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INTRODUZIONE Apprendere a programmare alla scuola del- l’infanzia? Perché? Che cosa ci può essere di interessante in questo per un bambino? Che cosa si può imparare? Questo articolo è rivolto ai ricercatori, ai progettisti, agli educatori e ai genitori; tutti questi hanno buone ragioni per interrogar- si. Il mio scopo è quello di riesaminare il si- gnificato di programmare e di suggerire le condizioni atte a rendere le attività ludiche di “programmazione” coinvolgenti per i bambini e ad aiutarli a controllare il loro mondo e se stessi. Secondo il dizionario Webster, un program- ma è “una sequenza logica di istruzioni per un computer digitale”. Programmare, quindi, è l’azione di scrivere tale sequenza logica perché venga eseguita da un compu- ter. Questa definizione rende bene il signifi- cato di programmazione per i programma- tori professionali degli inizi dell’informati- ca, ma non rende ragione dell’intera storia. Gli sviluppi recenti dell’informatica come la programmazione orientata agli oggetti, il calcolo parallelo distribuito, la Vita Artifi- ciale, così come l’uso crescente della “pro- grammazione” da parte di ricercatori di for- mazione diversa da quella informatica, ren- dono questa definizione obsoleta. Oggi una gran parte degli adulti programma, in un modo o nell’altro, e questa attività non è più solo patrimonio degli esperti. È tempo, quindi, di riproporre la domanda: che cos’è la programmazione? La risposta non è semplice. La programma- zione assume significati diversi a seconda delle persone e non tutti sono d’accordo cir- ca le sue potenzialità nel promuovere l’ap- prendimento e lo sviluppo umano. Per alcu- ni la programmazione è l’attività di scrivere codice mentre per altri è una modalità di pen- siero [Papert, 1980]. Alcuni ne percepiscono il potenziale nell’aiutare i bambini ad affina- re il loro pensiero o a diventare “scienziati” [Resnick et al, 2000]; altri ancora sottoli- neano la sua capacità di favorire la creatività umana [Barchi et al, 2001] e migliorare l’au- to-espressione [Maeda, 2000]. Inoltre, la programmazione è una specie di Pigmalione: diventa quello che vuoi che sia. Per uno scienziato, per esempio, si trasfor- ma in uno strumento con cui controllare il mondo (attraverso la simulazione). Allo scrittore serve per creare nuove forme di narrativa o per costruire un mondo virtuale. I progettisti la usano come strumento dina- mico per costruire modelli e per gli psicolo- gi dello sviluppo, categoria a cui apparten- go, il valore nascosto della programmazio- ne risiede primariamente, e non sorpren- dentemente, nella sua capacità di promuo- vere l’esplorazione, l’espressione e la rifles- sione dell’io-in-relazione “in erba” dei bambini. Nel seguito, passo in rassegna alcune ten- denze attuali della programmazione in un tentativo di far emergere il loro potenziale “nascosto” di esplorazione di queste istanze relazionali. Partendo dalla nozione di com- puter come “macchina psicologica” [Turkle, 1984], mi focalizzo sui modi in cui la rap- presentazione giocosa di attività di program- mazione, in senso lato, possa aiutare i bam- bini a esplorare questioni relative all’azione e al controllo in modi nuovi e proficui. 48 TD 27 numero 3-2002 Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni? Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni? La programmazione come “specchio” e “finestra” per entrare in relazione con gli oggetti e le persone Edith K. Ackermann MIT School of Architecture, USA [email protected]

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INTRODUZIONEApprendere a programmare alla scuola del-l’infanzia? Perché? Che cosa ci può essere diinteressante in questo per un bambino? Checosa si può imparare? Questo articolo è rivolto ai ricercatori, aiprogettisti, agli educatori e ai genitori; tuttiquesti hanno buone ragioni per interrogar-si. Il mio scopo è quello di riesaminare il si-gnificato di programmare e di suggerire lecondizioni atte a rendere le attività ludichedi “programmazione” coinvolgenti per ibambini e ad aiutarli a controllare il loromondo e se stessi.Secondo il dizionario Webster, un program-ma è “una sequenza logica di istruzioni perun computer digitale”. Programmare,quindi, è l’azione di scrivere tale sequenzalogica perché venga eseguita da un compu-ter. Questa definizione rende bene il signifi-cato di programmazione per i programma-tori professionali degli inizi dell’informati-ca, ma non rende ragione dell’intera storia.Gli sviluppi recenti dell’informatica come laprogrammazione orientata agli oggetti, ilcalcolo parallelo distribuito, la Vita Artifi-ciale, così come l’uso crescente della “pro-grammazione” da parte di ricercatori di for-mazione diversa da quella informatica, ren-dono questa definizione obsoleta. Oggi unagran parte degli adulti programma, in unmodo o nell’altro, e questa attività non èpiù solo patrimonio degli esperti. È tempo,quindi, di riproporre la domanda: che cos’èla programmazione?La risposta non è semplice. La programma-zione assume significati diversi a secondadelle persone e non tutti sono d’accordo cir-

ca le sue potenzialità nel promuovere l’ap-prendimento e lo sviluppo umano. Per alcu-ni la programmazione è l’attività di scriverecodice mentre per altri è una modalità di pen-siero [Papert, 1980]. Alcuni ne percepisconoil potenziale nell’aiutare i bambini ad affina-re il loro pensiero o a diventare “scienziati”[Resnick et al, 2000]; altri ancora sottoli-neano la sua capacità di favorire la creativitàumana [Barchi et al, 2001] e migliorare l’au-to-espressione [Maeda, 2000].Inoltre, la programmazione è una specie diPigmalione: diventa quello che vuoi che sia.Per uno scienziato, per esempio, si trasfor-ma in uno strumento con cui controllare ilmondo (attraverso la simulazione). Alloscrittore serve per creare nuove forme dinarrativa o per costruire un mondo virtuale.I progettisti la usano come strumento dina-mico per costruire modelli e per gli psicolo-gi dello sviluppo, categoria a cui apparten-go, il valore nascosto della programmazio-ne risiede primariamente, e non sorpren-dentemente, nella sua capacità di promuo-vere l’esplorazione, l’espressione e la rifles-sione dell’io-in-relazione “in erba” deibambini.Nel seguito, passo in rassegna alcune ten-denze attuali della programmazione in untentativo di far emergere il loro potenziale“nascosto” di esplorazione di queste istanzerelazionali. Partendo dalla nozione di com-puter come “macchina psicologica” [Turkle,1984], mi focalizzo sui modi in cui la rap-presentazione giocosa di attività di program-mazione, in senso lato, possa aiutare i bam-bini a esplorare questioni relative all’azione eal controllo in modi nuovi e proficui.

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Ambienti di giocoprogrammabili:cos’è possibile per unbambino di quattro anni?

La programmazione come “specchio” e “finestra”per entrare in relazione con gli oggetti e le persone

■ Edith K. AckermannMIT School of Architecture, [email protected]

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ni?Nella prima parte elenco alcuni degli ingre-dienti che, dal mio punto di vista, sono allabase delle diverse tendenze nella storia del-la programmazione. Indugio sulle metaforeche le guidano, sulle modalità di ragiona-mento coinvolte e sulla loro rilevanza psico-logica rispetto ai bambini. Prendo in consi-derazione tre tendenze della programma-zione: dare istruzioni, costruzione di com-portamenti autonomi e adattamento distrutture esistenti. Per illustrare ogni ten-denza, uso scenari immaginari o reali in cuii bambini svolgono i loro giochi di pro-grammazione.In una seconda parte discuto del perchémolti bambini in età prescolare possono di-vertirsi e trarre beneficio dall’esplorazionedi versioni semplificate delle tendenze sopracitate. Mi concentro su tre caratteristicheche, secondo me, possono aiutare i bambi-ni, dai più piccoli fino ai più grandi, a rap-presentare aspetti di azione e controllo inmodo giocoso: padronanza (controllare/la-sciare liberi); dar vita (creare/interagire);adattare (prendere a prestito, modulare).Nelle ultime sezioni mi domando a chi pia-ce programmare e soprattutto perché possapiacere ad un bambino.

CHE COS’ÈLA PROGRAMMAZIONE?Il succo della programmazione è dare istru-zioni, o comandi, ad una macchina perché liesegua. Ovviamente la macchina può anchenon essere un computer. Potrebbe essere undispositivo meccanico o una serie di mat-toncini “intelligenti”. I comandi non devo-no necessariamente essere scritti come unasequenza di passi logici, come agli inizi del-l’informatica. Le istruzioni possono essereincorporate in componenti digitali da as-semblare manualmente [Chioccariello et al,2002].

La programmazione comedare istruzioni: digli cosa deve fare!Le istruzioni possono assumere forme di-verse. Si possono comunicare verbalmenteo per iscritto, come in un libro di ricette ocome quando si disegna su un tovagliolouna cartina per qualcuno. Normalmente ciònon è chiamato programmazione. In unprogramma le istruzioni specificate hannobisogno di un medium reattivo capace dieseguirle. In altre parole, le istruzioni sonocontenute dentro una macchina, una com-ponente software nel computer o in pezzitangibili, come una serie di operazioni daeseguire. Per illustrare questo concetto im-

magino scenari tipo gioco in cui i bambinipossono dire ai loro giocattoli intelligentiche cosa fare e mi chiedo: dove comincia laprogrammazione?Scenario 1: Comandate a bacchettail vostro cane robotImmaginate un gruppo di bambini di treanni che battendo le mani inducono il lorocane robot a passeggiare dimenandosi. Se bat-tono le mani una volta il cane muove la coda,se le battono due volte muove la testa freneti-camente (come se ridesse), se le battono trevolte il cane fa un salto mortale.Fin qui non è previsto nessun tipo di pro-grammazione a meno che … i bambini pos-sano configurare il giocattolo affinché ese-gua più di un ordine alla volta.Scenario 2: Racconta le favoleal Racconta Storie “Tell-Tale”Un gruppo di bambini di età compresa fra iquattro e gli otto anni sono riuniti nel labo-ratorio di Justine Cassell al Media Lab delMIT. Ogni bambino è occupato a raccontareil suo frammento di storia in un piccolo regi-stratore portatile a forma di palla. Cinquebambini, cinque registratori a palla di colorediverso, cinque pezzi della storia. Una voltaregistrate le storie, i bambini si riuniscono eagganciano le palle in modo da formare un“bruco” chiamato “Tell-Tale”.“Tell-Tale” [Ananny, 2001; Cassell eRyokai, 2001] si limita semplicemente a ri-petere la sequenza dei pezzi di storia regi-strati, dalla testa alla coda. Può darsi che“Tell-Tale” sia stupido, ma permette aibambini di occuparsi della parte intelligentedel gioco. Essi possono creare i loro fram-menti di storie personali e ricombinarli co-me desiderano per comporre trame piùcreative. I bambini imparano velocemente amodificare i pezzi di storia, i connettori el’ordine dei pezzi per migliorare la favola.Devono soltanto ogni volta cambiare l’ordi-ne di disposizione delle palle e/o registrareun nuovo frammento.Questi scenari dimostrano che dire ad unartefatto che cosa fare non è sufficiente perparlare di programmazione. Il da farsi devecoinvolgere più di una singola azione o co-mando. Infatti, non parliamo di program-mazione quando inneschiamo una rispostatramite un segnale di input, come quandosuoniamo il campanello o accendiamo unelettrodomestico.Conclusione provvisoriaDa un punto di vista di relazione con l’og-getto, la programmazione per istruzionipuò essere pensata come un dialogo fra unapersona ed un artefatto. Per esempio, la

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persona (il bambino) sta dicendo - o inse-gnando - ad un oggetto (una lavatrice) a fa-re qualcosa (il bucato) per conto suo. In al-tre parole, una persona delega un lavoro adun oggetto e, con le opportune istruzioni,quell’oggetto farà in modo autonomo il la-voro che la persona gli ha chiesto di fare.La nostra ricerca sui bambini e le macchineindica che anche per i bambini programma-re significa farsi aiutare da una macchina, daun computer o da un giocattolo a fare coseche richiedono intelligenza. A volte anche ibambini, come gli informatici, non sonocerti se l’intelligenza risieda nella macchinastessa o nella persona che l’ha progettata[Ackermann, 2000; Brandes, 1996]. Lamaggior parte dei bambini fra i sei e gli un-dici anni sarebbe d’accordo sulla seguenteconsiderazione: Non sto programmandoquando “dico” al mio macinacaffè di maci-nare il caffè o quando metto in moto la miaauto. Invece programmo quando “dico” allamia lavatrice quali passaggi deve compiereperché il mio bucato venga lavato (…) anchese posiziono semplicemente la manopola perfar partire il programma. Chiaramente ibambini non intendono dire che parlanoveramente al macinacaffè o alla lavatrice(anche se non ci vorrà molto perché ciò siapossibile). Quello che fanno, invece, è farpartire il suo programma girando una ma-nopola o spingendo pulsanti (dandole istru-zioni). Questo è quello che essi associanocon “programmare la macchina”.

La programmazionecome costruzione di comportamenti:collegali per renderli autonomi!Con lo sviluppo della programmazioneorientata agli oggetti e di quella parallela di-stribuita, la percezione di cosa voglia direprogrammare assume sfumature diverse.Dal predisporre una macchina perché ese-gua una serie di comandi l’accento si è spo-stato all’attribuzione di obiettivi a un grup-po di semplici oggetti computazionali e afarli comunicare tra loro per poter ottenereprestazioni migliori1. Questo nuovo para-digma, spesso denominato “programma-zione decentrata”, porta con sé la sua partedi metafore.Dal fare cose per te la macchina o il giocatto-lo intelligente ora è predisposto per fare lesue cose. Dalla condizione di schiavo, o di la-voratore sotto-qualificato alla catena dimontaggio, diventa un apparecchio che siautoregola, una creatura cibernetica. L’ar-tefatto conquista autonomia. Diversamentedal suo servile predecessore, ora si presenta

munito di sensori, motori e quant’altro“lo” aiuti a vedere il mondo a suo modo, adavere i suoi valori di riferimento o scopi in-terni, e ad ottimizzare di conseguenza le“sue” mosse.Scenario: Costruire CreatureNon ci sono computer in vista. I bambini diuna scuola elementare del centro di Bostonstanno costruendo sculture animate, veicoli ecreature con mattoncini LEGO integrati damotori e sensori, più altri oggetti che esterna-mente assomigliano ai mattoncini LEGO main realtà sono elementi computazionali (flip-flop, porte logiche e così via). Un veicolo condue sensori di luce, uno a destra e l’altro a si-nistra, si dirige verso una fonte luminosa. Isensori di luce sono collegati a due motori inmodo da obbedire alle seguenti due regole: seil sensore di destra vede più luce di quello disinistra, allora si accende il motore di sini-stra, e viceversa. Il risultato è un movimentoa zig-zag verso la luce [Martin, 1988].I comportamenti interessanti emergonodalla connessione di pezzi. Ogni pezzo, dasolo, potrebbe fare poco o nulla. Se invecelo si collega ai suoi vicini in un certo modola struttura inizia a produrre comportamen-ti inaspettati. Il programma è incorporato incomponenti tangibili che i bambini possonomontare e smontare manualmente [Chioc-cariello et al, 2002]).Conclusioni provvisorieLa nostra ricerca sui bambini e i robot sug-gerisce che l’interazione con artefatti cheesibiscono comportamenti auto-regolanti èdiversa dal dare istruzioni ad un giocattoloche esegue semplicemente ordini. In cia-scun caso (per esempio, istruire obbedientitartarughe Logo, danzare assieme a tartaru-ghe cibernetiche imprevedibili, o costruirlepartendo dai pezzi base), la natura e il gra-do di autonomia dell’artefatto sono diversicosì come lo sono le reazioni dei singolibambini [Ackermann, 1991; Granott,1991; Papert, 1993].Per molti bambini l’interesse non risiedenello smontare una creatura per capire il suomeccanismo o vedere che cosa c’è dentro lascatola nera. L’interesse risiede, invece, nel-l’ottimizzare il muoversi assieme ad unacreatura pronta ad entrare in azione e, cosìfacendo, sperimentare ed esplorare la dina-mica degli scambi, gli schemi del dare eprendere, il grado di reciproca influenza ocontrollo, tutte situazioni tipiche delle tran-sazioni umane. Il loro scopo, in altre paro-le, è quello di conversare più che costruire,armonizzare più che rompere, immedesi-marsi più che analizzare.

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1L’idea è di definire i com-portamenti di un oggettoin termini di attributi emetodi (stati, preferenze,azioni) come nella pro-grammazione orientataagli oggetti; contempo-raneamente, avere diversioggetti che interagisconofra di loro per formaregrandi reti, o agenzie, diagenti interconnessi, co-me nell’informatica di-stribuita.

2Osservazioni raccoltedall’autore durante unworkshop a Porto Ale-gre, Brasile, estate 2000.

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di strutture esistenti: non partire dazero, prendi a prestito e “impossessati”!Più che in passato, gli strumenti ed i giocat-toli di oggi incoraggiano gli utenti a pro-grammare in senso lato, decostruendo piùche costruendo, adattando programmi esi-stenti, senza dover mai guardare una riga dicodice. I creatori possono importare interipezzi di testo, immagini e suono (incluso ilcodice sottostante), che possono poi modu-lare e ricombinare a piacimento. In altre pa-role, nessun bisogno di partire da zero:prendi a prestito ciò che già esiste e “mani-polalo” finché non ti va bene.Questo passaggio dalla costruzione allosmontaggio o, in questo caso, dalla costru-zione di comportamenti alla loro modula-zione ha importanti implicazioni, sia per ibambini che per gli adulti.Scenario: AssemblaggiUn’aula informatica collegata a Internet eun gruppo di ragazzini di otto anni seduticiascuno di fronte al proprio computer. Ognistudente è occupato a scrivere una ricerca sul-l’Impero Romano. Come pensi che proceda lamaggior parte dei ragazzi? Ecco ciò che fan-no: navigano in rete finché non trovano unapagina che veramente gradiscono. Importa-no la pagina, o parti di essa, e la usano comecanovaccio che possono poi manipolare. Lofanno finché non assomiglia più all’originaletrovato o all’idea alla quale si sono ispirati,ma è diventata la loro2.Questo approccio da “arte povera” allascrittura genera grandi controversie fra glieducatori, i quali si chiedono se i bambini,prendendo a prestito in modo così spudo-rato, stanno ancora scrivendo, per non par-lare dello statuto di autori dei loro scritti. Iosostengo che, purché i ragazzi manipolino ipezzi presi a prestito sufficientemente a lun-go, essi realmente stanno scrivendo! Nonprendiamo tutti quanti a prestito, anchequando ci sembra di partire da zero? Comepotremmo non tener conto di ciò che altrihanno detto e pensato prima di noi quandocostruiamo qualcosa? Non è esagerato direche scrivere su una pagina bianca è un con-cetto che non esiste. Sempre accogliamo ciòche gli altri hanno detto e sempre parliamoa qualcuno. Entrambe le cose sono necessa-rie per trovare la propria voce. Entrambe lecose hanno aiutato molte persone, altri-menti riluttanti, a cimentarsi nello scrivere[Ackermann e Archinto, 2001].Per concludereDa una prospettiva psicologica, la differen-za fra costruire e smontare i comportamen-

ti di un artefatto (approccio dell’ingegnere)e modularne il comportamento intervenen-do nel (come parte del) suo ambiente (ap-proccio dello psicologo) è molto rilevante.Così come lo è la differenza fra muoversi as-sieme o conversare con un partner artificia-le e dare ordini ad un giocattolo tecnologi-co [Ackermann e Strohecker, 1999]. Nelseguito vedremo che alcuni bambini posso-no essere più inclini a preferire un approcciorispetto all’altro.

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ni? PERCHE IMPARAREA PROGRAMMARE?Se, come abbiamo suggerito, programmare(in senso lato) riguarda il dare istruzioni,costruire o assemblare pezzi per crearecomportamenti interessanti, e modularecomportamenti esistenti, resta la domanda:che cosa c’è di interessante per i bambinipiù piccoli? Perché i bambini in età presco-lare dovrebbero imparare a programmare?Riesco ad individuare almeno tre ragioni.

Padroneggiare le cose:prendere il controllo/lasciarloandare/prendere il controlloQuando danno istruzioni i bambini si impa-droniscono del loro mondo. Creano o con-trollano cose capaci di eseguire i loro ordi-ni. Le mettono in movimento o le animano(le portano in vita) e danno loro ordini. Co-me potrebbe tutto ciò non entusiasmare unbambino di tre anni che muore dalla vogliadi onnipotenza? D’altro canto, dando ordi-ni ad una entità sufficientemente affidabile eintelligente da eseguirli i bambini imparanoanche a lasciar andare o a delegare. La dele-ga implica la distribuzione del controllo inquanto non appena l’artefatto esegue gli or-dini del bambino agisce per suo conto, fa-cendosi carico di una parte del lavoro.Il bambino piccolo può esplorare proble-matiche legate al controllo e alla negozia-zione e imparare giocando a conoscere il si-gnificato del bilanciamento fra prendere ilcontrollo e lasciarlo andare, aspetto crucia-le di qualsiasi tipo di transazione, sia con lepersone che con le cose.

Dar vita alle cose:creare/interagire/creareQuando costruiscono e giocano con coseche si comportano come se avessero una vo-lontà autonoma, i bambini più piccoli impa-rano a separare lo scopo dalla causa, o l’a-zione dalla causalità. Essi imparano i varimodi in cui oggetti, sia animati che inerti,incidono sul - e rispondono al - comporta-mento di ognuno di essi. Dotare gli ogget-ti di uno scopo e guardarli mentre fanno leloro cose è piacevole, in quanto, una voltacostruito, l’oggetto non solo si anima di vi-ta propria ma agisce in modi che non sonotipici di una cosa inerte, come per esempioseguire una luce, dare la caccia ad altre crea-ture o evitare ostacoli. Le creature sembra-no danzare fra di loro. Nonostante sianocose riescono a comportarsi come persone[Turkle, 1995].Il bambino giocando può esplorare la diffe-

renza fra un comportamento auto-guidatoe un comportamento indotto da altri, fraluoghi di controllo interni ed esterni. Egliinteragisce con nuove forme di intelligenza,diverse dalle proprie, conquistando cosìnuove intuizioni rispetto a ciò che significaessere vivi e intelligenti, essere una personao una cosa [Barchi et al, 2001].

Prendilo com’è/ModulaloAttraverso la modulazione di comporta-menti esistenti e l’adozione di un approccioalla creatività tipo “arte povera”, i bambinipiù piccoli diventano bricoleur invece di pia-nificatori, riparatori invece di creatori. In al-tre parole, essi “giocano allo psicologo” in-vece di “giocare all’ingegnere o al neuro-chirurgo”. Ciò non è affatto una brutta co-sa. La ricerca sugli stili di apprendimento in-dividuali nei bambini dimostra che l’esserein sintonia con le cose, o l’essere un ascolta-tore intelligente, è un punto di partenzatanto importante quanto lo è l’essere un ini-ziatore o un solista.In modo divertente il bambino può esplo-rare la complessità del passaggio dalla lettu-ra alla scrittura e apprezzare il bilanciamen-to fra riciclare ciò che è disponibile e parti-re da zero, fra il presentarsi come cantantesolista e il mescolarsi nel coro.Per concludere, i bambini più piccoli sonogeneralmente affascinati da oggetti chehanno l’aspetto di cose e tuttavia si com-portano come persone, o animali da com-pagnia. È proprio la natura ibrida di questiartefatti (vivi ma non del tutto) che consen-te loro di esplorare idee altrimenti pericolo-se, e cioè di correre rischi su un terreno si-curo.

A CHI PIACE PROGRAMMARE?Non a tutti i bambini piace programmareun computer. Non tutti sono a loro agio neldare istruzioni, anche a creature artificiali o,al contrario, nel creare cose che sfuggono alloro controllo. Non tutti i bambini amanoassemblare le loro creature cibernetiche, pernon parlare del loro smontaggio. Alcunipreferiscono controllare mentre altri prefe-riscono entrare nel flusso delle cose o muo-versi assieme ai loro giocattoli. Alcuni sonopiù strumentali mentre altri sono più rela-zionali, assomigliando nel loro stile a quelloche Turkle (1984) chiama “padronanzamorbida”.Nonostante queste differenze, la maggiorparte dei bambini più piccoli si diverte acreare cose e a dar loro vita, o ad “animar-le” in un modo o nell’altro. Ciò che varia è

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anni?la quantità di costruzione o di “danza” con

l’oggetto, le metafore da cui traggono ispi-razione e gli scenari di gioco che più li en-tusiasmano. Abbiamo notato che, per ibambini molto piccoli, la strada potrebbeessere quella della programmazione comemodulazione di comportamenti esistenti,anche se ci si chiede se in questo caso si pos-sa ancora parlare di programmazione.Scenario 1:Osservazioni dalla Hennigan SchoolGuardando i bambini giocare conLEGO/Logo, abbiamo osservato ripetuta-mente che alcuni di essi si cimentano volen-tieri con la costruzione di giocattoli o veicolimeccanici, mentre altri sembrano più porta-ti alla creazione di “creature strane” o luoghiidonei a far vivere e muovere piccoli esseri. Lametafora industriale, con la sua panoplia dimotori e macchine, non li interessa. Preferi-scono rappresentare il gioco di creature ocreare sculture cinetiche straordinarie.È da notare che le abilità messe in atto inquesti progetti sono simili e, a prescindereda ciò che li mette in moto, tutti i bambinialla fine riescono ad animare le loro costru-zioni, a metterle in movimento (con i mo-tori) e a dar loro un’impressione di scopo(con i sensori). Tuttavia molte attività pro-poste nelle scuole e altrove continuano a ri-ferirsi al limitato mondo degli strumentimeccanici nel tentativo di motivare tutti ibambini coinvolti. Le osservazioni fatte sul-l’uso che i bambini fanno dei motori e deisensori fornisce un esempio particolarmen-te calzante di quanti e diversi concetti diestetica si sviluppano da modi diversi di rap-portarsi con il mondo.Scenario 2: Hennigan School(seguito dell’osservazione)Mentre la maggior parte dei bambini si en-tusiasma alla costruzione e alla guida dimacchine, altri (soprattutto le bambine)spesso preferiscono osservare l’evoluzione delleloro creature. A loro piace costruire, attivaree coinvolgere le loro creature come compagnedi giochi. La metafora organica (crearequalcosa che poi si muova separatamente)sembra catturare la loro immaginazione piùdi quanto non faccia la metafora industria-le (creare una macchina). Inoltre, dal puntodi vista delle differenze di genere, i bambinispesso amano smontare un meccanismo pervedere come funziona, mentre le bambinetalvolta esitano a fare a pezzi le cose e temo-no di non essere più in grado di ricomporle.Ma possono anche preferire conservarle intereper un’altra, e più rivelatrice, ragione: perpoter fare giochi di ruolo con le loro creazio-

ni, fantasticare con loro, trattarle come per-sonaggi della fantasia. Analizzarle e smon-tarle non è cosa che a loro piaccia.Dato che i bambini che cerchiamo di coin-volgere appartengono a sessi diversi, e pro-babilmente anche a classi sociali e gruppi et-nici diversi, è sensato fornire un vasto assor-timento di materiali che rispondano a este-tiche e gusti diversi. La diversità qui implicauna libertà reale di scegliere fra alternative emodi di fare diversi. Diversi strumenti e me-dia sono percepiti in modo diverso: l’argillaal tatto è diversa dal legno, i camion giocat-

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ni? tolo suscitano sensazioni diverse rispetto al-le scatole musicali o ai pupazzi animati. Equesti diversi strumenti e media consento-no la creazione e l’espressione di diversi tipidi cose, le quali assumono significati diversia seconda delle persone. Più vasta sarà lagamma degli strumenti, dei media e delleattività, maggiori saranno le possibilità dicostruire un prodotto dal significato perso-nale.

IN QUALI CIRCOSTANZELA PROGRAMMAZIONEPUO ESSERE UN’ESPERIENZAPROFICUA PER UN BAMBINO DIQUATTRO ANNI?Papert sostiene che non si debba insegnareai bambini la programmazione fine a se stes-sa, ma piuttosto ad usare le conoscenze le-gate alla programmazione per creare conte-sti dove si possano presentare altre occasio-ni di apprendimento piacevole. Inoltre, ibambini dovrebbero cimentarsi nella pro-grammazione solo se riescono a trarne qual-cosa sul momento e non dopo, quando sa-ranno grandi! La gratificazione deve essereimmediata, il che non significa che i ragazzinon dovranno fare molto lavoro, o moltafatica, per svolgere la loro attività. In gene-re, il “gioco difficile” è più stimolante per ibambini che possono passare ore su una co-sa quando questa li interessa veramente.Le tecnologie digitali, in questo caso i kit digioco programmabili, sono media interatti-vi attraverso i quali i bambini possono espri-mere le loro idee e sentimenti in modi nuo-vi. Quindi il punto non è quale sia l’effettodella programmazione o dell’uso dei com-puter sull’apprendimento, per esempio,della scrittura o della matematica. Dovrem-mo piuttosto chiederci: i computer e le altretecnologie digitali possono fornire nuovestrade per l’apprendimento e il gioco, perl’esplorazione, espressione e condivisione diidee altrimenti non affrontabili? Nei lorogiochi, ai bambini piace rappresentareun’ampia gamma di scenari, dal controllounilaterale al dialogo, dal costruire allosmontare. Ciononostante, a bambini diver-si in contesti diversi piace fare queste cose inmodi diversi. E con il tempo le preferenzepossono trasformarsi in stili personali.Come abbiamo visto, gli ambienti di giocostessi possono presentare limitazioni intrin-seche o distorsioni se la loro forma esteticae le possibilità costruttive coincidono congli stereotipi prevalenti, o favoriscono certistili di apprendimento a discapito di altri.Per esempio, i mattoncini LEGO favorisco-

no le strutture ortogonali e facilitano le co-struzioni verso l’alto, le strutture verticali.Bisogna lavorare sodo per fare oggetti conlati ricurvi. Oppure, i kit del tipo fare-disfa-re-rifare in generale favoriscono il costruiree disfare cose piuttosto che entrare in rela-zione con questi materiali. Queste sono lepossibilità ed i valori estetici previsti dai setdi costruzione classici. Un altro tipo di distorsione riguarda l’im-posizione da parte dei progettisti, degli in-segnanti o dei genitori del loro punto di vi-sta su che cosa dovrebbe essere costruito e co-me i bambini dovrebbero interagire con leloro creazioni. Mi riferisco qui a tutte le no-stre credenze inespresse sul modo giusto difare le cose che possono catturare l’immagi-nazione di alcuni e bloccare invece altri. Lenostre osservazioni sui bambini che pro-grammano ci dicono che la maggior partedi essi gradisce l’idea di animare cose ed èfelice di usare i computer per programmarele sue creazioni. Ciononostante, non tutti ibambini si divertono allo stesso modo a farcorrere le automobili, o a coltivare il giardi-no, a dare ordini ai loro robot o a muoversiassieme alle loro creature. Diversi scenari digioco divertono menti diverse.La manipolazione di oggetti è sicuramenteun’attività importante per i bambini, ma sel’obiettivo dell’educatore o del ricercatoreè di offrire opportunità per progettare ecreare comportamenti allora la richiesta dilavoro sulle parti meccaniche (ad esempio,la costruzione del corpo di una creatura)dovrebbe essere minimizzata a favore dellavoro più “simbolico” e “cibernetico” didescrivere, pilotare, controllare, comanda-re i comportamenti di una costruzione. Sesi segue questa pista, bisogna ampliare leparti manipolative di un kit includendo ipezzi di un ambiente di programmazionetangibile dove programmare è connettere itasselli fisici del linguaggio di controlloche, in sintonia con il termine “mattoncinoprogrammabile”, chiamo “mattoncinocomportamentale”. Un mattoncino com-portamentale ha una doppia funzione: co-mandare/ controllare un oggetto dandoglidelle istruzioni da eseguire; fornire un lin-guaggio descrittivo per riflettere su e/omodellare l’oggetto (la creatura) con cui siè in relazione. In termini psicologici, que-sto significa aiutare i bambini a dare vita al-le parole facendole diventare chiavi cheaprono le porte dei mondi che esse evoca-no. Significa ridare poteri evocativi e crea-tivi alle parole.Io concluderei così: offriamo materiali ric-

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ni?chi e diversificati e immaginiamo una vastagamma di scenari di gioco capaci di cattu-rare la fantasia dei bambini più diversi e lo-ro faranno tutto il resto.

RINGRAZIAMENTISono grata ad Augusto Chioccariello, Stefa-nia Manca e Luigi Sarti per l’invito a scrive-re un articolo insieme; a Seymour Papert,Fred Martin, David Cavallo e tutti i colleghidel “Future of Learning Group” del MITMedia Lab per avermi dato l’occasione di

approfondire il significato dell’attività diprogrammazione; a Mike Ananny per “Tell-Tale”; alla LEGO A/S e al LEGO LearningInstitute, in particolare a Rolf Andreas Wi-gand, Daniele Bresciani, Martin Rausch eTom Christensen, che mi hanno aiutato,ciascuno con le sue specificità, a ripensare ibenefici della programmazione per i bambi-ni piccoli in contesti di gioco (progetto“Early Computation”).

(traduzione di Giovanna Caviglione)

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