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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di laurea in Cinema, televisione e produzione multimediale TITOLO DELLA TESI Gli anni di piombo visti da qui: rappresentazione e riconciliazione nel cinema italiano del terzo millennio Tesi di laurea in Forme della narrazione e della rappresentazione nei media Relatore Prof.: Claudio Bisoni Correlatore Prof.: Paolo Noto Presentata da: Raffaele Marco Della Monica Terza Sessione Anno accademico 2009/2010 1

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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA

FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA

Corso di laurea in

Cinema, televisione e produzione multimediale

TITOLO DELLA TESI

Gli anni di piombo visti da qui:

rappresentazione e riconciliazione nel cinema italiano del terzo millennio

Tesi di laurea in

Forme della narrazione e della rappresentazione nei media

Relatore Prof.: Claudio Bisoni

Correlatore Prof.: Paolo Noto

Presentata da: Raffaele Marco Della Monica

Terza Sessione

Anno accademico2009/2010

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INTRODUZIONE

L'indagine avviata nel presente lavoro trova il suo

punto di origine in una considerazione strettamente empi-

rica: la filmografia sugli anni di piombo di questa prima

decade di millennio, inaugurata da Riconciliati (Polizzi

2001) e conclusa con Il sorteggio (Campiotti 2010), supera

i venti titoli. Un quantità che da sola consente di tasta-

re il polso di un dibattito culturale ancora vivo, che pur

non tralasciando i classici strumenti della carta stampa-

ta, si sposta rumorosamente nello spazio cinematografico

dopo oltre un decennio di silenzio, al netto di sporadiche

eccezioni. Dal classico film di finzione alla miniserie,

dal documentario alla serie tv distribuita su più stagio-

ni, l'oggetto di questo studio si contraddistingue innan-

zitutto per la sua natura eterogenea che spazia tra i

format più diversi, una categoria trasversale che viene a

formare, a posteriori, quello che potremmo coniare come

“genere anni di piombo”.

Del resto, l'influenza che il cinema ha avuto nel di-

battito sulla lotta armata lo si può sintetizzare nell'o-

rigine stessa dell'etichetta “anni di piombo”, tratta,

seppur con una variazione nel significato, dall'omonimo

film del 1981 di Margaret Von Trotta (Die bleierne zeit).

Da quel momento in poi “anni di piombo” è stata l'espres-

sione designata per indicare una porzione precisa della

storia d'Italia in cui, se i confini sono ancora da stabi-

lire con esattezza (quando iniziano gli anni di piombo? E

quando terminano veramente?), diversamente ha un suo nu-

cleo centrale contraddistinto da una lotta politica vio-

lenta, ben radicata nell'immaginario collettivo della no-

stra società. Cinema sugli anni di piombo e dibattito so-

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Page 3: ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA  · PDF filecoscienza degli anni di piombo in un nebuloso calderone in ... sembra definitivamente estinta e il terrorismo nero delle

cio-culturale italiano sono qui inquadrati nell'ottica di

un rapporto osmotico, un circolo in cui non c'è possibili-

tà di stabilire con precisione legami di natura causa-ef-

fetto.

Si diceva di come questo lavoro tragga origine da una

considerazione empirica. Nello scorrere delle pagine non

ci si discosterà da una prospettiva a stretto contatto con

le opere in filmografia: l'analisi “sul campo” di scene,

personaggi e trame narrative sarà il motore di un discorso

estraneo all'uso di strumenti critici o politici, princi-

pali insidie di un lavoro accademico orientato a mettere

in luce quei collegamenti riscontrabili in una prassi ci-

nematografica che ambisce ad essere memoria.

Prima di iniziare sul serio, delineiamo una piccola

guida che possa fungere da orientamento preliminare al

lettore nel percorso che sta per affrontare.

Nel primo capitolo si andrà alla ricerca delle cause

di quest'improvvisa esplosione del cinema sugli anni di

piombo. Prendendo la rincorsa da un periodo di incubazio-

ne, in cui la lotta armata approda ai limiti dell'irrapre-

sentabilità, si passano al vaglio quelle cause politiche,

storiche e culturali che hanno determinato un ritorno così

massiccio sui nostri schermi: l'11 settembre, le Nuove

Brigate Rosse, l'improbabile verità giudiziaria, sono solo

alcune delle concause di un fenomeno che ha a che fare

strettamente con la componente visiva, la necessità di un

rinnovo iconografico in risposta al fiume di parole e te-

sti che non ha smesso di scorrere nemmeno nel buio cinema-

tografico degli anni '90.

Nel secondo capitolo si tratta dell'approccio del ci-

nema italiano a ciò che viene indicato con una sola parola

(“terrorismo”), ma che in realtà racchiude all'interno del

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medesimo campo semantico due fenomeni distinti che, a vo-

ler rispolverare vecchie categorie, definiremmo di estrema

destra ed estrema sinistra. Il capitolo si sviluppa nel-

l'analisi delle modalità con le quali una cultura cinema-

tografica fortemente orientata a sinistra si avvicina alla

rappresentazione di soggetti che, a seconda dell'apparte-

nenza, sono molto vicini o molto lontani all'area ideolo-

gico-politica degli stessi registi, sceneggiatori, attori.

Il terzo capitolo è il primo passo deciso “dentro” i

film, alla ricerca di quelle caratteristiche che si posso-

no riscontrare con più frequenza nella filmografia in esa-

me. Vedremo come le recenti opere sulla lotta armata si

discostino dalla tradizione del cinema politico per inse-

rirsi in un quadro più generale del panorama italiano con-

temporaneo, in cui l'aspetto politico lascia il posto ad

una dimensione più intima di personaggi ed eventi degli

anni di piombo.

Il cuore di questo lavoro è nel quarto capitolo, in

cui si affronta l'argomento spigoloso di una memoria con-

tesa sugli anni di piombo. A distanza di oltre trent'anni

dalle spinte più forti della lotta armata, il processo di

rielaborazione e attestazione storica agita un dibattito

culturale che non sottrae il cinema dalla responsabilità

di essere uno dei campi di battaglia privilegiati della

partita. Prendendo in prestito anche gli strumenti di una

sociologia della memoria, ci muoveremo sull'asse binomiale

che distingue ciò che è rappresentabile da ciò che non lo

è, tra quel che si viene ad affermare come memoria e quel

che è destinato all'oblio, almeno per il momento.

Il nostro percorso si conclude nel quinto capitolo

dove tutto ciò che è stato detto viene rielaborato dalla

prospettiva di un punto d'osservazione storicamente speci-

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fico: il sequestro Moro. La rappresentazione del rapimento

e uccisione del presidente della Democrazia Cristiana è il

punto in cui converge la stragrande maggioranza delle ope-

re in esame, indice di un evento-shock che si presta al

ruolo di perno centrale e imprescindibile di qualsiasi di-

scorso sugli anni di piombo.

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CAPITOLO I

LE CAUSE SCATENANTI

1.1 - L'incubazione

Quando ci si lancia alla ricerca delle caratteristi-

che che segnano una determinata stagione artistica e cul-

turale, è buona prassi ricercarne i prodromi in quella im-

mediatamente precedente. Il rilancio del dibattito sul

terrorismo italiano negli anni di piombo è maturato su ben

“undici anni un mese e quattro giorni”1 di silenzio, quel-

li che intercorrono tra l'omicidio Ruffilli e il delitto

D'Antona. Se terrorismo nero e rosso non danno più segni

di vita, allo stesso modo nella cultura italiana il di-

scorso sulla lotta armata sembra definitivamente assopir-

si, anche perché i riflettori di quegli anni si spostano

sulle stragi di Cosa Nostra e sul grande scandalo di Tan-

gentopoli. Proprio quando lo Stato si dimostra in condi-

zione di estrema vulnerabilità, le BR, indebolite dalla

martellante stagione del pentitismo, si confermano in pie-

na disgregazione e non riescono a mettere in piedi altro

che qualche rudimentale ordigno recapitato a sindacati e

istituzioni minori.

Già nel 1987 il Tg1 realizza uno speciale sulle Bri-

gate Rosse, dal titolo molto esplicativo: “Dopo il terro-

rismo”. In studio sono presenti esponenti storici del par-

tito armato come Barbara Balzerani, Mario Moretti e Renato

Curcio. Si tratta di un documento filmato importante, la

televisione è il megafono che annuncia la fine degli anni

di piombo, per mezzo delle parole dei suoi stessi fondato-

1 Sebastiano Messina, La trappola del furgone, “La Repubblica” del 21 maggio 1999

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ri:

“Io penso di avere la responsabilità di

dire con chiarezza e senza nessuna incer-

tezza, che il tipo di organizzazione, di

processo, di scelta che noi abbiamo fatto

fin qui, oggi non ha più ragione di esiste-

re. Questo periodo che abbiamo vissuto fi-

nora è finito, è esaurito, è esaurito og-

gettivamente. Non perché lo dica io, io ne

prendo atto e mi assumo la responsabilità

che mi compete.”2

Una fine annuciata con parole ancora più esplicita-

mente da Renato Curcio:

“Come ci siamo assunti la responsabilità di

aprire un discorso di lotta armata, così ci

assumiamo la responsabilità di considerare,

e proporre questa considerazione, questo

periodo e questa storia chiusi”

Gli anni '90 sono quelli in cui cresce e si forma la

prima generazione del post anni di piombo, ragazzi nati a

partire dagli anni '80 che del terrorismo rosso e nero

sanno ben poco, e sicuramente non attraverso i canali

istituzionali. Nelle scuole i programmi di storia arrivano

a stento alla seconda guerra mondiale, tagliando di netto

i quarant'anni in cui il pianeta è rimasto diviso in due;

televisione e giornali concentrano la propria attenzione

sui nuovi grandi scandali della nostra società; le possi-

2 Mario Moretti nello speciale del Tg1 Dopo il terrorismo del 1987

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bilità di un'informazione alternativa come internet sono

ancora lontane almeno un decennio. È una generazione che,

insieme al muro di Berlino, vede definitivamente cadere la

contrapposizione tra rossi e neri, e che forma la propria

coscienza degli anni di piombo in un nebuloso calderone in

cui elementi in antitesi si mischiano senza più essere di-

stinti, al punto che, come è stato notato su più fronti3,

la stragrande maggioranza dei ragazzi di allora (e di

oggi) è incapace di inquadrare i fatti di sangue degli

anni di piombo, attribuendo ad esempio la responsabilità

di stragi come quella di Piazza Fontana e stazione di Bo-

logna alle Brigate Rosse.

Ad una realtà sociale che sta tentando di accantonare

uno dei periodi più neri della sua democrazia corrisponde

un netto impoverimento anche per quel che concerne l'of-

ferta cinematografica: le pellicole che trattano di terro-

rismo calano vistosamente di numero rispetto al decennio

precedente, al punto che per tutto l'arco degli anni '90

tali opere possono essere contate sulle dita di una mano,

peraltro lontane da un vasto consenso sia di pubblico che

di critica. Il cinema italiano dei '90 si dimostra incapa-

ce di interpretare quegli anni di transizione, approdando

ad una condizione di più o meno dichiarata infotografabi-

lità degli anni di piombo. La decade che sta a cavallo tra

gli anni '70 e '80 si contraddistingue per la sua capacità

di riportare quasi “in diretta” la realtà del terrorismo

al cinema, in considerazione anche della possibilità di

3 Si tratta di un'osservazione frequente, figlia di indagini statistiche che ne certificano la fondatezza. Si possono citare l'intervento di Valerio Fioravanti in Christian Uva, Schermi di piombo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007, p. 221 e l'articolo di Vincenzo Capozza, La strage dell'80 firmata Br, “La Repubblica”, 9 luglio 2005, p. 7, consultabile all'indirizzo http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/07/09/la-strage-dell-80-firmata-br.html

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Page 9: ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA  · PDF filecoscienza degli anni di piombo in un nebuloso calderone in ... sembra definitivamente estinta e il terrorismo nero delle

attingere dalla cronaca con una frequenza pressoché gior-

naliera. Dal poliziottesco alle pellicole d'impegno civile

realizzate prevalentemente da militanti di sinistra, si

tratta pur sempre di un cinema che cerca d'interpretare un

fenomeno ancora in pieno svolgimento, nelle sue alterne

fasi di caduta e rinascita. Gli anni '90 invece segnano

una dinamica completamente diversa: la parabola delle BR

sembra definitivamente estinta e il terrorismo nero delle

stragi è uscito di scena ben prima dalle pagine di cronaca

italiana. Parlare di lotta armata diventa innanzitutto un

anacronismo, una reminiscenza del passato che non trova

più nessun corrispondente nel reale. Ed è in una situazio-

ne del genere che il compito del cineasta muta in maniera

talmente radicale da immobilizzare una generazione di ar-

tisti impreparati ad un cambiamento di tale portata.

“A partire dagli anni '80, poi, il tema del

terrorismo al cinema è cominciato a diven-

tare episodico, fino ad arrivare ai casi

più recenti. Gli ultimi film che ho visto,

come Buongiorno, notte, mi hanno fatto su-

bito pensare «bene, siamo ritornati a rac-

contare quegli anni», il che conferma che

ci sia stato un vuoto, una omissione.”4

Il cinema che vuole trattare la lotta armata non ha

più il compito di indagare il reale, bensì quello di in-

quadrare, fotografare e consegnare al suo pubblico un fe-

nomeno concluso e che quindi può essere descritto in ma-

niera definitiva. Preme precisare che per “fenomeno con-

cluso” non s'intende quello dell'azione terroristica in

4 Carlo Lucarelli in C. Uva, op. cit., p. 239

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sé: l'eversione armata vive nel sottobosco della società

italiana, che per quante volte possa essere stata sconfit-

ta è sempre risorta dalle proprie ceneri, come del resto

confermano i delitti degli anni a cavallo del cambio di

millennio. Qui più semplicemente si fa riferimento alla

conclusione di una stagione, di un clima di tensione e di

una forte contrapposizione ideologica presente in ogni am-

bito della vita del cittadino qualunque, che comunemente

si può identificare con la definizione di anni di piombo.

Sia quando le nuove BR sono tornate a colpire, sia in epi-

sodi ben più recenti di intimidazione come la vicenda che

ha coinvolto il direttore di “Libero” Maurizio Belpietro,

si è parlato di un ritorno del “clima da anni di piombo”5,

una definizione che da sola necessita di una pregressa

conclusione di tale periodo.

Come vedremo più approfonditamente nei capitoli che

seguono, negli anni '90 l'apparato cinematografico italia-

no cerca la giusta distanza da un evento in modo da poter-

lo immortalare e consegnare alla storia. Sono anni di in-

cubazione, quelli in cui il rapporto tra cinema italiano e

storia resta celato e si prepara a scoppiare in tutta la

sua virulenza nel decennio successivo. L'immobilismo dei

cineasti italiani degli anni '90 va considerato anche alla

luce di una responsabilità di colpo enormemente maggiore

rispetto al passato, talmente grande da risultare oppres-

siva e che finisce per sospendere quell'”ongoing impact”6

sulla società italiana che Alan O'Leary attribuisce al

ruolo del cinema come interlocutore predominante nel di-

5 Maurizio Belpietro in Redazionale lastampa.it, Agguato a Belpietro: è caccia all'uomo. Il direttore: “Clima da anni di piombo”, http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59038girata.asp

6 Alan O'Leary, Italian cinema and the 'anni di piombo', “Journal of European Studies”, n° 40 (3), settembre 2010, p. 244

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battito. In definitiva gli anni '90 del cinema italiano si

contraddistinguono per essere il lungo ponte che segna il

passaggio dalla riproposizione quasi in presa diretta di

un evento ancora in pieno divenire, alla narrazione di un

fenomeno concluso, il varco in cui la cronaca lascia spa-

zio alla storia.

1.2 - Lo shock delle Nuove BR

Il 20 maggio del 1999 viene ritrovato sulla via Sala-

ria a Roma il cadavere di Massimo D'Antona, consulente del

Ministero del Lavoro. La telefonata alla redazione de “Il

Messaggero” che rivendica l'azione da parte delle Brigare

Rosse è un fulmine a ciel sereno.

“Gli anni peggiori della nostra vita torna-

no come un incubo che credevamo superato e

dissolto, perché era stato sconfitto. E' il

fantasma cupo del terrorismo che ieri mat-

tina contro ogni logica della politica e

ogni legge della storia è tornato a raduna-

re tutti i suoi simboli tragici in una

strada di Roma (la stella a cinque punte,

la P38, la sigla delle Brigate Rosse) sca-

ricandoli a morte contro un uomo inerme,

servitore dello Stato, cittadino della si-

nistra, padre di famiglia.”7

L'incipit dell'editoriale di Ezio Mauro rende la di-

mensione di quella sinistra e assurda sorpresa con cui il

7 Ezio Mauro, Un attacco al cuore riformista, “La Repubblica”, 21 maggio 1999, http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/05/21/attacco-al-cuore-riformista.html

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Paese si ritrovò ad affrontare di nuovo la tragedia degli

anni di piombo. Ancor più delle parole possono essere le

immagini ad assolvere questo compito, quelle della fiction

per la tv Attacco allo stato (Soavi, 2006), l'unico lavoro

di finzione che si è preoccupato di affrontare le gesta

delle nuove BR. Il protagonista interpretato da Raoul

Bova, nonostante intuisca fin da subito che si tratti di

un delitto politico, nelle ore che precedono la rivendica-

zione si ritrova a scontrarsi ripetutamente con superiori

e colleghi che sbeffeggiano la sua ipotesi di un'azione

brigatista.

Il 1999 è quindi l'anno che chiude il decennio di si-

lenzi sul terrorismo e contemporaneamente apre un'altra

stagione. L'omicidio D'Antona prima, e quello Biagi poi

nel 2002, rilanciano il discorso sugli anni di piombo in

un turbine di parole e immagini che inondano gli spazi dei

media tradizionali, di nuovo impegnati a cavalcare “la

potenza evocativa della loro simbologia mortuaria”8.

È difficile quantificare quest'incremento. Più della

televisione, il medium in grado di fornire uno sguardo am-

pio su cronaca e dibattito politico-culturale meglio degli

altri è il quotidiano. Per tanto in questa sede, per ta-

stare il polso del discorso sul terrorismo nella società

italiana, si è scelto un metodo prettamente empirico che

tenesse conto della frequenza con la quale gli anni di

piombo sono stati affrontati sulle pagine dei quotidiani.

I portali online dei quotidiani forniscono gli archivi

storici che hanno consentito questa analisi: come campo su

cui sviluppare l'indagine si è scelto “La Repubblica”

(edizione cartacea), il secondo quotidiano italiano per

numero di copie diffuse e vendite, preferito al primo, il

8 ivi

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Page 13: ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA  · PDF filecoscienza degli anni di piombo in un nebuloso calderone in ... sembra definitivamente estinta e il terrorismo nero delle

“Corriere della sera”, per la maggiore profondità d'archi-

vio9.

Annidi piombo Brigate Rosse Stragismo

1988 99 153 2

1989 81 97 7

1990 82 134 8

1991 69 68 19

1992 49 73 2

1993 52 117 19

1994 45 60 5

1995 32 56 8

1996 49 48 3

1997 111 63 4

1998 44 79 2

1999 83 132 7

2000 81 115 14

2001 104 153 9

2002 130 244 8

2003 103 346 13

2004 134 277 13

2005 110 185 12

2006 130 164 9

2007 230 417 14

2008 131 167 13

2009 157 138 3

Le cifre indicano il numero di articoli che affronta-

no, in maniera diretta o solo parziale, la stagione della

lotta armata, il terrorismo di sinistra e quello di de-

stra, riassunti in un trittico di parole chiave che li po-

tessero rappresentare: anni di piombo, Brigate Rosse e

9 L'archivio di “La Repubblica” parte dal 1984, quello de “Il Corriere della Sera” dal 1992

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stragismo10. Se individuiamo nell'omicidio D'Antona del

1999 lo spartiacque ideale, otteniamo due archi temporali

di 11 anni ciascuno, delimitati agli estremi dall'omicidio

Ruffilli e la contemporaneità. Dalla tabella si evince che

in tutti e tre i casi il quotidiano ha registrato un au-

mento significativo dello spazio dedicato alla lotta arma-

ta a partire proprio dal ritorno sulla scena delle BR,

dopo che per tutto il corso degli anni '90 il dibattito

era andato progressivamente affievolendosi: dal 1988 al

1999 i tag proposti sono presenti con una media annua ri-

spettivamente di 64.8, 86.1 e 7.1. Dal 1999 al 2009 la me-

dia annuale cresce improvvisamente: 126.6 per “anni di

piombo”, 212.5 per “Brigate Rosse” e 10.4 per “stragismo”.

Si può sicuramente obiettare sull'arbitrarietà della scel-

ta di questi vocaboli, ma l'intenzione non è quella di un

calcolo statistico scientificamente preciso, bensì di mo-

strare una tendenza d'incremento generale e oggettiva, al

di là di una componente discriminante di errori pertinen-

ziali, presenti in percentuale talmente bassa e uniforme-

mente distribuita da poter esser ignorati.

La costituzione delle Nuove BR (e la conseguente cat-

tura dei suoi esponenti di spicco nel 2003) è, tra quelli

che vengono presi in considerazione tra queste pagine, il

fattore che ha il peso specifico maggiore nella riproposi-

zione del grande trauma degli anni di piombo, che avvia

definitivamente l'analisi e la ricerca sulla lotta armata

in Italia, seguendo un percorso che prende spunto dalla

cronaca per affrontare la storia, a ritroso, fino agli al-

10 Il termine che rappresentasse il terrorismo nero è stato quello di più difficile individuazione. La scelta è caduta su stragismo, pur riconoscendone il significato vasto e ambivalente. Pertanto è doveroso sottolineare che le cifre relative a questo tag sono al netto dei suoi significati che lo accostano alla cronaca di mafia o di terrorismo internazionale.

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bori del movimento.

Quando il cinema affronta eventi storici datati,

spesse volte volge lo sguardo ad un passato più o meno

lontano per dire qualcosa sulla sua contemporaneità. Nella

genesi della filmografia sugli anni di piombo invece sem-

bra che il processo abbia esattamente segno opposto, in

quanto sono gli eventi contemporanei a lanciare il cinema

in una ricerca nel passato della storia d'Italia, in uno

dei suoi punti più delicati e non affrontato ancora in ma-

niera esaustiva. Le vicende di D'Antona, Biagi e il capi-

tolo definitivo di Castiglion Fiorentino sfatano il tabù

del discorso sul terrorismo, la cronaca abbatte quella

spessa coltre di silenzio che si era andata formando nel

corso di un decennio e sblocca le occluse vie di rappre-

sentazione di cinema e televisione. A conferma di questa

tendenza ci sembra paradigmatico un lavoro come la puntata

di “Blu notte – Misteri italiani” dedicata alla BR. L'in-

cipit che sceglie Lucarelli per presentare un lavoro lungo

due puntate è di questo genere:

“La nostra storia inizia con un treno, un

interregionale. L'interregionale 2304 che

da Roma va a Firenze e che in questo momen-

to sta correndo nelle campagne vicino Ca-

stiglion Fiorentino.”

Il pretesto per raccontare la storia delle BR dal

1972 ad oggi è inequivocabilmente l'oggi. La breve parabo-

la delle Nuove BR è lo schiaffo che sveglia intellettuali

e addetti ai lavori dal torpore, uno stallo da cui si po-

teva uscire solo attraverso un anacronistico terremoto.

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