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Scuola Europea di Anestesia Ostetrica www.eesoa.com Master Biennale di Alto Perfezionamento in ANALGESIA, ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA IN OSTETRICIA Direttore Prof. Giorgio Capogna Anno accademico 2017-2018 Anestesia Generale nella paziente ostetrica per Chirurgia non Ostetrica Tesi finale di Dott. Crescenzo Sala Roma 12 Ottobre 2018

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Scuola Europea di Anestesia Ostetrica www.eesoa.com

Master Biennale di Alto Perfezionamento in ANALGESIA, ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA IN OSTETRICIA

Direttore Prof. Giorgio Capogna Anno accademico 2017-2018

Anestesia Generale nella paziente ostetrica per Chirurgia non Ostetrica

Tesi finale di Dott. Crescenzo Sala Roma 12 Ottobre 2018

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Indice:

1. Introduzione……………………………………………….…………….…...2

2. Capitolo 1…………………………………………...........……………….…...4

2.1- Cambiamenti fisiologici durante la gravidanza……………………...……4

2.2- Fisiologia placentare………………………………………………….......6

2.2.1- Flusso ematico uterino.………………………………………...…….6

2.2.2- Passaggio placentare dei farmaci…………….………………………7

2.3- Fisiologia dell’allattamento………………………………..……..………9

2.3.1-Gallattogenesi…………………………………………..……….….…9

2.3.2- Galattopoiesi………………………………………..…………..….…9

2.3.3- L’eiezione del latte…….…………………………..…………...……9

2.3.4- Passaggio dei farmaci nel latte materno……………….…………….10

3. Capitolo 2…………………………………………………….……...……11

3.1- Principi di gestione dell’anestesia per chirurgia non ostetrica in pazienti

gravide………………………………………….………….......11

3.2- Rischi associati ad intervento chirurgico……………...………..…….…11

3.3- Monitoraggio fetale……………………………………..…………….…13

4. Capitolo 3………………………………………………...…...……………..15

4.1- Tipi di anestesia e farmaci…………………...................…………….…15

4.1.1-Anestesia generale…………………………………………………..15

4.1.1.1-Ipnotici…………………………………………...……….….....15

4.1.1.2-Bloccanti neuromuscolari………………………………………19

4.1.1.3-Anestetici inalatori.………………………………………….….20

4.1.1.4- Oppioidi…………..……………………………………....……21

4.2.1- Anestesia neuroassiale………………………..……………….……22

4.2.1.1- Anestetici locali……………………………………...…...……23

5. Conclusioni……………………………………………………...….………25

6. Bibliografia……………………………………………….………………...27

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1. INTRODUZIONE

È stato stimato che ogni anno negli Stati Uniti circa il 2% delle donne gravide si

sottopone ad interventi chirurgici non ostetrici. [1]

In Europa, ogni anno, tra 5.700 e 76.000 donne in gravidanza vengono sottoposte a

chirurgia non ostetrica [23]

Nel 2017 Balinskaite et all si sono serviti del database ospedaliero nazionale inglese,

selezionando circa 6,5 milioni di gravidanze tra il 2002 e il 2012; in 47.628 casi le

gestanti sono state sottoposte a chirurgia non ostetrica. Gli interventi più comuni

riguardavano la chirurgia addominale, odontoiatrica, ortopedica,

otorinolaringoiatrica, della regione perianale, del seno, e oncologica (Tab. 1) [2].

Queste procedure erano per la maggior parte elettive, ma una buona parte era

rappresentata anche da chirurgia non elettiva, come nel caso del trauma. Per quanto,

in questo studio, si sia dimostrata la sicurezza dell’anestesia sia per la madre che per

il feto, gli autori hanno inoltre osservato che la chirurgia non ostetrica, per quanto

sicura, aumentava dello 0.7% il rischio di aborto spontaneo, dello 0.4% quello di

morte fetale, del 3.2% quello di parto pretermine, del 2.6% il rischio di basso peso

alla nascita, del 4% quello di taglio cesareo e dello 0.013% quello di decesso della

madre.

Oltre agli interventi già menzionati che riguardano la madre, all’elenco della

chirurgia non ostetrica dobbiamo aggiungere tutta la chirurgia fetale intrauterina, che

permette di intervenire sul feto prima del parto (laser-coagulazione di anastomosi

placentari: in caso di sindrome da Trasfusione Feto-Fetale, posizionamento shunt

toraco-amniotico, trasfusione intrauterina: in caso anemia grave, toracentesi e

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pericardiocentesi: nei casi di malformazioni polmonari e cardiache, amniodrenaggio,

etc. etc.).

Da quanto detto si evince che molti sono gli interventi e le procedure che una donna

gravida potrebbe dover affrontare nel corso della sua gestazione, e molti sono i

problemi anestesiologici da considerare quando si parla di chirurgia non ostetrica,

questi includono fattori di rischio materni legati alle modificazioni fisiologiche e

anatomiche della gravidanza, al potenziale teratogenico degli agenti anestetici, al

mantenimento di un adeguato flusso ematico utero-placentare e agli effetti diretti e

indiretti che i farmaci somministrati alla madre hanno sul feto.

In questa trattazione, ci soffermeremo ad analizzare gli aspetti farmacologici

dell’anestesia, quali sono i farmaci “sicuri”, come e quando usarli, sia nella donna

gravida che si sottopone a chirurgia non ostetrica, sia nella donna in allattamento.

Tabella 1: Numero e tipologia di interventi non ostetrici su donne gravide, eseguiti in

Inghilterra tra il 2009 e il 2012 (2)

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2. CAPITOLO 1

2.1- Cambiamenti fisiologici durante la gravidanza

La donna incinta subisce adattamenti fisiologici ben noti durante gravidanza. I

primi di questi cambiamenti sono guidati da fattori ormonali, mentre i

cambiamenti che si verificano successivamente sono associati a effetti

meccanici dell'utero che si ingrandisce, aumento delle richieste metaboliche del

feto e della bassa circolazione placentare a bassa resistenza.

Alcuni dei cambiamenti più importanti riguardano il sistema respiratorio, che

include un aumento del 20% del consumo di ossigeno e una diminuzione del

20% della capacità funzionale polmonare residua che contribuiscono alla rapida

diminuzione della PaO2 materna osservata anche durante una breve apnea.

L'obesità materna, la preeclampsia o entrambi possono accentuare il rischio di

ipossiemia associata all'induzione dell'anestesia generale. Altre alterazioni

respiratorie comprendono una lieve iperventilazione materna mediata dalla

maggiore sensibilità del tronco cerebrale alla PaCO2, causata dal progesterone;

questo effetto viene neutralizzato nel paziente anestetizzato da una maggiore

sensibilità del sistema nervoso centrale agli anestetici generali.

Tra le modificazioni delle vie aeree dobbiamo menzionare, inoltre, l’edema dei

tessuti orofaringei che contribuisce a ridurre le dimensioni dell'apertura glottica,

questo è più pronunciati verso la fine della gravidanza, ma può essere presente

dalla metà del secondo trimestre in poi, e porta a difficoltà nella ventilazione e

nell'intubazione tracheale della paziente gravida. In uno studio su 1500

partorienti sottoposte a taglio cesareo con anestesia generale, Rocke e colleghi

hanno calcolato il rischio relativo di intubazione difficile nelle donne con

Mallampati di classe III e IV. Gli autori hanno concluso che la classificazione di

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Mallampati è più predittiva di intubazione difficile in gravidanza rispetto alle

donne non gravide [29].

Pilkington e colleghi hanno fotografato le vie aeree (per via orale) in 242 donne

incinte e hanno rilevato che da 12 a 38 settimane di età gestazionale, l'incidenza

delle vie aeree di classe Mallampati IV era aumentata del 34%. Questi risultati

sono stati anche correlati con l'aumento di peso materno [30]. La maggiore

incidenza di intubazione fallita durante l'induzione dell'anestesia in donne in

gravidanza è stata discussa in letteratura. Chiaramente non tutte le donne incinte

sono difficili da intubare. Sia l'intubazione fallita (più frequente), che la perdita

del controllo delle vie aeree è la più comune causa di mortalità materna correlata

all'anestesia [31]. Per ridurre il rischio di errata gestione delle vie aeree materne

durante l’ anestesia bisognerebbe aumentare l’uso di anestesia regionale, con un

migliore addestramento clinico, simulazioni, e algoritmi di emergenza, oltre che

aumentare la disponibilità di dispositivi avanzati per la gestione delle vie aeree e

personale preparato [32].

I cambiamenti emodinamici durante la gravidanza comprendono un aumento del

40-50% del volume ematico e della gittata cardiaca, con una riduzione del 20%

dell'ematocrito dovuta all’ emodiluizione [33]. L'anemia fisiologica inizia

durante il primo trimestre di gravidanza ed è più spiccata nel secondo trimestre,

dopo il quale è mitigato in una certa misura da una maggiore produzione di

globuli rossi, sempre che le riserve di ferro siano adeguate [34].

La compressione aorto-cavale è da tenere in considerazione durante e dopo il

secondo trimestre, infatti la posizione supina può causare ipotensione materna

[35, 36], particolare attenzione va aggiunta durante anestesia neuroassiale, che

già di per sé causa vasoplegia. Inoltre, l'utero gravido, riducendo il ritorno

venoso dagli arti inferiori predispone, oltre che ad edema, ad aumentare il già

elevato rischio di trombosi venosa profonda.

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Il rischio di aspirazione del contenuto gastrico è aumentato durante la

gravidanza. Sebbene sia stato dimostrato che lo svuotamento gastrico sia

normale durante la gravidanza e anche subito prima del travaglio, il rischio di

aspirazione è dovuto alla ridotta pressione a livello dello sfintere esofageo

inferiore [37, 38, 39].

Per la protezione delle vie aeree materne e per ridurre l'esposizione del feto a

farmaci anestetici generali, è quindi preferibile l'anestesia regionale quando

possibile. Una storia di reflusso attivo o obesità, ovviamente, aggiunge un

ulteriore rischio di rigurgito e aspirazione.

2.2- Fisiologia placentare

La membrana placentare è una membrana composita formata da tessuti extra-

fetali che separano il sangue materno da quello del feto. Fino alla ventesima

settimana la membrana placentare è formata da quattro strati: il

sinciziotrofoblasto, il citotrofoblasto, il tessuto connettivo del villo, e l’endotelio

dei capillari fetali. Dopo la ventesima settimana la membrana placentare diviene

formata da tre strati, perdendo il citotrofoblasto, e in alcune aree diviene

sensibilmente sottile [6].

La circolazione placentare è costituita da due arterie uterine (destra e sinistra)

che decorrono lungo le pareti laterali dell’utero, dando origine a numerose

arterie arcuate (anteriori e posteriori) che decorrono nel contesto del miometrio,

raggiungendo l’endometrio. I vasi materni, a questo punto, vengono invasi dalle

cellule trofoblastiche, perdono lo strato muscolo-elastico che viene sostituito da

materiale fibrinoide, e diventano ampi vasi beanti, detti arterie utero-placentari.

Queste ultime riversano il sangue nelle lacune in cui pescano i villi coriali [7].

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2.2.1- Flusso ematico uterino

Il flusso ematico uterino aumenta progressivamente durante la gravidanza e

raggiunge un valore medio di 500-700 ml a termine. Il circolo placentare è un

circolo con basse resistenze; questo cambiamento delle resistenze si verifica in

maniera più evidente dopo la ventesima settimana di gestazione.

Il flusso ematico uterino non presenta autoregolazione e nell’arteria uterina

dipende completamente dalla pressione e dalla gittata cardiaca materne.

Gli anestetici possono gravemente influenzare il flusso ematico uterino sia per

alterazioni della pressione di perfusione, sia per variazioni delle resistenze

vascolari. Il blocco simpatico dopo tecniche neuroassiali può ridurre la pressione

ematica materna e quindi la pressione nell’arteria uterina. Questa risposta può

essere esagerata in soggetti che non siano stati adeguatamente pre-riempite.

2.2.2- Passaggio placentare dei farmaci

Dopo la somministrazione di farmaci alla madre, una certa quantità di essi

attraversa la placenta per raggiungere il circolo fetale attraverso diversi

meccanismi: diffusione semplice, come per esempio paracetamolo e midazolam;

diffusione facilitata come glucocorticoidi e cefalosporine; trasporto attivo, come

dopamina e norepinefrina; e pinocitosi. La quantità di farmaco che viene

trasferita dipende da numerosi fattori, tra i quali: il peso molecolare, il legame

con le proteine, il grado di liposolubilità, la concentrazione del farmaco nel

sangue materno ed il pH materno e fetale.

Il principio di Fick regola il tasso di trasferimento attraverso una membrana:

Q/t= 𝐾×𝐴×(𝐶𝑚−𝐶𝑓)

𝐷

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Dove Q/t=velocità di diffusione, K= coefficiente di diffusione, A=superficie

della membrana, Cm-Cf= gradiente di concentrazione tra il circolo materno ed il

circolo fetale e D= spessore di membrana.

Le molecole più grandi passeranno più difficilmente la barriera placentare,

mentre quello con peso molecolare inferiore a 500 dalton la attraversano

facilmente, così come quelli con alta liposolubilità, mentre le sostanze altamente

ionizzate con scarsa liposolubilità (come i miorilassanti non-depolarizzanti)

hanno una capacità limitata di trasferimento.

Una volta che il farmaco ha passato la barriera placentare, il pH fetale e il

legame con le proteine influenzano l’attività del farmaco. Il grado di

ionizzazione, che dipende dal pKa del farmaco stesso, rappresenta un aspetto

molto importante, dato che solo le molecole non ionizzate possono attraversare

la placenta.

I valori di pKa della maggior parte dei farmaci utilizzati in anestesia si aggira tra

7,7 e 9,1, valori prossimi al pH fisiologico, per cui le modificazioni del pH sia

materno che fetale possono alterare il trasferimento di un farmaco.

Un fenomeno noto come “ion trapping” si può verificare in un feto in caso di

acidosi: il minor pH fetale favorisce la ionizzazione degli anestetici locali basici

(come la lidocaina) e spiega l’accumulo dei farmaci in un feto compromesso.

Dopo l’attraversamento placentare, il farmaco giunge, attraverso la vena

ombelicale, al fegato, questo up-take epatico risulta protettivo nei confronti del

feto insieme all’effetto della diluizione del sangue venoso ombelicale attraverso

il forame ovale e il dotto arterioso. Tuttavia circa il 40% del sangue venoso

bypassa l’emuntorio epatico.

I farmaci che attraversano la placenta possono essere classificate in tre tipi.

Nel tipo 1 (ad es. Tiopentale), il trasferimento completo avviene secondo

gradiente di concentrazione dal sangue materno a quello fetale.

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Nel tipo 2 (ad es. Ketamina), il farmaco raggiunge una concentrazione più

elevata nel sangue fetale rispetto al sangue materno.

Nel tipo 3 (ad es. Succinilcolina), solo una quantità minima raggiunge il sangue

fetale.

2.3- Fisiologia dell’allattamento

Nel periodo che segue il parto vi è il ripristino delle condizioni pregravidiche in

tutti gli organi e apparati con la sola esclusione della ghiandola mammaria

impegnata con l’allattamento. La lattazione va divisa in tre fasi:

2.3.1- Galattogenesi (montata lattea)

Ha inizio circa 12 settimane prima del parto, quando le ghiandole mammarie

iniziano a secernere colostro, in questa fase la secrezione di latte non è possibile

perché la prolattina, da cui questa secrezione dipende, è presente ma inattivata

dagli alti tassi di estrogeni prodotti dalla placenta.

2.3.2- Galattopoiesi-seconda galattogenesi

Dopo il secondamento, i tassi di estrogeni diminuiscono rapidamente, quelli di

prolattina rimangono alti, e nel giro di 3-4 giorni la secrezione di colostro si

trasforma in secrezione di latte. La prolattina è l’ormone principale ai fini della

lattazione, ed è a sua volta controllata da ormoni secreti dall’ipotalamo

(dopamina, ossitocina), dalla tiroide, dalle surrenali, dalle ovaie e dal pancreas.

I livelli di sodio, cloro e proteine nel latte decrescono e i livelli di lattosio ed

altri nutrienti aumentano. Gradualmente cambia il colore, dal giallo tipico del

colostro ad un bianco opalescente.

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2.3.3- L’eiezione del latte

Terzo stadio del processo di galattogenesi, è anche conosciuto come eiezione del

latte. Questo è lo stadio nel quale si stabilizza la produzione di latte maturo. In

questo periodo la produzione di latte si sposta dal controllo endocrino a

quello autocrino. Questo significa che il mantenimento della produzione di latte

dipende più dalla rimozione effettiva del latte dal seno (suzione) piuttosto che

dagli ormoni che circolano nel sangue.

2.3.4- Passaggio dei farmaci nel latte materno

Qualsiasi farmaco usato dalla madre deve superare diversi passaggi per

esercitare un effetto in un bambino allattato al seno. Il farmaco deve essere

assorbito e assunto sistemicamente dalla donna per raggiungere una certa

concentrazione plasmatica (stadio 1). I farmaci che vengono assunti per via orale

o iniettati sono quelli che si trovano più spesso nel latte. Molti medicamenti ad

azione locale (unguenti, creme, farmaci inalatori, colliri, spray nasali, supposte

vaginali e simili) non sono generalmente rilevabili nel sangue della madre in

concentrazioni significative, e quindi nemmeno nel latte.

I farmaci che raggiungono una determinata concentrazione plasmatica nella

donna potrebbero quindi diffondersi nel latte materno (stadio 2). Il passaggio dei

farmaci tra il plasma materno e il latte materno si basa su principi di diffusione

passiva attraverso le membrane lipidiche, e quindi invariabilmente seguirà un

gradiente da una concentrazione più elevata a una più bassa.

È facile intuire, quindi, come i farmaci che si diffondono più facilmente nel latte

materno hanno un'alta concentrazione nel plasma materno, sono liposolubili,

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hanno un peso molecolare relativamente basso (<500 dalton) e un grado

relativamente basso di legame proteico nel plasma.

Per alcuni farmaci, come nitrofurantoina, cimetidina, ranitidina e aciclovir, il

trasferimento al latte materno avverrà tramite trasporto attivo attraverso le

membrane lipidiche [3].

3. CAPITOLO 2

3.1- Principi di gestione dell’anestesia per chirurgia non ostetrica in

pazienti gravide

Per garantire la sicurezza materna e fetale, e mantenere lo stato di gravidanza, è

richiesta una comprensione approfondita dei cambiamenti fisiologici e degli

adattamenti farmacologici alla gravidanza. Evitare farmaci potenzialmente

pericolosi in momenti critici durante lo sviluppo fetale e il mantenimento di

un'adeguata perfusione utero-placentare sono indispensabili per la sicurezza

fetale. Ma ancora più importante, l'anestesista deve considerare gli effetti del

processo stesso della malattia, inibire le contrazioni uterine, evitare il parto

pretermine e i possibili danni al feto.

Secondo l'American College of Obstetricians and Gynecologists Committee on

Obstetric Practice, indipendentemente dal trimestre, alla donna gravida, che ne

abbia necessità, non può essere negato l'intervento chirurgico. La scelta della o

delle tecniche anestetiche e la scelta dei farmaci appropriati per l'anestesia

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dovrebbe essere guidata da indicazioni materne, chirurgiche e per il tipo di

procedura.

3.2- Rischi associati ad intervento chirurgico

A seconda della dose somministrata, i tempi di esposizione rispetto allo sviluppo

e la via di somministrazione, qualsiasi farmaco somministrato durante la

gravidanza può potenzialmente mettere a repentaglio lo sviluppo del feto. Ad

oggi però nessun farmaco anestetico ha dimostrato di essere chiaramente

pericoloso per il feto umano. Si deve aggiungere che nessun modello animale

simula perfettamente la gestazione umana e uno studio randomizzato su pazienti

in stato di gravidanza a questo riguardo sarebbe decisamente immorale.

I rischi della somministrazione dei farmaci per il feto sono: il potenziale

teratogeno, le malformazioni, il parto pretermine e la morte intrauterina.

Un teratogeno è definito come una sostanza che provoca un aumento

dell'incidenza di un particolare difetto in un feto, e che non può essere attribuito

al caso. Il teratogeno deve essere somministrato in una dose sufficiente per un

periodo di tempo sostanziale, in un punto critico di sviluppo per produrre il

difetto.

Quando si considera la possibile teratogenicità di vari agenti anestetici è

necessario tener presente molti punti importanti. La tempistica dell'esposizione è

cruciale perché durante i primi 15 giorni di gestazione umana si verifica un

fenomeno del tutto o niente: l'embrione viene generalmente perso o conservato

completamente intatto. Tuchmann-Duplessis negli anni '60 ha scoperto che le

maggiori malformazioni congenite si verificavano con esposizioni tra i giorni 13

e 60 negli embrioni umani [40].

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Diversi studi caso-controllo hanno poi valutato il rischio di difetti alla nascita, e

in generale nessuno studio ha mostrato la presenza di maggiori difetti alla

nascita in bambini di donne sottoposte a interventi chirurgici durante la

gravidanza, ma la maggior parte degli studi ha mostrato un piccolo aumento nel

rischio di aborto spontaneo o parto pretermine [41,42, 43]. Da questi studi non è

possibile stabilire se l'aumento del rischio di parto prematuro sia correlato

all'anestesia, all'intervento o alle condizioni che hanno costretto all'intervento.

Tuttavia, il maggiore rischio di parto pretermine dopo interventi chirurgici

addominali e pelvici suggerisce che la manipolazione meccanica,

l'infiammazione locale o entrambi rappresentino dei fattori di rischio [44].

Alla luce di questo, appare ovvio come la chirurgia elettiva dovrebbe essere

ritardata fino a 6 settimane dopo il parto. Ciò consentirà la risoluzione dei

cambiamenti fisiologici della gravidanza, infatti è stato riscontrato un tasso di

aborto generale dopo intervento chirurgico del 5,8%, che aumenta fino al 10,5%

durante il primo trimestre [5]. Un team multidisciplinare che coinvolga

chirurghi, anestesisti, ostetrici e neonatologi dovrebbe essere coinvolto nella

decisione e organizzazione della chirurgia.

Il secondo trimestre viene scelto per la chirurgia semi-elettiva, che non può

essere posticipata. Mentre la chirurgia urgente non può essere ritardata in quanto

complicazioni secondarie possono aumentare il rischio per la madre e / o per il

feto. Maggiori rischi di irritabilità uterina e parto pretermine si riscontrano nelle

fasi avanzate della gravidanza. Si ritiene che ciò derivi dalla manipolazione

diretta dell'utero durante l'intervento chirurgico o il processo patologico stesso,

poiché non vi è alcuna prova che suggerisca che qualsiasi tecnica anestetica,

agente o dose influenzi questo rischio. Le condizioni associate a un rischio

particolarmente elevato includono: condizioni infiammatorie addominali e

pelviche inferiori, come appendicite acuta con peritonite.

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3.3- Monitoraggio fetale

Dalla 18° alla 22° settimana, il monitoraggio della frequenza cardiaca fetale è

pratico, e la frequenza cardiaca è stabile, ma a partire dalla 25° settimana si può

osservare una variabilità della frequenza cardiaca del feto. I dati a supporto del

monitoraggio continuo nella chirurgia non complicata non sono ancora

disponibili.

Tuttavia, l’American College of Obstetrics and Gynaecology Committee sulla

“Chirurgia non ostetrica in gravidanza” afferma che “sebbene non ci siano dati a

sostegno di raccomandazioni specifiche per la chirurgia non ostetrica e

l'anestesia in gravidanza, è importante per i medici non ostetrici ottenere una

consulenza ostetrica prima di eseguire un intervento non ostetrico. La decisione

di utilizzare il monitoraggio fetale dovrebbe essere individualizzata, ed ogni

caso merita un approccio di squadra per la sicurezza ottimale della donna e del

suo bambino” [45].

Nel contesto dell'anestesia generale, la riduzione della frequenza cardiaca fetale

non è sempre un indicatore di sofferenza fetale, ma può semplicemente essere

dovuto agli effetti degli anestetici sul sistema nervoso autonomo fetale. Il

rallentamento della frequenza cardiaca fetale nell’ambito operatorio è più

preoccupante quando concomitante con l'ipossiemia e l'acidosi fetale, ma

potrebbe anche essere correlato a una diminuzione della temperatura corporea,

all'acidosi respiratoria materna o alla somministrazione di farmaci, che tendono

a rallentare la frequenza cardiaca [46].

Insieme al monitoraggio fetale dovrebbe essere monitorizzata anche l’attività

contrattile dell’utero materno, secondo l’American College of Obstetrics and

Gynaecology Committee e l’American Society of Anesthesiologist, in un

documento redatto congiuntamente, la decisione di utilizzare il monitoraggio

fetale dovrebbe essere individualizzata e, se utilizzata, dovrebbe essere basata

sull'età gestazionale, sul tipo di intervento chirurgico e sulle strutture disponibili.

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In definitiva, ogni caso deve prevedere un approccio di squadra (anestesia e

ostetricia, chirurghi, pediatri e infermieri) per una sicurezza ottimale della donna

e del feto [47].

4. CAPITOLO 3

4.1- Tipi di anestesia e farmaci

Come già discusso, la scelta sul tipo di anestesia, sul monitoraggio

intraoperatorio (che comprenda anche il monitoraggio del feto), e sulla

gestione del periodo post- operatorio, andrebbe discussa e accettata dall’intera

équipe chirurgica composta dall’anestesista, dal chirurgo, dal ginecologo e dal

neonatologo.

Qui ci soffermeremo ad analizzare i vari tipi di anestesia, come i farmaci

utilizzati agiscano sulla madre e sul feto, e quali, ad oggi, si siano dimostrati

essere i più sicuri.

4.1.1- Anestesia generale:

4.1.1.1- Ipnotici

Propofol: uno degli ipnotici più utilizzati, il suo meccanismo d’azione si esplica

aumentando l’affinità del GABA ( acido-- amminobutirrico) con il suo

recettore e diminuendone la dissociazione, con effetto di depressione del SNC

dose-dipendente che si manifesta come sedazione e ipnosi.

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Essendo un composto alchifenolico, questo farmaco è altamente liposolubile, e

nella sua formulazione contiene olio di soia raffinato, trigliceridi a catena media,

glicerolo, lecitina d’uovo, sodio oleato. Proprio per le sue proprietà chimico-

fisiche, il propofol ha un’altissima capacità di attraversare la membrana

placentare e la ghiandola mammaria, dando depressione cardio-vascolare anche

nel feto. Diversi studi sono stati condotti su animali: Ngamprasertwong P. et all

nel 2016 hanno pubblicato il loro studio su modello animale in cui è stata

eseguita un’anestesia generale con propofol, remifentanil e desflurano su pecore

gravide a metà dell’epoca gestazionale, dopodiché sono stati effettuati prelievi

seriati sulla madre e sul feto per determinare il modello farmacocinetico di

distribuzione del farmaco. Lo studio conferma che la frequenza cardiaca

materna ha una forte influenza sulla farmacocinetica del propofol durante la

gravidanza. Ma è stata riscontrata una concentrazione di propofol più bassa nel

feto rispetto alle concentrazioni materne, ciò a causa di un limitato trasferimento

della placenta, e una minore depressione cardiaca fetale, osservata in precedenza

con anestesia inalatoria [8]. Risultati simili erano già stati ottenuti da C. M. T.

Sherwin et all nel 2014 [9]. Per cui appare evidente come l’utilizzo del propofol

nella chirurgia non ostetrica per quanto sicura, richiede un monitoraggio

continuo dei parametri vitali sia della madre che del feto, col fine di mantenere

stabili sia la pressione arteriosa che la frequenza cardiaca materne e fetali,

aggiustando i dosaggi in base alle necessità cliniche.

Per quanto riguarda l’allattamento invece alcuni studi studi hanno dimostrato

come concentrazioni di propofol rimangono nel latte materno per 24 ore dopo

l’ultima somministrazione, quindi la letteratura suggerisce di non allattare per le

24 ore successive ad un intervento chirurgico [10].

Midazolam: spesso viene utilizzato come farmaco per l’induzione dell’anestesia

generale per la sua maggiore stabilità emodinamica rispetto al propofol. Il

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midazolam fa parte della famiglia delle benzodiazepine, il suo meccanismo

d’azione si esplica attraverso l’interazione con i recettori per il GABA,

aumentando la conduttanza transmembrana degli ioni cloro, e determinando

l’iperpolarizzazione e l’inibizione funzionale del neurone post-sinaptico.

Il midazolam, come molte altre benzodiazepine, è una molecola idrosolubile che

più difficilmente passa attraverso le membrane, anche se a pH fisiologico,

avviene una riorganizzazione intramolecolare che modifica le proprietà fisico-

chimiche del midazolam rendendolo più liposolubile. L’utilizzo di midazolam e

benzodiazepine in genere è associato con un maggiore rischio di malformazioni

fetali, come la palatoschisi, ciò è emerso da una grossa meta-analisi effettuata da

L. R. Dolovich et all che hanno raccolto i dati sull’uso di benzodiazepine in

gravidanza per 36 anni, e ne è risultato un significativo aumento del rischio di

malformazioni gravi o di sola schisi orale [11]. Anche se la meta-analisi si

riferisce a pazienti che facevano uso cronico di benzodiazepine, poiché non si

conosce ancora bene il meccanismo con cui causano la schisi, è sconsigliato

comunque l’uso di queste ultime.

Per quanto riguarda l’allattamento, anche se il midazolam è una molecola

idrosolubile, tracce del farmaco sono state ritrovate a 24 ora dall’ultima dose,

anche se la concentrazione (0,005% della dose – range 0,002% e 0,013%) [10] è

tale da non rappresentare un rischio per il neonato, ovviamente il discorso

cambia se si tratta di bambini prematuri o con patologie del SNC.

Ketamina: utilizzata più spesso nell’urgenza e nello shock per la sua capacità di

mantenere la stabilità emodinamica, la ketamina agisce come antagonista dei

recettori NMDA, avendo sia l’effetto di ipnotico (anestesia dissociativa), sia di

potente analgesico. Per le sue proprietà fisico-chimiche, la ketamina è poco

legata alle proteine plasmatiche e attraversa liberamente sia la barriera

placentare, sia l’epitelio ghiandolare mammario (alta liposolubilità).

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Il suo uso nella chirurgia non ostetrica della donna gravida è stata poco studiata,

è riportato il caso di una paziente sottoposta a cesareo d’urgenza dopo ustione

del 28% della superficie corporea, indotta con ketamina, in cui il neonato ha

necessitato di RCP post nascita, ma è difficile stabilire quanto possa aver

influito l’uso di ketamina, viste le condizioni materne [12]. In letteratura è

comunque riportata la capacità di questo farmaco di aumentare il tono uterino e

di favorire le contrazioni, per questo la ketamina andrebbe evitata nella chirurgia

non ostetrica della donna gravida.

Barbiturici – Tiopentale: il tiopentale fa parte della famiglia dei tiobarbiturici.

Utilizzato per l’induzione dell’anestesia generale, agisce sui canali del GABA

permettendone l’apertura, il passaggio dello ione cloro, e l’iperpolarizzazione

del neurone post sinaptico; a differenza delle benzodiazepine, quindi, i

barbiturici agiscono anche in assenza di GABA.

Pochi sono gli sudi sul tiopentale nella donna gravida, e la maggior parte si

riferisce a chirurgia ostetrica in epoca “pre- propofol”.

Gaspari F. et all hanno studiato la cinetica di eliminazione del tiopentale in 7

neonati partoriti con taglio cesareo e le cui madri avevano avuto il farmaco

all’induzione dell'anestesia. A 4 e 9 minuti dopo l'induzione, le concentrazioni

di farmaco nel sangue del cordone ombelicale erano la metà di quelle nel sangue

materno. L'emivita media del tiopentale nei neonati era circa il doppio rispetto

alla madre (15 vs 7 ore) confermando un comportamento simile ad altri

barbiturici. Per la prima volta la clearance renale di tiopentale è stata stimata nel

neonato; 0,074 ml / h / kg. Solo lo 0,0007% (circa 2 microgrammi) della dose

materna è stato recuperato nelle urine dei neonati per oltre 36 ore. Il

pentobarbitale, un metabolita attivo, non è stato rilevato in alcun campione [13].

In un altro studio è stata misurata la concentrazione di tiopentale nel plasma

materno, nel plasma venoso ombelicale e nel colostro dopo induzione

dell'anestesia in 40 pazienti sottoposti a taglio cesareo, e messi a confronto con

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un gruppo di pazienti che invece avevano ricevuto etomidate. Ne è risultato che

la concentrazione media di etomidate plasmatico diminuisce rapidamente e non

sono più rintracciabili a 2 ore dall’induzione (1242,0 ng/ml a 5 min, 434,0 ng/ml

a 15 min, 64,2 ng/ml a 30 min, 7,0 ng/ml a 60 min e non rilevabile 2 ore dopo

l'iniezione).

Le concentrazioni plasmatiche medie di tiopentale, invece, diminuiscono più

lentamente e sono rintracciabili fino a dodici ore dopo l’induzione (6,09

microgrammi/ml a 5 min, 2,64 microgrammi/ml a 2 ore, 1,35 microgrammi/ml a

4 h, 0,86 microgrammi/ml a 9 ore, e 0,59 microgrammi/ml a 12 ore). La

concentrazione media di tiopentale venoso ombelicale era di 4,72

microgrammi/ml, mentre la concentrazione di tiopentale nel campione materno

a 5 minuti era di 6,09 microgrammi/ml, fornendo un rapporto sangue

ombelicale: sangue materno di 1: 1,3.

Per quanto riguarda il latte materno, il tiopentale attraversa liberamente, per

diffusione passiva, l’epitelio ghiandolare e si ritrova nel colostro, e

concentrazioni di tiopentale sono state misurate fino a 9 ore dall’induzione della

paziente, mentre nessuna traccia di etomidate è stata riscontrata a 4 ore dalla

somministrazione [14].

4.1..1.2- Bloccanti neuromuscolari:

Bloccanti neuromuscolari depolarizzanti - Succinilcolina: unica

rappresentante degli agenti bloccanti neuromuscolari depolarizzanti, legandosi

direttamente ai recettori nicotinici per l’Ach postsinaptici.

Trova indicazione soprattutto nell’urgenza e nelle intubazioni difficili per il suo

rapido inizio d’azione e la sua brevissima durata. Non c’è letteratura sul suo

utilizzo nella chirurgia non ostetrica della donna gravida, né sul suo uso durante

l’allattamento. A causa dei numerosi effetti collaterali (bradicardia, reazioni

allergiche, fascicolazioni, dolore muscolare, aumento della pressione

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intragastrica, aumento della pressione intraoculare ed endocranica, aumento

transitorio della concentrazione plasmatica di potassio, insorgenza di ipertermia

maligna, risposta prolungata in presenza di colinesterasi atipiche o inibizione

farmaco-indotta dell’attività colinesterasica plasmatica), e a causa della

fisiologica riduzione delle colinesterasi plasmatiche (circa del 30%) se ne

sconsiglia l’uso nella donna gravida.

Bloccanti neuromuscolari non depolarizzanti: questi miorilassanti si legano in

modo competitivo ai recettori post- sinaptici per produrre il blocco

neuromuscolare.

In letteratura molto poco è riportato a tal proposito, e la maggior parte degli

studi si riferisce all’anestesia generale per il parto e quindi alla possibile

curarizzazione residua del neonato.

Per quanto riguarda la chirurgia non ostetrica, non sono riportati rischi per il

feto, se non quelli correlati alla madre e ai possibili effetti avversi dei curari su

di essa.

Sono, infatti, da tenere sempre presenti la possibile bradicardia e ipotensione, il

rilascio di istamina le eventuali terapie della madre che possono prolungare e

modificare l’effetto dei bloccanti neuromuscolari. È riportato un caso di

prolungamento del blocco in una donna preeclamptica in terapia con magnesio

solfato [15].

4.1.1.3- Anestetici inalatori

Protossido d’azoto (N2O): spesso utilizzato come adiuvante in combinazione

con altri anestetici inalatori, il protossido presenta una bassa solubilità nel

sangue e nei tessuti. È stata spesso studiata la sua sicurezza per l’anestesia della

donna gravida, i suoi effetti sulla madre, sul feto, sul neonato, sull'allattamento

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al seno e sul travaglio. I rischi maggiori con l’utilizzo di protossido sono

l’eventuale danno apoptotico al cervello di mammiferi immaturi esposti ad alte

dosi di protossido durante la fase tardiva della gestazione, i possibili rischi

cardiovascolari da iperomocisteinemia causata da protossido, oltre che un

rischio teratogeno e di malformazioni.

Da diverse review è risultato che l’utilizzo del protossido è sicuro sia per le

madri, che per i neonati e coloro che si prendono cura delle donne durante il

parto quando somministrato come miscela al 50% con O2 [16] [17].

In altri studi su embrioni di ratto è stato riportato un effetto teratogeno del

protossido, con un aumento di malformazioni scheletriche e viscerali (situs

inversus), ma questi articoli si riferiscono ad un’esposizione per 24 ore

consecutive ad una concentrazione di ossido nitrico del 75%, o una

concentrazione del 50% ma per più di 24 ore [18]. Per cui il suo uso per la

durata di un’anestesia a concentrazioni del 50% sembra più che sicuro.

Sevoflurano: numerosi studi su animali hanno dimostrato che gli anestetici

generali comunemente utilizzati possono causare danni sullo sviluppo del

cervello immaturo. La teoria prevalente è che gli anestetici inalatori potrebbero

indurre neurotossicità sia stimolando una maggiore apoptosi, che inibendo la

proliferazione neuronale.

Li X. et all hanno esaminato i cambiamenti relativi all'autofagia dopo

esposizione a sevoflurano e l'effetto dell'autofagia sull'apoptosi e la

proliferazione in embrioni di ratto. Hanno dimostrato che l'esposizione a

concentrazioni dal 2% al 4% di sevoflurano per 2 ore induce eccessiva autofagia

nel cervello fetale attraverso l’attivazione della via PTEN/Akt/mTOR. Alla

stessa conclusione è giunto lo studio di Xu L. et all, individuando nella zona

ippocampale il sito di maggiore autofagia e apoptosi sevoflurano indotta [20].

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Entrambi gli studi si riferiscono a embrioni di ratto e a colture di neuroni murini,

attualmente non ci sono studi sull’attività del sevoflurano sull’embrione umano.

Desflurano: non ci sono studi rilevanti sull’uso del desflurano in pazienti

gravide e/o in allattamento e sui suoi effetti sul feto. In alcuni case report e studi

randomizzati si è dimostrata comunque una sua superiorità in quanto a stabilità

emodinamica e effetto tocolitico, che porterebbero ad una sua preferenza

rispetto al sevoflurano [21].

4.1.1.4- Oppioidi

L’utilizzo di oppioidi per la chirurgia durante la gravidanza non ha finora dato

problemi di malformazioni o di sviluppo fetale.

Gli oppioidi attraversano sia la barriera placentare che l’epitelio ghiandolare

mammario e raggiungono il feto.

In donne che utilizzavano cerotti di fentanile per il dolore cronico dorsale è stata

riscontrata una sindrome d’astinenza nei neonati, e alti livelli di fentanile nel

latte materno che potevano essere trasmessi al neonato durante l’allattamento

[22].

Per quanto riguarda invece il suo utilizzo in acuto, e nella chirurgia non

ostetrica, non sono stati riscontrati problemi per il feto, con nessuno degli

oppioidi solitamente utilizzati (fentanyl, sufentanil, remifentanil).

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4.2.1- Anestesia neuroassiale

La scelta sul tipo di anestesia da eseguire su una donna gravida dipende

soprattutto dal tipo di intervento a cui la paziente deve sottoporsi, dalle

caratteristiche della paziente e dall’epoca gestazionale della paziente.

Infatti nel primo trimestre, quando sono più frequenti i problemi malformativi,

andrebbe limitata il più possibile l’infusione di farmaci per via sistemica come

avviene in una anestesia generale. Dopo il primo trimestre la scelta tra

l’anestesia generale e la loco-regionale e/o neuroassiale rimane a discrezione

dell’équipe e del tipo di intervento; e anche se la neuroassiale apparrebbe la più

sicura, dove per neuroassiale intendiamo l’anestesia subaracnoidea ed epidurale,

diversi studi hanno messo a confronto le due tecniche dando risultati

controversi.

In una review Hong et all hanno esaminato gli esiti materni e neonatali dopo

chirurgia per masse annessiali mediante laparotomia sotto anestesia generale,

laparoscopia in anestesia generale o laparotomia in anestesia loco-regionale,

confrontandoli l'uno con l'altro e con un gruppo di controllo di pazienti gravide

non sottoposte a chirurgia. Nello studio sono state incluse donne in tutti i

trimestri di gravidanza; tuttavia, la maggior parte degli interventi chirurgici in

tutti i gruppi sono stati eseguiti durante il primo e il secondo trimestre. È stato

rilevato un tasso statisticamente più alto di travaglio pretermine che richiedeva

un trattamento con tocolitici nel gruppo che aveva ricevuto anestesia loco-

regionale per laparoscopia (29 su 71, 29,6%), rispetto alle pazienti che avevano

ricevuto anestesia generale per laparotomia (8 su 137, 5,8%), o anestesia

generale per laparoscopia (0 di 27) e il gruppo di controllo non chirurgico (2614

su 80.527, 3,2%). Inoltre, il tasso di parti prematuri era significativamente più

alto con la chirurgia e l'anestesia rispetto ai controlli non chirurgici [24].

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Insieme a ciò vanno considerate tutte le possibili complicanze che la tecnica

loco-regionale ha in sé: ipotensione, puntura durale accidentale, cefalea post-

puntura durale, blocco spinale totale, infezioni del sistema nervoso centrale,

ematoma spinale e/o epidurale, e iniezione intravascolare accidentale, che

potrebbero dare indirettamente sofferenza fetale.

4.2.1.1- Anestetici locali:

I farmaci utilizzati nell’anestesia loco-regionale vengono iniettati o nello spazio

subaracnoideo o nello spazio epidurale, a seconda della tecnica scelta, una parte

di essi viene assorbita sistemicamente, attraverso i plessi corioidei e le vene

epidurali, e concentrazioni di questi farmaci si possono ritrovare sia nel plasma

fetale che nel latte.

Santos et al hanno somministrato levobupivacaina, bupivacaina racemica e

ropivacaina a pecore gravide per via endovenosa. Dopo la somministrazione,

hanno misurato la concentrazione di questi farmaci nel plasma e nei tessuti fetali

[25].

Bader et al hanno somministrato levobupivacaina e bupivacaina in modo

epidemico a donne sottoposte a parto cesareo elettivo. Hanno determinato che le

concentrazioni di questi due farmaci in campioni di sangue venoso ombelicale

durante il parto erano inferiori di un terzo rispetto a quelli del plasma materno

[26].

Questi due studi dimostrano che sia la levobupivacaina che la bupivacaina

attraversano la placenta. Pertanto, si dovrebbe tenere conto del fatto che, oltre al

latte materno, i bambini possono essere esposti a farmaci anestetici locali

attraverso la via placentare.

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Inoltre sia la levobupivacaina che la bupivacaina racemica passano nel latte

materno dopo somministrazione epidurale.

Bolat E. et all hanno misurato le concentrazioni di levobupivacaina e

bupivacaina nel sangue e nel latte di donne sottoposte a parto cesareo elettivo

effettuato con anestesia epidurale, e calcolato l'esposizione al farmaco del

bambino attraverso il rapporto latte/plasma di levobupivacaina e bupivacaina.

Ne è risultato che entrambi i farmaci passano nel latte e nel plasma materno

dopo somministrazione epidurale [27].

In tutti questi studi comunque non sono stati riportati problemi per il feto che

possano dipendere direttamente dall’entrata in contatto con gli anestetici locali.

Nell’anestesia locoregionale, oltre agli anestetici locali, possono essere utilizzate

anche dosi di oppioidi col fine di migliorare la durata e la profondità del blocco.

Goma et all hanno comparato l’utilizzo del fentanyl per via endovenose ed

epidurale, valutando la concentrazione di fentanyl nel colostro materno, e

dimostrando la sicurezza dell’utilizzo del fentanyl sia per via sistemica che

locoregionale [28].

In nessuno studio sono stati riportati danni al feto dovuti all’uso di oppioidi per

via loco-regionale.

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5. CONCLUSIONI

La chirurgia durante la gravidanza è complicata dalla necessità di bilanciare i

bisogni e gli equilibri di due pazienti. Normalmente, la chirurgia viene eseguita

durante la gestazione solo quando è assolutamente necessaria per il benessere

della madre, del feto o di entrambi, cercando di procrastinare il più possibile gli

interventi non indispensabili.

Tutti i farmaci anestetici generali e locali attraversano, in un modo o nell’altro,

la placenta e l’epitelio ghiandolare mammario e non esiste una tecnica

anestesiologica che si sia dimostrata ottimale, né vi sono prove convincenti che

qualsiasi particolare farmaco anestetico sia tossico negli esseri umani.

Vi è una debole evidenza sull’associazione tra aborto spontaneo e parto

pretermine con l’utilizzo di protossido di azoto, quando somministrato ad alte

dosi, e quindi andrebbe evitato nella prima parte della gravidanza. Esistono

prove, nei modelli animali, che molte tecniche di anestesia generale siano in

grado di dare un’apoptosi neuronale inappropriata e ritardi cognitivi e

comportamentali, non è noto però se queste considerazioni riguardino anche il

feto umano, ma sono in corso studi a riguardo.

A questo punto date tutte queste considerazioni sull’anestesia generale, sul

minimizzare l'esposizione fetale a farmaci non necessari, l’anestesia regionale e

neurassiale apparrebbe come quella da preferire durante la gravidanza, quando

le condizioni mediche e chirurgiche lo permettano.

Quest’ultima infatti è associata ad una minore esposizione ai farmaci per il feto,

ad un più veloce recupero dell’omeostasi materno-fetale, e in generale ad un

minore impatto anche nella psicologia della donna che si trova ad affrontare un

intervento chirurgico invasivo durante la gravidanza, elemento da non

sottovalutare nell’intera gestione e organizzazione di un intervento del genere.

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Più volte in questa trattazione ci siamo soffermati a sottolineare come tutte le

decisioni per affrontare al meglio una procedura delicata come quella non

ostetrica in una paziente gravida, debbano essere prese e discusse in équipe, così

da poter organizzare al meglio l’intervento, valutarne tutti gli aspetti e

minimizzare i rischi possibili, ma a questo punto vorremmo sottolineare come

parte fondamentale dell’équipe debba essere la paziente stessa. Che la donna

non sia soltanto resa edotta di tutti i rischi, i benefici della procedura, che non si

trovi davanti ad una lista di quanto tutta la statistica e la letteratura abbia

scoperto a riguarda, ma che entri a far parte del processo decisionale, portando

con sé il suo bagaglio di emozioni, aspettative e desideri, che aiuti gli operatori a

fare davvero quello che è meglio per lei e per la sua gravidanza.

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