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SOMMARIO
Glucidi………………………………………………………………………………………………………..……………3
Lipidi e membrana…………………………..………………………………………………..……………….…….5
Amminoacidi e proteine…………………………………………………………………………………..….……9
Enzimi………….…………………………………………………………………………………..………………….…29
Trasduzione del segnale…………………………………………………………………………….……………51
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3
GLUCIDI
Biochimica: Si occupa di studiare organismi viventi a livello chimico.
10-100 micron: cellule.
Macromolecole: Polisaccaridimonosaccaridi
GLUCIDI: Aldeidi o chetoni di alcoli polivalenti: almeno un idrossile e un aldeide o chetone.
Aldosi da sapere: gliceraldeide, ribosio, glucosio, fruttosio, mannosio, galattosio.
Chetosi da sapere: diidrossiacetone, fruttosio (ribulosio e xilulosio).
Aldoesosi in ambiente acquoso: reagiscono a formare acetali e semiacetali; danno vita a una miscela di
molecole lineari e cicliche alfa o beta.
FORMA E FUNZIONE SONO STRETTAMENTE CORRELATE: Cambiando una si perde l’altra e viceversa.
Ai glucidi semplici possono essere aggiunte modificazioni per via enzimatica:
Ossidazione ad acido (acido glucoronico)
Aminazione, conferisce caratteristiche basiche
Esterificazione a un acido.
Fosforilazione: esterificazione con un gruppo fosforico.
Si trovano sempre sotto forma di disaccaridi o polisaccaridi.
Lo zucchero da tavola è il saccarosio: glucosio alfa e fruttosio, il più dolce.
Lattosio: galattosio beta e glucosio, poco dolce.
Maltosio: glucosio alfa e glucosio; prodotto di degradazione di polisaccaridi.
OMOPOLISACCARIDI Amido: polimeri di glucosio alfa; in 3D è un’elica molto lassa e molto idratata, che viene digerita dalle amilasi,
enzimi presenti nel nostro organismo. È assimilabile meno rapidamente del glucosio del disaccaridi, ma è
comunque una grane fonte di glucosio.
Cellulosa: polimeri di glucosio beta; costituiscono le fibre delle pareti cellulari di cellule vegetali. Non
possediamo enzimi in grado di digerire la cellulosa, quindi essa non è per noi una fonte di energia; tuttavia,
stimolano la peristalsi intestinale.
L’amido è formato da amilosio e amilopectina: in essa sono presenti anche ramificazioni 1-6, non solo 1-4; la
sua degradazione avviene a partire dalle estremità: essendo più ramificato permette di avere più estremità
e di essere degradato più velocemente. Il glicogeno ha la stessa forma dell’amilopectina e permette di fornire
energia velocemente; esso provvede alle riserve di energia nel caso di digiuno. È più piccolo di un mitocondrio
ma è visibile al microscopio, più grande di una proteina media.
ETEROPOLISACCARIDI Vengono aggiunti enzimaticamente gruppi fosfato, amminoacidi, carbossilici… un esempio è l’acido
ialuronico, pesante 8 milioni di dalton, formato da migliaia di molecole di glucosio.
L’acido ialuronico è formato da un monomero di acido glucoronico e un disaccaride di N-acetil-
glucosammina. È debolmente acido e richiama molecole di acqua.
Condrooitin-4-fosfato: acido glucoronico unito a N-acetil-galattosammina-4-solfato
Cheratansolfato (pelle e capelli): galattosio e N-acetil- glucosammina-6 solfato
Eparina: acido D-glucoronico, N-solforil-glucosammina-6-solfato e acido L-iduronico. Serve per prevenire i
trombi dopo un operazione: può provocare emorragia dalla ferita o difficoltà in una seconda operazione
d’urgenza.
Tutte queste macromolecole si trovano nella matrice extracellulare.
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Alcuni polisaccaridi vengono uniti alle proteine: o uniti al gruppo amminico (legame N) dell’Asparagina o al
gruppo ossidrilico (legame O) della Serina. Le proteine vengono glicosilate nel Golgi in base alla funzione, agli
zuccheri a disposizione e al genotipo dell’individuo. Vengono poi indirizzate sulla matrice e vanno a costituire
il glicocalice: ha funzione di riconoscimento cellula-cellula e di protezione.
Proteoglicani (glucidi e proteine che tengono insieme le cellule):
Aggrecano: tiene incollate le cellule dei vari tessuti, ma fornisce anche un isolamento meccanico tra
una cellula e l’altra.
Betaglicano
Sindecano: la proteina è in parte transmembrana: tengono i polisaccaridi attaccati alla membrana
plasmatica.
Versicano: completamente extramembrana.
Acido ialuronico fa da scheletro centrale a una serie di proteine a cui sono glicosilati vari polisaccaridi.
Es: nei villi intestinali il glicocalice colloso crea un rivestimento che ripara le cellule da danni meccanici.
Fattore Rh: è un insieme di proteine di membrana che ciascuno di noi ha sulle proprie cellule. Sono
glicoproteine di membrana e sono fortemente antigeniche: non hanno conseguenze fenotipiche, ma
conseguenze mediche importanti: l’organismo crea anticorpi verso un tessuto contenete proteine diverse
dalle proprie in fatto di Rh.
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LIPIDI E MEMBRANA
DEF: Sostanza naturale insolubile in acqua e solubile nei solventi organici come etere, cloroformio, benzene.
Due funzioni:
Sono i componenti principali dei depositi di grasso: consentono di superare i periodi di digiuno molto
prolungati.
Creano una barriera idrofobica alla nostra pelle, in modo che l’acqua non possa penetrare dalla pelle.
A livello microscopico, costituiscono le membrane cellulari.
Sono mediatori all’interno della stessa cellula e tra cellule vicine messaggeri intra e extracellulari.
Funzione di vitamine: alcune hanno natura idrofobica e si trovano negli oli.
Si possono raggruppare in diverse classi di composti chimici:
1. Acidi grassi: raramente si trovano singolarmente perchè acidi. Sono praticamente neutri perché
prevale la catena carboniosa, ma hanno una piccola testa idrofobica acida.
Quelli saturi si impacchettano meglio, quelli insaturi cis sono più disordinati e passano allo stato
solido con più difficoltà. Quando ci sono più insaturazioni, esse non sono mai su carboni adiacenti
ma presentano sempre un gruppo metile in mezzo.
Hanno un nome che ricorda il composto da cui sono stati ottenuti e un nome chimico: acido grasso
a due atomi di carbonio prende il nome di acido acetico e acido etanoico (due nomenclature); acido
grasso a 16 atomi di carbonio si chiama acido palmitico; acido grasso a 18 atomi di carbonio si chiama
acido stearico. Quelli insaturi si indicano con 18:1; DELTA9, cioè che ha 18 atomi di carbonio e un
legame doppio in posizione 9.
Nomenclatura OMEGA: omega3 e omega 6 significa che possiedono un doppio legame in posizione
3 o 6 a partire dal fondo; sono importanti perché non sono prodotti dal nostro corpo e bisogna
assumerli con l’alimentazione.
Il nostro organismo dà per scontato che assumiamo certi prodotti tramite la dieta; nel momento in
cui si modifica una dieta e si smette di assumere certi prodotti, si tenta di cambiare l’ambiente a cui
siamo adattati.
ACIDI GRASSI ESSENZIALI: abbiamo perso la capacità di fare doppi legami oltre il carbonio 10, quindi
dobbiamo assumerli con la dieta. Sono essenziali l’acido linoleico e linolenico (rispettivamente 2 e 3
doppi legami); a partire da questi possiamo sintetizzare l’acido arachidonico, con 4 doppi legami.
Gli acidi grassi si possono trovare trasformare in saponi con idrolisi basica, sotto forma di sali di sodio.
Non si usano più saponi di origine naturale perché con il calcio presente in acqua creano
precipitazioni che creano macchie.
2. Lipidi semplici e complessi:
Trigliceridi: glicerolo(propantriolo) esterificato a 3 acidi grassi.
Si trovano sotto forma di goccioline di grasso negli adipociti, nelle cellule muscolari e in
piccola parte nelle cellule neuronali.
Servono come isolanti meccanici per i visceri, riserve energetiche, isolanti termici
sottocutanei.
I trigliceridi sono formati da acidi grassi diversi: il loro grado di insaturazione di quelli del
nostro corpo è in modo tale da renderli gelatinosi, né liquidi né solidi.
Glierofosfolipide: due gruppi ossidrilici sono esterificati a acidi grassi e il terzo è legato a un
gruppo fosfato con legame fosfoesterico. Compongono i foglietti fosfolipidici delle
membrane cellulari.
Il carbonio che lega il secondo acido grasso è chirale, ma in natura è sempre in forma L.
Fosfatidiserina: legame tra il gruppo fosfato e la serina.
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Fosfatidiletanolammina: si forma per decarbossilazione della serina.
Fosfatidilcolina: si forma per trimetilazione della fosfatidiletanolammina.
Fosfatidilinositolo: l’inositolo è un polialcol ciclico, non è uno zucchero
Cambiando la testa, cambia anche la proprietà del fosfolipide, perché è carico, netuo,
acido, basico, …
Cardiolipina
PAF: fattore di attivazione delle piastrine: il primo non è un acido grasso, ma è un etere, il
secondo è un acido grasso e il terzo è la testa della fosfatidilcolina. È un forte protrombotico,
attivano dalle piastrine.
Sfingolipidi: derivati della sfingosina: a essa viene unito un acido grasso con legame ammidico
(con gruppo amminico in posizione 2): nella sfingomielina, inoltre, il carbonio in posizione 1
si lega a un gruppo fosfato e a una catena carboniosa.
GRUPPI SANGUIGNI: le persone A hanno la capacità di sintetizzare enzimaticamente GalNAc
(galattosammina), quelli B hanno la capacità di sintetizzare Gal (Galattosio??), quelle AB tutte
e due e quelle 0 non hanno la capacità di sintetizzare nessuna delle due.
Colesterolo: è un alcole policiclico (3 anelli a 6 atomi e 1 da 5). Ha un gruppo ossidrilico in
posizione 3. Se si ha difficoltà a digerirlo o se ne ingerisce troppo, crea problemi perché
ostruisce il lume delle arterie aderendo alla tonaca media.
Si trova nel nostro corpo sia libero che esterificato con il gruppo ossidrilico a un acido grasso
(estere del colesterolo, è completamente idrofobico e entra nei depositi di trigliceridi). Il
colesterolo libero è idrofobico con il gruppo OH idrofilico, rivolto o all’esterno o all’interno
della molecole, quando si trova nelle membrane. Dona stabilità alle membrane perché è
rigido.
A partire dal colesterolo si possono formare gli acidi biliari; servono per emulsionare i grassi:
sono il detergente naturale usato dal nostro corpo per poter interagire con i grassi idrofobici.
Hanno più gruppi ossidrilici e a volte un gruppo carbossilico; la disposizione tridimensionale
fa sì che assumano una forma curva, dove gli ossidrili e i gruppi acidi si vengono a trovare
dalla stessa parte, in modo che la parte opposta sia apolare. La parte apolare interagisce con
i grassi, la parte polare con i digestivi. Finita la demolizione, gli acidi biliari vengono riassorbiti
e riportati alla cistifellea. In alcuni casi precipitano e danno delle palline che ostruiscono il
corpo; si risolve asportando la cistifellea.
Acido colico
Acido chenodeossicolico
Acido deossicolico
Acido litocolico
ORMONI STEREOIDEI: dal colesterolo viene rimossa la catena laterale, il gruppo alcolico è
passato alla forma chetonico. Questi ormoni sono metabolizzati nella corteccia surrenale
(mineralcorticoidi e glucocorticoidi), nelle cellule di Leydig (androgeni) e follicolo
luteo(estrogeni).
DISPOSIZIONE DEI LIPIDI IN AMBIENTE ACQUOSO Gli acidi grassi si dispongono a formare le micelle perché occupano poco spazio; i lipidi più complessi si
dispongono in modo a formare un foglietto fosfolipidico, perché hanno un maggior ingombro. Se formano
una struttura di piccola dimensione si chiama liposoma, in grandi dimensioni formano le membrane cellulari.
Cardiolipina abbondante nei mitocondri.
I fosfolipidi si organizzano a formare strati più o meno ordinati e più o meno spessi, anche in base alla
temperatura.
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Lipid Raft: zattere lipidiche, che si muovono lungo la membrana plasmatica di essere rigide da dividere la
cellula da ambiente esterno, ma abbastanza flessibili per permetterle di cambiare forma. Sono dei domini
con composizione diversa, con concentrazione maggiore di colesterolo, sfingomielina verso l’esterno e
fosfatidilcolina. Sono blocchi che tendono ad essere conservati ma non immutabili.
Le membrane contengono una miscela di lipidi ma anche di proteine: alcune sono tute inserite all’interno
della membrana, e si separano solo se si scioglie la membrana, altre sono intermembrana solo con un piccolo
dominio, altre ancora sono unite alla membrana sono per mezzo di un’ancora lipidica, con un ganglioside; ci
sono anche proteine estrinseche, fuori dalla membrana, ma che riconoscono le teste lipidiche, assumendo
loro parziale carica + e i lipidi parziale carica -.
Funzione proteine di membrana: trasdurre il segnale da fuori a dentro, permettere il passaggio di materiale,
e di conferire rigidità alla membrana sono attaccate alla matrice esternamente e al citoscheletro
internamente, donando rigidità.
Nella distrofia, la membrana non è ancorata al resto della cellula e quindi si rompe perché molto più fragile.
I lipidi possono disporsi un un’ulteriore conformazione, la lipoproteina: è una goccia di grasso contenente
trigliceridi e esteri del colesterolo (fortemente idrofobici) circondata da un singolo strato di fosfolipidi. Ci
sono inoltre proteine con funzione strutturale (mantengono la forma della lipoproteina) e di riconoscimento
(mediano il riconoscimento da parte delle cellule della lipoproteina).
Perilipine: proteine che circondano il grasso negli adipociti.
PROTEINE TRANSMEMBRANA Ci sono solo due tipi di domini transmembrana:
Alfa-elica transmembrana: formata solo da amminoacidi con caratteristiche idrofobiche. Gli ultimi
amminoacidi dell’elica sono idrofilici perché devono creare ponti salini con le teste idrofile. Il numero
di amminoacidi delle alfa eliche è di circa 10 amminoacidi consecutivi idrofobici.
Barile-beta: la catena si avvolge su se stessa; ci sono amminoacidi idrofobici all’esterno e più o meno
idrofilici all’esterno. Si crea così una porina di membrana. Pori di questo tipo si trovano sule
membrane dei batteri e sulle membrane dei mitocondri per permettere il passaggio di piccole
molecole.
Più difficili da identificare solo le proteine extramembrana attaccate solo per un ganglioside, un lipide
ramificato e insaturo: dalla sequenza è impossibile prevedere i siti di lipidazione che permettono di
individuare la presenza di un ancora lipidica. Sono aggiunte di solito a livello del reticolo liscio o del Golgi:
viene glicosilata o lipidata e non può quindi essere secreta perché rimane ancorata; serve per impedire che
alcuni enzimi si disperdano nel citoplasma.
TRASPORTO ATTRAVERSO LE MEMBRANE Ioni e piccole molecole passano rapidamente, molecole idrofobiche passano abbastanza velocemente.
Il passaggio può avvenire in due modi diversi:
Diffusione: compiuta direttamente dalla membrana, e dipende solamente dalla differenza di
concentrazione ai due lati della membrana. Non è un processo velocissimo, perché deve sciogliersi
nel doppio strato e poi sciogliersi nell’ambiente acquoso.
Trasporto: facilitano il passaggio transmembrana. Se la quantità di molecole da trasportare è troppo
elevata, il trasportatore diventa limitante e non può trasportare più di una certa quantità di molecole.
L’aspetto positivo è che facilita il trasporto, ma pone un limite di velocità massima di trasporto in
base alla concentrazione di molecole. Nella diffusione non c’è una velocità massima, perché dipende
solo dalla differenza di concentrazione.
Esistono trasportatori per cationi inorganici, anioni inorganici, zuccheri, acidi organici, amminoacidi,
proteine, nucleotidi/nucleosidi, vitamine/cofattori e farmaci.
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Esistono inoltre delle pompe “spazzatura” che permettono alla cellula di liberarsi di ciò che non serve
alla cellula: la loro attività è molto alta nel caso di cellule tumorali, che espellono farmaci
antitumorali.
ACQUAPORINE: sono canali stretti che permettono di far passare pochissime molecole alla volta: in
questo modo è più selettiva. È circondata da amminoacidi basici e acidi in modo da allontanare tutti
gli ioni.
CANALE PER IL SODIO VOLTAGGIO-DIPENDENTE: è una struttura molto complessa formata da diversi
domini transmembrana e da diversi loop extramembrana. Le alfa-eliche si assemblano a formare dei
pori. Creano dei canali molto stretti che permettono il passaggio di sodio ma non di potassio (più
grande), e inoltre controlla la carica, non facendo passare il cloro (Cl-). La variazione di voltaggio fa
spostare i loop e fa aprire o chiudere il canale; può essere aperto sia dall’esterno o dall’interno.
CANALE DELLA FIBROSI CISTICA: mutazione in uno delle pompe ATPasi per il cloro. Se l’individuo è
eterozigote, un solo gene sano basta, e quindi l’individuo è portatore sano; se è omozigote si
manifesta la malattia, che porta a problemi respiratori, riproduttore, … si manifesta a livelli diversi:
dipende dalla proteina mutata, che a volte causa problemi lievi, altre volte blocca completamente in
funzionamento della pompa.
Tipi di pompe:
1. Uniporto: pompe che utilizzano forme di energia provenienti dall’esterno per spostare molecole
unidirezionalmente da una parte all’altra. Il trasporto è energeticamente favorevole se va da una
concentrazione minore a una maggiore.
Pompa Ca2+: lega ATP, rilascia calcio all’esterno, e poi rilascia il gruppo fosfato.
2. Sinporto: le due molecole vengono portate dalla stessa parte.
Es: pompa sodio-glucosio: sono pompe della famiglia dei GLUT, presente in diverse conformazioni
in diverse cellule. Sulla membrana degli enterociti, per ogni molecola di glucosio che entra,
entrano anche due ioni Na+: il glucosio è trascinato dentro per permettere al sodio di entrare.
Solo quando tutti i siti sono occupati, cambia forma e internalizza glucosio e sodio. Non succede
mai che la pompa trasporti fuori glucosio, perché la concentrazione di sodio all’interno della
cellula è sempre più bassa, grazie alla pompa sodio potassio.
3. Antiporto: le due molecole vengono portate da parti opposte.
Es: pompa cloro-bicarbonato (Cl- e HCO3-): non consuma energia; se dovesse passare per
diffusione sarebbe un processo molto lento, perché sono cariche. Se fosse una pompa di
uniporto, oltre a postare una sola molecola sposterebbe anche una carica, facendo perdere
l’equilibrio delle cariche. Si è quindi creato un antiporto elettro-neutro perché non sposta
cariche.
Pompa sodio potassio ATPasi: consuma energia per portare fuori 3 ioni sodio e portare dentro 2
ioni potassio. È una glicoproteina formata da 4 subunità: due alfa con funzione strutturale e due
beta con funzione di trasporto. Lega 3 atomi di sodio all’interno e ATP; rimane attaccato un
gruppo fosfato e rilascia il sodio sul versante extracellulare. Rimane bloccata in questa
conformazione fino a che non si legano due ioni potassio: a questo punto cambia conformazione
con rilascio di fosfato. Questa pompa serve per creare una differenza di potenziale ai due lati
della membrana: i fosfolipidi essendo idrofobici crea uno strato isolante.
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AMMINOACIDI E PROTEINE
Proteine: polimeri lineari di amminoacidi.
Amminoacidi: al carbonio alfa sono legati un gruppo amminico e uno carbossilico amminoacidi alfa.
Sono possibili due diverse conformazioni: L amminoacidi (utilizzati dal nostro corpo) e D amminoacidi
(presenti ad esempio sulla parete dei batteri).
Da sapere: tutti gli amminoacidi, con struttura, nome intero, sigla a tre lettere e sigla a una lettera prolina
è particolare perché è un’ammina secondaria e non primaria: ha un anello rigido e influisce sulla
conformazione della proteina.
Gruppi R alifatici, non polari.
Gruppi R aromatici.
Gruppi R polari, non carichi (asparagina ha gruppo ammidico).
Gruppi R carichi negativamente (aspartato e glutammato sono gli ioni di asparagina e glutammina).
Gruppi R carichi positivamente.
Gli amminoacidi, dopo la sintesi della proteina, vengono modificati; poiché forma e funzione sono correlate,
cambia sia la forma che la funzione delle proteine. Le modificazioni più comuni sono:
♦ Idrossilazione di prolina e lisina.
♦ Metilazione di lisina.
♦ Carbossilazione di glutammato.
♦ Fosforilazione di serina, treonina e tirosina (perché hanno gruppo ossidrilico).
♦ Formazione di una cistina, a partire da due cisteine, con formazione di un ponte disolfuro. Questo
legame unisce due parti della proteine o proteine diverse.
Sono tutte modificazioni effettuate da enzimi e sono regolate.
Esistono amminoacidi non proteici: non si trovano nelle proteine, e sono degli intermedi metabolici: ornitina,
citrullina, omocisteina, GABA.
Punto isoelettrico (pI): punto di pH in cui l’amminoacido ha carica netta neutra (né carica positiva né
negativa).
Un amminoacido posto in soluzione acquosa, si trasforma nella sua forma ionica di zwitterione, ossia in cui
sia il gruppo carbossilico che amminico si trovano in forma ionica (per cui la carica netta è zero se
l’amminoacido contiene una catena R non carica); esso si trova prevalentemente a pH neutro. Lo zwitterione
può però comportarsi da acido o da base: nel primo caso, cede ioni H+ diventando un anione, nel secondo
caso acquista uno ione H+ diventando un catione.
Il punto di pH in cui si trova l’amminoacido nella sua forma di zwitterione corrisponde al punto isoelettrico.
Lo si calcola facendo la media delle pKa della forma amminica e la pKa della forma carbossilica.
Per gli amminoacidi che presentano un gruppo carbossilico o amminico nel residuo, si considerano solo i due
pKa dei gruppi carbossilici o i due pKa dei gruppi amminici.
Gli amminoacidi si possono separare sfruttando il loro punto isoelettrico ponendoli in un campo elettrico tra
anodo e catodo: assumeranno una posizione diversa a seconda del punto isoelettrico. In questo modo è
possibile separare gli amminoacidi nel sangue.
Circa la metà degli amminoacidi sono essenziali: cioè non siamo capaci di sintetizzarli in quantità sufficiente.
Quelli essenziali hanno i residui ramificati e complicati da sintetizzare.
(Da sapere: quali amminoacidi sono essenziali e quali non lo sono)
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Differenza fondamentale: gli amminoacidi sono necessari non soltanto in tracce, ma in grandi quantità perché
servono per costruire la parte più consistente del corpo umano.
LEGAME PEPTIDICO Peptidi: unità di 2 fino a decine di amminoacidi.
Proteine: da decine a centinaia di amminoacidi, che assumono conformazioni fisse.
Ogni peptide ha un amminoacido N terminale iniziale e un amminoacido C terminale finale.
Il legame che si crea è un legame carbamminico particolare, perché ha una parziale struttura di legame
doppio: c’è risonanza tra la forma polarizzata e la forma non polarizzata. È un legame planare e non c’è libertà
di rotazione (perché, appunto, è parzialmente doppio), quindi gli atomi tendono a stare tutti sullo stesso
piano la flessibilità della catena peptidica è ridotta, perché può ruotare
solo intorno ai due legami del carbonio alfa, chiamati legami phi (C-N) e psi
(C-C).
Nella maggior parte dei casi il legame peptidico è in conformazione trans,
altrimenti le due catene amminiche sbatterebbero l’una contro l’altra; i
legami fi e psi sono liberi di muoversi come vogliono, ma ruotano
effettivamente solo in determinati angoli, altrimenti ci sarebbe repulsione
e sovrapposizione di atomi.
In base alla rotazione degli angoli phi e psi, la proteina assume struttura
secondaria a alfa elica e beta foglietto; queste possibilità di rotazione sono
indicate nel grafico di Ramachandran, dove si vede che non tutte le
posizioni dei due angoli sono possibili, per via del loro ingombro sterico.
PEPTIDI BIOLOGICAMENTE ATTIVI Glutatione: gamma-glutamil-cisteinil-glicina. Peptide formato da 3 amminoacidi prodotto da un enzima e
non da un ribosoma, in quanto gli amminoacidi non sono uniti con un legame peptidico classico, ma sono
uniti tra loro residui diversi. Ha un gruppo sulfidrile sulla cisteina, e per questo è un ottimo riducente: può
donare elettroni e idrogeno e dimerizzare: passa dalla forma ridotta alla forma ossidata con un ponte
disolfuro, donando alla specie che si riduce una coppia di elettroni. Gli ossidanti, oltre che a ossidare molecole
nel processo di respirazione cellulare, ossidano anche altre molecole del nostro corpo: il glutatione interviene
per ridurre tali molecole, ossidandosi lui stesso. È in alta concentrazione all’interno delle cellule, per questo
le proteine intracellulari hanno una bassa quantità di ponti disolfuro (cioè so
no in forma ridotta) mentre le molecole extracellulari sono ossidate prevalentemente ossidate, quindi
contengono ponti disolfuro. Il glutatione serve anche per ridurre i perossidi, dannosi per il corpo.
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Gli agenti ossidanti causano invecchiamento della pelle e, in casi più gravi, stress ossidativo (in caso di
somministrazione di farmaci) anemia emolitica da farmaco.
Aspartame: è un peptide prodotto enzimaticamente, in quando contiene un gruppo metilico terminale.
Fornisce amminoacidi al posto di zuccheri, e si usa per dolcificare; causa problemi ai pazienti con
fenilchetonuria, perché è composto per il 50% da fenilalanina. Viene usato come dolcificante perché non
influisce sulle calorie del prodotto, non essendo carboidrati.
Perché in soluzione una proteina assume una forma determinata?
Motivazioni energetiche: poiché ogni gruppo C=O è un accettore di ione idrogeno e ogni gruppo N-H è un
donatore di ione idrogeno, la proteina assume una conformazione ripiegata nella forma più favorevole dal
punto di vista energetico, cioè a minor contenuto energetico.
Motivazioni strutturali: dovuto alla lunghezza e agli angoli di legame, all’ingombro sterico, alla rotazione di
phi e psi.
STRUTTURE PROTEICHE La sequenza amminoacidica di una proteina ne determina la struttura, a vari livelli strutturali:
1) Struttura primaria: sequenza di amminoacidi. È decisa dal codice genetico, poi comunicata al
ribosoma.
2) Struttura secondaria: è la disposizione ordinata di residui amminoacidici vicini nella sequenza lineare
o nello spazio. È dettata dal fatto che ciascun legame peptidico può agire da accettore o donatore
per un altro legame peptidico (non dello stesso legame perché sono da parti opposte); le
conformazioni secondarie sono dovute principalmente alla forza dei legami idrogeno che si creano
tra legami peptidici distanti nella molecola stessa
Due possibili forme:
Alfa elica: formazione di un legame idrogeno tra legami peptidici distanti 4 posizioni: il
gruppo carbossilico fa da accettore per il gruppo amminico in posizione +4. I residui sono
rivolti verso l’esterno de si forma un’elica con un passo di 3,6 residui (non 4 perché C non si
lega a C ma a N), corrispondenti a 5,4 Angstrom. L’elica formata più comunemente dalle
proteine è levogira, o sinistrorsa.
Beta foglietto: il gruppo carbossilico di un legame peptidico si lega al gruppo ammminico di
una parte diversa della molecola. Questo fa sì che le catene di una stessa proteina si
dispongano parallele tra loro, in cui le catene laterali degli amminoacidi si dispongono
alternativamente sopra e sotto il piano della molecola.
La disposizione di queste catene può essere parallela (le
parti della molecola scorrono parallele con stesso
orientamento, quindi la molecola forma dei grossi loop:
), o antiparallela (le parti della molecole scorrono
parallele ma con verso alternato, quindi la molecola
compie dei loop più piccoli:).
Quando il peptide deve compiere delle anse molto
lunghe, esse possono stabilizzarsi creando interazioni tra
loro stesse: formano le strutture chiamate giro beta (o
ripiegamento beta), in cui il loop viene stabilizzato da un legame idrogeno tra il primo
e il quarto legame peptidico. Ci sono anche altri loop che hanno forma strutturata
ma non a beta giro, assumendo una forma non precisa come i peptidi in acqua. Ad
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esempio, la calmodulina è interrotta da un loop che è stabilizzato da un atomo di
calcio: in base alla presenza di calcio o no cambia la forma strutturale della proteina.
Le proteine sono sempre circondate da acqua tutto intorno, tranne quelle extracellulari.
Ogni amminoacido ha una disposizione preferenziale e lo si trova prevalentemente nelle alfa eliche, nei beta
foglietti o nei giro beta: ad esempio, la glicina è piccola e storterebbe la catena, quindi si torva
prevalentemente nei loop e raramente nella alfa elica (così come la prolina, che per il suo gruppo imminico
dà preferibilmente vita a un legame cis, favorevole nella formazione del giro beta).
3) Struttura terziaria: disposizione nello spazio di residui amminoacidici lontani tra loro nella sequenza
lineare. In base al modo in cui la secondaria si ripiega, può formare una struttura globulare o fibrosa.
Si forma a partire dalla natura dei residui amminoacidici: quelli idrofobici si impacchettano verso l’interno, e
quelli idrofilici si rivolgono verso il solvente esterno. Infatti, le proteine solubili in acqua assumono una
conformazione a gomitolo, in cui il nucleo centrale è non polare mentre l’esterno è costituito da residui
idrofilici.
Porina: proteina in cui gli amminoacidi idrofilici si dispongono lungo il canale idrofilico riempito di acqua e
quelli idrofobici si dispongono esternamente, in contatto con l’ambiente idrofobico di membrana.
La struttura terziaria è stabilizzata da legami tra parti lontane della proteina, come legami elettrostatici,
legami idrogeno, interazioni idrofobiche, forze di Van der Waals e ponti disolfuro.
Insulina: è un ormone che regola la glicemia,
codificato da un gene, che codifica per la pre-
proinsulina, molto più grande. Essa viene inserita nel
RER dove viene tagliata la sequenza segnale all’N
terminale. Vengono poi creati ponti disolfuro tra
parti diverse della molecola; nel Golgi tutta la parte
non interessata da ponti disolfuro viene eliminata, e
rimangono le due catene A e B unite saldamente tra loro.
Strutture supersecondarie (o motivi): avvolgimento polipeptidico caratteristico, perciò ben
riconoscibile, formato da due o più elementi di struttura secondaria e dagli elementi di connessione tra di
essi; è perciò formato da due elementi di struttura secondaria ripiegati l’uno sull’altro. Ad esempio il barile
beta è una struttura super secondaria, dove il foglietto beta si ripiega a formare una struttura a barile.
La struttura terziaria permette anche l’individuazione di domini proteici, ossia zone strutturalmente ben
definite della proteina in base alle loro strutture supesecondarie e alla loro funzione. Questi domini sono ben
separati tra loro e di solito collegati da sequenze amminoacidiche che non assumono una conformazione
particolarmente ripiegata.
4) Struttura quaternaria: più strutture terziarie si uniscono tra loro.
2 subunità uguali: omodimero.
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2 subunità diverse: eterodimero.
4 subunità uguali: omotetramero.
4 subunità diverse (anche a due a due): eterotetramero.
Gli elementi di stabilizzazione della struttura quaternaria sono i tipi di interazioni che si instaurano tra le
subunità: possono essere interazioni non covalenti (ponti idrogeno e interazioni elettrostatiche) o covalenti
(ponti disolfuro).
Immunoglobulina: esempio di proteina con struttura quaternaria, formata da 4 catene polipeptidiche
disposte nello spazio a formare una Y.
La proteina può essere formata anche da altri componenti non proteici che legano la proteina stessa per
renderla funzionante; ad esempio, l’emoglobina funziona grazie al gruppo eme, se lo si toglie non si forma
più la proteina definitiva.
REAZIONE DI AMADORI Non sempre ciò che si trova attaccato a una proteina è stato aggiunto enzimaticamente.
In presenza del glucosio (aldeide), le proteine danno vita a degli addotti anche in assenza di enzimi, che con
il tempo diventano stabili e si forma in via non enzimatica una proteina glicosilata che a sua volta può formare
molecole ancora più complesse.
Non essendo una reazione catalizzata, la velocità di reazione dipende soltanto dalla quantità dei reagenti; se
si misura la quantità di glucosio, essa è momentanea e cambia di ora in ora. Si può misurare quanto
l’emoglobina è glicata, cioè la media del glucosio in circolo nel sangue del paziente: se dopo i pasti si alza
tantissimo, la quantità di emoglobina glicata è alta, anche se al momento la quantità di zucchero è bassa.
DENATURAZIONE DELLE PROTEINE Consiste nella perdita della struttura spaziale di una proteina, che si accompagna a una perdita della funzione
(struttura=funzione).
La denaturazione proteica può avvenire per agenti come la temperatura e il pH: il primo fattore produce
effetti complessi sulle interazioni deboli (legami idrogeno) mentre il secondo fattore lascia intatti i legami
covalenti rompendo le interazioni idrofobiche contenute nel nucleo centrale delle proteine globulari.
Alcuni esperimenti sono stati condotti per la prima volta sull’enzima ribonucleasi A: è un enzima che contiene
quattro ponti disolfuro. Se si versa urea (mista a un agente riducente per rompere i ponti disolfuro) sopra a
una proteina, essa viene sfoldata completamente in quanto l’urea è un agente caotropico; se la si toglie e si
lasciala proteina all’aria, essa si rifolda naturalmente e riassume la forma iniziale, riformando tutti e 4 i ponti
disolfuro. La sequenza amminoacidica stessa contiene le informazioni necessarie per riformare la proteina
anche se questa viene smontata. Questo è vero per proteine piccole: quelle grosse difficilmente si riformano,
perché si aggrovigliano tra loro ed è difficile riformarle.
Chaperoni molecolari: sono proteine che dirigono il ripiegamento di alcune catene polipeptidiche,
facilitandone l’avvolgimento o creando un adatto microambiente.
Si chiamano Heat Shock Protein (Hsp70): è una famiglia di proteine di peso molecolare intorno ai 70.000 Da.
La proteina corretta ha regioni idrofobiche al centro e idrofiliche esterne, ma la forma denaturata o non
ancora ripiegata presenta regioni idrofobiche esposte; gli chaperoni riconoscono queste regioni (con
meccanismo ATP/Hsp50-dipendente), le legano in un comparto esterno e iniziano a cambiarne la
conformazione fino a che non assume la forma corretta. A quel punto la proteina viene rilasciata. Sono anche
in grado di proteggere da eventuale shock termico e anche di mantenere le proteine di secrezione in
conformazione distesa (le mantengono in forma stabile).
Attività enzimatiche a supporto del folding proteico:
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il percorso di ripiegamento di alcune proteine richiede la presenza di due enzimi che catalizzano reazioni di
isomerizzazione:
Disolfuro isomerasi (PDI): catalizza la rottura e la riformazione di ponti disolfuro.
I ponti disolfuro sono uno dei principali legami che tengono unite due regioni lontane di una stessa proteina;
questi enzimi fanno passare la proteina da uno stato ridotto a uno ossidato di continuo. La proteina quindi
continua a formare ponti disolfuro fino a che non forma quello corretto, perché conferisce una
conformazione più stabile possibile; il legame più stabile è quello più interno in quanto unisce la parte più
esterna da quella più interna: a questo punto la disolfuro isomerasi non può raggiungerla e il legame rimane.
Peptide prolil cis-trans isomerasi (PPI): catalizza l’interconversione dei legami cis e trans della
prolina.
STRUTTURA PROTEICA MORFOLOGICA Morfologicamente, si possono dividere le proteine in due classi:
PROTEINE FIBROSE: funzioni strutturali e di supporto
Un esempio sono le cheratine dei capelli e le proteine fibrose di matrice extracellulare.
Le cheratine derivano da cheratinociti, situati nel bulbo pilifero e alla base delle unghie; le
cellule poi si riempiono di cheratina, una proteina molto stretta ad alfa elica.
Due proteine si uniscono tra loro avvolgendosi formando un filamento ritorto, unito da numerosi ponti
disolfuro; i filamenti ritorti si appaiano lateralmente e testa-coda a formare dei protofilamenti, che si
uniscono tra loro a formare le fibrille (stabilizzati da ponti disolfuro). Si può cambiare la forma della fibrilla
con un agente riducente che rompe i legami disolfuro. Si trova negli annessi dermici: pelle, peli, unghie, ...
Il collagene è la proteina fibrosa del connettivo più abbondante nei mammiferi; viene
sintetizzata nei fibroblasti ed è formato da 3 catene con andamento elicoidale sinistrorso
(non si tratta di alfa eliche) che sono superavvolte con andamento destrorso. Sono
stabilizzate da legami idrogeno tra i gruppi C=O di una catena e i gruppi NH della catena
adiacente.
Ha una sequenza molto semplice: un amminoacido su 3 è una glicina, seguito da una prolina e da una
idrossiprolina (spesso). L’idrossiprolina è una modificazione post traduzionale della prolina: la prolina viene
ossidata in una reazione che richiede un enzima, un ossigeno, un ferro e un acido ascorbico. Il legame
idrogeno formato dalla idrossiprolina stabilizza notevolmente la proteina rispetto alla prolina: nel caso di Gly-
Pro-Pro la temperatura di fusione è di 41°, mentre nel caso di Gly-Pro-Hyp la temperatura di fusione è di 69°.
Oltre a interazioni idrofobiche, ci sono anche legami covalenti a livello delle lisine, per opera di enzimi come
la lisi-ossidasi: formano gruppi ossidrilici nella lisina che interagiscono tra loro e uniscono catene di collagene
vicine. È una reazione di ossidazione che non è velocissima ma si accumula nel tempo: la pelle dei bambini è
elastica, ma con il tempo si accumulano i legami crociati e diventano più rigide. In più nell’adulto il processo
di turnover di collagene è limitato.
Il collagene è una glicoproteina perché alle lisine idrossilate sono uniti mono o disaccaridi.
La proteina viene prodotta nel RER dove avviene l’idrossilazione, poi nel Golgi dove avviene la glicosilazione
e successivamente nel compartimento extracellulare si ha la formazione delle fibrille.
ACIDO ASCORBICO, VITAMINA C: e in carenza di essa non può avvenire la formazione della molecola di
collagene (si occupa dell’ossidazione della prolina in idrossiprolina). Provoca debolezza di tendini, perdita di
denti, ematomi (la pelle non è più resistente); si può sviluppare negli alcolisti, perché le calorie vengono
fornite dall’alcol e mangiano poco. Nel caso di forte stress dopo un trauma c’è forte consumo di vitamina C
per riformare i tessuti (ossei o epidermici).
L’acido ascorbico deriva dal glucosio attraverso la via dell’acido uronico; la funzione principale dell’ascorbato
è come agente riducente.
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PROTEINE GLOBULARI:
Le proteine globulari contengono strutture secondarie, strutture supersecondarie, e sono formate da diversi
domini.
Emoglobina: è un oligomero formato da due catene alfa e due beta (omodimero formato da due subunità
alfabeta). Una singola modificazione dell’emoglobina (chiamata emoglobina S) porta la proteina a formare
fibrille come le proteine fibrose. Le fibrille dell’emoglobina S, avendo una forma diversa della normale
emoglobina, deformano il globulo rosso, che nella microvascolatura va in contro a emolisi.
L’emoglobina globulare ha una forma particolarmente compatta rispetto a quella fibrosa: questo permette
di avere una minore capacità di interazione con altre proteine del citoplasma e presenta delle cavità dove si
andranno a legare substrati o ligandi per formare interazioni specifiche con la proteina stessa.
FUNZIONI 1. Proteine strutturalisupporto (collagene, elastina, cheratina).
2. Proteine di deposito deposito di amminoacidi (ovalbumina, caseina).
3. Proteine di trasporto trasporto di altre sostanze (emoglobina).
4. Proteine ormonali coordinamento delle attività corporee.
5. Proteine recettoriali risposta della cellula a stimoli chimici liberati da altre cellule.
6. Proteine contrattili movimento (actina e miosina, proteine più numerose dell’organismo).
7. Proteine di difesa protezione contro le malattia (immunoglobuline).
8. Proteine enzimatiche accelerazione selettiva di reazioni chimiche, catalizzano reazioni
biologiche (enzimi digestivi).
PROTEINE DI DIFESA Sono proteine con funzione di riconoscimento. Riconoscere e rispondere vuol dire interagire.
Esiste una risposta immunitaria umorale (globale) e una cellulo-specifica: la prima è mediata da recettori
sparsi nel sangue (su cui poi intervengono linfociti B), mentre la seconda è mediata da linfociti T. i linfociti B
sono in grado di produrre anticorpi specifici, che promuovono la distruzione del batterio.
Anticorpo: proteina in grado di riconoscere un agente estraneo all’organismo (non-self); ne vengono prodotti
circa 108 tipi diversi, con distinte capacità e proprietà di legame (nel genoma umano non esistono così tante
diverse proteine: questo è reso possibile grazie all’ingegneria genetica, che permette ai linfociti di cambiare
il loro DNA).
Ogni anticorpo è in grado di riconoscere uno specifico antigene, cioè l’induttore della risposta anticorpale.
La porzione di antigene riconosciuta dall’anticorpo è chiamata determinante antigenico o epitopo.
Prima vaccinazione: viene iniettato nell’organismo una quantità bassissima di antigene o una sua forma
inattivata e in circa due settimane si sviluppa una risposta immunitaria primaria che porta alla produzione di
specifici anticorpi. Nel corso del tempo essi diminuiscono pian piano, ma non arrivano mai a zero. Con una
seconda vaccinazione, si scatena una risposta secondaria specifica, che ha decorso e intensità molto
maggiore.
IMMUNOGLOBULINE: nell’elettroforesi si posizionano a destra perché grosse e poco cariche. Non sono
globulari (dal nome si potrebbe pensare): sono formate da due catene leggere e due catene pesanti, uguali
tra loro. Ogni catena è specifica di una immunoglobulina e non di un’altra. I domini centrali sono uguali in
tutte e sono chiamati C, mentre quelli variabili da antigene a antigene si indicano con V.
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È una tipica molecola extracellulare tenuta insieme
da ponti disolfuro: stabilizzano i singoli domini e li
tengono uniti agli altri.
Questa molecole riconosce gli antigeni grazie ai
domini variabili: ogni anticorpo può legare due
antigeni, tramite uno dei due domini variabili (ogni
braccio della Y lega un antigene).
Il nostro organismo non produce un solo tipo di
immunoglobuline, ma tipi diversi con funzione
specifica. La struttura di base è simile, differiscono però solo le IgA, che sono formate da due dimeri di
anticorpi, e le IgM, che si trovano sulla superficie delle cellule B in forma monomerica o nella forma secreta
pentamerica.
IgA: sulla superficie delle mucose, sono prodotte da queste stesse cellule e prevengono la
colonizzazione di batteri presenti nel muco. Sono anche quelle che vengono passate dalla madre
al neonato tramite al latte: una parte viene digerita, ma una parte viene internalizzata e vanno a
costituire degli anticorpi che il bambino usa per difendersi.
IgE: sono responsabili della risposta allergica. Sono prodotte da mastociti e basofili, che sono a
loro volta indotti a rilasciare un vasodilatatore: questo porta alla produzione di muco dalle vie
respiratorie.
IgM: si trovano nel plasma (provocano la prima risposta immunitaria dopo la vaccinazione) prima
che la quantità di IgE sia sufficiente. Può legare fino a 10 antigeni perché formato da 5 anticorpi.
In ogni anticorpo è presente una fossetta che in assenza di antigene rimane vuota, e in presenza di antigene
si crea una tasca dentro cui si lega l’antigene meccanismo di adattamento indotto. L’unione antigene-
anticorpo avviene tramite interazioni dipolo-dipolo, legami idrogeno, ponti disolfuro, …
Una sostanza poco antigenica è una proteina idrofobica con pochi legami possibili esposti. Una altamente
antigenica è idrofila con gruppo polari esposti.
Le IgG e le IgM producono una reazione a cascata che attivano proteine distruttrici (linfociti T citotossici e
linfociti NK) che grazie a perforine e granzimi bucano e uccidono l’agente patogeno.
PRODUZIONE DI ANTICORPI MONO E POLICLONALI
Anticorpi policlonali: anticorpi prodotti da molti linfociti B in risposta a un antigene. Verranno quindi creati
anticorpi che si legano a epitopi diversi della stessa molecola dell’antigene. Sono quindi miscele di anticorpi
che riconoscono parti diverse dello stesso antigene.
Anticorpi monoclonali: sono sintetizzati da una popolazione di linfociti B identici (un clone) cresciuta in un
terreno di coltura. Sono anticorpi omogenei e riconoscono tutti lo stesso epitopo.
È utile poter produrre immunoglobuline con specificità nota: significa creare una proteina che può segnalarci
la presenza di una particolare sostanza. Il metodo più semplice è quello per produrre anticorpi monoclonari.
Viene iniettato l’antigene in un topo da laboratorio; questo produrrà una serie di anticorpi, che
riconosceranno l’antigene, e alcuni linfociti lo distruggeranno. Si prende a questo punto una cellula di
mieloma (tipo di tumore linfocitario) e la si fonde con un linfocita del topo iniettato: si ricava un ibridoma,
ossia una cellula in grado di produrre anticorpi illimitati, perché il mieloma è una cellula che ha vita molto
lunga perché si duplica maggiormente. Si dispongono i linfociti B in tante provette diverse, si fanno crescere:
alcuni si divideranno in linfociti B della memoria e non produrranno nulla, mentre altri si specializzeranno in
plasmacellule e produrranno l’immunoglobulina che interessa. Si ricavano quindi una serie di anticorpi
identici, specifici per uno stesso epitopo.
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Per la cura del cancro alla mammella si usano anticorpi
monoclonari: In alcuni tipi di tumore infatti le cellule tumorali
presentano un antigene specifico e una volta riconosciuto
questo si può facilmente creare anticorpo ad hoc. Gli anticorpi
ottenuti con questa tecnica sono anticorpi di topo: conoscendo
le differenze tra quelli di topo e di uomo, tramite l’ingegneria
genetica si possono trasformare in anticorpi umani (linfociti umani durerebbero troppo poco in coltura).
Per alcuni tumori, vengono iniettati anticorpi in modo da educare il corpo stesso ad attaccare il tumore: è
un’educazione immunitaria.
Per altri tipi di patologie si utilizzano anticorpi policlonali: vengono creati più anticorpi diretti a porzioni
diverse di uno stesso antigene.
METODO ELISA “dosaggio con enzimi legati a immunoassorbenti”. È una tecnica che permettere di vedere
se un individuo è sieropositivo o sieronegativo utilizzando anticorpi, soprattutto per quanto riguarda l’HIV.
Viene posta una superficie di proteine inerti
in 96 pozzetti (di solito) e dopo averla fissata
con apposite proteine, viene coperta con una
soluzione contenente l’anticorpo primario,
cioè diretto contro la proteina di interesse. Se
l’anticorpo non si lega, viene spazzato via dai
successivi lavaggi, altrimenti rimane legato.
Viene coperto il tutto con una seconda
soluzione contenente l’anticorpo secondario,
ossia diretto all’anticorpo primario; questo
anticorpo è in grado di catalizzare una
reazione che forma un prodotto colorato e
quindi visibile. Si lava via l’anticorpo seocndario in eccesso e si posiziona il substrato per l’enzima. La
formazione del prodotto (anche basandosi sull’intensità del colore) rivela la concentrazione della proteina di
interesse nel campione biologico.
Un secondo metodo, chiamato “sandwich”, prevede l’utilizzo di cellule nei pozzetti che già espongono sulla
superficie anticorpi diretti alla proteina di interesse; viene posizionato il siero sulle cellule e se la proteina di
interesse è presente si lega all’anticorpo. Vengono poi inseriti altri anticorpi con capacità enzimatiche diretti
all’anticorpo, in modo da creare un “sandwich” in cui l’antigene è racchiuso tra due anticorpi. Viene aggiunto
il substrato per l’enzima, che viene trasformato in un prodotto colorato e quindi individuabile. Se il pozzetto
quindi risulta colorato, si ha presenza dell’antigene (sieropositività) altrimenti no (sieronegatività).
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Questo stesso test può essere condotto con il Western Blot (o immunoblot): le proteine sono prima separate
per elettroforesi su gel e poi trasferite su un foglio di cellulosa, che segue il processo ELISA quindi viene
immerso nell’anticorpo primario e poi secondario. Lungo la banda in cui si trova la proteina si avrà del
precipitato colorato. Con questo test si possono individuare proteine presenti anche in basse concentrazioni
(in quanto si raggruppano tutte su un’unica banda).
Caratteristiche nel kit per l’HIV:
Sensibilità: dipende dall’affinità che il reagente di riconoscimento ha verso l’antigene dell’HIV.
Specificità: capacità dell’anticorpo di rilevazione (di ELISA) di distinguere tra cose che sono più o
meno simili.
INTERAZIONE LIGANDO-RECETTORE Due modelli estremi di interazione ligando-recettore:
Il sito di legame non cambia forma, fa sì che solo il ligando corretto vi entri.
Adattamento indotto totale: non c’è nessun sito preformato di legame specifico; la proteina si
deforma in modo estremo per adattarsi al ligando adattamento plastico
I recettori sono un modello intermedio: sono soggetti ad adattamento indotto ma con dei limiti.
Ligando: è una piccola molecola o una parte di essa; si muove velocemente nell’ambiente fino a quando non
incontra un recettore specifico.
Recettore: molecola grossa e relativamente stazionaria, con uno o più siti di legame specifici per un ligando.
Le interazioni tra ligando e recettore sono non covalenti (non si formano legami chimici), ma sono interazioni
ioniche, idrofobiche e ponti idrogeno. Può esserci un costo entropico (con il legame tra i due viene ridotta
l’entropia totale), che è compensato da un rilascio di energia.
Il legame L-R causa un cambio conformazionale nel ligando stesso, che è legato a una risposta specifica.
CARATTERISTICHE DI UN PROCESSO DI LEGAME:
1. Specificità: nel sito di legame per il ligando entrano solo alcuni ligandi e non altri (questo è
responsabile del fatto che alcuni sono allergici a un tipo di polline, altri ad un altro tipo).
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2. Saturabilità: un enzima/recettore è saturabile, in quanto in presenza di tanto substrato il flusso è più
veloce ma se esso è tutto occupato (l’enzima è saturato) non si può velocizzare ulteriormente il
processo; anche i recettori si saturano: aumentando il numero di ligandi a un certo punto non
aumenta più la capacità di legare ligandi.
3. Reversibilità: siccome i legami tra enzima e substrato non sono covalente, il legame è reversibile;
togliendo il ligando il recettore torna allo stato originario. Questa caratteristica viene usata nel
metodo ELISA lavando via il recettore in eccesso.
Consideriamo un modello teorico in cui abbiamo un recettore con un solo sito di legame: esiste una reazione
che forma il complesso recettore + ligando e una che forma il recettore e il ligando liberi (essendo reversibile
avviene nei due sensi). In più, il ligando deve essere specifico, deve esserci un solo recettore e deve essere
un processo reversibile.
Si può calcolare la costante di equilibrio Ke, data dal rapporto tra la concentrazione del complesso RL e la
concentrazione di R e L liberi: Ke= [RL]/[R][L]. Si misura in mol.
Alti valori di Ke indicano che l’equilibrio favorisce la formazione del complesso, quindi c’è alta affinità tra
recettore e ligando, mentre bassi valori di Ke indicano che l’equilibrio è a favore della separazione di recettore
e ligando, quindi l’affinità tra recettore e ligando è bassa.
Si può calcolare anche la costante di dissociazione Kd: è l’inverso della Ke e sarà quindi il rapporto tra la
concentrazione di R e L liberi e la concentrazione del complesso RL: Kd= [R][L]/[RL]. Si misura in mol-1.
Alti valori di Kd indicano che l’equilibrio favorisce ligando e recettore separati, quindi l’affinità tra ligando e
recettore è bassa; bassi valori di Kd indicano che l’equilibrio favorisce il complesso recettore-ligando, quindi
l’affinità tra ligando e recettore è alta.
Parlando di recettori, invece di calcolare le concentrazioni di ogni singolo componente, viene usata più
comunemente la frazione di recettore legato: [RL]/[Rt] o [L]/Kd+[L], ossia il rapporto tra la concentrazione
di recettore legato al ligando e la concentrazione di recettore libero.
Ad esempio, invece di calcolare la frazione di ossigeno legato e quello non legato, è più facile calcolare la
quantità di emoglobina ossigenata. Aggiungo quindi ossigeno fino a che tutte le emoglobine sono legate, e
individuo il punto di saturazione. VEDI QUADERNO
ARANCIONE
Aumentando la quantità di ligando disponibile,
aumenta la quantità di recettore occupato,
allontanandosi dal valore della Kd fino a raggiungere
la Bmax, ossia la massima concentrazione di ligando
che occorre per occupare tutti i siti di legame del
recettore. Nel grafico, la Kd indica la quantità di
ligando che serve per occupare la metà dei siti di
legame disponibili. (DIMOSTRAZIONE SUL QU)
Affinità dell’insulina: Kd=1x10-10 mol, ossia 10 Nm; a
questa concentrazione essa lega metà dei recettori (affinità molto alta dato che la concentrazione necessaria
è molto bassa).
PROTEINE CONTRATTILI
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MIOSINA: proteina grossa un centinaio di nm, formata da due catene pesanti ad alfa eliche che si avvolgono
tra loro e nella porzione ammino-terminale formano due teste globulari fatte ad uncino. Su di esse sono
attaccate altre quattro piccole proteine con funzione regolatoria.
Le catene pesanti avvolte (simili alla cheratina) sono in grado di associarsi tra loro a formare fibrille: le teste
si trovano ai due estremi della proteina (fascio di uncini con arpioni ai due estremi, con un centro di
simmetria), e nel centro della fibrilla si vengono a trovare proteine che legano le due miosine tra loro. Le
fibrille hanno una dimensione di 325 nm.
ACTINA: proteina globulare (actina G) che spontaneamente consumando energia può polimerizzare per dar
vita a un filamento (actina F); il legame richiede energia perchè riduce l’entropia (ordina le actine globulari).
Su questo filamento si dispongono delle proteine stabilizzatrici (tropomiosina) e proteine regolatrici
(troponina). Il filamento è direzionale, ossia ha un’estremità + e una meno, dovuta alla direzione delle actine
G. L’actina è in equilibrio tra forma monomerica e forma polimerica; l’actina si può disporre in fasci o in
reticoli, in base sia alla disponibilità di actina globulare sia in base alla disponibilità di filamina o fascina.
I filamenti di actina sono chiamati filamenti sottili, i filamenti di miosina sono chiamati filamenti spessi.
Il filamento di actina, in presenza di miosina, non produce nulla: i due filamenti si attaccano e non si muovono
fino a che non si fornisce loro ATP. La testa della miosina, infatti, è dotata di capacità ATPasica: scatta in
avanti di una posizione, da un monomero di actina a quello immediatamente successivo.
Nel muscolo i filamenti di actina e miosina sono disposti a formare un tipica bandeggiatura: i filamenti spessi
formano la banda scura e sono alternati ai filamenti sottili; con la contrazione, le teste della miosina si sposta
in avanti, ma poiché i filamenti di actina osno ancorati a livello del disco Z (dove si uniscono due sarcomeri
adiacenti tra loro), le miosine fanno scorrere su di esse le actine, accorciando il sarcomero e quindi il muscolo.
Ogni testa consuma ATP per compiere dei “passettini” verso gli estremi del sarcomero, portandoli verso il
centro. Le due linee Z sono unite alla membrana della fibra muscolare: questa si accorcia e diventa più spessa.
In ogni cellula muscolare ci sono più fibrille organizzate insieme a formare una miofibrilla: ciascuna cellula, a
sua volta, è organizzata all’interno di fasci muscolari, che compongono il muscolo.
La cellula muscolare è una cellula polinucleata che contiene le fibre muscolari. Oltre a miosina e actina, ci
sono diverse proteine, tra cui quelle ancoranti che compongono al linea Z e le titine: sono proteine elastiche
che tengono uniti i filamenti di miosina alla linea Z, per evitare che il sarcomero si “smonti”.
Il sarcomero è una struttura che si contrae o per
impulso nervoso o per impulso elettrico. Sulla
superficie della cellula muscolare, ci sono dei
canali (tubuli T perché trasversi) che si
propagano all’interno e vanno a circondare le
miofibrille. Accanto ad essi ci sono i reticoli
sarcoplasmatici che avvolgono completamente
le fibrille. La concentrazione di calcio che
permette la contrazione è maggiore nella
matrice extracellulare, nei tubuli T e nei reticoli
sarcoplasmatici, ma nel citoplasma è molto
bassa per via di delle pompe che spingono il
calcio fuori.
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Gli assoni di un neurone costituiscono la placca
motoria entrando in collegamento con diverse
cellule muscolari: la fibra nervosa si ramifica a
formare dei bottoni sinaptici. Essi provocano
l’apertura dei canali di calcio: gli ioni calcio
entrano del bottone sinaptico e qui
promuovono la fusione di vescicole contenenti
neurotrasmettitori con la membrana. Essi si
riversano nello spazio del bottone sinaptico e
interagiscono con la membrana della cellula
muscolare: permettono il passaggio di calcio
dentro la cellula, depolarizzando la membrana cellulare. Questa depolarizzazione porta al rilascio di calcio
nel citoplasma: esso si riversa nel citoplasma dallo spazio extracellulare (in piccola parte), dal reticolo
sarcoplasmatico e dai tubuli T. Il calcio rilasciato va a legare il complesso di troponina-tropomiosina:
quest’ultima copre i siti di legame dell’actina pe la miosina, mentre la troponina è formata da 3 subunità (la
C lega il calcio, la I inibisce la contrazione e la T lega la tropomiosina). Il calcio si lega alla troponina C che
sposta la tropomiosina dai siti di legame, esponendoli alla miosina e permettendo l’interazione actina-
miosina.
Tramite il consumo di ATP avviene lo scorrimento:
La testa della miosina è strettamente legata all’actina dei filamenti sottili e l’ATP è assente
(condizione del rigor mortis).
La testa della miosina si distacca dal filamento sottile, in quanto la testa lega ATP e provoca un cambio
conformazionale, rendendola meno affine al filamento sottile.
La testa della miosina avanza di un piccolo tratto rispetto al filamento sottile; questo è reso possibile
dall’idrolisi di ATP in ADP e fosfato inorganico (entrambi rimangono legati alla testa della miosina).
Lo spostamento è di circa 5 nm, cioè passa alla molecola successiva di actina.
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La testa si lega alla nuova molecola di actina debolmente, causando il rilascio di fosfato inorganico:
questo porta a rendere il nuovo legame molto più affine e genera una forza mentre la miosina ritorna
alla sua posizione iniziale. L’ADP si distacca dalla testa.
La testa della miosina si lega strettamente a una nuova molecola di actina, e il ciclo ricomincia.
Il segnale finisce quando non c’è più rilascio di acetilcolina (neurotrasmettitore); il calcio viene ripompato
fuori dalla cellula o dentro al reticolo sarcoplasmatico. Le troponine e tropomiosine si dispongono di nuovo
in mezzo ad actina e miosina, separandole. Se il muscolo è attraversato da corrente, il potenziale di
membrana viene modificato e causa lo stesso processo anche in assenza di acetilcolina.
Nella cellula c’è sempre ATP che permette alla cellula di contrarsi, ma il rilascio del muscolo si ha quando le
troponine impediscono il legame. Dopo la morte, in assenza di ATP actine e miosine rimangono legate e si ha
il rigor mortis. Dopo un po’ questo effetto finisce perché i filamenti cominiano a degradarsi.
PROTEINE STRUTTURALI I filamenti actinici si possono anche trovare non legate alla miosina: essi possono riunirsi a formare una sorta
di rete (grazie alal proteina filamina che forma legami crociati) o a formare fasci più grossi (grazie alla proteina
fodrina). L’assemblaggio di filamenti actinici a partire da actina globulare richiede consumo di ATP.
I filamenti di actina osno particolarmente labili in quanto possono dissociarsi e riassorciarsi facilmente; il
turnover tra actina G e actina F è regolato da actin binding proteins che possono legare le actine G (profilina
e timosina), legare le actine F, ancorarle alla membrana plasmatica (ezrina), legare solo una estremità del
filamento actinico (proteine capping per l’estremità meno o più).
Parallelamente al citoscheletro di actina, si trova il citoscheletro fatto da una proteina globulare che forma
dei tubi, la tubulina: si impilano a formare dei microtubuli. Due tubuline (alfa e beta) si uniscono a formare
dei protofilamenti; dall’affiancamento parallelo di 13 protofilamenti si ottiene il microtubulo. Esso presenta
una estremità positiva (a crescita veloce) e
una negativa (a crescita lenta). La struttura
del microtubulo è più rigida e resiste alla
trazione e alla deformazione.
Per l’assemblaggio di tubulina viene
utilizzato GTP e non ATP. Ci sono proteine
che stabilizzano o meno l’estremità – del
microtubulo: se destabilizza il tubulo di
allunga o si accorcia, se stabilizza il tubulo
non si modifica.
MOTORI MOLECOLARI Sono proteine trasportatrici di organelli intracellulari, che scorrono lungo i microtubuli.
Chinesina: è formata da due catene pesanti che formano i piedi della proteina e da due catene leggere che
servono per l’ancoraggio dell’organello da trasportare. Scorrono lungo i microtubuli in direzione
dall’estremità meno a quella più. Essa utilizza l’idrolisi di ATP per spostarsi; i due piedi infatti contengono siti
di legame per l’ATP. Quando la chinesina è staccata dal microtubulo, le due catene leggere sono legate a
ADP; nel momento in cui una delle due viene trasformata in ATP, uno dei due piedi si lega al microtubulo e
causa uno scatto in avanti dell’altro piede, ancora contenente ADP. Successivamente si ha l’idrolisi dell’ATP
del piede legato al microtubulo e la formazione di ATP nell’altro piede ancora staccato. Questo porta a un
ulteriore “passo”, e così via.
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Dineina: proteina trasportatrice molto simile alla chinesina sia per struttura che per funzionamento, con la
differenza tra trasporta gli organelli in direzione opposta, dall’estremità più a quella meno.
PROTEINE DI TRASPORTO: L’EMOGLOBINA La più abbondante proteina trasportatrice è l’albumina: si trova nel sangue e trasporta acidi grassi, bilirubina
e lega altre sostanze idrofobiche (tra cui farmaci).
I trasportatori più studiati sono quelli di ossigeno, e il più importante è l’emoglobina: è una delle pochissime
proteine colorate e visibili. È rossa perché l’emoglobina contiene, legato non covalentemente, una molecola
con tanti legami doppi e uno ione ferro, che costituiscono il gruppo eme: è una molecola contenente uno
ione ferro e una catena organica chiamata porfina, che contiene tanti doppi legami e forma 4 anelli. L’atomo
fi ferro è contenuto al centro dei quattro anelli; si tratta di un metallo di transizione, stabile in due forme:
ferro ferroso (+2) e ferro ferrico (+3). Esso può formare in tutto sei legame di coordinazione: 4 planari formati
con i quattro atomi di azoto e 2 assiali, che sono liberi di legare altro.
Perché esiste l’emoglobina?
Perché serviva un trasportatore in grado di portare l’ossigeno lontano dai polmoni, ed esso doveva essere
molto affine all’ossigeno. Il ferro è un metallo poco solubile: il gruppo eme e l’emoglobina sono strutture
“accessorie” che servono per permettere al ferro ferroso di stare nel circolo sanguigno ma senza ossidarsi a
ferro ferrico e mantenendo il
legame con l’ossigeno in forma
metastabile, ossia che può
facilmente legare e rilasciare
l’ossigeno. Legando il ferro a 4
atomi di azoto, è inchiodato in una
posizione fissa. Il gruppo eme ha a
sua volta due parti polari, che si
legano all’emoglobina e
permettono ai due di rimanere
attaccati.
Globine: sono una famiglia di proteine con strutture secondarie e terziarie simili; solitamente hanno funzione
di trasporto e di immagazzinamento di ossigeno.
Mioglobina: pima proteina studiata, ha funzione di trasporto di ossigeno nel
tessuto muscolare. È una proteina monomerica formata da 7 alfa eliche (A, B, C,
D, E, F, G, H) a partire dall’N terminale.
La mioglobina contiene un solo gruppo eme, ed è quindi in grado di legare solo
una molecola di O2. Esso si lega da una parte alla catena laterale di un’istidina
(His) della mioglobina e dall’altra si lega a O2. Se il gruppo eme fosse libero, il
ferro ferroso si legherebbe a due molecole di ossigeno ossidandosi a ferro
ferrico; l’istidina è in grado di creare un ingombro sterico e impedire l’ossidazione
del ferro (interagisce con l’ossigeno legato al ferro).
L’eme presenta una elevata affinità con il monossido di carbonio: questo crea
con l’atomo di ferro un legame crea un legame più solido in quanto è in linea retta, mentre l’ossigeno, per
via dell’ingombro sterico delle catene alfa e beta, crea un legame inclinato di un certo angolo rispetto al piano
dell’eme. La CO crea quindi un legame non più metastabile (in grado di scindersi), bloccando il trasporto di
ossigeno. Tuttavia, se l’eme si trova nella mioglobina, l’affinità verso CO è minore in quanto la His distalis
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(ossia quella che non si lega al ferro ma al ligando) non crea interazione stabile con CO, quindi la mioglobina
è molto meno affine al CO rispetto all’emoglobina.
L’atomo di ferro, sopra e sotto il piano dell’anello porfirico, è vicino a due residui di istidina: la His F8 (ossia
l’ottavo residuo di istidina dell’elica F) interagisce direttamente con il F, mentre la His E7 (il settimo residuo
di istidina dell’elica E) interagisce con Fe ma ogni nanosecondo si muove, permettendo l’ingresso di una sola
molecola di O2, che si va a porre tra il Fe e l’His E7.
La costante di dissociazione è Kd=[P][L]/[PL], da cui si ricava che [PL]= [P][L]/Kd.
Consideriamo la frazione dei siti di legame (theta), data dai siti di legame occupati/siti di legame totali, ossia
θ= [PL]/[PL]+[P]. Sostituendo si ottiene che:
Si può parlare passare a questo punto dalle
concentrazioni alla pressione parziale, in quanto la
concentrazione di una sostanza volatine in soluzione
è sempre proporzionale alla pressione parziale locale
del gas. Diventa: θ= [O2]/[O2]+P50. La pressione a
cui la mioglobina è legata al 50% è di 0,28 kPa; quindi
a pressione atmosferica la mioglobina è legata oltre
il 50%.
Ci sono molte somiglianze tra la mioglobina l’emoglobina; quest’ultima infatti è una proteina tetramerica
formata da due catene alfa e due beta, dove ognuna contiene un gruppo eme stabilizzato da un lato da una
HisF8.
L’emoglobina passa da uno stato a bassa affinità dove lega poco ossigeno, a uno stato ad alta affinità dove
lega tanto ossigeno. Se una sola subunità non lega ossigeno, facilmente influenza anche le altre subunità,
che rilasciano l’ossigeno a loro volta, e viceversa se una subunità lega ossigeno e le altre no.
Queste due conformazioni sono chiamate stato rilassato e stato teso: entrambi legano ossigeno, ma il primo
è ad alta affinità, mentre il secondo è a bassa affinità (quindi Kd HbT > Kd HbR). Lo stato teso è lo stato di
default, che assume quando non si trova in presenza di ossigeno.
Quando l’emoglobina non lega ossigeno, si trova nello stato T a bassa affinità, in cui il gruppo eme viene
stabilizzato da una serie di interazioni idrofobiche con le catene alfa e beta; il primo O2 riesce a legarsi al
primo atomo di ferro debolmente, in quanto si trova ancora nello stato T (è un legame attrattivo e tira il ferro
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verso di sé); il ferro viene tirato verso il centro del piattino (spostamento di 0,4 A) e tira verso di sé l’HisF8:
cambia quindi anche la forma della molecola, diventando stato R. essa diventa molto più affine al secondo
ligando ,e così via fino al quarto, che presenta il massimo livello di affinità. Nella mioglobina ciò non ha un
forte impatto sulla molecola, ma poiché nell’emoglobina le subunità sono unite tra loro, se una scatta nella
posizione rilassata allora anche le altre tre unità cambiano conformazione e diventano molto più affini
all’ossigeno si parla di cooperatività di legame.
Quantificazione della cooperatività:
Per una proteina con n siti di legame, l’equazione di equilibrio diventa: PN + nL PLn.
La costante di associazione diventa quindi: Ka= [PLn]/[P][L]n.
Si ricava θ= [L]n/[L]n+Kd. Risolvendo e applicando il logaritmo si ottiene:
Quest’ultima è l’equazione di Hill, su cui si può costruire il
grafico di Hill. La pendenza del grafico viene indicata con nH
(coefficiente di Hill) ed è una misura del grado di
cooperatività: se è pari a 1, non vi è cooperatività di legame
(come nel caso di una proteina multimerica in cui i siti di
legame non si influenzano tra loro). Se è maggiore di 1, vi è
cooperatività, e il massimo grado di cooperatività
corrisponderebbe a n=nH: questo tuttavia prevedrebbe la
contemporaneità di legame tra tutti i siti di legame, ed è
solo un modello teorico. Se invece nH è minore di uno,
indica una cooperatività negativa, ossia il ligando impedisce
il legame di altri.
Se ci fosse una sola subunità e siti di legame indipendenti,
essi si potrebbero trattare separatamente; se ci fossero
quattro siti di legame in una proteina totalmente dipendenti, la percentuale di proteine legate sarebbe [L]
elevato alla quarta (curva molto simile alla mioglobina, verticale al 100%). L’emoglobina invece ha una curva
compatibile con un coefficiente n di L che non è né con 1 né con 4 (non è quindi né il primo caso né il secondo).
Per questo si deduce che i siti interagiscano tra loro ma non in modo totalmente dipendente; il legame tra
ossigeno e uno dei gruppi eme aumenta la possibilità del legame dell’altra subunità, ma non è una
dipendenza totale. Questa comunicazione tra le subunità fa sì che l’emoglobina sia satura negli alveoli alla
pressione del sangue arterioso (pO2=13,3 kPa) e che rilasci circa la metà del suo ossigeno alla pressione di
ossigeno che si trova nei capillari (pO2=4 kPa).
L’emoglobina è quindi una proteina allosterica, cioè una proteina in cui il legame con un ligando può
modificare le proprietà di un altro nella stessa molecola. Poiché i modulatori allosterici dell’emoglobina sono
le molecole di ossigeno, ossia gli stessi ligandi, si parla di modulazione allosterica omotropica: è infatti il
ligando stesso che modifica la forma. Ci sono anche effetti eterotropici, cioè in cui sostanze diverse dal
ligando ne modificano la forma. I cambi conformazionali dell’emoglobina sono dovuti al fatto che in ogni
subunità si trova un gruppo eme, e che le subunità sono legate tra loro da interazioni più o meno forti,
rendendole quindi in grado di condizionarsi a vicenda.
L’’anidride carbonica spontaneamente in acqua si dissocia e si trasforma in bicarbonato (rende il sangue
acido: sotto il 7,2 provoca acidosi estrema). Nel sangue questo equilibrio è fondamentale, tanto che esiste
26
un enzima, l’anidrasi carbonica, che catalizza la reazione nelle due direzioni per rendere più veloce la reazione
a livello dei polmoni (non ci sono 10 minuti per rilasciare CO2 nei polmoni, ma secondi).
Effetto del pH e trasporto di CO2
In parte è disciolta (una piccola parte), mentre la maggior parte è trasformata in acido carbonico (quindi
bicarbonato HCO3-). Una parte di questa è legata all’emoglobina stessa: la CO2 può reagire con gli
amminoterminali liberi formando dei gruppi carboamminici, instabili che avvengono all’equilibrio.
L’affinità dell’emoglobina per H+ e CO2 e per l’ossigeno sono inversamente proporzionali. Nei capillari, la
concentrazione di CO2 è elevata e quindi il pH sarà più basico (per liberazione di H+); questo cambia l’affinità
dell’emoglobina per l’ossigeno, e lo libera nel sangue. A questo punto l’emoglobina diventa molto affine per
la CO2 e per gli ioni H+, che si legano ad essa e vengono trasportati fino agli alveoli polmonari. Qui, la quantità
di ossigeno e la ridotta concentrazione di H+ (pH alto) fanno sì che l’emoglobina diventi poco affine a CO2 e
H+, che quindi vengono rilasciati nel sangue e viene lasciato spazio di legame all’O2.
I siti di legame degli ioni H+ sono le catene laterali di residui amminoacidici della proteina, mentre quelli della
CO2 corrispondono alle estremità amminoterminale delle 4
catene polipeptidiche, formando un
carbamminoemoglobina. Questo legame libera a sua volta
ioni H+, che vanno a diminuire ulteriormente il pH
circostante, influenzando a loro volta il legame con la CO2
delle altre subunità proteiche.
Quando variamo la quantità di CO2 nella soluzione, variamo anche la curva di dissociazione dell’emoglobina,
che si sposta verso sinistra. Aumentando la quantità di CO2 e diminuendo quindi il pH, l’emoglobina si troverà
maggiormente nella forma tesa e rilascerà ossigeno questo è utile per lo scambio di gas nei tessuti:
Effetto Bohr: effetto del pH e della concentrazione di CO2 sul legame e sul rilascio di ossigeno
dall’emoglobina.
Effetto della temperatura
Più è bassa, più l’emoglobina tende a trattenere ossigeno.
Effetto di 2,3-bisfosfoglicerato
Il 2,3-bisfosfoglicerato può agire come un modulatore allosterico eterotropico; è una molecola piccola ed
acida (molto negativa per la presenza di due acidi fosforici e uno carbossilico). Essa si mette nel buco tra le 4
subunità dell’emoglobina (la cavità centrale è circondata da due istidine e due amminogruppi tutti pos itivi);
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qui stabilizza la forma tesa, deossigenata (nella forma rilassata il buco non c’è). Più c’è difosfoglicerato, più
l’emoglobina tende a rilasciare ossigeno.
Il 2,3BPG è prodotto in condizioni di leggera ipossia: in alta
montagna c’è meno ossigeno, e gli sforzi sono molto faticosi; dopo
qualche decina di minuti, il disagio passa, perché l’aumento di BPG
induce l’emoglobina a rilasciare più facilmente ossigeno,
bilanciando il disagio.
L’emoglobina è formata, oltre che da subunità alfa e beta,
anche da catene gamma e delta: sono minoritarie
nell’adulto. La delta è praticamente inutilizzata ed è
prodotta da un gene nell’adulto, mentre la gamma è molto
importante nel feto. Anch’essa trasporta ossigeno: lega
molto poco il bisfosfoglicerato e quindi rende l’emoglobina
fetale più affine all’ossigeno, cosa molto utile dato che il
feto non può prendere ossigeno dall’esterno). Dopo la
nascita, la catena gamma viene sostituita dalla beta. Nei
primi giorni di gestazione c’è una catena ancora più affine
della gamma, la catena epsilon: nel feto è più utile che
l’emoglobina abbia una curva di dissociazione più alta (Hb
più affine).
EMOGLOBINE PATOLOGICHE UMANE
Modificazioni quantitative: vengono prodotte meno catene beta o meno catene alfa; sono esempi
le talassemie alfa o beta: sono malattie recessive, perché se entrambi i geni funzionano male la
malattia sarà più grave rispetto a solo un gene malato.
Modificazioni qualitative: vengono modificate le catene in modo che siano meno funzionali.
1. Meteglobinemia: malattia in cui l’emoglobina lega non più ferro ferroso ma ferro ferrico
(Fe+++). In un organismo normale ci sono delle sostanze che trasmettono elettroni al ferro e
mantengo il numero di metemoglobine basso, circa allo 0,5%. Le anomalie possono essere
dovute alla mancanza congenita di metemoglobina reduttasi o alla sostituzione di un
amminoacido.
2. Anemia falciforme: i globuli rossi assumono conformazioni anomale (non per forza solo a
falce), si mantengono comunque anche globuli rossi normali e funzionanti; i soggetti anemici
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hanno meno globuli rossi, emoglobina particolarmente
uguale e più reticolociti (precursori di globuli rossi). La
causa è genetica: mutazione di un singolo amminoacido
sulla superficie dell’emoglobina, in un sito che è lontano
dal gruppo eme e dal ferro. La deformazione di tutto il
globulo rosso è dovuto al fatto che una glucina viene
sostituita da una valina, che è idrofobica e non più
polare; questa valina tende a promuovere l’unione di
più emoglobine, soprattutto quando è allo stato teso. Si
creano quindi delle catene in presenza di poco ossigeno
(polimerizza a formare delle “spine”). I capillari sono
grossi tanto quando un globulo rosso: esso, quando
passa nel letto vascolare, modifica il suo citoscheletro
per poter passare. Se l’emoglobina al suo interno è
normale, si schiaccia e riesce a passare; se al uso interno ci sono delle spine, il globulo rosso
nei capillari si rompe oppure si incastra, dando vita a microtrombi, soprattutto quando il
paziente è sotto sforzo cioè in assenza di ossigeno.
L’eterozigote avrà un gene che codifica per l’emoglobina S mutata e uno che codifica per emoglobina A
normale; in ogni caso, il suo ematocrito sarà più basso del normale. Se il paziente è omozigote recessivo i
danni possono essere gravi.
L’anemia falciforme non è del tutto una malattia svantaggiosa; la malaria è un parassita portato dalle zanzare,
che si posiziona all’interno del globulo rosso e si nutre di emoglobina. È una malattia mortale perché gli
anticorpi si trovano nel plasma, quindi il parassita si moltiplica all’interno dei globuli rossi. Se il malato di
malaria è anemico, il macrofago già riconosce il globulo rosso deformato, se al suo interno c’è il parassita,
esso viene riconosciuto ancora più facilmente, quindi il macrofago elimina anche il parassita. L’anemico non
è immune alla malaria, ma è molto più resistente. Si è notato che esiste una vasta area di sovrapposizione di
malaria e anemia, in quanto quest’ultima si è dimostrata vantaggiosa per la sopravvivenza.
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ENZIMI
TERMOCHIMICA
La termochimica è quella branca della termodinamica
che studia gli effetti termici determinati da reazioni
chimiche, chiamati calore di reazione. La
termochimica concerne pertanto gli scambi di calore
che avvengono in luogo di una reazione e ne studia le
variabili ad essi connesse, come l'entalpia di legame,
l'entropia standard di formazione, ecc.
Due leggi regolano l'intera disciplina:
Legge di Lavoisier e Laplace: il trasferimento
di calore che accompagna una data reazione
chimica è uguale e contrario al trasferimento
di calore della reazione opposta.
Legge di Hess: la variazione di entalpia di reazione è uguale che la reazione avvenga in uno o più stadi
successivi ed indipendenti (anche puramente ipotetici).
Reazioni esotermiche: sono reazioni chimiche che producono calore; durante la formazione dei prodotti si
assiste a un trasferimento di calore dal sistema all’ambiente, che aumenta la temperatura di entrambi. Si
creano composti con legami chimici più forti e più stabili. Sono reazioni spontanee.
Reazioni endotermiche: sono reazioni chimiche che richiedono calore. Necessitano di calore affinché la
reazione si completi e si assiste a un trasferimento di calore dall’ambiente al sistema. La temperatura finale
a fine reazione sarà diminuita. Si creano composti piuttosto instabili con legami deboli. Non sono spontanee
in quanto assorbono calore.
Non sempre è così.
Funzione di stato: è una proprietà intrinseca del sistema sono volume, temperatura, pressione, energia
interna, entalpia, entropia, energia libera di Gibbs.
Le tre funzioni di stato principali sono 3: entropia, entalpia e energia libera.
Entalpia: è variazione di energia interna, che in laboratorio a pressione costante risulta essere ΔH=Q,
dove ΔH è la variazione di entalpia da fine a inizio reazione e Q è la quantità di calore scambiata. Per
convenzione, quando il calore viene ceduto dal sistema all'ambiente, la variazione di entalpia ha
segno negativo; viceversa, se il calore viene trasferito dall'ambiente al sistema, la variazione di
entalpia ha segno positivo.
La variazione di entalpia di un sistema (ΔH0) è data dalla differenza tra l’entalpia dei prodotti e quella dei
reagenti.
Pertanto ogni reazione esotermica è caratterizzata da ΔH<0 e ogni reazione endotermica è caratterizzata da
ΔH>0.
Entropia: indica il grado di disordine di un sistema. La variazione di entropia di un sistema (ΔS0) è
data dalla differenza tra l’entropia dei prodotti e dei reagenti.
Energia libera di Gibbs: esprime la dipendenza dell’energia libera dalla temperatura del sistema. La
sua variazione indica se una reazione chimica è spontanea a condizioni di temperatura e pressione
costanti oppure se è all’equilibrio.
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La spontaneità di una reazione, individuata dall’energia libera di Gibbs, dipende da due fattori: contenuto
energetico ed entropia ΔG= ΔH-TΔS, cioè la somma di contenuto energetico ed entropia.
Le reazioni spontanee hanno ΔG<0, mentre quelle all’equilibrio hanno ΔG=0, cioè reagenti e prodotti sono in
equilibrio.
Quattro combinazioni possibili:
ΔH negativo e ΔS positivo: reazione spontanea a tutte le temperature (es. combustione, sia a freddo
che a caldo).
ΔH positivo e ΔS negativo: reazione non spontanea a tutte le temperature (es. prendere la CO2
dall’aria e ritrasformarla in albero, serve energia perché bisogna ridurre il contenuto entropico e
fornire energia).
(ΔH negativo e ΔS negativo: reazione spontanea a basse temperature e non spontanea ad alte
temperature)
(ΔH positivo e ΔS positivo: reazione non spontanea a basse temperature e spontanea ad alte
temperature)
Relazione tra energia libera di Gibbs e costante di equilibrio:
La legge di Gibbs, non considera la cinetica con la quale le trasformazioni avvengono (il ΔG è indipendente
dalla cinetica della trasformazione). Non è detto che una trasformazione chimica avvenga
“spontaneamente”, anche se termodinamicamente favorita (ossia quando ΔG<0) presenza di enzimi.
CINETICA CHIMICA Reazione chimica: trasformare i reagenti in prodotti, rompendo i legami che formano i reagenti.
La velocità di reazione non dipende dalla differenza di energia di Gibbs, ma dal numero di molecole che hanno
energia sufficiente a rompere i vecchi legami e formarne di nuovi.
La velocità di una qualsiasi reazione chimica, enzimatica e non, può essere studiata determinando la
quantità/concentrazione di prodotto formato nel tempo o la quantità di substrato consumato.
Nella cinetica di primo ordine, ovvero quando la velocità dipende solo da una variabile, essa è proporzionale
alla concentrazione del substrato.
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Il substrato per poter essere trasformato in prodotto deve
passare attraverso uno stato intermedio (lo stato di
transizione) per raggiungere il quale occorre introdurre
energia.
La costante di velocità k è un numero che fornisce
informazioni sulla relativa facilità o difficoltà dello
svoglersi di una reazione: k= e–(ΔG/RT); nella cinetica, con
ΔG si prende in considerazionenon la differenza di G tra
prodotti e reagenti, la la differentra tra lo strato iniziale e
lo stato di transizione, a metà tra prodotto e reagenti
(ossia al momento del complesso attivato).
La k è inversamente proporzionale all’energia di attivazione, ossia all’energia che deve essere fornita affinchè
la reazione possa avvenire. Più questa è alta, meno rapidamente avverrà la reazione e quindi la K sarà più
bassa, e viceversa.
PRINCIPI GENERALI DI ENZIMOLOGIA Per abbassare l’energia di attivazione e quindi alzare la k, si può aumentare la temperatura, variare la
pressione, usare solventi, …. Negli organismi viventi questi metodi non sono possibili, e si è scoperta la
presenza di enzimi, ossia catalizzatori biologici.
Il primo che osservò che negli organismi avvenivano delle catalizzazioni fu Pasteur: scoprì che il lievito
fermentava lo zucchero trasformandolo in etanolo. In 90% degli enzimi sono composti da proteine (un
esempio è il ribosoma, anche se collabora con delle proteine).
I Fattori che influenzano una reazione non catalizzata:
Quantità di reagente si può misurare la velocità dalla diminuzione della quantità di reagenti oppure
dall’aumento della quantità di prodotti.
Quantità di molecole che a una data temperatura hanno abbastanza energia da compiere la reazione.
FUNZIONAMENTO DEI CATALIZZATORI
Poiché per velocizzare una reazione in un organismo non è possibile aumentare o diminuire la concentrazione
dei reagenti o la pressione, i catalizzatori offrono una via alternativa a bassa energia di attivazione alla
reazione.
Gli enzimi sono catalizzatori biologici che non partecipano direttamente alle reazioni chimiche, ma le rendono
più veloci (agiscono sia su reazioni non spontanee che spontanee, ma che non avverrebbero velocemente)
La reazione catalizzata da un enzima può essere semplificata così: E + S <====>ES <====>EP <====> E + P
Sono solitamente proteine più o meno globulari che legano il substrato in un sito catalitico: qui avviene la
reazione e successivamente vengono rilasciati i prodotti. Gli enzimi sono specifici: catalizzano una specifica
trasformazione chimica rispetto a tutte le altre. Il substrato infatti deve entrare nel sito catalitico e deve
essere riconosciuto.
(L’acqua ossigenata, se in contatto con il sangue, crea delle bollicine, perché fa una reazione velocissima con
la catalasi, un enzima presente nel sangue che riduce la quantità di perossido di idrogeno che viene prodotta
dal nostro metabolismo. La reazione si esaurisce nel giro di qualche minuto; è così veloce perchè deve
impedire che l’acqua ossigenata provochi danni ad altri tessuti.)
Energia di legame: energia che si libera nella formazione del complesso ES, ed è la fonte principale di energia
libera usata dall’enzima per abbassare l’energia di attivazione.
Il substrato viene riconosciuto da interazioni ioniche e ad idrogeno.
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Solo il fatto che i due substrati vengono tenuti insieme all’interno del sito attivo velocizza la reazione di per
sé. Molti enzimi non sono rigidi, ma si deformano quando entrano in contatto con il substrato, e al tempo
stesso modificano anche la forma stessa del substrato, cioè modificano gli angoli di legame.
Molti enzimi, oltre alla parte proteica hanno anche una parte non proteica: può essere costituita da metalli
(cationi), utili perché fanno da donatori o accettori di elettroni e sono molto cariche, oppure può essere
costituita da molecole organiche complesse, che prendono il nome di coenzimi: senza il coenzima la reazione
non può avvenire.
I coenzimi ci vengono forniti dalla dieta, non sono codificati da enzimi e quindi non possono essere soggetti
a mutazioni. Poiché sono indispensabili, dato che non vengono sintetizzati dall’organismo, si chiamano
vitamine e si dividono in:
Liposolubili: A D E K.
Idrosolubili: complesso B (originariamente si pensava che fossero una stessa vitamina con diverse
funzioni).
CLASSIFICAZIONE DEGLI ENZIMI
Nel nostro organismo esistono meno di 20.000 enzimi. Sono classificati con un sistema di 4 numeri:
Primo numero indica la classe di enzimi:
1. Ossidoriduttasi: reazioni di ossidoriduzioni (6 sottoclassi). Es: succinato deidrogenasi,
glucosio ossidasi.
2. Transferasi: trasferimento di gruppi funzionali (8 sottoclassi). Es: amminotransferasi,
esochinasi.
3. Idrolasi: reazioni di idrolisi (6 sottoclassi). Es: ureasi, peptidasi, tripsina.
4. Liasi: addizione a doppi legami (rottura di un doppio legame con addizione di altri gruppi
funzionali) (3 sottoclassi). Es: fumarasi.
5. Isomerasi: reazioni di isomerizzazione (isomeri di struttura, isomeri cis e trans,
stereoisomeri). Es: racemasi, fosfoglucomutasi.
6. Ligasi: formazione di legami con rottura di ATP. Es: piruvato carbossilasi, DNA ligasi (di tipo
6.1).
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SITO
CATALITICO
È il sito dove avviene la reazione, ed è una piccola parte dell’enzima stesso. È un’entità tridimensionale, dove
il substrato si lega con interazioni deboli, escludendo l’acqua: essa può essere presente nel sito catalitico ma
solo in siti specifici dove forma legami idrogeno, oppure è completamente esclusa. Infatti, esse potrebbero
interagire non con l’enzima ma con il ligando: riesce a riconoscere specificamente il substrato escludendo
l’acqua.
Modelli di interazione tra enzima e substrato:
Modello chiave-serratura: gli enzimi hanno un sito attivo che funziona come una serratura, in cui può
entrare un solo un substrato specifico. Es: glucochinasi, di-idrofolato reduttasi.
Modello dell’adattamento indotto: gli enzimi non presentano propriamente un sito attivo in assenza
di substrato: esso si forma a contatto con il ligando, adattandosi ad esso. Es: esochinasi (esistono
diverse isoforme).
In realtà l’enzima è una via di mezzo tra questi due modelli: gli enzimi sono più o meno plastici perché creano
interazioni specifiche, ma devono deformarsi per permettere al substrato di entrare e uscire.
Esistono enzimi più specifici ed enzimi meno specifici, anche all’interno della stessa classe di enzimi. L’enzima
è in una forma non attiva se non c’è il ligando: questo permette agli enzimi che necessitano di consumare
ATP di compiere la reazione solo nel caso in cui sia legato con il ligando, per evitare sprechi energetici.
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Effetto della temperatura sulla velocità:
La velocità della reazione aumenta all’aumentare della
temperatura: per temperature basse vale la regola che più
si alza la temperatura più aumenta la velocità; a
temperature troppo alte, gli enzimi possono denaturarsi,
quindi la loro attività decresce molto velocemente.
Effetto del pH sulla velocità:
La velocità di un enzima dipende dal pH: per far agire un
enzima bisogna metterlo
in una soluzione tampone adeguata alla sua attività. Ad esempio, la
pepsina agisce a pH 1-2: se dovesse funzionare anche a pH meno acido
nuocerebbe gli altri tessuti.
Effetto delle concentrazioni di elementi sulla velocità:
Mantenendo invariata la quantità di substrati e non togliendo i nuovi
prodotti (e mantenendo immutata la quantità di enzima), la reazione
rallenta sempre di più fino a fermarsi nel momento in cui tutti i reagenti
vengono trasformati in prodotti.
Quando ci si trova in eccesso di substrato, aggiungendo enzimi la
reazione aumenta in modo lineare senza arrivare a decrescere fino a
fermarsi: il prodotto aumenta in modo lineare.
Se invece ci si trova non in eccesso di substrato, a influenzare la
velocità iniziale sono sia la quantità di enzimi presenti; pertanto, nelle
cellule la velocità di una qualsiasi via metabolica o di segnalazione
dipende anche, ma non solo, dall’espressione degli enzimi
responsabili: maggiore espressione rende possibile una maggiore
velocità.
In assenza di substrato la reazione si blocca, o rallenta molto. Essa
condiziona la reazione in modo non lineare, come per la quantità di enzimi. Aumentando la concentrazione
di substrato la velocità aumenta fino a che non raggiunge la saturazione: l’enzima è un’entità fisica, se tutti
sono “occupati” non aumenta più la velocità di produzione, perché ha già raggiunto la velocità massima. Se
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due famaci hanno la stessa via di metabolizzazione, si potrebbe raggiungere la velocità massima di
metabolizzazione, e quindi si accumulano entrambi molto più velocemente.
Ricapitolando, la velocità di una reazione metabolica dipende da molti fattori:
Temperatura (costante nell’organismo).
Acidità (costante nell’organismo).
Quantità di enzima regolata dalla velocità di traduzione e trascrizione dei geni che codificano per
quella proteina.
Accumulo di prodotti.
Concentrazione di substrato.
Fasi di una reazione:
1. Stato pre-stazionario: [S] è massimo, [E] è massimo, [ES] e [P] sono minimi. [ES] inizia a
crescere progressivamente, fino a diventare costante pe un certo periodo. È una fase molto
breve.
2. Stato stazionario: [ES] rimane costante nel tempo, quindi la velocità di formazione di [ES] è
pari a quella di scomparsa. Questa non è una fase di equilibrio in cui non vi sono reazioni, ma
procedono con velocità costante.
3. Equilibrio: la reazione si è fermata perché non ci sono più substrati o ce ne sono pochi.
Saturazione: l’enzima si dice saturo quando tutti i suoi siti attivi sono occupati da substrato, dunque quanto
ha raggiunto la velocità massima di reazione, Vmax.
IPOTESI DI HENRI E DI MICHAELIS E MENTEN
Decisero di trattare solo la velocità iniziale (trascurando quindi la quantità di prodotto) e di dimenticare anche
la reazione inversa.
Bisogna assumere che [S] sia molto maggiore di [E] e che [P]=0, ossia si considera la velocità iniziale della
reazione. Inoltre, se k2 è molto maggiore di k-1 le concentrazioni di E, S e ES sono all’equilibrio.
In ogni preparato di enzima, la velocità osservata dipende dalla velocità massima che quell’enzima può
sviluppare e dall’affinità che l’enzima ha per il suo substrato:
V=Vmax[S]/Km+[S] equazione di Michaelis-Menten
La Km è una costante che si misura in moli x L-1 e rappresenta l’affinità di E per S. Corrisponde alla
concentrazione di substrato a cui la velocità dell’enzima è pari a metà della velocità massima; questo significa
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che più la Km è piccola, più l’enzima è affine al substrato perché occorre una minor quantità di substrato per
riempire la metà dei siti attivi dell’enzima.
In condizioni fisiologiche, gli enzimi lavorano con concentrazione di substrato prossime alla Km: questo perché
se lavorasse alla Km rischierebbe che una parte rimanga in accumulo, mentre se la concentrazione fosse
troppo bassa rispetto alla Km la reazione sarebbe troppo lenta. Per ottimizzare la reazione, gli enzimi
lavorano quando la concentrazione è vicina alla Km.
Conoscendo tale valore di Km, si può impostare correttamente il dosaggio enzimatico.
Numero di turnover (kcat): numero di molecole di substrato che vengono convertite in prodotto nell’unità di
tempo. È l’indice della quantità di molecole che l’enzima produce nell’unità di tempo.
Kcat=Vmax/[E]tot
La catalasi ha un turnover molto alto, ma inizia a lavorare a una concentrazione di [S] abbastanza alta:
solitamente le Km sono sempre tra concentrazioni millimolare e micromolare, mentre quella della catalasi ha
valore di 25 mM.
Costante di specificità: misura l’efficienza di un enzima ed è data dal rapporto Kcat/Km. si misura in 1/mol x
sec.
La Km di un enzima è relativa ad uno specifico substrato; se uno stesso enzima ha più substrati, avrà Km diverse
per ognuno di essi: ad esempio l’esochinasi
del cervello hanno come substrato il
glucosio e il fruttosio; con il glucosio ha Km
di 0.05 mol/L mentre con il fruttosio ha Km
di 1.5 mol/L. Questo significa che il glucosio
viene più facilmente utilizzato rispetto al
fruttosio, perchè serve una concentrazione
più bassa per poter essere utilizzato. Il
cervello ha sempre una quantità di glucosio
sufficiente a saturare tutte le esochinasi.
Le glucochinasi si trovano nel fegato e
hanno una Km molto più alta: questo
significa che a condizioni standard non sono affini al glucosio il controllo è mediato non dalla
concentrazione di glucosio ma dall’ormone insulina.
Isoenzimi: enzimi uguali ma prodotti da parti diverse dell’organismo.
Ad esempio la lattato deidrogenasi (LDH) è prodotta in due forme diverse nel cuore e nel fegato; in base alla
concentrazione in circolo di una delle due isoforme si possono individuare patologie come l’infarto del
miocardio (LDH del cuore molto alte) oppure epatite acuta (LDH del fegato molto alte).
Alcol deidrogenasi: sono presenti due isoforme, una nei mitocondri con bassa Km ad alta affinità, e una
citosolica con alta Km a bassa affinità. Per far lavorare la prima occorre una concentrazione di alcol etilico
molto più bassa della seconda. In alcune popolazioni asiatiche sono presenti solo le isoforme citosoliche,
quindi si intossicano più facilmente perché prima di venir degradato l’alcol ne servono quantità alte alcuni
parametri variano a seconda del ceppo etnico.
Grafico dei doppi reciproci o di Lineweaver-Burk: il reciproco della concentrazione del substrato (1/[S]) è
direttamente proporzionale al reciproco della velocità (1/v0).
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Si ottiene quindi che la relazione che lega i reciproci di velocità e [S]
è una retta, che è molto più facilmente misurabile rispetto
all’iperbole precedente. L’intersezione della retta con l’asse x
indica il valore di -1/Km.
Per misurare la quantità di enzima, quanto substrato devo
mettere? Se metto una quantità di substrato pari alla Km, non tutti
gli enzimi vengono saturati, quindi metto una quantità di substrato
molto più alta, in modo che l’enzima venga saturato e sia
misurabile.
Misurazione della glicemia: basta trovare i due enzimi che lo
trasformano in un metabolita colorato e quindi osservabile. Si
utilizzano:
Glucosio ossidasi: ossida il glucosio ad acido gluconico, che è
trasparente ma produce acqua ossigenata: questa viene utilizzata dalla perossidasi.
Perossidasi: utilizza acqua ossigenata per ossidare substrati incolori producendo dei prodotti
cromofori rossi.
Con lo stesso modo si calcola la colesterolemia: prima la
colesterolo ossidasi produce colesterone e acqua
ossigenata, che viene utilizzata dalla perossidasi per
produrre composti colorati. La colorazione viene poi
misurata.
REAZIONI A DUE SUBSTRATI
Alcuni enzimi catalizzano reazioni che necessitano di due o più substrati e che producono due o più prodotti.
Questo tipo di reazioni possono procedere in due modi diversi:
Reazione enzimatica con formazione di un complesso ternario: i due composti si legano all’enzima
fino a formare un composto ternario, dopo che questo si è formato vengono liberati i due prodotti e
l’enzima stesso. Possono essere con un ordine causale o ordinati.
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Reazione enzimatica senza formazione di un complesso ternario: è il meccanismo a ping-pong o a
doppio spostamento, in cui un substrato entra nell’enzima e solo dopo che è stato liberato il prodotto
può entrare il secondo substrato e venire liberato così il secondo prodotto.
Grafico dei doppi reciproci in cui sull’asse x viene riportata la concentrazione del substrato 1, mentre il
substrato 2 rimane costante. Le varie linee indicano il variare del comportamento della reazione
considerando diverse concentrazioni del substrato 2. Il centro del fascio di rette nel primo grafico indica il
punto di formazione del complesso ternario, mentre il punto di intersezione della retta ocn l’asse y indica
l’inverso della Vmax. Nel secondo grafico invece le rette sono parallele perché non si ha la formazione del
complesso ternario.
INIBIZIONE ENZIMATICA Il 99% dei farmaci va ad inibire enzimi, solo l’1% li attiva: è più facile regolare il metabolismo spegnendolo
piuttosto che attivandolo.
INIBITORI IRREVERSIBILI:
Sarin, gas nervino: è chimicamente simile all’acetilcolina, che trasmette al muscolo il segnale
nervoso. Reagisce con l’acetilcolinesterasi, che dovrebbe distruggere l’acetilcolina; è un inibitore
irreversibile perché si lega all’enzima, che non può più legarsi all’acetilcolina e i muscoli non possono
più distendersi.
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Aspirina (acido acetilsalicilico): è estratto dalla corteccia di salice. Si lega alla ciclossigenasi, e le
trasferisce un gruppo chetonico antinfiammatorio non steroideo.
La ciclossigenasi serve per l’attivazione di trombossani e prostaglandine: queste sono molecole che
provocano mal di testa, hanno un ruolo nell’infiammazione e favoriscono l’aggregazione di proteine ad
alte dosi diminuisce la possibilità di formare trombi (cardioaspirina).
È un inibitore irreversibile: su 10.000 molecole, circa 100 vengono inibite da 100 molecole di aspirine. Il mal
di testa torna dopo poco tempo: dipende dal tempo che l’organismo impiega per riformare gli enzimi che
sono stati inattivati.
Nel caso di intossicazione da aspirina,
bisogna aspettare fino a che
l’organismo non ha riformato la
ciclossigenasi.
Penicillina: è un inibitore irreversibile di un enzima che viene prodotto dai batteri per creare la parete
cellulare; non fa niente all’organismo umano.
INIBITORI REVERSIBILI:
Si legano all’enzima formando complessi meno stabili con il substrato, non più complessi stabili covalenti.
Si possono distinguere in:
COMPETITIVI:
Legano l’enzima nel sito attivo al posto del substrato.
Ibuprofene e naprozene: hanno anelli idrofobici. Sono molecole che sono simili al substrato ed entrano nel
sito attivo, ma non reagiscono (i fenoli sono molto poco reattivi): questo fa sì che altri substrati non possano
entrare più.
C’è competizione tra il vero substrato e l’inibitore:
quello presente in maggiore concentrazione lega di più
l’enzima rispetto all’altro.
Esistono degli inibitori di proteasi: occupano il sito
attivo ma sono più grossi dei normali substrati quindi
non vengono digeriti.
Alcuni inibitori competitivi competono non con il
substrato ma con un coenzima.
Un inibitore competitivo fa diminuire l’affinità
dell’enzima per il suo substrato aumentando la Km, ma la Vmax rimane uguale. In presenza dell’inibitore
competitivo, quindi, l’enzima lega meno substrato.
NON COMPETITIVI:
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L’enzima deve avere un secondo sito dove legare una seconda molecola, che ha funzione regolatoria e
influenza l’attività anche del sito attivo.
Il substrato può legarsi o non legarsi, ma in ogni caso non
avviene la catalisi perché l’inibitore nel secondo sito la
impedisce: provoca una diminuzione la velocità
massima, perché una parte dell’enzima è impegnata a
legare l’inibitore, sia in presenza che in assenza di
substrato.
Quello che cambia nella cinetica delle due reazioni è
quindi la Vmax, mentre la Km rimane invariata.
Nel caso di intossicazione, si può in qualche modo
staccare l’inibitore o con dialisi o con anticorpi specifici.
La durata dell’azione non dipende dall’emivita del bersaglio, ma da quanto tempo l’inibitore è in circolo
nell’organismo e quanto tempo l’organismo ci mette a espellerlo.
ATTIVAZIONE ENZIMATICA
In condizioni normali, i metaboliti sono metastabili: non reagiscono spontaneamente con velocità
apprezzabili; per ogni reazione vengono sintetizzati enzimi specifici, in modo da poter controllare a piacere
la velocità delle reazioni.
Come l’organismo controlla la velocità degli enzimi e quindi delle reazioni? La velocità dipende da 3 cose:
1. Concentrazione di substrato
2. Concentrazione di enzima
3. Presenza o assenza di inibitori o attivatori che modifichino i parametri cinetici dell’enzima stesso: gli
enzimi sono catalizzatori controllati da segnali specifici.
Alcuni enzimi hanno un grafico della velocità con andamento sinusoidale e non a parabola: questo perché
sono controllati positivamente dalla quantità di substrato; sono infatti in grado di passare a uno stato più
attivo quando la concentrazione di substrato è alta, ossia da una forma poco catalitica a molto catalitica. Si
parla di omoallosteria: l’enzima è controllato dal suo stesso substrato.
Per gli enzimi allosterici, la relazione tra V0 e [S] non segue la cinetica di Michaelis-Menten; infatti, le curve
di saturazione prevedono un andamento diverso da quello iperbolico (tipico di enzimi non allosterici), e
possono avere andamento sigmoidale: dalla curva sigmoide si può individuare il livello di [S] corrispondente
a una velocità che è la metà della Vmax, ma non si può parlare di Km in quanto non rientra nella cinetica di
Michaelis-Menten (si indica con K0,5). La curva sigmoide riflette la presenza di interazioni cooperative tra le
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subunità della proteina, e questa cinetica (ancora in parte non compresa) può essere spiegata sulla base di
due modelli:
Modello concentrato: le subunità di una proteina sono identiche e non possono essere presenti in
due conformazioni diverse; se entrambe si trovano nella forma tesa (poco affine) e una di esse si lega
al ligando, automaticamente si trasforma nella forma rilassata (più affine) anche la seconda subunità.
La transizione tra le subunità è quindi contemporanea.
Modello sequenziale: il legame con il ligando induce una variazione in una sola delle subunità, che a
sua volta induce un cambio conformazionale simile anche alle subunità, rendendo più probabile il
suo legame con un secondo ligando.
Nella regolazione omoallosterica, la curva di saturazione è un ibrido tra quella della forma T a bassa affinità
e quella della forma R ad alta affinità.
Esistono enzimi che possono rispondere in
maniera positiva o negativa a composti diversi
dal substrato: si parla in questo caso di
eteroallosteria. I regolatori allosterici sono
molecole che si vanno a posizionare in siti
diversi da quelli del substrato e possono
accendere o spegnere l’enzima.
I regolatori allosterici positivi vanno ad attivare
l’enzima stesso abbassando la K0,5 e
rendendolo più affine, ma mantenendo
invariata la Vmax. A parità di substrato quindi
la velocità della reazione aumenta. Quando il
regolatore allosterico positivo è legato al sito attivo l’enzima è attivo, mentre quando lo rilascia esso si
inattiva.
I regolatori allosterici negativi invece vanno ad inibire l’enzima stesso alzando la K0,5 e rendendolo meno
affine al substrato, mantenendo sempre la Vmax invariata. A parità di substrato, quindi, la velocità di reazione
diminuisce. Quando il regolatore allosterico negativo è legato al sito attivo l’enzima è inattivo, mentre
quando lo rilascia esso si attiva.
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Enzima fosfofruttochinasi-1 (PFK-1): responsabile di un passaggio della glicolisi. Ha due substrati, il fruttosio
6P e l’ATP.
Lo schema dell’ATP è dovuto al fatto che c’è un secondo sito regolatorio dell’ATP che inibisce l’attività
dell’enzima e quindi il consumo di ATP: questo perché a concentrazioni alte di ATP non serve l’attivazione
delle glicolisi, quindi la curva decresce improvvisamente.
L’enzima non dipende soltanto dalle concentrazioni di glucosio e ATP, ma dipende da secondi messaggeri.
Essi non sono necessariamente ormoni, ma possono essere metaboliti qualunque.
Esistono due vie metaboliche diverse ma comunicanti: quella di ATP e GTP (puriniche) e di CTP e UTP
(pirimidiniche). Il CTP funge da inibitore per la sua via metabolica (feedback negativo), mentre funge da
attivatore per la via metabolica opposta.
REGOLAZIONE PER MODIFICAZIONE COVALENTE
È una modalità di regolazione molto comune nelle proteine, in cui viene modificata covalentemente la
sequenza della proteina. Un esempio è la fosforilazione, l’adenilazione, purinazione, metilazione, … Queste
modificazioni covalenti cambiano la forma dell’enzima e ne cambiano i parametri catalitici, quindi Vmax e
Km. Esistono modificazioni che attivano o che spengono l’enzima.
Fosforilazione: modificazione covalente in cui gli enzimi vengono fosforilati su una serina o una treonina per
opera di una Ser/Thr-chinasi oppure su una tirosina per opera di una Tyr-chinasi. I bersagli sono proprio
questi amminoacidi perchè presentano un gruppo ossidrilico esterno a cui può facilmente essere attaccato
un gruppo fosfato, con consumo di una molecola di ATP. Per alcuni enzimi, la loro fosforilazione corrisponde
a una attivazione e viceversa, mentre per altri corrisponde al contrario.
Gli enzimi chinasi, che mediano la reazione di fosforilazione, sono importanti siti nella regolazione e nella
segnalazione ormonale. Esse possono fosforilare anche più siti di una stessa proteina.
Alcuni enzimi vengono modificati in modo irreversibile covalente tramite rimozione proteolitica di un
amminoacido da una estremità amminica della proteina; di solito si tratta del meccanismo di attivazione degli
zimogeni (precursori inattivi). La chimotripsina viene prodotta nel pancreas; una volta arrivata nel fegato,
viene digerita parzialmente da quella già presente nello stomaco in siti particolari, che fanno sì che venga
attivata. Si tratta quindi di una modificazione irreversibile.
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REGOLAZIONE DELLA DEGRADAZIONE DELLE PROTEINE
Le proteine (e quindi anche gli enzimi) vengono demolite e disattivate da proteasi.
La cellula ha un sistema di regolazione della degradazione di proteine; quelle extracellulari sono degradate
dalle metalloproteasi, ma quelle che possono essere internalizzate (es. fattori di crescita) sono demolite dai
lisosomi.
Per le proteine intracellulari invecchiate o mal funzionanti esiste un sistema selettivo, con due possibilità:
1. Autofagia, ossia estensione del sistema lisosomiale: la cellula può circondare parte del contenuto da
degradare con un’espansione della membrana cellulare; questa viene poi fusa con il lisosoma e il
contenuto viene degradato.
2. Proteasoma: è un grosso complesso proteico a forma di cilindro simmetrico, che funge da gabbia
proteica. La parte centrale ha attività proteasica aspecifica, ma questo sito attivo è rivolto all’interno
del cilindro (per evitare di degradare qualsiasi cosa). Le due estremità del cilindro fungono da tappo
che decidono quali proteine possono entrare e quali no, e inoltre impediscono alle proteine da
degradare di uscire dal proteasoma prima che il processo sia finito.
Il meccanismo che decide per la degradazione funziona con l’interazione molecolare tra il proteasoma e una
molecola di riconoscimento.
Per il funzionamento del proteasoma servono altri 3 enzimi (E1, E2 e E3) e una proteina, la ubiquitina: i 3
enzimi attaccano questa proteina in più punti di una stessa proteina che deve essere degradata, con legami
covalenti; la proteina poliubiquitinata viene riconosciuta dal proteasoma e degradata. Si ottengono singoli
amminoacidi o corti peptidi che possono essere riutilizzati dalla cellula. Una singola ubiquitinazione può avere
un significato regolatorio per alcuni enzimi: non vengono degradati ma cambiano leggermente funzione,
mentre la poliubiquitinazione porta necessariamente alla degradazione.
Molti enzimi hanno un’emivita che dipende dalla dieta (aumenta la velocità di turnover degli enzimi) e
dall’età del paziente.
(Transaminasi: enzimi che degradano amminoacidi, che circolano nel sangue; sono prodotte dal fegato e se
troppo alte sono sintomo di danno epatico, perché le cellule epatiche si rompono e rilasciano il loro
contenuto nel sangue. L’esame delle transaminasi deve essere fatto a digiuno e lontano da pranzi ricchi di
amminoacidi).
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SINTESI REGOLAZIONE DELL’ATTIVITÀ DEGLI ENZIMI L’attività degli enzimi è regolata a 3 livelli:
Dalla concentrazione di substrati e modulatori allosterici.
Da modificazioni reversibili (es. fosforilazioni, ADP-ribosilazioni), che sono lente, richiedono che un
secondo enzima intervenga a riportare la cellula in condizioni di partenza bilancio tra enzimi che
fanno la modificazione e enzimi che la rimuovono.
Da modificazioni irreversibili, cioè da modificazioni che durano per tutta la vita della proteina.
Enzimi che collaborano lungo una stessa via o reazione, se vengono messi insieme lavorano più velocemente:
si perde meno tempo aspettando che il prodotto del primo enzima incontri il secondo enzima e così via
(sistema della catena di montaggio).
PROTEASI Esistono le proteasi perché il legame peptidico è molto forte e serve un enzima che renda la degradazione
più veloce. Per rendere morbida la carne la si immerge in proteasi che rompono i legami peptidici (come
anche in limone, papaya, …).
Nel legame peptidico il carbonio carbonilico ha parziale carica positiva: esso viene attaccato da un nucleofilo
e gli elettroni vanno a finire sull’ossigeno, che si carica negativamente. Occorre poi un elettrofilo che si leghi
all’ossigeno con carica negativa parziale; un donatore di H+ facilita l’uscita del gruppo ammminico donando
un protone.
Le proteasi catalizzano l’idrolisi di un legame peptidico in modo specifico (con bassa, media o elevata
specificità), in modo sensibile a pH o T, e in modo regolato dalla presenza di specifici attivatori o inibitori.
La proteolisi serve per:
Maturazione biosintetica: rimozione metionina N-terminale, maturazione preproteine, maturazione
proormoni, attivazione zimogeni.
Altri ruoli specifici come la presentazione antigenica.
Ricambio di proteine cellulari.
CHIMOTRIPSINOGENO:
Enzima prodotto nel pancreas esocrino; arrivato nello stomaco incontra la tripsina già presente, che stacca
un pezzo di catena e lo attiva, trasformandolo in chimotripsina. La tripsina digerisce le proteine ingerite come
primo ruolo, e come ruolo secondario serve per attivare la chimotripsina.
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È un classico enzima globulare, con superficie
idrofilica solubile; nel fondo del sito attivo si trovano
3 amminoacidi: Ser195 (residuo particolarmente
attivo), Asp102 e His57. Se si toglie uno dei 3
amminoacidi la proteina non funziona più. Nella
forma tesa (senza substrato) essi sono legati tra loro
da legami idrogeno: Asp lega His, His lega Ser,
spingendo via un suo idrogeno per renderlo ancora
più negativo; quando arriva il substrato, il legame
peptidico si dispone nel sito attivo con
l’amminogruppo vicino all’istidina, e scatta la catalisi: l’ossigeno della Ser è carico negativamente ed è il
nucleofilo che attacca il carbonio carbonilico. Per fare ciò si libera del protone, che viene trasferito all’Istidina.
L’His assume una carica positiva, che viene stabilizzata dall’asparagina con carica negativa; si viene a trovare
legato alla Ser195 un intermedio tetraedrico, stabilizzato dalla stessa Ser195 e dalla Gly193. Aa questo punto
il protone della His reagisce con il legame C-N del legame peptidico, rompendolo; rimane attaccato alla serina
solo un gruppo acilico. Interviene a questo punto una molecola d’acqua, che cede un protone alla His57 (che
ritorna a essere carica positivamente), mentre ossigeno e idrogeno dell’acqua si legano al C del gruppo acilico,
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formando un secondo intermedio tetraedrico. Il protone aggiunto alla His va ad interagire con la Ser,
legandosi ad essa e liberando quindi il gruppo acilico. La triade del sito catalitico viene così riformata.
Evidenze che l’enzima funziona in questo modo:
Cristallo dell’enzima che dimostra che gli amminoacidi si dispongono in questo modo preciso,
cambiando la loro posizione non funzionano più.
Se all’enzima viene legato un estere, l’enzima è capace di distruggere anche il legame estere: si è
preso un estere incolore, che dopo la catalisi diventa giallo e visibile- Misurando la concentrazione di
colore giallo si notano due fasi: una fase veloce iniziale e, dopo che si è raggiunto uno stato
stazionario, una fase più lenta (fase di acilazione e di deacilazione).
Il sito attivo delle proteasi è più o meno simile, ma la forma e le proprietà determinano reazioni specifiche:
Chimotripsina: rompe i legami peptidici localizzati all’estrmeità C-terminale di grossi residui
idrofobici (Phe, Trp, Met, Tyr, Leu). La tasca infatti ha caratteristiche idrofobiche.
Tripsina: è specifica per reidui al C-teminale carichi positivamente (Lys e Arg).
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Elastasi: è specifica per piccoli amminoacidi al C-temrinale, per via dell’ingombro sterico di due Val.
In base al tipo di residuo nel sito attivo, si individuano classi di proteasi: cisteina-proteasi, aspartil-proteasi,
metalloproteasi, serina-proteasi.
CISTEINO-PROTEASI:
La famiglia di proteasi responsabili dell’apoptosi cellulare, tramite attivazione di una cascata proteolitica,
sono chiamate caspasi. Le conseguenze hanno effetti nucleari:
- Frammentazione del DNA: la caspasi 3 causa l’attivazione dell’endonucleasi CAD (caspase activated DNase);
essa normalmente si trova nel citosol legata a un inibitore, ma con l’azione delle caspasi essa viene portata
nel nucleo e attivata.
- Inattivazione degli enzimi di riparazione del DNA.
- Inattivazione di enzimi coinvolti nella replicazione cellulare (inattivano DNA topoisomerasi II).
- Distruzione di proteine strutturali del nucleo: la caspasi 6 è responsabile della degradazione della laminina,
con conseguente condensazione della cromatina e frammentazione nucleare.
Funzionamento della caspasi: al posto della serina c’è una cisteina, che dona il protone del gruppo SH. Su di
esso si attacca il carbonio carbonilico del legame peptidico. Nella seconda fase, si ha l’ingresso di una
molecola d’acqua: il protone si lega all’His rendendola di nuovo positiva, mentre l’OH si lega al carbonio
carbonilico formando un tetraedro. Questo poi si stacca dalla Cys e viene liberato.
Nella cellula ci sono diverse caspasi. Sono normalmente presenti nella cellula in forma inattiva: l’evento che
promuove la morte della cellula è attivata da una proteolisi parziale, con cui la procaspasi inattiva viene
ingerita da un’altra caspasi e viene attivata. Dal taglio proteolitico della procaspasi si ottengono due
frammenti che se associai formano il sito attivo della caspasi. Ogni caspasi può attivare molte procaspasi,
generando una cascata. Lo scopo è quello di amplificare il segnale: non è un rapporto uno ad uno, ma una
singola caspasi può andare a digerire migliaia di caspasi-substrato, rendendole attive; esse a loro volta
possono attivare milioni di molecole di DNAasi, che digeriscono tutto il DNA cellulare.
Gli stimoli dall’esterno che possono portare la cellula all’attivazione del meccanismo di apoptosi possono
essere l’attivazione di specifici recettori responsabili della morte cellulare, o fattori di stress come raggi UV,
ipossia, citotossine, radiazioni gamma.
Funzionamento della caspasi: al posto della serina c’è una cisteina, che dona il protone del gruppo SH. Su di
esso si attacca il carbonio carbonilico del legame peptidico. Nella seconda fase, si ha l’ingresso di una
molecola d’acqua: il protone si lega all’His rendendola di nuovo positiva, mentre l’OH si lega al carbonio
carbonilico formando un tetraedro. Questo poi si stacca dalla Cys e viene liberato.
PROTEASI VIRALI:
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I virus sono parassiti obbligati; senza le proteasi codificate dal virus, che servono a far replicare il virus stesso,
esso non si replica nella cellula.
Sono delle aspartil-proteasi: hanno l’aspartato nel sito catalitico.
Inibitori farmacologici di proteasi: l’HIV non è curabile ma controllabile, perché si può ridurne la
proliferazione in modo da prolungare notevolmente la vita del paziente. I farmaci che permettono ciò sono
degli inibitori competitivi dell’aspartil-proteasi: il tasso di replicazione è molto basso, e anche se non si toglie
dall’organismo si tiene sotto controllo la viremia. Il problema è che il virus muta in modo da diventare
resistente ai farmaci: le proteasi rimangono sempre attive ma non sono più inibite da quel particolare
inibitore.
METALLOPROTEASI:
Possono essere:
1. Secrete, come le collagenasi e le gelatinasi.
2. Attaccate al lato esterno delle membrane cellulari con un dominio transmembrana.
3. Attaccate a lipidi di membrana covalentemente.
Sono importanti per due tipi di fenomeni:
Migrazione cellulare.
Rimodellamento delle proteine presenti all’esterno della cellula: ogni cellula crea il proprio ambiente
extracellulare. Quando si vuole estrarre una cellula dal proprio contesto (a eccezione delle cellule
staminali, che riescono a ricolonizzare) bisogna ricreare anche il loro ambiente extracellulare, cioè
matrici, fattori di crescita, …
Funzionamento: presentano un atomo di metallo legato a quattro istidine. Quando arriva il bersaglio, l’atomo
di metallo coordina sia il carbonio carbonilico, sia la molecole d’acqua (tenuta in posizione da acido
glutammico), che farà poi attacco nucleofilo sul peptide. Dopo aver allontanato metà del peptide, il carbonio
carbonilico rimane legato al metallo, che poi si stacca e ricostituisce l’enzima iniziale.
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VITAMINA K: esiste naturalmente nella forma K1 nei vegetali, nella forma K2 (menachinone) prodotta dai
batteri dell’intestino. Esiste anche la forma K3 (menadione che viene alchilato da una delle vitamine K2 a
menachinone). In base alla forma, può avere una coda lipofilica più o meno lunga: essa fa sì che la vitamina
K sia legata ai lipidi di membrana o alle gocce lipidiche del citoplasma.
Serve per enzimi che si occupano di carbossilare alcune proteine, che contengono residui di acido glutammico
(hanno già un carbonio carbonilico): alcune proteine infatti vengono attivate tramite modificazione post-
traduzionalmente da enzimi che utilizzano come cofattore la vitamina K aggiungendo un secondo gruppo
carbossilico. Si aggiunge in questo modo una seconda carica negativa: l’acido glutammico non è affine al
calcio, mentre il carbossil-glutammato è affine al calcio e in grado di legarlo. Molte proteine contenenti calcio
quindi assumono la loro forma funzionale solo dopo una modificazione per mezzo di vitamina K.
Di solito, l’attivazione da parte della vitamina K riguarda proteine extracellulari del plasma e proteine che
circondano le cellule, tra cui molecole che sono responsabili del processo di coagulazione (reazione a
cascata): occludono i vasi nel caso di emorragie esterne o interne.
Il fabbisogno di vitamina K non dipende dall’alimentazione, ma da problemi della flora intestinale dovuti a
farmaci antibiotici, e in patologie dove ci sono difficoltà ad assorbire grassi a livello intestinale è una
molecola idrofobica e viene assorbita insieme ai grassi. La vitamina K assunta farmacologicamente è idrofilica,
quindi più facilmente assorbibile dall’organismo.
SINTOMI DA DEFICIENZA DI VITAMINA K: mancata efficienza nella coagulazione, quindi aumentato rischio di
emorragie terapie antitrombotiche: coumadin è strutturalmente simile alla vitamina K, che inibiscono gli
enzimi che producono vitamina K. La quantità di coumadin deve essere tale da non avere un occlusione di
arterie cardiache o cerebrali, ma deve allo stesso tempo permette al paziente di coagulare nel caso di ferita
esterna. Dopo gli interventi si dà eparina (polisaccaride modificato) che blocca coagulazione in modo diverso.
Il coumadin viene assunto per bocca e ha un tempo di azione più lungo, mentre l’eparina viene iniettata e ha
un’azione più rapida.
CASCATA COAGULATIVA: è un esempio di trasduzione del segnale (trasformazione di un segnale in un
evento). Il segnale è la perdita di integrità della parete del vaso, che normalmente è ricoperta di cellule: si
forma un tappo proteico di fibrina, che funge da tappo provvisorio e impedisce al sangue di uscire. Deve
essere una cascata molto veloce e estremamente regolata, per evitare formazione di trombi; è una cascata
regolata da proteasi: esse a loro volta digeriscono, attivandole, altre proteasi.
Gli enzimi sono numerati in ordine di scoperta, non in ordine di attivazione nella cascata: circolano nel sangue
come proteasi in forma inattiva.
Due tipi di segnali:
Contatto con superficie non endoteliale, cioè con il collagene sottostante al tessuto epiteliale: viene
attivano il fattore XII. Esso attiva 3 proteasi, fino al fattore X.
Trauma a livello tissutale: viene esposta una proteina di membrana (fattore tissutale), che va subio
ad attivare il fattore X.
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In entrambi i casi, il fattore X è quello responsabile dell’attivazione della protrombina in trombina, la quale
a sua volta è responsabile dell’attivazione del fibrinogeno in fibrina. Il fibrinogeno non può assemblarsi
perchè ci sono fibre sporgenti che ne impediscono l’adesione. La trombina taglia i frammenti dal fibrinogeno:
la loro rimozione forma la fibrina, che non è più solubile ma si deposita in lunghe fibre che formano delle reti.
Esse intrappolano piastrine e globuli rossi.
Perché la trombina non viene direttamente attivata? Avere tanti passaggi offre molti punti di regolazione
(attivazione o inibizione) e permette di amplificare il segnale: basta il contatto con una piccola superficie
danneggiata per dare vita a un grosso coagulo.
È una cascata irreversibile, perché avviene per tagli proteolitici: solo dove c’è la lesione prevalgono i segnali
protrombotici, in tutte le altre zone prevalgono i segnali negativi che spengono le proteasi.
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TRASDUZIONE DEL SEGNALE
Conversione di una informazione in un evento chimico.
Negli organismi pluricellulari alcune cellule non hanno nessun contatto con l’esterno, ma devono comunque
mantenere il contatto con l’ambiente esterno apparato di trasduzione più complesso rispetto agli
organismi unicellulari.
SEGNALI CHIMICI
Sono molecole di segnalazione presenti nell’organismo, divisibili in 3 categorie:
Ormone: viene secreto da una ghiandola, rilasciato nel flusso sanguigno e va a agire su tessuti
bersaglio più o meno lontani. Agisce nel giro di mezz’ora/un’ora.
Neurotrasmettitore: viene prodotto da una cellula presinaptica e viene rilasciato in corrispondenza
della sinapsi, e recepito da cellula postsinaptica. Agisce in modo immediato.
Mediatore locale: molecole segnalatrici rilasciate localmente da cellule, e agiscono localmente.
Hanno una motilità molto bassa (non sono solubili) e/o una vita molto breve. Ad esempio,
nell’infiammazione avviene una vasodilatazione locale per richiamare altri fattori più velocemente;
oppure, durante il parto, vengono attivate alcune cellule della muscolatura liscia per contrarsi, ma è
sempre un segnale locale, non vengono attivate tutte le cellule lisce dell’intero organismo.
Cellula A riceve una serie di stimoli e produce un segnale per la cellula B: le cellule perdono la loro autonomia
e agiscono sotto stretto controllo dei segnali extracellulari. Ogni metabolismo delle cellule è sincronizzato
con quelle delle altre cellule.
FORME DI SEGNALAZIONE INTRACELLULARE A) Dipendente da contatto tra segnale e recettore del segnale.
B) Segnalazione paracrina: una cellula che segnala crea un mediatore, che viene sentito (o degradato)
dalle cellule vicine. Questo tipo di segnale, coordina l’azione locale dei tessuti, e vi è un effetto soglia:
se la concentrazione di segnale è bassa, non
tutte le cellule rispondono a questo segnale,
se molte cellule emettono tale segnale, tutte
rispondono a questo segnale una singola
cellula paracrina non produce abbastanza
segnale, ma se più cellule lo producono, la
quantità locale di ormone sarà sufficiente.
C) Trasmissione sinaptica: le due cellule
sono praticamente appoggiate, con uno
spazio di circa 20-30 nm che li separa. Questo
rende il segnale molto concentrato e veloce.
D) Segnalazione endocrina: cellule
organizzate in ghiandole, che immettono
ormone nel sangue. La trasduzione è lenta, e
la concentrazione di ormone nel sangue è
molto bassa (microgrammi per centimetro). I
recettori delle cellule bersaglio devono
essere molto affini agli ormoni.
EVENTI DELLA TRASDUZIONE
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Il recettore per prima cosa deve cambiare forma dato che forma e funzione sono correlate, cambia
anche la sua funzione. I recettori sono quindi proteine regolate allostericamente.
Modificazione di alcuni processi intracellulari, cioè il cambio di proteine citoplasmatiche (es
contrazione muscolare).
Possono essere cambiamenti molto veloci, da frazioni di secondi a minuti, e sono seguiti da cambiamenti a
livello dell’espressione genica del nucleo della cellula: produrrà un diverso set di proteine.
Se si tratta di un cambiamento lento, verrà modificato il comportamento stesso della cellula (es. nel
danneggiamento di un nervo, il muscolo dopo qualche tempo degenera, perché le cellule non ricevono più
lo stimolo a contrarsi e a produrre proteine citoscheletriche). Cambia quindi il comportamento della cellula
bersaglio.
Quatto elementi necessari:
o Cellula che produce il segnale.
o Segnale stesso.
o Recettore della cellula bersaglio.
o Cellula bersaglio, che deve cambiare comportamento.
MOLECOLE SEGNALE Dal punto di vista chimico si possono distinguere in:
1. Proteine/peptidi segnale: nel reticolo endoplasmatico avvengono glicosilazione e taglio proteolitico
di sequenza N-segnale e di altre sequenze. Il recettore del peptide deve essere sulla membrana
plasmatica, perché non può entrare nella membrana.
2. Steroidi (es. testosterone): servono enzimi che producono/modificano colesterolo. Viene sintetizzato
nel reticolo liscio, e poi passa attraverso la membrana (no vescicole, ci passerebbe in mezzo!). Viaggia
difficilmente nel sangue, quindi deve legare proteine, le quali hanno bassa affinità per il colesterolo,
altrimenti non riuscirebbe a staccarsi da esse. I recettori di questo tipo di ormoni si trovano nel nucleo
o nel citoplasma, perché essendo lipofiliche non “vedono” la membrana e ci passano in mezzo.
3. Derivati da metabolismo di amminoacidi (NO, monossido di azoto).
Gli ormoni sono organizzati in vie, che partono dal sistema nervoso centrale (che ha la coordinazione di
sensazioni esterne afferenti), attraversano l’ipotalamo (molto specializzato); l’ipofisi viene stimolata a
produrre ormoni, che agiscono su altre ghiandole dell’organismo o direttamente sugli organi. Queste vie sono
regolate da sistemi di feedback prodotti dai tessuti e inviati alle ghiandole e al sistema nervoso centrale, che
indicano che il tessuto ha ricevuto il segnale.
Uno stesso segnale può avere effetti diversi su tessuti diversi: ad esempio, l’acetilcolina nel neurone
presinaptico provoca contrazione del muscolo. Con lo stesso meccanismo, l’acetilcolina viene usato come
neurotrasmettitore del sistema simpatico, inducendo la produzione di saliva nelle ghiandole salivari: viene
fatto entrare calcio, che però non provoca la contrazione ma la esocitosi di vescicole contenenti saliva. Un
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altro ruolo è quello di regolare il tono della contrazione e coordinarlo con l’organismo: essa diminuisce le
contrazioni della muscolatura liscia del cuore effetti diversi in posti diversi.
Come si quantifica la quantità di ormone presente nel sangue/urine?
Si prende un anticorpo che riconosce un ormone specifico (come la gonadotropina corionica umana, usata
come indice di gravidanza) e lo si stabilizza su una striscia. In piccolissime quantità l’ormone viene rilasciato
anche nelle urine; esso si lega all’ormone sulla striscia, e altri enzimi colorati agiscono.
La quantità di ormone non è sempre direttamente proporzionale alla risposta nel paziente: i diabetici hanno
più insulina nel sangue di una persona sana.
È difficile studiare l’attivazione del segnale in vivo, ma si può guardare delle risposte fisiologiche all’ormone:
per sapere se la terapia di insulina funziona, si guarda la quantità di glicemia presente nel sangue; se agisce
l’insulina, la quantità deve essere bassa.
RECETTORI NUCLEARI Gli ormoni steroidei sono lipofili e vengono
prodotti a partire dal colesterolo, e non ne
esistono depositi a livello intracellulare. Una volta
prodotti, gli ormoni steroidei vengono rilasciati
passivamente ed entrano in circolo, dove
rimangono legati alle proteine plasmatiche.
L'emivita plasmatica degli steroidi è di qualche
giorno.
A livello delle cellule bersaglio, i recettori per gli
steroidi sono citoplasmatici (in quanto gli ormoni
sono in grado di attraversare agevolmente la
membrana fosfolipidica ma non sono molto
solubili in soluzione acquosa). L'attivazione di tali
recettori ne provoca la traslocazione al nucleo
cellulare, dove questi sono in grado di controllare
la trascrizione di alcuni geni. I recettori degli
steroidi sono fattori di trascrizione che si legano ai
promotori aumentando (spesso drasticamente)
l'efficienza della trascrizione da parte della RNA
polimerasi II.
I geni trascritti in risposta ad un fattore di trascrizione vengono detti risposta precoce, ed i loro prodotti sono
già osservabili dopo alcuni minuti. I prodotti di tali geni, a loro volta, possono essere altri fattori di
trascrizione, ed indurre come risposta tardiva la trascrizione di altri geni ancora.
Alcuni esempi di ormoni steroidei sono (tutti prodotti a partire dal colesterolo):
◊ CORTISOLO: prodotto nella corteccia delle ghiandole surrenali. Influenza il metabolismo.
◊ ORMONI SESSUALI: prodotti da testicoli e ovaie. Responsabili dei caratteri sessuali secondari.
◊ VITAMINA D: sintetizzata nella pelle in risposta alla luce solare. La sua forma attiva regola il
metabolismo del calcio.
◊ ORMONI TIROIDEI: sono prodotti a partire dall’aa tirosina. Aumentano la velocità metabolica.
◊ RETINOIDI: sono prodotti dalla vitamina A. Mediatori locali nello sviluppo dei vertebrati.
I recettori per il cortisolo sono posti principalmente nel citosol e entrano nel nucleo dopo l’attacco del
ligando. I recettori tiroidei e dei retinoidi sono legati al DNA anche a riposo, ma invece che agire come
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attivatori funzionano come inibitori: quando arriva il ligando cambiano conformazione e diventano regolatori
positivi di trascrizione.
Presentano:
Un dominio centrale (LBD, Ligand
Binding Demain), dove si lega l’ormone.
Due siti di regolazione di trascrizione,
uno N-terminale e uno C-terminale.
Un dominio di legame per il DNA
(DBD, DNA Binding Demain).
I recettori di steroidi classici funzionano
come dimeri, che dimerizzano quando
arriva il ligando; altri, come quelli per i
retinoidi, formano eterodimeri (con
altri membri della stessa famiglia) e
legano sequenze nella stessa direzione. Altri, chiamati recettori orfani perché non si conosce il ligando, non
hanno un ligando, in quanto hanno il LBD non presenta un sito di legame questi sono dei veri e propri
fattori di trascrizione, non più regolati da ormoni esterni.
Quando il recettore si trova nella forma
inattiva, una proteina inibitoria lega
l’estremità al C terminale; quando invece il
recettore è attivo, l’estremità C-terminale
aiuta il dominio LBD ad interagire il ligando.
Questo fa sì che il DBD interagisca con il DNA:
sono presenti delle alfa eliche che si
inseriscono nel solco maggiore dell’elica di
DNA.
I recettori eterodimerici (come i recettori per
i retinoidi), LBD e DBD sono disposti a X e
legano la stessa sequenza di DNA ma in senso invertito; i recettori omodimerici invece sono disposti paralleli
e legano la stessa sequenza.
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Tutti i recettori nucleari hanno almeno una struttura chiamata Zinc Finger: una parte di proteina è ripiegata
intorno a un atomo di zinco, che si inserisce nel DNA e lo lega. Senza questi cofattori metallici l’enzima non
funzionerebbe. Sono sia coenzimi che elementi strutturali dell’enzima stesso.
Il dominio LBD ha un buco centrale: quando arriva il ligando crea interazioni non solo con LBD ma anche con
un’alfa elica adiacente. Per questo cambia tutta la conformazione dell’enzima: questo succede tutte le volte
che un ligando lega il recettore, perché il cambio conformazionale è necessario affinché il segnale venga
trasdotto.
I fattori di trascrizione negli eucarioti raramente contattano direttamente la RNA polimerasi: reclutano su
promotore e enhancer altre proteine che facilitano il reclutamento di RNA polimerasi che traduca il gene
bersaglio.
Quelle che attivano la trascrizione rimodellano la cromatina, lavorando su struttura di DNA: modificano gli
istoni e facilitano l’accesso della polimerasi al promotore. Quelli che reprimono la trascrizione rimodellano la
cromatina trasformandola in eterocromatina e rendendo difficile l’attacco della RNA polimerasi al
promotore.
Un piccolo numero di geni è regolato direttamente dall’ormone stesso: si tratta, ad esempio, di geni che
hanno sul loro promotore di un sito di legame per l’estrogeno. Gli altri sono regolati dalle fase tardive dai
prodotti della prima ondata di trascrizione, che comprendono a loro volta fattori di trascrizione e loro ormoni.
Es: nella pubertà c’è una variazione di equilibri ormonali: la persona cambia fisicamente e diventa
fertile. Il cambiamento però viene mantenuto anche quando gli ormoni non ci sono più. Gli ormoni
ovarici hanno indotto un programma nelle cellule del soggetto, che viene mantenuto anche quando
l’ormone viene tolto. Viene mantenuto dai geni che erano stati indotti dalla prima fase.
Molte cellule del carcinoma mammario derivano dall’epitelio ghiandolare mammario, e sono
dipendenti da estrogeni: si può dare alla paziente un farmaco chiamato tamoxifene, che compete
con l’estrogeno e impedisce al recettore di legarlo. La cellula tumorale, che agiva sotto controllo di
estrogeni, smette a questo punto di proliferare.
Pillola del giorno dopo: affinché si instauri una gravidanza è necessaria la presenza di progestinici. La
pillola è un inibitore di recettori progestinici, e rende l‘utero non recettivo all’embrione.
ORMONI DERIVATI DA AMMINOACIDI Sono rappresentanti da:
o Catecolammine (adrenalina, noradrenalina, dopamina); hanno un meccanismo di produzione,
secrezione e azione sull'organo bersaglio simile a quello degli ormoni peptidici. Sono molto solubili e
hanno recettori su superficie delle cellule.
o Ormoni tiroidei (tiroxina, triiodotironina); hanno un meccanismo d'azione simile agli steroidi dato
che sono fortemente lipofili.
La sintesi di ormoni tiroidei è complessa: derivano da iodio presenti nel sangue che, tramite un trasportatore,
viene pompato nelle cellule della tiroide (esclusivo di tiroide e cellule di epitelio intestinale). Poiché solo nella
tiroide si concentra iodio, fornendo tiroide radioattivo e si compie una scintigrafia.
Carcinoma tiroideo: si danno alte dosi di iodio radioattivo: si accumula nella tiroide e uccide le cellule
circostanti.
Per evitare che in seguito a fughe radioattive la tiroide si “nutra” di iodio radioattivo, si danno
pastiglie di iodio, che competono con quello radioattivo e proteggono la tiroide.
La tiroide contiene vescicole di tiroglobulina: lo iodio presente come ioduro viene ossidato da una proteina
specifica a iodio zero, che è molto reattivo. Esso reagisce con tiroglobulina attaccandosi in uno o due posizioni
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di tirosina. Un secondo enzima fa reagire due tirosine tra loro, coniugandole e formando un amminoacido
modificato (modificazione post-traduzionale, iodinazione). La proteina viene poi lasciata nel follicolo per un
determinato tempo, fino a quando non ne ha più bisogno. È un meccanismo che permette di accumulare
iodio: esso è difficile da immagazzinare, perché se è ioduro viene espulso con urina, se è iodio zero è reattivo
con lipidi. In questo modo, iodinizza lo iodio con tiroglobulina e lo conserva. Iniziando una dieta povera di
iodio, per molto tempo non se ne sente la necessità.
Quando c’è necessità di ormone, la tiroglobulina viene endocitata e degradata da lisosomi; per taglio
proteolitico, infatti, si ricavano ormoni tiroidei. Essi sono prodotti in 3 versioni:
Tiroxina, T4: completamente iodinata. Può essere deiodinata quando è in circolo e trasformata in T3,
che risulta essere l’ormone quello più attivo.
Triiodotironina, T3: iodinata in posizione 3 è la forma più attiva.
Iodinata in posizione 3 alternativa.
L’ormone T3 è in grado di
aumentare metabolismo e
temperatura, e a lungo termine
promuove la crescita del
paziente.
Se c’è mancanza di iodio c’è
ipertiroidismo: lo iodio funge
da feedback negativo, per
inibire attività di tiroide; se
manca iodio la tiroide continua
a produrre ormoni. Provoca
mancata crescita, problemi
neurologici (cretinismo da
mancanza di iodio). Se viene
meno la produzione fisiologica
di ormone, l’organismo compensa facendo tanto ormone tireostimolante, e la produzione di colloide
aumenta si risolve fornendo iodio (si aggiunge a sale).
VITAMINA D
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È un ormone steroideo (derivato del colesterolo) che regola l’espressione di specifici geni tramite interazione
con i suoi recettori intracellulari. La sua forma attiva si chiama calcitriolo.
Produzione di vitamina D: il colesterolo viene deidrogenato in posizione 7, producendo 7-deidrocolesterolo;
se portato sull’epidermide e colpito da radiazione solare, si rompe dando origine alla vitamina D3 attiva,
chiamata colecalciferolo. L’energia per rompere l’anello viene dalla luce solare, è una reazione spontanea e
molto lenta: ci provvede di vitamina D3 solo se abbiamo abbondanti dosi di colesterolo e di uno steroide
vegetale (simile a colesterolo ma con 3 doppi legami), che con il sole dà un’altra forma di vitamina D. Con il
corso degli anni, la produzione di vitamina D3 nella forma vegetale si è persa, quindi è servito assumerla
anche tramite la dieta.
Carenza di vitamina D3 rachitismo: si sviluppa perché ci sono danni a livello del processo di attivazione
della vitamina D. il suo precursore viene riportato al fegato dove viene idrossilato per poi venire nuovamente
idrossilato nel rene per dare la forma attiva di colecalciferolo. Esso è un regolatore della calcemia, cioè delle
concentrazioni plasmatiche di calcio; il rachitismo quindi è una insufficiente mineralizzazione dell’osso,
perché il corpo non assume abbastanza calcio con l’alimentazione. L’osso non mineralizzano non riesce a
resistere alla forma muscolare e al peso, e si deformano. Per legge, la vitamina D3 viene messa nel latte,
rendendo ormai raro il rachitismo. In fase di menopausa o post-menopausa, c’è un periodo di
demineralizzazione dell’osso: si risolve dando dosi farmacologiche di vitamina D3 e calcio. Il calcio viene
secreto nel filtrato glomerulare e poi riassorbito nel rene.
Regola diversi tessuti, sia a livello intestinale (assorbimento), a livello osseo (rilascio) e a livello renale
(assorbimento).
RECETTORI DI MOLECOLE NON STEROIDEE Per tutti le molecole segnale non steroidee bisogna avere un recettore di membrana.
Quattro grossi gruppi:
1. Recettori accoppiati a proteine G: hanno 7 eliche transmembrana e possono interagire con proteine
citoplasmatiche che legano GTP (guanosin trifosfato). È un sistema che si è evoluto molto presto,
caratteristico degli eucarioti, e serviva per percepire le sostanza extracellulari meccanismo con cui
si percepiscono gli odori: sono espressi nell’epitelio olfattivo, e rispondono non ad ormoni ma a
sostanze volatili nell’aria. Un meccanismo simile serve per percepire la luce nell’occhio.
2. Recettori ad attività tirosina chinasica, o accoppiati a tirosina chinasi: quando l’ormone arriva da
fuori, dentro la cellula la tirosina chinasi modifica una proteina citoplasmatica, fosforilandola in
tirosina. Sono i recettori dei fattori di crescita, cioè proteine che controllano la crescita di cellule in
risposta alle necessità dell’organismo (tra cui il recettore di insulina).
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3. Recettori con attività guanilil ciclasica, che producono GMP ciclico come secondo messaggero
intracellulare.
4. Canali ionici controllati: sono canali ionici controllati da ligandi (recettore muscolare per
l’acetilcolina).
5. Recettori di adesione: le integrine mediano l’adesione della cellula con la matrice circostante, che è
importante per la sopravvivenza della cellula.
6. Recettori nucleari: il legame con uno steroide permette di regolare l’espressione di geni specifici.
Proprietà generali di un recettore per poter funzionare:
Specificità: una molecola può dare vita a uno o più specifici segnali. Alcuni recettori rispondono a più
di uno stimolo: quello dell’insulina fa parte di una famiglia di 3 recettori, molto simili tra loro, in cui
quello per l’insulina controlla il metabolismo glucidico, mentre IGF1 e IGF2 controllano la crescita
cellulare. I pazienti diabetici hanno una più alta incidenza di tumori, perché l’insulina promuove
anche la crescita e la sopravvivenza di cellula favorendo insorgenza di tumori. In alcuni casi un singolo
recettore può rispondere a segnali diversi.
Amplificazione del segnale: quando gli enzimi attivano altri enzimi, il numero di molecole che entrano
in gioco aumenta geometricamente, generando una cascata enzimatica.
Desensibilizzazione/adattamento: l’attivazione del recettore innesca un circuito retroattivo che
spegne il recettore o lo rimuove dalla superficie; prende il nome di meccanismo di feedback negativo,
che permette di desensibilizzare il recettore. I recettori spengono i segnali ripetuti e recessivi.
Integrazione: quando due segnali hanno effetti opposti su una caratteristica metabolica, il risultato
finale è un segnale integrato da entrambi i recettori
Le vie di trasduzione portano il segnale dalla
membrana al resto della cellula: nel
citoplasma regolano metabolismo e
citoscheletro, nel nucleo regolano
l’espressione di alcuni geni.
I segnali che vanno dal citoplasma al nucleo
possono essere interazioni proteina-proteina
o piccole molecole facilmente solubili, che
agiscono come secondo messaggero (primo
messaggero è ormone). Il secondo
messaggero più comune è il calcio.
Le proteine coinvolte nella trasduzione sono
proteine allosteriche, cioè regolate da un
segnale di natura chimica, che le fa passare
da uno stato acceso che trasmette il segnale
a uno stato spento che non trasmette il
segnale. Questo cambio può essere dovuto
ad esempio dalla fosforilazione che provoca
un cambio di forma.
Due tipi di complessi di segnalazione intracellulare:
o Proteine scaffolding: tengono vicini i recettori in modo che la risposta sia più veloce. Formano le
zattere lipidiche: sono zone del doppio strato lipidico che appaiono più spesse e in rilievo per via del
fatto che sono zone particolarmente ricche di sfingolipidi, colesterolo e fosfolipidi con gruppi acilici
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particolarmente lunghi (come acido palmitico e
miristilico). Qui si trovano anche molte proteine
ancorate alla membrana.
o Assemblaggio di complessi di segnalazione dopo
attivazione del recettore: le varie proteine della
cascata non si trovano legate a una proteina
scaffolding, ma nel momento in cui il recettore viene
attivato, queste vengono reclutate su di esso. Le
proteine si possono trovare ancorate
permanentemente alla membrana oppure venire
agganciate in concomitanza del processo di segnalazione.
Meccanismi di spegnimento del segnale:
1. Sequestro del recettore: viene internalizzato in endosomi e mantenuto lì fino a che non serve di
nuovo la sua espressione in membrana.
2. Down-regolazione del recettore: viene internalizzato il lisosomi e distrutto.
3. Inattivazione del recettore: rimane in membrana ma viene inattivato.
4. Inattivazione della proteina segnale: non viene inattivato il recettore ma una delle proteine a valle.
5. Produzione di una proteina inibitrice, che impedisce la formazione del secondo messaggero.
MODULI PROTEICI
Le proteine si rappresentano come una linea, anche se si ripiegano su se stesse; in questo modo è evidente
la struttura modulare delle proteine responsabili della trasduzione del segnale. Si possono pensare come
formate da tanti domini proteici con strutture conservate e ripiegamenti conservati: ciascun dominio spesso
è codificato nel genoma come un esone, circondato da due introni. Questo vuol dire che si sono evoluti un
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piccolo numero di domini che funzionavano nella trasduzione del segnale; con modificazioni i domini sono
stati trasportati in proteine diverse, dando origine a varie proteine. Ad esempio, tutte le tirosina chinasi
hanno un dominio catalitico fortemente conservato: si pensa che discendano da un antenato comune.
I domini proteici più conservati sono:
o SH2 (Src Homology 2): regione conservata di 100 amminoacdii che riconosce residui di tirosina
fosforilata.
o PTB (phosphoTyrosine Binding protein): regione che riconosce tirosine fosforilate In una particolare
sequenza peptidica dell’estremità N-terminale di recettori o proteine intracellulari (simili al dominio
SH2).
o SH3 (Src Homology 2): regione conservata di circa 60 amminoacidi che riconosce sequenze
amminoacidiche ricche in prolina.
o PH Ppleckstring Homology): riconoscono gruppi di testa carichi negativamente di specifici inositolo
fosfolipidi fosforilati presenti sulla membrana plasmatica.
o PDZ: riconoscono residui amminoacidici all’estremità C-terminale di proteine bersaglio. Promuovono
l’interazione tra proteine diverse, tipiche delle
scaffolding.
GRAFICO DI SCATCHARD: quantifica l’interazione
ligando/recettore.
PRIMA CLASSE: RECETTORI NUCLEARI (già fatti)
SECONDA CLASSE: CANALI IONICI Si trovano sulla membrana e sono canali ionici controllati di ligando o da voltaggio. Sono controllati perché
altrimenti le concentrazioni di ioni si equiparerebbero esternamente e internamente; gli ioni devono passare
in modo regolato. La asimmetria è mantenuta dalla cellula tramite le pompe di ATP che pompano ioni verso
l’esterno o verso i mitocondri o reticolo endoplasmatico.
Per questo i due lati della membrana non sono elettricamente neutri: tende a buttare fuori più cariche
negative di quante ne porti dentro la membrana è polarizzata con una differenzia di potenziale tra i due
lati. In secondo luogo, sono ottimi secondi messaggeri perchè essendo diversa la concentrazione, a canale
aperto quelli esterni tendono ad entrare facilmente e quelli interni ad uscire. Il tipo di ioni trasportati dipende
sia dalla loro carica che dalla dimensione: pori di dimensioni diverse fanno passare ioni diversi.
Si dividono in:
Canali controllati da ligandi: il legame di piccole molecole genera una transizione molecolare
allosterica nella proteina che apre o chiude il canale.
RECETTORE PER L’ACETILCOLINA:
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Formato da 5 proteine uguali che si associano a formare dei pentameri sulla membrana. I siti di
legame sono versante extracellulare e il
canale è normalmente chiuso: quando
arriva l’acetilcolina le cinque subunità
ruotano leggermente tra loro aprendo un
piccolo canale; da qui può passare il calcio
principalmente, ma anche sodio e potassio.
Questo depolarizza la membrana e dà il via
alla contrazione o causa la nascita di un
potenziale di azione nel neurone
postsinaptico.
Questo canale spontaneamente si chiude
dopo pochi ms per boccare il flusso di ioni.
Canali controllati da voltaggio: un dominio proteico carico si sposta in risposta a una variazione del
potenziale transmembrana, causando l’apertura o la chiusura del canale. Sono importanti per
trasduzione; sono controllati da differenza di potenziale tra i due lati di membrana.
CANALE PER IL SODIO:
Il sodio è una proteina molto grossa, che si associa in supercomplessi. Ogni proteina si ripiega a
formare un canale, lasciando dei loop fuori verso l’esterno della cellula e uno dentro verso il
citoplasma. Questi loop fungono da tappi:
quelli extracellulari si ripiegano nel poro e
lo otturano, impedendo l’ingresso di sodio
quando non ce n’è bisogno. Il potenziale di
membrana a riposo è di circa 60-90 mV.
Quando il segnale viaggia lungo la
membrana, il potenziale di membrana
cambia e diventa di 30 mV: questo cambio
fa aprire il poro. I loop extracitoplasmatici
vengono sparati fuori, facendo entrare gli
ioni sodio. A un certo punto, il loop interno
tende a infilarsi nel buco dal versante
citosolico: è un meccanismo di chiusura del
poro. Dopo pochi millisecondi se non c’è un ulteriore stimolo la pompa risputa fuori il sodio e
ristabilisce le concentrazioni iniziali.
Si trova principalmente in neuroni, miociti del cuore, muscolo scheletrico.
Trasmissione neuronale:
Il potenziale di azione, annullando la polarità della membrana, va ad aprire canali per il sodio voltaggio-
dipendenti: questo amplifica il segnale annullando la differenza tra esterno e interno. A livello del bottone
sinaptico ci sono invece canali calcio-dipendenti, che vengono aperti: il calcio va a modificare una serie di
proteine nel citoplasma, che fanno fondere le vescicole di neurotrasmettitore con la membrana. Gli ioni
calcio entrano nell’assone post sinaptico e provocano un altro potenziale di azione, che percorre tutto
l’assone come prima.
Alcuni dei ligandi per i canali ionici, ossia i neurotrasmettitori, sono:
- Serotonina
- Glutammato
- Glicina
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- GABA
- Neurotossine come dendrotossina (serpente), tetrodotossina (pesce palla), cobratossina.
Sono i bersagli preferiti, oltre che dei veleni, anche degli anestetici e miorilassanti, per controllare la risposta
neuronale nel paziente.
Fibrosi cistica: perdita di funzione di un canale per il cloro; non è molto importante per l’attività
neuronale, ma è importante per idratare i polmoni e pe riassorbire il cloro a livello renale
(ipocloremia).
Rene policistico: alterazione di morfologia e funzionalità renale.
TERZA CLASSE: RECETTORI ACCOPPIATI A PROTEINE G (GPCR) Si tratta di recettori strettamente associati a un membro della famiglia della proteina che lega i nucleotidi
guanosilici (proteina G).
Funzionamento: un segnale arriva da fuori, si lega al recettore e diventa a questo punto in grado di
trasmettere il cambio conformazionale a una proteina G eterotrimerica, cioè una proteina di membrana
anch’essa (perché le sue subunità sono lipidate in modo da essere fisse alla membrana): è formata da un
subunità alfa, una beta e gamma. Quella alfa contiene un sito di legame per GDP e GTP, e nel momento in
cui viene attivata dal recettore, essa scambia il suo GDP (quando è inattiva) con il GTP (quando è in forma
attiva). Il cambio conformazionale conseguente a questo legame stacca la subunità alfa dalle altre due, e la
porta ad interagire con un’altra proteina, l’adenilil ciclasi.
Esistono molti tipi di recettori associasti a proteine G nel nostro genoma; la struttura a sette eliche è
conservata, ciò che cambia è la struttura extracellulare e intracellulare. Possono essere distinti in 5/6
famiglie:
1. FAMIGLIA A, con un pocket al centro delle sette eliche; rispondono a luce, odori e piccoli peptidi: le
molecole si legano all’interno.
2. FAMIGLIA B: recepisce i peptidi ormonali. Si legano all’estremità extracellulare provocando uno
spostamento delle sette eliche.
3. FAMIGLIA C: lega piccoli ioni o molecole molto cariche.
4. FAMIGLIA DI ADESIONE: lega molecole (sconosciute) che mediano l’adesione alle proteine della
matrice.
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5. FAMIGLIA DI FRIZZLE: legano le proteine Wnt, fondamentali per processi di sviluppo e carcinogenesi.
Mutazioni di geni: possono rendere il recettore stabile in forma attiva, quindi il segnale sarà attivo anche in
assenza di ormone. In altri casi possono rendere il recettore inattivo.
Esistono differenti tipi di proteine G, in quanto esistono circa 20 geni diversi solo per la Gα, 5 geni per la
Gbeta e 12 geni per la Ggamma.
Le proteine Galfa (le più importanti nella trasduzione del segnale) possono essere divide in 4 classi principali:
A. Gαs: attraverso la subunità alfa attivano l’adenilato ciclasi.
B. Gαi: inibiscono adenilato ciclasi e vanno ad attivare altri enzimi (Raf).
C. Gαq: Attivazione di fosfolipasi C, che porta alla lisi di fosfolipidi di membrana.
D. Gα12 e Gα13: attivano piccole GTPasi della famiglia di Ras che controllano il citoscheletro, e attivano
Rho: come effetto fenotipico principale porta a una intensa polimerizzazione di citoscheletro actinico
della cellula importante per il movimento cellulare.
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Quando la proteina Galfa passa alla forma attiva ed è in grado di trasdurre il segnale, va ad attivare tanti altri
substrati ma ha il temporizzatore incorporato; infatti, la subunità alfa è di per sé un enzima, cioè è una GTPasi:
idrolizza GTP liberando il fosfato e rimanendo legata al GDP. L’enzima quindi può tornare nella forma inattiva,
riassociando beta e gamma meccanismo utile alle cellule, perché fa sì che la Gα non possa rimanere a lungo
attiva.
Se il ligando è ancora legato al recettore (esso cioè è ancora attivo), la G inattiva può essere riattivata
nuovamente. Se il ligando è assente, la proteina G rimane nella forma inattiva. Questo garantisce che il
segnale sia localizzato in un punto della cellula: la Galfa non può viaggiare più di tanto lungo la membrana,
perchè idrolizzerebbe da sola il suo GTP prima di raggiungere il suo effettore. È importante sia il tipo di
segnale, sia da dove riceve il segnale.
Es: il linfocita capisce dove andare in base alla direzione da cui arriva il segnale: da quel lato verrà
polimerizzata actina che lo sposta in quella direzione.
Anche le subunità beta e gamma sono in grado di trasdurre dei segnali dopo che il complesso G si è
dissociato; esse lavorano su tanti diversi fattori:
DP dalla subunità alfa.
(AGONISTA: sostanza che attiva il recettore.
ANTAGONISTA: sostanza che inibisce e blocca in forma inattiva, o sostanza che impedisce all’agonista di
legarsi al recettore.)
PRIMA VIA DI TRASDUZIONE: ADENILATO CICLASI L’ATP è un precursore dell’RNA ed ha ruolo energetico. È il
precursore anche per un secondo messaggero, AMP ciclico:
l’adenilato ciclasi fa sì che due fosfati vengano rilasciati
nell’ambiente e quello più vicino allo zucchero venga usato per fare
un fosfodiestere: viene creato un anello tra la posizione 5 e 3. L’AMP
ciclico, quando non serve più, viene idrolizzato da una
fosfodiesterasi, che rompe il legame e libera AMP. La
concentrazione del secondo messaggero dipende quindi
dall’equilibrio relativo tra velocità di ciclasi e velocità di
fosfodiesterasi che idrolizzano cAMP. Entrambi gli enzimi sono
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bersagli di farmaci antidepressivi e ansiolitici (bloccano fosfodiesterasi, aumentando concentrazione di
cAMP).
Quando c’è l’agonista, esso si lega al recettore a sette eliche, che attiva la proteina G, fa staccare la subunità
alfa che va ad attivare l’adenilato ciclasi: si ha aumento della concentrazione di AMP ciclico, che produce
risposte a valle, in questo caso l’attivazione della PKA.
PKA, protein chinasi A: essendo una chinasi, contiene due domini catalitici chiamati domini C, ma il sito attivo
è occupato da due subunità regolatorie R, che fungono da tappo impedendo di fosforilare il substrato. I
domini R hanno ognuno due siti di legame per AMPciclico: quando AMPc è in condizioni normale, esso non
riesce ad occupare tutti e 4 i siti contemporaneamente. Quando la concentrazione è molto alta, l’AMPc si
lega ai 4 siti di legame e provoca il distacco delle due subunità R dai domini C, attivando la PKA, che è pronta
a fosforilare i bersagli a valle.
La PKA attiva fosforilando ad esempio una lipasi che libera acidi grassi. Va anche a fosforilare istoni che
regolano compattazione di DNA e trascrizione, oppure pompe di membrana, ecc.
Un singolo complesso ormone-recettore può attivare diverse proteine G, che a loro volta attiveranno tante
PKA; gli ormoni nel sangue sono nell’ordine di grandezza tra nano e picomolare, mentre i glucosio è
millimolare un singolo ormone deve influenzare circa 106 volte.
Parte di selettività del segnale è dovuta alle proteina scaffolding, che tengono vicine le proteine necessarie a
questa via di trasduzione. La PKA è compartimentalizzata in prossimità del substrato mediante interazione
tra le subunità regolatorie e la proteina impalcatura (AKAP).
TOSSINA DEL COLERA:
La funzionalità della GαS
tossina di pertosse e di colera.
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Il soggetto colpito da questa tossina continua a defecare fino
a che non muore disidratato: è molto frequente in popolazioni
povere dove si beve acqua contaminata. Il batterio del colera
crea una specifica tossina che è formata da due parti: la
subunità alfa e beta. La beta riconosce i fosfolipidi di
membrana di cellule dell’intestino, e crea un buco; a questo
punto, prende il NAD e trasferisce l’ADP-ribosio alla GαS,
bloccandola nel suo stato legante GTP (la rende inattiva come
enzima ma non come stimolante). Non potendo più fare la sua
attività enzimatica, cioè consumare GTP, continua a stimolare
adenilato ciclasi, che apre canali di membrana per il cloro,
carico negativamente. Per bilanciare escono anche ioni sodio
positivi e acqua, quindi dà diarrea.
Si somministra soluzione salina per ristabilire acqua e sali; si
dà un antibiotico.
TOSSINA DELLA PERTOSSE:
Il batterio della pertosse lega covalentemente l’ADP-ribosio del NAD+ alla subunità alfa della proteina Gi:
questo vuol dire che l’adenilato ciclasi è sempre spenta, e l’AMP ciclico diminuisce bloccando la trasduzione.
Il principale effetto sulla cellula è che il sistema immunitario non è in grado di uccidere il batterio, perché
inibisce la capacità dei linfociti.
Esistono una serie di batteri che facilitano l’insorgenza di tumori (es. papilloma virus); la risposta del nostro
organismo è di far morire la cellula, ma il batterio è resistente.
La PKA può anche andare ad attivare la trascrizione, tramite l’interazione con la proteina CREB (CREB-
responding element): è una proteina nucleare, che se attivata si lega a un promotore (CREB-binding element)
e insieme a una CREB-binding protein attivano la trascrizione di geni specifici sintesi di ormoni, proteina
memoria a lungo termine.
SECONDA VIA DI TRASDUZIONE: FOSFOLIPASI C Gli enzimi che degradano i lipidi si chiamano fosfolipasi e ne esistono vari tipi:
o A1: stacca Il primo acido grasso.
o A2: stacca il secondo acido grasso.
o C: stacca il diacilglicerolo dalla testa polare (gruppo fosfato più gruppo X).
o D: lascia il fosfato e stacca solo la testa polare (gruppo X).
Le C formano un secondo messaggero solubile idrofilo (testa) e un secondo messaggero di membrana
liposolubile.
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La testa più importante è quella
costituita da inositolo: è un polialcole ma
è diverso dal glucosio. Questi gruppi
alcolici offrono posti per aggiungere
gruppi fosfato fosfatidil inositolo, 4,5-
difosfato inositolo e il 3-fosfatoinositolo.
Per ogni fosfato c’è una chinasi che
mette un gruppo P e una fosfatasi che la
toglie equilibrio è dato dalla velocità di
entrambi gli enzimi.
FOSFATIDILINOSITOLO 4,5-BISFOSFATO
(PIP2):
Tramite fosforilazione in posizione 4 e 5
di un fosfatidilinositolo si ottiene il fosfatidilinositolo 4,5-bisfosfato (PIP2); questo ha uno scarso ruolo
strutturale perché è presente in concentrazioni minime, ma è un segnale cellulare.
Quando un agonista attiva il recettore a sette eliche transmembrana, esso attiva la proteina Gq, la cui
subunità alfa lega GTP e attivandosi va ad attivare la fosfolipasi C (PLC): questa che rompe il legame fosforico
del PIP2, producendo inositolo 1,4,5-trisfosfato (IP3) e un diacilglicerolo (DAG). Entrambi funzionano come
secondi messaggeri intracellulari.
Le PLC sono divise in 3 famiglie: hanno tutte un dominio catalitico e domini regolatori che rispondono a calcio,
lipidi e ad altri stimoli. Sono PLCβ (lega fosfolipidi, calcio e proteine G), PLCδ (lega fosfolipidi e calcio), PLCγ
(lega fosfolipidi, calcio e ha un dominio catalitico molto grosso e complesso).
Tutte contengono questi domini:
- PH: ne esistono di diversi, con differenti affinità verso i fosfatidilinositoli a diversi gradi di fosforilazione.
- EF-hand: sono domini leganti calcio (Ca2+), localizzato tra due segmenti di alfa eliche E e F, secondo una
disposizione spaziale bipiramidale.
- C2: struttura a beta-sandwich, coinvolto nel targeting delle proteine di membrana dato che può interagire
con diversi tipi di fosfolipidi. Può legare 2-3 ioni calcio.
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L’inositolo 1,4,5-trifosfato (IP3) è responsabile della segnalazione del calcio. Come vedremo, va a legare i
canali di calcio del REr aprendoli: le elevate concentrazioni plasmatiche di calcio vanno a scatenare altre
segnalazioni.
LA SEGNALAZIONE DEL CALCIO Il calcio è un nutriente con funzione fondamentale nell’organismo: ha una funzione strutturale per molte
proteine che assumono la loro conformazione solo in presenza di calcio, ha una funzione regolatoria per
l’attività di proteine intracellulari; serve per lo sviluppo embrionale, per la contrazione muscolare, per la
secrezione ormonale e nervosa, per la riorganizzazione del citoscheletro. Il calcio libero è limitato sia in
spostamenti che in concentrazioni: è difficile definire la reale concentrazione di calcio nella cellula, perché la
maggior parte non è libero ma legato alla proteine (questo limita picchi di calcio nella cellula).
Doti che lo rendono importante:
1. Ione molto grosso con due cariche positive, non attraversa le membrane cellulari e può essere
compartimentalizzato: lo si esclude dal citoplasma segregandolo all’esterno della cellula o all’interno
di organuli circondati da membrana.
Concentrazione esterna alla cellula: millimolare.
Concentrazione dentro agli organuli: nell’ambito di micromolare.
Concentrazione media nel citoplasma: tra 10 e 100 nanomolare.
Questi gradienti sono mantenuti da delle pompe ATPasi che si chiamano PMCA (plasma membrane
calcium ATPase) e SERCA (pompe del reticolo sarcoplasmatico).
2. È molto diffondibile in ambiente acquoso.
3. Interagisce molto bene soprattutto con molecole con carica negativa.
La presenza di scambiatori fa sì che concentrazione interna alla cellula di calcio sia molto bassa. Quando ci
sono stimoli appropriati, il calcio viene usato come secondo messaggero; ci sono sia canali di calcio regolati
da voltaggio che regolati da ligando. Nella cellula muscolare, l’inziale grado di concentrazione di calcio nella
sinapsi si trasmette lungo l’assone: la depolarizzazione della membrana è in grado di aprire canali di calcio.
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La quantità di calcio fuori dalla cellula è pressoché infinita; il reticolo invece ha una capacità limitata di
immagazzinare calcio, soprattutto per cellule piccole come i linfociti. Qui ci sono dei meccanismi speculari,
per cui lo svuotamento di calcio dal reticolo apre dei canali per il calcio all’interno della membrana,
rinforzando il segnale. Il livello di calcio in ogni zona della cellula sarà dato da quanto velocemente viene fatto
entrare e ripompato dentro.
Calcemia: quantità di calcio circolante nel sangue. Ipercalcemia porta a una difficoltà delle cellule a
mantenere bassa la quantità di calcio intracellulare, in quanto la concentrazione extracellulare è molto alta
problemi cardiaci e neurologici. Ipocalcemia quando manca calcio fuori dalla cellula.
I secondi messaggeri che causano un aumento di concentrazione intracellulare di calcio sono:
IP3.
NAADP: è molto simile al NADP, ma questo ha un gruppo amminico, mentre il NAADP ha un gruppo
ossidrilico. Questo è un potentissimo promotore di rilascio di calcio da parte del reticolo e viene usato
dalle cellule come secondo messaggero.
ADP-ribosio ciclico (cADPR).
Vengono tutti sintetizzati in seguito a stimolazione e vanno poi ad aprire canali per il calcio su organuli come
i lisosomi, il reticolo endoplasmatico o i mitocondri (sono tutti depositi di calcio) innalzando livello di calcio
plasmatico intracellulare.
La funzione di queste proteine può essere studiata usando agonisti e antagonisti sintetici o naturali.
Effetti fisiologici:
L’ingresso di calcio nella cellula non avviene in modo semplice, ma avviene sotto forma di oscillazioni, anche
quando la concentrazione extracellulare di calcio rimane costante. Il segnale di rilascio del calcio (ad esempio
ormonale) si traduce quindi in una serie di oscillazioni (ondate) di calcio intracellulare; ogni tipo di stimolo è
in grado di causare oscillazioni differenti sia in intensità che in frequenza.
Un gran numero di proteine possono legare calcio: l’effetto dipende dalla specifica proteina. Si possono
dividere in classi di proteine leganti calcio:
1. Proteine che legano specificatamente calcio ma non cambiano funzione e struttura in seguito al
legame: agiscono come tamponi limitando la quantità di calcio disponibile calsequestrina (reticolo
sarcoplasmatico) e calreticulina (reticolo endoplasmatico di tutte le cellule).
2. Proteine contenenti il dominio EF hand legante calcio, come calmodulina e troponina.
Calmodulina:
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È una proteina che cambia forma a seconda della concentrazione citoplasmatica di calcio; ha quattro siti di
legame per il calcio e ognuno di essi presenta una struttura con un’alfa elica, un loop (dentro cui è accolto lo
ione calcio), un corto filamento stile beta e una seconda alfa elica dominio EF hand: ricordano la forma di
una mano con indice alzato che si avvolge intorno al calcio.
La calmodulina ha forma allungata in assenza di calcio, mentre quando arriva il calcio subisce un cambio
conformazionale, avvolgendosi su se stessa e trasmettendo questo cambio strutturale ad altre proteine (o
alla proteina stessa di cui fa parte).
La chinasi si ritrova all’interno di altre proteine più grosse, come la chinasi Ca2+/calmodulina-dipendente
(CAM chinasi): quando la calmodulina non lega calcio, essa è totalmente inattiva ed è slegata dal resto della
molecola; quando la calmodulina lega calcio, il suo cambio conformazionale fa sì che la calmodulina si leghi
al resto della proteina, trasmettendo il cambio conformazionale alla CAM chinasi complessiva, che viene così
parzialmente attivata. Per la piena attivazione, necessita di legare un gruppo fosfato, che viene fornito da
una molecola di ATP.
La CAM chinasi risponde alla frequenza di ondate di calcio; se le ondate sono molto distanziate, una delle
subunità di calmodulina trova ioni calcio, li lega, fosforila qualche bersaglio e poi si spegne; se le ondate di
calcio sono frequenti non fa in tempo a spegnersi che lega già di nuovo un altro calcio.
Cellule muscolari scheletriche: la contrazione muscolare è promossa dai cambiamenti conformazionali e dalle
interazioni proteina-proteina di troponina, una proteina CaM-like contenente domini EF hand. Quando arriva
il segnale sinaptico nel bottone sinaptico, si propaga lungo la membrana cellulare e lungo il tubulo T; quando
raggiunge i recettori responsabili della chiusura di calcio nel reticolo sarcoplasmatico, lo fa aprire, liberando
il calcio nel citoplasma. Questo può raggiungere la troponina e legandola la sposta dai siti di legame per la
miosina, permettendo la contrazione.
Cellule muscolari lisce: esse non hanno la troponina, quindi la loro contrazione non sarebbe sensibile al calcio
se non ci fosse la calmodulina legata a una proteina chiamata chinasi della catena leggera della miosina
(MLCK). La miosina di cellule muscolari lisce è spontaneamente inattiva: quando uno stimolo fa entrare calcio
nella cellula, esso si lega alla calmodulina, che attivandosi si lega alla chinasi della catena leggera della
miosina. Questa va a fosforilare la catena leggera della miosina, che solo a questo punto risulta attivata e in
grado di compiere la contrazione.
Per questo tipo di cellule esistono anche altri tipi di regolazione della contrazione, che prevedono l’intervento
di ormoni o sostanze che producono un secondo messaggero intracellulare in grado di liberare calcio dal
reticolo sarcoplasmatico e generare comunque la contrazione.
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Molte altre proteine contengono domini EF hand calmodulin-like e sono quindi regolate da Ca2+; tra di esse
c’è la calcineurina: è una serina fosfatasi (toglie gruppi fosfato) che normalmente è importante per la risposta
infiammatoria. Nei linfociti T esiste il fattore di trascrizione NFAT che serve per far trascrivere le citochine;
esso è normalmente fosforilato e inattivo nel citoplasma (escluso dal nucleo). Quando la calcineurina si attiva,
defosforila il NFAT, che viene traslocato nel nucleo e può regolare positivamente la trascrizione di citochine.
Si possono somministrare inibitori di calcineurina; prima si usavano composti di ciclosporine, adesso
tacrolimus. Questi farmaci sono in grado di evitare il rigetto di un organo trapiantato.
PROTEINA CHINASI C (PKC): Sono chinasi normalmente inattive nel citoplasma che vengono attivate in risposta a diversi secondi
messaggeri.
È attivata da 3 cofattori, calcio, diacilglicerolo e fosfolipidi; le PKC rispondono alla contemporanea presenza
di tutte e 3 le cose: infatti, fosforilano bersagli solo in prossimità della membrana.
Esistono diverse isoforme delle PKC, ma tutte contengono 3 domini: C1B, C2 e il dominio chinasico.
Quest’ultimo è in grado di fosforilare delle proteine (lega peptidi bersaglio, ATP, magnesio); normalmente è
inattivo perché esiste un doppio meccanismo di controllo. Presenta infatti un loop di attivazione che
impedisce entrata di proteine bersaglio nel sito attivo; una serie di fosforilazioni fanno aprire il loop di
attivazione, aggiungendo cariche positive dalla parte opposta e attirandolo verso di esse. Una chinasi fosforila
solo alcune proteine bersaglio: una sequenza viene riconosciuta dalle chinasi e fosforilata.
Suoi substrati sono residui di serina e treonina appartenenti a proteina coinvolte nei processi di secrezione o
divisione cellulare.
Il dominio C2 ha struttura a beta-sandwich ed è coinvolto nel targeting di proteine di membrana, interagendo
con i vari fosfolipidi (contengono 2 o 3 ioni calcio che creano un potenziale elettrostatico che permette
l’associazione ai foglietti della membrana plasmatica).
PMA (forbolo miristato acetato): è un estere del forbolo (composti naturali vegetali); esso mima l’azione del
DAG, andando ad attivare la PKC, per questo è un promotore tumorale.
La PKC, una volta attivata, va a:
Fosforilare canali ionici nelle cellule nervose: altera in questo modo l’eccitabilità della membrana
plasmatica.
Aumentare la trascrizione di geni specifici: può andare a fosforilare la MAPK, attivando la cascata
delle MAP chinasi, che arriva ad attivare la proteina Elk-1 regolatrice della trascrizione. Può andare a
fosforilare anche la proteina Ik-B, che rilascia la proteina NF-kB che attiva nel nucleo la trascrizione
di geni specifici.
SINAPTOTAGMINA:
Targetta le vescicole della sinapsi.
Una volta entrato calcio, il neurone deve fondere le
vescicole con la membrana: i recettori si trovano sulla
membrana plasmatica, sulla membrana della vescicola e
promuovono la formazione di un canale che permette la
fuoriuscita di neurotrasmettitore (famiglia di SNARE). Una
di queste proteine contiene domini EF hand che legano
calcio: in assenza di calcio la vescicola è libera di fluttuare
nel citoplasma, mentre quando il calcio si lega ad essa si forma il complesso: la vescicola è immobilizzata sulla
membrana e può formarsi il canale per il rilascio di contenuto.
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SEGNALAZIONE LIPIDICA Il diacilglicerolo (DAG) funge da attivatore della PKC, ancorandola in membrana; collabora quindi all’attività
del secondo messaggero IP3.
Il DAG può a questo punto avere due destini: può essere usato per riformare PIP2 insieme a IP3, oppure può
diventare substrato della fosfolipasi. I due acidi grassi del DAG sono a catena variabile, ma la posizione 2 in
genere ospita un acido grasso polinsaturo, con tanti doppi legami.
- La fosfolipasi A2 stacca il secondo acido grasso: se si tratta di acido arachidonico, si ottiene in questo modo
anandammide.
- La fosfolipasi A1 invece stacca il primo acido grasso; il secondo
acido grasso (acido arachidonico) rimane legato al resto della
molecola di glicerolo, formando il composto 2-arachidonilglicerolo
(2-AG). Questi due composti sono entrambi endocannabinoidi, che
sono i ligandi dell’organismo del tetraidrocannabinolo.
Siccome sono composti altamente idrofili, viene attaccato loro uno
o due gruppi ossidrilici. I canali a 7 eliche transmembrana a cui si
legano servono per regolare interazioni autocrine e paracrine
nell’organismo, e hanno azione di modulatori a livello di sinapsi,
stabilizzandole e regolando negativamente in segnale. Gli
endocannabinoidi agiscono anche come antinfiammatorio e sensore
di sazietà).
Il DAG può essere ulteriormente modificato a formare segnalatori locali come prostaglandine, leucotrieni e
trombossani.
RECETTORI COLLEGATI AD ENZIMI Una cellula per trasdurre un segnale extracellulare deve avere un enzima che trasduce il segnale e produce il
secondo messaggero dentro la cellula. È il meccanismo utilizzato da recettori ad attività enzimatica; una parte
è transmembrana, una è extracellulare che riconosce il ligando, e una è intracellulare attaccata ad un enzima
o con attività enzimatica.
RECETTORI TIROSINA CHINASI: Fosforilano proteine contenenti tirosina. È la classe di recettori per i fattori di crescita (epidermide EGF,
insulina IGF, fattore di crescita neuronale NGF, …). Hanno un azione di controllo del metabolismo e
favoriscono la proliferazione; dal punto di vista medico, se sono sovraespresse sono indice di crescita
tumorale (per un tumore mammario si possono somministrare anticorpi contro l’EGF perché le ghiandole
sono dei tessuti epiteliali).
Hanno un dominio conservato (la parte intermembrana), mentre le porzioni citoplasmatiche e extracellulari
differiscono (riconoscono ligandi diversi).
I ligandi di questi recettori non sono necessariamente ormoni (come lo è l’insulina); possono essere anche
fattori locali, come quello rilasciato dalle piastrine (PDGF) che ha utilità locale e fa crescere fibroblasti
favorendo la ricrescita di tessuto epiteliale.
Funzionamento: Il ligando lega il recettore; questo verrà stimolato e il dominio intracellulare si attiverà,
fosforilando proteine in due eventi di fosforilazione importanti:
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1. Il recettore stesso si auto-fosforila essendo esso stesso una proteina: tutte le tirosine esposte
verranno fosforilate dal dominio stesso, soprattutto le tirosine sulla coda del recettore perché
entrano più facilmente nel dominio catalitico. Anche in esso vi è un loop di attivazione costitutito da
una tirosina: il dominio catalitico è chiuso e solo quando arriva il ligando la tirosina che chiude il
domino catalitico viene fosforilata, portando all’apertura e all’attivazione.
2. Fosforilazioni lungo la parte intracellulare del recettore.
Le tirosine fosforilate sono un cambio
conformazionale stabile: esse sono
un’esca per una serie di altre proteine
che si legano al recettore solo quando
questo è fosforilato. Esse hanno infatti
dei domini chiamati SH2 (Sark
Homology, la prima proteina
identificata); essi hanno una forma a
“piattino”, dove all’interno si
posiziona una tirosina, ma solo se
fosforilata.
Prima specificità: per ogni ligando ci sono specifici recettori (es. PDGF agisce solo su fibroblasti perché solo
essi esprimono il recettore per PDGF).
Seconda specificità: le proteine che legano il
recettore tirosina chinasi fosforilato non
riconoscono solo la fosfotirosina, ma anche il
suo intorno legame preferenziale con
alcune tirosine fosforilate invece che altre.
Il segnale può a questo punto essere
trasdotto in due modi:
Le proteine attivate possono
dissociarsi dal recettore e andare a
trasdurre segnali fino al nucleo
(simil-secondi messaggeri, ma non
sono piccole molecole, sono intere
proteine).
Le proteine attivate (con dominio
SH2 e che sono attaccate al recettore attivato) possono svolgere la loro attività enzimatica creando
un secondo messaggero.
Uno delle proteine leganti il recettore attivato è la PLC-gamma, che ha un dominio SH2; questa viene attivata
e produce i secondi messaggeri IP3 e DAG. I recettori tirosina chinasi sono quindi in grado di generare ondate
di calcio e attivare la PKC.
VIA DI RAS
È una proteina G con attività GTPasica ma è monomerica (senza subunità beta e gamma). Sono attive se
legano GTP e inattive se legano GDP; possono presentare una diversa configurazione a seconda del
nucleotide legato. Sono divisibili in superfamiglie:
o Ras: espresse nella proliferazione, sopravvivenza e per funzioni riguardanti il citoscheletro.
o Rho: espresse nella risposta allo stress, per funzioni riguardanti il citoscheletro e il differenziamento.
Regolano molti aspetti della dinamica dell’actina intracellulare.
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o Ran: espresse nel trasporto nucleare.
o Rab: espresse nel traffico delle membrane, inclusa la formazione di vescicole, il movimento di
vescicole lungo la rete di actina e tubulina e la
fusione di membrane.
Sono proteine fondamentali per la crescita
cellulare: il 70% di tumori umani presentano una
sovraespressione di proteina Ras. Due classi di
melanomi: Ras One Type e Ras mutato (fanno sì
che il Ras non si possano spegnere mai, e il fattore
di crescita è sempre mutato).
Il recettore tirosina chinasi attivato, viene legato
dalla proteina Shc, formata nel complesso dalla
Grb2 e dalla Sos. La Grb2 è un adattatore con due
domini SH2, quindi riconosce due tirosine
fosforilate e si attacca al recettore tirosina chinasi;
ha anche un dominio SH3, con struttura diversa
che riconosce proteine ricche in Prolina (amminoacido particolarmente raro, e in sequenze ricche in prolina
sono rare). La proteina Sos è ricco in prolina e viene quindi trascinata accanto al recettore dal citoplasma;
una volta formato il legame tra Grb2 e Sos, la proteina G Ras permette al GDP di uscire e di legare GTP.
A questo punto il Ras provoca la cascata delle MAP chinasi: è una sequenza di attivazioni costituita da 3
chinasi che si chiamano Mitogen-Activated Protein (MAP).
a. La prima chinasi della famiglia MAPKKK (Raf-1) si trova inattiva sulla membrana; quando
arriva Ras, si accende e attiva la seconda chinasi.
b. La seconda chinasi della famiglia MAPKK (MEK) attiva la terza chinasi.
c. La terza chinasi della famiglia MAPK (ERK) può andare a fosforilare i fattori di trascrizione nel
nucleo o altre proteine nel citoplasma.
Meccanismo di amplificazione del segnale, permette il trasporto del segnale nel citoplasma profondo e
permette più livelli di controllo delle tre chinasi.
Queste tre MAPK sono tenute insieme da una proteina impalcatura, la KSR.
Traffico di Ras: ha vescicole lipidiche che lo ancorano a membrana e a tutte le vescicole della cellula.
Alcune proteine hanno funzione di solubilizzare la famiglia di Ras e Rho tenendoli inattivi lontani dalle
membrane, controllandone la funzione di segnalazione.
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VIA DI PI3K
Il fosfatidilinositolo 4,5-bifosfato (PIP2) è di bersaglio una lipide chinasi che lo fosforila sull’inositolo in
posizione 3, ossia la fosfatidilinositolo 4,5-bisfosfato chinasi (o PI 3-chinasi o PI3K), che lo trasforma in
fosfatidilinositolo 3,4,5-trifosfato.
Questo secondo messaggero è un componente minoritario nella cellula, ma è prodotti in risposta ai recettori
tirosina-chinasi e ad alcuni recettori a 7 eliche transmembrana. È un forte stimolo migratorio e proliferativo.
Tutti i lipidi derivati dal fosfatidilinositolo hanno ruoli importanti nell’organizzazione cellulare: per arrivare a
fosfatidilinositolo 3,4,5-trisfosfato si possono compiere molte vie diverse. L’enzima più studiato per sviluppo
e oncogenesi è quello che fosforila in posizione 3.
Struttura enzimi PI-3K: Sono enzimi importanti perché contengono un altro dominio ricorrente delle proteine
trasduttrici di fattori di crescita, ossia il dominio PH: è fatto come una molletta, un barile a beta foglietto con
due alfa eliche. Quando il fosfatidilinositolo (in una delle sue forme fosforilate) viene prodotto, queste
proteine sono risucchiate in membrana poiché hanno un dominio che le lega e qui possono partecipare alla
trasduzione del segnale. A seconda degli amminoacidi che costituiscono il bordo della “tazzina”, il PI viene
fosforilato in posizioni differenti.
Le PI 3-K non riconoscono ormoni direttamente, ma sono attivate a monte da proteine che riconoscono
ormoni (Src, Ras, Rho, recettori, …).
Gli enzimi PI3K ono raggruppabili in 3 classi:
Classe 1: sono dei dimeri costituitivi (le due subunità stanno sempre insieme). Una subunità è
regolatoria e contiene domini che permettono di controllare la seconda subunità, che è quella
catalitica e si occupa di fosforilare il PI in posizione 3, ottenendo in base al substrato di partenza
PI-3-P, PI-3,4-P2 o PI-3,4,5-P3.
Esiste:
1. Classe 1A: hanno domini SH2 e SH3; è attivata direttamente (tramite legame con i
recettori tirosina chinasi) o indirettamente (tramite attivazione di Ras).
2. Classe 1B: attivata da recettori a 7 eliche transmembrana accoppiati a proteine G. Non
ha domini SH2; può legare subunità G beta e gamma e può essere attivata da Ras.
Classe 2: rispondono a Ras e hanno una singola catena proteica; sono coinvolte nella
fosforilazione di PI in PI-3-P e di PI-4-P in PI-
3,4-P2.
Classe 3: producono soltanto in vitro PI-3-P
a partire da PI; questo lipide viene prodotto
su membrana di lisosomi (non plasmatica)
ed è importante per il traffico di vescicole
interne alla cellula verso i lisosomi.
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Akt o PKB
È una serina/treonina chinasi situata nel citoplasma con dominio chinasico chiuso da un loop di attivazione.
È parzialmente attivata mediante reclutamento alla membrana da parte da PIP3, a cui si lega tramite il
dominio PH; qui viene completamente attivata tramite fosforilazione in due serine.
Ha una struttura molto conservata durante l’evoluzione, soprattutto nei domini PH, nel dominio chinasico e
nella coda.
La PKB va a fosforilare diversi bersagli; ha principalmente tre funzioni:
1. Inibire l’apoptosi: impediscono che le cellule muoiano.
2. Promuovere il metabolismo cellulare: regolano la trascrizione fosforilano fattori di trascrizione di geni
che catabolizzano i nutrienti necessari a creare nuove cellule figlie.
3. Regolare NO.
Il gene PIK3CA (p110alfa) è mutato in quasi un terzo di tumori al seno e al colon e in più di un terzo di tumori
al fegato.
(Nuovo meccanismo studiato di PI3K (p110): essa è legata alla proteina p85 nel citoplasma, che la tiene
inattiva. Quando il recettore tirosina chinasi è attivo e fosforilato, p85 si lega a esso tramite dominio SH2 e
permette l’attivazione con p110, che va a questo punto ad attivare Ras-GTP. Funziona anche quindi come
attivazione della proteina G.)
SRC
Si tratta di una famiglia specifica di proteine tirosina chinasi citosoliche, non attivata da ligando. Questa
famiglia comprende 10 membri (3 espressi ubiquitariamente, 5 fanno parte del sistema ematopoietico e 2 si
trovano nelle cellule epiteliali); sono responsabili di proliferazione, adesione, movimento, differenziamento e
sopravvivenza.
Struttura:
- Amminoterminale lipidato: ancora la proteina
Src alla membrana.
- Dominio SH3 (lega proteine fosforilate in
prolina) e dominio SH2 (lega proteine
fosforilate in tirosina): interagiscono con le
proteine, hanno funzione regolatoria.
- Dominio chinasico.
- Coda carbossiterminale che può essere
fosforilata in tirosina da altre chinasi; ha
funzione inibitoria.
Src assume una conformazione chiusa se la
coda è fosforilata sulla Tyr 527, ed è quindi
inattiva. Se invece è fosforilata in Tyr 416 ha
conformazione aperta ed è attiva. Il SH2 riconosce la coda fosforilata e tiene chiuso Src: forma una palla
inattiva. Quando si apre è perchè la tirosina sulla coda non è più fosforilata, e viene fosforilata invece il loop
di attivazione.
Chi attiva Src? Si può attivare con due meccanismi:
Un recettore di membrana è fosforilato in tirosina e compete con la coda stessa della Src per legare
SH2; in questo modo la coda fosforilata è lasciata esposta alla fosfatasi, che mantiene l’enzima aperto
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abbastanza da permettere la fosofrilazione della Tyr del loop di attivazione, in modo da passare alla
forma attiva.
Src è attivato anche se una proteina ricca in prolina lega a SH3, in quanto fa aprire l’enzima. È il
metodo di virus HIV per far proliferare cellule ospiti. Esprime sequenza Nef ricca in proline che fa
aprire SH3 attiva Src e la cellula cresce anche senza fattori di crescita.
RECETTORE DELL’INSULINA
Non è un recettore tirosina chinasi classico.
Azioni di insulina (prevalentemente ruolo metabolico):
Assorbimento di glucosio nel muscolo.
Consumo di glucosio nel muscolo e nel fegato.
Sintesi di acidi grassi e trigliceridi, accumulati in adipociti di
tessuto adiposo.
Funzionamento: l’insulina è un ormone peptidico; due molecole di
insulina si legano a un recettore che è formato da tetramero
costitutivo, cioè 4 subunità che stanno sempre insieme: due sono
extracellulari (alfa) e due transmembrana e intracellulari (beta).
Quelle alfa hanno ognuna un sito di legame per insulina. Le due
subunità transmembrana beta hanno funzione di trasmettere il
messaggio in membrana tramite un cambio conformazione; sul
versante citosolico hanno un dominio catalitico tirosina chinasi che
trasduce in segnale.
Perché è atipico?
Questo recettore non dimerizza quando arriva il ligando, in quanto è già diviso in due subunità; in secondo
luogo, la coda citoplasmatica è molto corta e ha pochi residui fosforilati di tirosina.
Come fa a trasdurre?
IRS, Insuline Receptor Substrate: sono proteine senza
attività chinasica ma sono fondamentali per trasdurre
segnale di insulina, perchè se vengono tolte il recettore si
fosforila ma non trasduce il segnale. Sono degli adattatori
che stanno nel citoplasma e vengono fosforilati dal
recettore stesso nei residui di tirosina.
Le IRS, quando fosforilate e attivate, vanno ad attivare
Grb2, che a sua volta attiva la cascata delle MAPK tramite
Ras. Regola quindi l’espressione genica. Sostanzialmente,
si ha un cross-talk tra il recettore pe l’insulina e i recettori
GPCR, in quanto sfrutta questa via di trasduzione.
Effetti di insulina:
Controlla fattori di trascrizione che controllano
catabolismo di glucosio e sintesi di acidi grassi. Essere
stati esposti per tanto tempo a insulina fa sì che il tessuto
adiposo dopo la dieta si riformi velocemente, perché nel
fegato e nei muscoli ci sono grandi quantità di enzimi.
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Portano in membrana i trasportatori del glucosio: in alcune cellule (es. tessuto nervoso e epatociti) i
trasportatori del glucosio sono sempre mantenuti in membrana consumano glucosio
indipendentemente da glicemia.
Nel tessuto muscolare, il trasportatori di glucosio sono mantenuti pronti in vescicole citoplasmatiche;
solo quando c’è insulina (cioè ci sono carboidrati), i trasportatori vengono portati in membrana e
sono pronti a far entrare glucosio nel muscolo, che può catabolizzare glucosio solo quando c‘è
glucosio in circolo.
Nel diabete, dove il recettore di insulina funziona poco o non ha più insulina, dopo un pasto di
carboidrati i tessuti muscolari non consumano glucosio perché non lo fanno entrare e il glucosio
rimane in circolo (le cellule stanno morendo di fame in mezzo a un mare di glucosio). Se in un paziente
sano si alzano i livelli di glucosio in circolo i muscoli sono più attivi perchè attingono da questo invece
che dal glicogeno.
Promuovono la sintesi di glicogeno, cioè accumulo di glucosio in forma di polimero. Nel muscolo
viene usato per fare energia, ma in altri casi va a formare acidi grassi e glicogeno.
L’enzima che sintetizza glicogeno ha il glucosio come substrato ed è attivo; è mantenuto spento da
un enzima che lo fosforila (fosforilazione
inibitoria).
GS=glicogeno sintasi.
GSK=glicogeno sintasi-chinasi, che spegne.
Il recettore per insulina fosforila la GSK
spegnendola a sua volta.
REGOLAZIONE A FEEDBACK NEGATIVO Spegnimento di proteine G (nei recettori
associati a proteina G).
Internalizzazione del recettore in vescicole: lLa
coda può essere fosforilata da chinasi
intracellulare; quando è fosforilata viene
riconosciuta da beta arrestine che
promuovono internalizzazione del recettore
dentro a vescicole intracellulari: il recettore
non può più rispondere a segnali extracellulari.
Degradazione/disattivazione del secondo messaggero: ad esempio cAMP o calcio.
Membri di Cbl: sono ubiquitine ligasi che contengono un dominio SH2. Per questo, possono riconoscere un
recettore fosforilato (perché già inattivo), si associano ad esso e promuovono la ubiquitinazione.
La quantità di Cbl associato al recettore determina la durata dell’attivazione del recettore. A seconda dei casi
(e dall’intensità di segnale), il recettore inattivo all’interno di vescicole può essere riportato in membrana e
qui essere deubiquitinato da Cbl e poi degradasto nel proteasoma; in caso di segnale prolungato forte il
recettore può essere portato ai lisosomi e degradato insieme a proteine associate.
RECETTORI ASSOCIATI A TIROSINA CHINASI: Sono i recettori per citochine e ormoni glicoproteici: controllano sistema immunitario.
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Struttura: sono proteine dimeriche o multimeriche transmembrana
che non hanno un’attività tirosina chinasica; il dominio chinasico viene
dato da una chinasi che è attaccata costitutivamente al recettore. Le
chinasi associate a questi recettori sono chiamate JAK (nome che
deriva da giano bifronte, che ha una porta dentro e una fuori, oppure
deriva da Just Another Kinase). Un monomero di tali recettori è
formato da una parte extracellulare, contenente due ponti disolfuro e
una sequenza amminoacidica conservata, una parte transmembrana e
una parte intracellulare, che contiene il sito di legame per JAK.
A riposo il recettore è inattivo e le due subunità
sono separate (hanno poca affinità verso il
ligando); quando arriva la citochina, essa viene
legata da entrambe le due subunità (che
acquistano un’alta affinità verso il ligando), che
quindi dimerizzano. Si trasmette un cambio
conformazionale che porta le JAK ad attivarsi e a
fosforilare se stesse a vicenda nel loop di
attivazione e poi a fosforilare la coda del
recettore. La coda fosforilata è il sito di legame
per proteine contenenti SH2, una serie di fattori
di trascrizione chiamati STAT (signal transducers
and activators of transcription): esse stanno nel
citoplasma inattive, quando si legano al
recettore attivato vengono a loro volta
fosforilate da JAK. A questo punto si possono
legare l’un l’altra a formare un dimero (ognuna
lega nel dominio SH2 la tirosina fosforilata dell’altra) e possono andare nel nucleo, dove promuovono
trascrizione di geni bersaglio.
In base al tipo di segnalatore e al tipo di recettore vengono avviati dei sentieri di segnalazione differenti,
coinvolgenti diversi tipi di JAK e STAT.
ERITROPOIETINA:
È una proteina che controlla la produzione degli eritrociti; è prodotta
dal rene in risposta a una bassa pressione parziale di O2 nel sangue.
Essa si lega a recettori per la EPO sulla superficie degli eritroblasti
nel midollo osseo e le stimola a dividersi da 5 a 7 volte (ognuna delle
30-100 cellule figlie si differenzia poi in eritrocita). È una proteina
usata anche clinicamente per trattare l’anemia causata da
insufficienza renale o altri disturbi come AIDS.
Recettore: EPO a livello molecolare altera conformazione di
recettore, il quale ha legate due chinasi JAK che fosforilano il
recettore stesso. Il recettore fosforilato da una parte attira le STAT,
che vengono fosforilate a loro volta da JAK: esse possono
dimerizzare, esporre il dominio di localizzazione nucleare (NLS) e
andare a influire sulla trascrizione. Dall’altra parte, l’attivazione di
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del recettore da parte di JAK va ad attivare tramite Grb2 la cascata delle MAPK, che va sempre ad influire
sulla trascrizione di geni.
La segnalazione prodotta dalla EPO termina quando la proteina SHP1 (con attività fosfatasica) defosforila JAK,
inibendo la sua attività chinasica.
TIROSINA FOSFATASI SIMILI A RECETTORI
RECETTORI SERINA/TREONINA CHINASI
RECETTORI GUANILATO CICLASI GMP ciclico: lo schema di reazione e di consumo è simile
all’AMP ciclico. Il GTP viene ciclizzato da una fosfodiesterasi,
idrolizzandol o a guanosinmonofosfato ciclico (legame tra il
gruppo fosfato e il carbonio in posizione 5). È un secondo
messaggero intracellulare, perché è polare e non può uscire
dalla cellula.
Livelli: controllati da velocità di fosfodiesterasi e guanilato
ciclasi. (gia visto nelle cellule della retina).
Il GMPc è prodotto da due tipi di enzimi guanilato ciclasi:
Una forma è solubile nel citoplasma.
L’altra è un recettore con un dominio intracellulare
guanilato ciclasi. Quando arrivano i ligandi, il recettore si
attiva e promuove la formazione di cGMP.
Bersagli del cGMP:
Canali ionici.
Protein chinasi G, PKG: è formata da un’unica catena che dimerizza: contiene un’alfa elica
responsabile della dimerizzazione, un dominio regolatorio a cui si legano due unità di GMP ciclico (in
totale 4 per la piena attivazione) e un dominio catalitico. Il dominio regolatorio si inserisce nella tasca
del sito attivo bloccandolo, e viene espulso solo se c’è GMP ciclico.
Questa classe di enzimi sono importati per in controllo di pressione sanguigna: il cuore produce il fattore
natriuretico atriale, che agisce con questi meccanismi sul rene (dove provoca l’apertura dei canali) e i vasi
sanguigni (dove provoca la contrazione del muscolo).
Funzioni cGMP:
- Controlla il trasporto ionico e la ritenzione di acqua (rene e intestino).
- Rilassamento del muscolo cardiaco.
- Sviluppo e funzionamento del cervello.
- Apertura dei canali ionici nei coni e nei bastoncelli.
Anche l’ossido nitrico, agendo su guanilato ciclasi solubile controlla la stessa via di segnalazione, perché andrà
a produrre GMP ciclico.
MONOSSIDO DI AZOTO
È una molecola piccola, e può passare in membrana perché non è polarizzato. È un mediatore locale perché
essendo un radicale libero reagisce rapidamente ossidandosi a NO2 o NO3: rapidamente il monossido di azoto
si inattiva.
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Come viene prodotto?
Avviene per opera di una NO sintasi che ha come substrato l’amminoacido arginina che viene ossidato a dare
un altro amminoacido, la citrullina. Viene staccato un azoto, che viene ossidato a dare NO: può uscire dalla
cellula e andare a influenzare cellule vicine.
Una classica cellula che produce No è la cellula endoteliale, mentre la classica cellula che risponde è la cellula
muscolare, che si contrae per controllare il carico del vaso sanguigno.
Le NO sintasi sono 3:
1. Endoteliale (eNOS): si trova nelle cellule endoteliali, e dipende da calcio. Ha un ruolo nel controllo del
tono vascolare.
2. Neuronale (nNOS): ha un ruolo nella modulazione della stabilità delle sinapsi. Viene attivata quando
c’è tanto calcio nel neurone, quindi quando è tanto stimolato.
3. Isoforma inducibile (iNOS): è espressa ad altissimi livelli nei macrofagi maturi che hanno risposto alle
citochine che segnalano la presenza di una infiammazione. Essi hanno due sistemi enzimatici: uno
che genera monossido di azoto e uno che genera acqua ossigenata. Il NO viene sparato su batteri e
sulle cellule infettate insieme all’acqua ossigenata per uccidere le cellule; entrambi però possono
diffondere alle cellule vicine, quindi non è una uccisione mirata effetti collaterali di tutto il tessuto:
sono fattori ossidanti molto forti.
Il principale bersaglio di NO è la guanilato ciclasi solubile presente nel citoplasma: essa è dipendente da NO
e contiene un gruppo eme, a cui il monossido di azoto si può levare. Quando l’NO entra nella cellula va a
legare la guanilato ciclasi solubile attivandola; innalza il livello di GMP ciclico intracellulare, avendo quindi lo
stesso ruolo dei recettori ad attività guanilato ciclasi.
L’inattivazione della via avviene rapidamente tramite due processi:
- In breve tempo l’NO si ossida a nitriti e nitrati.
- La fosfodiesterasi di tipo 5 converte il cGMP in 5’-GMP inattivo.
Usi applicativi:
Nitroglicerina: viene usata in piccole dosi per infarti miocardici: rilascia NO, che fa rilassare la
muscolatura cardiaca. Facendo rilasciare la muscolatura liscia del vaso provoca abbassamento di
pressione e minor rischio di trombosi.
Viagra: fu sviluppato per funzionare come la nitroglicerina, cioè controllare la pressione sanguigna.
Tra gli effetti collaterali c’era una poderosa erezione (vasodilatazione dei corpi cavernosi). Il viagra o
sildenafil va ad inibire la fosfodiesterasi di tipo 5, che è quella deputata al catabolismo di cGMP (e
quindi alla fine dello stimolo) nei corpi cavernosi.
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RECETTORI DI ADESIONE CELLULARE Questa classe di recettori comprende diversi tipi di recettori, tra cui integrine,
caderine, CAM, selectine, …
Le integrine sono recettori di adesione cellula-cellula e cellula matrice: hanno
una porzione extracellulare che lega fibrinogeno, collagene, fibronectina, … e
una porzione intracellulare molto corta che lega elementi del citoscheletro
cellulare. Le segnalazioni possono essere sia di tipo “esterno-interno” in cui la
matrice segnala cambiamenti conformazionali nel citoscheletro cellulare, sia
di tipo “interno-esterno”, inducendo l’adesione agli elementi della matrice.
Oltre ad avere funzione di adesione, servono anche per la segnalazione: ad
esempio sono importanti per il reclutamento di leucociti sui siti di infezione o
per la formazione del tappo piastrinico durante la coagulazione. Nella malattia
di Glanzmann si ha la mancanza dell’interina beta3 sulle piastrine a causa di
mutazione genetica: questo causa una mancata coagulazione, quindi eccessivo
sanguinamento.
MECCANISMI RECETTORIALI PER PERCEPIRE AMBIENTE ESTERNO VISTA
Il recettore a sette eliche transmembrana accoppiato alla proteina G si chiama ropopsina, con al suo interno
un derivato della vitamina A, il retinale. Esso può esistere in due isomeri: tutto-trans, che ha tutti i legami
trans, o cis, che ha un legame cis in posizione 11. Questa seconda conformazione presenta le parti più
ingombranti dalla stessa parte di molecola, quindi è piegata; per questo la molecola più stabile è la forma
trans, ma la cis per diventare trans deve rompere il doppio legame.
La opsina (parte proteica della rodopsina) lega il retinale nella forma cis (11-cis retinale), meno stabile: ha
bisogno di energia per rompere doppio legame e diventare stabile. L’energia viene fornita dalla luce.
A riposo, il recettore rodopsina lega l’cis-retinale; arriva il fotone di luce visibile (non raggi X perché la sua
lunghezza d’onda non reagirebbe) e interagisce con il retinale, fornendo energia per trasformare la forma
11-cis a trans, cioè alla forma distesa. Cambiando la forma del ligando, deforma il recettore che passa alla
forma attiva; può a questo punto interagire con la proteina G, che si dissocia e la G alfa va ad attivare una
fosfodiesterasi. Quest’ultima inattiva il GMP ciclico: quando esso è presente tiene aperto un canale proteico
che fa passare sodio e mantiene la cellula depolarizzata; quando arriva la luce, viene consumato il GMPc e
questo chiude il canale. La pompa sodio-potassio spara fuori il
sodio entrato e ripolarizza la cellula.
Questo meccanismo fa sì che il neurone post-recettore venga
stimolato a inviare un segnale elettrico verso il cervello
radiazione elettromagnetica trasformata in segnale elettrico
verso il cervello.
Il segnale si spegne perché la opsina rilascia il trans-retinale che
viene ridotto a trans retinolo, ri-isomerizzato a 11-cis retinolo e
ridotto di nuovo a 11-cis retinale.
Il retinale assorbe la luce in relazione al suo spettro di
assorbimento, cioè in base al suo colore: dipende dalla
differenza energetica tra livello basale ed eccitato di elettroni della molecola. Dipende dalla forma della
molecola e dall’intorno della molecola, cioè della proteina che la circonda. Variando gli amminoacidi che
circondano il recettore si può variare leggermente lo spettro di assorbimento del retinale.
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Ci sono 4 geni che codificano per la rodpsina: uno ha specchio di assorbimento neutro, gli altri 3 hanno
amminoacidi che interagiscono con il retinale, variando leggermente lo spettro di assorbimento (tendono
verso il rosso, il verde o il blu). Questi 3 geni sono espressi selettivamente in ciascuna delle 3 classi di coni. I
coni richiedono più luce per essere attivati quindi non percepiscono i colori a basse condizioni di luce.
I daltonici hanno uno dei 3 geni mutati, quindi vedono solo due colori.
VITAMINA A: Il retinale deriva da vitamina A, la quale deriva a sua volta dal carotene, formata da due retinali
uniti insieme. Lo si trova nei vegetali rosso-arancioni o come vitamina A già processata e matura dal fegato
di pesci, burro o latte. È una proteina liposolubile. La vitamina A ha tanti ruoli: oltre a dar vita al retinale dà anche vita all’acido retinoico, forma ossidata del
retinolo. Prodotto dall’organismo purché abbia sufficienti quantità di vitamina A o retinolo.
La vitamina A viene assorbita nell’intestino e viene rotta in due parti, ottenendo due molecole di retinale.
Queste vengono poi convertite in retinolo attivo oppure vengono immagazzinate nelle cellule stellare di Ito
del fegato. La deficienza si manifesta solo per carenze prolungate alimentari, perché si conserva sia nel fegato
sia nel tessuto adiposo;
Sintomi da carenza di vitamina A:
o Cecità notturna parziale: in condizioni di scarsa luminosità è importante il numero di recettori
funzionanti sulla membrana. Se questo numero è basso si vede male.
o Ipercheratosi: ispessimento e rottura della pelle.
La vitamina A è un importante antiossidante (utilizzati per ridurre lo stress ossidativo nei polmoni dei
fumatori), ma dosi eccessive di carotene inducono danno epatico.
OLFATTO
Gli odori influiscono sulle sensazioni di fame e nausea, perché sono collegati con la parte più profonda del
cervello.
Il recettore ha come ligandi delle molecole che sono entrate per via aerea nel naso e si sono sciolte nel muco
che ricopre le cavità nasali. È un recettore GPCR ed è legata alla proteina G olfattoria: attiva adenilato ciclasi,
che produce AMP ciclico. Essa apre il canale per calcio e per cloro: entra sodio e esce cloro depolarizzando la
cellula. Rilascia un neurotrasmettitore sul lato basale che va a stimolare un neurone che porta il segnale al
cervello.
Le cellule dell’epitelio olfattivo sono cellule di derivazione neuronale, ma sono una delle poche cellule che si
possono rigenerare continuamente, perché sono
esposte a stress ossidativo, essiccazione.
Gli odori percepiti sono la combinazione
dell’intensità e dei tipi diversi di cellule che
vengono stimolate; ogni cellula trasmette il suo
impulso solo a un neurone (rapporto 1:1).
GUSTO
È localizzato sulla lingua; i recettori si dividono in: recettori per il dolce, salato, acido e amaro (ultimi due
come meccanismo di repulsione contro i veleni). Altri due gusti, meno forti, sono i cibi ricchi di proteine, cioè
l’umami (soprattutto glutammato) e quello per percepire i grassi.
Meccanismo con cui percepiamo gli acidi organici: gli acidi grassi a corta catena possono passare attraverso
le membrane rendendo più acida la cellula esposta al cibo. Vanno a bloccare un canale che permette al
potassio di uscire: i protoni chiudono il canale e la cellula si depolarizza.
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L’amaro, gli amminoacidi e il dolce attivano recettori a sette eliche transmembrana accoppiati a una proteina
G che attiva fosfolipasi C; il IP3 creato libera calcio nel citoplasma: esso agisce infatti su canali ionici di
membrana che depolarizzano la cellula.
Il salato è regolato da un recettore che fa entrare sodio.
TEMPERATURA
Cellule che percepiscono temperatura, pressione e dolore.
Si aprono quando percepiscono sbalzi di temperatura. I recettori canale hanno una conformazione chiusa,
più stabile, e una aperta; più è caldo più c’è vibrazione a livello molecolare: vibrano e passano a quella aperta
con temperature alte. La soglia varia da meno di 17 gradi fino a più di 50 gradi, a seconda del recettore
attivato.
La menta attiva gli stessi canali che sarebbero attivati dal freddo; il peperoncino fa da agonista per i canali
che percepiscono un moderato riscaldamento.
UDITO
La parte sensoriale è costituita dalle cellule sensorie dotate di
ciglia rigide, conficcate in una membrana superiore: quando
arriva la vibrazione, la membrana schiaccia le ciglia delle cellule
sottostanti. Ci sono addensamenti proteici in corrispondenza di
ciglia successive, legate da un sottile filamento proteico
(lateralmente su una ciglia più lunga e sulla punta di quella più
bassa). Quando arriva il suono, la ciglia più lunga viene spostata
su un lato. Il filamento regola l’apertura di un canale: quando il
filamento proteico si muove apre il canale.