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Che cos’è l’antropologia culturale: significa “studio dell’uomo”. Antropologia equivale quindi in generale come “scienza dell’uomo” che si pone l’obbiettivo di studiare i caratteri e le differenze tra le società e le culture. Definizione di Taylor (1871), uno dei fondatori dell’Antropologia culturale come disciplina scientifica. «La cultura, o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume, e qualsiasi altra capacità e abitudine acquista dall’uomo come membro di una società». In questa definizione si trovano alcune importanti nozioni: 1. La cultura si trova in qualsiasi gruppo sociale. Riguarda le modalità di esistenza di diversi popoli: non esistono popoli con cultura e popoli privi di cultura. 2. La cultura è un insieme complesso di elementi che ingloba tutte le attività umane (non solo quelle di carattere intellettuale) che si trovano in tutti i popoli: economia, morale, tecnologia, l’arte, il diritto, i riti, le credenze, i modi di pensare e di vedere il mondo, i comportamenti sociali ... 3. La cultura non è connaturata all’uomo, ma è acquisita. 4. La cultura è un fatto sociale, è cioè acquisita dall’uomo nell’ambito della vita associata. Poiché esistono molteplici forme di vita associata, esistono tante culture quante sono le società. Come si vede, la cultura è essenzialmente un fatto sociale e questo ci permette di distinguere il termine dall’uso corrente e tradizionale, legato essenzialmente all’individuo. In questa accezione la cultura si identifica con l’attività intellettuale dei singoli: è il sapere (in campo artistico, filosofico, letterario, scientifico) che ciascun individuo assimila mediante lo studio. La cultura: Gli antropologi si avvalgono del metodo induttivo, cioè di un approccio secondo il quale leggi e principi conoscitivi vengono assunti in seguito a un’esperienza empirica: dopo aver soggiornato presso una comunità, deve fare forma ai comportamenti individuali e di elementi che formano quelle che chiamiamo "cultura" o una "società", elementi che gli individui usano tutti i giorni, senza per forza pensarli come strutturati in un insieme organico. Sono gli studiosi a dar loro forma, organizzandoli in ambiti, tipologie, categorie e conferendo loro a volte una coerenza che non sempre hanno. All’inizio si parlava di cultura al singolare: solo successivamente si iniziò a parlare di culture al plurale, in contrapposizione a una visione unilineare. Con il trascorrere del tempo l’accento si è spostato verso una relazione

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Che cos’è l’antropologia culturale: significa “studio dell’uomo”. Antropologia equivale quindi in generale come “scienza dell’uomo” che si pone l’obbiettivo di studiare i caratteri e le differenze tra le società e le culture. Definizione di Taylor (1871), uno dei fondatori dell’Antropologia culturale come disciplina scientifica.«La cultura, o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume, e qualsiasi altra capacità e abitudine acquista dall’uomo come membro di una società».In questa definizione si trovano alcune importanti nozioni:

1. La cultura si trova in qualsiasi gruppo sociale. Riguarda le modalità di esistenza di diversi popoli: non esistono popoli con cultura e popoli privi di cultura.

2. La cultura è un insieme complesso di elementi che ingloba tutte le attività umane (non solo quelle di carattere intellettuale) che si trovano in tutti i popoli: economia, morale, tecnologia, l’arte, il diritto, i riti, le credenze, i modi di pensare e di vedere il mondo, i comportamenti sociali ...

3. La cultura non è connaturata all’uomo, ma è acquisita. 4. La cultura è un fatto sociale, è cioè acquisita dall’uomo nell’ambito della vita associata.

Poiché esistono molteplici forme di vita associata, esistono tante culture quante sono le società.

Come si vede, la cultura è essenzialmente un fatto sociale e questo ci permette di distinguere il termine dall’uso corrente e tradizionale, legato essenzialmente all’individuo. In questa accezione la cultura si identifica con l’attività intellettuale dei singoli: è il sapere (in campo artistico, filosofico, letterario, scientifico) che ciascun individuo assimila mediante lo studio.

La cultura: Gli antropologi si avvalgono del metodo induttivo, cioè di un approccio secondo il quale leggi e principi conoscitivi vengono assunti in seguito a un’esperienza empirica: dopo aver soggiornato presso una comunità, deve fare forma ai comportamenti individuali e di elementi che formano quelle che chiamiamo "cultura" o una "società", elementi che gli individui usano tutti i giorni, senza per forza pensarli come strutturati in un insieme organico. Sono gli studiosi a dar loro forma, organizzandoli in ambiti, tipologie, categorie e conferendo loro a volte una coerenza che non sempre hanno. All’inizio si parlava di cultura al singolare: solo successivamente si iniziò a parlare di culture al plurale, in contrapposizione a una visione unilineare. Con il trascorrere del tempo l’accento si è spostato verso una relazione dialettica tra individuo e gruppo, tra individuo e ambiente in cui vive. Le culture appaiono meccanismi diversi a seconda della chiave che si usa per avvicinarsi a esse. Sono molte le definizioni di cultura che ci sono state, tutte con una loro coerenza, ma alcune ne danno una visione statica, altri corrono il rischio di reificarla: in generale è difficile perché la cultura è instabile, sfuggevole, propensa al cambiamento, con un carattere irregolare e casuale. L’aspetto dinamico venne messo in evidenza dalla Scuola di Manchester, che propose un’analisi processuale anziché una fotografia delle società, divenuto ancora più evidente nella realtà contemporanea, con i suoi flussi di popolazioni e idee ancora più rapidi e copiosi. L’idea di una comunità radicata su un territorio e di individui legati a una cultura determinata da quella condizione è stata messa in crisi dal concetto di deterritorializzazione, cioè la produzione di nuove culture fortemente sincretiche e di nuovi immaginari, da parte di chi si trova a vivere in realtà lontane da quelle in cui è cresciuto. Negli ultimi anni si preferisce al termine cultura quello di agency, che indica la capacità degli individui a intervenire nei processi culturali opponendosi a determinate scelte, formulando e proponendo nuove opzioni, non previste dall’immaginario vigente. È molto difficile combinare la necessità di chiarezza, di precisione e un certo grado di assolutezza con l’altrettanto necessario grado di apertura e di indefinitezza a cui la realtà costringe. Le culture sono come cantieri sempre aperti, nei quali si svolge una continua attività di montaggio, smontaggio, costruzione, innovazione, partendo da materiali dati, disponibili sul posto, senza disdegnare apporti esterni se funzionali, con la possibilità di trasformarli a seconda dei gusti degli abitanti

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L’altro : “Poiché studia le differenze tra società e culture, l’antropologia si assegna il compito di pensare l’altro”. In un primo momento lo studio dell’alterità è concepita come storica: l’uomo europeo storicamente evoluto rispetto a quello primitivo o geografica: l’uomo europeo in contrapposizione a quello non europeo. Il concetto di europeo era associato al positivo, il non europeo al negativo; concetto poi invertitosi nel corso del xx secolo. Al primitivo si sono associati valori di uguaglianza, fraternità e comunitarismo, all’uomo civilizzato la perdita di umanità e alienazione dai valori umani. Si tratta in entrambi i casi di estremizzazioni ideologiche alquanto generaliste smentite a seguito di ulteriori ricerche. L’altro non si riferisce necessariamente a realtà lontane. Nel momento in cui l’antropologo studia ad esempio la cultura degli emarginati di una grande città la distanza rispetto all’oggetto non è più geografica, ma sociale e cognitiva.

L’etnocentrismo : il concetto di etnocentrismo consiste nel giudicare le forme, morali, religiose e sociali di un’altra comunità in base alle proprie norme e considerare le differenze riscontrate come anomalie. È una forma di orgoglio nella quale l’antropologia è caduta fin dalla sua nascita. Anche ottimi osservatori ed antropologia sono talvolta incappati in questo errore, a volte inconsciamente: è molto difficile infatti liberarsi dall’influenza della propria cultura dopo averla così lungamente assorbita. La cultura occidentale è sempre stata caratterizzata da un rigido etnocentrismo ed è stata a lungo considerata come il prototipo della civiltà stessa. Tutto ciò che da essa si discosta veniva considerato come subcultura. Le teorie evoluzioniste hanno contribuito all’elevazione di questo aspetto come scientifico, enfatizzando lo sviluppo tecnologico come parametro per riferirsi alle culture.

Razza : termine a lungo servito per designare una suddivisione della specie umana basta su criteri biologici. La classificazione pensa di poter ordinare ciò che nella diversità è genetico, l’unico modo tuttavia per poter operare una distinzione consiste nell’osservare la tendenza dei membri di una comunità a sposarsi tra loro per una procedura logica di raggruppamento e per un grado di somiglianza genetica: la conclusione più corretta è che la suddivisione in razze non spiega che in piccola parte la diversità genetica della specie umana. Le classificazioni razziali quindi ancora in vigore sono arbitrarie e lacunose, ma in certi ambienti si continua a pensare in termini di razza, a considerare ogni popolazione come costituita da tipologie razziali definiti arbitrariamente. È stato comunque appurato e confermato che il termine razza appartiene a concetti di un’epoca passata, all’antropologia approssimativa del xix secolo i cui frutti hanno dato origine a tragiche conseguenze come le Shoa, basata sui concetti assurdi e differenze inesistenti all’interno della stessa specie umana. Da quel momento il problema delle razze umane diventa un oggetto inesistente.

Nascita antro : l’antro nasce come forma di riflessione scientifica sulle società e le culture umane durante il regno della regina Vittoria (1837-1901). Ad eccezione di alcune ricerche condotte in clima illuminista, nessuna teoria o riflessione su altre società esterne al modello europeo venne condotta prima. L’antropologia si afferma in clima positivista, nato dall’incontro di metodi di ricerca e una visione ottimistica in cui le scienze naturali e storiche ricevono un nuovo impulso. Alcune opere come l’origine della specie di Darwin gettano luce sul passato e sul mondo degli uomini e scuoto alle basi teorie considerate inattaccabili come il creazionismo rendendo possibile per l’antropologia svilupparsi al pari di altre scienze; l’idea dell’evoluzione in Inghilterra viene adottata per spiegare tutte le forme di organizzazione sociale dove le società più complesse sono quelle più evolute.

Taylor: animismo e sopravvivenza : Taylor concepisce l’evoluzione culturale su basi cognitiviste, secondo le quali gli individui si sviluppano tramite la crescita delle conoscenze e l’acquisizione di informazione. Questo aspetto dell’evoluzione emerge nei concetti di animismo e sopravvivenza.

a. ANIMISMO: credenza in esseri spirituali e nelle anime. Per T è una caratteristica dei popoli primitivi per i quali anche gli oggetti possiedono un’anima, raggiungibile tramite il sogno e lo stato di trance, fenomeni di sdoppiamento della personalità e di apparizioni dei defunti avvenute durante il sonno creavano la convinzione che vi fosse un’esistenza separata dal corpo umano, un altro piano di esistenza che si manifestava durante la vita e dopo la morte. Dall’animismo si sarebbero poi sviluppate la magia e tutte le credenze religiose, dal politeismo fino al monoteismo. In generale il termine animismo identifica il pensiero mitico, magico, religioso, per distinguerlo da quello scientifico e razionale.

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b. SOPRAVVIVENZA: elementi culturali e sociali considerati sopravvissuti ad una precedente fase evolutiva. Come gli antropologi del tempo T credeva che i primitivi fossero rappresentanti di una passata epoca della storia occidentale. T considera lo sviluppo culturale di tutti i popoli come una serie di corrispondenze di momenti evolutivi, in particolare per quanto riguarda i popoli tuttora rimasti allo stadio primitivo come periodo remoto dei popoli civilizzati. Questa teoria evoluzionistica unilineare verrà poi ripresa e condannata dalla critica post-positivista, poiché l’evoluzione di un popolo è la somma di molti aspetti unici e diversi la teoria di T era errata dal punto di vista antropologico, ma corretta dal punto di vista sillogistico.

Riti di passaggio: sono definiti riti di passaggio quei riti che segnano la transizione di individui o gruppi sociali da una condizione sociale ad un’altra, sono meccanismi cerimoniali che guidano, controllano e regolamentano i mutamenti di ogni tipo di individui o gruppi. Van Gennep è colui che si è occupato molto di questo aspetto sociale che si caratterizza in due grandi divisioni: una base sessuale (maschio-femmina), l’altra magico-religiosa che si esprime nella distinzione sacro-profano.Dalla nascita alla morte l’individuo passa da una condizione all’altra, e ogni società si occupa che questi cambiamenti possano avvenire senza scosse per la società né violenti arresti per la vita individuale e collettiva; van gennep ha inteso il passaggio di condizioni sociali in termini di passaggio materiale, es il matrimonio implica cambiamento di domicilio. Dal modello di passaggio materiale, gennep ricava una nozione fondamentale di MARGINE, una linea di confine più o meno chiara, una zona neutra una terra di nessuno che si trova tra gli spazi sociali. La struttura dei riti di passaggio:

a. Riti di separazione, agevolano il distacco dalla situazione originariab. Riti di margine, stato di sospensionec. Riti di aggregazione, introduzione nel nuovo gruppo, territorio, condizione

Il merito di van gennep è quello di aver richiamato alla nozione di margine, che rallenta il passaggio e introduce una gradualità tipica del rituale. Ma secondo van gennep il concetto di margine si riscontra anche nei ritmi naturali, biologici e cosmici. Se si va oltre queste scarne opinioni, si può affermare che gli effetti convergenti dei riti di passaggio sono la naturalizzazione della società umana, o l’umanizzazione della natura; questi riti si presentano come un ponte mediatico tra i due regni: un linguaggio sociale che impiega termini naturali.

Assmann: la morte come tema culturale: Da alcuni miti l’uomo viene definito come un essere ibrido, laddove il sapere divino è attributo di vita eterna i l’ignoranza alla mortalità, l’uomo è una curiosa combinazione che renderebbe l’uomo sapiente simile ad una divinità. Ma che si tratti di conoscenza arcana o di bene e male, solo l’uomo è consapevole della sua morte, al contrario degli animali ad esempio; chi è possessore di una tale conoscenza non dovrebbe morire, e coloro che sono mortali non dovrebbero sapere di esserlo. Questa consapevolezza mantiene l’uomo in uno stato di inquietudine perenne, secondo Agostino, serve e mantenere l’uomo conscio della sua dimensione terrena. Entra qui in gioco la cultura, che subentra come mondo artificiale dove vivere, un tentativo di creare un mondo in cui l’uomo possa esistere oltre il suo limitato tempo vitale, appagandosi nel dare all’esistenza un senso oltre la morte. L’aspetto individuale consiste nella percezione che vi sia una sorta di immortalità senza la quale l’uomo cadrebbe in profonda depressione. L’aspetto culturale consiste nel fatto di rendersi partecipi di un insieme di esperienze e ricordi individuali che attraverseranno i secoli; anche colui che considera la morte come fine di tutto si applica per creare qualcosa che gli sopravvivrà dando ad esempio un contributo rilevante in ambito culturale. Nonostante la morte sia uniforme dal punto di vista biologico, ogni cultura l’ha assimilata in maniera diversa e diverso è il suo rapporto con essa sviluppando una vera e propria “storia della morte”: immagini, riti culturali e funebri e tutto quello che riguarda la fine della vita.

Il corpo innaturale: Il primo modo con cui noi percepiamo gli altri passa attraverso lo sguardo: l’aspetto di un individuo è il primo parametro sulla base del quale classifichiamo e definiamo un

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individuo. Uno dei primi elementi che si incontrano in una ricerca è proprio l’aspetto delle persone, il loro modo di presentare il corpo, di decorarlo, di modellarlo. Gli antropologi si sono sempre interrogati sul rapporto tra natura e cultura: il corpo umano è un ottimo strumento per analizzarlo, poiché l’uomo ha completato la propria struttura con un più o meno consistente apparato culturale. La diffusa opinione che fosse stato il fatto di avere un cervello proporzionalmente più grande rispetto agli altri primati ad aver consentito all’uomo di costruire e utilizzare attrezzi è stata capovolta da Andrè Leroi-Gourhan, che sostenne che fosse il fatto di utilizzare attrezzi che ha contribuito allo sviluppo del nostro cervello. La cultura ha contribuito a influenzare la natura del nostro corpo, così come la lingua ha influenzato la distribuzione genetica dei gruppi umani. L’intreccio e l’interscambio tra natura e cultura è continuo e costante. È vero che discendiamo dalle scimmie, ma è anche vero che il corpo che ci accomuna è scolpito, disegnato e modellato in modo diverso: dall’acconciatura alle pitture corporali, alle incisioni e alle deformazioni, come se il corpo così com’è non soddisfi le esigenze dell’uomo.

Produrre, scambiare, consumare: Che viva come parassita sfruttando ciò che la natura gli fornisce, che agisca sull’ambiente per spremerne risorse, l’uomo è costretto per sopravvivere a operare al fine di ricavare e trasformare beni di sostentamento, manufatti e servizi più o meno indispensabili e che possono produrre reddito: tutte cose che rientrano nella categoria "economia". L’uomo è un po' tutti e due: per sostentarsi ha bisogno di cibo, per ripararsi dal freddo deve confezionare abiti e costruire abitazioni, e per realizzare tutto ciò ha bisogno di attrezzi, utilizzando sempre risorse naturali. Può agire nel modo più semplice della caccia-raccolta, che procura il cibo grazie a un’attività, sessualmente connotata, che vede gli uomini recarsi a caccia e le donne dedicarsi alla raccolta di piante, bacche, frutti, tuberi che crescono spontanei. La caccia non viene sostituita ovunque dall’agricoltura, in seguito alla sedentarizzazione: non è naturale per tutti cercare una dimora fissa, come viene testimoniata dai tuareg, dai lapponi, dagli inuit e dagli aborigeni australiani. La vita dei cacciatori-raccoglitori non era segnata da ristrettezze, anche perché il fatto di raccogliere e di non coltivare li porta ad avere una dieta più varia e quindi più sana. Il passaggio all’agricoltura avviene laddove le condizioni erano particolarmente favorevoli, e nasce nella cosiddetta mezzaluna fertile della regione che va dall’antico Egitto alla Mesopotamia: qui, oltre alle condizioni climatiche favorevoli, si trovano in natura la maggior parte delle piante domesticabili.

Il dono è economia: Secondo Mauss il dono si basa su tre aspetti: donare, riceve, restituire. Cosa spinge l’uomo a donare? Secondo il principio utilitarista l’uomo persegue il proprio interesse individuale, ma sicuramente c’è una parte di collettivismo derivante da queste azioni individuali e l’individuo ne è assoggettato: la cultura fa si che gli uomini si scambino doni affinché la società possa esistere, sono i legami sociali che spingono al dono. Caillé propone un terzo paradigma, o paradigma del dono, ponendo la questione in termini di scommessa: e se fosse proprio il dono l’elemento attraverso cui gli uomini creano la società? Il dono sarebbe quindi la volontà degli uomini a creare rapporti sociali, producendo società per vivere. Il dono sarebbe quindi elemento fondante della società, e se accettiamo il terzo paradigma dobbiamo considerare il valore che beni e servizi sociali donati che si potrebbe chiamare valore di legame, in quanto il legame si rafforza tramite il dono. Il dono non ha garanzia di restituzione obbligatoria anche se l’obbligo morale di conta è la non garanzia di restituzione che dà valore al dono. Il dono quindi genera legami e getta le basi della società. Tuttavia il dono, se esasperato, può incrinare dei rapporti sociali qualora dovesse arrivare in ritardo oppure dovesse essere meno costoso di quello donato. Alcune forme di dono come la carità non creano legami, ma enfatizzano la separazione e la categorizzazione sociale, a volte come nel caso di associazioni benefiche le rispettive parti non vengono neppure in contatto. Il dono genera indirettamente una forma di debito, parola negativa perché associata alla sfera economica, ma di fatto in alcuni casi, come ad esempio la restituzione dei regali al partner al termine di una relazione, si pone fine al debito.

Primitivismo: Si definisce "Primitivismo" l'interesse che hanno manifestato movimenti innovativi e di avanguardia tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento per la produzione di oggetti tribali manufatti (considerati come "artistici") di popoli cosiddetti "primitivi", in particolare africani, precolombiani, indiani e oceanici. In una più larga accezione il termine è stato riferito all'arte dei bambini, degli alienati e dei pittori naif e di tutte le culture le cui manifestazioni artistiche risultano

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prive di rapporti con la tradizione figurativa classica. Alla fine degli anni Ottanta del XIX e nei primi decenni del Novecento secolo l'interesse per gli studi di antropologia è un terreno fertile a cui rifarsi per intellettuali ed artisti che si oppongono al vuoto di valori della mentalità borghese e alla ideologia dominante dello scientismo positivista. Nel mondo 'primitivo' portato alla luce dagli antropologi si ritrovano un'umanità integra in cui si coltivano quei valori di genuinità, spontaneità e naturalezza alternativi alla realtà in cui vivono in cui predominano l'alienazione, la competitività, la disuguaglianza. Il "primitivismo" è una tendenza trasversale comune a molti artisti di diversa estrazione impegnati anche nella ricerca di nuove soluzioni formali ed estetiche rispetto a quella della tradizione occidentale.

Le maschere: compaiono spesso nei riti di iniziazione o riti funebri e rappresentano antenati o esseri spirituali. Ricollegano al tempo delle origini ove ebbero luogo gli avvenimenti che hanno determinato l’ordinamento dell’universo. La maschera è strettamente collegata ai costumi, alle danze, alle musiche che accompagnano i riti. Le maschere sono oggetti rituali, possono essere usate solo in determinate occasioni e da certi membri del gruppo. La relazione tra la maschera, colui che indossa e il pubblico che assiste è complessa: la maschera opera una trasformazione in colui che la indossa che diventa quello che la maschera rappresenta e ne assume caratteri e personalità a tal punto da risultare simile all’estasi di una possessione sciamanica. Le maschere sono coinvolte in vari avvenimenti: il cambio di stagione, scacciare i demoni, regolare conflitti etnici o a ricordare particolari eventi. Storia di Galede, dispense.