntualmente Io seguita insino alla fine ; senon che, in moltissimi luoghi, per accomodare il ra-gionamento alle persone de'Pandolfini, tutte quellecose (e non son poche n di piccol momento), lequali alla famiglia Alberti avessero potuto referirsi, egliinesorabilmente vi recide : s che Dio vi dica per noiquale servizio debba essere stato fatto all'opera delpovero Leon Battista, alterandola e guastandola in ai

  • XXXV*

    fatta maniera ! Il quale patentissimo furto e manomis-sione , quantunque pur sempre si fossero riconosciuti iquattro libri della Famiglia per cosa dell'Alberti, eper conseguenza quello ancora gratuitamente attri-buito al Pandolfini, pure non fu, eh' io sappia,da altri avvertito, se non in questi ultimi tempi,dal signor Antonino Corsi commesso dell'Accademiadella Crusca e , da qualche anno, defunto. E qui noiavremmo potuto facilmente produrre anche un pilungo confronto de' due testi, onde ancora pi trion-falmente comprovare, come del libro di che si parla,vero autore sia l'Alberti ; ma riflettuto che molto alungo ci ne avrebbe condotti, e che tra brevetutta intera l'opera della Famiglia, fra la qualenecessariamente ancor l'Economico, cosi come origi-nalmente lo dettava Leon Battista, sar da noi stam-pato , che ciascuno potrebbe ci fare di per s a tuttosuo grand' agio e forse con pi intera compiacenza esoddisfazione (e che d'altronde il da noi riferito piche bastevole si a rendere compiuta quella provache ci correva obbligo di dare al Pubblico), non altrodiremo, se non che un nemico fato letterario paredavvero perseguitasse l'Alberti; mentre nel 1668 Co-simo Bartoli, facendo stampare in Venezia vari Opu-scoli del nostro Autore, alcuni de'quali trovansi di-stesi ancora in latino da lui stesso, e dicendosi neltitolo del libro: Tradotti e parte cwretti da M. CosimoBartoli, lungamente e indistintamente tutti per voi-

  • XXXVI

    garizzamento del detto letterato editore passavano.E prova ne sieno le parole di uno de' pi dotti filo-logi bibliografi del decorso secolo, vogliam dire diApostolo Zeno, il quale a pag. 409 del secondo tomodel Montanini da lui s eruditamente annotato ( Vene-zia 1753, in 4to), parlando del Trattato della pit-tura del nostro Autorete dicendo: // Bartoli....ne fece un volgarizzamento, e lo inser tra gli Opu-scoli morali del medesimo Alberti DA LUI raccolti etradotti ; viene chiaramente a mostrare, comeegli credesse tutte le opere rinchiuse nel detto vo-lume fossero traduzione del pubblica tore, senza me-nomamente pensare, che alcune pur ve ne potesseroessere fra quelle, originalmente scritte dallo stessoAlberti nell'idioma materno. Ma d'altronde, chi dopoaver letto nel frontispizio d'un libro, tradotto daltale , e dopo essere stato da una s solenne e francafede assicurato che il volgarizzamento era di lui, chi,diciam noi, sarebbe potuto andare a sospettare chetutta la traduzione non fosse stata di quello che innanzialla faccia del pubblico, col quale n anche i pi sver-gognati osano mentire, bandiva che suo era il tra-slatamento? Per con tutto questo beli'affermarsi,essere egli il traduttore di tutte le cose dell'Alberti cheda lui si pubblicavano, pure non pu negarsi, comesi disse, che nel suo libro non vi sieno pi cose vol-gari dello stesso Alberti, siccome il Teogenio, ossia ildialogo Della Repubblica, della Vita Civile, e Rusticana,

  • rami

    e di Fortuna (*), e VEcatom/ila e la Dei/Ira, due operetteamatorie (**), e te Piacevolezze Matematiche, i qualitre primi libretti, si hanno tutti stampati fin dal se-colo XV, e quando il Bartoli non era n anche venutoalla luce del mondo! Tal che, questo confondere inletteratura le proprie con l'altrui cose, senza in chiaromodo distinguerle, e quasi diremmo a bello studio sicercasse di far passare per sue le non sue fatiche,non essendo da ingenuo e leale animo, non possiamonascondere, non solo averci maravigliato, ma forte-mente sorpreso, facendo di pi in noi insorgere taleun sospetto, da dover riprendere a scrupoloso esame,e l'edizione del Bartoli e le singole Operette dal suofrontispizio annunziate per tradotte da Ini, onde ve-dere se anche qualcosaltro avessimo potuto scoprireche dell'Alberti interamente fosse stato, Ma le con-seguenze che ne parve potessero emergere da questenostre indagini, altrove saranno da raccontare.

    (*) Opera di Messer Battuta Alberti de Republica de Vita civile erusticana e de Fortuna, in ne\ finita V opera di Messer Battista Albertiin 4. Edizione in caratteri romani esegoita in Firenze per cara del Mas-saini. Esiste nella Magliabechiana. V. Catal. Fossi.

    (**) Baptistae de Alberti* poetae laureati de Amore, liber oplimusfeUciter incipit: in fine: MCCCCLXXI In 4. Esite presso II chiarissimosignor Avv. Gaetano De Minicis di Fermo nostro singolare amico, pos-sessore di una molto notabile biblioteca di preziose edizioni, ed erodilo ecolto scrittore nella patria favella. Baptistae de Albertis Poetae laureatiopus preclarum in Amoris remedio feUciter incipit: dell'anno stesso, nellostesso sesto e caratteri dei libro de Amore, ed esistente anch'esso pressoil annodato sfg. Avvocato. il primo dei due infatti 'EcatomfUa, l'altrola Dei/ira.

  • XXXVIII

    Intanto facendo ritorno alla Famiglia di LeonBattista, i cui tre primi libri stendeva tutto d'un filoin Roma nel breve spazio di 90 giorni (*), bisognadire che quantunque da lui si scrivessero per acqui-starsi grazia tra i suoi, pure non vi fu di essi chili degnasse nemmeno di un guardo; per forma chemolto l'Alberti se ne rammaricava, da risolversi pelconcetto sdegno, di darli persi no alle fiamme. Se nonche da questa giusta ira sua, volle la fortuna dell'ita-liane lettere ed il bene dell' umana famiglia si conte-nesse; si che tre anni dopo aggiuntovi il IV.0 libro,tornava ad offerirli ai medesimi, loro dicendo: Diquindi se siete saggi, mi amerete; se no, la vostra tri-stizia torner ad onta vostra (**) . E dalle seguentiparole di Leonardo Dati, che scriveva a nome ancoradi Tommaso Ceffi (***), pu anche riconoscersi comel'Alberti forse pensasse di mandare questo suo libro aqualche illustre Siciliano (****); mentre dicono esse:Etpolitati sumus, et dbemus etiam non polliciti id ipsumin recognoscendo libro tuo exequi, quod nuper lilterisa nobis petis. Librum ipsum in manibus habemus at-

    (*) Vedi Appendice N. IH.(**) Vedi Appendice N. saddetto.

    (**) LEONARDO DATI, Epistolae Florentiae, 1133 io 8vo. Episto-la XIII. pag. 18.

    (*+'*) II POZZETTI, inclinerebbe a credere che fosse Alfonso d'Ara-gona re di Napoli e di Sicilia dicendo: Probabilmente egli destinava didedicarli ad Alfonso d'Aragona re di Napoli e di Sicilia, col mezzo dell'in-signe amico suo Antonio BeccadellL, detto II Panormita, che risedeva allacorte di quel sovrano . Vedi pag. 24 della seconda numerazione del suoElogio dell'Alberti.

  • mix

    que expendimus omni studio et diligentia, ita demumut Familia tua, quantum in nobis fuerit, nomisi etrecognita et eulta, Siciliani evolatura sit .

    Intorno poi alla preziosit della lingua in che fu dessadettata, e che potremmo noi dire di pi, dopo che ilsuo I1L libro ( sebbene tutto mutilo e guasto ) cono-sciuto e pubblicato sotto il nome di Agnolo Pandol-flni, fu concordemente dai pi eletti giudici dellebellezze di nostra lingua tenuto per una delle suepi fulgide gemme, e dopo che dai primi editori fio-rentini nella Prefazione mandata innanzi all'edizioneprincipe fatta in Firenze nel 1734, Colle stampe diTartini e Franchi nella forma d> in-4to, citata dagliAccademici della Crusca, si dice che: Quanto alladicitura ella tale appunto, quale da tutti i maestridi ben favellare ne'dialoghi prescritta, cio sem-plice , e naturale, ed ai ragionamenti improvvisi efamigliari somigliantissima, ma altres graziosa oltremodo, e leggiadra, e adorna di quella purit e va-ghezza , che maravigliosamente fior in quel secoloavventuroso. E perch non si creda, che il desideriodi accreditare quest'opera sia unicamente quello chee' induce ad affermare ci che in commendazione diessa per noi si dice, ce ne staremo al giudizio pur-gatissimo de' primi compilatori del celebre Vocabo-lario dell'Accademia della Crusca, i quali alle molteeleganti scritture, sulle quali il fondamento di quelvasto nobilissimo edificio gettarono, questo Dialogoparimente aggiunsero, dal quale in non piccola quan-

  • IL

    tit trassero gli esempj in confermazione delle loroutilissime osservazioni . 1 quali encomi, giustissimial certo per la lodata scrittura, veggasi come, do-vendosi per legittima conseguenza estendere a tuttele altre volgari opere albertiane, queste debbano es-sere di singolarissimo pregio, per la pi forbita ita-liana favella. Ma della Famiglia qui basti (*).

    Ora, siccome ci proponemmo, noi dovremmofarci col nostro discorso nelle cose artistiche diLeon Battista ; ma come entrare nel novello camposenza aver prima esposto anche un altro nostro pen-siero (che ci riserbavamo d'altronde di dichiararein altro luogo), mediante il quale non pochi compo-nimenti pur volgari, che vanno errando senza nomedi autore potrebbero restituirsi all'Alberti, cui inquanto a noi senza dubbio appartengono? Narral'Anonimo del secolo XV (**) nella precitata Vita di LeonBattista, eh' egli fra gli altri componimenti scrivesseancora delle concioni ; il quale indizio avendoci messoin traccia delle medesime, mentre i suoi MSS. an-davamo rivlgendo, ecco in alcuno di essi, apparircivarie composizioni di tal fatta, ma senza dirsi l'autore,e messe in bocca di Stefano Porcari, il qual nome (sa-

    (*) Avremmo noi dovuto dir qui qualche cosa di un' edizione (fattasior ora in Napoli pel Trani), del III.0 libro Della Famiglia, restituito all'Al-berti ; ma, e per non essere che un solo brano dell'Intera opera, e piper essere la detta stampa affatto lontana dalla genuina lezione, raancan-dovene fino un lungo squarcio che pur In tatti I testi che l'editore dice averconsultati si trova, non credemmo mal fatto il tacerne. 10 Giugno 1843.

    () Vedi Appendice N. III.

  • ni

    pendo noi d'altronde che l'Alberti pur descrisse in la-tino la Congiura, che questo animoso ed eloquentecavaliere romano tramava contro Niccolo V ), aven-doci immantinente commosso, ci pose ad attenta*mente considerare lo stile in che furono distese ; ilquale visibilmente apparendo a noi simile in tuttoa quello dell'Alberti, tra per l'Avvertimento predettoche l'Anonimo ci dava, tra per trovarsi di questeorazioni sovente mescolate con iscritture dell'Alberti,e tra per la per noi inimpugnabile uguaglianza distile, credemmo non da essere ripresi, se riponessimoin fronte alle medesime il nome dell'Alberti, forseda lui non appostovi, per non parere innanzi alsuddetto pontefice, di cui era familiare ed amico,che lodando egli in quelle retoriche esercitazioni incerto modo l'ingegno del congiuratore, potesse inter-namente applaudire anche al suo sacrilego attentato.Il perch, avvisando noi, dopo le sovraesposte ragioni,di far cosa gradita a quelli che ci leggeranno, tostouna delle pi brevi vogliam riferirne, affinch anchesubito, nel vedere parole e frasi familiarissime aLeon Battista, possa giudicarsi da ognuno del fonda-mento della nostra opinione. Ecco adunque il di-scorso saggio, ove le parole e le frasi scritte io diversocarattere faranno conoscere le ragioni che vieppic'indussero a ritenere anche questi componimentiper usciti dalla penna dell'Alberti; ne' quali inoltreda osservarsi che pur vi s'incontrano quegli stessispazi lasciati in bianco, i quali si rinvengono nei

    ALBERTI , T. I. f

  • XL1I

    manoscritti di*lui; spazi, pe' quali. Leonardo Dati (*)gli diceva, parlandogli di quelli da lui lasciati nellaFamiglia : erratum, et id quidem non mediocreesse videtur, quum sententias atque exempla quorun-dam adduci*, nec eos nominas, sed omittis intervallo,oc si vel ignores, vel aliquid ipsemet con/ingas (**): loche ci parve costituire un altro non piccol segno daconvalidare il nostro divisamente). Ma veniamo alsaggio.

    Risposta fatta per detto messere STEFANO agli Eleziona-ri, quando gli dierono l'elezione del Capitanatodi Firenze.

    lo conosco, magnifici Elezionari dell'inclita e fa-mosa citt di Firenze, essere gravissimo peso agliomeri miei, per pi e varie ragioni, quello che perbenignit d'essa e vostra vi degnate, non per mieimeriti, assumermi al magistrato e dignit del vostrocapitanato, grado in verit supremo di qualunquegravissimo e probatissimo uomo. E quanto pi consi-dero, e nella mia mente rivolgo la umanit di quellaSignoria e vostra, la spettata virt de9 famosissimicavalieri e gentili uomini che per li tempi passatiin tale ufficio si sono esercitati, tanto maggiore essere

    (*) Lettera XIII, pag. 18 dell'edizione fiorentina delle Lettere del Dati,che fa Catta nel 1743 In 8vo.

    (**) Ma I'ANONIMO parrebbe dare spiegazione di queste omissioni,mentre dicendo che l'Alberti da giovanotto*cadato in memorabile malattia,soggiunge che per essa nomina (nterdum familiarissimorum, cumex usu id forel futurum, NON OCCUBRBBANT.

  • 1LIII

    Fobbigazione mia, veggo, verso quella vostra famosapatria. Alla quale per satisfare interamente, comedebito sarebbe e sommamente desidero, vorrei chela grazia del nostro Creatore, e la natura m'avessi nodotato di tanta virt e dottrina, che l'amministrazionedi questo magistrato, al concetto per voi di me fatto,al peso a me imposto ed alla volont mia satisfacesse.E prima quelle degne e debite grazie che possibilesono in me, a voi in nome della vostra eccelsa Co-munit, ed alla vostra nobilt e circumspezione umil-mente rendo, che di me inesperto ed indotto uomotanta fede avete presunta di sublimarmi a tanto onoree dignit, la quale con allegro volto e giocondo animoaccetto, sperando nella benignit dello onnipotente Id-dio, nella somma prudenzia e sapienzia della gloriosaSignoria e reggimento della vostra citt, e nella purite sincerit mia, che mi conceder fare quello f ) siasua laude e gloria, a trionfo ed esaltazione della vostrachiarissima e potentissima citt, consolazione e pacedel vostro gratissimo popolose perfetta dimostrazionedella mia fede, volont e disposizione. Ed intese lequalit e condizioni con le quali la mia elezionecelebrate, e che per lo. vostro dottissimo cancellierecon grande ordine sono state recitate,

    Invocato divotissimamente il sussidio superno, Accetto, approvo e prometto pienamente adem-

    piere ed osservare (**) .(*) Air Alberti pure familiare in casi simili sottintendere il che.() Preso dal Cod. Magllab. ci. VII, Var. N. 45.

  • XLIV

    Ora al secondo esempio.

    Wwria fatta \ier messere STEFANO PORCARI da Roma,Capitano di Firenze, quando fu nuovamenterifermo nel detto ufficio.

    Quando io considero, magnifici e prestantissimiSignori miei, la grandezza di tanti vostri in versome cumulatissimi benefici! ; quando io ripenso ne\Yam-plitudine di tanti vostri meriti singolari, mi par piut-tosto al presente convenirsi alle magnificentissimevostre Signorie, rendere al poter mio condegnegrazie e riferire merite venerazioni, che secondo l'usateonoranzie tradurre il parlar mio in trattare disci-pline politiche, o quale debba essere la vita e co-stumi di quelli che a conservare, a temperare e areggere le costanti Repubbliche sono deputati; perche all'una cosa mi stringe necessit, l'altra conve-niente e solita consuetudine mi persuade; la qualeconciossiacosach in tempo pi comodo possa riser-vare , quella al presente seguiter che sotto neces-sario vincolo debitamente mi lega a dover dire .

    Crescendo negli anni della mia giovinezza, ma-gnifici Signori miei, e pensando di giorno in giornopi cautamente gli antichi fatti de' nostri valorosiRomani, spesso nella memoria mi veniva, fra glialtri, il glorioso nome di P. Cornelio Scipione ; econtemplando pi volte le sue meravigliose virt,considerava in me medesimo quante opere prestan-

  • XLV

    tissime, quanti fatti singularittiaii, quante pubblichedignit aveva esercitate,. ec. *

    Ma possono eglino mai essere pi patenti lealbergane maniere, le albergane frasi, le albertianeparole? Chi per poco sia pratico delle scritture delnostro Autore potrebbe mai dire che ci non sia?E se dal metodo di disegnare e di colorire partico-lare a un pittore, si pu riconoscere e stabilire ilnome dell'ignoto autore di una tela, perch nondovr essere lo stesso nelle letterarie lucubraaoni,quando si prendano a indizio lo stile, le Crasi e i voca-boli ; e tanto pi quando a questo corredo di potentiintrinseche ragioni, possono anche altre concomitar-sene estrinseche, ed esse pure di bastevole peso:come sono: e il dirsi nella vita dell'Anonimo chel'Alberti scrisse concioni (*); che ai suoi Opuscolisoleva sovente apporre altrui titoli non solo ma chealla fama degli amici intere opere donava (**) ; e final-mente che i suoi cittadini, che ne'pubblici consigliamavano di comparire eloquenti, non poco prende-vano dalle albertiane scritture.

    E che le concioni di che si parla, fossero inoltreun popolare esempio di civile eloquenza, abbastanza

    (*) Scripsit elegias, atque CONCIONES. Vedi Appendice N. I l i .(**) Tum et suis in Opuscoli* ALIORUM TITULOS APPOSDIT ET INTEGRA

    OPERA AMICORUM FAMA ELARGITC8 EITITIT. Vedi Appendice N. sndd.(***) Brevi tempere multo suo studio, multa industria id asseculus

    eXtUH, T OTI CIVBft QUI IN SENATI) SE BICI BLOQUENTES CUMUlEtiT, NON PAU-CI80WA8 EX ILL10S SCRJPTIS, AD EX01NANDAM ORATIONEM SCAM, Ornamenta m -dies sxucepi8$e faterentur. VejJI la stessa Appendice.

  • XLVI

    ne lo dimostra la sorprendente ripetizione de' MSS.che di esse vedesi fatta, non essendovi in Firenzepubblica biblioteca, che non ne abbia raccolto econservi, si pu dire, una congerie; senza parlaredi quelle che pur si custodiscono in quelle private,che sono anch'esse moltissime: lo che fa chiara*mente ancor palese, come dopo la loro pubblica-zione fossero desse dai repubblicani fiorentini stu-diate, siccome dice l'Anonimo che furono pur quelledell'Alberti.

    Ma non si finisca, intorno alle concioni di che par-liamo , senza sentire innanzi questo sublime squrcioche nella X.a f) si legge, ove favellando l'oratoredel civile amore in verso la propria Repubblica, dice :

    Quando rivolgo nella mente e nello intel-letto contemplo lo stato e l'essere di tutta l'umanacondizione, mi pare comprendere per certo quelloessere verissimo che dagli antichi filosofi statoscritto, cio che il principio, l'origine e i nascimentinostri, parte alla patria, parte a' parenti e parte agHamici debbe essere convenientemente deputato. Peroc-ch come piacque agli stoici, referente Cicerone,quello che nella liberale e feconda terra ovvero perarte, ovvero per natura generato, tutto a uso eutilit degli uomini nasce e fruttifica .

    (*) 11 Manzi nel 1816 stamp a Roma IX di queste concioni, sottoil titolo di Orazioni di Stefano Porcari cavaliere romano, e IV ne taranoda Giuseppe Mannl stampale nel 1718 in Firenze, ma attribuendole a Buo-naecorto da Montemagno.

  • XLVII

    a Ma solamente la generazione umana, a rispettodi niuna altra cosa creata se non di s stessa;solamente 1' uno uomo nasce per l'altro, presidio ,fermezza e consiglio, l'uno per aiuto dell'altro ge-nerato. E pertanto dobbiamo seguitare questa naturacome duce e guida dell' umanit nostra, e porre inmezzo tutte le forze nostre, tutto il nostro sapere ele comuni utilit, dando insieme e ricevendo alter-nativi benefici! ; con opera, con istudio e con indu-stria con giungere, mantenere e crescere questo santolegame, questo debito naturate ali9 umana conve-nienza (*); alla quale obbligazione tutte le leggi dellanatura, tutte le leggi divine ed umane (**) conveniente-mente ci costringono. Se adunque ar privati comodil'uno dell'altro tanto indissolubilmente e per tantaforza di natura siamo legati, quanto maggiormentedobbiamo costretti essere ai pubblici ! Se tantaretribuzione, merito e beneficio dobbiamo prestarealle membra particulari, quanto maggiormente dob-biamo sporre all'universale corpo della patria no-stra comune t Onde sono i nostri primi naturalinascimenti ? dalla patria ; onde sono le dolci pro-creazioni de9 figliuoli? dalla patria; onde sono leamantissime benevolenzie e sua vita degli amici? dallapatria. Non ci da la patria i magnificentissimi onori?non ci conserva la patria tutte le nostre umane fe-licit? Dove viviamo noi e conversiamo se non nella

    (*) Umana societ, ti 33 Magliab. ci. VII, Var.(*) Tulli gli ordini divini ed umani, II 33 suddetto.

  • patria? Dove possediamo noi le nostre domenichericctiezze se non neUa patria ? Dor sono tutti i no*stri diletti e sollazzi, latte le nostre giocondit, e fui*mente tutti i nostri beni e le nostre fortune pubblichee private, se non nella patria ? chi ci difende, ohici aiuta, chi ci consiglia, chi ci sovviene in tattii nostri bisogni, in tutte le nostre opportunit, mnon la patria? Se adunque i singular affetti, consomma fede, amore e benevolenzia dobbiamo Ila no*stra patria portare, alla quale per tanti supremi benefieri, per tanti liberalissimi meriti per certo degna*mente siamo obbligati e sottoposti, sempre debb' es*sere nell' animo nostro impresso il dolce e venerandosuo nome; sempre dobbiamo nella salute o nella h*columit pubblica fissi tenere i pensieri nostri ; sempredel comun bene tranquillit, pace e pubblico ri+poso pensare e cos va continuando eto*quentissimamente tutta la conciono insino alla fino.

    Vedutosi fin qui Leon Battista qual letterato efilosofo, e passando ora a considerarlo siccome arte*fice, giustizia vuole, come gi da principio accen-navamo, che principalmente al suo straordinario genioabbiasi a retribuire la propagazione delle risorte arti;avvegnach primo egli con saldi precetti, dedotti dalpi serio ed accurato studio sulla natura, ne insegnava;il loro culto. Statuaria, pittura e architettura in quel*lor primo risorgere, tanta illustrazione ricevevano da:Leon Battista solo, quanto moltissimi anni d'espe-rienza e T ingegno di pi dotti operatori avessero

  • XLIX

    lor potuto conferire. Piccola, se si voglia, la moledi quel suo libro del comporre la statua, ma grandeper gli ammaestramenti con cui questo gran padredelle restaurate arti l'arricchiva. Dopo aver breve-mente, e da quel gran maestro che egli era, discorsocome avesse origine, e primieramente procedesse lastatuaria; dopo aver toccato i modi con cui que-st'arte divina si stendesse fra gli uomini, eccolodiscendere a quegl'insegnamenti che conducono alfatto di una buona composizione di simulacro, senzatema d'inciampar nell'errore e venendo di pi al tuosoccorso con un suo nuovo istrumento composta ditre parti, di un orizzonte, cio, d'una linda ed'un piombo, il tutto chiamato da lui Definitore,insegnandoti inoltre il modo di usarlo per meglioaggiungere al fine bramato. Artisti dell'et no-stra, questo studio e quest'amore di Leon BattistaAlberti per l'arte vi sia ognor stampato nella mente ;ed alcuno di voi bandisca dal suo operare quellanebbia di mistero, di che si circonda allorch visi accinge; mentre solo al modo dell'Alberti pos-sono le arti procedere e trionfare, in ogni altro vil-mente egoistico ritardare e ancor morire !

    E come della Statuaria, cos dicasi nell'Albertidella Pittura, per che ancora in questa con utilis-simi e squisiti precetti egli pur primo, dopo la sua re-denzione, si rendeva solennemente benemerito; performa, che egli stesso di questo pregio, nel secondolibro del Trattato di essa da lui scritto, ne godeva, di*

    ALBJERTI , T . I. g

  • cendo: Noi certo, i quali, se mai da altri fu scritto,abbiamo cavata quest'arte di sotterra, e-se non.maifu scritto, l'abbiamo tratta di eielo, seguiamo quartofinora qui facemmo con nostro ingegno, ec. . E nelterzo della medesima. Noi per ci reputeremo avolutt primi aver presa questa palma, d'aver arditocommendare alle lettere quest' arte settilis&ima nobilissima (*) .

    Ma due furono le opere sulla pittura che LeoniBattista compose, l'una pi breve detta Ruimmti\V altra Elementi, molto pi prolissa ed in tre Kferidistesa, scritta originalmente in italiano e poi dalui stesso voltata in latino, nella cui lingua Ai soll'ultima dapprima pubblicata e poi anche in ita*liano; ma nella traduzione che ne fece Coeimo Bara-toli , il quale, non sapremmo asserire se il volgarizza*mento albergano non conoscesse, n se egli se utgiovasse neir eseguire il suo, mentre le stesse frasiusate dall'Alberti nell'altro troppo spesso incontran-dosi , ne darebbero forse autorit di sospettare il cotrario e che se ne profittasse pi ancor del dover*.Dell' altra poi, l'unico esemplare che si conosca jquello sarebbe che gi possedeva, in un codice cai**taceo nella forma d'in-4to, il celebre Scipione Maf-fei, intitolata questa ad un Teodoro (**), come l'altra

    (*) Queste parole son dello stesso Alberti, avendole noi tratte daiTrattato detta Pittura da lai stesso tradotto, inedito, e che noi ora tn QdMUnostra edizione per la prima volta offriremo al pubblico.

    (**) Dalla lettera latina che l'Alberti scrive a Teodoro, appare chein questa seconda operetta sulla pittare, egli compilasse brevissimamentequanto di pi interessante gi aveva scritto nell'altra pHk grande in tre

  • LI

    ali' immortale Brunellesco, la quale ottenneva di pila gloria di una traduzione in greco, fatta da un Pa-oagioto Doxara del Peloponneso, il cui originale altempo del Pozzetti, che primo ci dava queste notizie,8i conservar* nella Naniana di Venezia.

    Per il campo dote pi stese le sue grand'aliil genio albertiano, fu r architettura ; queir arte su-blime che fa vivi i popoli ne' secoli, ed in cai laveneranda maest della religione cotanto ingigantisce.Decaduta essa ancora come le altre arti dopo labarbarica irruzione, e riavutasi principalmente perl'ingegno dell'Orgagna, di Arntfo, del Brunellesco,di Filippo Calendario, di Buono e di altri, chi primodopo Vitruvio raccoglieva in regole piene di filosoficaragione le sue maraviglie? Leon Battista. Il suo vo-lume dell'Architettura, compreso in X libri, e

  • Ili

    poneva, ometteva quanto di meno importante pa-ressegli, lo estendeva colla coltura e colla profondaintelligenza del perito, offerendo il tutto nel pi se-ducente e dilettevole aspetto, e con un mirabile or-dine, e una pi mirabile esattezza, all'ultimo segnodella chiarezza lo portava. Chi sa (seguita lo stessodottissimo biografo critico) chi sa i rapporti dellaarchitettura con tutte le altre scienze ed arti, com-prender quale apparato di dottrina, qual penetra-zione e criterio, richiedevasi nell'Alberti per venirnea capo con tanto successo . Ma ancor da noi siaviaccennato il metodo tenuto dal fiorentino Yitruvionella trattazione del libro di che si ragiona.

    Assomigliando egli le fabbriche a tutti gli altricorpi, prima avverte constare esse di materia e diforma, figlia questa dell'ingegno, opera Tal tra dellanatura; alla prima delle quali cose dovr l'architettoprovvedere con una buona elezione ed opportuno ap-prestamento, mentre avr a dedurre l'altra dalla po-tenza del suo consiglio; notando inoltre che ove lamano dell' artefice non venisse a dar forma all'appa-recchiata materia, n l'uno n l'altra delle predettecose potrebbero quasi a nulla giovare. Quindi nar-rato come s'abbia a mandare ad effetto la fabbrica,e tutta percorsa la ragione dello edificare, dopo avereancora discorso delle abitazioni richieste ad ognistato d'uomini, passa agli ornamenti, fermandosiprima intorno a quelli che ai sacri luoghi apparten-gono; poscia a quelli de' luoghi pubblici e profani ;

  • LUI

    appresso, agli altri che alle fabbriche de' privati siriferiamo ; e finalmente, esposti gli errori in cuipu cadere l'architetto, e il modo di poterli, se possibile, emendare, come in bella appendice chiudeil suo libro con molte notabili ed utili teoriche sulleacque: e onde si generino o sorgano, ed ove cor-rano , e come le nascoste si trovino , e quali sienosane e quali no ali' uso dell' uomo, e come si con-ducano, e come si fermi il lido del mare, in sommatutto che possa appartenere al fatto delle acque abeneficio dell' umana famiglia.

    Qualche critico, e chi non ne ha? volle trovare diche ridire in alcuna cosa dell'albertiana architettura,come per esempio, eh' ella spesso e ancora troppooziosamente fiorita di erudizione (*); che non deltutto esatta la dottrina del V. ordine (**); chel'Alberti non conosceva la pozzolana (***), e che sl-milmente non del tutto sodisf nella figura e formadelle colonne. Ma la prima di queste taccie vuoisiaver piuttosto a elogio dell'Alberti, anzi che a bia-simo ; l'altra non fu provata ; la terza insussistente ,perch l'Alberti, come lo prova il Fea nel!' annotareil Vinkelman, conosceva bellissimo quel cemento; efinalmente neanche l'ultima regge, perch accusatodi far le colonne rigonfie nel mezzo, a detrimento

    () Vita de*pi celebri Architetti, Roma 1768, In 4to.(**) STOLUO , Introduci, ad Hisl. Hit., Cap. VII ; e BLONDEL, Diction-

    mire enciclop., ari. Architecture.(***) VINKELMAN, Osservazioni suW Architettura degli amichi.

  • uv

    del bello, esempi eguali ne porge la romana archi-tettura: oltre di che, chi la vide (*)> dice esaere purcosi fatta la celebre colonna di Pompeo, che sorgepresso ad Alessandri^

    Ma lasciando* queste irragionevoli riprensioni ,dicasi piuttosto a gloria deli-Alberti, che Francia, *)parca lodatrice delle cose straniere, ammirando ilpregio della grand'opera di Leone, volle averla tra-

    che tuoi direche In quell'anno le sue traversie non erano cessate.

    (**) Vedasi se veramente In Gelsto l'Alberti; mentre tattoveramente di quanto dice codesto avvenuto a Leon Battista. 11 riferitobrano e I seguenti sono tolti dal volgarfizamento pubblicato dai Bartollil 1568.

  • sciolta e libero alla cognizione ed agli studi delleose difficiiissime e rarissime (*) . AU'ultitto^ domftUrdandogli:' ironicamente Caronte in che tosa consi-stesse la saviezza de' filosofi, mentre non sapevanoche nuocere a s stessi; Gelaste quasi montatoi inin*** Noi stam quelli che abbiamo saputo ogni cosa,risponde vag iy noi siamo quegli che abbiamo saputo lecagioni & i moti delle stelle O , delle pioggie e dellasaette. Sappiamo che cosa sia la terra, il eieloedilmare (***). Noi siamo stati g'inventori delle ottimearti f ***). Noi quegli che con i nostri scritti abbiamoquasi che data la legge agli uomini, mediante la qualeessi diventino pii (*****) , ed abbiamo insegnate lecomodit della vita e le altre cose atte ad acquistarsifai grazia degli uomini (******) .

    E qui sia posto termine a questo nostro Discorso,il quale, se non avr in qualche modo giovato a farooooscere tutta la grandezza dell'immenso ingegno

    (*) Anehe questo rilevasi In.moltissimi luoghi delle opere di Leoneda potersi dire di lui.

    (**) Apparisce nelle Piacevolezze Matematiche infatti cbe l'Alberti sa-pesse astronomia e conoscesse la fisica; e cosi nel intono.

    (***} Scrisse an libro de Nave, ma che forse perduto; dove certoun Ingegno come Leon Ballista doveva aver trattato del mare in tutta lasua estensione.

    (***) inventore colai cbe ritrov qualche cosa; e Leon Battista fuin fatti trovatore tanto in architettura che In statuarla e in pittura.

    (*) Scrisse l'Alberti un'opera de Religione.(******) O non si vede qui una palpabile allusione al libro deWArchi-

    teUura e all'altro (non men famoso quando sar pubblicato) della Famiglia ?

  • LXXVI

    e quasi incredibile di Leon Battista, non ci sar, spe-riamo, nemmeno disdetto di lusingarci dal cortesee generoso lettore di essere della nostra iiperdonati, pensando che non di un Discorso, ma diuh intero e non piccolo volume sarebbe stato materia,ci che noi ci ingegnammo ristringere in questepoche e incolte pagine, e opera di grande e poderosoingegno il discorrere di Leon Battista in un modoche di lui fosse degno.

    " "1 n

  • NOTIZIE

    limano

    A LEON BATTISTA ALBERTI (*>

    Percorrendo le Opere di questo Genio singolare,si trovano sempre delle interessanti novit che eranosfuggite ad altri studiosi.

    L'invenzione de' sostegni per uso dei canali dinavigazione, fu dallo Zendrini attribuita ad alcuniingegneri veneziani, ed in Toscana e in Lombardiaprevalse l'opinione che Leonardo da Vinci fosse ilprimo ad immaginare siffatto artifizio, e ne facessenel territorio milanese l'applicazione.

    Ma Leon Battista Alberti descrisse i sostegni peruso della, navigazione con tanta evidenza, che nonpu mettersi in . dubbio aver egli > o inventato, oalmeno ben conosciuto-questo mirabile artifizio avantiai sopraccitati due ingegneri veneziani ed a Leonardo

    (*) Queste Notizie dettate da S. E. il Consigliere Conte VITTORIOFOSSOMBRONI, ci vennero gentilmente favorite dalSig. Professore DottorG.B.lficcouNi, al quale l'illustre Autore ne avea fatto dono.

  • fosse nel primo, e contribuisce a si fatto resultato lostrato d'aria cbe resta sotto il pastrano, al qualestrato d'aria non da luogo l'abito attillato e strettoalla vita. In simil guisa una flanella che abbia dauna parte del pelo, se venga applicata sopra la carnedalla parte del pelo, tien pi caldo di quello che fa-rebbe dalla parte opposta, perch in questo secondocaso resta a contatto quasi con tutti i punti, mentrenel caso primo i peli diminuiscono i contatti, e dannoquindi luogo alla permanenza di uno strato d'ariasotto la flanella.

    I sommi Geni godono la facolt di una speciedi divinazione, onde come per istinto toccano a certeverit che sono di un livello molto pi elevato diquello delle speculazioni loro contemporanee. 11 di-vino Alighiri ha date molte riprove di ci, e segna-tamente in quella bella terzina, la quale esprime lateoria sulla formazione della pioggia, data nel decorsosecolo dal fisico Le-Roy.

    Ben sai come nell'aere si raccoglieQuell'umido vapor che in acqua riede>Tosto che sale, dove 'l freddo il coglie.

    DANTE, Purg. Cant.V., v.

  • AVVERTENZA.

    Come si era promesso nel nostro Discorso, avremmodopo il medesimo dovuto dare il Catalogo delle Operedi LEON BATTISTA ALBERTI ; ma la forte probabilit, equasi certezza nuovamente fattasi incontro, di poterescoprire altre importanti sue Opere, specialmente per-tinenti alle Arti, ci fece risolvere di sospenderlo,per offrirlo intero e compiuto alla fine dell'ultimovolume. Se non che vogliamo farvi sin d'ora sicuriche non sar desso composto di meno di 38 titoli diOpere incontrastabilmente di lui.

    ALBKRTI, T. l .

  • DOCUMENTI ILLUSTRATIVIEDITI ED INEDITI

    DELLA VITA, DELLE OPERE E DELLA FAMIGLIA

    DI

    LEON BATTISTA ALBERTI

  • A P P E N D I C E

    L

    Lettera del POUZIANO a LOREFIZO DB' MEDICI , cui a nome di BER-NARDO ALBERTI, fratello di LEON BATTISTA, intitola l'edizionede Re JBdifieatoria, stampata per la prima volta in Firenzenel 1485 in-folio.

    Baptista Leo florentinus e clarissima Albertorum familia,vir ingenti elegante, acerrimi judicii, exquisitissimaeque doctrinae,cum complura alia egregia monumenta posteri* reliquisset, tumtibros elucubrava de Architectura decem, quos propemodum emen-datos perpolitosque editurus jam jam in lucem oc tuo dedicaturusnomini fato est funetos. Hujus frater Bernardus, homo prurd$ns% tuique inter paucos studiosus, ut una Opera tonfiti virimemoriae voluntatique consuleret, et tuis in se meritis gratiamreferret9 de&criptos eos eoo archetypis, atque in volumen redactos,tibi repratsentat, Laurenti Medice. Et cupkbat Uh quidem, utipsutn apud te muniti auctoremque muneris Baptistam ornaremverbis. Quod ego mihi nulla rottone statui faciendum, ne tamabsoluti operi$, tamque excelkntis viri laudea culpa atterrerei* in-genti; namque operi quidem ipti majus multo ex lectione praeco-nium accedei, quam quantum ego uttis verbis consequi possim.Auctoris autem laudes, non solum epistola angustiai} sei nostraomnino paupertatem orationis reformidanU Nullae quippe hunchominem latueruntf quamlibet remotae litterae, quamlibet recon-ditae disciplinae. Dubitare possis utrum ad oratoriam magis, anad poeticen factus9 utrum gravior UH sermo fuerit, an urbanior.Ita perscrutata antiquitatis vestigio est9 ut omnem vetervm ar-

  • chitectandi rationem et deprehenderit, et in exemplum revocaverit:sicut non solum machinas et pegmata, automataque permulta, seiformas quoque aedificiorum admirabiles excogitaverit : optimuspraeterea et pictor et statuarius est habitus ; cum tamen interiniita examussim tener et omnia, ut vix pauci singula: quare ego deilio, ut de Cartilagine Sallustius, tacere satius puto9 quam paucQdicere. Huic autetn libro, Laureati, cum vel praecipuum ocumin tua bibliotheca velim attribuas, tum eum et ipse legas diligenter,et legendum vulgo, publicandumque cures : nam et ipse dignus est,qui volitet doeta per ora virum, et in te jam uno propemodumrecumbit desertum ab aliis pratrocinium litterarum. Vale.

    II.

    Tratto dalla seconda numerazione delP Elogio latino di LeonBattista Alberti, pag. 6, scritto da POMPILIO POZZETTI, oveVegregio biografo critico con molte savie ragioni sp ingegnamostrare che il lodato sapiente nascesse in Venezia nel 1404.

    Non sembra esservi dubbio che il nostre Leon Battistasortisse i natali in Venezia ; poich si sa da lui medesimo (lib. Ilidella Famiglia) che gli Alberti, dopo le note loro vicende, eransistabiliti in quella citt; di pi essi vi ebbero sepoltura. Il soloLorenzo padre del nostro Leone ebbela in Padova, perch si eracol trasferito ad impulso de9 medici, per motivi di salute. Final-mente, il Burchiello cos da principio ad uno de' suoi Sonetti( Parte I I , pag. 42. Firenze 1553, in-Svo )

    Stadio Boezlo di ConsolazioneQuivi In Vinegia in casa un degH Alberti.

    Intorno poi all'anno preciso in cui nacque Leon Battista,dividonsi fra di loro gli eruditi. Per tacer d'altri, il Hanoi ed

  • LXXXTII

    il Lmi, e ristesso Sig. Cav. Tiraboschi. I due primi (de Fhr.inventi*, Cap. XXXI; Nov. Leti, di Fir. del 1745, col. 452 ) sideterminano per Tanno 1398. Ali' immortale Autore della Storiaditta Lett. ital.,T. VI, Lib. II, ediz. pri. .Sfoci, sembr di do-verlo differire verso il 1444. Son ben lontano dalP entrare incontese, ed in contese di anni e di date. Convenne anco d'Alem-bert nell'Elogio di Bernoulli, che tali questioni distolgon soventei biografi da oggetti di maggior importanza. L'epoca vera dellanascita di Leon Battista per noi quella, in cui la prima voltacomparve con gloria alla luce del mondo letterario. Che se misi chieda il motivo, che mi ha pure indotto a fissarla nell'anno 1404,eccolo in succinto. Attesta YAlberti medesimo (*) che nel trente-simo anno dell'et sua, egli indirizz la sua Commedia intitolataPhilodoxios ali' insigne cavaliere Leonello d'Este. Per impetrarneil favore, si prevalse della mediazione del rinomato Poggio Brac-ciolini. La lettera, colla quale il Poggio offer all'Estense Mecenatel'operetta di Leone, scritta da Bologna il di 12 di Ottobre.Ora per essere il Brecciolini allora Segretario apostolico, l'Ottobresegnato in essa lettera, dee fissarsi quello dell'anno 1436 o 1437,in cui lo stesso Poggio trovavasi in Bologna colla corte del sommopontefice Eugenio IV. Tolgansi pertanto all'anno 1436 o al se-guente i 30 anni dell'et del nostro Alberti; diasi il tempo cheimpieg nel ritoccare il suo Filodossio, si calcoli quello della suadimora in Firenze ove distese i suoi tre libri toscani della Pittura,e si avr Fanno enunciato. Cos l'epoca da noi fissata trovasicoerente a quella del Senator Carlo Strozzi, e del Can. Salvini.Questi nel margine scritto a penna di un ruolo de' Canonici fio-rentini assicura esser nato YAlberti a' 18 Febbraro dell' annocomune 1404. Ultimamente il chiarissimo Sig. Ab. Serassi (Afe-morie delle Belle Arti, Roma pel Pagliarini 1788, T. IV, p. 20}

    (*) Vedi Appendice N. IV.

  • LXXXYM

    ci ha fatto sapere, che sulla tavola interna di un esemplare deilibri de Re jEdificatoria dell' edizione fiorentina dell'anno 1465,esistente nella Libreria de' Padri Minori Osservanti di San Fran-cesco in Urbino, leggesi notato da mano coeva : a Auctor tantiArchitecturae D. LEO BATISTA DB ALBEHTIS natus est Itmuae annochristmae saluti* 1404 . Vero Tanno della nascita ; ma quanto alluogo, io non penso di dover rinunziare alle ragioni che mi hannoindotto a creder nato Leone in Venezia, sulla semplice paroladi un Anonimo, sia pur egli contemporaneo, che lascia in unlibro una memoria senza recarn poi alcuna prova. Cosi non sifosser perduti que' Ricordi autografi che VAlberti slesso avealasciato della vita e delle Opere sue ! Essi ci avrehber risparmiatala pena di trattener chi legge in troppo minute ricerche. I men-tovati Ricordi, per testimonianza di Filippo Valori ne'suoiTermini di mezzo rilievo, ec. ( Firenze -1604, pag. 10 ) , siconservarono gi presso Gio. di Angelo degli Alberti, vescovo diGortona e governatore di Camerino, fino al cader del secolo XVI.

  • IH.

    VITA DI LEON BATTISTA ALBERTIDI

    AUTORE ANONIMO 0

    CON A FRONTE IL VOLGARIZZAMENTO

    DEL DOTT. NICIO BONtJCCI

    ( Estratti dal Voi. XXV della celebre Collezione, Intitolata : RertmtUMearum Scriptores, ec., pubblicata dal MURATORI ).

    (*) Avendo lette e ben considerate queste Memorie, non possiamonascondere un nostro pensiero, 11 quale sarebbe che dalla penna dellostesso Alberti siano desse uscite ; non potendo credere che altri che LeonBattista non fosse stato, avesse potato con tanta minuta puntualit edevidenza farsi narratore li certe cose che non potevano essere note chea fui solo, o solo da lui avvertite e ricordate. In cento luoghi questo chenel diciamo pare infatti si Riccia manifesto. D'altronde noi sappiamoancora che L. Battista lasciava scritto de' Bicordi nUa ma Vita ; e che sulfinire del XVI secolo erano essi In mano del vescovo di Cortona, e gover-natore di Camerino suo discendente (a). Queste, che ora si presentanoal pubblico, furono ritrovate senza principio, e forse mancanti del fine.

    (a) Vedi pag. LXXXVIII.ALBERTI, T. I. I

  • LEOMS BAPTISTiE DE ALRERTIS VITA.

    Omnibus in rebus, quae ingenuum et libereedueatum deceant, ita fuit apueritia instructus, ut inter primario*aetatis suae adolescentes minime ultimus haberetur. Nam cumarma, et equos, et musica instrumenta arte et modo tractare,tum literis, et bonarum artium studiis., rarissimarumque et diffLcillimarum rerum cognitioni fuit deditissimus. Denique omnia,quae ad laudem pertinerent, studio et meditatione ampexus est.Ut reliqua omittam, fingendo atque pingendo nomen quoque adi-

    pisci elaboravit, adeo nihil a se fore praetermissum voluitt quofieret ut a bonis approbaretur* Ingenio fuit versatili, quoad nuttamferme censeas artium bonarum fuisse non suam. Hinc ncque otto,aut ignavia tenebatur, neque in agendis rebus satietate usquamafficiebatur. Solitus fuerat dicere: sese in literis quoque iUudnon animadvertisse, quod aiunt rerum esse omnium satietatemapud mortales ; sibi enim literas, quibus tantopere delectaretur,tnterdum gemmas. floridasque atque odoratissimas videri, adeout a libris vix posset fame, aut somno distrahi; interdum autemliteras ipsas suis sub oculis inglomerari persimiks scorpionibus,ut nihil posset rerum omnium minus, quam libros intuer A literisiddrco, si quando sibi esse illepidae occepissent, ad musicam,et picturam, aut ad membrorum exercitationem sese traducebat.

  • XCI

    VITA DI LEON BATTISTA ALBERTI.

    In tutto che a nobile e liberalmente educatoconvenisse, cosi fu sin da puerizia ammaestrato, da non aversicerto per l'ultimo fra i primi giovinetti dell' et sua. Imperoc-ch dato a' cavalli, agli armeggiamenti ed ai musicali ^strumenti,delle lettere e delle beli' arti appassionato, cosa non v' era speregrina e difficile eh' egli non cercasse di avidamente apparare.Finalmente tutte cose laudate con lo stadio e la meditazione com-prese. nel modellare e nel dipingere ancora, per tacre il re-stante, cos egli si affatic, da non voter nulla pretermesso pervenire in istima de' buoni. D'ingegno facilissimo, pu dirsi tutt'artifosser sue. Non ozio, non inerzia in lui la potevano, s chedatosi a una cosa non sapeva saziarsene. Diceva egli soventeavere con le lettere succulcata quella saziet, la quale si tieneessere in tutte umane cose. E tanto godeva nelle lettere, daparergli quelle talvolta boccinoli di odoratissimi fiori, da nonpotersi n per fame, n per sonno staccare dai libri ; e taloradal troppo su starvi, parevagli sotto gli occhi ammucchiarglisile lettere come scorpioni, da non poter nulla non che i librivedere. Ed ove avvenisse che le lettere lo avessero stancato,la musica, la pittura e l'esercizio ne lo ristoravano. Usava la

  • XCII

    Utebatur pila, jaculo cimentato, cursu, saltuque, luctaque, atqueimprimis arduo ascensu in montes delectabatur, quas res omnes,valitudini potius, quam ludo aut voluptati conferebat. Armorumpraeludiis adolescens claruit: pedibus iunctis stantium humeroshominum saltu supra transilibat. Cum hasta parem habuit saLtantium ferme neminem. Sagitta manu contorta thorace firmissi-mum ferreum pectus transverberabat. Pede sinistro ab pavimentoad maximi templi parietem adacto, sursum in aethera pomumdirigebat manu, ut fastigia longe supervaderet subKmium tecto-rum. Numulum argenteum manu tanta vi emettebat, ut qui unasecum afforent in tempio, sonitum celsa convexa tectorum templiferientis numi clave exaudirent. Equo insidens, virgula oblongaaltero capite in pedis dorsum constituto, et manu ad alterumvirgae caput adhibita, in omnem partem quadrupedem agito.bai, virga ipsay integras ut volebat horas, immota nmquam.Mirum atque rasrum in eo, quod ferodores equi et sestorumimpatientissimi, cum primum consendisset, sub eo vehementercoatremiscebantt atque veluti horrentes subtrepidabant. Muiicamnultis praeceptoribus tenuit, et fuere ipsius opera a doctis musici*approbata. Cantu per omnem aetatem usus est ; sed eo quidemintra privatos pariete$P aut solus et praesertim rure cum fratre,

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    propinquisve tantum, Organis delectebatur, et inter primariomusicos in ea re peritus habebatur. Musicos effecit nunnullos eru-ditiares sui monitis.

    Cum per aetatem coepisset maturescere, caeteris omnibusrebus posthabitis, sese totum dedicavit studiis literarum ; deditenim operam juri pontificio, jurique civili, annos aliquot; idquetantis vigiliis tantaque assiduitate, ut ex labore studii in gravemcorp&ris valetudinem inciderete In ea quidem aegritudine suosperpessus est afflnes non pios ncque humanos. Idcirco consokmdisui grafia, internUssis jurium studiis inter curandum et conva-lescendum, scripsit Philodoxeos fabulam, annos natus noti plusviginti, oc dum per valetudinem primum licuit, ad coepta dein-

  • xenipalla, il corso, la lotta, la danza, il dardeggiare, e soprattuttolo ascendere ardui monti; ma ci pi a robustezza del corpoche per giuoco e sollazzo. Ne' soldateschi esercizi, giovanotto illu-strassi; da terra a pie pari un uomo ritto saltava, n avevachi nel salto dell'asta lo vincesse. Una saetta da lui vibrata, trattala mano al petto, forza aveva di trapassare qual pi forte ferreacorazza. Col sinistro pie rasente al muro del Duomo, scagliandoin alto un pomo, superava pi molto il culmine de' tetti. Cosuna piccola moneta d'argento con tanf impeto in un tempio inalto lanciava, da far sentile a chi quivi era con lui il suono dellapercossa nella volta. A cavallo, l'estrema punta d'una verga fermaal piede, sull'altra la mano, ore sane durava con la pi granfacilit a volteggiare, immobile la verga. Raro e mirabile!Serissimi cavalli del cavaliere intollerantissimi, com' egli su vifosse, quasi sentissero orrore, pareva sottrepidassero (1). Da $la musica apprese, e quanto vi compose piacque a9 maestri (2).Finch visse ebbe in uso il cantare, ma in privato e solo, especialmente in villa col fratello o parenti. Dilettavasi ancora disuonar gli organi, ove fu tenuto de' primi suonatori ; e de' suoiconsigli molti ancor rese pi esperti nella musica (3).

    Cresciuto negli anni ogni altra cosa pretermessa, tutto allelettere ed alle sacre e civili leggi si diede, s che tra per le tante vigi-lie e la indefessa assiduita, vinto dalla fatica degli sludi gravementeinferm, senza che i suoi di quel suo stato si movessero a piet.Frattanto a onsolazione di s stesso, n avendo allora pi chevent'anni, intermesse le leggi, fra la convalescenza e la cura scrisseil Filodossio commedia (4). Ma sanato appena e g' incominciati

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    ceps studia, et leges perdiscendas sese restituit; in quibus cumvitam per maximos labore*, summamque egestatem traheret, ite-rato gravissima aegritudme obreptus est. Artus enim debilitati,mcritudineque absumptae virus oc prope totius eorporis vigor,roburque infractum atque exhaustum, eo deventum est gravissimavaitudine, ut lectitanti sibi oculorum illieo acies obortis vertigi-nibus

    9 torminibusque defecisse videretur, fragoresque, et longasibila adinter aures multo resonarent. Has res phisici avenirefessitudine naturae statuebant. Ea de re admonebant iterum, atqueiterum, ne in his suis laboriosissimi perseveraret. Non paruit;sed cupiditate ediscendi sese lueubratimibus macerans, cum exstomaco laborare accepit, tum et in morbum incidit dignum me-morato. Nomina enim interdum familiarissimorum, cum ex usuid foret futurum, non occurrebant ; rerum autem, quae vidisset,quam mirifice fuit tenax.

    Tandem ex medicorum jussu studia haec, quibus memoria pluri-mum fatigaretur, prope efflorescens intermisit. Verum quod sine lite-ris esse non potset, annos natus quatuor et viginti ad phisicam se,atque mathematicas artes contulit; eas enim satis se posse colere nondiffidebat: siquidem in his ingenium magis, quam memoriam exercen-dam intelligereL Eo tempore scripsit ad fratrem de Commodis lite-rarum, atque Incomipodis, quo in libello ex re ipsa perdoctus, quid-nam de literis foret sentiendum, disseruit. Scripsitque per ea temporaanimi gratta complurima opuscula (5) : Ephebiam, de Religione,Deiphiram, et pleraque hujusmodi soluta oratme ; tum et versu,Elegias, Eclogasque; atque Conciones, et ejuscemodi amatoria, qui-bus piane studiosis ad bonos mores imbuetdos, et ad quietem animiprodesset. Scripsit pr aeterea et afjivAum suorum gratia, ut linguaelatinae ignaris prodesset, patrio sermone annum ante trigesimumaetatis suae etruscos libros, primum, secundum, oc tertium de Fa-milia, quos Romae die nonagesimo, quaminchoarat, absolvit; sedinelimatos, et asperos, neque usquequaque etruscos. Patriam enimlinguam apud exteras nationes per diutinum familiae Albertovum

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    stadi eoo le leggi riprese, l'ingente fatica, e la gran povert nuo-vamente nel male il travolsero. Debole, macilento e senzaquasi pi un fil di lena, ogni tanto costretto al letto, per tor-nami ecclissaronglisi gli occhi, e le orecchie continuo cantarongli,parendogli lunghi sibili e strepiti sentire. Chiamati i medici, estatuito ci dalla stanca natura avvenire, ali9 abbandono de' fa-ticosi stadi lo consigliavano. Ma egli sordo, e dalla sete d'ap-

    con gli stadi a consumarsi, alla fine,guastatogli lo stomaco, cadde in memorabile male; imperoc-ch de9 nomi de9 suoi iamigliarissimi, che par tatto giorno aveva,in bocca, non si ris