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Storia e Documenti 9 Alla piccola Chiara

Alla piccola Chiara · E’ proprio la guerra la prima protagonista di questo libro. La prima guerra mondiale, la Grande Guerra, i milioni di morti sono il lugubre sfondo. ... pagnata

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Storia e Documenti

9

Alla piccola Chiara

LUIGI VEROLINO

I PROFUGHI DI CAPORETTOA NAPOLI E IN PROVINCIA

Lo Zeppelin L.59 bombarda Napoli

Hanno contribuito alla ricerca:Immacolata Arenga, Antonio Borrelli, Andrea D’Angelo, Anna Flagiello, Antonio Guizzaro, Giorgio Mancini, Michele Verolino, Paola Verolino.

Progetto GraficoAntonio Picardi

L’autore, nel ringraziare i Responsabili degli archivi consultati e particolarmente la disponibilità del personale e del Direttore dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, ricorda con profondo affetto il Prof. Giorgio Mancini, studioso di altissimo profilo ed amico indimenticabile.

INDICE

PREFAZIONE p. 7

INTRODUZIONE p. 11

CAPITOLO I La Caporetto dei profughiNapoli durante i primi due anni del conflitto mon-diale - La sconfitta - L’arrivo dei profughi in città - A Napoli continua l’emergenza - Napoli 1918 - La siste-mazione dei profughi nella provincia di Napoli. - Altri comuni ospitanti - Gli internati in Campania.

p. 17

CAPITOLO II Il bombardamento di NapoliNapoli sotto le bombe - L’inchiesta parlamentare - Il cordoglio della nazione.

p. 73

CAPITOLO III La fine della guerra - Il ritornoL’emergenza continua - Vittorio Veneto e il rimpa-trio dei profughi.

p. 87

CONCLUSIONE p. 99

APPENDICI

I Interrogazione parlamentare: L’incursione aerea su Napoli.

p. 105

II Relazione sulle visite fatte ai profughi di Aversa nei giorni 16-18 gennaio 1918.

p. 115

III Comitato Civile Pro-Feriti Santamaria C. V.Relazione e resoconto generale 1917.

p. 119

BIBLIOGRAFIA

INDICE FOTO

INDICE DEI LUOGHI

INDICE DEI NOMI

p.

p.

p.

p.

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SIGLE E ABBREVIAZIONI

ACS Archivio Centrale dello Stato Roma

ASBN Archivio Storico del Banco di Napoli

BCP Biblioteca Civica Pordenone

BMF Biblioteca Marucelliana Firenze

BNCF Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze

BSCM Biblioteca Storia Moderna e Contemporanea Roma

IVSLA Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti - Venezia

b. bustacit. citatocfr. confrontaed. editorefasc. fascicolon. numeronn. numeriop. cit. opera citatapag. paginaprot. protocollotip. tipografiavol. volume

PREFAZIONE

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C’è la Storia. La Storia che conosciamo: nelle nostre medie fasce di cultura è la storia dei grandi accadimenti, dei grandissimi personaggi. Che so: la guerra di Troia, le guerre persiane, le imprese di Alessandro Magno, l’Impero Romano; le migrazioni, le rivoluzioni e le grandi guerre che hanno insanguinato questa nostra povera Terra. Oppure: Odisseo, Cesare, Gesù, Carlo Magno, Gengis Khan, Napoleone, Hitler e quant’altri.Poi c’è la storia minore, quella dei fatti in apparenza marginali o irrilevanti, oppure limitati nel tempo e nello spazio. Fatti, tuttavia, che possono produrre rivolgimenti, o mutare i destini di singoli individui o di intere comunità.La testimonianza di questi fatti, affidata alla caducità delle memorie indi-viduali e familiari, sarebbe destinata a perdersi nell’oblio, o nella collettiva rimozione, se essi non diventassero oggetto dell’interesse dello storico.La Storia è studio delle vicende umane e “lo storico – ha affermato Marc Bloch – è come un orco: fiuta carne umana”.

La Guerra. E’ proprio la guerra la prima protagonista di questo libro. La prima guerra mondiale, la Grande Guerra, i milioni di morti sono il lugubre sfondo. E l’Italia. Un’Italia ancora disunita, faticosamente e un po’ retoricamente mobilitata contro il nemico straniero.Poi Napoli. Napoli capitale, plebea e nobile, furba e solidale.L’emergenza, dopo la disfatta di Caporetto del 1917, provoca la cascata di eventi propria della reazione di massa: l’allarme, la mobilitazione, la soli-darietà sincera e fattiva. Nasce “il profugo”, una figura identitaria nuova

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quanto ambigua. Furono 25.000 a Napoli e provincia. Si evidenziano le disfunzioni istituzionali nella gestione dell’emergenza, si appalesano disparità di trattamento, emergono crescenti ostilità nei con-fronti dei connazionali, “esuli in Patria”, ospitati sempre più forzosamente.Ancora: il bombardamento su Napoli dell’11 marzo 1918. Frequento bella gente, ma nessuno (dico nessuno) tra i miei dieci-dodici quotidiani frequen-tatori colleghi universitari (di varie discipline) conosceva l’evento. Luigi Ve-rolino ce lo ha restituito nella sua drammaticità, anche con le scontate e squallide polemiche politiche che ne sono seguite.L’Autore racconta tutto questo al tempo stesso come una cronaca, fedelis-sima e documentata, ma anche come un romanzo. Con tratti di autentica liricità, in particolare quando tratta dei bambini; e con spunti di originale lettura politico-sociale degli eventi, ove, ad esempio, discute dell’indubbia evoluzione del ruolo delle donne in ambito sia familiare che lavorativo ed economico.

In questo lavoro, come in tutte le altre ricerche di carattere storico già pub-blicate, questo studioso dà prova di esemplare rigore metodologico, di me-ticolosa attenzione alle fonti documentarie, di assoluto equilibrio nell’inter-pretazione dei dati.La sua curiosità, persino caparbia, si coniuga, in una singolare sintesi, a grande passione. Luigi Verolino, come ha egli stesso scritto in un preceden-te lavoro, (ri)vive le vicende che racconta. Con i personaggi sviluppa una relazione complessa di contiguità, di legame affettivo/intellettuale.Il Verolino è anche, oggi, l’elemento di punta dell’Associazione “Il Quar-tiere Ponticelli” per la quale infaticabilmente promuove iniziative e studi su tematiche locali. Egli è insomma un intellettuale con collaudata autorevo-lezza in campo storico.Non mancheranno, ne sono certo, ulteriori prove altrettanto brillanti e valide.

Antonio Guizzaro

INTRODUZIONE

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La Grande Guerra.Da contadini a soldati e da soldati ad italiani.Nelle trincee i nostri militari arrivavano da ogni parte, con i propri dialetti e le proprie tradizioni: sardi, napoletani, piemontesi, siciliani, veneti.Una piccola babele nella quale bisognava condividere lo stesso buco nella terra, evitare i rischi, nascondere la paura e tenersi stretti l’uno all’altro.Un buco dove si diventava italiani, perché c’era un nemico comune da com-battere, perché c’era il rischio di rimanere per sempre in quel fosso, e per-ché ci si affidava gli ultimi saluti per i figli o la donna amata. Poi Caporetto.Una disfatta destinata a diventare un luogo della memoria del Paese. Una sorta di ulteriore prova nazionale. Migliaia e migliaia i civili profughi che scapparono dai territori del nord-est d’Italia invadendo le regioni vicine ma anche quelle lontane e di cui, a volte, nemmeno si conosceva il nome. Un fiume in piena lungo la dorsale appenninica.Ancor più di una catastrofe. Poi l’oblio. La rimozione dalle coscienze.Una vicenda tramandata solo nelle memorie private e familiari. Un ricordo intimo e tragico che non fu agevolato dal successivo ventennio fascista in cui si tese solamente ad esaltare la Vittoria.Malgrado le vaste dimensioni del fenomeno, le vicende dei profughi di Ca-poretto erano poco conosciute e fino a pochi anni fa anche poco analizzate. Una sorta di memoria “minore”.

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Gli studiosi avevano una limitata attenzione nei confronti di questi ricordi individuali, valutati inaffidabili e troppo soggettivi, validi al massimo per le scienze sociali o antropologiche. Poi si è riuscito a stabilire un’efficace inte-razione tra la Storia e la memoria di chi è stato protagonista anche minore, senza peraltro sminuire il valore assoluto dei fatti realmente accaduti. Le ricerche sulle atrocità di guerra, soprattutto con riferimento al primo conflitto mondiale, mostrano ancora numerose lacune, soprattutto sull’in-dividuazione dei confini, talvolta inesistenti, tra soldati e popolazioni e che ha finito col trascinarsi dietro anche una nuova prospettiva del terrore con-tro i civili.

*

Questa ricerca, è iniziata alcuni anni fa, durante la preparazione di un al-tro volume sul prof. Giuseppe Tropeano, quando, analizzando una serie di documenti d’archivio e quotidiani cittadini dei primi del ’900, mi sono imbattuto nell’arrivo dei profughi a Napoli.Migliaia gli appelli pubblicati dagli esuli per ritrovare i propri cari dispersi durante la fuga. Intere pagine di richieste di soccorso per ricongiungersi ai propri figli, ai propri fratelli, alla propria famiglia.L’assenza di un’approfondita conoscenza di quei tragici momenti, accom-pagnata dalla curiosità di studiare quell’esodo di massa e dall’idea di pub-blicare il testo in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, purtroppo va-nificata dalla scoperta di nuove fonti d’archivio ed anche dalla difficoltà di reperire finanziamenti, pose le basi per iniziare un’analisi di quegli anni, estesa anche alla comprensione del triste episodio del bombardamento del-la città da parte di uno Zeppelin austriaco.Questo studio del profugato nella realtà napoletana si fonda soprattutto sul tentativo di mettere insieme fonti archivistiche, letteratura e memorie, cer-cando di costruire un quadro d’insieme quanto più veritiero di un feno-meno nazionale di grande rilevanza e di proporre spunti di riflessione su alcuni aspetti di quelle vicende.

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La mobilitazione delle istituzioni, delle associazioni, della stampa, dei Co-mitati di soccorso e dei privati cittadini evidenziò le straordinarie doti di solidarietà del popolo napoletano, non sottacendo episodi d’insofferenza e di sfruttamento negli ultimi periodi di soggiorno, anche per la sopravvenu-ta incursione aerea sulla città. La ricerca si spinge pure oltre i confini napoletani, dando uno sguardo alle vicende che videro protagoniste le popolazioni e le amministrazioni della provincia nella fase di soccorso agli esuli. Una particolare attenzione, infine, è stata posta anche nel rilevare le condi-zioni dei bambini e delle donne, ritenendo che più di un esodo di profughi, si debba parlare, per la maggior parte dei casi, soprattutto di profughe sole o con figli minori. Le donne, infatti, assunsero un ruolo decisionale senza precedenti: avevano organizzato la fuga dalle terre invase, affrontato le difficoltà del viaggio ver-so l’ignoto, lavorato nelle fabbriche al posto degli uomini e tenuto insieme il nucleo familiare o quello che ne rimaneva. Crebbe la loro consapevolezza di costituire comunque un fattore importante all’interno di una società di guerra, anche dal punto di vista delle rivendicazioni economiche e sociali.La voglia di far luce su una vicenda che a Napoli non è stata mai approfon-dita in modo specifico, ha portato ad analizzare un periodo storico difficile e drammatico dove l’immagine di una popolazione profuga del Nord, sra-dicata da altri luoghi e con altre storie, si confrontava con la realtà napole-tana.Il tentativo di mettere in evidenza, la solidarietà, le assonanze, le contraddi-zioni ed i conflitti tra le due “Italie” è anche uno sforzo per comprendere l’evoluzione sociale che iniziava a compiersi nei ruoli storicamente assegna-ti a quegli uomini e quelle donne del primo ’900.

CAPITOLO I

LA CAPORETTO DEI PROFUGHI

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Napoli durante i primi due anni del conflitto mondiale

La dichiarazione di guerra del 24 maggio 1915 fu accolta in città con cortei e manifestazioni di giubilo da parte degli interventisti. In piazza del Plebi-scito si accalcarono in migliaia per festeggiare l’evento.Il quotidiano “Il Mattino”, che pure non aveva sostenuto l’intervento, ac-colse la notizia con enfasi e con un articolo di fondo celebrò il coraggio dei soldati napoletani1:

Soldati, il cuore d’Italia è con voi. In questo grande giorno, dovete sentire presso di voi, più vicino a voi la calda vibrazione dell’anima italiana. […] L’epopea si riapre. E siete voi che la fate, piccoli soldati bruni del Mezzogiorno, svelti bersaglieri del Centro, pesanti artiglieri del Nord, siciliani dal profilo puro o calabresi dagli occhi gravi.Figli d’Italia tutti, vi accompagni alla frontiera il sorriso delle madri, e l’amore di coloro che restano. Sia sulle vostre fronti rivolte ad oriente col sole della vittoria la carezza della nazione. […] Siate benedetti, o soldati d’Italia.

Iniziava la grande mobilitazione, che non fu solo in termini umani, con la richiesta di migliaia di combattenti per diventare la “carne da macello” che verrà sacrificata nelle trincee, ma fu anche mobilitazione dell’economia. Lo Stato, non solo in Italia, ma in tutta Europa vide crescere il proprio ruolo in maniera esponenziale, assumendo dovunque una deriva autoritaria con il blocco o la sospensione delle pratiche e delle prassi della democrazia parlamentare. Per dare un senso della crescita delle competenze e degli impegni dello Stato in Italia, basti pensare che il numero dei dipendenti della pubblica amministrazione passò da 339 a 519mila unità. Un intervento “totalizzante”, quindi, teso a gestire più direttamente la vita dei cittadini e che chiese agli italiani di sottoscrivere diversi prestiti obbliga-zionari per sostenere il conflitto2.

1 “Il Mattino”, 24-25 Maggio 1915. Non fu da meno l’altro quotidiano napoletano “Roma” che, schierato con gli interventisti, a tutta pagina intitolò: In un entusiasmo delirante – “Napoli inneggia alla grandezza della Patria” - Il Sindaco alla testa di un corteo di settantamila cittadini porta il saluto della nuova Italia ai piedi del monumento a Dante.2 Giorgio Porosini, Introduzione a Il capitalismo italiano nella prima guerra mondiale, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1975.

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Nel porto napoletano, intanto, continuavano gli sbarchi di emigranti che rientravano in patria per combattere e di numerosi prigionieri di guerra3:

[…] un altro transatlantico l’“Ancona”, sbarcò numerosi cavalli e circa 900 connazio-nali, reduci dalle Americhe, per arruolarsi nel nostro Esercito.

Ieri col piroscafo Tolemaide sono giunti 1225 prigionieri austriaci destinati, per ordine superiore, a Caserta e Maddaloni.

In città, malgrado la presenza di numerose aziende produttrici di materiale bellico e di un incremento delle attività inerenti il traffico portuale, la disoc-cupazione in molti altri settori industriali e manifatturieri crebbe in modo esponenziale.

3 “Il Mattino”, Prigionieri austriaci di passaggio per Napoli, 12-13 agosto 1915. Uno dei campi di concentramento per prigionieri più affollato in Campania fu quello istituito nella Certosa di Padula (Sa).

Fig. 1 - Napoli - Piazza del Plebiscito (24 maggio 1915)

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L’agricoltura, che rimaneva la vera forza trainante dell’economia napoleta-na, subì una grave crisi dovuta ai provvedimenti restrittivi del Governo che intervenne con calmieri, requisizioni, obblighi di lavoro e di produzione, tesseramenti e minacce di confische4:

Nei primi anni, le campagne italiane vissero il passaggio a una “economia di guerra”, e cioè a un tipo di organizzazione produttiva tesa a sostenere le truppe dislocate al fron-te. Le conseguenze economiche più dirette della nuova situazione furono gli ingenti spostamenti di risorse da un settore all’altro della produzione e la conseguente per-dita di equilibrio nella distribuzione e concentrazione della ricchezza da una regione all’altra del Paese, oltre che nei flussi interni campagna-città. Contemporaneamente, si erano fatte strada legislazioni di guerra che introducevano le requisizioni forzate e la messa a coltura delle terre cosiddette “mal coltivate”, allo scopo di accrescere la produzione.

Queste misure, accompagnate dal divieto di esportazione dei prodotti agri-coli, misero in crisi quest’ambito produttivo, con la conseguente migrazio-ne verso la città di migliaia di addetti.Alla produzione contadina era strettamente connessa l’arte molitoria e la trasformazione dei prodotti agricoli che fin dai secoli precedenti avevano caratterizzato anche vaste zone della provincia napoletana5.La situazione politica, invece, con l’estensione dell’applicazione delle norme di allontanamento degli austriaci residenti in Italia dalle zone di guerra a quelle dove erano situati i più importanti stabilimenti di produzione del materiale bellico6, determinò, anche a Napoli, l’internamento di

4 Francesco Di Bartolo, La terra è dei combattenti. I programmi di redistribuzione della terra (1915-1918), “Rivista Me-diterranea Ricerche storiche”, n. 16, pag. 353, Palermo, agosto 2009. Tra gli addetti all’agricoltura, coloro che più soffrirono dello stato di guerra, furono i braccianti e i contadini del Sud. In alcune regioni meridionali, in parti-colare in Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia, gli esoneri di leva furono concessi in misura assai inferiore rispetto alla media nazionale. Alla fine del settembre 1918, tra i 163.000 esonerati nel settore dell’agricoltura, solo 29.875 appartenevano all’Italia meridionale e alle isole. (A. Serpieri, La guerra e le classi rurali italiane, Laterza, Bari, 1930).5 Andrea D’Angelo - Giorgio Mancini - Luigi Verolino, La Chiave a stella. Lavori e lavoratori a Ponticelli, il Quartiere edizioni, Angri, 2008. “La presenza dei mulini continuò ad essere molto attiva nella periferia orientale della città e favorì la nascita di numerosi pastifici, tra i quali a Ponticelli quello di Antonio Russo progettato dall’ingegnere Luigi Campanile”. S. Giovanni a Teduccio, Torre Annunziata e Gragnano furono gli altri importanti centri di macinazione industriale del grano.6 Giovanna Procacci, L’internamento di civili in Italia durante la prima guerra mondiale, “DEP”, rivista telematica di studi sulla memoria femminile, n. 5-6, 2006.

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molti cittadini stranieri, che furono costretti ad abbandonare le proprie abitazioni, per essere inviati in luoghi lontani, quasi sempre privi di adeguate attrezzature di accoglienza, con l’accusa di attività anti-italiane o sovversive e con la motivazione di costituire un pericolo per la sicurezza nazionale e per l’ordine pubblico.Questi primi due anni di guerra fecero registrare agitazioni popolari di pro-testa per ottenere la riduzione del prezzo del pane e tentativi di occupazio-ne delle industrie per l’aumento dei salari.Le classi meno abbienti, dunque, subirono drammaticamente il raziona-mento delle materie prime e con la partenza degli uomini arruolati, soprat-tutto le donne, dovettero fronteggiare le più elementari esigenze di soprav-vivenza per loro ed i propri figli. Fu un primo momento di presa di coscienza dell’importante funzione svol-ta e fu premessa fondamentale per le future rivendicazioni femminili intese come riconoscimento di diritti civili inalienabili. Un profondo cambiamen-to del ruolo femminile all’interno della società che fece nascere nuove cer-tezze, ponendo le basi per una reale emancipazione della donna, protagoni-sta del proprio futuro e consapevole del ruolo da svolgere in società7. Pronte, dunque, ad entrare nelle fabbriche di guerra, a raccogliere i frutti della terra nelle campagne ad arrangiarsi in ogni modo pur di trovare ri-sorse per sopravvivere. La manodopera femminile divenne un elemento indispensabile al nuovo sistema industriale e non solo per la necessità di supplire alla mancanza degli uomini impegnati sul fronte di guerra. A Napoli, oltre alla produzione nelle industrie di guerra, furono molte le donne che lavorarono presso le Manifatture Tabacchi o che si cimentarono nel confezionamento di divise e scarpe militari in laboratori o presso la propria abitazione8. In questa difficile situazione di pura sopravvivenza non era, però, da tra-scurare un considerevole aumento della prostituzione, soprattutto riguar-dante le classi sociali meno abbienti.

7 Luciana Palla, Scritture di donne - La memoria delle profughe trentine nella prima guerra mondiale, “DEP”, Rivista telematica di studi sulla memoria femminile, n. 1, 2004. 8 In Italia le donne occupate nelle industrie passarono dalle 23.000 del 1915 alle 198.000 del 1918.

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Fig. 2 - Napoli - Silurificio (1916)

Fig. 3 - Donne in fabbrica

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Anche i bambini e gli adolescenti furono coinvolti nella guerra a vario titolo ed in vario modo, in qualità di vittime e testimoni, ma anche come lavora-tori e destinatari di messaggi propagandistici9:

La partenza per il fronte di circa sei milioni di uomini (su sette milioni di maschi in età militare), impose un continuo riadattamento degli equilibri sui quali si reggevano le convivenze all’interno di gran parte dei nuclei familiari. Sia negli ambienti urbani, sia negli ambienti rurali, l’evento bellico mutò profondamente le relazioni di dipendenza tra uomini e donne, tra genitori e figli; […] il venir meno delle braccia e dei salari di coloro che erano stati chiamati alle armi, dovette essere necessariamente compensato dalle energie lavorative di donne, anziani, ragazzi, ma anche, non di rado, di bambini e adolescenti.

L’arruolamento avvenne in maniera disordinata e spesso inconsapevole, gli operai, di frequente contadini privi di professionalità, partivano dal Me-ridione (negli anni 1916-17 dalla sola Campania furono reclutati 12.581 giovani operai) senza la precisa idea di ciò che li aspettava, sia dal punto di vista lavorativo che logistico10. Molti adolescenti napoletani, spesso con documenti di riconoscimento in cui era alterata la reale età anagrafica, attratti dalla speranza di migliori con-dizioni di vita, emigrarono nelle retrovie del fronte, cercando occupazione nella costruzione di trincee e gallerie, nel tracciare nuove strade, nelle fab-briche di munizioni e nei cantieri. La realtà, però, fu altra. Lo Stato, infatti, promulgò una “speciale legislazione di guerra” che andò a modificare le norme regolatrici dei turni di lavoro domenicali e del riposo, permettendo agli industriali di reclutare migliaia di donne e di giovanissimi

senza le usuali garanzie; di concentrarli in stabilimenti spesso inadatti e improvvisati, di occuparli molte ore al giorno e della notte in dispregio alle norme consuete; di moltiplicare e di generalizzare ore di lavoro supplementari; di adottare misure di estrema gravità per evitare le assenze collettive e individuali dalle fabbriche, i rifiuti di obbedienza, le minacce11.

9 Luca Gorgolini, Bambini e adolescenti nella Grande Guerra, in “Storia e Futuro” n. 8, novembre 2005.10 Matteo Ermacora, Cantieri di guerra: il lavoro dei civili nelle retrovie del fronte italiano (1915-1918), Il Mulino, Bologna, 2005.11 Giorgio Porosini, op. cit.

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Gli anni di guerra furono davvero drammatici: ritmi asfissianti di lavoro, divieto di sciopero, equiparazione giuridica degli operai ai soldati al fronte12.Donne e ragazzi si resero, dunque protagonisti di un flusso migratorio dall’in-terno del paese verso il fronte di guerra alla ricerca della sopravvivenza.L’infanzia, realtà fino a quel momento largamente oscurata, acquistò una visibilità sociale prima sconosciuta. Bambini e adolescenti furono coinvol-ti nella guerra in vario modo, come figli e fratelli degli uomini inviati al fronte, come membri di famiglie i cui equilibri e le cui gerarchie erano stati improvvisamente modificati, come lavoratori sulle cui spalle pesavano ora responsabilità e fatiche in passato delegate agli adulti13. Intanto, la guerra al fronte continuava a mietere vittime. Nei primi due anni di conflitto le perdite furono spaventose. Si seguitava a morire per la conquista di pochi metri di territorio, senza possibilità di scampo e con la consapevolezza di andare allo sbaraglio, per i folli ordini di comandanti che, lontani dal fronte, si mostravano completamente indifferenti per quelle carneficine.

La sconfitta

24 ottobre 1917. Ore 2. Notte. Quattro ore di artiglieria per lacerare ogni difesa, ogni caposaldo, ogni trin-cea. Bombe al cianuro. Aria al veleno. Nessuno tornerà indietro. In prima linea morirono tutti. Bisognava penetrare in profondità. Raggiungere al più presto la pianura. Ferire a morte il cuore dell’Italia. Percorrere i fondovalle, evitare le cime ed inerpicarsi per i sentieri battuti. Infiltrarsi. Correre avanti, anche se si lasciavano sacche di resistenza. Questa la tattica usata dall’esercito nemico.

12 Si vennero così a creare quattro tipologie di lavoratori: “operai militarmente comandati”, a disposizione del Comando territoriale; “operai militari”, in virtù delle mansioni svolte; “operai borghesi”, senza obblighi militari; “donne e ragazzi”, che rappresentarono una considerevole fascia della classe operaia.13 Luca Gorgolini, Bambini e adolescenti nella Grande Guerra, cit.

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Alle tre del pomeriggio fra i primi a entrare in Caporetto c’era il giovane tenente Erwin Johannes Rommel, che in 52 ore di combattimenti, e al prez-zo di solo 6 morti e 30 feriti, portò le sue tre compagnie a fare novemila prigionieri italiani. Come premio per il suo eroismo ricevette l’ambita Croce Pour le Merite. Onorificenza che, ventiquattro anni dopo, ostenterà in Africa Settentrionale, combattendo nelle vesti de “la volpe del deserto”, accanto al vecchio nemico italiano14.Il fulmineo attacco causò 11.000 morti, 29.000 feriti e 280.000 prigionieri. Migliaia i civili in fuga.

La folla pazza, in fuga, in tumulto. Carri, bambini, soldati, vecchi, donne, cavalli, ma-terassi alti ondeggianti, gruppi inferociti, turbe di bruti; un urlare, un incalzare, un rigurgitare; la gente, nella ressa, rovesciata sulle spallette del ponte, il capo e le braccia penzoloni, come morti su davanzali; cavalli impennati sul risucchio, pugni in aria, facce livide, occhi sbarrati, bocche dure, e qualche viso innocente di bambina in mezzo al tumulto15. Curzio Malaparte

Non fu una questione di viltà, come raccontato dai Comandi italiani, fu solo la sorpresa ed il terrore del nemico. E poi bisognava sopravvivere, stare a galla sul nulla.Una pioggia rabbiosa e accecante si mischiava alle lacrime e feriva il volto dei fuggitivi, che, gravati delle cose più care, riempivano le strade, i margini e i campi intorno.Una moltitudine amorfa si trascinava stanca.Caporetto fu un luogo senza regole. Senza certezze. Un deserto senza co-ordinate. Nell’esercito italiano dominavano confusione e panico. C’era chi rubava nelle case, chi si vestiva da borghese, mischiandosi ai profughi civili e chi credeva che la guerra fosse finita16.

14 Luigi Verolino, Giuseppe Tropeano - Precursore della Medicina Sociale e Fondatore del Pausilipon, dell’Asilo a Marechiaro e dell’Istituto di Medicina Pedagogica di Ponticelli, Istituto Affari Sociali, Roma, 2009.15 Sergio Luzzatto, Caporetto e la disfatta arrivò fino a Napoli, “Corriere della Sera”, 4 febbraio 2006.16 Daniele Ceschin, La condizione delle donne profughe e dei bambini dopo Caporetto, in “DEP”, rivista telematica di studi sulla memoria femminile, n. 1, 2004.

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Dalle città, dalle campagne e dalle zone montane del nord-est d’Italia una moltitudine di persone fuggì oltre il Piave lasciando le proprie case. Non solo profughi dei territori conquistati ma anche fuggiaschi dal Veneto non invaso. Si partiva con l’idea di un rapido ritorno e chi rimase, lo fece spesso per la totale mancanza di notizie dei propri familiari o per assistere parenti anziani, malati o non autosufficienti17.

Fuggivano gli imboscati, i comandi, le clientele, fuggivano gli adoratori dell’egoismo altrui, i fabbricanti di belle parole, i decorati della zona temperata, i cantinieri, i giorna-listi, fuggivano i napoleoni degli Stati Maggiori, gli organizzatori delle difese arretrate, i monopolizzatori del patriottismo degli angoli morti e delle retrovie, decisi a tutto fuorché al sacrificio, fuggivano gli ammiratori del fante, i dispensatori di oleografie e di cartoline illustrate, gli “snob” della guerra, gli “imbonitori di crani”, gli avvocati e i letterati dei comandi, i preti del Quartier Generale e gli ufficiali d’ordinanza, figli di pochi ma onesti genitori, fuggivano i “roditori” della guerra, i fornitori di carne andata a male e di paglia putrefatta, i buoni borghesi quarantotteschi che non volevano dare asilo al fante perché portava in casa pidocchi e cenci da lavare, e parlavano del Re come del “primo soldato d’Italia”, fuggivano tutti in una mirabile confusione, in un intrico di paura, di carri, di meschinerie, di fagotti, di egoismi e di suppellettili, tutti fuggivano imprecando ai traditori che non volevano più combattere e farsi ammazzare per loro18.

Un viaggio fatto in condizioni estreme, spesso sotto i bombardamenti ne-mici, durante il quale molti smarrirono i bambini e la propria famiglia. Un viaggio infinito, un tragitto di sofferenza.Le dimensioni dell’esodo colsero completamente impreparata la macchina burocratica dello Stato che si trovò a fronteggiare una situazione del tutto imprevista. La confusione totale, la disperazione della gente e una disor-ganizzazione assoluta, determinarono provvedimenti di totale censura per i giornali sull’esodo in corso. Il 29 ottobre, infatti, il Ministero degli Interni impose alla stampa il divieto di pubblicare notizie sull’arrivo dei profughi dal fronte di guerra.Dal 3 novembre il concentramento dei fuggitivi diretti verso l’Italia centrale

17 Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto. I profughi in Italia durante la grande guerra, Laterza, Roma, 2006. 18 Curzio Malaparte, Viva Caporetto!, 1921. Il saggio fu sequestrato dalla censura, quindi ripubblicato nel 1923 come La rivolta dei santi maledetti ma nuovamente censurato; fu edito integralmente solo nel 1980, a cura di Mario Isnenghi. Cfr. Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto, cit.

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e meridionale fu fissato a Ferrara, dove i convogli destinati a Firenze e Roma erano fatti proseguire per Bologna, quelli, invece, diretti a Napoli seguivano la linea adriatica Rimini-Ancona-Foggia.Nelle prime due settimane di novembre l’esodo di massa determinò a Na-poli il transito di circa 70 mila persone, mettendo in difficoltà la prefettura e l’amministrazione comunale.

L’arrivo dei profughi in città

Non solo le immediate retrovie del fronte, ma anzi, più spesso, le città lontane, Milano come Firenze, Torino come Bologna, e poi Roma, Napoli, fino alle città e ai borghi della Puglia, della Calabria e della Sicilia, videro riversarsi la marea umana di intere famiglie che avevano lasciato le zone di combattimento per sfuggire alla temuta orda teutonica, portando con sé null’altro che la disperazione e la paura19.

19 Angelo Bitti, “Corriere della Sera”, 4 Febbraio 2006.

Fig. 4 - La fuga da Caporetto

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Una nuova figura, difficile da catalogare, appariva nello scenario bellico: il profugo. Civili con bisogni, esigenze e comportamenti del tutto differenti dai soldati o dai prigionieri.Il conflitto rappresentò una tappa iniziale di un percorso di riflessione re-lativo allo status, alla tutela e all’asilo dei profughi. Le normative emanate durante la guerra ebbero un carattere emergenziale, motivate dalle necessità di assistenza immediata, ricerca di consenso e di controllo sociale20.Migliaia di esuli, dunque, soprattutto donne e bambini, scapparono dal Ve-neto, dal Trentino e dall’Alto-Adige, rifugiandosi anche nelle regioni dell’I-talia centro-meridionale. Una solidarietà nazionale che mise insieme italiani del Nord e del Sud e che la guerra aveva finalmente avvicinato in una sorta di comunione materiale, oltre che di spirito nazionale.L’arrivo fu salutato ovunque con manifestazioni patriottiche e con una mo-bilitazione generale per un’accoglienza decorosa e solidale.Napoli si trovava per la prima volta a misurarsi direttamente con le rovine della guerra e le drammatiche conseguenze della disfatta di Caporetto.Certo, l’eco delle vittime del conflitto, le battaglie sostenute al fronte, le sottoscrizioni per i soldati e l’istallazione delle batterie antiaeree avevano già fatto percepire alla città la difficoltà del momento.Il fragore delle armi ed il lamento dei feriti, però, non si sentiva. La guerra era lontana.Ai confini. Una percezione ovattata. Immediata, però, fu la risposta solidale della città e della sua provincia21.

20 Matteo Ermacora, Profughi, legislazione e istituzioni statali nella Grande Guerra, “DEP”, rivista telematica di studi sulla memoria femminile nn. 5-6, 2006. Il diritto alla tutela fu sancito solo dalla convenzione internazionale sui rifugiati, siglata nel 1951.21 Napoli, agli inizi del secolo, aveva già dato prova della sua capacità solidale e di assistenza, confermando di essere un punto di riferimento per le popolazioni meridionali e ribadendo il suo ruolo di “capitale” del Mez-zogiorno. Nell’aprile 1906 una violenta eruzione del Vesuvio coprì interamente la città di cenere, provocando la distruzione di molte abitazioni di Boscotrecase ed ingenti danni nei comuni di Portici, Ottajano, Cercola e Saviano (216 morti - 112 feriti). Oltre trentamila i profughi della provincia che, fuggiti dai centri colpiti, furono in gran parte accolti in città nei primi giorni dell’attività vulcanica. Appena due anni dopo, il 28 dicembre 1908, a Messina e Reggio Calabria si verificò un violento terremoto che danneggiò gravemente le due città. Migliaia i terremotati, tra feriti e profughi, che, trasportati anche con navi da guerra russe ed inglesi, furono accolti in città.

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Istituzioni, giornali, privati cittadini si mobilitarono per fronteggiare la drammatica situazione dei rifugiati, costituendo Comitati per la raccolta di fondi. Il quotidiano “Roma” in un articolo di fondo cercò di interpretare i senti-menti dei napoletani di fronte alla sventura del popolo friulano22:

[…] I primi profughi sono già tra noi, e Napoli, che fino a ieri ha vissuto ore di ansia e trepidazione, Napoli che nel dolore e la commozione profonda ha trovato parole di conforto, di incoraggiamento, di augurio per le nostre truppe valorose che con animo fermo e con fede incrollabile attendono ora il nemico alla gran prova. Napoli nostra non sarà seconda nell’opera di conforto per i friulani, per i fratelli nostri che l’aggressione tedesca ha cacciato dalle loro case, dai paesi loro. […] Noi vorremmo che la cittadinanza, con un nobile impulso, mostrasse a questi fratelli così duramente provati, tutta la sua profonda simpatia e solidarietà. E perciò cominciamo noi a versare un primo contributo di L. Cinquecento “Pro profughi friulani”.

Fin dai primi giorni la mobilitazione e gli appelli per i soccorsi si manifesta-rono nelle forme più disparate e genuine. “Il Mattino” del 2-3 novembre 1917 pubblicò un accorato invito del friulano Umberto Rodrigo, conte di Panerai:

Anche a Napoli, che tanto nobilmente sente e si commuove di tutte le sciagure delle altre città sorelle, sono affluiti i profughi del mio Friuli, della regione su cui s’è così im-provvisamente rovesciata l’orda nemica. […] A mezzo del suo giornale, chiamo a rac-colta i miei concittadini, quanti traggono origini o son vissuti nella combattuta regione, perché, a somiglianza di quello che sollecitamente s’è fatto a Roma, venga costituito un Comitato pro profughi del Friuli, per soccorrerli, per aiutarli, per sollevarli. […]

Un altro friulano, il prof. Arnaldo Piutti23, docente nell’università di Na-poli, inviò un appello indirizzato al direttore dello stesso quotidiano del 3 novembre:

22 “Roma”, I profughi friulani, 2 novembre 1917.23 Arnaldo Piutti (Cividale 23 gennaio 1857 – Conegliano 19 ottobre 1928) compì gli studi universitari a To-rino. Fu docente di chimica organica a Sassari ed a Napoli, dove fondò l’Istituto di chimica farmaceutica. Fece ricerche sulla radioattività minerale nella zona vesuviana e sui problemi degli aggressivi chimici nel periodo bellico. Dal 1905 fu anche prefetto dell’Orto botanico di Napoli e dal 1922 socio dell’Accademia dei Lincei. Pubblicò importanti studi sull’asparagina e sui suoi derivati.

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[…] Solo una cosa mi permetto di dirle a nome dei miei compatrioti, non avvezzi a stendere la mano, che essi chiedono sopra ogni cosa lavoro per rifare la propria vita.

Anche le istituzioni napoletane si attivarono immediatamente attraverso un coordinamento di tutte le prime operazioni di soccorso messo in atto dal prefetto Menzinger, mentre il Sindaco fece affiggere un manifesto che invi-tò i napoletani alla fiducia ed alla solidarietà24:

Cittadini!Nell’ora del grave cimento, uniti concordi e sereni con ogni forma di cooperazione noi dobbiamo sorreggere gli animi dei nostri figli, che combattono per contendere il suolo d’Italia alla irruzione dell’invasore. Non scoraggiamento, non tracotanza, ma la fede dei forti sarà sicura di successo. Ai sacrifizi già fatti altri dobbiamo aggiungere con saldezza di spirito, con larghezza di cuore. Non è solo con le armi che si vincono le grandi lotte della storia, ma con la serena fiducia, con lo spirito di sacrifizio, col più largo abbandono di sé.Cittadini!Questa serena fiducia, questo spirito di sacrificio noi dobbiamo ai nostri figli che com-battono; ospitalità ed aiuto ai nostri fratelli, profughi dalle terre invase.Un Comitato si costituisce contribuendo ad esso allevieremo sventure, faremo opera di solidarietà umana.In alto i cuori! Finché l’invasore s’accampa sull’italico suolo, un cuore, un’anima, una mente sola ha il popolo d’Italia!Dal Palazzo San Giacomo - 3 novembre 1917

Il Sindaco Enrico Presutti Lo stesso giorno l’autorità prefettizia emanò un decreto di costituzione del “Comitato provinciale di Patronato per i profughi” al fine di coordinare tutte le iniziative cittadine25:

Il Prefetto della Provincia di Napoli, ritenuto che occorre coordinare e varie iniziative che vanno sorgendo in questa Città e Provincia nella nobile gara di solidarietà nazio-nale per venire in aiuto dei profughi che dal Friuli sono qui indirizzati dal Governo; e

24 “Il Mattino”, Il manifesto del Sindaco, 4-5 novembre 1917. Lo stesso giornale il giorno dopo pubblicò, tra i tanti annunci di concreta solidarietà, la notizia: “Il sig. Ettore Pagliari, proprietario del “Modern Hotel” offre dieci letti completi, nella speranza che altri ne offra ed in quantità sufficiente per poter allogare in uno o più ambienti i poveretti che, oggi privi della loro casa, hanno bisogno, innanzi tutto di una casa”. 25 “Il Mattino”, Un decreto del Prefetto per coordinare le iniziative cittadine, 4-5 novembre 1917.

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che sia urgentissimo provvedere, decreta: E’ costituito un Comitato Provinciale di Patronato per i profughi sotto la presidenza del comm. Nicola Miraglia, Direttore Generale del Banco di Napoli, a far parte del quale sono chiamati: il Sindaco di Napoli, prof Presutti,il presidente della Deputazione Provinciale, comm. Liguori,il presidente della Camera di Commercio, comm. Mauro,il presidente del Comitato Regionale della Croce Rossa, comm. Jappelli, il comm. Antonio Mirabelli, presidente del Comitato per i profughi irredenti,il prof. Arnaldo Piutti, presidente del Comitato provvisorio friulano.

Napoli, 3 novembre 1917 Il Prefetto Menzinger Successivamente, data la difficoltà di reperire aiuti e dovendo estendere an-che ai comuni della provincia le attività di soccorso, furono nominati a far parte di questa commissione anche:

Bruno Cotronei (Provveditore agli studi), Giovanni Miranda (Presidente Congregazio-ne Carità), Emiddio Mele (Commerciante), Giovan Battista Comencini (Vice presiden-te Comitato Friulano), Giuseppe Liguori (Sindaco comune di S. Anastasia), Domenico Vitelli (Sindaco del comune di Boscotrecase), Gaspare De Martino (Unione Giornali-sti Napoletani) e Piero Picchetti26.

Intanto, gli inviti alla solidarietà, accompagnati dalla descrizione di episodi di grande spontaneità, continuavano ad essere pubblicati sulle colonne dei giornali cittadini,27:

Chi può offrir denaro lo dia. Chi non ha denaro e può porgere un indumento, lo porga. Dividiamo il nostro pane e le cose nostre con essi che ne mancano. Che vedano e tocchino la solidarietà nostra, nel dolore. […] Chi ha due pastrani ne offra uno, per l’inverno pros-simo. Se un fratello nostro ha freddo ed è senza pane, gli negheremo un po’ di fuoco, gli negheremo un cucchiaio di minestra ed un pezzo di pane? Essi i profughi, hanno sete d’a-more: dissetiamoli, riscaldiamoli del nostro alito, confortiamoli d’ogni nostra carezza. […]

26 BCP, Arnaldo Piutti, L’Opera del Comitato friulano “Pro Profughi” a Napoli, Stabil. Tipografico di Gennaro Cozzolino, Napoli, 1920.27 “Roma”, Ricerca di profughi, 5 e 8 novembre 1917. Lo stesso quotidiano nell’edizione dell’11 novembre uscì con un prezzo maggiorato (10 centesimi) per una sottoscrizione a favore dei profughi. Il ricavato della vendita del giornale fruttò L. 3000.

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L’offerta più nobile, più pura, più commovente ci è stata recata stamane. L’ha portata un uomo del popolo, un vecchietto dal grembiule turchino dei calzolai, curvo per gli anni e per l’ingrato lavoro, miseramente vestito. L’ha data con un gesto semplice: “per quei poveretti che non hanno più casa, ma che sperano di rivederla presto”. E ha de-posto un biglietto da cinque lire sul tavolo. Gli brillavano gli occhi per la commozione si che non ha trovato parole per rispondere al nostro ringraziamento e dopo un istante di esitazione ha presa la via dell’uscio. L’abbiamo richiamato perché ci dicesse il suo nome. Ha risposto: - A che serve? P’ ‘o mettere ncopp’ ‘o giurnale? Screvite N. N.28 Abbiamo dovuto quasi fargli violenza per saperlo. Egli si chiama Francesco Coppolino, e tiene il suo deschetto di calzolaio al n. 35 di Via Conte Olivares.

Dopo il disastro di Caporetto, appena avuta notizia dell’esodo doloroso dei friulani che fuggivano dalle loro terre e dalle loro città, il prof. Piutti riunì i pochi concittadini residenti a Napoli per formare un “Comitato friulano” che, conoscendo meglio l’indole, le abitudini e il linguaggio dei conterra-nei, potesse contribuire ad un aiuto morale e materiale, accompagnando le iniziative delle autorità, sia all’arrivo dei profughi in stazione che alla Casa degli Emigranti29.Questo gruppo si riunì per la prima volta, il 4 novembre, nei locali dell’Isti-tuto di Chimica farmaceutica al largo S. Marcellino, eleggendo presidente lo stesso prof. Piutti e come vice-presidente l’ing. Giovanni Battista Co-mencini. Il comitato si adoperò per sistemare i concittadini in alberghi o presso abitazioni private, elargendo i primi soccorsi con indumenti e latte per i bambini e si adoperò anche al collocamento dei profughi presso chi poteva dar loro lavoro e durevole occupazione. Naturalmente molti furono gli esuli che dovettero per i primi giorni dormire in posti di fortuna o nelle chiese cittadine.La ferrovia Circumvesuviana ed altre aziende napoletane assunsero nume-rosi fuggitivi insieme a molti commercianti che cercarono di dare un aiuto concreto dando lavoro a molte persone. Il direttore dell’Arsenale di Napoli riuscì a sistemare molti operai qualificati in stabilimenti gestiti direttamente dallo Stato o presso aziende private.

28 A che serve? Per metterlo sul giornale? Scrivete N. N.29 BSCM, Bollettino del Comitato Friulano di Napoli “Pro Profughi”, Napoli, 1917. La struttura di accoglienza giunse ad ospitare fino a 4000 esuli.

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Agricoltori, boscaioli, meccanici, muratori, manovali, braccianti e special-mente persone di servizio trovarono ben presto occupazione, anche nei limitrofi comuni vesuviani.

Davvero notevole l’opera svolta dal Comitato friulano che cercò di soppe-rire anche alle innumerevoli carenze delle pubbliche istituzioni.La stessa organizzazione per il soccorso ai profughi, chiese ed ottenne l’as-sunzione di alcuni esuli:

Il Prefetto di Napoli, in seguito a proposta fattagli dal Presidente del Comitato di co-stituire un gruppo di profughi di condizione civile e dotati di maggiore cultura (sindaci, segretari comunali, maestri, ricevitori del dazio, ecc.) al fine di venire in aiuto ai lavori del Comitato provvide a raccogliere tutti costoro colle famiglie in un unico centro, e destinò, a questo scopo, un albergo della Città. Questo gruppo, in numero di dodici,

Fig. 5 - Arsenale di Napoli (1917)

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con la loro opera disinteressata ed infaticabile, rende delicati ed importanti servizi, all’opera del Comitato medesimo nelle varie funzioni da esso assunte, relative alle di-stribuzioni di indumenti, alla raccolta anagrafica dei nomi, delle arti, delle provenienze etc., all’alimentazione […]30.

Una delle maggiori difficoltà fu quella di dare un alloggio degno a tanta gente, non avendo la “Casa degli emigranti” spazi e strutture per soccorrere tutti. Non poche furono le famiglie napoletane che, commosse dalle misere condizioni in cui versavano gli esuli, offrirono ospitalità nelle loro abitazioni. Grazie all’attività svolta dalla sig.ra Antonia Nitti, qualche tempo dopo, si costituì anche un “Comitato Femminile per il lavoro delle donne profughe” che ricevette un contributo di L. 30.000 dal “Giornale d’Italia”, investendo-lo nell’acquisto di macchine da cucire e creando laboratori sartoriali per la creazione di indumenti.Intanto il “Comitato Provinciale di Patronato”, presieduto dal comm. Mi-raglia, si riunì per la prima seduta il 7 novembre, nella sala della Direzione Generale del Banco di Napoli. Questo il resoconto della riunione pubblica-to da “Il Mattino” del 9-10 novembre 1917:

Il Prefetto fece una larga ed importante esposizione dei provvedimenti sollecitamente adottati e che si vanno adottando con aumentata intensità per porgere aiuto morale e materiale ai profughi che arrivano nella nostra città; ed espose minutamente l’azione che si svolse principalmente alla Stazione ferroviaria, dove si provvede a quanto può essere assolutamente indispensabile.A questa importante comunicazione seguì un largo scambio di vedute fra i componenti del Comitato e specialmente si discusse di quanto riguarda i profughi che rimangono in città e di quelli che sono qui di semplice passaggio. Su questo argomento autorevolmente intervenne il prof. Piutti cittadino di Cividale e rappresentante qui la regione del Friuli. […] Si deliberò di fare appello a cittadini e Comitati costituitisi di versare le offerte raccolte, al Banco di Napoli, perché il Comitato provinciale possa, con unico indirizzo, disporre dei fondi a beneficio dei più bisognosi. Fu riconosciuto che ora il bisogno maggiore e più urgente è quello dei letti ed indumenti e si fa perciò vivo e premuroso appello al pubblico di offrirne il maggior numero possibile.Il Comitato si riserva di indicare il locale nel quale coloro che li offrono possono depositarli.

30 Bollettino del Comitato Friulano …, cit.

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Malgrado i lodevoli tentativi di soccorso messi in atto, Napoli si trovò del tutto impreparata ad affrontare l’emergenza. La prefettura e l’amministra-zione comunale mostrarono limiti e incapacità d’intervento accompagnate dal disinteresse del locale Comando militare e delle autorità ecclesiastiche.

A Napoli continua l’emergenza

Arrivo profughi diventa valanga e minaccia sopraffarmi.Ne ho quattro mila stazione, laceri, sporchi, affamati,

indignati che rifiutansi proseguire.Sforzami far dare loro ristoro prima di ricoverarli in teatri,

chiese e sale concerto. […]In giornata dovranno arrivarne altri tredici treni,

con circa dieci mila.

11 novembre 1917 Prefetto di Napoli Menzinger31

Non solo esuli che si fermavano in città ma anche migliaia di fuggitivi che erano solo di passaggio per essere trasportati in altre regioni del Sud ed ai quali occorreva dare assistenza materiale e psicologica32:

Ieri sera dalla nostra città sono partiti per la Sicilia circa quattromila profughi diretti a Messina, da dove proseguiranno poi per le altre città della Sicilia.

Confusione e caos furono accompagnati da gesti di solidarietà successiva-mente raccontati da molti protagonisti33:

Quando a Dio piacque, arrivammo a Napoli.Stremati dalla stanchezza e dalla fame, avevamo urgente bisogno soprattutto di man-giare e di bere e, invece, appena scesi dalla tradotta, fummo rinchiusi in un cortile dove restammo molte ore, senza che ci venisse dato neppure un bicchiere d’acqua.

31 ACS, Copialettere, Prefetto di Napoli al Ministro dell’Interno, 11 novembre 1917. Cfr. Daniele Ceschin, Gli Esuli di Caporetto, cit. 32 “Il Mattino”, Partenza di profughi, 10-11 novembre 1917. 33 Ettore Bulligan, Diario della Grande Guerra, Comune di Lestizza, 1998.

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I bambini piangevano, gli adulti imprecavano, i militari di guardia al cancello cercavano di rassicurare la gente dicendo che si stava preparando per loro del riso, che era quasi cotto, che sarebbe presto arrivato, ma non si vedeva niente.Anche mio padre andò diverse volte a sollecitare i guardiani fino a che uno, impieto-sitosi, ci aprì un poco il cancello e ci fece uscire in strada con la raccomandazione di presentarci a una certa ora alla stazione per Avellino. In strada vedemmo un negozio dove si vendeva pane, mia madre entrò per comprarne ma i due gestori, una coppia di mezza età, risposero (non ricordo con precisione) che non ne avevano o che non ce lo potevano vendere perché tutto si comperava con la tessera e noi non l’avevamo.“E io cosa do da mangiare ai bambini?” chiese mia madre …Il negoziante si rivolse alla moglie: “Portali a casa nostra e fai loro una pastasciutta!”Ricordo che salimmo molte scale ed entrammo in una cucina, dove la donna ci preparò una pastasciutta, la mia prima pastasciutta! Mangiammo avidamente, poi mio padre volle pagare, ma la donna rifiutò il denaro e allora mio padre lasciò un po’ di soldi sotto il tovagliolo.

Molti i fanciulli e le giovani madri che furono ospitati nel brefotrofio dell’Annunziata per le prime cure ed i soccorsi necessari. Una delle categorie di profughi che subì maggiori disagi fu certamente quel-la dei bambini. La maggior parte di loro arrivò nelle destinazioni di acco-glienza del Mezzogiorno in condizioni pietose, dopo un viaggio estenuante e senza la possibilità di alimentarsi. Fu questo uno dei motivi che portò a smistarli per la maggior parte a Napoli e ad accoglierli negli istituti pii. Il giorno 12 novembre il Prefetto andò a far visita ai circa 600 profughi di Udine e Treviso ospitati nel brefotrofio napoletano34:

Accompagnato dal Sopraintendente, Comm. Di Lorenzo e dal Governatore Prof. Tro-peano, ha minutamente girato le sale dove sono il brefotrofio di Treviso e l’orfano-trofio di Udine, i reparti A e B dove sono madri profughe con bambini, la vasta sala adibita a refettorio e le sale tutte che accolgono tanti poveri derelitti. Di poi il Prefetto, accompagnato dal commendatore Di Lorenzo e dal professor Tropeano, è passato alla Stazione ferroviaria, dove giungeva un treno con altri bambini, circa cento di altro bre-fotrofio: anche per questi il Comm. Menzinger ha dato disposizioni affinché fossero accolti all’Annunziata.

34 “Il Mattino”, Il Prefetto visita i profughi nella S. Casa dell’Annunziata, 13-14 novembre 1917. Nei giorni suc-cessivi, precisamente il 27 novembre, anche il sottosegretario all’Agricoltura ed ex sindaco di Udine, on. Elio Morpurgo, visitò il brefotrofio per accertarsi delle condizioni dei ricoverati.

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La drammatica situazione degli esuli, ma soprattutto dei bambini, non ri-guardava solo la città e fu evidenziata da una circolare del Ministero dell’In-terno a tutti i Prefetti35:

Tra i profughi della regione veneta invasa dal nemico sonvi molti bambini e fanciul-li dispersi non che orfani sloggiati precipitosamente da asili ed Ospizi, privi talvolta d’assistenza o solo incompletamente assistiti da suore, da maestre o da estranei, che li hanno raccolti provvisoriamente per senso di umanità. A questi derelitti è necessario provvedere senza indugio e nella maniera migliore, sia sussidiando le persone che dia-no sicuro affidamento di assisterli convenientemente, sia ricoverandoli in brefotrofi, asili ed altre consimili istituzioni che provvedano o possano provvedere al manteni-mento, al ricovero e all’assistenza dei fanciulli. […]

Al fine di regolamentare la distribuzione e di evitare le speculazioni sugli alimenti di prima necessità, dal giorno 13, fu attivata dall’amministrazione comunale la “Tessera per la pasta” per i cittadini che erano già provvisti di quella per lo zucchero. Ogni tagliando del libretto dava diritto alla quantità di pasta spettante per tre giorni.

35 “Il Mattino”, Per gli esposti e per i piccoli profughi, 19-20 novembre 1917.

Fig. 6 - Profughi in fuga

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“Il Mattino” del 10-11 novembre 1917 nel darne notizia, tentò di sminuire la gravità della situazione: “Data, non diciamo la scarsità del genere perché non sarebbe esatto, ma la non sufficiente abbondanza dello stesso”.Ancora più esilarante fu una nota dell’“Agenzia Italiana” pubblicata due giorni dopo dallo stesso giornale, circa l’estremo rigore dei controllori dei treni nei confronti dei profughi sforniti di biglietto e che cercavano la sal-vezza: “A proposito poi del trasporto dei profughi ci sembrerebbe oppor-tuno che coloro i quali credono o vogliono abbandonare le località presu-mibilmente minacciate dal nemico, lo facciano per lo meno con ordine e consapevolezza”.Il 14 novembre si riunì il Consiglio provinciale di Napoli con la parteci-pazione straordinaria del Prefetto, che, dopo un’accorata introduzione del presidente Tommaso Senise, intervenne con altrettanta veemenza36:

Quel che a noi oggi deve sembrare più urgente e io ritengo sia uno dei coefficienti principali della resistenza interna, è il soccorso ai profughi, i quali giungono numerosi dalle infelici regioni del Veneto calpestate dall’invasore. Il movimento di ieri alla Sta-zione era di 20000 profughi.

Intanto continuava l’incessante opera di soccorso messa in atto dal prof. Giuseppe Tropeano, Governatore dell’Annunziata. Nella seduta del 14 no-vembre relazionò l’amministrazione del brefotrofio sui soccorsi prestati ai tanti profughi arrivati in città37:

Tropeano: Fui invitato dal Prefetto della Provincia a concorrere nel miglior modo al ricovero dei profughi del Veneto che fin dal giorno dieci corrente mese hanno in-cominciato ad affluire ed affluiscono tuttavia, in considerevole numero nella nostra Città. […] Seguendo tale criterio fondamentale, fin dalle prime ore in cui il bisogno si manifestò, furono ricoverate in Ospizio molte madri e moltissimi bambini destinando i varii ambienti disponibili con speciali ed opportuni criterii. All’arredamento in primo tempo è stato provveduto utilizzando tutti i lettini e tutte le culle disponibili, ordinan-do la riattazione di quelle messe fuori uso.Pel concorso volenteroso e sollecito del cav. Finzi e di altri e con l’autorevole inte-

36 “Il Mattino”, Una patriottica seduta al Consiglio Provinciale, 13-14 novembre 1917.37 Luigi Verolino, Giuseppe Tropeano …., cit.

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ressamento del Prefetto della Provincia, si sono avute a tutt’oggi N° 300 brande; N° 300 pagliericci; N° 300 guanciali; N° 600 lenzuola; N° 300 coperte. Si è provveduto all’acquisto di altre suppellettili indispensabili per tutti i più urgenti bisogni della nuova e numerosa famiglia ricoverata. […]Si sono istituiti appositi registri sui quali vanno notate le generalità di ogni ricoverato per quanto è possibile, poiché per molti, tale possibilità manca, trattandosi di bambini abbandonati o dispersi. Gli esposti del Brefotrofio di Treviso sono distinti dalla semplice medaglietta col nu-mero, mancando qualsiasi altra indicazione. Si sono potuti identificare i divezzi38 ap-partenenti a tale Brefotrofio e la massima parte di coloro che fanno parte dell’Ospeda-lino di Treviso, successivamente arrivato.

L’orfanotrofio napoletano, dunque, ospitò diverse centinaia di piccoli esuli, ma, ben presto Tropeano si rese conto che era necessario provvedere a una più dignitosa sistemazione e assistenza. La sventura di Caporetto richiedeva rimedi senza formalità e discorsi inutili. Bisognava agire. Individuò nella “Villa Dini” a Posillipo la struttura più idonea allo scopo e grazie ad un immediato decreto prefettizio di requisizione dell’immobile, diede inizio alle operazioni di ristrutturazione per far nascere l’ospedale “Per i bambini d’Italia”, che, pochi anni dopo diverrà l’attuale ospedale Pausilipon, primo ospedale pediatrico del Mezzogiorno:

38 Bambini che hanno raggiunto i 3 anni d’età.

Fig. 7 - Bambini profughi ospiti dell’ospedale

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IL PREFETTO DELLA PROVINCIA DI NAPOLI

Visto il telegramma ministeriale in data 14 corrente N. 29885 che autorizza il Prefetto a requisire con le forme e gli effetti, quanto alla determinazione delle indennità, delle requisizioni militari, alberghi, ville e tutto quanto occorra in via di urgenza per il ricove-ro dei profughi di guerra, ritenuto che molte migliaia di profughi sono già qui arrivati, molte se ne attendono e molte transitano tra cui trovansi numerosissimi bambini ai quali, pel grave disagio sofferto occorre apprestare cure speciali:Visto l’articolo 3° della legge com. e provinciale

DECRETA

1° - La Villa Dini a Posillipo, di proprietà dei fratelli Dini, Luciano e Adolfo, od a chiunque altro appartenga, è requisita nella sua totalità per apprestare ricovero ai bam-bini profughi che abbisognano di speciali cure.2° - Il Prof. Giuseppe Tropeano, con l’assistenza del Delegato di P.S. di Posillipo, è in-caricato della immediata esecuzione di questo decreto: di provvedere entro un termine brevissimo al funzionamento del ricovero: e di requisire tra gli oggetti mobili esistenti nella Villa, tutto quanto possa occorrere allo scopo, lasciando liberi al proprietario tutti gli altri oggetti mobili.Napoli, 17 novembre 1917 Il PREFETTO Menzinger

In pochi giorni le varie strutture situate a Posillipo, erano state trasformate dal professore in reparti ben arredati e pronti ad ospitare i fanciulli malati. Fra le tante manifestazioni reattive, quella di una creazione improvvisa, quasi fulminea di un Ospedale per bambini, rappresentava, senza dubbio una pagina interessante e caratteristica che Napoli scrisse nella prima guerra mondiale, un esempio clamoroso per l’Italia, tanto che il prof. Luigi Luz-zatti, tenendo conto dei giorni per la sua realizzazione, lo definì: “una delle più brillanti marce garibaldine nella nostra guerra”39.

Le iniziative a favore dei piccoli esuli si moltiplicarono e anche la socie-tà metallurgica Corradini si attivò erogando oltre 20 mila lire di sussidio

39 Luigi Verolino, Giuseppe Tropeano …, cit. Il 30 novembre i primi 100 bambini profughi ricevettero nel nuovo ospedale tutte le cure necessarie, mentre nelle settimane successive i posti letto salirono a 400. All’interno della struttura già funzionavano perfettamente molti servizi indispensabili: portineria, ambulanza, farmacia, cucine per bambini e personale, panetteria, dispense, guardaroba, lavanderia e refettori, sale operatorie e di medicature, guardia medica diurna e notturna, pediatria, chirurgia ed oculistica.

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e ospitando numerosi fanciulli nel “Nido dei bambini” a San Giovanni a Teduccio. L’asilo già ospitava “80 piccini i quali gratuitamente ricevevano alloggio, vitto educazione ed istruzione”40. Un “Nido dei piccoli profughi” fu, invece, aperto in piazza Vittoria grazie all’iniziativa di Maria De Sanna41, che organizzò l’asilo all’interno del suo prestigioso palazzo, con la preziosa collaborazione del cav. Davide Mele42.Intanto, il comitato friulano di Piutti, a seguito delle angosciose insistenze dei profughi, si occupò di raccogliere notizie per il ricongiungimento delle famiglie disperse, elaborando un vero e proprio censimento. Le attività continuarono frenetiche anche alla ricerca di fondi e donazioni: l’ex sindaco di Udine, on. Elio Morpurgo, offrì la somma di lire cinquemila, il corpo accademico della R. Università di Napoli, tramite il rettore Toda-ro Oglialoro, raccolse circa novecento lire per acquistare libri scolastici ai giovani profughi ed il direttore compartimentale delle Ferrovie dello Stato, comm. Forlanini, mise gratuitamente a disposizione alcuni locali nei quali fu sistemata la sede del comitato ed una cucina economica. Altri cospicui contributi furono versati dal capitano Thomas Mason della Croce Rossa americana, dalle Industrie Tessili Napoletane, dall’associazione Granaria Meridionale, dal comitato profughi di Roma, e da tantissimi privati cittadini. Il totale raccolto nei primi venti giorni di attività fu di lire 28174,95. Contestualmente molti furono i napoletani che misero a disposizione ap-partamenti per le famiglie friulane: Cimmino Paolo (alloggi per 12 per-sone), Duchessa di Marigliano (palazzo di 3 piani), ditta Bramante (9 ap-partamenti ammobiliati), consigliere comunale Beneventano (locali per 400 posti), Alfredo Campione, proprietario dell’Hotel Londres, (vitto, alloggio, assistenza medica per 37 persone) e tantissimi cittadini che presso le loro abitazioni ospitarono profughi43. Una convivenza naturalmente difficile e complessa, eppure non priva di

40 “Roma”, La Società Metallurgica Corradini pei profughi del Veneto, 17 novembre 1917. L’asilo fu fondato dall’ing. Andrea Corradini e gestito insieme alla sua signora.41 Figlia di Roberto De Sanna, tra i fondatori, nel 1899, della SME (Società Meridionale di Elettricità).42 BMF, “Il Giornale di Udine”, Il nido dei piccoli profughi, 7 aprile 1918. La testata giornalistica riprese le pub-blicazioni a Firenze dal 10 febbraio, con un’edizione del giovedì e della domenica. 43 Bollettino del Comitato Friulano, cit.

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quel senso di fratellanza, che, in qualche caso, fu rilevato anche nel racconto di chi quei giorni li aveva vissuti direttamente44:

A Napoli ci siamo trovati bene. Perché dicono che i napoletani sono ladri: perché non hanno industrie! Perché i napoletani a noi ci hanno aiutato tutti! […] Abitavamo in una casetta piccola con due vecchi, marito e moglie, lui era un ex cocchiere. Avevamo una camera per noi e la cucina era in comune, ma noi si mangiava per conto nostro, perché il napoletano ha un altro mangiare.

In quei terribili giorni di totale disperazione, i giornali cittadini assolsero anche il pietoso compito di pubblicare gli appelli degli esuli che, a migliaia, cercavano, figli, fratelli, genitori e parenti, di cui non conoscevano più la sorte45:

Giannina Forgiarini, maritata Biondi, da Udine, attualmente a Barra presso Napoli, via Citarella n. 10, chiede notizie di Giovanna Forgiarini sua nonna, che trovavasi con la famiglia di Giovanni Bussi a Genova.

Nell’Orfanotrofio di Porto salvo a Piazza S. Domenico Maggiore 9, sono stati tempo-raneamente ricoverati i due profughi di guerra minorenni Ovidio e Nevio Simeoni di Oderzo (Prov. Treviso). Essi hanno lasciata la mamma al capezzale di un cugino mo-ribondo per l’esplosione in una mano di una bomba che credeva già esplosa e perciò da lui raccolta. Cercano sapere dove trovasi la mamma loro.

Antonio Fiocco chiede notizie dei suoi 3 figli, smarriti in treno a Conegliano Veneto. I figli del Fiocco si chiamano: Virginia di anni 19, Leonardo di anni 13 e Saverio di anni 9. Chi può dare notizie è pregato inviarle all’indirizzo del signor Antonio Fiocco, presso il signor Giulio Morelli, Marina Nuova 20, Napoli.

Uno dei maggiori problemi che complicò l’attività assistenziale fu quello della dispersione degli esuli, innalzando notevolmente i costi per i soccorsi e impedendo una migliore qualità della vita degli assistiti.44 Camillo Pavan, L’ultimo anno della prima guerra. Il 1918 nel racconto dei testimoni friulani e veneti, 2004. Testimo-nianza di Oreste Pacquola, Iesolo, 28 giugno 1994. 45 “Il Mattino” e “Roma” dal 12 al 16 novembre 1917. Migliaia furono le richieste di notizie pubblicate sui quotidiani napoletani. Nel testo ne vengono riportate solo alcune che assumono un particolare significato espli-cativo del momento vissuto ed una particolare rilevanza emotiva.

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Dispersione durante la fuga e il concitato viaggio, dispersione nell’indiriz-zarli alle diverse località di accoglienza con nuclei familiari divisi e comunità separate in borghi e province lontane.Intanto, il 16 novembre, si costituì il Comitato parlamentare veneto per l’assistenza ai profughi con sede in Roma in piazza S. Marco, palazzetto Ve-nezia. L’attività di raccordo della nuova istituzione consistette nel censire e coordinare tutte le organizzazioni di soccorso in Italia, le amministrazioni, gli enti pubblici, la Cassa di risparmio, il Monte di pietà e altri istituti delle regioni invase. Il Comitato, inoltre, pubblicò un bollettino contenente noti-zie e una rubrica alfabetica dei profughi che si cercavano46.Le manifestazioni di solidarietà continuarono con slancio in tutta la città e nei primi giorni di dicembre fu inaugurato a Posillipo un nuovo ricovero ricavato dalla trasformazione della Casa dei Frati Bigi. La struttura, dotata di autonoma cucina, accolse cinquanta profughi tra donne e bambini.L’Unione industriale napoletana si prese carico di sovvenzionare, come richiesto dal prefetto al presidente Capuano, l’assistenza di trecento esuli ospitati in due ricoveri.Il 2 dicembre, alla presenza delle massime autorità cittadine, furono inaugu-rati i Magazzini dell’economato all’interno della Galleria Umberto. I locali, debitamente trasformati, erano circondati da scaffali che contenevano il materiale raccolto per la distribuzione ai profughi: “10 mila camicie, 5 mila paia di calze, 3 mila guanciali, 1000 coperte e così via”47. Una settimana dopo fu organizzato un grande spettacolo di beneficenza al Teatro San Carlo con un ricco programma a cui parteciparono gratuita-mente gli artisti, il coro e le maestranze della struttura e con l’adesione di due giovani poeti dialettali: Murolo e Trilussa48. A circa un mese di distanza dalla disfatta di Caporetto la città, che ospitava ormai più di quindicimila esuli, aveva messo in campo tutta la sua capacità solidale e il quotidiano “Roma” del 17 dicembre ne celebrò i fasti:

46 “Il Mattino”, Il Comitato parlamentare veneto, 17-18 novembre 1917.47 “Roma”, Per i Profughi - L’inaugurazione dei magazzini dell’Economato, 3 dicembre 1917. 48 “Il Mattino”, Il gran concerto per i profughi al “R. Teatro San Carlo”, 29-30 novembre 1917.

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A Napoli - dicevano - la guerra non si vede; il Mezzogiorno è lontano dal campo di battaglia; il rombo del cannone non si propaga sino alle sponde del Sebeto. […] Ebbe-ne, lo spettacolo di coscienza patriottica, di attesa fiduciosa, di fede e di consapevolez-za civile che offre il popolo napoletano ci colma di fierezza.

Continuava l’enfasi retorica che spesso accompagnò le questioni dei profu-ghi e degli avvenimenti bellici.Lo stesso quotidiano, però, la settimana successiva non mancò di rilevare la mancanza di mezzi di sostentamento per gli esuli, denunciando l’assenza di contribuzioni da parte di alcune banche e di industrie:

Ormai possiamo ritenere come nostri ospiti i quindicimila e più profughi rimasti a Napoli dappoichè è completato l’istradamento di coloro che dalle terre invase giun-gevano fra noi per essere inviati nei varii centri della provincia. […] Ma il compito non è assolto. I quindicimila e più profughi qui istallati ricevono dal Governo una lira al giorno per il vitto ed altri cent. 50 se debbono pagare l’alloggio. Di leggieri si comprenderà che non si mangia, né si dorme con una somma così meschina in questi tempi di rincaro […] Abbiamo tra noi industrie florentissime che con la guerra hanno fatto lauti guadagni in forniture ed altro. Ebbene, queste hanno ottemperato al loro dovere versando qualche centinaio di lire. […] Vi sono Banche che hanno sottoscritto per ingenti somme a Roma, a Milano, ecc. senza pensare che il Comitato Provinciale, il quale deve provvedere ai profughi residenti a Napoli, non potrà usufruire delle vistose offerte fatte altrove.

L’anno 1917 si chiuse con una festa nel periodo natalizio per i piccoli esuli friulani, organizzata dall’Unione Regionale Industriali nell’ex Hotel Moder-ne a Santa Lucia e nel circolo Svizzero Museum a Pizzofalcone49.

49 “Il Mattino”, La festa di Natale nei ricoveri dei profughi dell’Unione Regionale Industriale, 27-28 dicembre 1917.

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Napoli 1918

A distanza di pochi mesi dalla disfatta, le attività di soccorso in città erano ormai affidate alle pubbliche Amministrazioni, al Patronato provinciale di-retto dal comm. Miraglia, alla Croce Rossa italiana e americana, a poche al-tre organizzazioni di volontariato e al Comitato friulano “Pro Profughi” del prof. Piutti. Quest’ultima associazione continuò instancabilmente l’opera di assistenza, facendo funzionare dal 5 gennaio 1918 la “Cucina Economica per i profughi”, nei locali gratuitamente concessi dalle Ferrovie dello Stato al corso Garibaldi n. 394, distribuendo razioni di polenta, pane, minestre e carne. L’amministrazione contabile era tenuta dal sig. Scaramelli, già cassie-re della ditta Amman di Pordenone50. Negli stessi locali fu attivato anche l’asilo infantile “Patria del Friuli” per ospitare 50 bambini, ai quali la cucina forniva due pasti: a mezzogiorno di minestra, frutta e pane, la sera di latte e polenta. La struttura era gestita dalle maestre Baldo e Doro, profughe come il resto del personale51. Questa lo-devole iniziativa fu patrocinata dall’Associazione Nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia52 e dal Comitato pei Profughi di Roma.Se la sistemazione iniziale dei rifugiati poteva essere corrispondente agli im-mediati e urgenti bisogni, per l’arrivo tumultuoso e numerosissimo nei primi giorni dell’esodo, col passare dei mesi si era dimostrata del tutto inadeguata.Malgrado gli sforzi profusi e le tante attività messe in campo dagli Enti pubblici e dalla solidarietà dei privati cittadini, le condizioni degli esuli era-no diventate davvero difficili e le lamentele alle autorità di Governo si sus-seguirono per lunghi periodi. La mancanza di condizioni abitative decenti, la scarsa alimentazione, l’impossibilità di lavorare e l’insufficiente assistenza economica e sanitaria furono l’oggetto delle insistenti proteste.

50 IVSLA, Lionello Hierschel de Minerbi, Relazione di una visita ai profughi di guerra in Napoli ed Aversa, 2 maggio 1918. La cucina nei mesi di marzo e di maggio, periodi nei quali il pane scarseggiò, distribuì fino a 1150 razioni di polenta al giorno. 51 “Roma”, 3 maggio 1918.52 L’associazione fu fondata nel 1910 con la presidenza onoraria di Pasquale Villari e quella effettiva di Leo-poldo Franchetti. Eretta in Ente morale con R.D. n 218 del 5-3-1911, impegnò le energie dei massimi esponenti del meridionalismo italiano, da Fortunato a Salvemini, da Croce a Lombardo Radice e Zanotti Bianco, da Com-pagna a Romeo, da Rossi Doria a Cifarelli.

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Biagio Cussigh, profugo di Tarcento, era ricoverato presso l‘Ospizio dei poveri e il 22 gennaio inviò al “Comitato parlamentare veneto” una missiva di protesta in cui si lamentava delle sue miserabili condizioni di vita, della difficoltà a ricevere assistenza da parte dei Comitati e della presenza di “profughi agiatti” ai quali, invece, era tutto dovuto53. In realtà l’assistenza materiale agli esuli era stata delegata ai Prefetti ed alla Pubblica Sicurezza attraverso l’elargizione di sussidi ordinari (per spese di mantenimento) o straordinari (per esigenze immediate). Non esisteva, co-munque, una uniformità di contribuzione, sia per la differente composi-zione sociale dei fuggitivi, sia per la notevole diversità dei prezzi di generi alimentari da un luogo all’altro della nazione. Una circolare del 10 gennaio 1918, nell’intento di regolare l’opera di assi-stenza, aveva fissato una sovvenzione di 2 lire per le persone sole, di 3,60 lire per le famiglie di due persone, di 4,50 lire per quelle di tre, mentre per le famiglie da quattro a sei membri il sussidio doveva essere di 1,25 a testa. Tali contribuzioni erano ridotte o eliminate se l’esule, lavorando, avesse percepito fino a 6 lire giornaliere54. Il procedimento di revisione degli stanziamenti avveniva a cura dei Patronati che disponevano dell’elenco dei profughi e conoscevano la situazione locale.Proprio a Napoli tra i ferrovieri esuli assunti in azienda, si verificò una di-sparità di trattamento, perché alcuni ricevevano il sussidio mentre ad altri fu negato.La necessità di un più attento esame della situazione in città ed in provincia, determinò una prima ispezione parlamentare55 condotta dall’on. Bartolo-meo Bellati dal 28 gennaio al 4 febbraio 1918.La relazione evidenziò sia gli aspetti positivi che una serie di gravi carenze:

Dovunque si è notato un’eccessivo nocevole ed in molti luoghi impressionante affol-lamento: vi è anche promiscuità di sessi. […] Il vitto che si da in natura nei ricoveri amministrati da enti sorti localmente o da opere pie, in alcuni luoghi è discreto in altri

53 Daniele Ceschin, Gli esuli … cit.54 ACS, Alto Commissariato per i profughi di guerra, circolare n. 3, prot. n. 12100 - 1 - 3A.55 ISVLA, Ispezione sulle condizioni dei profughi di guerra compiuta a Napoli e d’intorni dall’on. Deputato Bartolomeo Bellati, assistito dal rag. Tommaso Soria, Roma, 5 febbraio 1918.

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addirittura insufficiente all’alimentazione di persone rese debilitate dalle sofferenze e da-gli strapazzi e privi di denaro o di altre risorse per supplire con mezzi propri al deficiente regime dietetico cui sono sottoposti. Ne da prova l’aspetto di patimento, di vero deca-dimento organico che ho notato qua e là specialmente nelle donne e nei bambini. […]Vivissime sono le lagnanze non solo dei profughi ma anche degli stessi amministratori dei ricoveri per la mancata od insufficiente fornitura di vestiarii, effetti di biancheria e di calzature.

Il successivo 2 maggio l’on. Lionello Hierschel de Minerbi, deputato al Par-lamento, fece di propria iniziativa, una visita ai profughi di Napoli e Aversa, inviando una relazione al governo56.Il rapporto, tra le tante insufficienze riscontrate, segnalò la necessità di isti-tuire commissioni di vigilanza interne ai patronati, per “recarsi non solo nei soliti ricoveri ufficiali […] ma anche visitando, ovunque, tutte le famiglie collocate presso privati”. Le allarmanti carenze indicate nelle due indagini fecero emergere la neces-sità di una più approfondita analisi sul territorio, attraverso la costituzione di un’apposita Commissione57, sempre guidata dall’on. Bellati, che venne nuovamente a visitare Napoli e la sua provincia dal 5 al 15 maggio 1918. La delegazione ispettiva eseguì con accuratezza una serie di sopralluoghi ai vari ricoveri della città:

Ricovero S. Margherita a Fonseca Dava ospitalità a 200 profughi. I locali erano molto affollati e si trovavano in una zona angusta. Molte lamentele furono fatte circa la qualità dell’ali-mentazione che era stata assegnata in appalto. Fu riscontrato che gran parte del cibo della sera precedente non era stato consumato (fagioli neri), perché non gradito, sempre eguale e scarso di condimento. Altri reclami per l’in-

56 Lionello Hierschel de Minerbi, Relazione …, cit. Il conte Lionello Hierschel de Minerbi, eletto deputato al Parlamento per il collegio Palmanova - Latisana nelle legislature 1909 -1919, fu un attivo esponente della imprenditorialità triestina.57 IVSLA, Relazione della Commissione incaricata dall’Alto Commissariato per i profughi di guerra e dalla Direzione Genera-le della Sanità Pubblica di visitare i vari raggruppamenti di profughi esistenti in Napoli e provincia, Napoli, 15 maggio 1918. Membri della Commissione: On. Deputato dott. Bartolomeo Bellati, Colonnello Prof. cav. Guido Berghinz (Alto Commissariato per i profughi di guerra), Comm. dott. Ungaro Goffredo Ispettore generale, Dott. Eschilo Della Seta (Direzione Generale di Sanità Pubblica).

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sufficienza di indumenti, specie per i bambini. Si propose che il locale fosse sgomberato, magari tenuto a disposizione per ricovero provvisorio in caso di necessità impellente. Ospizio S. Gennaro extra MoeniaOspitò per poco tempo 93 profughi, poiché la Prefettura fece abbandonare il locale.

Ex scuola tecnica S. Maria a VertecoeliLa struttura, istituita all’interno dell’ex scuola Caracciolo, ospitava circa 300 esuli. L’organizzazione interna era costituita da un efficiente comitato della Croce Rossa. Esisteva una dispensa che forniva i prodotti ad un prezzo molto conveniente e anche l’assistenza medica era attiva ma si dovevano pagare i medicinali. Il locale era inadatto, specialmente il primo piano. Si suggerì lo sgombero, ma per valersi dell’opera preziosa e degna del mas-simo encomio del Comitato direttivo, si auspicò che alla stessa istituzione fosse affidata la direzione di altro ricovero.

Ricoveri amministrati dal Comitato “Pro Veneti del Partito democratico Costituzionale” L’organizzazione in questi tre ricoveri, come pure l’assistenza morale e ma-teriale, era di ottimo livello e degna di lode. L’amministrazione ere tenuta dal comm. Enrico Carbone, coadiuvato dall’avv. Pasquale Dorsa. L’acqui-sto degli alimenti, invece, era fatto all’ingrosso da parte del Patronato, pre-sieduto dalla sig.ra Assunta Girardi. Le tre strutture di soccorso erano:

RosaRiello a Medina - Accoglieva 110 profughi. Le condizioni dell’abitato erano buone e i rifugiati erano tutti occupati, tranne le madri che dovevano attendere ai loro piccoli. Mancanza di indumenti e scarpe.

ConCezione a MonteCalvaRio - La struttura era in buono stato e ospitava 122 esuli, pochi quelli che lavoravano. Annesso al ricovero, esisteva un Po-liambulatorio gratuito per i bambini, organizzato e mantenuto a spese di un Comitato di commercianti. Funzionava anche per i bambini dei profughi di tutti gli altri asili di Napoli. Si praticava assistenza medica, chirurgica, laringoiatra e oculistica. Ottima istituzione.

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RiCoveRo splendoRe58

Accoglieva circa 130 esuli e i locali erano in buone condizioni. Il ricovero aveva uno spazioso giardino di proprietà delle suore ma che era opportuno destinare a luogo di ricreazione dei numerosi bambini dei profughi.

Bambin Gesù all’OlivellaLa chiesa, fondata tra il XVII e il XVIII secolo, ospitava nell’annesso monaste-ro 60 profughi. L’abitato era spazioso ed in grado di accogliere altre famiglie.

Istituto dell’Annunziata59 Accoglieva circa 80 profughe con bambini. Generale il malcontento per lo stato di abbandono in cui erano state lasciate e per l’alimentazione che ve-niva fornita, scarsa e costituita a giorni alterni da baccalà e aringhe. Carente anche l’assistenza sanitaria. Scarsa somministrazione di indumenti. Anche la Superiora confermò queste notizie. Si propose lo sgombero.

Albergo de’ PoveriDava ospitalità a 34 profughe orfane di Udine, tutte giovinette dagli otto ai sedici anni. Condizioni dell’abitato e assistenza morale e materiale ottima. L’istituto potrebbe forse accoglierne un maggior numero.

R. Riformatorio FilangieriErano 38 i ragazzi dell’Orfanotrofio “Turazza” di Treviso ospitati nella struttura. Condizioni dell’abitato e assistenza generale ottima. La Commis-sione rilevò il disagio morale proveniente dal fatto che i profughi non cor-rigendi erano mescolati e vivevano in comune con i corrigendi. Si suggerì che tali esuli fossero destinati ad altro istituto di arti e mestieri in Napoli e si fece presente questo desiderio al Signor Prefetto. Non esistendo in città strutture che avrebbero potuto accogliere i giovani dopo i dodici anni, la Commissione auspicò che l’Istituto Turazza fosse ricostituito con locali, amministrazione e laboratori propri.

58 Il ricovero era posto nel vecchio Monastero di S. Maria dello Splendore (1592), nel quartiere Montecalvario.59 Da non confondersi con il brefotrofio dell’Annunziata, diretto dal prof. Giuseppe Tropeano.

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Locali FerroviariOspitavano varie famiglie di ferrovieri. C’era una disparità di trattamento, perché alcune ricevevano ed altre no il sussidio alimentare pur trovandosi nelle stesse condizioni economiche.

Luogo di ristoro della stazioneFunzionava sempre egregiamente per fornire pasti ai profughi in arrivo o di passaggio. Era gestito dai marinai della R. Marina.

Palazzo Salsi (Trianon)Questo locale, segnalato in pessime condizioni strutturali, era stato già sgomberato.

Villa Dini a Posillipo L’istituto “Per i bimbi d’Italia” aveva ricoverati 130 bambini, di cui 40 esposti di Treviso. Nella struttura vi era ancora larga disponibilità e nella visita ai vari Ricoveri di Napoli e provincia furono trovati molti bambini che avrebbero avuto bisogno per la loro salute delle cure e del soggiorno in questa struttura. Si raccomandava che fosse stata facilitata anche l’ac-cettazione di quei bambini che non volevano distaccarsi dalle madri e, quindi, in casi speciali, potevano essere accolte loro stesse per aiutare nei soccorsi. Si auspicava, inoltre, che nella scelta del personale di assistenza, si preferissero delle donne venete che meglio potevano comprendere e farsi capire dai bimbi.

Ospizio Marino di Padre Ludovico da Casoria a PosillipoAccoglieva 56 profughi, fra madri e bambini. L’assistenza da parte del co-mitato di Posillipo, presieduto dal principe Colonna e di cui era parte attiva anche il prof. Moro e sua moglie, era davvero eccellente. L’organizzazione era ottima sotto ogni profilo, tanto che il comitato stesso pur fornendo ai profughi un vitto buono e abbondante era riuscito a realizzare delle eco-nomie che andavano a beneficio degli esuli stessi.

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Hotel VictoriaEra stato organizzato dalla Croce Rossa americana60. Ospitava circa 300 rifugiati assistiti ottimamente. All’interno della struttura avevano istituito un laboratorio sartoriale in cui lavoravano circa 80 profughe, guadagnando fino a L. 2,40 al giorno. La delegazione americana impiantò anche delle Cucine economiche che distribuirono razioni anche ai poveri della città. Tutti i generi alimentari erano importati dall’America per non sottrarre alla popolazione di Napoli i già insufficienti prodotti locali. Era funzionante anche un’infermeria, diretta dal dott. Carl Ramus, per cure mediche e distri-buzione di medicinali.L’organizzazione incarnava il principio ispiratore delle opere filantropiche ne-gli Stati Uniti, “aiutare la gente ad aiutarsi”. L’iniziativa, però, fu ostacolata dal Prefetto della Croce Rossa Italiana che si oppose all’esposizione della bandiera americana all’interno dei locali, perché non poteva essere mantenuto alto il sentimento di italianità se per gli aiuti bisognava dipendere dagli stranieri61.

Numerosi altri ritrovi, pur presenti in città, non furono presi in considera-zione dall’Ispezione per mancanza di tempo e per l’urgenza degli interventi da mettere in campo.

La sistemazione dei profughi nella provincia di Napoli

Non solo il capoluogo campano dovette dare un supporto logistico e vitale agli esuli, ma anche l’intera Provincia fu messa alla prova, con risultati tal-volta eccellenti e altri del tutto insufficienti.Globalmente il territorio napoletano ospitò circa venticinquemila profughi ma solo 13.095 furono rilevati dal censimento del novembre 1918 richiesto dal Ministero per le Terre Liberate62. La disparità delle cifre è dovuta so-

60 “Messaggero”, La Croce Rossa Americana a Napoli, 27 marzo 1918.61 Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto, cit.62 Ministero per le Terre Liberate, Censimento dei profughi di guerra, Tip. Ministero dell’Interno, Roma, 1919. Questa rilevazione statistica rappresentò solo un’istantanea della dislocazione degli esuli, facendo emergere che nell’Italia me-ridionale ne furono ospitati poco più di 70.000, in gran parte raggruppati in Campania ed in Sicilia. Il censimento de-terminò per le province campane i seguenti dati: Napoli (13095), Caserta (12235), Benevento (3277) e Salerno (3223).

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prattutto alla mobilità dei rifugiati che, spesso si riunivano a parenti ospitati in altre regioni del Paese e al fatto che molti di essi avevano già iniziato a ritornare alle terre natie. Spesso per la sistemazione non si era tenuto conto del loro luogo d’origi-ne, né delle loro abitudini di vita, con la conseguenza che molti contadini furono alloggiati in città, mentre chi apparteneva a popolazioni urbane, fu ospitato in comuni rurali. In generale la condizione economica degli esuli, che per gran parte faceva-no parte della classe agricola, era giudicata di gran lunga superiore a quella delle classi medie delle popolazioni locali, sia per il trattamento che riceve-vano come vitto e alloggio, sia per il denaro che avevano portato con loro o ricevuto come sussidio. L’apertura, poi, di spacci esclusivi per i profughi peggiorò la situazione. In realtà, al di là delle buone intenzioni, spesso le condizioni materiali delle popolazioni locali non consentivano di fatto alcuna forma di solidarietà, anche indotta63.La Commissione parlamentare, diretta dall’on. Bartolomeo Bellati, come già aveva fatto per Napoli, esaminò le condizioni in cui vivevano gli esuli di molti comuni della provincia64:

Dai dati raccolti verbalmente alla Prefettura di Napoli risulterebbe esistenti nella provincia di Napoli circa 20.000 profughi e assistiti dalle autorità governative, sia raccolti in ricoveri, sia sparsi nella città o nei comuni, ma sussidiati. Una cifra più esatta non è dato potere esporre per mancanza del regolare censimento la cui utilità la Commissione crede opportuno fare presente. […] Si è constata ancora, sia in Napoli che in provincia, l’occupazione di locali inadatti per ristrettezza degli ambienti, deficenza di luce e aria, pessima condizione delle latrine, ecc. talché verrà proposto lo sgombero o il riattamento di alcuni di essi. […] È però pur doveroso rilevare che in taluni paesi (p. e. Piano di Sorrento, Castellammare di Stabia, Marano, ecc.) e in taluni ricoveri (p. e. Vertecoeli a Napoli, Ospizio Padre Ludovico da Casoria a Posillipo, ecc.) l’opera sia delle autorità locali, sia dei comitati di assistenza, si è mantenuta costante e merita perciò tutto il plauso e la riconoscenza.

63 Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto, cit.64 Relazione della Commissione incaricata, cit. Molti comuni della provincia, pur ospitando un considerevole nume-ro di profughi, non furono visitati dalla delegazione.

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Però, la commissione ha dovuto constatare la deficenza o addirittura la mancanza dell’o-pera di assistenza e di tutela in vari luoghi visitati, (per esempio Boscotrecase, Ottajano, Pomigliano d’Arco, Somma Vesuviana, Torre del Greco, ecc.) e a ciò corrisponde paral-lelamente il disagio materiale dei profughi, il loro malcontento, lo spirito di insofferenza per la mala sorte che li ha compiti, che invece meglio provvisti, più soddisfacenti si mo-strano colà ove sono sorretti e guidati dalla fede e dall’aiuto di chi li assiste. In tali luoghi è anche maggiore l’affiatamento tra i profughi e le popolazioni locali.

TORRE DEL GRECO (300) Risiedevano in questo comune circa 300 profughi, dei quali un centinaio sparsi nelle ville in contrada Cappuccini, e 165 circa raggruppati nell’ex convento di S. Teresa. In quest’ultimo locale gli esuli erano piuttosto am-massati, ogni cella (m. 3.20 x 3.20) ospitava in media cinque profughi tra grandi e piccini. La Commissione suggerì che fossero imbiancati tutti i locali, che qualche cella fosse trasformata in cucina, che fossero riparati i pavimenti, le latrine e la conduttura dell’acqua. Occorreva però allontanare delle profughe di “condotta non buona”. Altro gruppo di profughi, invece, era ricoverato in alcune stanze dell’Hotel “Santa Teresa”.I locali erano in buona condizione, ma gli ospiti troppo numerosi.

Fig. 8 - Torre del Greco - Pensione S. Teresa

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Spesso si lamentavano della mancanza di indumenti e di oppressione mora-le da parte del personale dell’albergo il cui proprietario era austriaco. A Tor-re del Greco fu pure riferito di disaccordi fra la popolazione e i profughi. Il successivo censimento del novembre 1918 rilevò la presenza di 328 esuli.

TRECASE (192) Ospitava circa 70 famiglie. Gli esuli erano distribuiti in appartamenti del paese. Le condizioni dell’abitato erano sufficientemente buone. Razionati gli alimenti, come per i paesani, distribuiti in un apposito spaccio. Un epi-sodio di particolare interesse accadde nell’aprile 1918 con l’espulsione di Francesco Cattonar, internato di Monfalcone, per aver fatto propaganda contro la guerra65.

BOSCOTRECASE (1700) Distribuiti in diverse case del comune. A Boscotrecase dimoravano anche 150 trentini e triestini fuggiti da Pesaro a causa del terremoto66, pare fossero trascurati più degli altri nella distribuzione degli indumenti. Per gli alimenti esisteva la tessera, ma assai spesso venivano venduti a prezzi eccessivi (po-lenta con semola a L. 1,25 il chilo; olio a L. 7,50 il litro; petrolio a L. 1,50 il litro) mentre in paesi molto vicini gli stessi generi erano venduti a prezzi più contenuti. Molti profughi dovevano, se volevano rifornirsi del necessario, recarsi nella vicina Torre Annunziata67. A seguito di dissidi con i bottegai locali ci furono molte proteste da parte degli esuli che, tra l’altro, erano costretti ad alzarsi all’alba per aspettare l’apertura dei forni davanti ai quali spesso si verificarono scontri con la popolazione locale.Si tenga conto che Boscotrecase, aveva una popolazione di circa 8500 abi-tanti68 e che l’arrivo di 1700 rifugiati (circa il 20% dell’intera cittadinanza), in un periodo di grande penuria alimentare, necessariamente determinò disagi

65 ACS, Segretariato generale per gli affari civili, b. 13, 4 aprile 1918. Cfr. Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto, cit.66 Il 26 aprile 1917 la zona dell’alta valle del Tevere fu seriamente colpita da un sisma di magnitudo 5,8 della scala Richter.67 Torre Annunziata ospitò 109 profughi che, nel 1918, furono duramente colpiti dall’influenza spagnola. L’assistenza medica fu carente e mancavano i medicinali68 Stefania Martuscelli, La popolazione del Mezzogiorno nella statistica di re Murat, Ed. Guida, 1979, Napoli.

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e grandi difficoltà. La partecipazione del sindaco Domenico Vitelli al “Co-mitato Provinciale di Patronato per i Profughi” di Napoli, certamente influì sulla notevole quantità di esuli presenti nel comune. Sulla precaria situazione di Boscotrecase fu tenuta una lunga conferenza col sottoprefetto del Circondario a Castellammare di Stabia il giorno 11 maggio.Il funzionario convenne nel riconoscere che le cose non procedevano bene, riferendo di aver fatto eseguire recentemente un’inchiesta dal Commissario cav. Cocchi che fece emergere la disorganizzazione di quell’amministrazio-ne comunale e dall’assenteismo del Sindaco. Da tutto ciò derivava pure la mancanza dei rifornimenti, generale per tutto il paese. Si propose, ove gli approvvigionamenti fossero stati concessi in quantità sufficiente, di istituire, come già esisteva a Castellammare, una rivendita di generi alimentari a uso esclusivo dei profughi.Si stavano, inoltre, prendendo accordi con la Prefettura di Napoli per la co-stituzione di un Patronato, comitato che sarebbe stato presieduto dal Pre-tore e di cui, fra gli altri, avrebbe fatto parte anche il cav. Menassi, persona nota a uno dei membri di questa Commissione parlamentare come onesto e valente amministratore della cosa pubblica. Il numero dei rifugiati diminuì col passare del tempo e nel novembre 1918 ne furono censiti 1125.

MADONNA DELL’ARCO (42)Ospizio Elena D’Aosta Accoglieva 42 profughi anziani, già ricoverati in istituti simili nel Veneto. Le condizioni di assistenza, specie per quanto riguardava l’alimentazione, erano buone. Ciascun esule riceveva caffè nero e latte al mattino, pane e frutta per colazione; nel pomeriggio minestra e carne tre volte la settimana, ovvero legumi e formaggio. Condizioni dell’abitato buonissime, assistenza morale da parte delle suore ottima. Rispetto ad altri comuni della provincia, Sant’Anastasia vide aumentare progressivamente la presenza dei rifugiati (402 nel novembre 1918). Come per Boscotrecase, il considerevole numero di esuli fu, probabilmente, la conseguenza della presenza del sindaco Giu-seppe Liguori nel Comitato pro profughi di Napoli.

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Lo stesso sindaco si adoperò per costruire aule scolastiche per i piccoli esiliati.

SOMMA VESUVIANA (700)Il comune ospitava i rifugiati in ricoveri pubblici e nelle case del paese. L’assistenza generale era insufficiente e le relazioni con la popolazione non erano cordiali. I medicinali prima gratuiti poi non lo furono più. I generi alimentari carissimi (olio a L. 10 al litro).

Locale del Municipio Ne accoglieva circa 100. In ogni locale vivevano 6-7 profughi, in altri l’af-follamento era minore. Latrine sudice, pavimentazione sconnessa, mancan-za di brande e di lenzuola. Data, però, la salubrità del luogo e la posizione ridente in cui il ricovero si trovava, occorreva risanare il locale imbiancando alcune celle, riparando le imposte e sistemando i pavimenti.

Ex Convento S. Maria del Pozzo.Alloggiavano 154 esuli per la maggior parte d’oltre confine. Buona assisten-za morale da parte del padre Corrado, rettore della Chiesa. Le condizioni dell’edificio erano pessime e, vista anche la promiscuità col Macello pubbli-co, se ne propose lo sgombero.

Villa PernaAlbergava qualche famiglia; alquanto numerosi i profughi per ogni stanza, però vi era buona ventilazione ma insufficienza d’acqua.

Casa delle Suore AlcantarineAl primo piano c’erano delle stanze in buone condizioni, solo una occupata volontariamente dai profughi. Nei piani superiori le abitazioni erano più affollate delle altre, per il desiderio delle famiglie di vivere riunite.

Casa GuadagniCondizioni della struttura buone, vi erano anche altre due stanze che con qualche riparazione ai pavimenti potevano essere utilizzate.

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Casa GiussoRequisiti dell’abitato buonissimi. Ottima accoglienza.

Casa VaccaSituazione complessivamente buona, c’era ancora spazio disponibile per alloggiare altre famiglie.

Convento di Suor Teresa Ospitava 24 profughi. Buona la qualità della struttura, occorreva solo prov-vedere al risanamento di una cisterna da cui i profughi attingevano acqua ed allo svuotamento dei pozzi neri.

Nel comune di Somma Vesuviana si rifugiarono anche alcuni profughi di Cavazuccherina69, che iniziarono il rientro a casa agli inizi del 1919.

69 Il Comune di Cavazuccherina (dal 1930 Iesolo), trasferitosi a Castel San Pietro d’Emilia con alcuni funzio-nari comunali, manteneva alto il morale dei concittadini esuli, continuando a registrare gli atti di nascita, matri-monio e morte, ma soprattutto tramite una fitta corrispondenza, come ne è prova la lettera inviata da Somma Vesuviana in data 5 gennaio 1918 dalle famiglie profughe di Cavazuccherina, con la quale contraccambiavano gli auguri di un felice anno. Sito web del Comune.

Fig. 9 - Somma VesuvianaBanda musicale di profughi di Cavazuccherina

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In complesso l’accoglienza dei profughi friulani a Somma Vesuviana fu discreta, evidenziata anche nei ricordi di alcuni testimoni70:

Siamo rimasti laggiù un anno e sette mesi, a Somma Vesuviana. […] Eravamo un gruppo di cugini e ci avevano messi tutti in una villa: si aveva una stanza per fami-glia. […] ci volevano tutti bene, non ci maltrattavano, e poi c’erano tanti friulani. Non si andava coi napoletani laggiù, eravamo sempre fra di noi della nostra parte: si parlava anche con gli altri bambini, ma poi per giocare, per fare, si stava coi nostri. Là sono andata anche all’asilo, c’erano le suore e una maestra.

POLLENA TROCCIA71 [Trocchia] (60)A Pollena l’iniziale gruppo di 60 esuli, col passare del tempo aumentò con-siderevolmente, fino ad arrivare al numero di 183, rilevati col censimento del novembre 1918. Una lodevole attività fu svolta dal cav. Arturo Stella, primo assessore della locale Amministrazione, che già si era distinto du-rante le tragiche giornate del terremoto del 1906. Mise a disposizione dei profughi una parte della splendida villa di sua proprietà e si attivò per il coordinamento di tutti i servizi municipali. Palazzo PistolesiAlquanto numerosi per ogni locale, ma occorreva tenere presente la note-vole altezza dei soffitti ed il numero delle finestre. I profughi acquistava-no gli alimenti in uno spaccio municipale a prezzi convenientissimi. Molti avevano trovato lavoro ed erano in complesso soddisfatti. C’era solo una certa mancanza d’indumenti personali distribuiti con troppa parsimonia, e di lenzuola.

Villa OlimpiaAccoglieva quattro famiglie. Condizioni dell’abitato ottime. Buone le rela-zioni con gli abitanti del paese.

70 Camillo Pavan, L’ultimo anno della prima guerra …, cit. Testimonianza di Rosaria Crucil (Loch di Pulfero - UD).71 Nella relazione venne erroneamente indicato il termine di Troccia e non Trocchia. Anche il palazzo Pistolesi era in realtà di proprietà della famiglia Pistolese. Il seicentesco palazzo era appartenuto ai Capece Minutolo, principi di Ruoti.

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MARANO (136) Gli esuli erano sistemati nel convento di San Francesco. Era un bell’esem-pio di un nucleo di profughi che si amministrava da sé, sotto la guida del sig. Giovanni Paoloni ex segretario dell’Opera Bonomelli. Esisteva un consiglio amministrativo e la cucina era in comune; le cuoche profughe erano orga-nizzate con turni di dieci giorni, ricevendo anche una piccola retribuzione. Il Paoloni spendeva per il vitto L. 1,25 al giorno, distribuendo al mattino il caffè nero con pane (400 gr. al giorno), ai bambini e alle donne latte; a mezzogiorno minestrone con polenta, alla sera minestrone. Inoltre gli esuli ricevevano L. 0,25 in contanti. Le autorità locali erano venute in aiuto for-nendo indumenti, letti, rifornimenti vari e con una somma raccolta con la pubblica beneficenza (lire700). Vari profughi lavoravano come manovali (4 lire al giorno), come muratori (lire 5) mentre le donne erano impiegate presso il sig. Guarino a fare ceste (lire. 1,50 al giorno). I bambini andavano a scuola ma l’assistenza sanitaria era deficiente72. Alcuni esuli, la cui condotta morale era in discussione, furono segnalati alla Pubblica sicurezza per farli allontanare. Dopo l’incursione aerea dell’11 marzo su Napoli c’era stata una certa ostilità da parte della popolazione.

POZZUOLI (300)Presso la sede comunale era stata istituita, da parte del commissario pre-fettizio duca Niutta, una rivendita di generi alimentari (pane, strutto, lardo, polenta, legna, ecc.) che funzionava egregiamente, talché i profughi ricono-scevano di essere per il vitto in condizioni migliori dei paesani. Il censimen-to del novembre 1918 rilevò la presenza di 229 rifugiati.

Locale del MunicipioAccoglieva 46 esuli. Le condizioni dell’edificio erano buone ma i locali erano tenuti sudici. C’era anche una piccola infermeria. Fu fatta un’unica distribu-zione di indumenti, peraltro non sufficiente. I profughi erano in complesso

72 ACS, Presidenza Consiglio dei Ministri - Alto Commissariato per i profughi di guerra (1917-1919), b. 3, fasc. 73 Relazione sulle condizioni dei profughi ospitati a Caivano, Marano, Torre del Greco e Torre Annunziata, 21 ottobre 1918. Cfr. Daniele Ceschin, Gli esuli …., cit.

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soddisfatti ma le donne avrebbero voluto macchine da cucire per lavorare.

Locale della PreturaIn due locali terranei erano stati sistemati 18 rifugiati. Le camere erano molto umide. Si propose lo sgombero immediato.

Ex Convento S. GelsoOspitava circa 50 profughi distribuiti in varie celle. Le condizioni dell’abi-tato erano deplorevoli, perciò si raccomandò l’abbandono della struttura73.

Stabilimento Gerolomini All’epoca della visita della Commissione era stato già sgomberato.

Stabilimento Patamia Accoglieva circa 150 profughi. Il locale era in ottime condizioni, ma com-pletamente trascurato mancando ogni sorveglianza. In piccole stanzette del pianterreno furono alloggiati una cinquantina di esuli provenienti dai Ge-rolomini. La situazione era piuttosto precaria.Ben altre considerazioni vennero scritte in una lettera di ringraziamento da alcuni profughi, ospiti dello stabilimento, pubblicata a un mese di distanza dal loro arrivo74:

Le sottoscritte ringraziano vivamente tutte le autorità, e specialmente il comitato di Pozzuoli di cui fanno parte tante distinte signore e signorine che hanno speso tutte le loro più affettuose cure per lenire la nostra sventura. Non dimenticheremo mai le loro benevoli cure e i tanti benefici che abbiamo da loro ricevuto. Che presto la vittoria ar-rida alle nostre armi e ci faccia ritornare nell’industre Friuli ed è là che terremo sempre presente alla nostra memoria il cuore nobile e generoso di tanta gente che si è associata alla nostra sventura momentanea.

Lucia Tonchia - Angelina Pividoria nome di tutti i profughi friulani ricoverati alle Terme Patamia a Bagnoli.

73 Monastero delle Clarisse, fu eretto a spese della città di Pozzuoli durante il vicereame del duca d’Alba ed intitolato a S. Celso (non S. Gelso), primo vescovo puteolano.74 “Il Mattino”, Ringraziamenti di profughi, 29-30 novembre 1917.

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Probabilmente, dopo alcuni mesi di soggiorno nello stabilimento termale, superata la fase dell’emergenza, emersero tutti i gravi problemi di sussisten-za e di adattamento alla precaria situazione.

SECONDIGLIANO (40) I profughi erano sparsi nelle contrade del paese. Alcuni erano ospitati gratis da famiglie del posto. Le condizioni dell’abitato erano discrete. I rifugiati non avevano avuto né indumenti né scarpe; si lamentavano di ricevere il sussidio con ritardo; deficiente è pure il materiale di casermaggio (lenzuola).

VICO EQUENSE (156) Distribuiti nelle abitazioni della cittadina. Le condizioni dell’abitato erano eccellenti. Alcuni esuli lavoravano, i bambini andavano a scuola e riceveva-no la refezione gratuita. Si occupava con amore dei profughi l’ing. Umberto Capozzi. I profughi avevano avuto indumenti e scarpe. Pare che il Com-missario prefettizio era alquanto tirato nella distribuzione dei sussidi.

PIANO DI SORRENTO (168)Accolti nelle case del paese, alcuni alloggiavano gratuitamente. Si occupava dei profughi con molto zelo il Sindaco del comune e un comitato di cit-tadini a cui aderirono anche le autorità religiose. Gli esuli erano stati tutti rigorosamente censiti. L’assistenza scolastica era completa e i bambini an-davano all’asilo comunale dove ricevevano la refezione gratuita. Una picco-la testimone di Spresiano (TV) raccontò dell’ottima accoglienza ricevuta75:

Noi bambini, probabilmente, risentivamo meno dei grandi cambiamenti, e avevamo tanti amici. Frequentavamo la scuola pubblica, dove non ci facevano pesare nessuna diversità, piuttosto ci portavano ad esempio e ci davano la merenda assieme ai figli dei combattenti.

Una proficua opera di assistenza fu messa in atto anche dalla sig.na Silvia Savaresi che si occupava amorevolmente dei profughi. Buonissime le rela-zioni con la popolazione del paese.

75 Testimonianza di Giuseppina Lorenzi, profuga all’età di nove anni. Cfr. Daniele Ceschin, La condizione delle donne …, cit.

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SORRENTO (74)I rifugiati furono divisi in due ricoveri. Nel monastero di S. Maria delle Gra-zie risiedevano 34 profughe e bambini. L’approvvigionamento era scarso e irregolare per quanto il commissario prefettizio aveva assicurato che le cose sarebbero migliorate e che le difficoltà erano generali per tutti gli abitanti.All’albergo Minerva (Punta di Sorrento) erano circa 40 gli esuli a pensione competa. Il proprietario dell’hotel dava una buona alimentazione, ma tratte-neva tutto il sussidio alimentare. I profughi non lavoravano, affermando che i mestieri del luogo non erano adatti per loro. Pare vi fosse un pò di rilassa-tezza perché nella penisola sorrentina avrebbero potuto trovare occupazione non solo gli agricoltori ma anche scalpellini, legnaioli e manovali in genere. Nella ridente località turistica aumentò la presenza dei fuggiaschi, probabil-mente profughi con maggiori possibilità economiche, e passò dai 74 censiti nel maggio 1918 a 107 presenze nel mese di novembre.

CASTELLAMARE DI STABIA (800)I rifugiati erano distribuiti nelle case che abitualmente affittavano i villeg-gianti in estate. Fin dal loro arrivo furono assistiti da un comitato di cittadi-ni presieduto dal Sottoprefetto. Furono raccolte dalla pubblica beneficenza L. 2.200 che servirono in gran parte all’acquisto di indumenti e scarpe già distribuiti. Gli esuli erano in parte al lavoro, ma l’autorità prefettizia riteneva che molti di essi avrebbero potuto trovare occupazione nei cantieri navali e nella fabbrica Cirio anche per lavori facili e leggeri.Al loro arrivo furono accolti molto cordialmente dalla popolazione locale, poi si notò un certo distacco, perché certe profughe avevano abitudini di-verse dalle donne del paese. Fu istituito un magazzino di rivendita gestito dall’Ente autonomo che funzionava a uso esclusivo degli esuli i quali erano tesserati come gli altri cittadini e in complesso avevano un trattamento di favore rispetto alla generalità della popolazione. Assistenza sanitaria e sco-lastica completa. Ai profughi, oltre il sussidio alimentare, era erogata un’indennità di alloggio che variava da 0,20 a 0,30 lire al giorno. Visitate le abitazioni si costatò che

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molte di esse erano molto modeste e che i rifugiati pagavano fitti che su-peravano notevolmente l’indennità che percepivano. Si propose di stabilire una specie di calmiere per gli alloggi in rapporto al loro valore intrinseco, oppure che fosse corrisposto ai profughi tutto il fitto da essi pagato.Un’indagine fornita dalla Sottoprefettura rilevò che gli esuli percepivano complessivamente un sussidio per alloggio di L. 5573,00 mensili e pagava-no fitti per L. 8321,00.La situazione complessiva era, comunque, ai limiti della sopravvivenza per la popolazione locale, tant’è che, ancora prima che la guerra finisse, ci furo-no violente agitazioni popolari dovute alla forte inflazione e contro la quale non c’era stato un aumento salariale in grado di fronteggiarla. A Castellam-mare, le manifestazioni culminarono nei violenti tumulti del 7 luglio 1918, con assalti e saccheggi ai negozi e ai depositi di generi alimentari76. Nume-rosi furono i comuni della provincia che aderirono alla protesta.

CARDITO (57)I rifugiati erano riuniti nei locali dell’Orfanotrofio. Condizioni dell’abitato buone. Non avevano ricevuto né indumenti né scarpe e da tre mesi non trovavano lo zucchero. C’erano molti profughi disposti a lavorare, così una famiglia di 12 persone, un gruppo di esuli di Ragogna (Ud), e altri. Non ri-cevevano i medicinali gratuiti. Il latte di vacca costava L. 1,20 al litro, quello di capra L. 3 al litro.

CAIVANO (80)Accolti nei locali dell’ex Municipio. Le stanze erano ampie ed aerate ma si trovavano in condizioni deplorevoli. Assistenza sanitaria buona. Qualcuno lavorava ma riceveva in cambio solo il vitto. Mancavano brande e coperte. Nell’ottobre 1918 il numero dei profughi era salito a 150 e molti di essi fu-rono colpiti dall’influenza “Spagnola”. L’assistenza medica risultò efficace e furono distribuiti gratuitamente i farmaci.

76 Raffaele Scala, Antonio Cecchi, storia di un rivoluzionario, “Cultura e Società”, n. 2, 2008.

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POMIGLIANO D’ARCO (150) Distribuiti in case private del comune. Si notava il completo abbandono nel quale erano stati lasciati i profughi ai quali non furono dati né indumenti né scarpe. Deficiente il materiale di casermaggio. Una famiglia fu lasciata tre mesi in una stanza buia nel palazzo del duca Sforza.

S. GIUSEPPE VESUVIANO (170)Ripartiti in appartamenti, gli esuli erano solo in parte occupati. Buone le abitazioni ma i viveri scarseggiavano. Fu fatta una distribuzione d’indumen-ti inviati dal comm. De Martino. Occorrevano letti e lenzuola. Diciannove piccoli profughi erano nell’asilo della Croce Rossa, bellissima istituzione, dove ricevevano anche la refezione gratuita. Il servizio sanitario era un pò trascurato.

OTTAJANO (700)Gli esuli, come i paesani, avevano razionati pane, olio e pasta ma avevano uno spaccio speciale. Salvo piccole scorte straordinarie, il Comune non ave-va ricevuto viveri per i profughi che si alimentavano sui rifornimenti della popolazione. Mancava lo zucchero, il petrolio, gli indumenti e le scarpe.Non vi era armonia fra le autorità e i rifugiati, soprattutto perché questi ultimi in gran parte non lavoravano, ritenendo i salari troppo bassi. Una puerpera dovette pagare 10 lire alla levatrice per il parto. Il triste episo-dio è narrato anche da Ceschin77:

Anna Buliani, profuga di Treppo Carnico, che aveva avuto un bambino nel giugno del ’18, descriveva Ottaiano (Napoli) come il paese più misero di tutta la provincia, dove le condizioni igieniche e sanitarie erano disastrose e la mancanza di lavoro costringeva la maggior parte dei profughi ad andarsene; nei mesi precedenti, nello stesso comune una puerpera era stata costretta a pagare 10 lire alla levatrice78.

77 Daniele Ceschin, La condizione delle donne profughe …, cit. Lo stesso testo dà voce ad un’altra profuga che, ri-trovandosi sfollata a Montesarchio (BN), umilmente si rivolgeva ai parlamentari di Montecitorio: “Siamo postati come i animali e mal visti dal popolo mi dice che siamo austriachi ma paziensa dio provedera”. Ancora, un me-dico di Conegliano che fieramente interpellava l’Alto Commissario per i profughi, denunciando la scortesia degli abitanti di Bologna: “Che colpa ne ho io se sono Veneto, che merito ha questa gente che nasce, vive e muore tra la mortadella e i cotechini?”. 78 Una circolare dell’Alto Commissariato del 10 gennaio 1918 aveva stabilito che i profughi poveri avevano di-ritto all’assistenza sanitaria gratuita e che i medici e le levatrici comunali non dovevano prendere alcun onorario.

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I 700 rifugiati di Ottaviano diminuirono drasticamente nell’arco di sei mesi (novembre 1918) a 422 persone.

Altri comuni ospitanti

Non tutti i centri della provincia di Napoli furono ispezionati dalla Com-missione governativa e solo il successivo censimento del novembre 1918 indicò il numero di profughi presenti e le comunità che li ospitavano79:

Afragola (5), Barano d’Ischia (3), Barra (54), Casalnuovo (3), Casandrino (1), Caso-ria (93), Cercola (5), Chiaiano ed Uniti (58), Forio d’Ischia (7), Frattamaggiore (18), Giugliano (1), Gragnano (107), Grumo Nevano (18), Ischia (3), Licignano (9), Mas-salubrense (15), Meta (43), Mugnano (3), Pianura (14), Portici (304), Procida (20), San Giorgio a Cremano (106), San Giovanni a Teduccio (152), San Pietro a Patierno (34), Sant’Agnello (9), Sant’Antimo (10), Sant’Arpino (1), Torre Annunziata (109), Villaricca (3).

Altri comuni, oggi appartenenti alla provincia di Napoli, erano invece inse-riti nel circondario di Caserta:

Acerra (106), Camposano (2), Cicciano (256), Cimitile (19), Marigliano (82), Nola (427), Palma Campania (114), Saviano (297), Scisciano (24).

Tra i paesi non visitati dalla Commissione parlamentare e che pure ospi-tarono un considerevole numero di profughi c’erano anche le cittadine di Portici e di Nola.

PORTICI (304)I numerosi esuli furono ospitati in abitazioni private nella zona di Bellavista, nelle ville del Miglio d’oro, e presso alcune strutture pubbliche requisite dall’amministrazione locale (alberghi, stabilimenti balneari, scuole ...).

79 Ministero per le Terre Liberate, Censimento dei profughi di guerra, cit. La provincia di Napoli risultò ospitare nel maggio 1919 complessivamente (13095) profughi, quella di Avellino (4089), Caserta (12235), Benevento (3277) e Salerno (3223).

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Complessivamente l’accoglienza fu discreta anche perché i prezzi al consumo erano inferiori rispetto alla vicina Napoli, consentendo una buona alimentazione. Buona anche l’assistenza medica. Particolarmente interessanti furono alcuni appelli pubblicati su “Il Matti-no”, che facevano ben intendere la drammatica situazione psicologica in cui versavano alcuni profughi ospiti a Portici, nelle prime settimane dopo il loro arrivo80:

Di Maria Carolina di Tarcento, domiciliata a Portici Corso Garibaldi 35, ricerca suo padre Giovanni Di Maria di anni 75 ed un bambino Vincenzo di anni 7. Ricerca, inoltre, quattro nipoti Anna, Teresa, Giovanna e Leonardo di anni 2 smarriti alla stazione di Treviso.

Pascolo, cerca la moglie Michelezza Anna con i figli Beniamino Pascolo di anni 7 e Maria Pascolo di anni 4, cerca anche Pascolo Giuseppe. Il richiedente domicilia presso il rev. Marchiorre Portici (Napoli).

NOLA (427)Una particolare attenzione per il comune di Nola, dove l’amministrazione fu coadiuvata dal Circolo “Giordano Bruno”, presieduto per tutto il perio-do bellico dal dr. Giuseppe Minieri. Una commissione di soci dell’associazione, provvide, insieme a molte si-gnore di Nola, alla costituzione di comitati della Croce Rossa e organizzò sottoscrizioni per i profughi bisognosi. Nella cittadina furono ospitati anche molti esuli sloveni. Interessante la te-stimonianza di Franc Ursic81:

Il 7 giugno 1915 tutto il paese [Idrsko] fu portato via, a Breginj. Lì siamo rimasti per mezzo anno e poi noi che eravamo solo bambini (cinque fratelli più la mamma, il papà era morto) siamo stati portati in Bassa Italia, vicino a Napoli, provincia di Caserta, a Nola. Abbiamo fatto il viaggio in treno, sui vagoni bestiame, seduti per terra e a Nola ci hanno messo dentro a una grande casa che era un asilo; eravamo una decina di famiglie lì dentro; altre famiglie erano state portate in un paese lì vicino, a Cimitile. I napoletani

80 “Il Mattino”, Ricerca profughi, 15-16 e 23-24 novembre 1917.81 Testimonianze raccolte da Camillo Pavan in Profughi sloveni in Italia, Treviso, 1997.

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del posto all’inizio erano diffidenti nei nostri confronti, ma poi dicevano che eravamo come loro. Noi comunque stavamo per conto nostro, mangiavamo la nostra roba, la polenta; loro invece mangiavano la pasta. A Nola ci pagavano anche; ogni giorno una lira a testa per tutti. Si viveva bene, da mangiare ce n’era. Siamo tornati da Nola solo nel 1919. In tutto siamo stati profughi quattro anni, tre anni e mezzo in Italia e mezzo anno su a Breginj.

Un’ultima annotazione va fatta per il comune di Aversa (Ce), che, visitato dal deputato Lionello Hierschel agli inizi di maggio 1918, ospitò un rilevan-te numero di esuli82.

AVERSA (588)In generale tutti i profughi avevano il sussidio minimo, mentre gli alloggi privarti e anche i ricoveri comuni erano prevalentemente sporchi. Assolu-ta mancanza di scarpe. Poiché i bambini non potevano andare a scuola, il sindaco, cav. Giovanni Motti, ne aveva richieste da tempo 200 paia, senza alcun risultato. I rifugiati non avevano buoni rapporti con la cittadinanza locale, ma soprattutto col Patronato, costituito di soli elementi del luo-go. Il numero di esuli era aumentato a circa 1000 unità, anche per una cospicua presenza di “slavi con sentimenti completamente tedeschi”. Il ricovero di S. Biagio poteva essere ristrutturato per accogliere centinaia di persone, visto lo sgombero del reclusorio militare, richiesto dalle autorità, e l’inabitabilità del ricovero di S. Girolamo. In generale gli alimenti erano a buon mercato.

Gli internati in Campania

In molti centri della regione, nel corso della guerra, furono internati molti cittadini di origine austriaca e tedesca, provenienti dalle zone di confine.Nell’ambito della limitazione dei diritti di libertà dei civili, prevista dalle

82 Lionello Hierschel de Minerbi, Visita ai profughi …, cit. In realtà la cittadina era stata già visitata nei giorni 16-18 gennaio 1918 da Giovanni Pedrotti, attivo esponente dell’irredentismo trentino. L’articolata relazione è pubblicata in Appendice.

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legislazioni di guerra, l’internamento costituì un provvedimento tra i più fre-quenti e punitivi83. A questa forma restrittiva ricorsero tutti i paesi belligeranti che, allo scop-pio del conflitto, chiusero le loro frontiere ed espulsero o internarono tutti i cittadini degli Stati nemici. Come ebbe a sostenere il presidente del Consiglio Antonio Salandra, il provvedimento di internamento non doveva essere basato su fatti specifici, che avrebbero portato a un processo di fronte ai tribunali militari e “ad esemplari condanne”, ma fondarsi “sulla condotta, sulle relazioni con l’e-stero, sulle pubbliche dichiarazioni e sulle considerazioni di qualsiasi natura che inducevano a far ritenere pericolosa la loro presenza”.I primi mesi di guerra si caratterizzarono per la sistematicità di queste mi-sure di allontanamento, in un clima intimidatorio per gli abusi e l’arbitrio perpetrato con la complicità di delatori e fuoriusciti irredenti84.Situazioni di forte ostilità si verificarono in molte delle province campane costrette ad accogliere gli internati, più che per “spirito di malinteso pa-triottismo”, come scrisse il prefetto di Benevento, per il danno derivante dall’arrivo di centinaia di persone in piccoli centri rurali, evento “che ha fatto rincarare tutte le pigioni delle abitazioni e tutti i viveri dei mercati”85.La Campania nel complesso accolse tra profughi, internati e irredenti circa quarantamila esuli.La diversità della lingua, dell’alimentazione e delle condizioni economi-che rappresentarono spesso un ostacolo per una pacifica coesistenza tra le comunità. Emblematica una testimonianza di un profugo sloveno, raccolta nel 1996,

83 Giovanna Procacci, L’internamento di civili in Italia durante la prima mondiale, “DEP”. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile, nn. 5-6, 2006. Con il proseguire della guerra, man mano che erano stati occupati i territori del nemico, altre moltitudini di civili furono trasferite lontano dai loro paesi, per essere relegate in ba-raccopoli o in centri ghettizzati, se non addirittura deportate in campi di lavoro, talora a ridosso delle stesse linee del fronte. Le zone nelle quali attuare tali provvedimenti avrebbero dovuto essere, oltre a vari comuni di confine con la Svizzera, quasi tute le regioni ove erano situati i più importanti stabilimenti di produzione del materiale da guerra: i centri industriali di Torino, Milano, del Pistoiese, Livorno, Piombino, Terni e Napoli. 84 Matteo Ermacora, Le donne internate in Italia durante la Grande Guerra, “DEP”, rivista telematica di studi sulla memoria femminile, n. 7, 2007.85 ACS, Polizia giudiziaria, n. 12100.1.4, Prefetto Benevento, 13 maggio 1918. Cfr. Giovanna Procacci, L’internamento ..., cit.

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nella quale si poteva ben comprendere le grandi difficoltà di convivenza che questi esuli dovettero affrontare:86

[…] Finché arrivammo ad Avellino, e da Avellino ci portarono a Candida, in un mo-nastero. Ricordo che la prima notte dormimmo per terra, senza letti, uno sopra l’altro.Candida era un paesetto piccolo, ma forse un po’ più grande di Dreznica. Lì siamo rimasti per tre anni, e alla fine parlavamo come i napoletani, anche dopo, quando siamo tornati a casa! A Candida non facevamo proprio niente. Non c’era nessun lavoro da fare e poi erava-mo solo bambini e donne, e due tre vecchi della mia età di adesso. Solo alcuni uomini di Dreznica, che erano ancora in grado di farlo, andavano a tagliare legna. […] Quelli di Candida, la sa come che la xe, a quei tempi erano proprio ignoranti, non sapevano neanche scrivere. Lori non sapevano niente, che cos’era la guerra. Un giorno eravamo a Tripaldo [Atripalda, provincia di Avellino] io e mio fratello. Eravamo andati a fare la spesa, e una donna ci chiede: “L’Austria xe tanto grande come Tripaldo?” Ci puoi credere? Quando poi ci fu la ritirata di Caporetto, quelli là vennero da noi di Dreznica. «Abbia-mo paura», ci dicevano. “Se venisse qua l’Austria, voi ditegli che ci siamo comportati bene con voi, che non ci facciano del male!”.

Altra categoria di profughi, drammaticamente messa a dura prova, furono le donne che, relegate sul gradino più basso della gerarchia sociale, trasferite da un comune all’altro, costrette a vivere in condizioni disumane, senza casa e senza lavoro, spesso si affidarono alla sola speranza di un rapido ritorno nei luoghi natii.Dopo aver abbandonato la propria terra e affrontato un viaggio disperato verso l’ignoto, le donne esuli dovettero anche fare fronte all’ostilità e ai pre-giudizi della gente ospitante, alle difficoltà per la lingua, e alla scarsezza del cibo e mezzi di sussistenza, spesso convivendo con uno stato d’animo strug-gente e colmo di angosce per l’assenza del marito al fronte e per la penosa situazione dei figli. Solo la loro grande capacità di adattamento e la volontà di non lasciarsi andare alla disperazione riuscirono a farle sopravvivere87.Un episodio descritto nella Relazione del Comitato pro-feriti di S. Maria Capua Vetere del 1918, fu emblematico nel delineare le difficoltà e le difficili

86 Camillo Pavan, Željko Cimprič, Caporetto: storia, testimonianze, itinerari, 1997. Testimonianza di Mirko Rakuscek. 87 Luciana Palla, Scritture di donne …, cit.

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condizioni psicologiche delle profughe e della cittadinanza locale88:

Tra gli altri sorse dissidio tra la profuga Paveglio e la sua prima nipote Podrecca; perché la Paveglio nel fuggire aveva ricevuto dal padre de’ Podrecca (rimasto con la moglie ammalati in ospedale, e de’ quali non si ebbero notizie), lire mille, e in una ventina di giorni se n’erano spese circa 400. Si riuscì a calmare gli animi, e per evitare le cause del dissidio e lo sperpero del denaro, si fecero depositare 600 lire sulla Cassa dei Ri-sparmi, con dichiarazione che il denaro non potesse ritirarsi senza l’autorizzazione del Presidente del Comitato. […] Si cercò di richiamare le ricoverate nella casa Ricca a’ Quattordici ponti ad un maggiore riserbo del contegno. Il Comitato comprende come le abitudini loro siano in ciò differenti dalle nostre, e come non si possa esercitare una vigilanza quale ai prigionieri. Ad ogni modo non si tralasciò di avvertirle con linguaggio chiaro, ma riguardoso, degli obblighi morali che hanno verso sé medesime e verso la città che le ospita.

Per almeno un anno dopo Caporetto, fino ai giorni di Vittorio Veneto, un’Italia dovette, quindi, convivere gomito a gomito con un’altra Italia. Letteralmente convivere, poiché gli edifici pubblici requisiti allo scopo di alloggiare gli sfollati (scuole e monasteri, alberghi e magazzini, colonie esti-ve e stabilimenti dismessi) non bastarono per ricoverarne neppure la metà. Gli altri dovettero sistemarsi in affitto, a prezzi spesso proibitivi per le fa-miglie meno che agiate. Sicché la Caporetto delle donne, dei vecchi e dei bambini non fu uguale per tutti: sia sotto il profilo finanziario che come condizioni morali; pesò diversamente lo status di cittadino o se proveniente dalle campagne, da ambienti borghesi o da ambienti contadini.Indubbiamente in molti casi era forte la diffidenza reciproca tra i profughi e le popolazioni locali. I pregiudizi erano conseguenza della diversità cultu-rale e della differente estrazione sociale. Nelle regioni del Mezzogiorno questi aspetti erano ancora più evidenti, an-che perché da parte degli esuli ogni azione percepita come contraria ai loro interessi, fu imputata alla malafede delle Autorità locali89.

88 BSMC, Comitato Civile Pro-Feriti Santamaria C. V., Relazione e Resoconto Generale dal 1° luglio al 31 dicembre 1917 e Particolare per l’assistenza ai profughi dagli 11 nov. 1917 ai 30 febb. 1918, Stabilimento Tipografico Umili Ferdinando, Santamaria Capua Vetere, 1918. Il testo è pubblicato interamente in Appendice.89 Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto, cit.

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Nella coscienza dei cittadini meridionali, soprattutto quelli appartenenti ai piccoli centri urbani e borghi rurali, le difficoltà quotidiane di una vita fatta di stenti, di malattie e di mancanza di mezzi di sussistenza, dovuti so-prattutto alla cronica arretratezza del sistema politico-amministrativo e allo stato di guerra vigente, si scontrarono con questa emergenza umanitaria di un’altra Italia, diversa nei dialetti, nei costumi, negli atteggiamenti e spesso privilegiata nei soccorsi.

CAPITOLO II

IL BOMBARDAMENTO DI NAPOLI

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Napoli sotto le bombe

Alla fine del 1917, la guerra al fronte continuava mietendo vittime innocen-ti, mentre in città il “problema” profughi era sempre al centro delle attività dell’Amministrazione comunale e dei Comitati di soccorso.Nuove misure di requisizione d’immobili per ospitare i rifugiati del Nord-Est d’Italia e provvedimenti di carattere militare per la difesa della città furono presi dalle massime Autorità cittadine.Napoli viveva in un clima di forte agitazione e apprensione per una guerra che iniziava a far percepire anche sulla pelle dei cittadini i disagi e le atrocità del conflitto.L’emissione di due ordinanze del prefetto Menzinger per l’oscuramento della città in caso di incursioni aeree nemiche, determinò nuove preoccu-pazioni90:

La Prefettura crede opportuno rammentare ai cittadini quanto fu altre volte pubblicato per abbondare in precauzioni in caso di attacchi aerei nemici. Segnalato l’approssimarsi di un aereo nemico con tre colpi di cannone dal forte di S. Elmo, dall’innalzarsi di una bandiera rossa sullo stesso forte, e da tre fischi di sirena del R. Arsenale marittimo, saranno sospesi i pubblici servizi; i veicoli pubblici e privati dovranno arrestare la corsa e spegnere i fanali, gli uffici, gli opifici, gli esercizi pubblici ed i ritrovi dovranno spe-gnere le luci esterne e procedere alla immediata chiusura dei propri locali, in modo da occultare ogni illuminazione; […] I cittadini alla lor volta dovranno togliere ogni luce esterna alle proprie abitazioni ed impedire che le luci interne siano visibili da fuori. […]Gli ufficiali ed agenti della forza pubblica cureranno la rigorosa applicazione della pre-sente ordinanza e l’accertamento e la denunzia delle trasgressioni punibili con l’arresto fino a 10 giorni oltre l’ammenda e con la revoca delle licenze di esercizio per i pubblici esercenti.

In realtà Napoli era una città del tutto impreparata alla guerra e nonostante l’esistenza di queste norme di prevenzione, mai fu organizzata una prova di oscuramento totale o di evacuazione.La strada di Poggioreale, per esempio, fiancheggiata dai nuovi edifici in-dustriali, di notte era costantemente illuminata come la Stazione centrale;

90 “Il Mattino”, In caso di attacchi aerei nemici, 20-21 novembre 1917 e “Roma”, Per l’oscuramento della città, 5 dicembre 1917.

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non c’erano rifugi e posti di pronto soccorso; i pompieri erano organizzati per spegnere un solo incendio e non esistevano segnali d’allarme se non la sirena dell’Arsenale.

La guerra restava un fatto lontano dalla quotidianità e dalle preoccupazioni delle autorità militari e della cittadinanza.All’una di notte dell’11 marzo 1918, esplosioni, fiamme e boati svegliarono Napoli. Un dirigibile austriaco Zeppelin sganciò venticinque bombe sulla città, colpendo l’ospizio “Piccole Suore” all’Arco Mirelli, numerose abita-zioni private e chiese in varie zone. Il bilancio fu di 18 vittime e oltre 100 feriti91. Questo il comunicato stampa dell’agenzia Stefani92:

91 “Il Mattino”, Le chiese devastate dal nemico, 12-13 Marzo 1918. Le chiese che subirono ingenti danni furono: Santa Brigida, San Nicola da Tolentino e Santa Maria della Concordia. Tra le vittime ci fu anche il pittore Domenico Forlenza. Alcuni fanciulli che avevano perso i genitori durante il bombardamento furono ricoverati all’Annunziata. 92 “Roma”, Un’incursione aerea nemica su Napoli, 12 marzo 1918. L’attacco interessò anche alcune zone periferiche del Comune di Ponticelli, causando il ferimento di tre persone. (Giorgio Mortara, La Salute Pubblica in Italia - durante e dopo la guerra, pag. 65, Giuseppe Laterza & Figli Editori, Yale University press, New Haven, Bari, 1925. Il testo pubblicato dalla Fondazione Carnegie per la Pace Internazionale, cita come fonte le Relazioni della Reale Commissione d’Inchiesta, appositamente istituita per determinare il numero dei morti tra i militari e tra i civili italiani.).

Fig. 10 - Cotonificio di Poggioreale

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Napoli, 11 (sera)L’incursione aerea di stanotte è una nuova prova dei metodi usati dal nemico.Il dirigibile ha volato sul cielo di Napoli a quota altissima e non è stato quindi in grado di individuare alcun bersaglio di interesse militare. Esso, inoltre, ha fatto sulla città una rapidissima apparizione durata appena qualche minuto. Unico scopo, quindi, della spe-dizione è stato quello di arrecare il danno ovunque fosse possibile con l’unico obbietti-vo di intimidire la popolazione civile ed in ciò il nemico non si è certamente discostato dai sistemi usati nelle recenti incursioni contro le nostre città del Veneto che del resto stanno a dimostrare le vittime tutte fra la popolazione civile, ed i danni arrecati tutti contro case private, contro un ospizio e perfino contro alcune chiese.La cittadinanza di Napoli ha, in tale dolorosa circostanza, dato la miglior prova di patriot-tismo e di calma, ed ha così, nel modo più degno e fiero, risposto all’ingiuria arrecatale.Il totale delle vittime finora accertate ammonta a 16; quello dei feriti a circa 40.Le località colpite sono, una casa del quartiere S. Erasmo con cinque morti e quindici feriti, alcuni abitati privati in Via Municipio, Via Roma, alla Speranzella, in Via Conte di Mola, in Piazza della Concordia, ai Gradini S. Mattia, a S. Maria Apparente, e le chiese di S. Brigida e S. Nicola da Tolentino, con quattro morti e una decina di feriti, l’ospizio delle Piccole suore dei Poveri al Corso Vittorio Emanuele, con sette morti e quattordici feriti.Nessun danno ad opere di carattere militare, e fra le vittime nessun militare. (Stefani)

L’incursione aerea fu eseguita da un dirigibile “Zeppelin L. 59” che, guidato dal comandante Johannes Goebel, all’alba del 10 marzo partì per Napoli dalla base di Jambol in Bulgaria93:

Sorpassando le sconvolte vallate montuose della vecchia Serbia l’aeronave s’avvicinò a Scutari d’Albania poco dopo mezzogiorno. […] Verso le otto il dirigibile salì fino a 2000 metri e facendo rotta su Manfredonia si spinse sul mare aperto. Perdemmo a tribordo la Baia di Cattaro. […] Dopo un’ora di volo a 3000 metri avvistammo la co-sta italiana e Porticelli94. Eccezion fatta per la costa tutto il resto del territorio italiano ostentava luci accese, ovunque.

93 Johannes Goebel, Voli di Guerra - 40.000 Km. in Zeppelin, Ed. Il Castello, Milano, 1933. La carriera del dirigi-bile L. 59 si concluse bruscamente, e nel modo più tragico. Il 7 aprile 1918, nel corso di un’incursione sull’isola di Malta, esplose in volo per ragioni sconosciute.94 E’ ipotizzabile che il nome di questa località sia stato trascritto in modo erroneo e che in realtà si tratti del comune di Ponticelli. Tale ipotesi è supportata dall’assoluta mancanza di toponimi di località simili (Porticelli) e dal fatto che l’abitato si trova esattamente sulla rotta percorsa dal dirigibile. Non ultima considerazione è che anche durante la seconda guerra mondiale Ponticelli era un punto di riferimento importante per i bombarda-menti alleati su Napoli. Cfr. Andrea D’Angelo - Giorgio Mancini - Luigi Verolino, Guerra di Periferia …, cit.

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La notte dell’11 marzo, all’una, l’“L. 59” incrociava fra i 3650 ed i 4800 metri sopra Napoli e Bagnoli. […] Valendosi del cannocchiale di lancio per l’identificazione dei punti di mira, vennero gettati 6400 chilogrammi di bombe fra il porto militare, il gasometro di Napoli, il porto e le officine di Bagnoli. Esplosioni, incendi, e nubi di fumo denso erano prova evidente dell’effetto del nostro bombardamento.L’assenza di qualsiasi reazione da parte del nemico, nonostante che in Napoli vi fosse una difesa antiaerea permanente, e la completa mancanza di misure preventive, quali lo spegnimento delle luci, dimostravano che il nostro attacco era giunto del tutto inaspettato.

L’inchiesta parlamentare

La brutalità del bombardamento ferì profondamente la coscienza della na-zione e numerose infuriarono le polemiche sulla mancata difesa di Napoli e sull’inesistente controllo dello spazio aereo.

Fig. 11 - Zeppelin L.59

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Un’interrogazione parlamentare ai ministri dell’Interno e della Guerra chie-se ulteriori chiarimenti sul tragico avvenimento95:

L’attacco del dirigibile avvenne alle ore 0.55 della notte tra il 10 e l’11 marzo. Ebbene sapete, onorevoli colleghi, a che ora è arrivato a Napoli, da S. Bartolomeo in Galdo, un altro fonogramma annunziante il passaggio del dirigibile? È giunto a 0.21, e sia pure, come dice l’onorevole Commissario, a 0.30. Dunque vi furono ben venticinque minuti almeno in cui si potevano avvertire il Comando, dare gli allarmi per la tutela dei cittadi-ni, avvertire le batterie. Invece inesplicabilmente si trova un telefonista che dorme, un tenente territoriale che s’impappina! Certa cosa è che non fu fatto nulla, assolutamente nulla. È doloroso, è umiliante il sapere che il Comando fu avvertito trenta minuti prima che il dirigibile arrivasse su Napoli, e che nonpertanto la città rimase indifesa, ed i cittadi-ni furono svegliati soltanto quando le bombe scoppiarono, producendo morti e rovine.

Davvero incredibile lo stato di impreparazione degli addetti alla difesa ae-rea, sarebbe bastata un po’ di attenzione ed a Napoli si sarebbero evitate tante vittime e distruzioni.

Ma vi è di più. Arrivò il dirigibile nel cielo di Napoli, come a Londra, come a Pola, a Parigi, come dovunque, non sempre i tiri di sbarramento riescono ad impedire che giunga l’aereo nemico. Ma, domando: quando questo aereo è entrato proprio nella regione aerea che sovrasta Napoli, le batterie che intorno intorno erano piazzate, cosa hanno fatto? Hanno visto o non hanno visto? Allorché un dirigibile attraversa il cielo, e lo attraversava a bassa quota quello austriaco, come è stato constatato, in modo che chiunque avrebbe potuto vederlo, come spiegare che codeste batterie, che abbiamo piazzato a difesa della città, restarono silenziose?Bisogna dire che o erano assenti i comandanti, o dormivano, o non avevano coscien-za del loro dovere. Eh! Siatene sicuri, la presenza attiva delle batterie ed il fuoco dei cannoni comunque sparati avrebbero indubbiamente consigliato il dirigibile a mutare rotta, perché, tra le altre cose, pare che fosse un dirigibile di poca efficienza bellica, un “Parsival” mi sembra. Difatti, così avvenne a Pozzuoli. Io auguro che voi abbiate premiati ed encomiati quei due comandanti e serventi di batterie i quali erano svegli ed appena avvistarono il dirigibile, furono solleciti a sparare i loro cannoni, ed il dirigibile andò via, salvando in tal modo da grave iattura lo stabilimento Armstrong. E che fosse il dirigibile in condizioni tali da mirar giusto, sia per ragione di altezza, e di ambiente, e di luce, tali da produrre danni ingenti, lo ha dimostrato il fatto dell’Ilva.

95 BNCF, Beniamino Spirito, L’incursione aerea austriaca su Napoli, Tipografia del Senato, 27 aprile 1918. Il testo integrale è pubblicato in Appendice.

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Il senatore Spirito si soffermò ulteriormente sulla mancata difesa, sottoli-neando l’inesistenza di batterie antiaeree nella zona orientale di Napoli:

È vero che le città si difendono dall’incursioni aeree, mercé opere e fuochi di sbarramento? E io domando a lei: può dire in sicura coscienza che sia stato ottemperato a quello che lo sbarramento richiedeva per Napoli, quando il lato est, che è quello dal quale si deve temere una incursione, perché è la via che i dirigibili muovendo dalla costa orientale adriatica devono seguire per arrivare sulla città, è stato lasciato senza difesa? Questa parte est, è facilmente difendibile se si piazzano delle batterie, tenuto conto che venendo gli aerei dall’oriente, occorre attraversare la plaga fiancheggiata dalla montagna di Somma e dal Vesuvio. Ebbene, questa plaga era sfornita di qualunque difesa.

Uno degli obiettivi dell’incursione austriaca fu quello di generare nella po-polazione napoletana, il terrore e la protesta nei confronti del Governo nazionale, determinando così una serie di reazioni a catena.L’amministrazione comunale, sempre guidata dal sindaco Enrico Presutti, la stessa mattina dell’11, con un manifesto reagì fiera all’incursione, invitan-do i napoletani all’unità e serenità nel dolore96:

Cittadini!Siete ormai in prima linea, fra le popolazioni civili, all’onore dei rinnovati colpi nemici. Ieri, voci insidiose dirette a deprimere gli animi, a creare timori per inesistenti pericoli; la scorsa notte le bombe micidiali, che hanno fatto alcune vittime. Più di fronte al peri-colo reale che di fronte alle voci insidiose deste prova di pacata fermezza.Persistete a contrapporre l’animo sereno ed invitto così alle artate voci di coloro che, pazzi o criminali, cercano o impaurirvi, mormorando di inesistenti malanni, o togliervi la fiducia nei vostri eletti e nelle autorità governative, come al pericolo reale, che pos-siamo attendere, ma non dobbiamo paventare. Potete essere sicuri che nessun pericolo mai vi nasconderemo. Chi, all’infuori delle autorità, altri ve ne annunci, mentisce per fare male a voi e rendere a noi più difficile il compito.Osservate gli ordini e le precauzioni che le autorità vi suggeriscono.L’ora richiede la più grande disciplina. Siate uniti e sereni. Cittadini!Raccogliamo i nostri morti, soccorriamo i feriti, ed al nemico che armato accampasi sull’italico suolo, gridiamo: ITALIA! ITALIA! ITALIA!Da Palazzo S. Giacomo lì 11 marzo 1918. Il Sindaco: Presutti

96 “Roma”, Il manifesto del sindaco, 12 marzo 1918.

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Il giorno successivo, 12 marzo, il Ministro della Guerra ed il Comandante generale dell’Aeronautica esonerarono tutto il gruppo a capo della difesa antiaerea di Foggia e Termoli, ordinando nel contempo l’apertura di un’in-chiesta per l’accertamento delle responsabilità. Il Colonnello del 10° arti-glieria cav. Ferrari fu nominato Comandante la difesa antiaerea di Napoli97.

Il cordoglio della nazione

Lo sdegno e l’esecrazione per l’attentato determinò reazioni in tutto il mondo e numerosi furono gli attestati di solidarietà per la popolazione na-poletana98.

Roma, 13L’Osservatore Romano dice che il cardinale segretario di stato, Gasparri, a nome del Pontefice, ha inviato al cardinale arcivescovo di Napoli il seguente telegramma: “Santo Padre, deplorando nuovamente incursioni aeree cosi funeste per pacifici cittadini, invia V. E. espressione suo paterno cordoglio per lutto pietosissimo codesta amata città e pregando pace alle povere vittime, benedice gran cuore V. E. e fedeli”.

Da Sua Altezza Reale il Duca d’Aosta: “Col cuore addolorato per lutto che colpisce Napoli affezionata, generosa, patriottica, mi inchino commosso innanzi alle vittime della feroce aggressione come a miei soldati eroici caduti al posto di combattimento”.

Moltissimi, inoltre, i sindaci che inviarono telegrammi di cordoglio e par-tecipazione, tra tutti il primo cittadino di Firenze, Serragli, che nel corso di una riunione con le associazioni patriottiche dichiarò:

“Un caldo commosso saluto alla città di Napoli colpita dalla ferocia del nemico, che non disarma nemmeno dinnanzi agli incanti divini dell’arte e della natura. È contro le cose che noi più amiamo che la rabbia feroce del tedesco si volge sperando che il dolore ci vinca. Ma Napoli insanguinata risponde fieramente balzando in piedi pallida d’ira e di nobile sdegno”.

97 “Roma”, 15 marzo 1918.98 “Il Mattino”, Manifestazioni di solidarietà, 14-15 marzo 1918.

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“Nella seduta odierna del Consiglio Comunale di Roma il sindaco Colonna ha dato comunicazione delle notizie ufficiali pervenute sull’incursione nemica a Napoli. Egli ha aggiunto che alla nobile città sorella esprimerà, a nome di Roma, i sentimenti di esecrazione contro i briganti dell’aria, di rimpianto per le vittime innocenti e di com-piacenza per il contegno coraggioso della popolazione. Il Consiglio, unanime, sorge in piedi acclamando lungamente la città colpita”.

Imprecando all’odiato nemico che sfoga la sua rabbia contro popolazioni inermi e contro monumenti gloriosi, il cuore di Palermo sente lo stesso dolore della città con-sorella ma grida sempre viva l’Italia. (Tagliavia).

Il giornale “Epoca” scriveva: “La fortezza di Napoli è stata bombardata stamane da aviatori nemici. I comunicati tedeschi possono così registrare, dopo quelle compiute sulle città fortificate di Londra, Parigi, Venezia, Padova, Mestre, Treviso, anche l’impre-sa sulla dolcissima Napoli. […] La concezione tedesca della guerra è inumana, ostensi-bilmente inumana, ma noi amiamo persistere nel convincimento che il nemico debba in fondo al suo cuore tremare quando lascia cadere ordigni micidiali su Napoli”.

Non mancarono, infine, da molte città europee attestati di sostegno e am-mirazione per la compostezza e l’orgoglio dei napoletani.La mattina (ore 11) del giorno 13 si celebrarono i funerali delle vittime. Le salme furono raggruppate all’interno della chiesa dei Pellegrini, dove fu ce-lebrata una messa di suffragio. Fin dalla mattinata tutte le vie d’accesso all’o-spedale erano state chiuse da cordoni di carabinieri, di marinai e di soldati.Un plotone di guardie municipali in bicicletta era in testa al lungo corteo che attraversò tra due ali di folla straripante la via Montesanto e via Tarsia, giungendo all’Orto Botanico, dove i caduti ricevettero gli onori militari.Uno spettacolo di grande compostezza fu offerto dalla città di fronte alle salme delle vittime innocenti, descritto con commozione dal giornale “Il Mattino”:

Mai il gran cuore collettivo del nostro popolo aveva vibrato con ritmo più sincroni-co ed uniforme, mai una manifestazione pubblica della città aveva assunto maggiori sentimenti di nobiltà e di bellezza. Manifestazione di alto e profondo significato civile e patriottico: poiché riafferma le granitiche basi della nostra resistenza e della nostra volontà di lottare sino alla vittoria.

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In questa drammatica occasione la cittadinanza, pur sapendo che nulla si era fatto per la sua difesa, stette raccolta e silenziosa al cospetto delle mace-rie. Composta al passaggio delle esequie, senza proferire parola di protesta o di sconforto. Solo lacrime e commozione. Napoli non era solo la città del sorriso e della bellezza ma aveva imparato a conoscere il sacrificio e la rinunzia. Napoli era in prima linea.Il Ministero dell’Interno concesse un sussidio di diecimila lire per i primi soccorsi ai danneggiati dal bombardamento che andavano a aggiungersi ad una pari somma destinata dall’amministrazione municipale. Il 18 marzo, in seduta straordinaria, si riunì il Consiglio comunale alla presenza del sindaco Presutti che introdusse i lavori con un accorato discorso99:

Credo di interpretare i sentimenti unanimi del Consiglio rivolgendo un pensiero pie-toso alle vittime della barbarica incursione del nemico sul nostro suolo, e dichiarando di essere orgoglioso di rappresentare questo popolo che ha col suo contegno virile, destata l’ammirazione di tutto il mondo. Esso ha dimostrato quali tenaci virtù possiede e come sappia resistere ai più dolorosi sacrifici.

Il primo cittadino informò delle sollecitazioni inoltrate al Governo per ga-rantire un’efficace protezione della città, ricevendo garanzie concrete con la predisposizione di un rafforzamento delle difese e con la presenza di una squadriglia di idrocaccia della Marina, con sede a Pozzuoli, per intercettare i velivoli nemici. Furono aumentati anche i cannoni delle batterie e le foto-elettriche per difendersi da attacchi notturni. Anche il Prefetto emise nuove ordinanze per l’oscuramento della città, indi-cando che anche il servizio pubblico di trasporto e le automobili private do-vevano attenersi a regole ben precise per l’uso dei fanali nelle ore notturne.Una delegazione di parlamentari napoletani, composta dagli on. Carafa d’Andria, Porzio, Girardi, Sandulli e Arlotta, si recò a Roma per incontrare il Presidente del Consiglio in merito alla difesa aerea di Napoli e della sua provincia, ottenendo rassicurazioni sulla protezione della cittadinanza.

99 “Roma”, Riunione del consiglio comunale, 19 marzo 1918. Alcuni giorni dopo il ministro Orlando concesse altre diecimila lire per i soccorsi.

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Ma le preoccupazioni non erano terminate. Il “Roma” del 15 marzo pubblicò un dispaccio dell’agenzia Stefani che evi-denziava un nuovo tentativo di attacco aereo su Napoli:

Alle ore 22 di ieri sono state avvistate provenienti da Somma Vesuviana due aeronavi nemiche dirigentisi su Napoli. Tutti i mezzi della difesa entrarono in azione impedendo il volo sulla città alla quale nessuna offesa poté essere arrecata.

Il fallito tentativo d’incursione fu accolto dalla popolazione con sollievo, per aver risposto con efficacia all’attacco, ma anche con preoccupazione, per la consapevolezza che ormai Napoli era divenuta un obbiettivo dei ne-mici.Nei giorni successivi il nuovo comandante della Difesa aerea mise in atto una prova d’allarme notturno dalla stazione Radiotelegrafica di Castel S. Elmo, mettendo in azione, dalle 21,00 alle 21,10, un fanale rosso lampeg-giante100.Inevitabilmente il bombardamento portò a un inasprimento dei rapporti con i cittadini tedeschi e austriaci ancora domiciliati a Napoli. Un provvedi-mento di sequestro dei beni fu emesso dalla Prefettura nei loro confronti, estendendolo anche ai residenti in provincia.Roberto Wenner, uno dei principali industriali cotonieri elvetici dell’Italia meridionale, con stabilimenti anche a Poggioreale, pur lavorando per l’eser-cito italiano fu indotto a cedere la società ed a lasciare la città.Altra evidente conseguenza, sotto il profilo comportamentale, fu la nascita di un atteggiamento di ostilità di molti napoletani e delle popolazioni dei comuni della provincia nei confronti dei profughi ospitati101:

Tale sentimento si è acutizzato dopo la recente incursione aerea nemica su Napoli. I profughi vengono nientemeno accusati di avere fornito indicazioni al nemico, i bam-bini profughi che si recano sulle colline a fare legna vengono accusati di avere fatti segnali al nemico.

100 “Roma”, Prove d’allarme antiaereo, 17 marzo 1918.101 Relazione della Commissione incaricata .., cit.

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Le operazioni di rimozione delle macerie e di ricostruzione si protrassero per molti mesi e proprio durante alcuni scavi nella zona della salita del Pe-traio, precisamente in un’abitazione di cinque piani totalmente distrutta, fu rinvenuta in fondo a una cantina una grossa bomba inesplosa. Nei giorni seguenti la direzione di Artiglieria, coadiuvata da pompieri e marinai della difesa antiaerea, disinnescò l’ordigno del peso di quattro quintali. Portata come trofeo di guerra a palazzo San Giacomo, fu esposta nella sala dell’as-sessore alle opere pubbliche102.

102 “Roma”, 3 maggio 1918.

Fig. 12 - Il modello di bomba che colpì Napoli

CAPITOLO III

LA FINE DELLA GUERRA - IL RITORNO

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L’emergenza continua

Malgrado fossero passati alcuni mesi dall’arrivo in città dei rifugiati, la situa-zione complessiva, pur dando segni di miglioramento, era ancora proble-matica e molte urgenze dovevano ancora essere affrontate.Il prof. Piutti, dopo aver costruito un forno per il pane ed allestito un’altra Cucina nell’Istituto di chimica farmaceutica dell’università, pensando che l’opera del Comitato friulano e degli altri comitati cittadini non poteva es-sere duratura e si sarebbe andata affievolendo col tempo, mentre sarebbero dolorosamente rimaste le ragioni della loro costituzione, il 24 febbraio, isti-tuì anche una “Società di Mutuo Soccorso” fra gli esuli. Il nuovo consorzio ebbe le seguenti finalità:

1°- Tutelare le condizioni morali ed economiche dei propri associati.2° - Provvedere con servizio sanitario gratuito alla cura dei soci infermi e delle loro famiglie. 3° - Istituire apposito ufficio di collocamento ed informazioni.4° - Costituire sotto il suo patronato una cooperativa di consumo.5° - Tenere nei locali sociali qualche utile ed amichevole ritrovo.

La nuova associazione si propose di continuare automaticamente l’opera del Comitato friulano raccogliendo anche le rimanenze attive delle sotto-scrizioni e le offerte che erano state inviate. Come primo atto ufficiale il consorzio inviò un telegramma103 di ringrazia-mento al prefetto Menzinger ed un altro al sindaco di Napoli, invitandolo ad assumere la carica di Presidente onorario. La richiesta fu accolta dal primo cittadino.La società di mutuo soccorso ebbe un grande successo tra i profughi (450 famiglie iscritte) e in tempi brevi riuscì a organizzare un servizio sanitario gratuito per la città e per molti comuni vesuviani104:

103 “Il Giornale di Udine”, Come fu ordinata la nostra colonia, 7 marzo 1918. 104 “Il Giornale di Udine”, Le iniziative del prof. Piutti, 23 giugno 1918.

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Napoli: prof. Giulio Ceresole, cav. Dott. Oddone Raule, dott.ssa Giuseppina Marcianti, dott. Giuseppe Meduri, dott. Simoni Antonio, prof. Carmelo MoléS. Giovanni a Teduccio, S. Giorgio a Cremano e Barra: dott. Alfredo Froio, dott. Luigi CautieroPortici: dott. Ciro FormicolaComuni Vesuviani: prof. Gabriele Pecoraro

Il comitato friulano istituì anche una sezione distaccata della propria orga-nizzazione a Portici, alla quale erano preposti il sindaco di Pollena Trocchia, Pietro Pistolese, in veste di Presidente, e i sig.ri Cosmo Pecoraro ed Enrico Giovannini. L’incessante attività proseguì, con la costituzione di una Cooperativa per azioni, debitamente riconosciuta dal Tribunale, per fornire ai profughi i generi alimentari alle migliori condizioni di prezzo105.Agli inizi di aprile il sindaco di Napoli ricevette a palazzo San Giacomo una delegazione della Croce Rossa americana che versò un contributo speciale di lire sessantamila da destinare al pagamento di due mesi di sussidi a duemila famiglie di soldati napoletani, integrando il magro bilancio comunale106. Malgrado questi straordinari tentativi di assistenza, la situazione generale era comunque difficile e al limite della sopportazione.A ciò si aggiunse un allarme sulla presenza di mine nel golfo di Napoli, lan-ciato dal Comando del Dipartimento Marittimo, che, tra l’altro, propose di dare un premio ai pescatori che ne avessero segnalata la presenza, aiutando così i dragamine nell’opera di bonifica107.Una vibrante lettera di protesta fu inviata il 14 giugno 1918 all’Alto Com-missariato per i profughi di guerra sottolineando i vari problemi108:

Disparità di trattamento nella distribuzione di oggetti offerti dalla pubblica beneficen-za, generato da pressioni o favoritismo. Promesse vane: mancanza di logiche vedute; viaggi dispendiosi ed inutili dai vicini comuni con ritorni a mani vuote. Nessuna differenza tra profughi delle terre invase,

105 L’Opera del Comitato friulano …, cit. La cooperativa cessò la sua attività il 23 marzo 1919.106 “Roma”, 7 aprile 1918.107 “Roma”, 14 aprile 1918.108 “Il Giornale di Udine”, Per la verità!, 4 luglio 1918.

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che nulla poterono portare seco, e coloro che ebbero tutto il comodo, non solo di realizzare denaro, ma di preparare il loro bagaglio e scegliere la roba migliore e più conveniente.Favoritismi nella concessione di alloggi gratuiti.Poca avvedutezza nella costituzione di cooperative in cui si obbligano i soci a versare una quota non indifferente per chi vive del solo sussidio mentre gli abbienti sono i be-neficiati. Poca sorveglianza e cattivo indirizzo nelle cucine economiche. Deficienza di avvisi e circolari di modo che la maggior parte degli interessati sono al buio completo di ciò che li riguarda non sapendo così a chi rivolgersi e perdendo inconsciamente i loro diritti.

La missiva fu firmata da circa duecento capi famiglia ospitati a Napoli ed era lo specchio di un reale malcontento per le condizioni di vita, accom-pagnato da un forte disagio morale acuito dalla mancanza di notizie dei parenti rimasti nei luoghi invasi e dei militari di cui si ignorava la sorte.Il crescente malessere degli esuli portò a organizzare a Firenze, nei giorni 22 e 23 giugno, il Primo Congresso Nazionale fra le Rappresentanze dei profughi di guerra. Sotto la presidenza del Segretario Generale dott. Luigi Alpago Novello, si discusse della costituzione di un Fascio dei comitati pro-fughi delle Terre invase, di estendere l’azione dei Comitati e di promuovere disposizioni legislative per la futura ricostruzione delle territori occupati dal nemico.Davvero angosciosa, dunque, fu la condizione di queste genti strappate dalle loro terre e che proprio in quei giorni vivevano il momento di maggior bisogno sia per aver esaurito i pochi mezzi salvati nella fuga, sia per la loro diminuita resistenza fisica che li rendeva facilmente esposti alle malattie. A tutto ciò si aggiunse, nel giugno 1918, il grave tentativo da parte del Go-verno nazionale di voler ridurre il già misero sussidio economico agli esuli. La furibonda reazione dei rifugiati in ogni parte d’Italia portò all’immediata sospensione del provvedimento legislativo e i comitati, convocati in assem-blee straordinarie, votarono documenti di accesa protesta.Queste le deliberazioni del Comitato friulano e del Consiglio Generale di mutuo soccorso di Napoli109:

109 “Il Giornale di Udine”, Il voto dei rappresentanti dei profughi, 1° agosto 1918.

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Premesse

che i profughi di guerra sono cittadini i quali, piuttosto che sottostare alla schiavitù dell’aborrito invasore ed essere resi suoi istrumenti di guerra contro la Madre patria, hanno preferito abbandonare e sacrificare tutto ed affidarsi alle doverose cure del Go-verno ed alla riconoscente ospitalità dei liberi e fortunati loro fratelli delle altre pro-vincie;

che i profughi stessi sono per oltre nove decimi, vecchi, donne, fanciulle comunque inabili essendo gli abili, soldati o requisiti dal Governo; […]

che l’asserzione “essere i profughi riluttanti al lavoro” (artificiosa) e troppo insistente-mente diffusa, è inesatta e forse tendenziosa; e, di conseguenza, la minaccia d’indurveli colla privazione del sussidio è ingiustificata e irritante;

Ritenuto

[…] che non sempre l’Autorità politica delle provincie e specialmente gli organi da essa dipendenti si immedesimano delle condizioni dei profughi e non tengono presente la loro grande sventura;

Deliberano

di richiamarsi e aderire all’Ordine del Giorno approvato dal Congresso dei Comitati dei Profughi di tutta Italia, tenuto a Firenze il 23 giugno 1918; e di far voti che a togliere la preoccupazione ed il malcontento dei profughi e dei loro figliuoli soldati, si voglia definitivamente revocare il D. L. 27 giugno p. p. n. 851.

Da una situazione di solidarietà, col passare del tempo, si passò all’ostilità: si potrebbe sintetizzare in questo modo il rapporto tra lo Stato, le comunità ospitanti e i profughi nel corso del 1918110:

La discrezionalità del trattamento creò un crescente malcontento, la patria divenne “matrigna”, lo stato indifferente tanto che nei profughi subentrò uno stato di disincanto e di disillusione; i contrasti tra governo e “Alto Commissariato” portarono questo organismo allo stallo e i profu-ghi diventarono un “peso sociale”. L’estate e l’autunno del 1918 furono segnati da dimissioni, lettere anonime, sfiducia nei confronti dei parlamentari. Il peggioramento delle condizioni di vita accrebbe le divisioni interne: tra profughi e governo, tra profughi friulani e profughi veneti (tra «invasi» e «non invasi», accusati di essere privilegiati), tra profughi e comunità ospitanti, tra

110 Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto, cit.

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profughi e disfattisti/internati, tensioni queste ultime che si inscrivono in un clima di vera e propria caccia al “nemico interno”.

Alle drammatiche e quotidiane difficoltà di sopravvivenza, accompagnate da uno stato di preoccupazione per l’esito della guerra, si aggiunse un’epi-demia influenzale che causò migliaia di decessi.Agli inizi dell’autunno 1918 l’influenza, detta “febbre spagnola” divenne ancor più virulenta e aggressiva, mietendo vittime in Europa e in Italia, soprattutto al Mezzogiorno. Intensa, in questa fase, fu l’opera della Croce Rossa americana per attenuare le conseguenze di questo flagello. A Napoli fu istituito un centro di soccor-so per bambini alla Galleria Vittoria e un altro a Posillipo per la distribuzio-ne di latte, brodo e pastina. I medici e le infermiere fecero opera di assistenza domiciliare alle persone inferme, portando le medicine necessarie e disinfettanti111. Malgrado i tentativi di debellare il morbo, migliaia furono in città le vittime colpite dalla malattia112.Un’ulteriore indagine sanitaria rilevò a Napoli, per il solo anno 1918, un incremento di casi di tubercolosi che causò la morte di 1774 persone113.

Vittorio Veneto e il rimpatrio dei profughi

Laceri, stremati, spesso sprovvisti di artiglieria, i soldati italiani, ancora con l’incubo della sconfitta di Caporetto, seppero riaversi e da soli ricostruire uno spirito combattivo, impressionando l’incredulo nemico e meraviglian-do gli scettici alleati114.

111 Dipartimento di Informazioni, Relazione Sommaria dell’opera svolta in Italia dai vari Dipartimenti della Croce Rossa Americana dal novembre 1917 al febbraio 1919, Tip. Nazionale Bertero, Roma, 1919. L’influenza spagnola, altrimen-ti conosciuta come “Grippe”, è il nome di una pandemia influenzale che fra il 1918 e il 1920 uccise almeno 20 milioni di persone nel mondo.112 Anche il comune di Ponticelli pagò un elevato tributo di vite umane. “10 Settembre 1918 - Scoppia l’epide-mia detta “Grippe” febbre spagnola con polmonite - Il male incalza giorno per giorno e a quasi metà d’ottobre distrugge circa quattrocento concittadini tra piccoli e grandi, uomini e donne. Di giorno e di notte il Parr. Piantadosi e l’assistente Rev. Napolitano non trovano un momento di riposo”. (Diario del parroco Piantadosi).113 Alberto Botti, Statistiche Sanitarie Napoletane per gli anni 1875 - 1930, Ed. SIEM, Napoli, 1931.114 Sito web cronologia.leonardo.it/storia/a1918.

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Dopo una furiosa resistenza sulla linea del Piave, il 24 ottobre iniziò la con-troffensiva italiana che portò allo sfondamento del fronte nemico e l’inse-guimento delle truppe tedesche fino a Vittorio Veneto. La guerra era finita e il 4 novembre fu firmato l’armistizio.

Fig. 13 - Il Razzo - Giornale di trincea della 7a Armata - 1918

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Per migliaia di profughi la fine della guerra, però, non segnò la fine delle peripezie e il ritorno nelle terre redente che, nella maggior parte dei casi avvenne durante la prima metà del 1919, terminando alla fine dell’anno successivo. Dopo una prima fase di generale euforia e ottimismo, l’entusiasmo ben presto svanì di fronte alla drammatica situazione in cui versavano i comuni delle regioni liberate. Distruzione e devastazione regnavano sovrani.Il 14 gennaio 1919 fu emanata dal Comando Supremo un’ordinanza che regolava la circolazione nella zona di guerra e prevedeva che l’accesso alle “terre redente” avvenisse solo in seguito al rilascio di permessi da parte delle autorità locali115.Il problema del rimpatrio interessò anche le amministrazioni ospitanti che tentarono in ogni modo di favorire il rientro degli esuli in tempi brevi, al fine di limitare i problemi derivanti da un’ulteriore permanenza nelle città. Anche i prefetti sostennero il ritorno con richieste nelle quali si poneva l’accento su una situazione economica e sociale allarmante, aggravata dal considerevole aumento della disoccupazione per la fine dell’economia di guerra e il conseguente smantellamento di molte industrie ausiliarie.Anche il rientro dei soldati congedati dall’esercito, che tornavano a casa e le cui famiglie aspiravano a sistemarsi in locali meno angusti e disagiati, fu un altro elemento che creò ulteriori difficoltà.Il rimpatrio fu consentito in tempi brevi solo ai funzionari e agli ammini-stratori locali. Le richieste degli altri esuli che volevano ritornare furono in gran parte respinte per le difficoltà nei trasporti, per l’inagibilità di molte abitazioni, e per la presenza di proiettili inesplosi.I mesi che seguirono la fine della guerra furono i peggiori per i profughi più bisognosi, non tanto dal punto di vista alimentare, ma perché la loro situazione diventava sempre più precaria. In alcune città come Roma e Napoli, la prostituzione tra le profughe au-mentò notevolmente soprattutto dopo la firma dell’armistizio116:

115 Paolo Malni, Il rimpatrio dei profughi nel Friuli orientale (1918-1919), “il Territorio”, n. 10, novembre 1998.116 ACS, Alto Commissariato, b. 6, fasc. 92, Un gruppo di Friulani, Veneti e Romani al Ministro delle terre liberate, protocollata il 2 aprile 1919. Cfr. D. Ceschin, La condizione …, cit.

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Un’opera umana, sana, morale, purificatrice sarebbe che l’Autorità Governativa facesse rimpatriate tutte le profughe Venete e Friulane (con o senza sussidio) che si trovano in Roma e che costrette forse dal bisogno ma certissimamente raggirate da luride persone sono obbligate da queste ad esercitare ignobilissime professioni. Sono tutte giovani inesper-te della vita, la maggior parte contadine o di piccoli paesi di campagna.

Le aspettative per un ritorno fortemente invocato, in molti casi, erano raf-freddate dalla consapevolezza di ciò che li attendeva nelle loro terre117. Mol-tissimi, infatti, erano i comuni senza rifornimenti idrici ed elettricità e con l’intero abitato distrutto o inagibile. Vasto fu, però, il fenomeno dei profughi, soprattutto uomini, che rimpa-triarono senza permessi, creando forti disagi alle organizzazioni di soccor-so per l’impossibilità di assisterli. La ricostruzione fu difficile e lenta e solo pochi trovarono posto in barac-che appositamente costruite; gli altri dovettero improvvisare, ristrutturando alla meglio le loro case, magari recuperando materiali abbandonati sui cam-pi di battaglia, dormendo in cantine e caverne oppure cercando ospitalità presso parenti e conoscenti cui la sorte aveva risparmiato la distruzione delle abitazioni.La drammatica scoperta dell’eredità lasciata dalla guerra, fu accompagnata, in quel primo anno di pace, da una caparbia volontà di riscatto.Per la maggior parte dei profughi l’esperienza dell’esodo non fu una pa-rentesi: nel difficile mondo agricolo dei paesi del nord-est d’Italia le fatiche della guerra furono solo un primo impatto con una realtà di vita fatta di stenti e destinata a continuare, a diventare esistenza normale118.Senza alcuna remora e in prima persona anche molte donne sole si ado-perarono a ricostruire le proprie abitazioni, con il pesante compito di ri-comporre la famiglia e di recuperare gli affetti disgregati da una guerra che aveva demolito ogni equilibrio fisico e psichico. Il conflitto sviluppò nelle donne una coscienza delle proprie capacità e della propria funzione sociale, ma ciò non si tradusse, negli anni che seguirono, in una vera emancipazione del ruolo femminile.117 Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto, cit.118 Luciana Palla, Scritture di donne …, cit.

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Con l’inizio del 1919 molte strutture di soccorso create in città finirono il loro compito di assistenza, tra i primi il Comitato provinciale di Miraglia che, il 20 gennaio, chiuse i propri bilanci con la pubblicazione delle somme ricevute a favore dei profughi. L’organizzazione aveva raccolto offerte per circa un milione (L. 950984,41).Gli esuli più bisognosi furono sostenuti al momento della partenza, da par-te del Comitato friulano, con il dono di ceste, valigie, casse e vettovaglia-mento. Anche una piccola somma fu devoluta per i propri bisogni e alla fine ne risultarono beneficiarie 1238 famiglie. L’associazione presieduta da Arnaldo Piutti chiuse la propria opera alla fine dell’anno 1919, pubblicando una “Relazione” esplicativa di ogni attività svolta e indicando in L. 70333,05 il totale complessivo delle somme rac-colte. Il lavoro del Comitato, indubbiamente aveva prodotto notevoli risultati, ma allo stesso tempo contribuì a peggiorare i rapporti fra i profughi delle terre invase e quelli irredenti, per aver esercitato un indubbio ruolo politico a vantaggio degli esuli friulani.Dopo quasi due anni, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, Napoli aveva completato la sua straordinaria opera di solidarietà e soccorso.

CONCLUSIONE

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Isolina Michelina, Voltarel Maria, Nasicci Egizia, Petris Aldo e molte altre migliaia di persone cercavano parenti scomparsi con appelli sui giornali di Napoli.Chi erano costoro dai cognomi così diversi dai nostri? Lo stupore e la sorpresa furono ben presto soppiantati dalla curiosità di comprendere cosa rappresentavano quelle pagine ingiallite fitte di nomi. Da allora un coinvolgente percorso di ricerca e di approfondimento, mi ha condotto nei meandri della sofferenza di un popolo e di quelle famiglie colpite da tanta atrocità.Man mano che lo studio progrediva, emergeva il contributo di solidarietà e fratellanza che Napoli e la sua provincia, in un contesto di totale parte-cipazione anche delle altre regioni del Sud, avevano dato nel momento di maggiore emergenza nazionale.Migliaia furono i napoletani che ospitarono presso le loro abitazioni gente del nord-est, migliaia i napoletani che furono coinvolti in una gara di rac-colta di fondi a favore dei profughi.Certamente l’impegno profuso non si manifestò sempre con risultati utili ad alleviare le sofferenze dei rifugiati ma è da tener conto che anche per i cittadini partenopei e della provincia, in quel periodo di guerra, le condizio-ni di vita erano davvero difficili e disagiate.

… quella fiumana di profughi rappresentava si una realtà dolorosa, ma anche la pos-sibilità di far finalmente incontrare le popolazioni dell’Italia settentrionale con quelle dell’Italia meridionale, persone agiate che avevano bisogno di soccorso con persone che questo tipo di soccorso erano abituate a riceverlo. (Gaetano Salvemini)

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L’incontro di culture e usanze diverse, il differente linguaggio dialettale, il modo dissimile di alimentarsi, insieme a uno stato psicologico di grande preoccupazione, spesso pesarono sui rapporti con i profughi ospitati.La mancanza anche di un identificato status giuridico del ruolo di profugo, comportò ancora maggiori difficoltà nel riconoscimento dei propri diritti, delle necessità e anche delle proprie aspettative.Questo lavoro di recupero della memoria delle drammatiche vicende delle donne, dei bambini e degli anziani profughi che hanno ricevuto assistenza e solidarietà a Napoli e in provincia, cerca di collocarsi in un più complessivo quadro di studi avviato in questi ultimi periodi, cui si spera possa contribu-ire anche questo testo, per fare ulteriore chiarezza su quegli anni del dopo Caporetto che troppo spesso sono abbandonati nelle memorie private o familiari.

APPENDICI

SENATO DEL REGNO

L’incursione aerea austriacaSu Napoli

INTERROGAZIONEDEL

Senatore BENIAMINO SPIRITO

ROMATIPOGRAFIA DEL SENATO

1918

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INTERROGAZIONE

“Ai ministri dell’interno e della guerra e al commissario generale dell’aeronautica per co-noscere se hanno adottato adeguati provvedimenti per i deplorevoli fatti verificatisi ad occasione dell’incursione aerea da parte di un dirigibile austriaco nel cielo di Napoli, nella notte tra il 10 e l’11 marzo; e se vero che un telegramma inviato da Foggia due ore prima per annunciare il passaggio del dirigibile, pervenne a Napoli più tardi che il dirigibile stes-so; che giunto il detto telegramma non si trovò al Comando alcun funzionario o militare e non fu decifrato che assai tardi; che nessuna batteria, né altro mezzo, funzionò a difesa della città, come mancarono le più ovvie precauzioni da parte delle autorità civili e militari, nonostante fosse stato preveduto l’attacco, e che anche presentemente sono affatto insuf-ficienti i segnali adottati per avvertire la popolazione”.

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PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Spirito.SPIRITO. Dovendo parlare di Napoli, e dovendo richiedere che Napoli sia protetta, credo doveroso fare una dichiarazione.Prima ancora che il sindaco di Napoli pronunziasse le parole che l’onorevole Commissario per l’aeronautica ha letto, fu tenuta in Napoli una numerosa riunione di deputati e senatori senza distinzione di colore, per avvisare i provvedimenti necessari, nell’interesse pubblico, dopo i dolorosi fatti della notte dell’11 marzo ultimo; ed i loro voti, da apposita Commis-sione, furono presentati al Presidente del Consiglio.Ebbene in quell’adunanza di deputati e di senatori, come giusta e sincera eco del pensiero della cittadinanza, una pregiudiziale fu fatta e fu detta, e con le medesime parole ripetute del sindaco di Napoli, quella cioè che non un uomo, non un cannone, non un velivolo si tolga dal nostro fronte di guerra se un tale fatto possa per poco diminuire la nostra effi-cienza di resistere di fronte al nemico, Napoli ed ogni altra città patriotticamente sopporte-rebbero maggiori sacrifizi, purché il nemico fosse debellato. Sennonché noi non facciamo soltanto la questione della salvezza e della tutela delle cose, degli edifici e dei cittadini di quella grande città; a Napoli, abbiamo lo stabilimento Ilva, il quale credo sia fra i principali, o il primo addirittura d’Italia per la fornitura dell’acciaio per la costruzione delle armi e cannoni e per le officine delle munizioni; ivi esistono molti ed importantissimi stabilimenti per munizioni. Presso Napoli evvi il cantiere Armstrong, nel quale si fabbricano cannoni; a Torre Annunziata, a Castellammare abbiamo molti stabilimenti militari, cantieri, fabbriche di mezzi di guerra e di munizioni. Noi chiediamo perciò anche la tutela dei mezzi perché la patria nostra si difesa contro il nemico.D’altronde, onorevole Commissario per l’aeronautica, ella con squisita cortesia, di che la ringrazio, appena annunziata la mia interrogazione opportunamente volle fornirmi alcuni

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elementi utili all’esatta conoscenza dei fatti, e ad essi ella ha accennato anche oggi, fra l’altro, relativamente agli scopi che si propone il nemico con le sue incursioni a Napoli, od altrove.È giusto, è necessario osservare che per alte ragioni politiche e militari, che apprezzo, e che il Senato apprezzerà certamente, non sarebbe possibile provvedere tutte le città adriatiche e mediterranee di esaurienti difese antiaeree, perché ciò importerebbe un in-debolimento del fronte. Però credo che, se dei mezzi di cui disponiamo si faccia un uso illuminato, noi potremo provvedere alle maggiori necessità, come lo stesso onorevole commissario ha già operato.Devo aggiungere che gli stessi giornali austriaci e di Ungheria che ha nominato l’onore-vole Chiesa hanno scritto e dichiarato come scopo del nemico non sia solo d’indebolire il fronte, ma anche l’altro di eccitare le popolazioni contro il Governo. Quando infatti le popolazioni si credono indifese allora è facile che abbiano ad eccitarsi. Ond’è che quando insistiamo per la giusta tutela delle città e dei cittadini, veniamo a chiedere in fondo di corroborare la resistenza delle retrovie, che dev’essere non meno viva di quella al fronte. Detto questo, ringrazio l’onorevole Commissario per l’aeronautica delle dichiarazioni che egli ha fatto e delle assicurazioni che ci ha dato, e non dubito che egli, nella possibilità dei mezzi, provvederà ancora a quant’altro occorra. È mia ferma convinzione che quando le opportune difese saranno adottate per Napoli, nessun velivolo più, nessun dirigibile oserà più minacciare quella città, perché Napoli è facilmente difendibile.Ma in Italia dolorosamente, e il caso attuale ce ne dà l’esempio, vi ha sempre una certa debolezza di disciplina; è assai facile la dimenticanza del proprio dovere; ci ammaestrino i fatti di Taranto, dolorosi, che non ricordo qui, i recenti fatti di Ancona, di cui il ministro della guerra sa qualche cosa. Dunque occorre che tutti stiano con gli occhi aperti, sempre vigili; ecco perché le assicurazioni date dall’onorevole Chiesa non tolgono importanza alla mia interrogazione; bisogna perseverare, soprattutto perché tutti ubbidiscano, auto-rità civili e militari. E noi uomini pubblici, abbiamo il dovere di farci eco delle ragioni del paese e delle sue preoccupazioni, e richiamare su di esse l’attenzione del Governo. Infatti dovrò dire pure qualche cosa dell’opera delle autorità civili, e mi fa piacere che in questo momento sia presente anche l’onorevole Presidente del Consiglio, perché sebbene egli non abbia risposto a quella parte di questa discussione che si riferisce più direttamente a lui, io esprimerò egualmente il mio pensiero; ignoro se vorrà rispondere. Ma io svolgerò inte-gralmente la mia interrogazione. Questa si compone di due parti: la prima tende a stabilire se fu organizzata la difesa antiaerea sotto il punto di vista strettamente militare; la seconda è rivolta ad indagare se tutte le autorità politiche, amministrative e forse anche militari della città, provvidero a quelli che possono dirsi mezzi indiretti per la tutela dei cittadini di Napoli, ed alle più importanti precauzioni che la difficoltà e gravità del caso imponevano. Onorevole Commissario, ella ha detto benissimo circa i requisiti essenziali di una efficace difesa antiaerea. Io, a mia volta, non verrò facendo una minuta analisi; non parlerò degli uomini addetti ai servizi antiaerei, se territoriali o validi; non parlerò dei cannoni se adatti

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o meno; non parlerò di altre cose; ma mi soffermerò su due o tre fatti gravissimi, sui quali richiamo la sua attenzione e quella del Senato.È vero che le città si difendono dall’incursioni aeree, mercé opere e fuochi di sbarramento? E io domando a lei: può dire in sicura coscienza che sia stato ottemperato a quello che lo sbarramento richiedeva per Napoli, quando il lato est, che è quello dal quale si deve temere una incursione, perché è la via che i dirigibili muovendo dalla costa orientale adria-tica devono seguire per arrivare sulla città, è stato lasciato senza difesa? Questa parte est, è facilmente difendibile se si piazzano delle batterie, tenuto conto che venendo gli aerei dall’oriente, occorre attraversare la plaga fiancheggiata dalla montagna di Somma e dal Vesuvio. Ebbene, questa plaga era sfornita di qualunque difesa.E non basa. Per difendere Napoli, come qualunque altra città, ed avete detto benissimo, sono compiti essenziali l’avvistamento, le comunicazioni telefoniche, e simili mezzi; ma, io domando: avete fatto il collegamento delle vedette dall’Adriatico a Napoli? No. Dall’A-driatico a Napoli, perché arrivasse un fonogramma bisognava facesse cinque o sei tappe, perché altrettante sono le vedette, e queste non sono collegate tutte col Comando. Il col-legamento delle vedette credo sia avvenuto soltanto ora. E non ho bisogno di insistere su tale circostanza, perché il fatto stesso che da Foggia si mandò un fonogramma alle 23.15, il quale arrivò a Napoli all’1.16 soltanto, quando l’attacco era già esaurito, dimostra che il fo-nogramma non venne per via diretta; esistevano varie interruzioni, le quali evidentemente resero inutili il servizio e le cautele. Detto questo, mi pare evidente, e che non ho bisogno di più oltre dimostrare, devo accen-nare ad un altro fatto assai più grave, per il quale l’onorevole Commissario ha dato già delle spiegazioni, ma che costituisce semplicemente una enormezza straordinaria.L’attacco del dirigibile avvenne alle ore 0.55 della notte tra il 10 e l’11 marzo. Ebbene sapete, onorevole colleghi, a che ora è arrivato a Napoli, da S. Bartolomeo in Galdo, un altro fonogramma annunziante il passaggio del dirigibile? È giunto a 0.21, e sia pure, come dice l’onorevole Commissario, a 0.30. Dunque vi furono ben venticinque minuti almeno in cui si potevano avvertire il Comando, dare gli allarmi per la tutela dei cittadini, avvertire le batterie. Invece inesplicabilmente si trova un telefonista che dorme, un tenente territoriale che s’impappina! Certa cosa è che non fu fatto nulla, assolutamente nulla. È doloroso, è umiliante il sapere che il Comando fu avvertito trenta minuti prima che il dirigibile arri-vasse su Napoli, e che nonpertanto la città rimase indifesa, ed i cittadini furono svegliati soltanto quando le bombe scoppiarono, producendo morti e rovine.Ma vi è di più. Arrivò il dirigibile nel cielo di Napoli, come a Londra, come a Pola, a Parigi, come dovunque, non sempre i tiri di sbarramento riescono ad impedire che giunga l’aereo nemico. Ma, domando: quando questo aereo è entrato proprio nella regione aerea che sovrasta Napoli, le batterie che intorno intorno erano piazzate, cosa hanno fatto? Hanno visto o non hanno visto? Allorché un dirigibile attraversa il cielo, e lo attraversava a bassa quota quello austriaco, come è stato constatato, in modo che chiunque avrebbe potuto

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vederlo, come spiegare che codeste batterie, che abbiamo piazzato a difesa della città, restarono silenziose?Bisogna dire che o erano assenti i comandanti, o dormivano, o non avevano coscienza del loro dovere. Eh! Siatene sicuri, la presenza attiva delle batterie ed il fuoco dei cannoni comunque sparati avrebbero indubbiamente consigliato il dirigibile a mutare rotta, perché, tra le altre cose, pare che fosse un dirigibile di poca efficienza bellica, un “Parsival” mi sem-bra. Difatti, così avvenne a Pozzuoli. Io auguro che voi abbiate premiati ed encomiati quei due comandanti e serventi di batterie i quali erano svegli ed appena avvistarono il dirigibile, furono solleciti a sparare i loro cannoni, ed il dirigibile andò via, salvando in tal modo da grave iattura lo stabilimento Armstrong. E che fosse il dirigibile in condizioni tali da mirar giusto, sia per ragione di altezza, e di ambiente, e di luce, tali da produrre danni ingenti, lo ha dimostrato il fatto dell’Ilva.(L’onorevole Chiesa fa cenno all’oratore di essere riservato).SPIRITO. Non dirò mai cose inesatte.CHIESA, commissario per l’aeronautica. Inesatte no, ma pericolose.SPIRITO. Ebbene, all’Ilva avvenne per caso, per combinazione, che non furono colpiti i macchinari.(L’onorevole Chiesa fa nuovamente segno all’oratore).SPIRITO. … Allora dirò soltanto che fu scambiata la colata dell’acciaio coi rivoli incan-descenti di un’altra materia; il dirigibile mandò giù le bombe, ma esse colpirono il falso segnale, e non quell’altro. Ripeto e mi auguro in tanto spettacolo di rilasciatezza, e lo dico anche all’onorevole ministro della marina, che sia encomiato il personale tutto delle batte-rie di Pozzuoli, e non tanto perché essi fecero il loro dovere, ma più perché non curarono l’ordine sciocco, o scioccamente interpretato, per cui da alcuni fu detto che non si potesse sparare senza averne avuto l’ordine superiore. No, quando il nemico è presente, e si vede, ed attacca, non c’è ordine che tenga, e bisogna far fuoco; questo fecero i comandanti delle batterie di Pozzuoli, e bene meritarono.DEL BUONO, ministro della marina. Furono premiati.SPIRITO. Ringrazio l’onorevole ministro della marina di questa assicurazione.E non dico altro circa l’organizzazione militare. Passo alla seconda parte della mia in-terrogazione.Onorevole Presidente del Consiglio, io avrei potuto dirle anche a voce parecchie delle cose che ora esporrò, ma per ragioni di infermità mi fu impedito di unirmi alla Commissione che venne a presentarle i voti dell’adunanza di senatori e deputati avvenuta a Napoli. Quin-di dirò qui ciò che avrei detto allora, ed anche qualche cosa di più che ho appreso più tardi.Trattasi di una città come Napoli, in cui è a temere che l’attacco venga dal mare, e dal cielo. Ora domando, e qui prendo a bersaglio delle mie accuse la condotta delle autorità locali: hanno esse mai provveduto alle più elementari esigenze? Le autorità locali tutte, o le più importanti e responsabili, si personificano in una Commissione presieduta dal prefetto e

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composta, mi pare, del sindaco, dell’ammiraglio comandante il dipartimento marittimo, del generale comandante il Corpo di armata, e di altri. Chiedo a costoro: avete mai pensato, deliberato, ordinato come e quando si debba fare l’oscuramento della città, e in che modo eseguirlo? Niente! Chiunque ha pratica di Napoli, sa che a poca distanza dalla città, per cir-ca tre chilometri, verso Poggio Reale, la strada è fiancheggiata dai nuovi edifici industriali, e su questi tre chilometri è rimasta sempre, e vi era anche nella notte dell’incursione, una illuminazione completa elettrica, quasi a giorno; tutta quella luce era lì ad indicare al dirigi-bile la via per arrivare a Napoli.Si è provveduto ai posti di rifugio? Si è provveduto ai posti di pronto soccorso? Si è prov-veduto ai mezzi adatti perché i pompieri nel caso d’incendio potessero accorrere? No, assolutamente no. Ed i pompieri di Napoli dolorosamente non avevano che le pompe e gli attrezzi per lo spegnimento di un solo incendio; di tal che, ove per avventura a Napoli per effetto delle bombe cadute si fossero verificati tre o quattro incendi, non vi sarebbe stato modo di provvedere!Ed avete provveduto, proseguo nei miei rilievi, ai segnali di allarme? Questo fatto o que-stione ha per Napoli un carattere tutto particolare, atteso la conformazione della città. Non bisogna dimenticare quale sia la posizione di Napoli; la collina divide la parte orien-tale dalla parte occidentale. A nulla vale la sirena dell’arsenale, per forte che sia; se agisce nella parte orientale, quella occidentale non può sentirla. Tal’è di altri mezzucci escogitati, che sono assolutamente insufficienti. Provi l’on. Commissario, come a Parigi, a mezzo di pompieri o trombettieri nei più alti e più lontani punti della città.Circa il funzionamento di detti organi e Commissioni locali io debbo dire alcune cose an-cora più gravi, le quali rivelano o l’insipienza o la negligenza massima di tutti coloro ai quali incombeva di provvedere. Si tratta di fatti e cose che io ho appreso, on. Commissario, per la maggior parte in quell’ufficio che ella mi indicò con la sua lettera cortese del 22 marzo.Pensò quella Commissione speciale, che credo fu nominata dal Presidente del Consiglio, che fosse indispensabile che la stazione della ferrovia centrale fosse in dati momenti oscu-rata in tutto o in parte: e ne fece richiesta. Ma la Direzione delle ferrovie rispose: non lo faccio, perché credo che questo danneggi il servizio.Un’altra volta la stessa Commissione dispose che si provvedesse ai posti di rifugio. Il sinda-co, l’autorità comunale fecero preparare un progetto; occorrevano circa cento mila lire di spesa. Allora il sindaco obiettò: ai rifugi deve pensare l’autorità militare. L’autorità militare rispose, e mi sembra più giustamente, che la costruzione dei posti di rifugio è cosa che spet-ta all’autorità municipale. In questa divergenza come si finisce? Col non far niente di niente.Passiamo ai telefoni. Il comando del Corpo d’armata dice alla direzione dei telefoni: le vostre signorine non mi servono perché non mi garantiscono sufficientemente; devo avere i militari a servizio del telefono per le batterie.CHIESA, commissario per l’aeronautica.Le telefoniste hanno fatto proprio bene ed hanno avuto l’encomio solenne.

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SPIRITO, non mi permetto di mettere in dubbio quello che afferma l’onorevole Commis-sario: io riferisco fedelmente le notizie che ho potuto raccogliere da buona fonte.PRESIDENTE. Faccio osservare all’onorevole senatore Spirito che il regolamento, dopo la risposta del ministro, non permette all’interrogante di parlare più di cinque minuti.Voci. Lo lasci parlare!SPIRITO. Illustre signor presidente, ho diretto la mia interrogazione a tre ministri, me ne risponde soltanto uno; e poi l’argomento è di somma gravità.PRESIDENTE. Parli pure, ma procuri di essere breve.SPIRITO. Dunque non metto in dubbio, ripeto, le affermazioni dell’onorevole Commis-sario, ma il punto delicato è un altro. Il comando del Corpo d’armata osserva alla direzione dei telefoni, che con le signorine non si ritiene abbastanza garantito; replica la direzione dei telefoni, rifiutando l’opera dei militari, perché a sua volta non risponde del servizio se non lo fanno le signorine. Insomma quello che il comando del Corpo d’armata chiedeva, bene o male che fosse, lo chiedeva anche la Commissione delegata dal Presidente del Consiglio: un burocratico, un dipendente si rifiuta di fare.Onorevoli signori ministri, domando io: ma in che mondo dei mondi viviamo? Quale confusione? Quale anarchia è questa?Si debbono creare i posti rifugio, sono indispensabili per la tutela dei cittadini; ma non si fanno. Si debbono preparare i posti di pronto soccorso, e non si fanno; si deve provvedere all’oscuramento delle ferrovie, e non lo si fa.Al funzionamento dei pompieri, all’oscuramento della stazione, al servizio dei telefoni; a niente si pensa, e nulla si decide, nulla si esegue; tutto è campato in aria.Ma, domando io: c’è un’autorità superiore che presiede a tutte queste differenti autorità lo-cali, la quale tolga i dissensi, le discrepanze, armonizzi, vegga chi ha ragione e chi ha torto, e dica e decida ciò che si deve fare? E se il prefetto non si muove, né commuove, non vi è il Ministro? Volete maggiore prova della negligenza di codeste autorità?Onorevoli ministri, sapete perché il dirigibile è venuto ad attaccare Napoli? Perché questa allarmante condizione di generale deficienza, come ha riconosciuto lo stesso onorevole Commissario, tutti sapevano, era essa notoria; meglio e più di noi la conoscevano i nostri nemici. Potrei dire molti fatti, ma una sola cosa fra tutte voglio manifestare, perché è gravissima, perché mi sanguina il cuore come napoletano e come italiano. Sa, onorevole Commissario che in via Chiaia, un posto centrale, elegante della città, vi era il farmacista Durst, autentico tedesco. Nel retro-bottega aveva il ritratto del Kaiser a grandezza natura-le, ed ha il figlio che combatte al fronte contro di noi od i nostri alleati, che è la medesima cosa. In detta farmacia tutti i giorni dopo le 12 davansi convegno noti disfattisti napoletani. Ebbene, sono soltanto pochi mesi che questo individuo è stato internato, e con lui sono stati internati una minima parte dei nostri nemici; molti altri ne rimangono a Napoli e nei dintorni. E dove li avete internati? Ad Avellino, a Benevento, alcuni a Campobasso!Ma chi non sa la molteplicità, la facilità, la frequenza dei contatti fra questi centri e Napoli,

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perché da Avellino e da Benevento a Napoli si va in poche ore. Avendoli riuniti ad Avellino e Benevento, avete fatto un male maggiore, perché hanno modo di organizzarsi a tener vivo lo spionaggio. In paesi di provincia, quella gente, ricca di quattrini, piena di audacia, posano a gran signori, fanno i prepotenti, vanno a prendere il loro the nelle case dove prima il the non si conosceva. In tal modo si avvelenano anche i nostri ambienti. Ecco quello che avete fatto.Una volta abbiamo letto nei giornali che una signorina internata ad Avellino era venuta a Napoli a trovare il suo amante e si è suicidata!Come da Avellino poteva venire a Napoli?Li internate e poi date loro i permessi per recarsi a Napoli!Come vedete, tutto questo costituisce uno stato di insufficienza, un pericolo sempre grave e permanente.Ma v’è ancora di più. Sento dire che a Ponza, isoletta che sta quasi all’entrata del golfo di Napoli, avete mandato altri internati. Ora è prudenza questa mettere sul mare questi nemici, sul mare percorso da sommergibili che tanto male hanno fatto? E volete averne la riprova? Ve la do subito. Negli ultimi giorni della settimana santa i nostri pescatori hanno l’abitudine di non pescare, ed allora i Tedeschi o gli Austriaci, appurata questa consuetu-dine, naturalmente avvisati, indirizzati, guidati da codesti internati loro connazionali, coi quali è così facile aver rapporto, in quei giorni hanno seminato di mine il golfo di Napoli! E questo, onorevole Commissario lo posso dichiarare coram populo senza tradire nessun segreto, perché anche ieri, anche stamane, leggevo nei giornali l’ordinanza del comandante il Dipartimento marittimo di Napoli, che promette largo premio ai pescatori che scopri-ranno mine nel golfo di Napoli!Ecco gli effetti di tanti errori, e di una grossolana insipienza. Ma quali conseguenze dob-biamo cavarne noi, onorevoli ministri, onorevoli senatori? Io sono convinto che i dirigibili non oseranno più presentarsi nel cielo di Napoli, ne ho ferma convinzione; ma a condi-zione che voi manteniate ferma e vigile la difesa, perché come essi erano prima informati delle nostre deficienze ora saranno informati che le nostre batterie funzioneranno bene coi loro cannoni, che opportunamente avete mandato, coi velivoli ed altri mezzi di difesa.Ma vi sono anche responsabilità e conseguenze di ordine amministrativo e politico. È possibile che autorità, le quali hanno tenuto una condotta così incerta, così indecente, così negligente sieno assolute?Esse sono la causa vera ed unica di quello che è accaduto, perché se non fossero avverate e non si fossero conosciute tante negligenze, il dirigibile non avrebbe osato di venire ad attaccare Napoli. Credo di avere spiegato il doppio oggetto della mia interrogazione: il primo, che l’organizzazione strettamente militare non fu fatta così come avrebbe dovuto essere; il secondo, che mancò del tutto il funzionamento della Commissione, la quale do-veva preparare tutti i mezzi indiretti per rendere utili ed effettive le difese, le precauzioni, la tutela dei cittadini; essa venne meno al suo dovere.

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Non devo dire altro. Nessun sentimento di animosità mi ha mosso; ma il dovere di cittadi-no, di italiano; io parlo per veder dire, e non per altro. Occorre, è indispensabile, onorevoli ministri, che a Napoli, invece di un’azione energica, di guerra, come si addice ad un popolo in guerra. Fate le opere, date le difese, organizzate i servizi, preparate tutto; fate che si sappia che Napoli è difesa, e allora i velivoli ed i dirigibili nemici non verranno. Così darete ai cittadini anche la sicurezza che se verranno, essi saranno accolti degnamente, come meritano, perché ormai possiamo e sappiamo difenderci. E così voi mutando, o facendo fare ai vostri dipendenti questa politica, che è necessaria, ed è la sola da seguire, non solo rinsalderete l’animo dei cittadini, non solo terrete alto lo spirito pubblico, ma farete un’al-tra cosa ancora, più importante, verrete a scoprire quale sia la meschinità psicologica dei nostri nemici che credono di speculare sulla debolezza del popolo italiano.Le loro barbarie, i loro assassini possono creare dolori, ma ne avranno effetti opposti alla loro aspettativa. Codesti assassini, gl’incendi, le rovine non faranno che accendere di più l’ira e l’odio contro il nemico, ma nel tempo stesso rinsalderanno la fermezza degli animi nostri, la fede nella vittoria, la fede nei nostri propositi di vincere. (Applausi vivissimi anche dalle tribune. Vari senatori vanno a stringere la mano all’oratore).

Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze

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Relazione sulle visite fatte ai profughi di Aversanei giorni 16-18 gennaio 1918.

In adempimento dell’incarico avuto da S.E. l’Alto Commissario, i sottoscritti si sono re-cati anzitutto a Caserta, dove hanno conferito col Prefetto e con gli altri funzionari che attendono all’assistenza dei profughi, e quindi ad Aversa, ove hanno visitato i profughi ricoverati nei locali dell’ex Reclusorio (circa 800), delle Crocelle (circa 70) e di San. Giro-lamo (circa 100).Ad Aversa hanno conferito col Delegato di P.S. marchese Mascia, al quale da alcuni giorni è stata affidata la direzione degli asili, mentre non hanno potuto parlare col Sindaco, occu-pato da una seduta del Consiglio.Dalle informazioni raccolte, sia per bocca dei nominati funzionari, sia interrogando i pro-fughi, anche fuori dalla presenza del Delegato, risulta quanto segue:

SUSSIDIO = La causa principale dell’attuale malcontento risiede nel fatto, che l’ultimo pagamento di sussidi è avvenuto il 31 dicembre, mentre il sussidio scaduto il 10 gennaio (il pagamento si fa a decadi) non fu pagato né alla scadenza né sino a tutto il giorno della visita. E precisamente il Comune di Aversa, che eseguisce i pagamenti per conto della Prefettura, dopo essere arrivato già una volta all’estremità di scontare presso un a Banca privata l’ordinativo ricevuto e che la Tesoreria della Prefettura per mancanza di fondi non poteva pagare, aveva ritentata la prova con un nuovo ordinativo di 50000 L., ma questa volta senza risultato. La Tesoreria della Prefettura di Caserta, come accennato, è rimasta al verde, perché i fondi ripetutamente chiesti al Ministero non sono arrivati. I cosiddetti “fondi a disposizione”, per circa 600mila Lire, sono stati interamente assorbiti, e ciò ha prodotto non soltanto la stasi del servizio profughi, ma anche la paralisi di altri pubblici servizi. Il sig. Prefetto di Caserta afferma di aver fatto presente più volte, che per tornare al pareggio del conto corrente gli occorrerebbe circa un milione di Lire. Siccome i profughi di Aversa, tanto quelli ricoverati negli asili come quelli che vivono in case private, provvedono col sussidio all’acquisto del vitto, conseguenza della sospensione del sussidio fu che i profughi che non hanno denari con sé o non trovano credito presso gli esercenti locali sono rimasti senz’altro cibo che il pane, distribuito loro giornalmente, a conto del sussidio, nella razione di 300 gr. per testa. Ad avviso dei sottoscritti, sarebbe dunque urgente di provvedere all’invio dei fondi occorrenti perché possa riprendersi il regolare pagamento dei sussidi, tanto più essendo prossima a scadere la seconda decade di gennaio.

NUTRIMENTO = I profughi si lagnano, che il pane che ricevono è poco, che devono pagare la farina gialla a L. 1 il chilo ed il latte a L. 1 il litro ecc. Va però osservato, che la

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razione di pane di 300 gr. assegnata ai profughi, è la stessa che ricevono gli altri abitanti, e che le condizioni dell’approvvigionamento della provincia di Caserta, a detta del Prefetto, sono difficilissime, tanto che mentre la provincia abbisognerebbe d’un quantitativo mensi-le di circa 70000 quintali di grano, non riesce ad averne che circa 20000. Non è dunque da meravigliarsi, cha ad Aversa manchi la pasta: sembra però, che per lunedì 21 sia assicurata una nuova distribuzione di pasta, della quale fruiranno anche i profughi, muniti all’uopo della tessera.

INDUMENTI E CALZATURE = Nella visita fatta ai ricoveri non si trovarono profughi scalzi né che mostrassero aver urgente bisogno d’essere rivestiti. Certamente però sarebbe desiderabile che quanto prima potesse effettuarsi una nuova distribuzione d’indumenti, ol-tre quella già eseguita col mezzo del comitato locale della Croce Rossa. Per quanto riguarda le calzature, il sig. Prefetto di Caserta informò che gli era stato assicurato il quantitativo occorrente di scarpe di Stato da parte del Ministero dell’industria e commercio, ma che non si era raggiunto ancora un accordo sulle condizioni della consegna, la quale secondo il Ministero dovrebbe seguire previo un forte anticipo da parte dei rivenditori, mentre il prefetto (non essendovi in provincia rivenditori di potenzialità sufficiente) proponeva che la fornitura avvenisse in propria regìa.Come detto, la sovrintendenza alla colonia dei profughi, sin qui esercitata dal Sindaco, è stata da alcuni giorni affidata al Delegato di P.S. marchese Mascia, il quale ha ottenuto che gli fosse aggiunto un militare in riposo; dall’opera di questi funzionari dipenderà, se i bisogni dei profughi potranno in avvenire essere opportunamente accertati e sodisfatti.

CONDIZIONI D’AMBIENTE = Dal memoriale e dalle dichiarazioni dei profughi in genere sembra non regni troppa cordialità fra profughi ed abitanti. Aversa, del resto, non gode fama molto lieta in fatto di moralità. Lo stesso Delegato lamenta lo sfruttamento dei padroni (agricoltori, borghesi) locali, con la complicità indiretta degli stessi profughi, pau-rosi soprattutto di perdere il sussidio. Per quanto Aversa sia un centro agricolo importante e quindi la mano d’opera sia ricercata, non sono molti i profughi occupati. Qui tornano in complesso verificarsi gli inconvenienti altre volte segnalati nelle colonie dei profughi nell’Italia Meridionale. Anche i Veneti, come i Trentini ed i Friulani, si sentono isolati in un ambiente che non è il loro, con usi e costumi differenti, e riesce quindi loro più difficile armonizzare la loro vita con l’ambiente. E’ pur peccato, che altre considerazioni di grande importanza non permettano che essi abbiano potuto fermarsi tutti nell’Alta Italia o nella Toscana.

ALTRI INCONVENIENTI = Benché non si fossero sentiti lagni speciali in argomento, bisogna però osservare, che la proprietà anzi la semplice pulizia degli alloggi è piuttosto trascurata: che le latrine spandevano emanazioni cattive (alle quali pare si stia ponendo

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riparo): che è desiderabile minore parsimonia nel numero delle coperte. Ai sottoscritti è stato assicurato, che si provvede alla visita medica giornaliera dei profughi ricoverati: un profugo però lamentava, che la madre sua (che a quanto i sottoscritti pote-rono giudicare si trova in gravi condizioni) non avesse ancora avuto il soccorso medico, invocato da parecchi giorni. In generale i sottoscritti ritengono, che sarebbe sommamente desiderabile che da parte del comitato di soccorso locale (sulla cui opera naturalmente non poterono nella breve visita formarsi un giudizio) potesse esplicarsi un sussidio interessante a favore dei profughi, utile a promuovere quei miglioramenti nelle condizioni di vita, che se anche lievi di per sé, giovino ad attenuare il senso del trovarsi sbalestrati e randagi. Così p. es.: la cucina dei profughi si fa tuttora in un modo quanto mai rudimentale, con fornelli nei corridoi ecc.I sottoscritti osservano infine, che certe persone, le quali forse erano abituate ad un mi-gliore regime di vita, e più esigenti per la loro condizione sociale da essi reputata superiore a quella dei semplici contadini, sono le più malcontente e quelle che eccitano anche il malcontento di altri, per cui, insieme coi provvedimenti sopra accennati, gioverebbe a ricondurre la calma negli animi qualche opportuno trasferimento, in parte già disposto dall’Autorità locale.

Roma, 19 gennaio 1918 Giovanni Pedrotti

Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti

COMITATO CIVILE PRO-FERITISANTAMARIA C. V.

RELAZIONE E RESOCONTO GENERALE

Dal 1° luglio al 31 Dicembre 1917

E PARTICOLARE

PER L’ASSISTENZA AI PROFUGHI

dagli 11 nov. 1917 ai 30 febb. 1918

SANTAMARIA CAPUA VETERESTABILIMENTO TIPOGRAFICO UMILI FERDINANDO

Via Mazzocchi N. 1331918

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IRelazione del Presidente sulla gestione del 2° Semestre 1917

Signore e Signori del Comitato:

L’opera svolta da questo Comitato, dall’inizio della sua Costituzione (1° agosto 1915) a tutto il 31 dicembre 1917, ha fruttato un introito complessivo di L. 19509, delle quali ven-nero spese L. 12410,57. Per ciò che riguarda gli esercizi precedenti furono già approvati e pubblicati tre resoconti; cioè: dal 1° agosto ’15 al 24 febbraio ’16; - dal 25 febbraio al 31 dicembre ’16 - e dal 1° gennaio al 30 giugno 1917.1. Costituzione del Comitato in Ente giuridico. - In esecuzione della Circolare del Ministro

dell’Interno, e di seguito a vostra deliberazione del 27 giugno (a cui aderirono anche coloro che non erano intervenuti all’adunanza, con dichiarazione sottoscritta), fu rico-stituito il Comitato, approvato lo Statuto, rinnovato l’ufficio direttivo e di rappresen-tanza; al quale vi piacque con gli altri confermare me come Presidente; di che vi rin-graziai e novellamente vi ringrazio; fidente nell’opera di voi tutti, per compiere con le scarse forze mie il compito assunto. Il 30 giugno, sempre secondo quella deliberazione, fu inoltrata domanda al sig. Prefetto, per il riconoscimento giuridico del Comitato, che venne concesso con decreto del 27 novembre. Ed ora, a norma dell’art. 7 dello statuto e secondo il sistema anche innanzi praticato, eccomi a riassumervi l’opera spiegata dal Comitato nell’ultimo semestre, e a sottoporre alla vostra approvazione il resoconto finanziario dello stesso periodo.

2. Visita e assistenza a’ feriti. - Il Comitato fece 23 visite ed offerse a 2434 feriti qui ricoverati sigari, sigarette, pantofole, grucce, bastoni, cioccolato ecc.; provvedendo in ispecial modo per qualche malato più grave. E portò insieme, specialmente per mezzo vostro, signore gentili, la parola confortevole, per effetto della quale vedeste soventi risorgere il sorriso negli occhi di coloro che nelle angosce avevano perduta la fede e la speranza, e mercé vostra la sentirono rianimata, e tornarono più forti a sostenere il dolore, a vincere il male.Si provvide a’ funerali di 8 soldati deceduti negli ospedali; e che la scienza, né l’affet-tuosa assistenza potettero contendere alla morte, intervenendo a’ funerali medesimi e mandando per ciascuno una corona di fiori, come fece per l’eroico Capitano medico Fusco, sventuratamente schiacciato dal treno in questa stazione. Nel 2 novembre curò che fossero solennemente commemorati nel Cimitero e ricordati alla riconoscenza della Patria, in presenza delle Autorità Civili e Militari, i morti sepolti nel Cimitero stesso. - Ne’ giorni del Natale e del Capodanno, d’accordo con la Direzione Sanitaria, provvide affinché nell’Ospedale di Riserva Cappabianca fosse dato il pranzo a tutt’i ricoverati riuniti in una sola tavola (meno coloro che non potettero lasciare il tetto), abbellita di fiori e piante ornamentali e bandiere; assistiti specialmente dalla signore e signorine del Comitato, e rallegrati dalla musica gentilmente concessa dal Direttore del R. Riformatorio Angiulli. Assistette pure al pranzo de’ ricoverati nell’Ospedale

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Territoriale della C. R. E. in ambedue gli ospedali, oltre a’ sigari e alle sigarette, furono distribuiti torrone, aranci ed altre frutta. Per il pranzo del Capodanno i componenti il Comitato offersero de proprio 13 capponi a’ ricoverati nel Cappabianca, e un provolone il Comm. Fortunato Cappabianca; e ciò per eguagliare il trattamento che quel giorno venne fatto a’ ricoverati nell’Ospedale della C. R., per offerta della C. R. Argentina. A parecchie altre spese, e particolarmente alla distribuzione di frutta, il Comitato sopperì anche de proprio, per non aggravare il bilancio; e debbo rilevare, tra le altre, l’offerta di L. 50 da parte di una gentile signora del Comitato, che desidera rimanere incognita, per somministrazione di frutta, limoni, zucaro a’ malati più gravi; e dal 29 giugno al 31 dicembre si spesero per tale scopo L. 38,25. L’avanzo di L. 11,75 sarà erogato allo stesso scopo nell’anno in corso.

3. Assistenza ai profughi. - Dopo le dolorose giornate di Caporetto, il Comitato, con de-liberazione 5 novembre, e di accordo con l’Autorità Municipale, avendo invitato ad associarsi ad esso altre persone ragguardevoli della Città, assunse anche l’amorevole assistenza de’ profughi delle terre invase dal codardo barbaro nemico oppressore; in-tegrando l’opera governativa, con l’acquisto e distribuzione di biancheria, di accessori per arredamento di alloggi, con l’iscrizione de’ fanciulli alle scuole medie ed elemen-tari. Nel giorno di Natale furono anche ai profughi distribuiti arance e torroni; i primi somministrati dall’Ente Cappabianca e dal comm. Cappabianca. Quale sia stata più particolarmente l’opera di assistenza a’ profughi riferirò nella prossima riunione del Comitato con l’intervento della Sezione profughi. Qui dirò solo che la somma com-plessiva offerta ed introitata a tutto il 31 dicembre per i profughi fu di L. 864; delle quali furono spese fino alla stesso giorno L. 509,80.

4. Oro per la Patria. - Il Comitato si fece anche iniziatore della raccolta di oro per la Patria, e ne ottenne un risultato assai soddisfacente, in quanto che fu raccolto: Oro: in mo-nete L 420; in oggetti grammi 1049. Argento: in monete L. 182,50; in oggetti grammi 4365. L’elenco degli offerenti venne pubblicato, e insieme con esso la raccolta fu spe-dita al Ministro del Tesoro, dandone anche comunicazione al Presidente del Consiglio de’ Ministri; ed ambedue indirizzarono al Presidente del comitato nobilissime lettere di ringraziamenti e di lode a questa Cittadinanza. Giusta la promessa del Ministero, vennero per mezzo della Prefettura trasmesse 130 medaglie con relativi diplomi, che furono consegnati agli offerenti.

5. Conferenza Minieri. - Nel luglio decorso, a proposta del Colonnello Comandante il De-posito di Cavalleria e col concorso di ufficiali del Deposito stesso, si accolse di far te-nere una conferenza patriottica nel teatro Garibaldi alla signorina Minieri. Dall’incasso, oltre le altre spese, furono prelevate L. 80 per compenso alla conferenziera, la quale aveva fatto prima presentare la proposta di riscuotere la metà dell’incasso netto. Ma alle insistenze del presidente e del Consiglio di Amministrazione, e per le ragioni che ognuno intende, si accontentò delle L. 80.

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6. Lotteria. Concorso della Sezione Insegnanti Medi. - la lotteria “pro feriti” già deliberata precedentemente, fu con la deliberazione degli 11 novembre estesa anche a benefi-zio de’ profughi. Il risultato di essa tenuta il 2 e il 30 dicembre nel teatro Garibaldi, diede un incasso lordo di L. 8750,35, dalle quali, dedotte le spese in L. 1149,85, resta un utile netto di L. 7600,50. Tra le spese vi fu l’acquisto di molti oggetti per la lotteria stessa, fatto con le offerte in denaro.Qui debbo ricordare che all’opera del Comitato s’unì anche quella della Sezione locale dell’Unione Generale degl’Insegnanti Italiani; la quale delegò a rappresen-tarla nel Comitato e a collaborare con esso le signorine, componenti quel consiglio direttivo, Cariati Concetta, prof. Danise Amelia e Ranieri Amelia. E le richieste dei doni vennero fatte ai Reali e alle autorità non locali a nome della Sezione; alle autorità locali ed ai privati a nome del Comitato; sempre indicando la scambievole cooperazione. Oltre il concorso largo e generoso del Municipio e della Cittadinan-za, mandarono cospicui doni S. M. il Re, il Presidente dei Ministri on. Boselli, il Ministro dell’Interno on. Orlando, il Ministero della Guerra, il Ministero della P. I., il Ministro on. Comandini, il Ministro Scialoja, il Ministero delle Poste e Telegrafi; la Deputazione Provinciale, il Municipio di Marcianise. Dall’ufficio di approvvigio-namento della Provincia, preseduto dal Vice Prefetto fu concesso l’acquisto di un quintale di pasta a prezzo di calmiere, per aggiungerla ai doni. Un altro quintale fu donato dal Municipio; e dalla Ditta Russo - Buffolano fu offerto un quintale di fa-rina. Nel primo giorno intervenne alla lotteria con la gentile famiglia il sig. Prefetto Comm. Sansone, il quale concorse generosamente all’acquisto delle cartelle, e restò compiaciuto del modo in cui era stata disposta e dell’ordine con cui la lotteria fu eseguita e svolta; e del suo intervento e del compiacimento non tralasciai di espri-mergli grazie a nome del Comitato. - Non è possibile fare i nomi di tutti coloro che concorsero con doni anche cospicui e con acquisto di cartelle alla riuscita dell’opera benefica: vada a tutti la ripetizione de’ ringraziamenti che ad essi il Comitato fa in nome dell’umanità e della Patria. - Il tempo cattivo né due giorni della lotteria e qualche incidente non derivato dal Comitato, non fece esaurirne il completamento. Sicché rimasero non vinti n. 45 doni, de’ quali parecchi di valore. Il Comitato prov-vederà in che modo si debbano mettere a nuova lotteria, per realizzarne il valsente, che certamente supererà le 400 lire.

7. Soldati delle prov. invase in licenza. - Con lettera del 29 gennaio il comandante questo Presidio comunicò che per ordine del Ministro della Guerra i militari in licenza provenienti dal fronte e che hanno le famiglie nelle provincie invase, venissero presi in sussistenza nei vari presidi, e interessò il Comitato affinché durante la licenza assistesse i detti militari del loro soccorso nei casi di bisogno. Mi affrettai rispon-dere che il Comitato avrebbe data tutta la sua opera, pregando il sig. Colonnello d’indirizzarmi coloro a cui occorresse, specificando possibilmente per ciascuno i

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maggiori bisogni. Finora nessuno ha fatto ricorso all’assistenza del Comitato: ove la si richieda procurerò col Consiglio direttivo di corrispondere nel miglior modo possibile, riserbandomi di informare il Comitato.

8. Coperte ai combattenti. - Quando venne dal Governo la richiesta delle coperte per i combattenti, il Comitato offerse 22 coperte; delle quali 10, per lire 129 furono pagate dalla Cassa, 12 per lire 170 de proprio da alcuni componenti il Comitato stesso, avendo gli altri fatta l’offerta direttamente alla C. R.; alla quale furono, giusta le prescrizioni ministeriali, consegnate queste 22 insieme ad altre 119 raccolte e acquistate dalle Scuole. E’ dovuto un ringraziamento alla signorina Ranieri che si adoperò per l’acquisto, ed al sig. Tommaso della Valle, che riuscì ad ottenere le 22, ed altre 40 per le Scuole, di qualità eccellente ed al prezzo di lire 13 ognuna.

9. Opuscoli di Propaganda. - La R. Società geografica italiana spedisce all’indirizzo di questo Comitato copie degli estratti dal suo bollettino di propaganda di guerra. N’è stata curata la distribuzione a’ Circoli, a’ Parroci, con raccomandazione di agevo-larne la lettura e con preghiera a’ secondi di aggiungere opportune spiegazioni al popolo, sul quale la loro parola riesce efficace più di qualunque altra.

10. Opere varie di assistenza per i prigionieri, le pensioni ecc. - In nome del Comitato e della Sezione Insegnanti il Presidente s’è anche interessato di persone che si sono a lui rivolte, sia per affrettare la liquidazione di pensioni, (e già qualcuna dopo due anni e mezzo è stata definitivamente liquidata e cominciata a pagare); sia perché vengano integrate alcune disposizioni legislative per concessione di sussidi a genitori vecchi che avevano figli ammogliati da cui ricevevano soccorso, e che sono morti in guerra; sia a coloro che avevano allevati trovatelli, da’ quali, divenuti giovani, erano soste-nuti come figli. Ha raccomandate alcune istanze per restituzione di prigionieri, ed ha pure avviato pratiche per riparazione agli apparecchi di protesi a un mutilato di ambedue gli arti inferiori. Insomma ha creduto di estendere l’azione del Comitato a quanto è possibile, senza impegno di spese (tranne le poche postali) per venire in occorso di coloro che dettero sé stessi o i loro cari alla Patria.

11. Conclusione. - E mi sia permesso di conchiudere mandando a nome del Comitato un caldo ringraziamento a quanti risposero e continuarono a rispondere ad ogni appello, con dono, con offerte in denaro, con l’opera, con la parola incitatrice e l’e-sempio; rendendo più facile il nostro scopo umanitario e patriottico. E un ringrazia-mento particolare debbo esprimere al Consiglio d’Amministrazione e al Comitato esecutivo, tra cui l’ing. Sig. Cantagalli, con le rappresentanti La Sezione Insegnanti, alla solerzia dei quali è dovuta specialmente la riuscita della lotteria.Ove, come spero, il Comitato dia la sua approvazione a quanto ho riassunto, pro-pongo altresì che sia approvato il conto finanziario redatto dal Cassiere e dal Se-gretario-Contabile, del quale vi sarà data lettura. E propongo che la relazione e il resoconto siano pubblicati a norma dello Statuto, affinché le Autorità Superiori e la

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Cittadinanza sappiano in che modo si esplicò l’opera del Comitato, come fu speso il denaro raccolto, e intendasi la riconoscenza che a tutti gli offerenti è dovuta.

Santamaria C. V. lì 3 marzo 1918. Il Presidente Prof. G. Faucher Con deliberazione del 3 marzo 1918 il Comitato a voti unanimi approvò la presente relazione e il reso-conto finanziario che segue. Il Segretario Ing. A. Cantagalli

IIRelazione e resoconto per l’assistenza a’ profughi

Dopo la riunione e le deliberazioni degli 11 novembre, immediatamente il giorno dopo la Commissione delle Signore e il Consiglio direttivo fecero una prima visita ai profughi, of-frendo biscotti e frutta, in parte donati dalla signora Cantagalli e dalla signorina Battistini. Si curò di sapere ed elencare le cose di cui avevano bisogno per vestimenti e biancherie e provvedervi. Siccome dalla Prefettura, per conto del Governo, erano state spedite stoffe per abiti ed altri tessuti, dopo due giorni ne venne fatta la distribuzione, acquistandosi altra roba specialmente per biancheria, non che fazzoletti, calze etc. Altra ne fu donata o raccolta da signore del Comitato come dirò appresso. Intanto dal Comune, e per conto dello Stato, si continuò a provvedere il necessario per l’arredamento degli alloggi, che fu anche completato dal Comitato con l’acquisto di attaccapanni e di mensole per cucina, fatti economicamente costruire dal R. Riformatorio Angiulli. Si fecero iscrivere alle scuole ele-mentari e medie i fanciulli e le fanciulle di età atte a frequentarle; e si provvide che fossero forniti i libri e gli altri oggetti occorrenti a spese del Comitato. Per le elementari, comprese quelle del Conservatorio di S. Teresa, provvidero direttamente le maestre; per la scuola tecnica, dietro lettere ed interviste personali del Presidente, provvide il Direttore, che fece tenere le note da lui liquidate e vidimate, e che manderà le ulteriori, come fu pregata di fare anche la Direttrice della scuola complementare di S. Teresa. Anche a conto del governo e per mezzo del Comune furono provvedute le scarpe, aggiunte due paia per donne e un paio di sandali per bambina, dal Comitato. La distribuzione degl’indumenti continuò le richieste, sopperendo in gran parte con le ulteriori spedizioni per conto dello Stato. – La Commissione delle Signore, che a ciò si è prestata con la solita solerzia e con ogni diligen-

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za, fece pure altre visite, specialmente nel Natale e nel Capodanno, quando vennero anche distribuiti torroni ed aranci, il torrone acquistato, gli aranci donati dall’Ente Cappabianca e dal Comm. Fortunato Cappabianca. - Oltre ai profughi qui ricoverati, nel 17 gennaio, a richiesta della Prefettura furono date vesti e biancheria alla famiglia De Nobili, composta di 5 persone, ricoverata a Caturano, ma che riscuote la diaria del Comune di Santamaria e si trovava in tristi condizioni.Di tutto quanto ha fatto la Commissione s’è avuto cura di dirigere verbale volta per volta dal Segretario di essa, avvocato Stanislao della Valle, con accuratezza e diligenza, facendo anche uno specchietto delle cose distribuite a ciascuna famiglia e per ciascun individuo.Non si tralasciò, in compagnia di membri del Consiglio direttivo, di portare la parola e l’o-pera per derimere urti e questioni familiari o tra famiglie varie, che si riuscì a comporre. Tra gli altri sorse dissidio tra la profuga Paveglio e la sua prima nipote Podrecca; perché la Pa-veglio nel fuggire aveva ricevuto dal padre de’ Podrecca (rimasto con la moglie ammalati in ospedale, e de’ quali non si ebbero notizie), lire mille, e in una ventina di giorni se n’erano spese circa 400. Si riuscì a calmare gli animi, e per evitare le cause del dissidio e lo sperpero del denaro, si fecero depositare 600 lire sulla Cassa del Risparmi, con dichiarazione che il denaro non potesse ritirarsi senza l’autorizzazione del Presidente del Comitato. Alla fine di dicembre, essendo venuto in licenza un fratello Podrecca soldato reduce dal disastro di Caporetto, e avendo egli e la zia mostrata la necessità di provvederlo della biancheria e degli abiti perduti, il Presidente autorizzò il ritiro di lire cento. Si cercò di richiamare le ricoverate nella casa Ricca a’ Quattordici ponti ad un maggiore riserbo del contegno. Il Comitato comprende come le abitudini loro siano in ciò differenti dalle nostre, e come non si posa esercitare una vigilanza quale ai prigionieri. Ad ogni modo non si tralasciò di avvertirle con linguaggio chiaro, ma riguardoso, degli obblighi morali che hanno verso sé medesime e verso la città che le ospita.L’ufficio d’informazioni, preseduto con tanta intelligenza ed abnegazione dalla signora Verzillo, coadiuvata parimenti da altre gentili signore e signorine, inoltrò per i profughi 75 richieste a Bologna, e n’ebbe risposta per 22. Altre 21 per militari delle terre invase, rice-vendo risposte per 14. Quell’ufficio ha dovuto lamentare le poche risposte avute in con-fronto delle richieste; ma è dovuto compiacersi dell’opera spesa dal Conte della Somaglia, Presidente Generale della Croce Rossa, mercé la quale, fra l’altro, la profuga Emma Elisa potette ritrovare il marito, milite della C. R. rifugiatosi a Bologna.Dopo questo rapido riassunto dell’azione del Comitato, ecco qui, anche succintamente le notizie statistiche.Vennero qui ricoverati fino al 28 febbraio 104 profughi: né andarono via 10; sicché rima-sero 94 così distribuiti:

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Al palazzetto Cappabianca, ceduto dall’Ente anonimo 21

Al palazzo Ricca a’ Quattordici ponti 53

In case a sé, locate da loro 20

Totale 94 Indumenti distribuiti fino al 28 febbraio

Camicie 165

Mutande p. 128

Maglie 79

Corpetti per donne 11

Calze p. 104

Fazzoletti 79

Sottane 46

Abiti 113

Vestaglie 5

Grembiuli 47

Scialli 2

Pastrani 18

Scarpe p. 92

Come ho già accennato, altri indumenti, alcuni compresi nell’elenco e specificati ne’ verbali (tra cui diversi per neonati) vennero donati privatamente o raccolti dalle signorine Cariati e Ranieri.Al Comitato Pro-feriti s’è già fatta relazione completa della gestione col resoconto finan-ziario del 2° semestre 1917, che come Ente giuridico dev’essere anche spedito al’Autorità superiore. Qui si presenta il resoconto speciale della Sezione profughi. Il Comitato Pro-fe-riti suddetto potendo ancora far fronte ad altre spese per i profughi con l’introito speciale, si riserbò di determinare il concorso del proprio bilancio secondo i bisogni.

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L’ INTROITO speciale dei profughi fu il seguente:

Dall’on. Verzillo L. 50,00

Ing. Cav. Sagnelli “ 20,00

Conservatorio S. Teresa “ 25,00

Circolo democratico “ 100,00

R. Liceo “ 150,00

Versate dall’Assoc. Princ. di Piemonte “ 27,00

Dal Municipio di Santamaria C. V. “ 200,00

Personale Società Merid. di Elettricità “ 200,00

Aveta Raffaele “ 10,00

Detenuto Vincenzo Natale “ 2,00

Vendita tappeti fuori uso offerti dalla R. Procura “ 80,00

Idem rottami ferro dal Tribunale e dalla prefettura “ 56,40

A riportarsi “ 920,40

Riporto “ 920,40

Dal direttore Carceri giudiz. per sottoscrizione anche tra detenuti “ 170,00

TOTALE introito L. 1090,40

(Benché l’offerta de’ tappeti e de’ Rottami fosse stata fatta in generale al Comitato civile, s’è creduto opportuno destinarne il valsente a totale beneficio dei profughi)

SPESE Per attaccapanni e mensole di legno L. 42,30

Libri e oggetti di scrittoio alunni sc. Tecn. “ 174,50

Stoffe e Biancheria “ 260,40

Torrone e Biscotti “ 37,00

2 p. scarpe a 1 p. sandalini “ 48,00

TOTALE spese “ 562,20

Avanzo “ 28,20

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Dalla quale somma di L. 528,20 bisognerà ancora pagare i libri ultimamente domandati per la Podrecca iscritta scuola complem. di S. Teresa, e i compassi forniti agli alunni Cioffi e Durazzano della scuola tecnica, di cui non è prevenuta ancora la fattura.L’offerta delle Carceri fu accompagnata dalla lettera dell’egregio Direttore avv. Nobile, della quale si dà lettura, con la risposta del presidente. Proponiamo un sincero e caldo ringraziamento in nome della Patria a tutti i generosi offerenti, ed ove non vi siano osservazioni, proponiamo l’approvazione della presente relazione e del conto finanziario.

Il Cassiere Il Segretario contabile AVV. A. MIELE ING. A. CANTAGALLI

Il Presidente Prof. G. Faucher

Con deliberazione del 23 marzo 1918, il Comitato a voti unanimi approvò la presente relazione e il resoconto finanziario.

Il SegretarioAvv. G. S. DELLA VALLE

Biblioteca Storia Moderna e Contemporanea - Roma

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INDICE FOTO

FOTO N. 1 pag. 20 Napoli - Piazza Plebiscito (“Il Mattino” 24-25 maggio 1915)

FOTO N. 2 pag. 23 Napoli - Silurificio 1916 (Archivio CGIL)

FOTO N. 3 pag. 23 Donne in fabbrica (Archivio CGIL)

FOTO N. 4 pag. 28 Ritirata da Caporetto (cronologialeonardo.it)

FOTO N. 5 pag. 34 Arsenale di Napoli 1917 (Archivio CGIL)

FOTO N. 6 pag. 38 Profughi in fuga (cronologialeonardo.it)

FOTO N. 7 pag. 40 Napoli - Bambini profughi ospiti a Villa Dini (“La Medicina Sociale”)

FOTO N. 8 pag. 54 Torre del Greco - Cartolina della Pensione S. Teresa

FOTO N. 9 pag 58 Somma Vesuviana - Banda musicale di profughi di Cavazuccherina - 1917

FOTO N. 10 pag. 76 Cotonificio di Poggioreale (italiasvizzera150.it)

FOTO N. 11 pag. 78 Zeppelin L.59

FOTO N. 12 pag. 85 Modello di bomba che colpì Napoli (secretscotland.org)

FOTO N 13 pag. 94 Il Razzo - Giornale di trincea della 7a Armata - 1918, Il commovente addio ai tedeschi. Disegno di Ferruccio Ganassi

La foto della copertina è di Hofmann Eckerl ed è tratta dalla collezione “Ludovico Mischou” in esposizione presso la Fondazione della Cassa di Risparmio di Gorizia.

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INDICE DEI LUOGHI

Acerra 66Afragola 66Ancona 28Atripalda 70Avellino 37, 66n, 70Aversa 48, 68

Bagnoli 61, 78Baia di Cattaro 77Barano d’Ischia 66Barra 43, 66, 90Bellavista 67Benevento 52n, 66n, 69Bologna 28, 65nBoscotrecase 29n, 32, 54, 55, 56Breginj 67, 68

Caivano 64Camposano 66Candida 70Cardito 64Casalnuovo 66Casandrino 66Caserta 20, 52n, 66, 66n, 67Casoria 53, 66Castel S. Pietro d’Emilia 58nCastellammare di Stabia 53, 56, 63, 64Cavazuccherina 58, 58nCercola 29n, 66Chiaiano ed Uniti 66Cicciano 66Cimitile 66, 67Cividale 30nConegliano V. 30n, 43, 65n

Dreznica 70

Firenze 28, 42n, 81, 91, 92Foggia 28, 81Forio d’Ischia 66Frattamaggiore 66

Genova 43Giugliano 66Gragnano 21n, 66Grumo Nevano 66

Idrsko 67Iesolo 58nIschia 66Jambol 77

Latisana 48nLicignano 66Livorno 69nLock di Pulfero 59nLondra 79, 82

Maddaloni 20Madonna dell’Arco 56Malta 77nManfredonia 77Marano 53, 60Marigliano 66Massalubrense 66Messina 29nMestre 82Meta 66Milano 28, 45, 69nMonfalcone 55Montecalvario 50nMontesarchio 65nMugnano 66

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Nola 66, 67, 68

Oderzo 43Ottajano 29n, 54, 65, 66

Padova 82Palermo 82Palma Campania 66Palmanova 48nParigi 79, 82Piano di Sorrento 53, 62Pesaro 55Pianura 66Piombino 69nPoggioreale 75, 84Pola 79Pollena Trocchia 59, 59n, 90Pomigliano d’Arco 54, 65Ponticelli 21, 76n, 77n, 93Pordenone 46Porticelli 77, 77nPortici 28n, 66, 67 Posillipo 40, 41 , 44, 51, 53, 93Pozzuoli 60, 61, 61n, 79, 83Procida 66

Ragogna 64Reggio Calabria 29nRimini 28Roma 28, 30, 42, 44, 45, 46, 81, 82, 95, 96

S. Bartolomeo in Galdo 79S. Giorgio a Cremano 66, 90S. Giovanni a Teduccio 21n, 42, 66, 90S. Giuseppe Vesuviano 65S. Maria Capua Vetere 70Salerno 52n, 66nSan Pietro a Patierno 66Sant’Agnello 66

Sant’Anastasia 32, 56Sant’Antimo 66Sant’Arpino 66Saviano 29n, 66Scisciano 66Scutari 77Sebeto 45Secondigliano 62Somma Vesuviana 54, 57, 58, 58n, 59, 80, 4Sorrento 63Spresiano 62

Tarcento 47, 67Termoli 81Terni 69nTorino 28, 30n, 69nTorre Annunziata 21n, 55, 55n, 66Torre del Greco 54, 55Trecase 55Treppo Carnico 65Treviso 37, 40, 50, 51, 67, 82

Udine 37, 37n, 42, 43

Venezia 82Vico Equense 62Villaricca 66Vittorio Veneto 71, 94

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INDICE DEI NOMI

Alpago Novello Luigi 91Arlotta Enrico 83

Baldo 46Bellati Bartolomeo 47, 48, 48n, 53Beneventano 42Berghinz Guido 48nBitti Angelo 28nBotti Alberto 93nBuliani Anna 65Bulligan Ettore 36nBussi Giovanni 43

Campanile Luigi 21nCampione Alfredo 42Capozzi Umberto 62Capuano Maurizio 44, Carafa D’Andria 83Carbone Enrico 49Cattonar Francesco 55Cautiero Luigi 90Ceresole Giulio 90Ceschin Daniele 26n, 27n, 36n, 47n, 52n, 53n, 55n, 60n, 62n, 65, 65n, 71n, 92n, 95n, 96nCifarelli 46nCimmino Paolo 42Cimprič Željko 70nCocchi 56Colonna principe 51Colonna Prospero 82Comencini Giovan Battista 32, 33Compagna 46nCroce Benedetto 46nCorradini Andrea 41, 42nCotronei Bruno 32

Crucil Rosaria 59nCussigh Biagio 47

D’Angelo Andrea 21n, 77nDe Martino 65De Martino Gaspare 32De Sanna Maria 42De Sanna Roberto 42nDella Seta Eschilo 48nDi Bartolo Francesco 21nDi Lorenzo Lorenzo 37Di Maria Carolina 67Di Maria Giovanni 67Dini Adolfo 41Dini Luciano 41Doro 46Dorsa Pasquale 49Duchessa di Marigliano 42

Ermacora Matteo 24n, 29n, 69n

Fiocco Antonio 43Forgiarini Giannina 43Forgiarini Giovanna 43Forlenza Domenico 76nFormicola Ciro 90Fortunato 46nFranchetti Leopoldo 46nFroio Alfredo 90

Gasparri 81Giovannini Enrico 90Girardi Assunta 49Girardi Francesco 83Goebel Johannes 77, 77nGoffredo Ungaro 48n

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Gorgolini Luca 24n, 25n

Hierschel de Minerbi Lionello 46n, 48, 48n, 68, 68n

Isnenghi Mario 27nIsolina Michelina, 101

Jappelli Gaetano 32

Liguori Giuseppe 32, 56Lombardo Radice 46nLorenzi Giuseppina 62nLuzzatti Luigi 41Luzzatto Sergio 26n

Malaparte Curzio 26, 27nMalni Paolo 95nMancini Giorgio 21n, 77nMarchiorre rev. 67Marcianti Giuseppina 90Martuscelli Stefania 55nMason Thomas 42Mauro Giambattista 32Meduri Giuseppe 90Mele Davide 42Mele Emiddio 32Menassi 56Menzinger Vittorio 31, 32, 36, 37, 41, 75, 89Michelezza Anna 67Minieri Giuseppe 67Mirabelli Antonio 32 Miraglia Nicola 32, 35, 46, 97Molè Carmelo 90Morelli Giulio 43Moro 51Morpurgo Elio 37n, 42Mortara Giorgio 76nMotti Giovanni 68

Murolo Ernesto 44

Napolitano rev. 93nNasicci Egizia 101Nitti Antonia 35

Orlando Vittorio Emanuele 83

Pacquola Oreste 43nPagliari Ettore 31nPalla Luciana 22n, 70n, 96nPaoloni Giovanni 60Pascolo 67Pascolo Beniamino 67Pascolo Giuseppe 67Pavan Camillo 43n, 59n, 67n, 70nPaveglio 71Pecoraro Cosmo 90Pecoraro Gabriele 90Pedrotti Giovanni 68nPetilli dr.Petris Aldo 101Piantadosi parr. 93nPicchetti Pietro 32Pistolese Pietro 90Piutti Arnaldo 30, 30n, 32, 32n, 33, 35, 42, 46, 89, 97Pividori Angelina 61Podrecca 71Porosini Giorgio 19n, 24nPorzio Giovanni 83Presutti Enrico 31, 32, 80, 83Procacci Giovanna 21n, 69n

Rakuscek Mirko 70nRamus Carl 52Raule Oddone 90Rodrigo Umberto 30Romeo 46n

139

Rommel Erwin Johannes 26 Rossi Doria 46nRusso Antonio 21n

Salandra Antonio 69Salvemini Gaetano 46n, 101Sandulli Alfredo 83Savaresi Silvia 62Scala Raffaele 64nScaramelli 46Senise Tommaso 39Serragli Pier Francesco 81Simeoni Nevio 43Simeoni Ovidio 43Simoni Antonio 90Spirito Beniamino 79n, 80Stella Arturo 59

Tagliavia Salvatore 82Todaro Ogliadoro 42Tonchia Lucia 61Trilussa 44Tropeano Giuseppe 37, 39, 40,41, 50n

Ursic Franc 67

Verolino Luigi 21n, 26n, 39n, 41n, 77nVillari Pasquale 46nVitelli Domenico 32, 56Voltarel Maria 101

Wenner Roberto 84

Zanotti Bianco 46n

140

il Quartiere edizioni

I quaderni de il Quartiere

Giorgio Mancini, Il carro a Ponticelli, Napoli Ponticelli, il Quartiere Edizioni, 19801, 19942

Giovanni Alagi, Ponticelli. Napoli Ponticelli, il Quartiere Edizioni, 1983.

Umberto Scognamiglio, Movimento operaio e comune socialista di Ponticelli, Napoli, 1987.

Atti del Convegno: Inquinamento Ambientale nell’Area Orientale e Rischi sulla Salute, Napoli Ponticelli, il Quartiere Edizioni,1990.

L’Associazione di Beneficenza Maria SS della Neve, Napoli Ponticelli, 1990.

Gabriele Perillo, L’Associazione culturale Leonardo da Vinci, Napoli Ponticelli, 1995.

Gennaro Saldalamacchia, Samaritani alla periferia di Napoli, Napoli Ponticelli, 1998.

Una scuola diventa anche Museo 49° Circolo Didattico “Enrico Toti” Ponticelli Napoli, 2002.

Nuova Biblioteca

Giorgio Mancini, Iconografia Nivea. La devozione alla Madonna della Neve, Napoli, 2000.

Storia e Documenti

Giorgio Mancini, Santa Maria della Neve, Napoli Ponticelli, il Quartiere Edizioni, 1988.

Giorgio Mancini, SepeiqoV, Misterioso Sebeto, Napoli Ponticelli, il Quartiere Edizioni,1989.

Giorgio Mancini, La Confraternita del SS. Rosario, Napoli Ponticelli, il Quartiere Edizio-ni,1992.

Luigi Verolino, Le strade di Ponticelli, Napoli Ponticelli, il Quartiere Edizioni, 19931, 20002.

Giorgio Mancini, Si affidarono a Lui, Napoli Ponticelli, il Quartiere Edizioni,1996.

A. D’Angelo-G. Mancini-L. Verolino, Guerra di Periferia. Resistenza, vita quotidiana e stragi dimenticate nell’Area Orientale di Napoli 1940-1943, Napoli, il Quartiere edizioni, 2005.

I. Arenga - A. D’Angelo - G. Mancini - A. Saccone - L. Verolino, Martiri della Libertà-29 settembre 1943, il Quartiere edizioni, 2005.

Luigi Verolino, L’Istituto Emanuele De Cillis di Ponticelli, Dragoni, 2006.

Luigi Verolino, Giuseppe Tropeano - Precursore della Medicina Sociale e Fondatore del Pausilipon, Dell’Asilo a Marechiaro e dell’Istituto di Medicina Pedagogica a Ponticelli, 2009.

Giorgi Mancini, La taverna della Cerqua, il Quartiere edizioni, 2012.

141

Opera Omnia di Ulisse Prota-Giurleo

Ulisse Prota-Giurleo, I Teatri di Napoli nel secolo XVII. 1 Analecta; 2 La Commedia;. 3 L’O-pera in Musica. A cura di E. Bellucci e di G. Mancini. CD Musiche del Seicento Napoletano, a cura di Pietro Andrisani, Napoli, 2002.

La Parola

Ulisse Prota-Giurleo, Amor omnia vincit, Napoli Ponticelli, 1991.

Luigi Verolino, Greco di Tufo, 2009.

L’ immagine

Vitaliano Corbi - G. Mancini - A. L. Rossi, Sepeithos, 1994.

Enzo Di Grazia, Green, 1994.

E. De Albentiis - E Mollica, Movie Cinema e Arti visive, 1995.

Antonio Picardi, Haliotis, 1996.

Mancini - De Albentiis - Mollica, Sepeithos, 1996.

Sconci - E. Procaccini, Cilvini Picardi Policastro,1997.

G. D’Agostino - G. Mancini - L. Caruso - F. Cipriano - C. Tafuri, Libro d’Artista, 2000.

Mancini - Procaccini, La Stanza dell’ Angelo. Cilvini, 2002.

Ugo Piscopo, Correspondances. Transiti di materia e forme, Napoli, 2003

Luigi Verolino, La Riggiola, Napoli, 2005

al sociale

Educazione all’Immagine, Napoli, 1999.

Progetti

Un culto un popolo – agosto a Ponticelli, Napoli, 2004.

Monumento ai Caduti della Libertà, Napoli, il Quartiere edizioni, 2005.

Periodico

il Quartiere ponticelli Periodico sui problemi del territorio.

finito di stamparemaggio 2012ALFA grafica

San Sebastiano al Vesuvio (NA)