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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 9 - n. 3 (84) - Marzo 2012

Anno 9 - n. 3 (84) - Marzo 2012 Curia e pastorale per la ... · Tonino Parmeggiani Mihaela Lupu ... S.E. mons. Vincenzo Apicella, don Andrea Pacchiarotti, mons. Franco Risi, mons

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Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia

esclusivamente il pensiero degli artefici e non vincola maiin nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la

redazione Queste, insieme alla proprietà,si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di

pubblicazione, modifica e stampa a propria insindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni.

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E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita

autorizzazione del direttore.

Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

Diocesi di Velletri-Segni

Direttore ResponsabileMons. Angelo Mancini

CollaboratoriStanislao FioramontiTonino Parmeggiani

Mihaela Lupu

ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.

RedazioneCorso della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

A questo numero hanno collaborato inoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, don Andrea Pacchiarotti,mons. Franco Risi, mons. Franco Fagiolo, don AntonioGalati, don Corrado Fanfoni, mons. Luigi Vari, Sr. ApostolineVelletri, Sr. Monastero Madonna delle Grazie Velletri, donClaudio Sammartino, don Marco Nemesi, don DanieleValenzi, fr. Riccardo Nuti, don Franco Diamante, don MauroDe Gregoris, Teodoro Beccia, Alessandro Leoni, Paoloe Teresa Caponera, Claudio Capretti, Fabricio Cellucci,Pier Giorgio Liverani, Antonio Venditti, Sara Gilotta, SaraBianchini, K. Cipri, Claudio Gessi, Volontari Museo dio-cesano, Francesco Canali, Enrico Mattoccia, Ass.Cursillos Velletri, Valeriano Valenzi, Vincenza Calenne,Rosario Sanguedolce.

Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesi.velletri-segni.it

DISTRIBUZIONE GRATUITA

In copertina:Cristo e la donna sorpresa in adulterio,

Nicolas Poussin 1653, Louvre Parigi

- “Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone”(Eb. 10,24) + Vincenzo Apicella p. 3

- La riflessione del Papa per la Quaresima

che inizia, S. Fioramonti p. 4- Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI

per la Quaresima 2012 p. 5

- Quaresima, un tempo per trasformare un amore che si fa dono, don Andrea Pacchiarotti p. 8

- Ciao Darwin, ma dietro la lavagna,Pier Giorgio Liverani p. 10

- Il nostro non è un paese per i giovani, Claudio Gessi p. 11

- Carissimo Giosue’, Claudio Capretti p.12- Il Santo di marzo: San Giuseppe,

Sara Gilotta p.13- I Libri Santi, mons. Luigi Vari p.14

- La Cresima/ 2: l’evoluzione e il rito,don Antonio Galati p. 15

- Abbassare il livello della estraneità,Sara Bianchini p. 16

- Raccolta fondi per la Giornata Missionaria nella Diocesi di Velletri - Segni, K. Cipri p. 17

- Amando fino alla fine - 24 Marzo: Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, Uff. Missionario p. 17

- La spiritualità del catechista, fr. Riccardo Nuti p.18

- Il silenzio nella celebrazione eucaristica,mons. F. Fagiolo p. 19

- Per il 40° anniversario di sacerdozio di mons. Vincenzo Apicella, don M. De Gregoris p. 20

- I rintocchi della Speranza, C. Gessi p. 20- Testimone di prossimità, don F. Diamante p. 21 - Auguri mons. Vincenzo, don Antonio Galati p. 21

- I Cristiani ritrovino l’entusiamo nell’annunciareil Vangelo, mons. Franco Risi p. 22

- Il ministero sacerdotale e la sua forma comunitaria, Fabricio Cellucci p. 23

- Per scegliere.... il Sacerdozio. Testimonianze.Sr. Apostoline p. 24

- Tre nuovi accoliti per la nostra chiesa diocesana, Seminaristi diocesani p. 25

- Diaconato: Il Diaconato permanente un dono di particolare grazia a tutta la Chiesa di Cristo, Paolo e Teresa Caponera p. 26

- Velletri, Parr. Regina Pacis: un pozzo in memoria di Massimo Simonetti p. 27

- Un piccolo contributo per la causa dell’Unità dei Cristiani, Sr. Monastero “Madonna delle Grazie” p. 28

- L’improvvisa scomparsa di don Mario Latini, Stanislao Fioramonti p. 29

- Segni: La Cappella di S. Giuseppe nella Concattedrale S. Maria, V. Valenzi p. 30

- ... concediamo di mangiare uova e latticini e condire con lardo e strutto, F. Canali p. 31

- Nel pensiero di San Bruno: Senza la carità sono nulla, don D. Valenzi p. 32

- Papa Paolo VI e Manzoni, Enrico Mattoccia p. 33

- Eroi del nostro tempo / 1: Chiara Luce Badano, Enrico Mattoccia p. 34

- Ritorno alla storia / 28: Fernando II d’Aragona e Isabella di Castiglia re cattolici,

don Claudio Sammartino p. 35- Istituti scolastici comprensivi / 3,

Antonio Venditti p. 36- “Il Processo”, la sacra rappresentazione

dei Dilettanti all’Opera di S. Clemente,Rosario Sanguedolce p. 38

- Al Museo Diocesano di Velletri:2° Edizione del progetto “L’Arte al costodi... un caffè!”, Volontari Museo diocesano p. 39

- Salvator Dalì, Corpus Hypercubus, New-York, 1954

don Marco Nemesi p. 39

p. 38

QQuesto versetto della Lettera agli Ebrei è stato sceltoda Benedetto XVI come programma quaresimale diquest’anno, nel Messaggio rivolto a tutti i fedeli il 7

febbraio scorso. L’invito del Papa è quanto mai appropriato e provvi-denziale per restituire alla Quaresima il suo vero significato di riscoper-ta della novità cristiana, alla luce della Croce e della Resurrezione delSignore, che ci invita a riconoscere il suo Volto nel volto del fratello: que-sto è il fine del cammino di conversione e di penitenza di questi qua-ranta giorni, simbolo del nostro esodo verso la Patria celeste attraver-so il deserto di questo mondo. Ritorna alla mente la Parola di forte rim-provero, consegnataci dal profeta Isaia: “Ecco, nel giorno del vostro digiu-no curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiuna-te tra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più comefate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. E’ forse come que-sto il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per let-to, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore?Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique,sciogliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ognigiogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’intro-durre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, sen-za distogliere gl occhi da quel-li della tua carne? Allora latua luce sorgerà come l’au-rora, la tua ferita si rimargi-nerà presto. Davanti a te camminerà la tuagiustizia, la gloria del Signoreti seguirà.” (Is.58,3b-8) La lezio-ne era stata ben recepita daidiscepoli di Gesù e l’apostoloGiacomo la riassume con mira-bile sintesi nella sua Lettera:“Una religione pura e senzamacchia davanti a Dio nostroPadre è questa: soccorreregli orfani e le vedove nelleloro afflizioni e conservarsipuri da questo mondo”(Giac.1,27) La Quaresima è, dunque, iltempo propizio per “aprire gliocchi” su noi stessi, sulprossimo e sulla realtà checi circonda, illuminati dalla lucepasquale che rifulge sulVolto di Cristo e questo è com-plementare con l’altra esor-tazione della Lettera agli Ebrei:“corriamo con perseveranzanella corsa che ci sta davan-ti, tenendo fisso lo sguardosu Gesù, autore e perfezio-natore della fede.” (Eb.12,2)Forse questo è anche il sen-so dell’importante conve-gno di studio che si è tenu-to a Roma nel mese di feb-braio su “Gesù nostro con-temporaneo”, per aiutarci

ad uscire da una religiosità a volte un po’ troppo oleografica e separa-ta dalla nostra vita quotidiana. Ma il Messaggio del Papa, procedendoin questa direzione, va sempre più in profondità e ci conduce a com-prendere che le necessità dei fratelli non sono solamente quelle di ordi-ne materiale e che, insieme alle opere di misericordia corporale, la Chiesaci ha sempre proposto quelle di misericordia spirituale, che, nel cate-chismo che studiavamo da bambini, erano così elencate: consigliare idubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gliafflitti, perdonare le offese, sopportare le persone moleste, pregare Dioper i vivi e per i morti.Questo tradizionale piccolo elenco serviva a esprimere concretamenteuna verità di fondo, che spesso tendiamo a dimenticare, che, cioè, sia-mo tutti sulla stessa barca, anzi, camminiamo tutti in cordata, come sifa sulle montagne o, piuttosto, siamo membra dello stesso Corpo per-ché ci nutriamo di un unico Pane e, quindi, non è pensabile di potersisalvare badando solo a se stessi.Certo, ognuno è responsabile delle proprie azioni, ma le azioni dell’al-tro non possono lasciarmi indifferente, perché influiscono anche su dime, nel bene e nel male, per cui s. Paolo raccomandava ai cristiani: “Portatei pesi gli uni degli altri.” (Gal.6,2), oppure: “Le varie membra abbiano curale une delle altre” (1Cor.12,25) e Cristo stesso richiede dai suoi disce-

poli la correzione reciproca,purché sia fraterna, cioènata ed esercitata nella cari-tà.Responsabilità verso il fratelloe reciprocità sono finalizza-te, per Benedetto XVI, a cre-scere nella carità, che è il verosinonimo della santità, metanon riservata a pochi eletti,ma comune ad ogni battez-zato. “Il tempo che ci è dato nel-la nostra vita – conclude il Papa– è prezioso per scoprire ecompiere le opere di bene,nell’amore di Dio. Così la Chiesastessa cresce e si sviluppaper giungere alla piena matu-rità di Cristo (cfr.Ef.4,13)…Purtroppo è sem-pre presente la tentazione del-la tiepidezza, del soffocare loSpirito, del rifiuto di traffica-re i talenti che ci sono dona-ti per il bene nostro e altrui(cfr. Mt.25. 25s).L’impegno per tutti è, allora,di accogliere questa Quaresima,in particolare, come tempo digrazia, donatoci per la nostracrescita comune nella cari-tà vicendevole, tenendo pre-sente, come si può ancora leg-gere nel Messaggio, che: “Imaestri spirituali ricordano chenella vita di fede chi non avan-za retrocede.”Buona Quaresima!

33MarzoMarzo20122012

� Vincenzo Apicella, vescovo

44 MarzoMarzo20122012

Stanislao Fioramonti

NNel messaggio per la quaresima 2012,scritto fin dal 3 novembre 2011, papaBenedetto XVI esordisce dicendo che

“la Quaresima ci offre ancora una volta l’opportunitàdi riflettere sul cuore della vita cristiana: la cari-tà. Infatti questo è un tempo propizio affinché,con l’aiuto della Parola di Dio e dei Sacramenti,rinnoviamo il nostro cammino di fede, sia per-sonale che comunitario. E’ un percorso segna-to dalla preghiera e dalla condivisione, dal silen-zio e dal digiuno, in attesa di vivere la gioia pas-quale”. Lo spunto di riflessione stavolta è trat-to dalla Lettera agli Ebrei: «Prestiamo attenzionegli uni agli altri per stimolarci a vicenda nella cari-tà e nelle opere buone» (10,24), che offre uninsegnamento prezioso e sempre attuale su treaspetti della vita cristiana: l’attenzione all’altro,la reciprocità e la santità personale.

1. “Prestiamo attenzione”:la responsabilità verso il fratello.

Il primo elemento, «fare attenzione», invita a fis-sare lo sguardo sull’altro, prima di tutto su Gesù,e ad essere attenti gli uni verso gli altri, a nonmostrarsi indifferenti alla sorte dei fratelli.Spesso, invece, prevale l’atteggiamento contrario:l’indifferenza, il disinteresse, che nascono dal-l’egoismo, mascherato da una parvenza di rispet-to per la «sfera privata». (...)“Il grande comandamento dell’amore del pros-simo esige e sollecita la consapevolezza di ave-re una responsabilità verso chi è creatura e figlio

di Dio: l’essere fratelli inumanità e, in molti casi,anche nella fede, deveportarci a vedere nell’altroun vero alter ego, ama-to in modo infinito dalSignore. Se coltiviamo que-sto sguardo di fraternità,la solidarietà, la giustizia,così come la misericor-dia e la compassione, sca-turiranno naturalmente dalnostro cuore”.Nell’enciclica Populorumprogressio (1967) PaoloVI affermava che il mon-do soffre oggi soprattut-to di una mancanza di fra-ternità: «Il mondo èmalato. Il suo male risie-de meno nella dilapida-zione delle risorse o nelloro accaparramento daparte di alcuni, che nel-la mancanza di fraterni-tà tra gli uomini e tra i popo-li». L’attenzione all’altrocomporta desiderare perlui il bene, sotto tutti gliaspetti: fisico, morale espirituale. La culturacontemporanea sembraaver smarrito il senso del

bene e del male, mentre occorre ribadire conforza che il bene esiste e vince. Questo sguardo amorevole verso il fratello è impe-dito spesso dalla ricchezza materiale e dalla sazie-tà, ma anche dall’anteporre a tutto i propri inte-ressi e le proprie preoccupazioni. Invece pro-prio l’umiltà di cuore e l’esperienza personaledella sofferenza possono favorire l‘incontro conl’altro e l’aprire il cuore al suo bisogno, occa-sioni queste di salvezza e di beatitudine. Il «prestare attenzione» al fratello comprendealtresì la premura per il suo bene spirituale, pro-segue il papa, che evidenzia un aspetto dellavita cristiana per lui caduto in oblio: la correzionefraterna in vista della salvezza eterna. Oggi siè assai sensibili al discorso della cura e dellacarità per il bene fisico e materiale degli altri,ma si tace quasi del tutto sulla responsabilitàspirituale verso i fratelli. La tradizione della Chiesa ha annoverato tra leopere di misericordia spirituale quella di «ammo-nire i peccatori». E’ importante recuperare que-sta dimensione della carità cristiana. Non bisogna tacere di fronte al male. “Pensoqui all’atteggiamento di quei cristiani che, perrispetto umano o per semplice comodità, si ade-guano alla mentalità comune, piuttosto che met-tere in guardia i propri fratelli dai modi di pen-sare e di agire che contraddicono la verità e nonseguono la via del bene. Nel nostro mondo impregnato di individualismo,è necessario riscoprire l’importanza della cor-rezione fraterna, per camminare insieme ver-so la santità”.

2. “Gli uni agli altri”: il dono della reciprocità.

“Tale «custodia» verso gli altri contrasta con unamentalità che, riducendo la vita alla soladimensione terrena, non la considera in prospettivaescatologica e accetta qualsiasi scelta moralein nome della libertà individuale. Una società comequella attuale può diventare sorda sia alle sof-ferenze fisiche, sia alle esigenze spirituali e mora-li della vita”.I discepoli del Signore, uniti a Cristo mediantel’Eucaristia, vivono in una comunione che li legagli uni agli altri come membra di un solo corpo.Ciò significa che l’altro mi appartiene, la sua vita,la sua salvezza riguardano la mia vita e la miasalvezza. La nostra esistenza è correlata conquella degli altri, sia nel bene che nel male; siail peccato, sia le opere di amore hanno ancheuna dimensione sociale. Nella Chiesa la comunità non cessa di fare peni-tenza e di invocare perdono per i peccati dei suoifigli, ma si rallegra anche per le testimonianzedi virtù e di carità che in essa si dispiegano. Lacarità verso i fratelli, di cui è un’espressione l’e-lemosina - tipica pratica quaresimale insiemecon la preghiera e il digiuno - si radica in que-sta comune appartenenza. Anche nella preoc-cupazione concreta verso i più poveri ogni cri-stiano può esprimere la sua partecipazione all’u-nico corpo che è la Chiesa.

3. “Per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone”:

camminare insieme nella santità.Questa espressione della Lettera agli Ebrei cispinge a considerare la chiamata universale allasantità, ad aspirare ai carismi più grandi e a unacarità sempre più alta e più feconda. L’attenzionereciproca ha come scopo il mutuo spronarsi adun amore effettivo sempre maggiore, in attesadi vivere il giorno senza tramonto in Dio. Il tempo che ci è dato nella nostra vita è pre-zioso per scoprire e compiere le opere di bene,nell’amore di Dio. Così la Chiesa stessa crescee si sviluppa per giungere alla piena maturitàdi Cristo (cfr. Ef 4,13). In tale prospettiva dina-mica di crescita si situa la nostra esortazionea stimolarci reciprocamente per giungere allapienezza dell’amore. Purtroppo è sempre presente la tentazione del-la tiepidezza, del soffocare lo Spirito. Tutti abbia-mo ricevuto ricchezze spirituali o materiali utiliper il compimento del piano divino, per il benedella Chiesa e per la salvezza personale. I mae-stri spirituali ricordano che nella vita di fede chinon avanza retrocede.La sapienza della Chiesa nel riconoscere e pro-clamare la beatitudine e la santità di taluni cri-stiani esemplari ha come scopo anche di susci-tare il desiderio di imitarne le virtù. Ed ecco la conclusione di papa Benedetto: “Difronte ad un mondo che esige dai cristiani unatestimonianza rinnovata di amore e di fedeltàal Signore, tutti sentano l’urgenza di adoperar-si per gareggiare nella carità, nel servizio e nel-le opere buone (cfr Eb 6,10). Questo richiamoè particolarmente forte nel tempo santo di pre-parazione alla Pasqua”.

55MarzoMarzo20122012

Fratelli e sorelle,

la Quaresima ci offre ancora una volta l’opportunitàdi riflettere sul cuore della vita cristiana: la carità. Infattiquesto è un tempo propizio affinché, con l’aiuto del-la Parola di Dio e dei Sacramenti, rinnoviamo il nostrocammino di fede, sia personale che comunitario. E’ un percorso segnato dalla preghiera e dalla condi-visione, dal silenzio e dal digiuno, in attesa di viverela gioia pasquale.Quest’anno desidero propor-re alcuni pensieri alla luce diun breve testo biblico tratto dal-la Lettera agli Ebrei: «Prestiamoattenzione gli uni agli altri perstimolarci a vicenda nellacarità e nelle opere buone»(10,24). E’ una frase inseritain una pericope dove lo scrit-tore sacro esorta a confida-re in Gesù Cristo come som-mo sacerdote, che ci haottenuto il perdono e l’accessoa Dio. Il frutto dell’accoglien-za di Cristo è una vita dispiegatasecondo le tre virtù teologa-li: si tratta di accostarsi al Signore«con cuore sincero nella pie-nezza della fede» (v. 22), dimantenere salda «la profes-sione della nostra speranza»(v. 23) nell’attenzione costan-te ad esercitare insieme ai fra-telli «la carità e le opere buo-ne» (v. 24). Si afferma pure che persostenere questa condotta evangelica è importante par-tecipare agli incontri liturgici e di preghiera della comuni-tà, guardando alla meta escatologica: la comunione pie-na in Dio (v. 25). Mi soffermo sul versetto 24, che, in pochebattute, offre un insegnamento prezioso e sempre attua-le su tre aspetti della vita cristiana: l’attenzione all’altro,la reciprocità e la santità personale.

1. “Prestiamo attenzione”: la responsabilità verso il fratello.

Il primo elemento è l’invito a «fare attenzione»: il verbogreco usato è katanoein,che significa osservare bene, esse-re attenti, guardare con consapevolezza, accorgersi di unarealtà. Lo troviamo nel Vangelo, quando Gesù invita i disce-poli a «osservare» gli uccelli del cielo, che pur senza affan-narsi sono oggetto della sollecita e premurosa Provvidenzadivina (cfr Lc 12,24), e a «rendersi conto» della trave che

c’è nel proprio occhio prima di guardare alla pagliuzza nel-l’occhio del fratello (cfr Lc 6,41). Lo troviamo anche in un altro passo della stessa Letteraagli Ebrei, come invito a «prestare attenzione a Gesù» (3,1),l’apostolo e sommo sacerdote della nostra fede. Quindi,il verbo che apre la nostra esortazione invita a fissare losguardo sull’altro, prima di tutto su Gesù, e ad essere atten-ti gli uni verso gli altri, a non mostrarsi estranei, indiffe-renti alla sorte dei fratelli. Spesso, invece, prevale l’atteggiamento contrario: l’indif-ferenza, il disinteresse, che nascono dall’egoismo,mascherato da una parvenza di rispetto per la «sfera pri-

vata». Anche oggi risuona conforza la voce del Signore chechiama ognuno di noi a pren-dersi cura dell’altro. Anche oggi Dio ci chiede diessere «custodi» dei nostri fra-telli (cfr Gen 4,9), di instau-rare relazioni caratterizzate dapremura reciproca, da atten-zione al bene dell’altro e a tut-to il suo bene. Il grande coman-damento dell’amore del pros-simo esige e sollecita la con-sapevolezza di avere unaresponsabilità verso chi, comeme, è creatura e figlio di Dio:l’essere fratelli in umanità e,in molti casi, anche nella fede,deve portarci a vedere nell’altroun vero alter ego, amato in modoinfinito dal Signore. Se coltiviamo questo sguar-do di fraternità, la solidarie-tà, la giustizia, così come lamisericordia e la compassio-ne, scaturiranno naturalmente

dal nostro cuore. Il Servo di Dio Paolo VI affermava cheil mondo soffre oggi soprattutto di una mancanza di fra-ternità: «Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nel-la dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramentoda parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gliuomini e tra i popoli» (Lett. enc. Populorum progressio [26marzo 1967], n. 66).L’attenzione all’altro comporta desiderare per lui o per leiil bene, sotto tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale. Lacultura contemporanea sembra aver smarrito il senso delbene e del male, mentreoccorre ribadire con for-za che il bene esiste e vin-ce, perché Dio è «buonoe fa il bene» (Sal 119,68).Il bene è ciò che suscita,protegge e promuove la vita,la fraternità e la comunione.

66 MarzoMarzo20122012

La responsabilità verso il prossimo significa allora voleree fare il bene dell’altro, desiderando che anch’egli si apraalla logica del bene; interessarsi al fratello vuol dire apri-re gli occhi sulle sue necessità. La Sacra Scrittura mette in guardia dal pericolo di ave-re il cuore indurito da una sorta di «anestesia spiri-tuale» che rende ciechi alle sofferenze altrui. L’evangelista Luca riporta due parabole di Gesù in cui ven-gono indicati due esempi di questa situazione che può crear-si nel cuore dell’uomo. In quella del buon Samaritano, ilsacerdote e il levita «passano oltre», con indifferenza, davan-ti all’uomo derubato e percosso dai briganti (cfr Lc 10,30-32), e in quella del ricco epulone, quest’uomo sazio di beninon si avvede della con-dizione del povero Lazzaroche muore di fame davan-ti alla sua porta (cfr Lc 16,19). In entrambi i casi abbiamoa che fare con il contrariodel «prestare attenzione»,del guardare con amore ecompassione. Che cosaimpedisce questo sguardoumano e amorevole versoil fratello? Sono spesso laricchezza materiale e la sazie-tà, ma è anche l’antepor-re a tutto i propri interessie le proprie preoccupazio-ni. Mai dobbiamo essere inca-paci di «avere misericordia»verso chi soffre; mai il nostrocuore deve essere tal-mente assorbito dalle nostrecose e dai nostri problemida risultare sordo al gridodel povero. Invece propriol’umiltà di cuore e l’espe-rienza personale della sof-ferenza possono rivelarsifonte di risveglio interiorealla compassione e all’em-patia: «Il giusto riconosce il dirit-to dei miseri, il malvagio inve-ce non intende ragione» (Pr29,7). Si comprende cosìla beatitudine di «coloro chesono nel pianto» (Mt 5,4),cioè di quanti sono in gra-do di uscire da se stessi per commuoversi del dolore altrui.L’incontro con l’altro e l’aprire il cuore al suo bisogno sonooccasione di salvezza e di beatitudine.Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresìla premura per il suo bene spirituale. E qui desiderorichiamare un aspetto della vita cristiana che mi parecaduto in oblio: la correzione fraterna in vista della sal-

vezza eterna. Oggi, in generale, si è assaisensibili al discorso del-la cura e della carità peril bene fisico e materialedegli altri, ma si tace qua-si del tutto sulla respon-sabilità spirituale verso i

fratelli. Non così nella Chiesa dei primi tempi e nellecomunità veramente mature nella fede, in cui ci si pren-de a cuore non solo la salute corporale del fratello,ma anche quella della sua anima per il suo destino ulti-mo. Nella Sacra Scrittura leggiamo: «Rimprovera il saggio edegli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà anco-ra più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sape-re» (Pr 9,8s). Cristo stesso comanda di riprendere il fra-tello che sta commettendo un peccato (cfr Mt 18,15). Il verbo usato per definire la correzione fraterna - elenchein- è il medesimo che indica la missione profetica di denun-cia propria dei cristiani verso una generazione che indul-

ge al male (cfr Ef 5,11). La tradizione della Chiesaha annoverato tra le ope-re di misericordia spiritua-le quella di «ammonire i pec-catori». E’ importante recu-perare questa dimensionedella carità cristiana. Nonbisogna tacere di fronte almale. Penso qui all’atteggia-mento di quei cristiani che,per rispetto umano o per sem-plice comodità, si ade-guano alla mentalità comu-ne, piuttosto che mettere inguardia i propri fratelli daimodi di pensare e di agi-re che contraddicono la veri-tà e non seguono la via delbene. Il rimprovero cri-stiano, però, non è mai ani-mato da spirito di condan-na o recrimina-zione; è mos-so sempre dall’amore e dal-la misericordia e sgorga davera sollecitudine per il benedel fratello. L’apostolo Paolo afferma:«Se uno viene sorpreso inqualche colpa, voi cheavete lo Spirito corregge-telo con spirito di dolcez-za. E tu vigila su te stes-so, per non essere tenta-to anche tu» (Gal 6,1). Nelnostro mondo impregnatodi individualismo, è neces-

sario riscoprire l’importanza della correzione fraterna, percamminare insieme verso la santità. Persino «il giusto cadesette volte» (Pr 24,16), dice la Scrittura, e noi tutti siamodeboli e manchevoli (cfr 1 Gv 1,8). E’ un grande servizioquindi aiutare e lasciarsi aiutare a leggere con verità sestessi, per migliorare la propria vita e camminare più ret-tamente nella via del Signore. C’è sempre bisogno di unosguardo che ama e corregge, che conosce e riconosce,che discerne e perdona (cfr Lc 22,61), come ha fatto e faDio con ciascuno di noi.

2. “Gli uni agli altri”: il dono della reciprocità.

Tale «custodia» verso gli altri contrasta con una mentali-tà che, riducendo la vita alla sola dimensione terrena, non

77MarzoMarzo20122012

la considera in prospettiva escatologica e accetta qualsiasiscelta morale in nome della libertà individuale. Una società come quella attuale può diventare sorda siaalle sofferenze fisiche, sia alle esigenze spirituali e mora-li della vita. Non così deve essere nella comunità cristiana! L’apostolo Paolo invita a cercare ciò che porta «alla pacee alla edificazione vicendevole» (Rm 14,19), giovando al«prossimo nel bene, per edificarlo» (ibid. 15,2), senza cer-care l’utile proprio «ma quello di molti, perché giunganoalla salvezza» (1 Cor 10,33). Questa reciproca correzio-ne ed esortazione, in spirito di umiltà e di carità, deve esse-re parte della vita della comunità cristiana.I discepoli del Signore, uniti a Cristo mediante l’Eucaristia,vivono in una comunione che li lega gli uni agli altri comemembra di un solo corpo. Ciò significa che l’altro mi appar-tiene, la sua vita, la sua salvezza riguardano la mia vitae la mia salvezza. Tocchiamo qui un elemento molto pro-fondo della comunione:la nostra esistenza è correlata conquella degli altri, sia nel bene che nel male; sia il pecca-to, sia le opere di amore hanno anche una dimensione socia-le. Nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, si verifica tale reci-procità: la comunità non cessa di fare penitenza e di invo-care perdono per i peccati dei suoi figli, ma si rallegra anchedi continuo e con giubilo perle testimonianze di virtù edi carità che in essa si dis-piegano.«Le varie membra abbia-

no cura le une delle altre»(1 Cor 12,25), afferma SanPaolo, perché siamo uno stes-so corpo. La carità verso i fratelli,di cui è un’espressione l’e-lemosina - tipica praticaquaresimale insieme conla preghiera e il digiuno- si radica in questacomune appartenenza.Anche nella preoccupa-zione concreta verso i piùpoveri ogni cristiano puòesprimere la sua parte-cipazione all’unico corpoche è la Chiesa. Attenzione agli altri nel-la reciprocità è anche rico-noscere il bene che ilSignore compie in essi eringraziare con loro peri prodigi di grazia che il Dio buono e onnipotente con-tinua a operare nei suoi figli. Quando un cristiano scorge nell’altro l’azione dello SpiritoSanto, non può che gioirne e dare gloria al Padre celeste(cfr Mt 5,16).

3. “Per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone”: camminare insieme nella santità.

Questa espressione della Lettera agli Ebrei (10,24) ci spin-ge a considerare la chiamata universale alla santità, il cam-mino costante nella vita spirituale, ad aspirare ai carismipiù grandi e a una carità sempre più alta e più feconda(cfr 1 Cor 12,31-13,13). L’attenzione reciproca ha come scopo il mutuo spronarsi

ad un amore effettivo sempre maggiore, «come la luce del-l’alba, che aumenta lo splendore fino al meriggio» (Pr 4,18),in attesa di vivere il giorno senza tramonto in Dio. Il tempo che ci è dato nella nostra vita è prezioso per sco-prire e compiere le opere di bene, nell’amore di Dio. Cosìla Chiesa stessa cresce e si sviluppa per giungere alla pie-na maturità di Cristo (cfr Ef 4,13). In tale prospettiva dina-mica di crescita si situa la nostra esortazione a stimolar-ci reciprocamente per giungere alla pienezza dell’amoree delle buone opere.Purtroppo è sempre presente la tentazione della tiepidezza,del soffocare lo Spirito, del rifiuto di «trafficare i talenti»che ci sono donati per il bene nostro e altrui (cfr Mt 25,25s).Tutti abbiamo ricevuto ricchezze spirituali o materiali uti-li per il compimento del piano divino, per il bene della Chiesae per la salvezza personale (cfr Lc 12,21b; 1 Tm 6,18). Imaestri spirituali ricordano che nella vita di fede chi nonavanza retrocede. Cari fratelli e sorelle, accogliamo l’invito sempre attuale atendere alla «misura alta della vita cristiana» (Giovanni PaoloII, Lett. ap. Novo millennio ineunte [6 gennaio 2001], n.31). La sapienza della Chiesa nel riconoscere e procla-mare la beatitudine e la santità di taluni cristiani esemplari,ha come scopo anche di suscitare il desiderio di imitarne

le virtù. San Paolo esorta:«gareggiate nello stimar-vi a vicenda» (Rm 12,10).Di fronte ad un mondo cheesige dai cristiani unatestimonianza rinnovatadi amore e di fedeltà alSignore, tutti sentano l’ur-genza di adoperarsi pergareggiare nella carità,nel servizio e nelle operebuone (cfr Eb 6,10). Questo richiamo è parti-colarmente forte nel tem-po santo di preparazionealla Pasqua. Con l’augurio di una san-ta e feconda Quaresima,vi affido all’intercessione del-la Beata Vergine Maria edi cuore imparto a tutti laBenedizione Apostolica.

Dal Vaticano,

3 novembre 2011

BENEDICTUS PP. XVI

Didascalie immagini:

1 - Miracolo della resurrezione del bambino, part.,

Simone Martini, 1312, Assisi

2 -Tributo di Pietro, Masaccio, Cappella Brancacci, Firenze

3 -Disputata con Simon mago, Masolino, 1481,

Cappella Brancacci, Firenze

88 MarzoMarzo20122012

don Andrea Pacchiarotti

DD alla domenica del deserto al Vangelodella luce. Gesù prese con sé alcunidiscepoli e li condusse su un alto mon-

te, anche noi siamo chiamati a seguirlo per vive-re la stessa esperienza di Pietro, Giacomo e Giovanni. Sul monte, il volto di Gesù brilla, brilla di unaluce che non si ferma al volto, neppure al cor-po intero, ma trabocca verso l’ester no: le suevesti di vennero bianche come nessun lavandaiosarebbe capace. Allora Pietro, confuso e se dottoda ciò che vede, bal betta: è bello per noi sta-re qui. È bello stare qui perché sul Tabor il cor-po di Gesù trasfigurato racconta Dio. Una nube li coprì e venne una voce: AscoltateLui. Il Padre prende la pa rola, ma per scompariredietro la parola del Figlio. Il mistero di Dio è ormaitutto dentro Gesù. Quella luce è ancora dispo -nibile per ciascuno di noi: nella Parola, nei sa -cramenti, nella bontà del le persone, nella bel-lezza delle cose. La no stra vocazione diventaquella di liberare tutta la luce e la bellezza pre-sente in noi.

Celebrare: ripartire dalla sua Luce, per cercarlanella nostra comunità. La sequela di Cristo avviene anche nel disagio,nell’incomprensione, nella non piena coscien-za di ciò che si sta vivendo e di ciò che potràscaturire dal cammino che si sta facendo. Nella celebrazione, come nella prima domeni-ca di non consegniamo segni, ma cerchiamo diassegnare un nome alla luce, talvolta scintil labreve talvolta fiume di fuoco, presenti nel vis-suto quotidiano della nostra comunità parroc-chiale. Tante volte è facile vedere le cose chenon vanno, le difficoltà di un cammino, ma il Signoreci invita a saper scorgere la luce della sua pre-

senza in ciascuno dei fratelli. Anche con l’aiuto di immagini, oPowerPoint presentare le “luci” pre-senti nella nostra comunità. La trasfigurazione si fonda su una spi-ritualità di trasformazione e non di rot-tura: il Signore non mi chiede di fug-gire la realtà, né di sognare la comu-nità ideale, ma convertire il mio mododi guardare… il mio modo di stare…il mio modo di vivere la comunità… Senon vivo questa logica di “trasfigura-

zione” a nulla varrebbe dichiarare che «ciò chesi ha di più caro è Cristo» (V. Soloviev).

QQuasi certamente già un’ora dopoi mer canti, recuperate le lorobestie, avevano ripre so pos-

sesso dei loro banchi. Eppure il gestodi Gesù non è rimasto senza effetto.Quell’evento parla ancora a noi tentatidi instaurare con Dio la leg ge del mer-cato: Dio non si merita, si accoglie. La croce di Cristo è gratuità assoluta.Nel Vangelo vediamo Gesù frequenta-re talvolta il tem pio, ma molto più spes-so la vita, case, campi, lago, vil laggi epolvere delle strade di Palesti na. Gesùinsegna che Dio ci raggiunge nella vitadi tutti i giorni. Se potessimo imparareanche noi a cam minare come lui… nella vita,nella vita interiore e in quella degli al tri! L’ultimaparola del Vangelo oggi dice: «Egli infatti sape -va quello che c’è in ogni uo mo». Il Signore chie-

de di sfuggire una fede inaffidabile, una fede fon-data su segni esteriori. La fede affidabile è quella di chi accetta di con-segnarsi al suo Signore fino a perdersi, fino aperdere la propria vita, fino a consumarsi peramore.

Celebrare: il brano evangelico mostra qual erala pedagogia di Gesù: insegnare con i gesti ei fatti più che con le parole; questi gridano mol-to più forte! Ogni suo gesto è un insegnamen-to: guai trasformare la casa del Padre in un luo-go di mercato! C’è una purificazione da fare?Quella di convertire il nostro cuore al Dio di Gesù.La nostra comunità deve testimoniare con fat-

ti di Vangelo il suo essere Chiesa, testi-moniare nella quotidianità la passione peril Signore, non frutto di un vago entusiasmo,ma di una passione ricercata ogni gior-no. Eppure, quanta fatica facciamo! C’è bisogno di purificare tanti nostri atteg-giamenti. In questa domenica possiamosignificare questa disponibilità con un segno,quello di consegnare una moneta a cia-scuno, chiedendo a tutti simbolicamen-te di pensare a un proprio atteggiamentoda “cacciare fuori dal tempio”. Abbandonare la moneta per purificaree rigenerare la nostra comunità.

DD io ha tanto amato il mondo da dare ilsuo figlio unigenito (Gv 3, 16). È Cristoil dono che Dio ha pensato per ciascuno

99MarzoMarzo20122012

di noi, dono che sembra nonricercare reciprocità ma dona-zione: “amatevi gli uni glialtri”. Cristo, allora, diventa “dono”da condividere, dona da vive-re insieme. Questo dono è per tutti e visi-bile a tutti: quando sarò innal-zato, attirerò tutti a me (Gv 12,32).Io sono cristiano per attrazio-ne ed è proprio sulla croce, daquell’altare scomodo, cheGesù esercita tutta la sua for-za di attrazione. Credere è lasciarmi attrarre, lun-go la verticale dell’amore, a miavolta allargando le braccia, cosìvicino, così simile che Cristopossa aderire e baciarmi sen-za staccarsi dalla croce (Teresadi Calcutta). Dio ha tantoamato. Dio eternamente nonfa altro che considerare il mon-do, e ogni uomo, ben più impor-tante di se stesso, al punto dadare la sua vita. Questo è il ver-tice del suo amore! Cosa significa per me amare?La risposta secondo il vangelo è tutta in quel-l’umile verbo: dare. L’amore non si dice a paro-le, non si vede, se ne vedono però i doni. Magli uomini molte volte hanno preferito le tene-bre. Da dove viene questo dramma del prefe-rire le tenebre? Guardiamo a Nicodemo, uomo di paure, che sci-vola da Gesù furtivo tra le ombre della sera.Guardiamo a Gesù che lo accoglie senza giu-dicare, senza condannare. Gesù rispetta la paura di Nicodemo, è pazien-te con le sue lentezze, e con questa pedago-gia lo rende il più coraggioso dei discepoli, coluiche avrà il coraggio di presentarsi da Pilato apretendere il corpo del crocifisso. Questa stes-sa pedagogia Dio la vive con me ed io sono chia-mato a viverla con gli altri.

Celebrare: La nostra vita comunitaria consiste nello sco-prire la strada dell’amore di Dio, nel percorre-re la luce che Dio ci indica, nell’accogliere la suaParola che salva. Per scoprire questo sentiero di luce, ci dice ilMaestro, dobbiamo fare la verità dentro noi stes-si e viverla con semplicità. Siamo chiamati in questa domenica a guarda-re la croce e come gesto invitiamo a baciarla,per fissare anche noi lo sguardo su colui chesarà innalzato e che ci manifesta la misura incol-mabile dell’amore di Dio.

SS e il chicco di grano ca duto in terra nonmuo re, rimane solo; se in vece muore,produce molto frutto.

Il cuore della frase non è il mori-re, ma il molto frutto. Lo sguardodel Si gnore è sulla fecondità, nonsul sacrificio. Un chicco di grano, il quasi nien-te: ma Lui prende questo quasi nien-te e lo salva, ne ricava molto frut-to. Sarò un chicco di gra no, lon-tano dal clamore e dal rumore, cadu-to nel silenzio, seminato giorno pergiorno, senza smania di visibilitàe di grandezza, nella terra buonadella mia comunità, nella ter ra del-la mia famiglia. Chicco di grano chesem bra una cosa morta, mentreè un nodo di vita, dove pulsa nogermogli. Così è ogni uo mo: un quasi niente cheperò contiene invisibili e im pensate energie, uncuore pronto a gemmare di pane e di abbrac-ci. Alto sui campi della morte, Gesù è amorefatto visibile. Alto sui campi della vita, è a moreche seduce. E mi atti ra, dolce e implacabile, ver -so la mia casa, verso la mia gloria, verso il mol-to frutto (E. Ronchi).

Celebrare: “Vogliamo vedere Gesù”. Questa è la richiestadi alcuni greci saliti al culto durante la festa. “Vogliamovedere” è la richiesta che deve nascere nel cuo-re di ciascuno di noi. Ed è nella nostra comu-nità che vogliamo vederlo e trovarlo.Tutti, allora, come corpo di Cristo siamo chia-mati a manifestarlo, ognuno deve mettere delsuo. Gesù non era venuto sulla terra per “rima-nere solo”, bensì per portare “molto frutto”, ed

è questo frutto che siamo chiamati anche noia donare. La vita di ognuno di noi è come un chicco chepuò dare frutti straordinari, anche al di là dellenostre capacità così limitate. Ed il Padre non famancare la sua voce, che venne dal cielo: l’hoglorificato e lo glorificherò. È la voce del Vangelo, che ci spinge ad apriregli occhi, a non rimandare al domani, ma a capi-re oggi il segreto di quel chicco di grano che muo-re per dare frutto. Viviamo nella celebrazione un momento in cuiognuno può deporre un seme di grano in un con-tenitore con della terra, come disponibilità a por-tare frutto nel terreno della propria comunità (sefatto germogliare, questo contenitore può esse-re posto all’altare della reposizione del giovedìsanto). Seme da piantare in un contenitore pre-disposto in Chiesa.

AA fare il cristiano non sono i riti religiosi,ma il parteci pare alla sofferenza di Dio(D. Bonhoffer). Il rischio è quello di vive-

re questa domenica fermandoci solo al rito, alricevere l’ulivo benedetto. L’ascolto del branodella Passione ci presenta chi è il Figlio di Dio!«Un Dio che prima patì e poi s’incarnò. Patì veden-do la con dizione dell’uomo. Patì perché l’amo-re è passione» (Origene). «Amare signi fica pati-

re e appassionarsi. E chi ama di più si preparia patire di più» ( sant’Agostino). Ciascuno di noi oggi fa l’esperienza, delle don-ne al Calvario, che stavano ad osservare da lon -tano. Donne, che rappresentano l’ultimo nucleofedele, sono con Gesù, non possono staccaregli occhi da lui, si im mergono in lui. Il primo nucleo di Chiesa, che guarda a Gesùcon lo stesso sguardo di passione con cui Dioguarda l’uomo. La Chie sa nasce, oggi come allo-ra, dalla contemplazione del volto del crocifis-so. Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!“La fede è abbando narsi all’abbandonato amo-re. Ogni grido, ogni abbandono, può sembrareuna sconfitta. Ma se è affidato al Padre, ha ilpotere, senza che noi lo sappiamo, di far tre-mare la pietra di ogni nostro sepolcro” (R.Cantalamessa).

1010 MarzoMarzo20122012

Pier Giorgio Liverani

IIl primo numero di quest’anno di quell’«almanacco della scienza»positivista, radicale ed evoluzionista che si chiama MicroMega,è tutto dedicato all’“homo sapiens” o, meglio, «all’avventura del-

la “scimmia nuda” che tutti noi siamo e che avrebbe potuto non acca-dere mai». A parte quell’«avrebbe» invece di “sarebbe”, assai poco consono a un«homo sapiens», sorvolando la presa in giro di Dio che funge da con-clusione dei dieci articoli scientifici della rivista e al di là di quella «scim-mia nuda» che i redattori hanno fatto bene, con quel «tutti noi», a restrin-gere a se stessi, questa volta MicroMega presenta una novità interessante. È la «caduta definitiva del paradigma unilineare che interpretava la nostrastoria naturale come una carrellata di stadi di progresso». Era questa, come si sa, la tesi evoluzionista del povero Darwin, cheora viene messo dietro la lavagna su cui il prof. Telmo Pievani, filoso-fo della scienza alla Bicocca di Milano, disegna la nuova teoria (descrit-ta, bisogna riconoscerlo, in modo avvincente) come storia di una pre-umanità molto plurale quanto a specie e sottospecie di «ominini» e sbat-tuta di qua e di là dal «potere delle circostanze storiche e geografi-che» fin quando, come attraverso un vaglio naturale e temporale, unavarietà superstite (non necessariamente la migliore) ha ripopolato il mon-do. Non ci si azzarderà, qui, a valutare né a contestare la nuova tesi,che resterà in ogni modo non scientificamente provata, perché non ripe-tibile. Ci si accontenterà di vestire il lutto per la sepoltura della teoriadarwiniana del “caso” e del “più forte”, ma soprattutto del dogma odi-freddiano secondo cui l’unica certezza di verità è quella che ci vienedata dalla scienza.

CINQUANT’ANNI - 1

Sulla Komsomolskaia Prava – secondo ciò che riferisce il Corriere del-la sera (martedì 14) – il capo del governo russo, Vladimir Putin ha scrit-

to un articolo in cui, poiché «la Russia rischia di trasformarsi in unospazio vuoto» per causa del continuo calo demografico del Paese, lostesso Putin s’impegna a «far nascere 50 milioni di russi» promuovendopolitiche di sostegno alle famiglie, al ritorno degli emigrati e all’immi-grazione. Tace sugli aborti, che in Russia sono almeno 1.200.000 l’anno. Attualmente la popolazione è di 143 milioni di abitanti e, secondo gliesperti, nel 2050 si ridurrà a 107 milioni. Senza gli aborti, in 38 anninascerebbero almeno 45 milioni di giovani e nel 2050 la popolazionearriverebbe (107+45) a 152 milioni di russi.

CINQUANT’ANNI - 2

Come sarà l’uomo tra 50 anni, nel 2062, quando la cometa di Halleypasserà vicino alla Terra per l’ennesima volta ogni 76 anni? All’Unità, che gli ha posto questa domanda, un astrofisico risponde:«Ora stiamo capendo sempre meglio il funzionamento del cervello. Penso proprio che sia più vicina di quanto si pensi la possibilità di sca-ricare il contenuto del nostro cervello su un chip o portarci una chia-vetta Usb che si aggancia dietro l’orecchio e contenga una montagnadi informazioni». Molto più probabile un piercing.

ATTENTI AGLI SCAMBI

Il “matrimonio” dell’ex deputata Paola Concia con Ricarda Trautman,che è tedesca, è avvenuto nel municipio di Francoforte, perché – scri-ve l’Unità – in Italia non si poteva «cerebrale». Davvero: una cosa cerebrale. Attenti agli scambi di consonanti.

Didascalie immagini:In alto: un’opera di Brunello, “La Creazione”

In basso: “La cometa di Halley”,arazzo del 1077 di Bayeux (Normandia).

1111MarzoMarzo20122012

Claudio Gessi

PP arlare di lavoro in Italia, oggi, vuol dire par-lare “in primis” di disoccupazione giova-nile, con particolare attenzione al Sud del

paese, con la consapevolezza che la situazio-ne delle donne è altrettanto preoccupante. E poiché far ricorso ai numeri è sempre eser-cizio stimolante e provocatorio, cercherò di offri-re un quadro il più semplice e realistico per sol-lecitare la riflessione di chi legge queste pocherighe. A novembre 2011 la nostra disoccupazioneera al 8.6%, qualche decimale in meno della mediaeuropea. Preso questo dato così come viene pro-pinato dai mezzi di informazione, dovremmo pen-sare che in fondo non ce la passiamo poi tan-to male!Purtroppo giornali, tv, mass media, non ci infor-mano mai sul cosiddetto “tasso di occupazio-ne”, e cioè la frazione della popolazione in etàlavorativa (15 – 64 anni). E qui la situazione sifa molto più chiara: ITALIA 56.9 - FRANCIA 63.8–GERMANIA 71.1 – G.B. 69.5 – OLANDA 74.4– AUSTRIA 71.7 – EU 25 64.5 – EU 15 65.4(dati Eurostat) La situazione diventa quindi mol-to più complicata e fortemente critica. In mediain Italia ci sono molte opportunità di lavoro inmeno rispetto ai nostri cugini europei. Ma se calia-mo la nostra attenzione sul mondo giovanile esulle donne, il pessimismo diventa tragedia.A novembre 2011 la disoccupazione nella pri-ma fascia dell’età lavorativa è passata dal 20%del 2007 al 30% (dati ISTAT). Solo per offrireun termine di raffronto, in Germania la disoc-cupazione giovanile è al 8.4%, negli USA al 17.4e in G.B. al 19.9. Peggio di noi solo Spagna (42.8)e Grecia (36.9), ben magra consolazione. Neigiovani lavoratori italiani (18 – 29 anni), il 25%è impegnato in lavori atipici o temporanei, il dop-pio della media generale. E qui sorge una secon-da, grande questione. Quando nella seconda metà degli anni ’90 furo-no introdotte in Italia le prime forme di “lavoroflessibile”, tale scelta fu motivata dalla neces-sità (inderogabile) di rendere più dinamico l’in-gresso al mondo del lavoro. L’esperienza maturata in altri paesi europei ave-va dimostrato che tale “opportunità” era statal’anticamera per un lavoro più stabile. Ma nel-le altre esperienze europee, il lavoratore “fles-sibile”, data la sua provvisorietà ed instabilità,era, di fatto, retribuito in maniera piùalta rispet-to ad un lavoratore “stabilizzato”.In Italia il fenomeno del lavoro “flessibile” è par-tito da subito con tre grandi distorsioni: 1) forte e costante ricorso a “contratti anomali”allo stesso lavoratore, spesso in palese viola-zione della normativa vigente; 2) retribuzione fortemente “in ribasso” rispettoagli occupati stabili di pari mansioni; 3) arbitraria e incontrollata gestione di diverseforme di “lavoro atipico” da parte degli impren-ditori allo stesso lavoratore. Prima regola: pagare il più possibile di meno!Ovviamente la situazione del “mondo femmini-le” e più in generale del Meridione richiederebbeuna ulteriore, ampia ed approfondita riflessio-

ne. In un tale scenario, la scelta del GovernoMonti, di riformare in tempi velocissimi, senzaalcun confronto di merito con le forze sociali, leregole di accesso al sistema pensionistico hareso ancor più drammatica la situazione rispet-to alle prospettive di lavoro per le giovani gene-razioni. Dall’aprile 2008 ad oggi sono stati per-si in Italia 670.000 posti di lavoro. Un recente studio dell’Istat ha rivelato che la “rifor-ma pensionistica” ha generato una forte e mag-gior permanenza degli “over 55” nel mondo dellavoro, ed una impressionante fuoriuscita di colo-ro che hanno meno di 34 anni. Verrebbe da affer-mare che mentre i padri restano al lavoro, i figli

escono dal mercato. Una tale linea di tenden-za, se dovesse consolidarsi, creerebbe condi-zioni di prospettiva futura del nostro paese dram-matiche.Una ulteriore riflessione che oggi non tocche-rò è quella delle possibili, non rassicuranti con-seguenze che il dover permanere in attività lavo-rativa, interesseranno centinaia di migliaia di lavo-ratori impegnati in attività ad alto rischio ed usu-ra fisico-psicologica. Sono stato impegnato percirca 20 anni nel servizio sindacale del mondoedile. Pensare che un operaio delle costruzio-ni, a 60 anni possa tranquillamente andare suponteggi o sobbarcarsi pesi di un certo rilievonon mi convince affatto! E certo ci sono altre lavorazioni anche più pesan-ti e rischiose. Riscontro anche un forte ritardonella capacità di proporre al paese le necessarie

soluzioni per una effettiva ripresa economica eproduttiva. E da questo punto di vista ritengoingiustificati ed incomprensibili i forti ritardi suldecollo di quello che potrebbe essere uno deivolani straordinari per rilanciare l’occupazione,un volano in grado di far venire meno le “preoc-cupazioni” degli imprenditori sul “famigerato” arti-colo 18, ed orrire alle giovani generazioni unostrumento di ingresso e crescita: l’apprendistato.Tale strumento è stato oggetto negli ultimi tem-pi di profonde e radicali innovazioni, tali da ren-derlo “appetibile” economicamente e di prontoe facile uso. A condizione che non si ricada nel-l’ormai classico “vizietto” italico del “fatta la leg-

ge, trovato l’inganno”.L’apprendistato quale strumento ingresso – for-mazione e non occasione di risparmio alle spal-le dei nostri giovani e delle nostre finanze! In conclusione: Il nostro non è un paese per gio-vani! Partendo da tale dura ma necessaria affer-mazione, penso che anche la nostra Chiesa deb-ba fare la propria parte. Ed in tal senso, nel pros-simo numero proporrò un approfondita riflessionesu un percorso di speranza ed impegno per inostri giovani promosso ed incoraggiato dallaCEI: il Progetto Policoro.

*Dir. della Comm. Reg.le per la Pastorale Socialee il Lavoro, Giustizia e Pace,

Custodia del Creato, della C. E. L.

1212 MarzoMarzo20122012

Claudio Capretti

CCarissimo Giosuè, alcu-ne sere fa mi sono tro-vato ad ascoltare le

preoccupazioni di un amicoil quale era stato chiamato asostituire il suo superiore econtinuare l’operato di que-st’ultimo. Nonostante Andrea avesseavuto la fiducia di tutti, in pri-mis del suo capo, i dubbi chelo assillavano non eranopochi. Infatti mi domandava:“Riuscirò ad essere all’altezzadella situazione? Sarò in gra-do di riempire il vuoto di unleader da un forte carismacome era il mio capo?”. Per incoraggiarlo, gli ho fat-to osservare che alla fine diquella missione, nessunogli avrebbe mai chiesto se fos-se stato una buona imitazionedi chi lo aveva preceduto, masoltanto se fosse rimasto sestesso e se avesse continuatoa perseguire il bene delle persone che gli era-no state affidate. Alla fine, ci sei venuto in men-te tu caro Giosuè, fedele aiutante di Mosè e poisuo successore. Nessuno meglio di te, può capire cosa signifi-ca continuare la missione interrotta da un gran-de uomo come ad esempio lo è stato Mosè.Fino a quando eri al suo fianco tutto era più faci-le e forse neanche lontanamente immaginaviche un giorno avresti preso il suo posto. Eppure le cose andarono come andarono. Mosèprima di morire su ordine del Signore, ti misealla guida del popolo d’Israele che cammina-va nel deserto verso la terra promessa.Nessun attestato da stratega militare ti fu richie-sto dal buon Dio, ma solo di fidarti di Lui e soloa queste condizioni, il cammino del popolo diIsraele poté continuare. Una sola Parola ti furivolta direttamente dall’Adonai:“Tu sii forte ecoraggioso” (Gs 1,6). L’ascolto e l’osservanza alla Sua Parola,avrebbero fatto si che tu potessi attingere daltuo cuore ciò che Lui vi aveva posto fin dall’e-ternità, appunto quella forza e quel coraggio cheti chiedeva per adempiere il tuo servizio. La SacraScrittura ti riserva un intero libro considerato ilprolungamento del Pentateuco, in cui vengo-no celebrate non tanto le vittorie che conseguisti,quanto la fedeltà del Signore verso il suo popo-lo. Egli stava per donarvi quella terra che mol-

ti anni prima aveva promesso ad Abramo. Maera Lui che combatteva per voi e la dimostra-zione più attinente la troviamo nella caduta del-la città più antica del mondo, Gerico. Essa infatti, non cadde per una vincente stra-tegia militare o per una supremazia numericadel tuo esercito. Essa cadde con una liturgia.Sette giri intorno alle mura di Gerico che crol-larono con la conseguente presa della città (Gs6). Sai Giosuè, i muri come quelli di Gerico (ossiaquegli ostacoli che sono chiamato a superare)o mi spaventano oppure li sopravvaluto.L’istinto a volerli raggirare o superarli a modomio è la prima cosa con cui mi trovo a fare iconti, eppure essi sono lì a darmi la dimostra-zione di quanto io mi fidi di Dio, di quanto cre-do che una liturgia (Eucaristica, della Parola,di una Penitenziale,…) può, più e meglio, di tan-te altre cose che io possa realizzare. La tua storia si concluse con la divisione del-la terra promessa alle dodici tribù d’Israele etu, fedele servitore del Signore e degno suc-cessore di Mosè, tornasti alla casa del Padre.Mio caro e fedele Giosuè, sono arrivato al capo-linea di questo mio viaggio epistolare che è ini-ziato con Adamo, per poi proseguire con altripersonaggi della Prima Alleanza fino ad arri-vare a te. Ognuno di voi con le vostre storie,mi ha permesso di fare l’unico viaggio che val-ga la pena di fare, quello dentro me stesso.

Dal fuoco delle vostre vite, hopreso in prestito una scintillao meglio un vostro particola-re aspetto e armato di questaluce, ho iniziato a percorrerei cunicoli oscuri del mio cuo-re. Ogni volta che giungevo allafine della storia di ognuno divoi, ad attendermi c’era sem-pre il Dio della storia fonte diogni misericordia che ha con-dotto le storie di ciascuno di voie quelle di ognuno di noi.Tutto questo mi fa comprendereche senza di Lui non posso farniente poiché, certa è laParola:“Se il Signore noncostruisce la casa, invano vi fati-cano i costruttori” (Sal 127,1 ).Si, ognuno di voi mi ha ricon-dotto a Lui e solo a Lui e da lidovevo poi ripartire, ripercor-rendo a ritroso il mio cunico-lo per aggiungere infine un nuo-vo mattone alla mia “costruzione”,perché il “cantiere” per diven-tare cristiani rimane aperto sinoalla fine dei miei giorni. E’ quin-di opportuno non concedersi ferie,

ma lavorare con letizia perché provengo dal-l’amore di Dio e non faccio altro che ritornarepresso l’amore di Dio. Caro Giosuè sono certo che avrai capito del per-ché ti ho lasciato per ultimo, l’ho fatto per ricor-dare a me stesso che come te anch’io devo con-quistare la mia terra promessa, che è poi in defi-nitiva guadagnare la vita eterna alla mia ani-ma e non entrare nella seconda morte. E sai, questa conquista non è dettata solo daun sublime egocentrismo, intendo, avere a cuo-re solo la mia salvezza, ma anche la consa-pevolezza che a me sono legate molte animeche potrebbero perdersi qualora io mi perdes-si. Non è forse vero che ci salviamo a grappoli?.Se il capo cordata cade, non cadono forse tut-ti coloro che Dio ha legato a lui? Anch’io comete devo trovare quella forza e quel coraggio cheil buon Dio ha messo nel mio cuore e la chia-ve di accesso è quella fedeltà che il Signorechiese te e che ogni giorno viene a chiedermiper la mia felicità. Una fedeltà che deve esse-re alimentata da una costante preghiera e unabbandono nelle mani del Padre. Caro Giosuè, perdonami se approfitto di te, maa conclusione di questo mio cammino episto-lare desidero chiederti una cosa: quando l’a-vanzare sul “sentiero della vita” (Sal 15,1) si fapiù faticoso; quando strade sbagliate mi con-ducono sul crinale dell’abisso poiché “nulla è

continua a pag.13

1313MarzoMarzo20122012

prof.ssa Sara Gilotta

SSan Giuseppe è senzadubbio il Santo per anto-nomasia di marzo e,

pur se nel medesimo mesesi celebra anche la festività di San Benedetto,fondatore dell’ordine forse più importante del Medioevo,è “Lui”,è il padre putativo di Gesù il più caro eil più noto ad una gran parte di fedeli, tra i qua-li sono molti a portare il suo nome. E a Giuseppe molte opere d’arte sono state dedi-cate, oltre che molti studi volti a “chiarire” il ruo-lo che Egli ebbe accanto a Maria e a Gesù. Ruolo che, sebbene i Vangeli non dedichino mol-to spazio a Giuseppe, fu straordinario nella sto-ria della salvezza, innanzitutto perché fu coluiche decise di rimanere accanto a Maria, dopoaver appreso della Sua maternità ad opera del-lo Spirito Santo, come gli aveva rivelato un ange-lo di Dio a lui apparso in sogno. E rimase, dando vita alla più santa delle fami-glie, la “sacra famiglia”, appunto, cui sarebbe bel-lo che tutte le famiglie guardassero come esem-pio di fede, di bontà e di amore nei confronti ditutti gli uomini. E come in tutte le vere famiglie

la presenza di Giuseppe sposo e padre, lo testi-monia il Vangelo di Matteo, fu sempre fondamentalecome in occasione della presentazione diGesù al Tempio. Il “Bambino”è accompagna-to, infatti, dalla madre e dal padre, il padre ter-reno, che è stato giustamente definito come “l’om-bra del padre”, perché è colui che in nome ditutta l’umanità offre il figlio a Dio.Questa pagina del Vangelo è senza dubbio mol-to bella, perché ben sa mettere in risalto la per-sona di San Giuseppe certamente fondamen-tale nel mistero dell’Incarnazione, ma anche per-ché è bello pensare alla tenerezza tutta uma-na e paterna con cui Giuseppe dovette porta-re Gesù tra le sue braccia forti, che avvolseroil piccolo Gesù, come avrebbe fatto qualsiasi altropadre rapito dall’amore per il suo bambino. Allo stesso modo Giuseppe fu accanto a Mariacon umiltà e sorretto dal dono della giustizia, nelsenso che in lui furono presenti tutte le virtù, neces-

sarie innanzitutto ad educare e ad accom-pagnare il Fanciullo Gesù, che non a casogli rimase accanto fino al momento in cuiiniziò la Sua missione di salvezza.I Vangeli non dicono molto altro di Giuseppe,eppure intorno alla sua figura nei seco-li si è andata formando una tradizionedi fede e di vero affetto filiale, che lo hareso forse il santo cui si guarda con mag-giore fiducia di essere protetti ed esau-diti. E anche ora nel nostro tempo, in cui,secondo me, persino i santi sono“impalliditi”, offuscati dalla irrimediabileconfusione che caratterizza il vivere quo-tidiano, è bello rivolgersi a Lui nella pre-ghiera, per una vita da vivere senza maiperdere la certezza della protezione divi-na. Come seppe fare Giuseppe che ciha donato un grande esempio di umil-tà, perché Egli fu il santo umile e mode-sto, esempio come nessun altro del padredi famiglia amoroso che si sacrifica peri suoi cari. E se i padri di oggi tornas-sero ad ispirarsi a Lui, sarebbe davve-ro bello perché, ne sono certa, molte fami-

glie chen e ln o s t r otempo dif-ficile, sonoincapacidi affron-tare le dif-ficoltà diogni gior-no, trar-rebberoda Lui l’e-s e m p i onecessarioper donareagli altri l’a-more e l’af-fetto chesono il primo“viatico” percrescere efar crescere.Un amorenon astratto, ma derivante dall’impegno che cia-scuno di noi deve saper mettere a disposizio-ne della famiglia e di tutti senza chiacchiere, sen-za altro se non la capacità mettersi a disposi-zione dell’altro per meglio superare le imman-cabili prove della vita, in serenità, pace e pre-ghiera. Per non perdere del tutto quello slanciodel cuore, che spesso abbiamo timore amostrare, quasi che un tale atteggiamento siacapace di farci considerare diversi, degli “illusi”che ancora credono a queste cose. Forse perché oggi l’amore vero, che è capacedi aprirsi a tutti con semplicità e generosità , èdiventato difficile anche da dirsi, prima ancorache da realizzare, persino nella famiglia, dovetroppo spesso prevalgono forme di egoismo edi solitudine che sono la causa delle molte e gran-di sofferenze che caratterizzano il nostro tem-po apparentemente bisognoso solo di piaceri super-ficiali, che nulla lasciano dietro di sé se non ama-rezza ed ancora più grande solitudine.

intatto nelle mie ossa per i miei peccati” (Sal38,4) e forte è la tentazione a disperare; quan-do le ginocchia si piegano perché ardua è laprova e non trovo in me la forza di dire: “Il Signoreha dato il Signore ha tolto, sia benedetto il nomedel Signore” (Gio 1,21); quando venti impetuosisi abbattono sulla mia casa per abbatterla (Mt8,25) e la paura mi trascina nel dubbio che Diomi abbia abbandonato, allora, tu mettiti accan-to a me e sussurra infinite volte al mio cuore:“ Tu sii forte e coraggioso” , non permettere

ch’io dimentichi che il mio nome è scolpito findall’eternità e per l’eternità sul palmo delle manidel buon Dio.Allora, ne sono certo, con rinnovato vigore ripren-derò il mio cammino e gioirò nel vedere che:“Il Signore ha rinforzato le sbarre della mia casa”(Sal 147,13). Occorre andare avanti seguen-do Colui che ha posto la sua dimora in mezzoa noi, poiché: “chi segue Cristo, l’uomo perfetto,diventa anche lui più uomo” (Gaudium et spes,n. 41), ma anche perché ogni giorno che pas-sa mi avvicina sempre di più alla frontiera che

dovrò attraversare. Ad accompagnarmi ci siala Santissima Vergine Maria, che come ama-va definirla don Tonino Bello è la “Donna del-la frontiera”. Sia Lei ad accogliermi quando dovròattraversare il “confine”; Lei fortezza delle mieforze precarie e ricchezza delle mie miserie. E se ancora non avrò il “passaporto” in pienaregola, possa il Suo amore materno intercedereper me presso il Figlio, concedendomi l’ingressoalla Gerusalemme celeste.E perché no, magari “senza passare per il pur-gatorio” (Don Bruno Sanguin, orionino).

segue da pag. 12

1414 MarzoMarzo20122012

mons. Luigi Vari*

II l salmo 119 ha offerto l’occasione di affrontare alcuni temi tipicidella letteratura sapienziale della Bibbia. Se qualcuno legge que-sti articoli, si sarà incuriosito della concretezza delle domande,

che il Salmo pone. Non si parla, infatti, di realtà distanti della vita, madi contenuti, che potrebbero essere definiti esistenziali; per restareal Salmo, la domanda su come si possa educare un giovane e sucome possa essere aiutato a conservare la sua vita trasparente, lapuò porre ogni papà e ogni mamma. La letteratura sapienziale comprende alcuni libri, che spesso si cono-scono solo per il titolo o per qualche brano particolarmente famoso.Uno dei problemi di questa letteratura è che attraversa varie fasi del-la storia di Israele, e arriva fino alla soglia costituita dalla distruzionedi Gerusalemme; conseguentemente non tutti i libri seguono la stes-sa sorte e sono accolti nell’elenco dei libri santi da parte degli ebrei.I libri, che costituiscono la letteratura sapienziale sono chiamati dagliebrei ketubim; è forse necessario fornire un quadro generale della let-teratura biblica dell’antico Testamento, per permettere, Bibbia alla mano,di orientarsi meglio in quest’universo.La Bibbia ebraica, tanak, è composta da tre grandi raccolte, la Legge(Torah), i Profeti (Nebiim) e i libri sapienziali (Ketubim) ; le tre rac-colte corrispondono alla nostra divisione del Vecchio Testamento, conla differenza, che noi distinguiamo la raccolta del Profeti in due grup-pi, i libri storici e quelli profetici; anche per i termini c’è una distinzio-ne, infatti, noi chiamiamo Pentateuco, facendo riferimento al loro nume-ro, i cinque libri della legge.Un’altra differenza fra la Bibbia Ebraica e il nostro Vecchio testamento,consiste nel numero dei libri che li compongono; mancano, infatti, nel-la Bibbia ebraica alcuni libri presenti nel nostro Antico Testamento,essi sono: Tobia; Giuditta; Sapienza, Siracide; Primo libro dei Maccabei;

Secondo libro dei Maccabei; alcuni tratti del libro di Daniele;alcuni tratti del libro di Ester; alcuni tratti del libro

di Baruc; Lettera di Geremia.Non ci sono grandi misteri da

svelare per giustificarequeste diversità; poi-

ché un libro peressere con-

siderato santo nel popolo, doveva essere usato nella liturgia e nel-l’insegnamento. La distruzione di Gerusalemme e la dispersione degli ebrei determi-narono nel 70 d.C, la fine di una vita organizzata del popolo nella suaterra; fu un’interruzione traumatica, che ebbe, fra le sue conseguen-ze anche la fine dell’evoluzione della letteratura biblica. La preoccupazione di non perdere l’immenso patrimonio, che deter-minava l’identità del popolo, anche se disperso, spinse ad accettarei libri, che erano conosciuti, letti, usati e a mettere da parte quelli peri quali non c’era stato il tempo necessario perché entrassero nel vis-suto del popolo.Una posizione, che testimoniava anche l’amore per la propria terrae per la propria lingua; non era possibile, infatti, che i libri santi nasces-sero fuori della terra promessa e fossero scritti in una lingua, comenel caso del libro della Sapienza, diversa da quella ebraica.La vicenda dell’elenco dei libri ebraici, tecnicamente indicata comequella del canone ebraico, dà indicazioni preziose di come la santi-tà di un libro della Bibbia, è determinata esclusivamente dall’acco-glienza dei fedeli, dall’uso nella catechesi e nella liturgia. L’eventuale determinazione da parte di un’autorità, segue e non pre-cede la determinazione di santità; appare come una presa d’atto del-l’autorità, che un testo esercita in una comunità.Dedicheremo qualche riga alla storia del canone e potremo render-ci conto di come siano infondate le teorie del complotto di autoritàoscure nella determinazione dell’elenco dei libri santi; sia per quan-to riguarda il Vecchio Testamento che il Nuovo.L’elenco dei libri del Vecchio Testamento ha costituito un criterio, alquale ci si riferisce come il criterio della hebraicaveritas, al quale sisono attenute le chiese della Riforma; anche San Gerolamo sugge-riva di accettare l’elenco dei libri secondo l’uso degli ebrei.Nell’elenco dei libri santi, determinato ufficialmente dalla Chiesa cat-tolica solo con il Concilio di Trento, si sceglie di accettare anche queilibri, che, non presenti nel canone ebraico, avevano, però, ormai eser-citato un forte influsso nella vita della Chiesa.

*parocco e biblista

1515MarzoMarzo20122012

don Antonio Galati

DD opo aver visto, nel mese precedente, solo a partiredal nome, cosa significa ricevere il sacramento del-la cresima e, guardando all’interno della Scrittura, cosa

significa ricevere lo Spirito attraverso questo dono sacramen-tale, la riflessione che adesso si farà porterà l’attenzione su comesi è evoluta la celebrazione del sacramento e su quale è il ritoattuale.L’evoluzione del rito della CresimaAll’inizio della storia della Chiesa, i nuovi battezzati erano qua-si totalmente gli adulti, per questo motivo si preferiva celebra-re insieme i tre sacramenti dell’iniziazione cristiana. Ciò veni-va fatto nel momento più solenne dell’anno, durante la nottedi Pasqua, con la Veglia e la Messa presieduta dal vescovo.Con il passare del tempo il cristianesimo si è sparso per il mon-do allora conosciuto e, grazie all’editto di tolleranza diCostantino nel 313 e la scelta di Teodosio I, nel 380, di faredel cristianesimo la religione ufficiale dell’impero romano, quasi tutti i cit-tadini dell’impero chiesero il battesimo. Accanto a questo bisogna con-siderare anche che, essendo il battesimo il sacramento che dona la figlio-lanza divina e viene considerato, giustamente, necessario alla salvez-za, molti iniziarono a chiedere il battesimo anche per i bambini, tenen-do anche conto dell’elevata mortalità infantile.Tutto ciò ha significato un moltiplicarsi di persone che dovevano rice-vere i sacramenti dell’iniziazione cristiana e inoltre, per il valore stessodel sacramento dell’eucaristia, in Occidente si decise di separare i momen-ti in cui si celebravano i sacramenti dell’iniziazione, rimandando la pri-ma comunione al momento in cui i bambini avevano almeno un po’ diconsapevolezza per comprendere ciò che stavano celebrando. Questifatti hanno reso impossibile la celebrazione dell’iniziazione cristiana sem-pre e solo durante la notte di Pasqua alla presenza del vescovo, allorail battesimo iniziò ad essere celebrato in diversi luoghi e durante tuttol’anno, ma per mantenere comunque il legame con il vescovo e, trami-te lui, con la Chiesa intera e l’evento originale di Cristo, di cui sono testi-moni gli apostoli, che hanno consegnato questa testimonianza ai vesco-vi, la cresima veniva celebrata sempre dal vescovo, il che ha compor-tato una separazione tra la celebrazione del battesimo e della cresima,non potendo il vescovo essere sempre presente in tutti i luoghi in cui sicelebravano i battesimi.La scelta di mantenere separati i due sacramenti dell’iniziazione cristianae lasciare che sia il vescovo il ministro ordinario della cresima porta amettere in evidenza alcuni significati di questo sacramento:è il sacramento che conferma loSpirito e la fede ricevuti in gior-no del battesimo, rafforzando-ne la presenza nel cresimato;la presenza del vescovo indicail legame con tutta la Chiesa econ l’evento Cristo che i cresi-mati sono chiamati ad annunciare.Al tempo stesso, guardare a comesi è evoluto il sacramento del-la cresima ricorda che esso nonè una cosa isolata, ma che, comun-que, rimanda naturalmente al bat-tesimo ricevuto in precedenza,perché ne conferma lo stessoSpirito e la stessa fede.Il rito della cresimaIl rito con cui si conferisce il sacra-mento della cresima è molto sem-plice in sé e consta di tre partiche, poi, coincidono con i tre segniche manifestano e realizzano ilsacramento.La prima parte, e quindi il pri-

mo segno, è l’imposizione delle mani. Attraverso questo gesto si invo-ca lo Spirito Santo, il dono per eccellenza della cresima, accompagnandoil gesto con le parole di invocazione dello Spirito, in cui si chiedono i set-te doni spirituali che fortificano e accompagnano il cristiano per tutta lasua vita: «Dio onnipotente, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, chehai rigenerato questi tuoi figli dall’acqua e dallo Spirito Santo liberandolidal peccato, infondi in loro il tuo santo Spirito Paraclito: spirito di sapien-za e di intelletto, spirito di consiglio di fortezza, spirito di scienza e dipietà, e riempili dello spirito del tuo santo timore».La seconda parte, quindi anche il secondo gesto, è l’unzione con il sacrocrisma. L’olio crismale si usa, oltre che nella cresima, nel battesimo enell’ordinazione, perché effettua la consacrazione di chi lo riceve. Ricevendo l’unzione, il cresimato è consacrato, come Cristo, re, sacer-dote e profeta. Questo gesto è accompagnato dalle parole «ricevi il sigil-lo dello Spirito Santo che ti è dato in dono». Questa espressione mette in evidenza che, fondamentalmente, la cre-sima, come ogni altro sacramento, è un dono. Questo dono, quando vie-ne ricevuto, imprime un sigillo, cioè un segno indelebile che lo Spiritofa nello spirito dell’uomo e che configura definitivamente chi lo riceve aGesù Cristo stesso. Poi il rito si conclude con lo scambio della pace trail cresimato e il vescovo. Ciò indica la comunione ecclesiale che, con lacresima, il cresimato ha rafforzato con il proprio vescovo e tutta la comu-nità cristiana.

Nell’immagine del titolo: Sacramento della Cresima,Poussin, 1645,Edinburgo

1616 MarzoMarzo20122012

Sara Bianchini*

SS ono ripresi con il mese di gennaio gli incon-tri di formazione per i volontari e gli ope-ratori della Caritas parrocchiale e dioce-

sana. Sede Artena, centro geografico (e di gran-de e ripetuta ospitalità nei nostri confronti) delladiocesi. Mentre lo scorso anno, la formazione erastata pensata senza momenti in comune e diret-tamente organizzata nei diversi paesi della dio-cesi, raggruppando le parrocchie locali, quest’annosono ripartiti gli incontri comuni. Vedersi insieme è anche rivedere volti conosciuti,nuovi o meno nuovi. Dà consolazione, nel sen-so di un’idea del camminare insieme, almeno nelservizio, nonostante le difficoltà sempre presen-ti. Questi incontri – che termineranno alla fine dimaggio – costituiscono allora un’occasione perallenare il nostro servizio, dare forma al nostroservizio, cioè confrontarsi su problemi concreti perdare risposte sempre più adeguate. Il primo di essi ha avuto per tema: accoglienzae diritti/doveri degli immigrati: cose da sapere persaper fare. L’interessante ci sembra sia innan-zitutto in questo senso di uguaglianza e parità cheil titolo voleva trasmettere. La persona immigra-ta è una persona, e come tale ha dei diritti, masi assume anche dei doveri relativi innanzituttoalle necessità di ogni rapporto umano, ed in secon-do luogo alle specifiche forme di convivenza rego-lamentate anche dal diritto, del paese in cui viveil suo percorso di immigrazione. Non so bene se dovrebbe far sorridere o desta-re preoccupazione il commento di coloro che affer-mano che gli immigrati non hanno solo diritti…Come se qualcuno pensasse che non abbianodoveri! Quel che ci siamo chiesti è se onestamentesiamo in grado come paese civile e come comu-nità ecclesiale, di accompagnare queste perso-ne in percorsi sui quali possano tanto rivendica-re il diritto quanto assolvere al dovere, senza sbi-lanciamenti fra i due aspetti e senza differenzedi “passaporto”, cioè di cittadinanza, con gli ita-liani o con uno statunitense per esempio…E proprio su questo tipo di differenze ha inizia-

to a farci riflet-tere, LorenzoChialastri, diret-tore del Centrodi ascolto per glistranieri di viadelle Zoccolettedella Caritas diRoma, che hatenuto l’incon-tro. Perché laCaritas di Romaha diviso l’a-scolto degli ita-liani da quellodegli stranie-ri? Non per-ché siano diver-si diritti e dove-ri (forse i dirit-ti sì, a ben pen-sarci), ma per-

ché gli stranieri hanno differenze di documenti,di cultura e aspettative verso di noi e verso ciòche noi (Italia: civile e religiosa) possiamo darea loro; dunque la differenza è sostanzialmentenella modalità della risposta che gli operatori Caritaspossono apportare nei confronti di un italiano odi un extracomunitario. Perché questo è il termine tecnico che andreb-be usato. Solo che – come al solito – il linguag-gio rischia di essere un ostacolo piuttosto che nonun ausilio: lo straniero è l’extracomunitario, ter-mine di per sé brutto, perché classifica secondoun criterio di esclusione, cioè chi sta fuori dellacomunità. Una parola soprattutto imprecisa, per-ché uno svizzero uno statunitense e un congo-lese sono fuori della Comunità Europea, un rume-no per esempio non lo è. Perché allora nella nostra mente, il primo pen-siero quando sentiamo pronunciare “extracomunitario”va al rumeno e non allo statunitense? E solo iinsecondo luogo al congolese o al filippino? Forse perché a Roma, come anche nella nostradiocesi, le persone rumene in condizione di biso-gno sono di più di quelle statunitensi in analogacondizione. Ma il motivo è solo statistico? Ancora sul linguaggio, nel senso di slogan modaio-li, l’incontro ha continuato a riflettere sottolineandocome i temi legati all’immigrazione possano costi-tuire l’ago della bilancia in caso di elezioni. Pensiamo per esempio allo slogan “spariamogliappena arrivano alle nostre coste”: dov’è il pro-blema di una proposta del genere? Che al di làdell’inumanità, essa è contro il diritto (non soloitaliano, ma internazionale) e dunque, chiunquepretendesse di metterla in atto, finirebbe nelle magliedella giustizia. Allora quale è la finalità di una pro-posta del genere? Non possiamo non renderciconto che è puramente demagogica, e che nonaiuta minimamente nell’ipotesi di una soluzionedei problemi che l’immigrazione causa.Il punto nodale è forse la comprensione che larealtà dell’immigrazione, nella sua profondacomplessità e diversità da caso a caso, passanecessariamente per due canali ineliminabili: lalegge e la solidarietà. Mi chiarisco.

La modalità di entrata nei paesi è regolamenta-ta dalla legge non solo in Italia. La legislazione sull’immigrazione è stata possain essere, nel tempo (subendo quindi variazioni,aggiustamenti, chiusure e aperture), soprattuttodai paesi ricchi perché forte è man mano diven-tata la pressione di chi, vivendo in condizioni peg-giori, vuole entrare in un paese in cui le condi-zioni di vita sono (e non solo appaiono) miglio-ri. E tale legge non può non esserci.Il problema diviene allora interrogarsi su vari aspet-ti: chi formula la legge in merito in Italia? Per esem-pio il decreto flussi viene posto in essere anchecon un decreto del presidente del consiglio, sen-za che ogni volta si passi per la discussione inparlamento di una nuova legge sull’immigrazio-ne? O chi decide la struttura numerica del decre-to flussi (perché i componenti della commissio-ne che se ne occupa potrebbero essere tutti soloed esclusivamente di provenienza “economico-produttiva”, per esempio la Confindustria, i rap-presentanti dell’agricoltura, o “politico-ammmini-strativa” come le regioni o le provincie. E la parte umanitaria, culturale, dove sta? Si rego-la l’ingresso tenendo conto solo di quante brac-cia ci servono? Ma questo come è conciliabilepoi col fatto che imputiamo agli stranieri di veni-re in Italia per rubare il lavoro agli italiani? E del resto, far venire qualcuno senza offrire con-crete chance lavorative, o di regolarizzazione ammi-nistrativa e giuridica, non è offrire una falsa acco-glienza, cioè una pericolosa illusione? E la modalità con cui sono pensati il rilascio edil rinnovo dei permessi di soggiorno, favorisce que-sta idea di regolarizzazione (che significa ancheche gli immigrati paghino le Tasse allo stato ita-liano) o piuttosto l’irregolarità, la clandestinità?L’esperienza della Caritas di Roma è che fra gliimmigrati ad oggi regolari, quasi tutti siano pas-sati per un periodo di clandestinità. Per non parlare poi della possibilità effettiva diaccedere all’ingresso regolare (pensiamo alle pro-cedure telematiche che prevedono datori di lavo-ro sul piede di guerra informatico: Lorenzo spie-gava come nell’ultimo decreto, la procedura online per la presentazione della domanda da par-te dei datori di lavoro si era aperta la mattina alle8 ed alle 8.10 i posti disponibili erano già finiti). Oppure l’ipotesi dei rimpatri – non necessariamentepenali, ma anche per semplice espulsioneamministrativa, data a persone che non hannocommesso reati di alcuna sorta, ma che sono peròirregolari, commettendo così il reato di immigra-zione clandestina (tra parentesi chi ospita una badan-te irregolare è imputabile, anche lui di un reato:cioè il favoreggiamento dell’immigrazione clan-destina!): funziona? Come potrebbe funzionare se non ci sono soldiper i rimpatri (e siamo sinceri: noi accetteremmoche fondi fossero stornati p.e. dalla sanità per con-centrali sui rimpatri?!?) e se spesso gli immigraticlandestini, non volendo tornare nel paese da cuiprovengono – non dichiarano quale sia il loro pae-se di provenienza? Se noi fossimo per esempiola Norvegia, accetteremmo di riprenderci un cit-tadino (in miseria) che probabilmente non è nostro?Cioè come decidere dove “rispedire” il clandestino,senza entrare in conflitto con altri paesi esteri?

continua a pag. 17

MarzoMarzo20122012

II l 24 marzo 1980, mentre celebrava l’Eucaristia, venne ucciso MonsignorOscar A. Romero, Vescovo di San Salvador nel piccolo stato cen-troamericano di El Salvador. Il 24 marzo si celebra la Giornata

di preghiera e digiuno in ricordo dei missionari martiri, che prende ispi-razione da quell’evento sia per fare memoria di quanti lungo i secolihanno immolato la propria vita proclamando il primato di Cristo e annun-ciando il Vangelo fino alle estreme conseguenze, sia per ricordare ilvalore supremo della vita che è dono per tutti. I missionari sono i primi testimoni degli eventi, trasmettendone l’autenticitàe la verità attraverso la loro testimonianza; fare memoria dei martiri èacquisire una capacità interiore di interpretare la storia oltre la sem-plice conoscenza.Ogni Parrocchia e Comunità è invitata a celebrare la Giornata dei MartiriMissionari trovando anche opportuno supporto nel materiale che MIS-SIO mette a disposizione sul proprio sito web (www.missioitalia.it).Quest’anno il titolo è “Amando fino alla fine”. E per comprendere il signi-ficato di queste parole vi proponiamo il contenuto di un intervento diDon Gianni Cesena, Direttore di Missio: “Amando fine alla fine” nonvuole essere un lieto fine forzato che cancella la durezza della violen-

za o la tragedia di una vita spezzata drammaticamente, ma semplice-mente dipinge gli ultimi istanti di coloro che, sull’esempio del Maestro,donano la vita, perdonando i loro carnefici. Ecco perché ogni martirio,dai tempi di Stefano in poi, va riletto sulla filigrana del martirio di Gesù,testimone e rivelatore di un Dio Padre che ama e perdona. Gesù ci sve-la il dolore del Padre, che non è un vago sentimento di dispiacere peril peccato dei figli o di compassione per le loro sofferenze, ma è il suomodo di essere misericordio-so e fedele. Sulla Croce Gesù riafferma cheil disegno del Padre è l’unità del-la famiglia umana, che speri-menta la condivisione e vive lariconciliazione come unicogesto capace di generare pacee giustizia e di radunare attor-no a sé tutti i popoli. Ecco perché i missionari ven-gono perseguitati e uccisi,perché portatori di un Vangeloche continua, oggi e da sem-pre, a capovolgere le logicheumane fondate sull’egoismo esull’ingiustizia.

Raccolta Fondi per la Giornata Missionaria Diocesi Velletri-Segni

Katiuscia Cipri*

Anche quest’anno l’Ufficio Missionario si trova a “fare i conti” conla generosità delle nostre comunità e con gioia condivide contutti il risultato di tanto affetto. Tutte le Parrocchie, chiamate a

contribuire a sostegno delle attività Missionarie della Chiesa nel Mondo,hanno risposto con entusiasmo. La nostra Diocesi ha raccolto 22.589,00euro di cui, seguendo le indicazioni della CEI, 20.781,88 sono stati invia-ti a MISSIO Pontificie Opere Missionarie, 225,89 € all’Ufficio Nazionaleper la Cooperazione Missionaria tra le Chiese, e i restanti 1.581,23 €pari al 7% donati alla Diocesi per le attività di animazione missionariache speriamo di proporvi nel 2012.Spero vi giungano i nostri ringrazia-menti e quelli di Don Cesena, direttore di MISSIO, ancora più sentiti inquesto periodo di difficoltà in cui ogni azione di aiuto e apertura al pros-simo di colora di un valore ancora più grande. Di seguito il prospetto rias-suntivo di tutte le donazioni:Parrocchia San Martino Velletri 270 € Parrocchia SS.mo Nome di Maria, Landi, Genzano di Roma 920 € Parrocchia San Salvatore Velletri 700 € Parrocchia Regina Pacis Velletri 420 € Parrocchia Santa Lucia Velletri 700 € Parrocchia S. Maria in Trivio Velletri 900 € Convento PP. Cappuccini Velletri 750 €

Chiesa di San Giuseppe Velletri 100 € Chiesa di San Francesco Velletri 150 € Parrocchia S. Giovanni Battista Velletri 400 € Parrocchia Madonna del Rosario Velletri 400 € Parrocchia S. Martino Velletri 140 € Parrocchia S. Bruno Colleferro 1.040 € Parrocchia S. Maria del Carmine Velletri 665 € Parrocchia S. Stefano Artena 252 € Parrocchia S. Maria Maggiore Valmontone 1.700 € Parrocchia S. Maria Intemerata Lariano 600 € Parrocchia S. Sebastiano Valmontone 350 € Parrocchia S. Croce Artena 100 € Parrocchia S. Gioacchino Colleferro 170 € Parrocchia S. Maria di Gesù Artena 1.010 € Parrocchia Maria SS. Immacolata Colleferro 2.000 € Parrocchia S. Barbara Colleferro 2.600 € Parrocchia S. Maria Assunta Segni 1.590 € Istituto S. Vincenzo Pallotti Velletri 250 € Parrocchia S. Paolo Apostolo Velletri 445 € Parrocchia S. Maria Assunta Gavignano 1.000 € Parrocchia S. Anna Valmontone 422 € Parrocchia S. Maria degli Angeli Segni 545 €

Parrocchia S. Clemente Velletri 2.000 €

*Direttore Uff. Missionario

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È chiaro che non possiamo essere noi operatori del-la Caritas a risolvere questi problemi. Sarebbe però forse nostro dovere (nonché diritto) cono-scere al meglio possibile la legislazione italiana in meri-to, per completezza della nostra appartenenza allostato italiano e per esercitare una cittadinanza atti-va e per chiarezza verso gli immigrati. Voglio aggiun-gere solo una riflessione per quel che prima ho qua-lificato come “solidarietà” e che forse meglio si potreb-be indicare come “umanità”. Come non tenere conto che dietro ad una storia diimmigrazione c’è una persona, e spesso anche unafamiglia, che magari cerca di inviare uno dei suoi mem-

bri fuori, con la speranza che poi lui possa provve-dere inviando soldi con il suo lavoro? Magari un uomo del Marocco, che deve presentar-si (o ritornare) sconfitto, invecchiato, single perchénon ha potuto sposarsi per seguire questo proget-to, senza soldi? E come non pensare che la vita lon-tana da casa è comunque una sofferenza, anche sein cerca di soldi, di miglioramento delle condizioni divita. Se queste persone sono straniere per noi, comenon renderci conto che anche noi lo siamo per loro.Come abbassare il livello della estraneità in entram-bi i sensi?

*Caritas Diocesana

segue da pag. 16

1818 MarzoMarzo20122012

Fr. Riccardo Nuti

“Ahò, a Pa’, che te sei fatto fregà dar din dondan?”, e lui: “Che devi fa’?”, ancora l’altro: “Mame stai sempre a dì che nun ce la fai più, chesei pieno de ’mpegni e mò ‘sta novità: vai a fa’er catechista?”, e ancora lui: “Lo so, lo so, manun me la sò sentita de dije de no, c’era qual-cosa che me spigneva a dije de sì”, e l’altro “Cheera la melazana alla parmiggiana de tu moje?”,e lui “Sei er solito! No un quarcosa…un…una voce,ehm no no, una sorta che lo devo fa’ e basta”,e l’altro “Per me devi stà attento perché ‘ste cosevanno a finì male: je dai er dito e te pijano er brac-cio”, e lui non volendo più parlare così in super-ficie di questo argomento: “Ahò, a…a coso, sete le devo popo dì è come se popo er Signoreme lo chiedesse e ’nfatti me piace, faccio quar-cosa de utile e so soddisfatto de me, sarà un po’faticoso ma alla fine quei sorisi te ricompensa-no. C’ho du fiji, ma mò me sembra d’avenne 15.Sai quanti regali ar mio compleanno? Che vòiprovà pure te, buzzicò?”.Scegliere di diventare catechista e di prestareun fondamentale servizio alla proprio chiesa, nonè propriamente una decisione da prendere a tavo-lino. C’è sicuramente una parte ponderabile e cal-colabile, ma c’è un elemento discriminante danon sottovalutare: una chiamata.Il catechista vive una vera e propria vocazione,chiamato dal Signore per un incarico importan-te, mette in gioco tutti i suoi talenti e si preparacostruendo un bagaglio esistenziale, metodolo-gico, teologico, biblico che mette a disposizio-ne di tutta la comunità. È per questo che la chie-sa riconosce il catechista e dà il mandato: “... Ilmandato che, riconoscendo i doni del Signore,i Pastori affidano in suo nome ai fedeli, per con-fermare la loro missione” (Rinnovamento dellaCatechesi, 197). Non è l’assunzione a un lavo-ro, non tutti hanno la medesima vocazione, nonpuò essere concepito come un part-time, per que-sto l’attenzione maggiore per un catechista non

va posta, in prima istanza, sulla preparazione masull’essere e sulla risposta vocazionale. Eppurese chiediamo a un catechista qual è la preoc-cupazione maggiore nel proprio servizio catechistico,con una buona probabilità direzionerà la rispo-sa verso i problemi di metodologia, a volte di con-tenuto, sottolineando che il contesto che più lopreoccupa o lo interessa è quello del fare, dimen-ticando o mettendo in secondo ordine la dimen-sione dell’essere. L’attenzione è spesso tropporivolta verso l’apostolato dimenticando che il ser-vizio, che il catechista compie, nasce da una voca-zione e da una chiamata che deve essere sem-pre alimentata e che è la principale sorgente acui attingere per un servizio efficace. Questa impo-stazione dovrebbe evitare la possibilità che il cate-chista si costruisca degli “alibi”: alibi che crea-no unicamente l’illusione di essere riusciti a dareuna risposta esauriente alla propria vita di fede,mentre in realtà permettono di sfuggire alle per-sonali domande di fede irrisolte, alle crisi e alledifficoltà, puntando tutto verso l’apostolato e quin-di verso il prossimo, fuori e lontano da sé.Non si possono perdere di vista la causa e il con-tenuto dell’azione catechetica, infatti entrambesi fondano sulla personale ricerca di Cristo: è dal-la propria esperienza di fede che il catechista puòe deve trovare la forza e lo stimolo per essereuno che accompagna alla fede. Il catechista nonè la persona che ha la risposta sempre prontaa ogni domanda di fede, bensì è la persona cheè capace di : 1) intraprendere un cammino di discernimentopersonale come esperienza forte di fede per laliberazione, la salvezza e l’umanizzazione;2) accettare di essere messo in discussione daglialtri e da Dio attraverso gli altri per esplorare sem-pre in modo nuovo la ricchezza del patrimoniocristiano; 3) sentirsi parte dell’intera comunità e quindi dilasciarsi provocare dalle esigenze della comu-nità per metterla in grado di esercitare il suo ruo-lo di educatrice della fede;

4) superare gli interessi personali con la purifi-cazione del cuore e maturare un clima di pre-ghiera per accompagnare il suo agire e per sapereducare e guidare alla preghiera.” (La formazionedei catechisti nella comunità cristiana, n°23). Ilcatechista è, quindi, una persona capace di lasciar-si plasmare dallo Spirito Santo e perciò una “per-sona spirituale”. In questo senso il papa GiovanniPaolo II si rivolse ai catechisti definendo il cate-chista come colui che “è chiamato alla santità ealla missione“, non solo alla missione, ma comeogni fedele anzitutto alla santità.Il catechista per tener viva ed efficace la sua voca-zione deve vivere intensamente la sua spiritua-lità che nel documento della ‘Congregazione perl’evangelizzazione dei popoli’, Guida per i cate-chisti, viene descritta “legata alla sua condizio-ne di “cristiano“ e di “laico“, reso partecipe, in misu-ra propria, dell’ufficio profetico, sacerdotale e rega-le di Cristo. L’indole propria del laico è quella “seco-lare“, con il “dovere specifico, ciascuno secon-do la propria condizione, di animare e perfezio-nare l’ordine delle realtà temporali con lo spiri-to evangelico e in tal modo di rendere testimo-nianza a Cristo, particolarmente nel trattare talirealtà e nell’esercizio dei compiti secolari“.Quando il catechista è sposato, la vita matri-moniale fa parte della sua spiritualità.” (n°6) eancora al medesimo punto: “la spiritualità del cate-chista è collegata anche con la sua vocazioneapostolica, e conseguentemente si esprime in alcu-ni atteggiamenti qualificanti, che sono: apertu-ra alla Parola, cioè a Dio, alla Chiesa e, di con-seguenza, al mondo; autenticità di vita; ardoremissionario; spirito mariano.” È da notare che la‘Congregazione per l’evangelizzazione dei popo-li’ pone, in questa riflessione, al primo posto del-le “attitudini spirituali” di un catechista l’apertu-ra, e quindi l’ascolto, alla Parola.Una vivace vitaspirituale scaturisce dalla necessità, ma anchedal coraggio, della ricerca della verità nel con-fronto con Cristo – Parola incarnata: la Parolaletta, annunciata, celebrata e vissuta. Per il cate-chista la Parola diventa la porta per entrare nelmistero di Dio, della Chiesa e del mondo, per poterentrare in relazione con tutto ciò che lo circon-da, per conoscerlo e poi per spiegarlo agli altri:in un unico senso vivere la Parola.Mediante il battesimo e questa dinamica relazionalefondata sulla Parola, il catechista si apre alla Chiesa,vivendo di essa e in essa, assumendo di con-seguenza le proprie responsabilità che scaturi-scono dalla sua vocazione.Il discorso ecclesiale non si limita ad andare ognidomenica a messa e, se possibile, a prestare qual-che servizio in parrocchia sotto richiesta del par-roco, ma di riconoscere la propria appartenen-za filiale e attiva alla chiesa per cui dovrebbe diven-tare una gioia e una responsabilità parteciparealla sua vita, sentendosi parte effettiva non solodella sua azione ma soprattutto del suo corpo.Perciò il catechista nella sua esperienza di fedeintesse le relazioni col Dio trinitario, meditandola Parola e vivendo una gioiosa vita ecclesialeper poi realizzare la sua vocazione nel mondonel quale vive con fedeltà una vita evangelica eprotesa all’annuncio del mistero salvifico.

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1919MarzoMarzo20122012

Queste osservazioni ci portano a un’altra con-clusione: il dialogo col Padre, la ricerca del Cristoe l’apertura all’azione dello Spirito Santo entra-no effettivamente a far parte della vita del cate-chista quando egli sviluppa uno “spirito di pre-ghiera”. È l’unico modo per parlare al proprio Dio,e per parlare del proprio Dio. Solo vivendo un vero dialogo in cui si fa espe-rienza di Dio è possibile essere capaci di trasmettereun’esperienza di fede. Lo Spirito Santo agiscecome soggetto principale affinché la preghiera

sia un’esperienza spirituale: “E che voi siete figline è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostricuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!Quindi non sei più schiavo ma figlio; e se figlio,sei anche erede per volontà di Dio” (Gal 4 ,6-7).Nella preghiera la nostra coscienza e il nostrocuore si formano sotto l’azione dello Spirito Santocomprendendo tutte quelle verità che altrimen-ti, da soli, non saremmo in grado di conoscere.Eppure si potrebbe “obiettare che il catechista,in quanto laico, vive una situazione che non glipermette di strutturarsi la vita spirituale quasi fos-

se un consacrato e che, di conse-guenza, deve accontentarsi di un tonopiù modesto. In ogni situazione reale della vita,sia nel lavoro che nel ministero, èpossibile per tutti, sacerdoti, religiosie laici, realizzare una elevata comu-nione con Dio e un ritmo di preghieraordinata e vera; non solo, maanche crearsi spazi di silenzio perentrare più profondamente nella con-templazione dell’Invisibile. Più vera e intensa sarà la sua vita

spirituale e più sarà evidente ed efficace la suaattività”. (Guida per i catechisti, 8) Questa riflessione ci sta conducendo finalmen-te a riflettere sulla stretta relazione tra vita spi-rituale personale e qualità dell’insegnamento, infat-ti Giovanni Paolo II affermava: “La costante preoccupazione di ogni catechista- quale sia il livello delle sue responsabilità nel-la Chiesa- deve essere quella di far passare,attraverso il proprio insegnamento e il propriocomportamento, la dottrina e la vita di Gesù;Egli non cercherà di fermare su se stesso, sul-le sue opinioni e attitudini personali l’attenzionee l’adesione dell’intelligenza e del cuore di coluiche sta catechizzando; e, soprattutto, non cer-cherà di inculcare le sue opinioni e opzioni per-sonali, come se queste esprimessero la dot-trina e le lezioni di vita del Cristo. Ogni catechista dovrebbe applicare a se stes-so la misteriosa parola di Gesù: La mia dot-trina non è mia, ma di colui che mi ha man-dato” (CT, 6)Il catechista dovrebbe diventare l’eco dello SpiritoSanto, prestandogli la voce, perché consapevoleche “uno solo è il Maestro, il Cristo” (Mt 23,8).

INCONTRI DI

FORMAZIONE PER I

CATECHISTI

Colleferro Santa Barbara - 12-13 marzo ore 21.00

Segni Santa Maria Assunta - 26-27 marzo ore 21.00

mons. Franco Fagiolo*

SSe il canto è parte necessaria e integrantedella Liturgia, potremmo dire la stessacosa per quanto riguarda il silenzio. Di

fatto, il silenzio appartiene all’ordinamento ritua-le e ci sta come un rito. Ma il silenzio è importante anche perché nonc’è canto senza il silenzio, si canta per “far scop-piare” il silenzio. Silenzio e canto nella Liturgianon sono contrapposti, ma interdipendenti: il silen-zio è il respiro del canto!Tante volte si dice che durante la messa si can-ta troppo! Ma cantare nella celebrazione nonsignifica bandire il silenzio; anzi, significa crea-re le condizioni per un silenzio che non sia unvuoto, o una semplice assenza di suoni e di rumo-ri, ma raccolta abbondante di emozioni,momento di intensa comunicazione e di pro-fonda comunione. Può sembrare un assurdo,ma se si vuole veramente celebrare cantando,è necessario aprire le porte al silenzio. Attenzione: c’è silenzio e silenzio. Un conto èil silenzio di chi non è entusiasta e assiste pas-sivamente e con indifferenza, oppure il muti-smo di chi è incapace di comunicare, un con-to è il silenzio che è stupore, meraviglia, dia-logo, preghiera, comunicazione intensa.Nella celebrazione eucaristica non si fa silen-zio perché ciascuno possa fare quello che glipare, pregando per conto proprio ripiegato insé stesso, coltivando le proprie particolari devo-zioni. Infatti il carattere assembleare dell’azio-ne liturgica e di ogni rito che la scandisce nonsopporta una presenza autonoma, disarticola-ta, perché la convocazione domenicale princi-palmente è fatta perché si manifesti e si espri-ma il Corpo di Cristo risorto e ogni azione deisingoli membri ha lo scopo di servire l’intero Corpo.Anche il silenzio deve servire a raggiungere la

finalità del ritoche lo richiedeo lo accompa-gna. L’azione liturgicanon ha spazioper le devo-zioni persona-li, non è azio-ne di uno o dipochi, alla qua-le ciascuno assi-ste o reagiscenel proprio inti-mo come vuo-le. Addiritturac’è qualcunoche si sente“disturbato ”quando è invitato a partecipare al canto e allapreghiera comune. Allora, bisogna trovare unequilibrio, anzi il ritmo giusto e rispettare le misu-re, proprio come avviene con un canto. La cele-brazione deve avere un suo ritmo e una suamisura, che non sono sempre uguali, ma chevariano di volta in volta, secondo le diverse cir-costanze. Mi permetto di suggerire alcune rego-le utili per dare il giusto ritmo alla celebrazio-ne: lasciare terminare un’azione prima dicominciarne un’altra. È il contrario di quello che succede in una tra-smissione di canzoni o in discoteca, dove unacanzone viene agganciata all’altra in dissolu-zione continua, sfumando e sovrapponendo quel-la che finisce e quella che comincia.Il silenzio deve essere “abitato”. È pieno il silen-zio che segue ad una lettura, è vuoto quandola precede perchè nessuno si muove per anda-re a leggere perché il lettore non è stato avvi-sato! Naturalmente, la lunghezza del silenzio

deve essere proporzionato alla’azione liturgi-ca e alla durata complessiva della celebrazio-ne. Coniugare in modo intelligente silenzio emusica. Si parla in certe occasioni di “silenziomusicale”, di uno spazio di “respiro sonoro”, maga-ri prima o dopo le letture, dopo l’omelia e dopola comunione. Certe volte va bene un silenzioassoluto, totale, altre volte, invece, potrebbe nonguastare un delicato e pertinente sostegno musi-cale: dipende da chi ha in mano gli strumentio dal testo dello stesso canto.Insomma, per una bella e fruttuosa celebrazioneci vuole intelligenza e buon gusto, buon sen-so ed equilibrio senza mai improvvisare e stra-fare. Alla prossima puntata, Messale allamano, vedremo quando è opportuno e desiderabileil silenzio nei diversi momenti della Messa.

*Responsabile Diocesano del Canto per la [email protected]

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2020 MarzoMarzo20122012

Per il 40° anniversario di sacerdozio di

mons. Vincenzo Apicella Don Mauro De Gregoris

II l Concilio Vaticano II nella CostituzioneDogmatica sulla Chiesa, a riguardo dellamissione dei vescovi afferma tra l’altro: “I

vescovi, quali successori degli apostoli presie-dono in luogo di Dio il gregge di cui sono pasto-ri. Quali maestri di dottrina essi ricevono dal Signorela missione di insegnare a tutte le genti e di pre-dicare il Vangelo ad ogni creatura, affinché tut-ti gli uomini, per mezzo della fede, del battesi-mo, e dell’osservanza dei comandamenti otten-

gano la salvezza.”(N.24). Dalle parole delconcilio il vescovoè definito comecolui che più che ilbastone del coman-do stringe tra le maniil vincastro del buonpastore che guidae precede le peco-relle. Al vescovoappartengono anzi-tutto questi nomi:maestro di verità edi vita, padre del-le anime. Il vescovo è mae-stro di verità, poi-ché egli dona lascienza di Dio.

Gesù è il Maestro supremo nel quale risiede lapienezza della Verità, poiché Egli stesso è la Verità.Il sacerdote riceve dal vescovo il mandato di inse-gnare la verità, il vescovo seppure subordinata-mente al pontefice riceve il mandato da Cristostesso. Maestro di verità, il vescovo è maestrodi vita. Il problema della vita, le eterne doman-de: chi sono, donde vengo, perché esisto, cosac’è dopo la morte sono le domande della filoso-fia, le domande che l’uomo si pone o dovrebbeporsi, ma i filosofi che si sono cimentati con que-sti eterni interrogativi non hanno dato finora unarisposta che soddisfi le ansie umane. All’uomo sempre pensoso e ansioso non bastauna formula che esprima solo un’opinione, unateoria che sia solo un’ipotesi di studio: egli atten-de una risposta sicura, dettagliata che soddisfii suoi bisogni, che tenga conto delle sue debo-lezze e rispetti le sue grandezze. Orbene que-

sta parola certa, completa, esauriente, comprensiva,rispettosa viene solo da quella cattedra di veri-tà ove siedono i successori degli apostoli, ai qua-li disse Gesù: “ Voi siete la luce del mondo, chiascolta voi ascolta me e chi disprezza voi dis-prezza me.” (Lc 10,16). Il vescovo è maestro di verità e di vita ma il nostropopolo ama considerarlo soprattutto come un padre.Egli è padre, perché le opere di misericordia sonoparticolarmente esercitate da lui, perché quan-do si tratta di lenire la sofferenza e il dolore il vesco-vo è in prima linea. Il vescovo è padre e la suapaternità spirituale non lo avvicina solo ai corpiche soffrono ma ancora di più alle anime che han-no bisogno della salvezza che il Signore conti-nua ad operare per mezzo di lui. L’abbraccio del-la misericordia e del perdono è proprio della pater-nità spirituale di chi esercita il sacerdozio, ma anco-ra di più di chi del sacerdozio ha ricevuto la pie-nezza, cioè il vescovo. Il 25 Marzo 1972, nella solennità dell’Annunciazionedel Signore, il nostro vescovo Vincenzo fu ammes-so al sacerdozio del quale nella consacrazioneepiscopale ricevette la pienezza. Al Pastore del-la diocesi suburbicaria di Velletri-Segni, nella ricor-renza del 40° anniversario del suo sacerdoziova l’omaggio del suo presbiterio, dei seminari-sti, dei religiosi e religiose e dei fedeli tutti. Tale omaggio vuole tradursi in una fervida e una-nime preghiera al Signore Gesù Buon Pastore,Sommo ed Eterno Sacerdote per il loro padre emaestro, invocando su di lui l’infinita luce delloSpirito Santo perché lo assista e lo illumini nel-l’esercizio del suo ministero episcopale. Il “si” cheMaria pronunciò nell’Annunciazione dell’angeloe che il novello sacerdote don Vincenzo pronunciònel giorno della sua ordinazione sacerdotale siaconfermato da lui ogni giorno e sostenuto dallamaterna intercessione di Colei che tutti invoca-no come Regina e Madre degli apostoli.

I rintocchi della SperanzaClaudio Gessi

RR acconta Don Tonino Bello che, incontrando i bambini di una scuolamaterna, con una età tra i 3 e i 5 anni, alla domanda della maestra:bambini, sapete chi è il vescovo? “uno dei presenti disse una cosa

bellissima che a me piacque tanto: il vescovo è quello che fa suonare lecampane”. Il vescovo come colui che fa suonare le campane: una defini-zione certo poco teologica ma profondamente umana. Per secoli il suonodelle campane ha scandito il tempo del lavoro, del riposo, della festa, deldolore, della gioia e della tristezza.Il suono delle campane ha indicato a gio-vani, anziani, bambini, donne, uomini, la gioia della Pasqua, della vittoriadel Risorto sulla morte: il loro è stato il suono della speranza.Caro Don Vincenzo, in un mondo che ormai non distingue più suoni e colo-ri, emozioni e sogni, ideali da interessi, l’essere dall’apparire, c’è bisognodi “testimoni” che facciano suonare le campane. Questa nostra società, che vive il tempo dell’aridità e del dubbio, del “cot-to e mangiato” e non della capacità di progetto per il futuro, ha più che maibisogno di chi “fa suonare le campane della Speranza”. Il vescovo come“colui che fa suonare le campane della speranza”, sapendo che non è solo,perché noi saremo alla sua sequela.

2121MarzoMarzo20122012

TESTIMONE

DI PROSSIMITA’

Don Franco Diamante

QQuando chiamo il Vescovo al telefono la rispo-sta è quasi sempre immediata: “Che c’è,Fra’?”. Se non risponde subito, richiama

lui a breve: “Che c’è, Fra’?” Ovviamente ha il mio numero in memoria e, soprat-tutto, non considera un peso parlare con me. Perdieci anni sono stato al servizio di un’altra Diocesi,alla dipendenza di due vescovi succedutisi. Perparlare con loro dovevo inoltrare richiesta a unasegretaria, la quale filtrava l’accesso al vescovosecondo criteri suoi personali, primo fra i quali pro-teggere il vescovo dai preti senza categoria, chegli avrebbero solo fatto perdere tempo prezioso. In dieci anni solo duevolte ho avuto udienza dal vescovo, una volta perché al secondo vesco-vo misi in tasca una lettera di protesta. Capirete perché trovo splen-dido il fatto che il vescovo Vincenzo sia tanto vicino e raggiungibile. Propeest..., tecum est, intus est (Seneca). Qualche anno fa ebbi un periodo di malessere spirituale che mi portòad autoisolarmi dalla vita diocesana, covando frustrazione e risentimento.Un pomeriggio, senza preavviso, venne a trovarmi il vescovo Vincenzoe mi parlò con modalità che non saprei definire ma che mi fecero cam-biare stato d’animo e atteggiamento relazionale. Con stile più prossimo al coatto che al curiale mi disse: “A Fra’, a meche lavori o non lavori, non me ne importa niente. Che vieni agli incon-tri o non vieni, non me ne importa niente. A me dispiace solo che tu staimale!” Sentirmi nel cuore del mio Vescovo mi ha fatto guarire all’istante.Nel documento “Educare alla vita buona del Vangelo” si parla della “ tes-

timonian-za dellaprossim-ità” comeun per-corso divita buonaper latrasmis-

sione della fede (n. 54), soprattutto nei riguardi delle situazioni di “fragilità”umana, ma valida sempre. Essere prossimi con disponibilità, ascolto econdivisione è l’atteggiamento che rende possibile la costruzione di relazioni,di programmi, della comunità cristiana, del Regno. Di questo mi sentodi dare atto al mio Vescovo: di essere un testimone di prossimità. Coni preti, con tutte le persone, con i poveri, con i carcerati.Il credente Dante mette in Paradiso (l’imperatore pagano Traiano, per-secutore dei cristiani, perché ritardò la partenza alla guerra per sod-disfare la richiesta di giustizia di una vedova. La grandezza delle per-sone non sta nel fare cose grandi, ma nel fare con grande umanità lepiccole cose. Non so giudicare se ilvescovo Vincenzo siaun grande teologo o ungrande timoniere, seabbia notevoli capac-ità di governo o una raf-finata spiritualità. Mi risulta che è un pas-tore presente e affabile,la sua voce è amica,e volentieri si seguonoi suoi passi.

Auguri mons. Vincenzo

Don Antonio Galati

GG rave è il peso del sacerdozio.Anzitutto il sacerdote deve essere comeun esempio vivente per gli altri […].

Sempre il predicatore deve riflettere e sop-pesare con vero timore che il Signore, par-tito per prendere possesso del suo regno, dis-se ai suoi servi, distribuendo loro i talenti: “fate-li fruttare fino al mio ritorno” (Lc 19,13). Li facciamo fruttare rettamente se con la nostravita e con la nostra parola guadagniamo ani-me, se rinforziamo i deboli nell’amore cele-ste mettendo di fronte ai loro occhi le gioiedel cielo, se scuotiamo con la minaccia tre-

menda delle pene infernali i mal-vagi e i superbi, se con nessunousiamo un’indulgenza incompa-tibile con la verità, se mantenia-mo l’amicizia con Dio e nontemiamo l’inimicizia con l’uomo.

(GREGORIO MAGNO, Lettera al vescovo Domenicodi Cartagine).Il Signore chiama i suoi amici per un progettoe, con la responsabilità di portarlo avanti,dona anche tutti gli strumenti necessari peruna buona riuscita. Questi strumenti sonoi talenti che ci ha chiesto di far fruttare. A quarant’anni dalla sua ordinazione pre-sbiterale, sicuramente i suoi talenti stannodando i loro frutti, che a loro volta chiedo-no di essere nuovamente investiti, in un rin-novamento quotidiano e continuo del suoministero. Quest’augurio per il suo anniversariodi ordinazione vuole essere anche una spe-ranza, quella di poter sperimentare semprei nuovi frutti benefici dei talenti che il Signorele ha dato.

2222 MarzoMarzo20122012

mons. Franco Risi

Dinanzi al fenomeno così preoccupante dellascristianizzazione dei popoli cristiani di vecchiadata, urge, senza alcuna dilazione una nuovaevangelizzazione: “Solo una nuova evangelizzazione può assicu-rare la crescita di una fede limpida e profonda,capace di fare di queste tradizioni una forza diautentica libertà”. (Ch L 34).

IIl tempo che oggi siamo chiamati a vivereè caratterizzato da molti cambiamenti tal-mente veloci che sembra che l’umanità stes-

sa non riesca a stare al passo; per esempio, nonfacciamo in tempo acomprare un computero un telefonino che ilgiorno seguente ne ègià uscito un altro di qua-lità superiore. In que-sti ultimi cinquant’an-ni i cambiamenti sonostati così tanti e rapi-di che hanno lasciatonel sentire comuneuna serie di vuoti chesembrano incolmabili.Sembra di essere comeun edificio che hasubito dei cambia-menti di tipo struttura-le, sulle sue struttureportanti. E’ il pensiero questosostenuto da diversisociologi, i quali dico-no che viviamo in untempo in cui si deter-mina una crisi a tutti ilivelli, economico, socia-le, istituzionale, cultu-rale, morale e spirituale.Essi sottolineano che non si tratta solo di unacrisi congiunturale, ma di una vera e propria cri-si strutturale. La prima crisi si ha quando cambiano gli equi-libri interni, pur restando salde le strutture por-tanti della società. Invece l’altra comporta un crol-lo delle strutture stesse, perché a cambiare èil modello stesso di società. Pensiamo con unesempio ad un appartamento in cui viva una fami-glia; in essa si realizza la crisi congiunturale quan-do la crescita del nucleo familiare comporta del-le modifiche dovute a una nuova distribuzionedegli spazi. La crisi strutturale corrisponde allacaduta di un pavimento e di un muro portante.Sempre i sociologi affermano che la crisi strut-turale, che la società attuale sta attraversando,è dovuta alla crisi della civiltà industriale alla qua-le va emergendo sempre più un nuovo model-lo culturale (cfr. Il Messaggio del Cuore di Gesù,12/12/2011, pp. 3-6).In tutto ciò, emerge la necessità di tutta la Chiesadi impegnarsi a trasmettere il Vangelo in un mon-do che cambia, per aiutare a riscoprire i valori

che danno senso pieno alla vita dell’uomo. Lacrisi che stiamo vivendo oggi infatti non è soloeconomica, i recenti rimedi economici che andran-no a risolvere, speriamo, con non pochi sacri-fici le sorti della nostra nazione, raggiungeran-no i loro obiettivi solo se faranno propri i prin-cipi etici e di solidarietà che mirano al bene comu-ne di tutta la società. Tutto il Magistero dei Vescoviitaliani insieme al Papa, sono orientati ad addi-tare a tutta Chiesa queste indicazioni, che sonoassolutamente ispirate alla Sacra Scrittura. San Paolo, per esempio, ci ricorda che: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio cheha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irri-ga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere. Nonc`è differenza tra chi pianta e chi irriga, ma cia-

scuno riceverà la sua mercede secondo il pro-prio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, evoi siete il campo di Dio, l`edificio di Dio. Sietevoi che piantate e irrigate, ma è Dio che, permezzo di Gesù Cristo, ha fatto crescere il vostrolavoro” (1 Cor 3, 1-9). Di fronte a questa meravigliosa realtà a cui noisiamo a volte inconsapevolmente immersi, comeMosè davanti al Roveto Ardente, il qualecomincia a rendersi conto di quanto il suo popo-lo in schiavitù stava vivendo, così anche noi inatteggiamento di preghiera dobbiamo prende-re consapevolezza di quanto la nostra societàsta vivendo e come Mosè, dovremmo render-ci disponibili davanti a Dio e alla Chiesa dell’a-zione evangelizzatrice, nonostante le difficoltàche possono emergere. La questione è di estre-ma vitalità; I cristiani devono uscire dal torpo-re e agire in tutti i campi, in tutti i settori dellasocietà, portando con l’esempio della propria vita,con la coerenza delle proprie azioni suscitatee ispirate all’unica verità del Vangelo. Lenostre comunità cristiane devono riscoprire in

questo contesto la propria intrinseca istanza voca-zionale. Uno stimato educatore M. Presciuttini qualcheanno fa dichiarava con forza “Si tratta di esse-re comunità chiamate a comunicare, confron-tarsi, dialogare, ricercare insieme, mettersi in ascol-to dei bisogni della società, lavorare insieme sen-za contraddire la verità dell’annuncio evange-lico”. Guardando a Gesù, Figlio di Dio fatto uomo,al suo esempio, egli non ha rinunciato a fare suotutto ciò che di umano può riguardare la salvezzadi ogni persona, cominciando dalla dimensio-ne familiare. Il Concilio Vaticano II già preve-deva: “Perciò i genitori si rendano esattamen-te conto che la famiglia autenticamente cristia-na ha per la vita e lo sviluppo dello stesso popo-

lo di Dio. Il compi-to di impartire l’e-ducazione che spet-ta primariamentealla famiglia, habisogno dell’aiuto ditutta la società”.(GE n.3). La famiglia trova ilsuo significato neldisegno iniziale diamore di Dio; èresponsabilità ditutti gli uomini pro-muovere e riporta-re continuamente insuperficie il valoresociale e religiosoche essa esprime.Essa attua il valo-re sociale che rap-presenta, sia comeculla della vita e del-l’amore, sia comeluogo primario del-la educazione edelle abilità socialie delle sane relazioni

tra persone. Rinforzata dal matrimonio, eleva-to da Cristo a Sacramento, la Chiesa vede lafamiglia come la prima comunità naturale in cuisi sperimenta la socialità umana e che contri-buisce in un modo unico ed insostituibile al benedella società. Una società a misura di famigliaè la migliore garanzia contro ogni deriva di tipoindividuale o collettivista, perché in essa la per-sona viene sempre considerata come un finee mai come un mezzo. Nondimeno va sottaciuto il delicato compito edu-cativo di cui è investita; un ruolo che non puòessere facilmente delegato ad altre agenzie edu-cative. Esercitando la sua missione educativa,la famiglia contribuisce al bene comune e costi-tuisce la prima scuola di virtù sociali, di cui tut-te le società hanno bisogno. La comunità familiare, pertanto, titolare di dirit-ti inviolabili, non trova la sua legittimazione nelriconoscimento da parte dello stato. In ultima ana-lisi essa si giustifica a partire dalla natura uma-na ed è per questo che essa non può essere

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2323MarzoMarzo20122012

Fabricio Cellucci*

Voi sostenete il peso del ministero sacerdota-le e avete il contatto quotidiano con i fedeli. Voisiete i ministri dell’Eucarestia, i dispensatori del-la Misericordia divina nel sacramento della peni-tenza, i consolatori delle anime, le guide dei fede-li tutti nelle difficoltà della vita (PDV 4).

DD urante l’anno propedeutico, uno dei docu-menti che si approfondiscono è la PastoresDabo Vobis del Beato Giovanni Paolo

II, per far riflettere sulla formazione dei sacer-doti nelle circostanze attuali. Nel documento vie-ne fatto un cammino che parte da un senso diringraziamento che il Papa ha verso i presbite-ri che si impegnano nel loro ministero che pos-siamo cogliere anche dalla citazione che ho ripor-tato poco sopra; poi continua il documento comin-ciando un discorso sulla formazione sacerdo-tale di fronte alle sfide del nuovo millennio e poinei capitoli successi interessandosi della natu-ra e la missione del sacerdozio ministeriale, lavita spirituale, la vita sacerdotale nella pastorale,la formazione specifica dei candidati al sacer-dozio e si conclude con un capito lo dedicatoalla formazione permanente dei presbiteri. In particolare mi soffermo sul numero 16 deldocumento in cui ci viene detta una cosa mol-to importante, ovvero che l’ambito del serviziosacerdotale, nelle sue molteplici forme e moda-lità attraverso cui si esprime nelle diverse cir-costanze, nel suo essere a servizio dellaChiesa e del Mondo,che il ministero ordinato hauna forma comunitaria. Non dovrebbe esistere“il presbiterato fai da te.Il sacerdote nel suo ministero ripresenta Cristocapo nell’agire della Chiesa, quindi il sacerdo-te non sta soltanto nella Chiesa ma anche di fron-te alla Chiesa. Il sacerdozio, unitamente alla Paroladi Dio e ai segni sacramentali di cui è al servi-zio appartiene agli elementi costitutivi della Chiesa(PDV 16). Il ministero ordinato non sorge in modoautoreferenziale ma con la Chiesa e ha nei Vescovi,e nei presbiteri loro stretti collaboratori, un par-ticolare rapporto al ministero apostolico, al qua-le realmente succede, ma che assume moda-lità diverse di esistenza.Il Presbitero prima di tutto è un servo, è servi-tore della Chiesa mistero perché attua i segniecclesiali e sacramentali della presenza del SignoreRisorto. È servitore della Chiesa comunione per-ché in stretto legame con il Vescovo, costruiscel’unità della comunità ecclesiale nell’armonia del-le diverse vocazioni e dei diversi carismi. È ser-vitore della Chiesa missione perché rende la comu-

nità annunciatrice e testi-mone del Vangelo.Da quanto appenadetto possiamo vede-re come il sacerdote,alla luce della sua stes-sa missione, apparecome segno dellapriorità assoluta e del-la gratuità della graziadivina, che alla Chiesaviene donata dal Cristorisorto che è presentesempre nella suaChiesa.Il presbitero è nellaChiesa e di frontealla Chiesa. Il presbi-terato come missioneha una radicale formacomunitaria e puòessere assolto solocome opera collettiva(cfr. PO 7-9). Questa idea che emer-ge del presbitero e delpresbiterato è impor-tante per tutti, masoprattutto per chi èchiamato e camminadel discernimento vocazionale in Seminario, per-ché ricorda che il ministero sacerdotale è comu-nione e collaborazione responsabile e neces-saria al ministero del Vescovo, nell’attenzioneoperosa alla Chiesa universale e anche per laChiesa particolare, in cui insieme con il Vescovone costituiscono l’unico presbiterio. Nella Chiesaper la sua natura e conformazione voluta da Signorerisorto non esiste “il sacerdozio fai da te”, perusare uno slogan. In questo senso vediamo comeanche l’apostolo Paolo ai Corinti quando diceche ciascuno stia attento come costruisce. Infattinessuno può porre un fondamento diverso daquello che già vi si trova, che è Gesù Cristo[…],perché,Se l’opera che uno costruì sul fondamentoresisterà, costui ne riceverà una ricompensa; mase l’opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia eglisi salverà, però come attraverso il fuoco. Nonsapete che siete tempio di Dio e che lo Spiritodi Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempiodi Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tem-pio di Dio, che siete voi. Nessuno si illuda. Sequalcuno tra voi si crede un sapiente in questomondo, si faccia stolto per diventare sapiente;perché la sapienza di questo mondo è stoltez-za davanti a Dio.

Il fondamento l’ha posto il Signore stesso, la Chiesanella tradizione lo ha chiarito sempre meglio media-te la Tradizione che ha portato alla visione comu-nitaria del mistero sacerdotale: Il ministero ordi-nato ha una forma comunitaria, una forma di ser-vizio continuo e volto a manifestare nellaChiesa e alla Chiesa che la vita e il mistero sacer-dotale sono nell’oggi degli uomini, continuazio-ne della vita e dell’azione dello stesso Gesù.Sacerdozio ministeriale, attraverso cui, ai pre-sbiteri è dato da Cristo nello Spirito un grandee particolare dono, perché possano aiutare il popo-lo di Dio a esercitare con fedeltà e pienezza ilsacerdozio comune che gli è conferito median-te il sacramento del Battesimo. In questa identità si trova la dignità, la sorgen-te della gioia e la concretezza della vita presbiterale,altrimenti ci si condanna alla frustrazione, allasvalutazione che porta inevitabilmente a smar-rire la via della gioia che si cercherà all’ester-no nella mondanità, avendo una visione distor-ta, e non nell’interno del cuore dove Gesù hascelto di essere.

*Seminarista diocesano

riconosciuta come soggetto che la società o lostato possono modellare a proprio piacimento.Sono la società e lo stato, semmai, ad esserea servizio della famiglia. (Cfr. GE 4. 5. 6. 7. 8.)L’azione della comunità cristiana in questo ambi-to è preziosa, anche se si deve fare ancora mol-to: per esempio, si deve andare incontro alla nostragente, la dove essa vive, lavora, si diverte, por-

tando loro la gioia del Vangelo di Cristo, che èfedele sempre, che salva e dona vita, perchéDio non ama in astratto ma raggiunge l’uomo,ogni uomo, laddove egli è. Si tratta allora di invitare i nostri fratelli a impa-rare a tendere l’orecchio, ad ascoltare la vocedi Dio che nonostante i rapidi mutamenti socia-li e culturali, continua a chiamare e ad amarel’uomo di oggi. Lo sviluppo di questo mondo con-

tribuisce a costruire, come ci ricordava il PapaPaolo VI, la civiltà dell’amore e il Natale che abbia-mo da poco celebrato, ci ricorda che la vita inquesto mondo è la primizia della vita piena pro-messa da Dio agli operatori di giustizia e di pace. Tutti noi siamo quindi orientati a rispondere aquesta visione di eternità impegnandoci nell’oggia realizzare la propria vocazione conforme a que-sto Progetto di Dio.

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2424 MarzoMarzo20122012

Sr. Apostoline Velletri

Anche questa volta desideriamolasciare la parola a chi, nellanostra Diocesi, vive questa voca-zione. Un grazie di cuore ai sacer-doti che hanno condiviso la loroesperienza di vita.

Che cosa significa per te essere sacerdote?- Essere sacerdote significa per me una continua ricerca di essere unsegno dell’accoglienza e della misericordia di Dio per le persone cheEgli mi fa incontrare, quindi dell’accoglienza e della misericordia di GesùCristo, che sperimento anzitutto nei miei confronti e, correlativamente,significa parlare al Signore dei miei fratelli e delle loro situazioni, che Luiconosce meglio di me, ma vuol sapere che interessano anche me.- Essere al servizio di una Persona che è Gesù cercando tra mille fra-gilità e difficoltà di rispondere al mandato di continuare nel mio piccolola sua missione.-… significa essere quell’Eucaristia che spezzo ogni giorno. Essere silen-ziosamente dono e nutrimento per chi bussa alle porte della mia vita.- Essere sacerdote è un fatto, che è superiore al proprio modo di viver-lo; si definisce da sé, poi ognuno lo vive secondo la sua capacità e com-prensione. Non c’è, per me, un modo fisso per essere sacerdote, per-ché è una realtà, che matura con me; certo fondamentale è la dimen-sione del pastore, che si traduce nel desiderio di aiutare quan-ti più possibile a sperimentare, che c’è un Vangelo per la vitadi ciascuno. L’icona del pastore aiuta a vivere , senza drammi, anche i pas-saggi più complicati del cammino; è un’immagine, che sugge-risce come il modo migliore per sopportare la fatica, sia quel-lo di fare attenzione alla fatica degli altri.- Essere sacerdote, per me, significa corrispondere a una gran-de grazia che Dio mi ha messo a disposizione e così fare del-la mia vita un dono da donare agli altri, per essere uno stru-mento nelle mani di Dio. Guardando le mie capacità, il mio carat-tere, i miei difetti, tante volte mi viene un pensiero che “mi preoc-cupa”: come mai Dio ha scelto proprio me?Che cosa del sacerdozio ti ha affascinato all’inizio del tuocammino di ricerca vocazionale?- Soprattutto la certezza di giocarsi la vita per qualcosa che valela pena, anzi per l’unica cosa che vale e che resta, per me eper gli altri. E poi la possibilità di contribuire a cambiare la situa-zione, a far crescere un mondo più umano e più fraterno.

- Vorrei dire la libertà, ma temo di non essere troppo compreso. Intendoper libertà il non attaccamento alle cose per essere libero di attuare ilmandato anche se poi lungo il cammino e con il passare del tempo lepreoccupazioni della nostra umanità: quella personale e quella degli altricompresi i superiori, e le delusioni riducono lo spazio di questa libertà- La disponibilità e la pazienza dei sacerdoti della mia parrocchia nel-l’accogliere tutti.

- Io ho avuto tanti incontri belli con sacerdoti, chericordo ancora per una parola o per un gesto oper qualcosa di bello, che si diceva di loro. Misorprese una volta un’omelia dell’allora vesco-vo di Segni, mons. Carli, che parlando della voca-zione al sacerdozio, disse, che finchè ci sareb-be stato qualcuno ad accettare la chiamata, erasegno, che Dio non aveva abbandonato gli uomi-ni. Soprattutto, però, è stato importante l’incon-tro con alcuni sacerdoti significativi; l’incontro nonè il modo normale del Vangelo per raccontareuna vocazione?- Da piccolo mi ha sempre affascinato il comportamentodei sacerdoti che ho conosciuto. Il loro impegnoe la loro generosità mi hanno spinto a fare altret-tanto. Ho avuto così sempre il desiderio di farequalcosa per trasmettere agli altri la gioia di vive-re come figli di Dio e aiutarli a realizzare la pro-pria vita secondo il disegno di Dio.Su che cosa fondi ogni giorno il tuo sì al Signore?- Solo con la forza che dà il Signore attraversoquello che celebro, Parola, Eucarestia, Liturgiadelle Ore, oltre che con la testimonianza che horicevuto e ricevo da tanti fratelli.- Sulla certezza della sua misericordia per la nostra

condizione umana che è molto più grande delle nostre debolezze e piùampia delle nostre aspettative. Quindi il motivo di fondo dell’attuazionedel mandato è mostrare a tutti la misericordia di Dio.- Fondamento di tutto il mio sì… l’ascolto della Parola, l’Eucaristia quo-tidiana e il sacramento della Riconciliazione. È da qui che nasce per mela forza per donarmi , per accogliere, per ascoltare, per perdonare… peressere dono per tutti.- La fiducia.- Ogni giorno fondo il mio sì al Signore sulla promessa di fedeltà ad unamore gratuito attraverso tutte quelle occupazioni che sono richieste nelministero pastorale.La forza di andare avanti proviene dalla preghiera, dalla fiducia nel Signore,ma anche da tutte quelle “soddisfazioni”, se così posso dire, che si toc-cano con mano sperimentando l’azione di Dio su tante persone, anchequando meno te lo aspetti. Ti accorgi veramente di tanti miracoli.Per questo, viene sempre la voglia di dire: valeva la pena ……

2525MarzoMarzo20122012

Teodoro Beccia,Fabricio Cellucci,

Alessandro Leoni*

CCarissimi lettori di Ecclesi@ in Cammino,con immensa gioia e con i più pro-fondi sentimenti di gratitudine verso

il Signore che ci ha chiamati alla vita e al donodella vocazione, vi annunciamo che il prossi-mo 19 marzo, festa di sanGiuseppe, nella Cappella MaterSalvatoris del Pontificio CollegioLeoniano in Anagni, saremoistituiti accoliti. Questo, per noi seminaristi dio-cesani, è un momento estre-mamente importante, una tappasignificativa del cammino voca-zionale intrapreso nel 2006 pres-so il Seminario regionale per lediocesi Suburbicarie e il Lazio suddove, sotto l’attenta guida e il giu-dizio dei nostri superiori e delVescovo, ci prepariamo per ser-vire, a suo tempo, la Chiesa diCristo come suoi sacerdoti.Vediamo però più da vicino in cosaconsiste il ministero che riceve-remo. Il termine accolito derivadal greco. La forma verbale corrisponden-te significa: andare dietro, segui-re, accompagnare, servire.Questo verbo nel linguaggiodel Nuovo Testamento riveste ilsenso vasto e profondo dellaSequela Christi. Dell’accolito in senso liturgico neparla per la prima volta nel III seco-lo d. C. papa Cornelio in una let-tera indirizzata a Fabiano diAntiochia. Egli afferma che nel-la chiesa di Roma vi sono qua-rantasei presbiteri, sette diaco-ni, sette suddiaconi, quarantadueaccoliti e cinquantadue esorcisti,lettori e ostiari. Il rito primitivo prevedeva che ilcandidato al ministero dell’accolito era istituitotale con una preghiera di benedizione, l’impo-sizione della veste propria e la consegna di unsacchetto di lino destinato a contenerel’Eucaristia. Con il Concilio Vaticano II e la suc-cessiva riforma dei ministeri istituiti, l’accolita-to e il lettorato riscoprono il loro fondamento teo-logico nella realtà della Chiesa, comunione difede e di amore. In essi si configura una Chiesatutta ministeriale che sotto l’azione dello Spiritonasce dalla Parola, si edifica nella celebrazio-ne dell’Eucaristia e, attenta ai segni dei tempi,si protende all’evangelizzazione del mondo median-te l’annuncio missionario del Vangelo e la testi-monianza della carità. L’accolito è istituito per aiutare il diacono e perfare da ministro al sacerdote. È suo compito cura-

re il servizio dell’altare, aiutare il diacono e il sacer-dote nelle azioni liturgiche, specialmente nellacelebrazione della santa Messa; inoltre, distri-buire, come ministro straordinario, la santa comu-nione tutte le volte che non vi sono i ministri1,o perché questi siano impediti per malattia, etàavanzata o perché chiamati ad altro ministeropastorale. Inoltre possono distribuire l’Eucaristiatutte le volte che il numero dei fedeli che si acco-stano all’altare per comunicarsi, è così eleva-

to da far si che la celebrazione potrebbe dura-re più del previsto. Nelle medesime circostanze straordinarie l’ac-colito può essere incaricato di esporre pubbli-camente il Santissimo Sacramento alla pubblicaadorazione dei fedeli e poi di riporlo, senza peròimpartire la benedizione. L’accolito, destinato in modo speciale al servi-zio dell’altare, è chiamato ad apprendere tuttequelle nozioni che riguardano il culto pubblicodivino e deve sforzarsi di comprendere il suosignificato intimo e spirituale2. In sintesi l’accolitoè servitore dell’altare e collaboratore del pre-sbitero. Egli è chiamato specialmente ad esse-re animatore di unione fraterna e promotore diculto a Dio in Spirito e verità3. L’accolitato non è un compito gratificante o una

mera promozione, ma comporta un vero e pro-prio impegno al servizio della chiesa e dei fra-telli e deve essere in ogni momento alimenta-to da una intensa vita spirituale. La vicinanza alla mensa eucaristica, la prossi-mità, si può ben dire, al roveto ardente4, impli-ca una tensione costante a vivere i contenutied i significati espressi dalla liturgia. L’Eucaristia è memoriale della Passione e del-la Risurrezione del Signore.

Nel pane e nel vino consacrati Gesùè realmente presente con la tota-lità della Sua persona divina e uma-na, come vittima che si offre al Padre,servo obbediente per la nostra sal-vezza. Vivere l’Eucaristia comporta,perciò, la spiritualità dell’offerta disé, del servizio. Gesù stesso, puressendo l’unico, vero Signore, eperciò degno di essere in ogni modoservito, ce ne ha dato l’esempio: “Il Figlio dell’uomo infatti non è venu-to per essere servito, ma per ser-vire”5; “Se dunque io, il Signore eil Maestro, ho lavato i vostri pie-di, anche voi dovete lavarvi i pie-di gli uni gli altri. Vi ho dato infat-ti l’esempio perché come ho fat-to io, facciate anche voi” 6. Saldo in questa fede, l’accolito (mavale per chiunque voglia vivere seria-mente l’Eucaristia) è chiamato atrasferire nella propria vita l’umi-le servizio all’altare come sapien-za di vita. Dalla liturgia alla missione, dalladomenica alla ferialità, dalla men-sa eucaristica alla tavola delpovero non deve esservi fratturané distanza. C’è molta povertà nelnostro mondo: più che di denaro,pesa la mancanza di rapporti, diaffetto; c’è tanta solitudine. Dall’Eucaristia occorre trarre occhi,orecchie, mani, tempo, pazienza,amicizia per un servizio semplice,per una carità fatta anche di gestipiccoli, di rapporti diretti, affettuo-si. Occorre che tante povertà, per

lo più nascoste, vengano fatte emergere ed accom-pagnate dalla premura della comunità. È questa la grazia che invochiamo dal Signorein questo momento così importante del nostrocammino, sicuri delle preghiere che tutti voi innal-zerete al Signore con noi e per noi.

*seminaristi diocesani

1 DV 21, EV 1/ 904.2 LG 3/ EV 1/ 286.3 GS 4/EV 1/ 1324.4 CIC can. 545.5 cf PAOLO VI, lettera apostolica in forma di motuproprio “Ministeria Quedam”, 15 ago. 1972, n. 5. 6 cf CEI, I ministeri nella Chiesa, n. 554.

2626 MarzoMarzo20122012

Paolo e Teresa Caponera

II l Concilio Vaticano II descrive in questo modoi diaconi: “In un grado inferiore della gerar-chia stanno i diaconi, ai quali sono impo-

ste le mani non per il sacerdozio, ma per il ser-vizio”. La parola Diacono deriva dal greco “dia-conia”che significa ministero / ministro o servi-zio / servo, egli infatti non è un Sacerdote per-ché non presiede l’Eucaristia e non assolve ipeccati, non è però “un semplice laico”, riceveinfatti il sacramento dell’Ordine che lo immet-te tra i membri del clero.Il Diacono è un Ministro di Cristo a tutti gli effet-ti, ha una propria veste liturgica, sull’altare haun suo posto, ha il compito di proclamare il Vangeloe di tenere l’omelia; ha l’obbligo di celebrare laliturgia delle ore a nome dell’intera Chiesa e puòcelebrare la liturgia del battesimo, benedire lenozze, accompagnare alla sepoltura i defunti.Il diacono è colui che ha ricevuto il sacramentodell’Ordine nel primo dei suoi tre gradi (diaco-no – presbitero - vescovo), di conseguenza èchiamato a svolgere nella Chiesa, con il soste-gno della grazia che è propria di questo sacra-mento, una serie di funzioni riassumibili nel ser-vizio della liturgia , della parola e della carità.Nell’esercitare il nostro ministero di diaconi per-manenti ci capita spesso di incontrare perso-ne che restano sorprese di fronte alla nostra qua-lifica e al servizio che svolgiamo all’interno del-la chiesa; alcuni ci confondono con i preti, mapoi si stupiscono nel vedere che molti di noi han-no moglie e figli.Mi presento, sono Paolo Caponera, sono spo-sato con Teresa da trentacinque anni con la qua-le ho due figli, Emmanuele e Alessandro; sonoancora in piena attività lavorativa, ho un nego-zio a Velletri, dove lavoro con Teresa e altri tre

collaboratori. Il mio cammino di conversione veroinizia quindici anni fa, quando ho avuto la gioiae la grazia di partecipare a un breve corso divita cristiana, nel movimento del Cursillos di cri-stianità presente nella nostra Diocesi. Alla chiu-sura del corso, l’allora Vescovo S.E. Andrea MariaErba mi consegnò un Vangelo e mi disse que-sta frase: “Cristo conta su di te”, ed io risposi,“e io sulla sua grazia”. Nasceva in me un sen-so di appartenenza e di responsabilità nella Chiesa,dovevo capire cosa il Signore volesse da me,ero cambiato, tanto che in famiglia trovavo dif-ficoltà a farmi comprendere; poi anche mia moglieTeresa partecipò al corso e le difficoltà dimi-nuirono. Partecipavo alla vita del movimento enella mia Parrocchia do Regina Pacis a Velletri,con il Parroco don Angelo Mancini ho iniziatol’attività pastorale; entrai a far parte del consi-glio pastorale parrocchiale vivendo più da vici-no la vita della nostra comunità. Nel 1999 diventai Ministro straordinario della comu-nione, una grande gioia condivisa con Teresaed i miei ragazzi; il servizio di portare l’Eucaristiaagli anziani e agli ammalati, ha giovato moltoalla mia crescita spirituale. Dopo un po’ di tem-po don Angelo chiese a me e Teresa di prepararei genitori al battesimo dei figli, servizio che anco-ra oggi svolgiamo. Sentivo di dover risponde-re in modo adeguato a questa mia vocazione,mi sono così affidato alla preghiera e ho chie-sto aiuto a don Angelo per un discernimento.Ho partecipato ad esercizi spirituali (esperien-ze straordinarie), poi mi sono iscritto all’Istitutointerdiocesano di Scienze Religiose dei CastelliRomani con sede ad Albano Laziale, in segui-to alla Università Urbaniana seguendo dei cor-si a Castel Gandolfo. A questo punto il desideriodi diventare diacono cominciò a farsi sentire piùforte, ne parlai con Teresa e con i ragazzi e riflet-

temmo su questo evento di grazia chepoteva coinvolgerci come famiglia. Lascelta era personale però, essendo spo-sato il consenso e la condivisione di Teresaera fondamentale; non fu semplice, maalla fine rispose si alla volontà del Signore.Ne parlai al mio parroco don Angelo,ed insieme analizzando la situazione,giungemmo alla conclusione che que-sta aspirazione era legittima. Mi trovavogià inserito nella pastorale parrocchiale,frequentavo la scuola con costanza ebuoni risultati, ma quello che mi man-cava era riuscire a capire se c’era inme una vocazione, capire se l’impul-so interiore che avvertivo era una chia-mata da parte di Dio ad abbracciare unaparticolare missione a servizio della Chiesa,tale per ricevere il Sacramento dell’OrdineSacro. Mi consigliò di parlarne con mons.Leonardo D’Ascenzo responsabile delCentro Vocazionale diocesano; il suoaiuto è stato molto prezioso nel con-tribuire a far emergere dal mio cuorela volontà del Signore.In seguito ho partecipato a un lungo perio-do di incontri formativi nella nostra dio-

cesi di Velletri- Segni, tenuti dai diaconi incari-cati e da Mons. Roberto Mariani, Delegato epi-scopale per il diaconato permanente. A novem-bre 2009 ho fatto l’ammissione tra i candidatial sacramento dell’Ordine, ed il 25 aprile 2010sono stato ordinato Diacono dal nostro Vescovo,S.E. Mons. Vincenzo Apicella ed inserito cosìtra i diaconi permanenti della nostra Diocesi. Ilministero lo svolgo principalmente nellaParrocchia di Regina Pacis a Velletri, alla qua-le appartengo, insieme a don Angelo Mancini,amico sincero ed al quale voglio molto bene,insieme a tanti altri amici e collaboratori,espletando il mio servizio verso la comunità. L’esercitare il ministero, amministrando il sacra-mento del Battesimo, portando Gesù Eucaristiaai malati nelle case, o anche semplicemente aiu-tando le persone a pregare, mi rende un uomomigliore, un uomo felice. Inoltre insegno catechismo ai ragazzi che si pre-parano a ricevere la cresima e celebro la Liturgiadella Parola in due case che ospitano perso-ne anziane nel territorio della nostra parrocchia;lo scorso anno, per la prima volta, in Quaresimaho visitato diverse famiglie, portando loro la bene-dizione del Signore, insieme a quella del Parrocoe del Vescovo. Svolgo il mio servizio anche fuo-ri della Parrocchia, nelle celebrazioni presiedutedal Vescovo, il diacono deve essere sempre pre-sente, specialmente in quelle Pontificali, ha unservizio da svolgere che è prettamente suo.Per volontà del Vescovo S.E. Mons VincenzoApicella, si è costituita una CommissioneDiocesana per la Pastorale Sociale ed ilLavoro, nella quale mi ha chiamato a collaborareinsieme al diacono Vito Cataldi incaricato, edaltre persone, su un’ iniziativa ecclesiale che sichiama Progetto Policoro.

continua a pag. 27

2727MarzoMarzo20122012

Suore ApostolineCentro S. Maria dell’Acero

DDal 25 gennaio all’11 febbraio si è svolto ad Ariccia, pressoCasa Divin Maestro, il 4° Capitolo Generale di noi suoreApostoline sul tema: “Tradurre tutta la vita in apostolato voca-

zionale. Tra fedeltà al carisma e prospettiva di futuro”. È stato davvero tempo di grazia in cui ravvivare il dono del cari-sma ricevuto per servire con rinnovato slancio le attese vocazio-nali di oggi. Con grande gioia condividiamo anche l’elezione di sr. Marina Berettia superiora generale e di sr. Marialuisa Peviani, sr. Tosca Ferrante,sr. Paola Toninato e sr. Antonietta Leoni a consigliere generali. Le affidiamo anche alla vostra preghiera perché il loro servizio siaguidato e sostenuto dalla grazia di Dio.

Questo progetto è fondato sulla collaborazio-ne tra l’ufficio Nazionale per i problemi socialied il lavoro, il Servizio Nazionale per la pasto-rale giovanile e la Caritas Italiana, che da 15anni, insieme alle associazioni e con l’apportocompetente degli animatori di comunità, agiscenei territori delle diocesi del sud Italia, accom-pagnando i giovani nella costruzione del lorofuturo, evangelizzando, educando, ed esprimendogesti concreti.Alla base del Progetto c’è la preoccupazione

della Chiesa Italiana di parlare al cuore di tut-ti quei giovani che vivono situazioni difficili nel-l’ambito della ricerca del lavoro, con un’atten-zione concreta al territorio ed al necessario annun-cio del Vangelo.E’ quindi la risposta della Chiesa che ha a cuo-re il futuro dei suoi figli, con una proposta orga-nica di evangelizzazione e di promozione uma-na fondata su tre pilastri: evangelizzazione, for-mazione e gesti concreti. Nella nostra diocesi la situazione è in movimento,abbiamo una persona che ha frequentato il cor-

so di formazione, pronta ad assumersi respon-sabilità, e diversi progetti imprenditoriali da ana-lizzare e portare avanti in tempi brevi.Voglio concludere questo mio intervento, pre-sentazione e testimonianza, con le parole del-l’apostolo Pietro (2Pt 1,10-11): “Fratelli, cerca-te di render sempre più sicura la vostra voca-zione e la vostra elezione. Se farete questo noninciamperete mai. Così infatti vi sarà ampiamenteaperto l’ingresso nel regno eterno del Signorenostro e salvatore Gesù Cristo”.Un abbraccio a tutti e ad ognuno di voi.

Velletri,

Parrocchia Regina Pacis:

Realizzato in Camerun

un pozzo

In memoria di Massimo Simonetti

DDal sorriso contagioso e solidarietà evi-dente dell’amico Massimo Simonetti,che ci ha lasciato improvvisamente il

28 ottobre u.s., non poteva nascere che un’o-pera che fosse segnoe continuazione di quel-la umanità, del suo pen-siero e desiderio: larealizzazione di un’o-pera per alleviare ledifficoltà della popo-lazione di un villag-gio in Africa. I familiari, in primis il figlio Giovanni Maria,con la mamma Emiliana, il fratello e lasorella di Massimo con le rispettive fami-glie, i colleghi di lavoro presso la ScuolaMarescialli Carabinieri di Velletri, mol-ti fedeli e la Parrocchia, hanno adottatoun progetto del PIME (Pontificie operemissionarie estere) realizzando nel villaggio

di Maga nel Camerun un pozzo. Un modo cristiano oltre che utile per ricordare la memoria di que-sto nostro amico e amico di Ecclesia in C@ammino. Coloro che hanno partecipato a quest’opera credono fermamen-te che la cosa più utile per le anime dei nostri defunti dopo il suf-fragio della s. messa sia la carità, il venire incontro a chi è nelbisogno. Questo era anche il pensiero di Massimo che insiemeabbiamo cercato di onorare e mantenere.

segue da pag. accanto

2828 MarzoMarzo20122012

Suore del Monastero “Madonna delle Grazie”, Velletri

OO gni anno, da oltre un secolo, vienecelebrata dai cristiani di tutte le Chiesee Comunità ecclesiali la Settimana

di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che nel nostroemisfero si realizza dal 18 al 25 gennaio, perinvocare quel dono straordinario per cui lo stes-so Signore Gesù ha pregato durante l’Ultima Cena,prima della sua passione:“Perché tutti siano una sola cosa (UT UNUM SINT);come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’es-si in noi, perché il mondo creda che tu mi haimandato” (Gv 17,21). La pratica della Settimana di Preghiera per l’Unitàdei Cristiani fu introdotta nel 1908 da padre PaulWattson, fondatore di una comunità religiosa angli-cana che entrò in seguito nella Chiesa cattoli-ca. L’iniziativa ricevette la benedizione del Papa

san Pio X e fu poi promossa dal PapaBenedetto XV, che ne incoraggiò la celebrazionein tutta la Chiesa cattolica con il BreveRomanorum Pontificum, del 25 febbraio 1916(cf. Udienza del Santo Padre Benedetto XVI delmercoledì 18 gennaio 2012).Così da più di un secolo si sono realizzate mol-te attività, discorsi, scritti, incontri, dialoghi, spe-cialmente molte preghiere e sarà certamente lapreghiera che otterrà questo dono dal Signore,giacchè contiene una Sua promessa-profezia:“Ci sarà un solo gregge e un solo Pastore” (Gv10). Ma nello stesso tempo, pur avendo fattomolto, questa causa è ancora poco conosciu-ta e poco amata davvero da tutti i cristiani. Forse perché non è una causa che tocchi diret-tamente la nostra sensibilità, come aiutare i pove-ri e bisognosi, oppure aiutare e sostenere i mis-sionari nei rispettivi paesi di missione affinchéannuncino il Vangelo a tutte le genti, oppure rea-

lizzare qualche opera di beneficenza. Eppure è una causa tanto nobile e profonda quan-to il Divin Cuore stesso del Nostro Salvatore,poiché è un Suo desiderio quello di vedere tut-ti i cristiani uniti “affinché il mondo creda” e tut-ti noi cristiani per l’amore che abbiamo per GesùCristo dovremmo avere lo stesso amore per que-sta causa, desiderando che si affretti davveroil giorno in cui possiamo essere tutti uniti e darecompimento a questo desiderio del Signore.E ognuno di noi, pur fuori dalla Settimana pre-scritta di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, puòdare il suo piccolo contributo per detta cau-sa, ricordandoci di pregare sempre per questaintenzione, inserendola tra la tante intenzioni percui preghiamo ogni giorno, ricordando che ciòsta molto a Cuore a Gesù e sarà molto contentoche aumenti il numero e l’intensità di coloro cheGli chiedono detto dono.Concludiamo con le parole del Santo Padre BenedettoXVI pronunciate nell’udienza del mercoledì 18gennaio scorso: “Il compito ecumenico è dun-que una responsabilità dell’intera Chiesa e ditutti i battezzati, che devono far crescere la comu-nione parziale già esistente tra i cristiani fino allapiena comunione nella verità e nella carità. Pertanto,la preghiera per l’unità non è circoscritta a que-sta Settimana di Preghiera, ma deve diventa-re parte integrante della nostra orazione, dellavita orante di tutti i cristiani, in ogni luogo e inogni tempo, soprattutto quando persone di tra-dizioni diverse s’incontrano e lavorano insiemeper la vittoria, in Cristo, su tutto ciò che è pec-cato, male, ingiustizia, violazione della dignitàdell’uomo”. Facciamo nostro il desiderio profondo di NostroSignore Gesù Cristo e del Santo PadreBenedetto XVI: UT UNUM SINT!

LL ’Associazione dei Cursillos di Cristianità desideracomunicare alla Comunità Diocesana che dal 26 al 29 gen-naio e dal 23 al 26 febbraio u.s. ha organizzato i 17°mi Cursillos

rispettiva-mente per donne e uomini che sono stati effettuati pres-so il Centro di Spiritualità Diocesano di S.Maria dell’Acero. Anche se i partecipanti, 5 donne e 8 uomini, possono essere, daalcuni osservatori “esterni”, frettolosamente giudicati “pochi” per vale-re la spesa, tuttavia gli addetti ai lavori non hanno difficoltà ad affer-mare che chi “lavora nella vigna del Signore” non si pongono obiet-tivi materialistici di numeri convenienti, ma soprattutto quel-lo di rag-giungere la missione affidata, cioè la conversione della sorella odel fratello loro af-fidati. A giudicare dai risultati ottenuti e soprattutto dalle dichiarazioni deipartecipanti, l’azione del Signore ha sicuramente prodotti i frutti auspi-cati. Al cospetto del Santissimo anche i cuori più duri, anche i carat-teri più refrattari hanno ceduto a certi loro freni inibitori, dichiaran-do e dimostrando un sincero e profondo pentimento.Come facilmente comprensibile, ogni Cursillo ha caratteristiche diver-se, perché sempre diversi sono i partecipanti, tuttavia è veramenteconfortante il constatare come al termine di questi tre giorni la stra-grande maggioranza dei partecipanti ne escano interiormente pro-fon-damente colpiti, migliorati nei loro estroversi caratteri e fermamente

propositivi nel voler essere dei cristiani migliori. Di fronte alle innumerevoli e diversificate problematiche che il mon-do di oggi ci propina, questi “nuovi cristiani” hanno acquisito laconsapevolezza che non è più possibile vivere passivamente lafede cristiana…..Non è più possibile accontentarsi di andare solo alla messa la dome-nica…. Queste nuove consapevolezze, anche se assoluta-mentemeritorie, tuttavia necessitano una costante, continua, tenace coeren-za e continuità. Gli appartenenti all’Ass. dei Cursillos di Cristianità,sapientemente e pazientemente coadiu- vati dai nostri Sacerdoti,si propongono di mantenere sempre vivo questo fuoco della fedeappena riacceso, alimentandolo con l’esempio, la costanza ed unavera dimostrazione di fra-terna amicizia. Come altre organizzazione cattoliche /cristiane presenti nella nostraDio-cesi, l’Ass. dei Cursillos di Cristianità, si prefigge lo scopo dievangelizzare i nostri ambienti di vita con l’intento di migliorarli conla loro ricristianizzazione.

Chi desiderasse saperne di più, può contattare la Segreteria della Parrocchia di S. Maria in Trivio allo 06-9630083, o del SS. Salvatore allo 06-9630846. De Colores!

Cursillos di Cristianità Velletri:

2929MarzoMarzo20122012

Stanislao Fioramonti

DDon Mario Latini è morto improvvisamentedomenica 15 gennaio 2012 nella par-rocchia di S. Agata a Ferentino, un mese

prima di compiere 77 anni: era nato infatti aValmontone il 19 febbraio del 1935; quello stes-so giorno il padre Giovanni, che aveva sposa-to Emma Piacentini, entrò a lavorare come ope-raio allo Stabilimento BPD di Coleferro. Mario,nato due anni dopo la sorella Maria, fu battez-zato il 2 marzo nella Collegiata del suo paesedall’arcirete parroco don Benedetto Fralleone.Aveva tre anni quando il padre a 30 anni per-se la vita nell’esplosione della fabbrica di trito-lo di Colleferro; era il 29 gennaio 1938 e insie-me a lui perirono tra le fiamme altre 60 persone,tra operai e tecnici. Il “grande scoppio”, scrive-rà don Mario, fu una disgrazia che segnò nelmale e nel bene la sua vita.Il piccolo orfano frequentò l’asilo e le elemen-tari nel collegio della BPD; visse gli anni più dif-ficili della guerra e del primo dopoguerra con ifamiliari a Valmontone o sfollato a Quadrelle; stu-diò poi nel collegio dell’Opera Don Guanella diRoma. Il suo cammino verso il sacerdozio pres-so la famiglia guanelliana inizia ad Anzano delParco (Como), dove entra come postulante nel1953 per iniziare l’anno successivo il Noviziatoa Barza d’Ispra (Varese). E’ questo il luogo nata-le di san Luigi Guanella (1842-1915), proclamatosanto da Benedetto XVI il 23 ottobre 2011 in S.Pietro, fondatore delle Figlie di S. Maria dellaProvvidenza (1897) e dei Servi della Carità (1908),che hanno il carisma dell’assistenza ai poveri,agli orfani,alle fanciulle, agli anziani, agli han-dicappati, insomma alle categorie più deboli edemarginate. A don Guanella Valmontone ha dedi-cato una strada nel quartiere S. Anna e la suaOpera è nota da noi per il gemellaggio della par-rocchia di S. Anna con la Nocetta di Roma, unistituto di assistenza a disabili e anziani che appar-tiene al ramo femminile dell’Opera.Completato il percorso religioso con la Professioneperpetua sempre a Barza nel 1962, e il corsofilosofico e teologico a Como (dove ricevette ilSuddiaconato il 23 giugno 1963), a Varese e a

Chiavenna, venneordinato sacerdo-te il 28 giugno del1964 nella par-rocchia dell’Assuntaa Valmontone dalvescovo di Segnimons. Luigi MariaCarli; nella stessachiesa il giornodopo ha celebra-to la sua primaMessa. Erano 22anni che non c’e-rano ordinazionisacerdotali aValmontone; le ulti-me due risalivano al 1942, con don Paolo Cocchiae don Alberto Proscio, cugino di don Mario.Nel corso dei suoi lunghi anni di ministero sacer-dotale ha ricoperto vari incarichi, soprattutto rela-tivi alla sfera pastorale educativa. Infatti nei suoiprimi anni di sacerdozio è stato Educatore e Assistentea Milano, Amalfi, Napoli e Brindisi, prima di diven-tare Superiore dell’Istituto Torriani di Roma, doverisiederà fino al 1983, anno della sua nominaa parroco della Parrocchia S. Maria della Provvidenzadi Napoli dove si tratterrà fino al 1990. Un annoa Roma presso la ex parrocchia di sanGiuseppe Cottolengo come vicario parrocchia-le, per poi iniziare la sua esperienza sicilianache lo assorbirà per ben diciotto anni, come par-roco a Messina nelle due parrocchie del SS. Salvatoree di san Pio X, anche se per un breve periodosarà responsabile del Santuario della Casa sanCalogero di Naro. Ritorna nella sua terra di nascita nel 2010 comecoadiutore parrocchiale della parrocchia S. Agatadi Ferentino. Gli ultimi tempi di don Mario sonostati caratterizzati da un delicato intervento alcuore che gli ha minato la salute, non impedendoglituttavia di svolgere con amore e carità il suo mini-stero quotidiano nella parrocchia.Don Mario, sacerdote guanelliano da 47 anni,ha esercitato il suo lungo apostolato sempre lon-tano da Valmontone, perciò i suoi parenti del VillaggioRinascita e i suoi amici potevano incontrarlo solo

nei pochi giorni di ferie che quasi ogni estatetrascorreva al suo paese, quando celebrava lamessa a S. Sebastiano e in Collegiata. Ne ricorderanno senz’altro la mitezza, la sem-plicità di cuore, la bontà e l’attaccamento al sacer-dozio, valori che sembrano in ribasso ai nostritempi, ma che invece continuano a muovere lavolontà di tanta brava gente, delle persone buo-ne come don Mario Latini. “Ringrazio Dio per ilgran dono del Sacerdozio”, ha scritto nel 2002;“il sacerdozio è dono e mistero ineffabile, ed èstato anche per la mia famiglia e per il mio pae-se, che amo”.“Valmontone – ha detto anche nel 2004, quan-do festeggiava i suoi quarant’anni di sacerdo-zio – è una bella realtà, una cittadina laborio-sa e ricca di iniziative; ha davanti a sé un belfuturo e prego che sia sempre di progresso edi pace per tutti. Dio benedica Valmontone e isuoi abitanti; d’altro canto io non la dimenticomai nella mia preghiera sacerdotale”.

Nella foto del titolo:29 giugno 1964, don Mario Latini (2° da sinistra),ordinato sacerdote il giorno precedente, celebra lasua prima messa nella Collegiata di Valmontone, assi-stito da p. Gaetano Del Brusco (1899-1982), dal par-roco don Paolo Cocchia (1915-1976) e da don FrancoRisi, a sua volta parroco della Collegiata dal 1977al 1991.

PASQUA 2012

Le tenebre furono vinte

la luce tornò a brillare

il miracolo più grande

avvenne nel mondo

quando

l’Agnello si fece immolare

per riscattare l’umanità.

Oggi noi

forti nella fede

possiamo abbattere

ogni pregiudizio.

Oggi noi

uniti nell’amore

possiamo far crollare

ogni barriera.

Oggi noi

possiamo

riaccendere e far brillare

quella luce.

Vincenza CalenneAccademica Tiberina

3030 MarzoMarzo20122012

Valenzi Valeriano

Nella cattedrale di Santa Maria Assunta, di fron-te alla Cappella di San Giovanni, del cui patro-nato era titolare la famiglia Valenzi, come si evin-ce dallo stemma della stessa famiglia, visibilesulla cancellata, si erge la Cappella di San Giuseppe.Dalle mie memorie giovanili riemergeva il ricor-do di una lapide che si trovava, un tempo, nel-la parete sinistra ed era stata successivamenteeliminata nel 2000, nel corso di lavori di restau-ro: su di essa compaiono gli stemmi della fami-

glia Valenzi e Cleti Meni, titolari del patronato.Le ricerche presso l’archivio storico “InnocenzoIII”, iniziate con il proposito di scoprire l’origi-ne della doppia citazione, mi hanno portato ascoprire un susseguirsi complicato di succes-sioni nella vicenda del giuspatronato sulla stes-sa cappella.In un inventario delle suppellettili benestabili,anzi, azioni e ragioni spettanti alla prima por-zione della Cappella di San Giuseppe, fonda-ta da Pio Batta Auretta - come appare dal suoultimo testamento, redatto agli atti del fu BattistaInnocenti - il giorno 16 agosto 1659, e firma-to da Filippo Cleti Meni, cappellano (AIS inven-tari catastali n°1 1674) - risulta che titolari delgiuspatronato della prima porzione di detta cap-pella sono i Signori Cleti e che “il cappellanoaveva l’obbligo di celebrare una messa letta lasettimana e una messa cantata, insieme conl’altro cappellano della seconda porzione, nelgiorno della festa del Santo”. La testimonian-za più antica del giuspatronato della famigliaValenzi sulla seconda porzione risale ad un seco-lo e mezzo più tardi: in data 10 ottobre 1810

Bruno Valenzi, padre di Mons. Lorenzo, acqui-sta una casa da Filippo Maria Gabrielli, cui erastata precedentemente venduta dalla famigliaLauri (AIS inventari catastali n° 1 cappellaniadi Piero Lauri e reiscritti vari, riguardanti la cap-pellania). Ottavio Lauri, nel ricordare le quat-tro cappellanie dello giuspatronato attivo e pas-sivo della sua famiglia, erette nella cattedraledi Segni, accenna a quella di San Giuseppe,al cui ornamento la famiglia stessa era tenutain virtù di un legato di 50 scudi, lasciato a que-sto scopo da Settimio Andreotti, in ragione di

3 scudi per 6. Con l’alienazione al Gabrielli del-la casa, parte dell’eredità Andreotti, l’onere sud-detto era stato accollato all’acquirente. Bruno Valenzi insieme con la casa aveva acqui-sito anche l’accollo: per i frutti arretrati che, al20 ottobre, ammontavano alla somma di106,62 scudi, ne versava soltanto 55, dal momen-to che il rimanente gli era stato condonato ver-balmente “ex benignitate apostolica”: in quei “tem-pi calamitosi” (erano gli anni dell’invasione del-lo Stato Pontificio da parte dell’esercito napo-leonico), si ovviava, infatti, alla redazione periscritto. Tale somma, peraltro, come si evinceda un antico libro di “Memorie” familiari, una vol-ta pervenuta all’Arcivescovo Bramando, non fuerogata ad ornamento alla cappella, ma devo-luta a sostegno della famiglia del prelato, che,come altri cittadini di Segni, versava in situa-zione di grave povertà, a causa dell’occupazionefrancese.Ottavio Lauri chiede al vescovo di stabilire chi,tra la sua famiglia e Bruno Valenzi, debba sbor-sare il frutto (cioè gli interessi) di un censo dicinquanta scudi su una casa, comprata dal sud-

detto Bruno. Il vescovo comincia le sue inda-gini e, non potendo sentire Bruno – nel frattempomorto – si rivolge al fratello ed erede, il qualeafferma che quando Bruno nel 1812 comprò lacasa, estinse pure il censo di cui era gravata,erogando la quota principale di scudi cinquantaalla famiglia Lauri, cosicchè Lorenzo Lauri, nel1816, reinvestì quella cifra a favore della cap-pellania di San Giuseppe ( con il termine “cap-pellania” non si intende quasi mai l’edificio fisi-co della cappella, ma la sua dotazione di benidestinata a pagare i religiosi che officiavano le

messe previste su un dato altare, comesi vede dall’atto notarile).Il 30 aprile 1830 la Sacra Congregazionedel Concilio, su richiesta del futuro Mons.Lorenzo Valenzi, allora giovane sacer-dote e studioso di diritto, riconosce uffi-cialmente il giuspatronato della fami-glia Valenzi sulla cappella di San Giuseppee si raccomanda che “Cappellam prae-dietam ob omni squalore restauret, etnon esigui impensis ” (di restaurarela citata cappella dallo stato diabbandono in cui versa e di interve-nire con generosi contributi).Per quanto riguarda l’arredo e le sup-pellettili che, nel corso dei secoli, han-no ornato la cappella non disponia-mo di molte testimonianze.Nel 1635 la struttura portante della Chiesaera stata completata e nei decenni suc-cessivi iniziarono le decorazioni pit-toriche, con affreschi o in tela da par-te di valenti artisti dell’epoca: FrancescoCozza, Piero Berrettini, GiovanniBattista Gauli, Lorenzo Baldi, PietroBerrettini, i fratelli Courtois-Cortese,Leandro Carchenne. Molti dipintidella stessa epoca sono di pittori igno-ti, tra questi possiamo annoverare quel-li in tela nella cappella di San

Giuseppe: la morte di San Giuseppe, nel qua-dro centrale; lo sposalizio di San Giuseppe eMaria, nella parete di destra; San Giuseppe cheporge a Maria i pannolini e le fasce per il Bambino,nella parete di sinistra. Nelle quattro vele della cupola sono affresca-te le Sante: Agnese, Lucia, Agata e Cecilia. Perla cappella di San Giuseppe, nel febbraio 1850,come risulta nel libro delle adunanze dei cano-nici n. 5, nella pag. 19, il canonico Santopadrepropone all’avvocato don Lorenzo Valenzi e allafamiglia Cleti l’approvazione per la costruzio-ne del coro d’inverno onde permettere ai cano-nici di recitare l’ufficio giornaliero ed evitare irigori dovuti all’ampiezza della cattedrale. Tale approvazione risulta alla pag. 21 del sud-detto libro. La cappella fu chiusa con una vetra-ta, con accesso secondario dalla sacrestia enelle pareti laterali furono messi gli stalli, for-niti di dorsale e inginocchiatoio in struttura uni-taria. Tali opere furono compiute da Raffaele Valenzi(figlio del capo mastro Benedetto, che avevarealizzato la facciata della cattedrale), su com-

continua a pag. 31

3131MarzoMarzo20122012

Francesco Canali

LL a Santa Pasqua con tutti i suoi riti sim-bolici, è la ricorrenza religiosa più impor-tante di tutto l’anno liturgico, preceduta

dalla lunga quaresima, periodo di penitenza epreghiera durante la quale il fedele era tenutoall’osservanza dell’”astinenza quaresimale” ossia al digiuno, norma cuierano sottoposti tutti indistintamente, sia il clero che i fedeli. Durante questo periodo infatti, era proibito cibarsi di carni e altri gene-ri come latticini e uova, soprattutto nei giorni di venerdì, durante i qua-li veniva praticato un digiuno “strettissimo”. Normalmente tali pratichevenivano rispettate per intero dalla religiosissima popolazione di Gavignano,salvo rarissimi casi, come nella quaresima dell’anno 1824. Nell’estate dell’anno precedente, si era avuta una eccezionale siccitàche aveva colpito molti centri del basso Lazio e tra questi anche Gavignano,con conseguenze drammatiche per la popolazione soprattutto infanti-le, la più esposta a soccombere a tali calamità. Si scatenò così quelciclo, tanto frequente fino alla metà dell’Ottocento nelle società agra-rie, così sintetizzato dagli storici in questa sequenza: “carestia, scarsoraccolto, aumento della mortalità, riduzione della popolazione”, eventoche puntualmente si verificò anche a Gavignano. La mortalità infantile, già di per sé molto alta a causa della malnutri-zione e l’assenza di qualsiasi forma di protezione per la mamma e ilneonato, in quell’anno raggiunse cifre spaventose. Nel registro dei mor-ti dei parvuli (i neonati e gli adolescenti), si contano infatti ben 52 deces-si, contro ad esempio, i 24 nel 1823 e i 35 nel 1822. Anche le nasciteed i matrimoni subirono una consistente contrazione. Per fronteggia-re queste crisi, i Comuni di solito ricorrevano al Monte dell’Abbondanzao all’acquisto forzoso di grano dal feudatario. Ma alle porte incombevala quaresima con tutti i vincoli cui erano sottoposti i fedeli a comincia-re dalla penitenza, le preghiere e i digiuni. In un momento così dram-matico, il piissimo allora Vescovo di Segni mons. Pietro Antonio Lucani(1824-1841) inoltrò allora una petizione alle autorità competenti al finedi “attenuare” il precetto del digiuno tenuto conto della “grave carestia“che aveva colpito la diocesi. I precetti della chiesa andavano però rispet-tati. Puntuale la risposta del Card. Giulio Maria Cavizzi della Somaglia(1744-1830), allora nuovo Segretario di Stato di papa Leone XII (1823-1830) ed anche Vescovo di Velletri (1820-1830) succeduto al più lun-

gimirante Card. Ercole Consalvi. Il pontefice, benché “rammaricato” di non poter nel suo primo anno dipontificato vedere ripristinata “l’antica e salutare osservanza quaresi-male” ( un po’ attenuata durante il periodo precedente dell’occupazio-ne francese), concedeva alle popolazione della diocesi, compresi i Regolaridell’uno e dell’altro sesso (preti e monache), di cibarsi di “uova e latti-cini”. Erano naturalmente esentati tutti quelli “stretti da voto speciale”. Le concessioni non finivano qui!“Condiscende pure il S. Padre che stante la scarsa raccolta dell’olio,

di poter tanto nella quaresima, quanto nei venerdì e sabati e nelle vigi-lie del corrente anno, usare per condimento il lardo e lo strutto” ( duran-te la quaresima era vietato condire i cibi con il lardo e lo strutto in quan-to grassi di origine animale). E non era ancora tutto! Il pontefice dava poi facoltà, in via del tutto ecce-zionale, “a coloro che per causa di salute o per bisogno reale in fami-glia ne giustificheranno il vero e reale bisogno” di cibarsi della carnedando facoltà al vescovo di emanare “quelle maggiori eccezioni che cre-derà compatibili con le circostanze attuali”. Era però vietata la “promiscuità tra carne e pesce” (o si mangiava l’u-no o l’altro). Il digiuno doveva essere però osservato “nei primi quattrogiorni della quaresima, il mercoledì delle tempora che cadeva tra la pri-ma e la seconda domenica di quaresima, tutti i venerdì e sabati, le vigi-lie di S. Giuseppe e dell’Annunziata e negli ultimi quattro giorni dellasettimana santa”.A conclusione, il Cardinale esortava il Vescovo ad “inculcare ai suoi

diocesani la piena osservanza delle norme del digiuno” esortandoli “a compensare questa benigna pontificia concessione con altre operepie proporzionate allo stato di condizione di ciascuno”. In buona sostanza i gavignanesi erano tenuti a ricambiare tale munifi-cenza e prodigalità con preghiere e opere pie; del resto solo loro e perquesta sola volta, era stato concesso il privilegio di cibarsi di “uova elatticini” e condire con “ lardo e strutto” durante la quaresima.

… concediamo di mangiareuova e latticini e condire

con lardo e strutto

missione del capitolo della cattedrale, che, perriconoscenza, fece murare nel pilastro di sini-stra una lapide con la seguente scritta:

(DEO. O.M.)SACRIS. PER. HIEMEN. AGENDIS

FAMILIAE: VALENZI. ET. CLETIMENICOLLEGIO: CANONICORUM

(SA) LVIS. PATRONATUS. IURIBUSCONCESSERE

ANNO. DOMINI. MDCCCLIV

(A Dio Ottimo Massimo- per gli uffici sacri darecitarsi nell’inverno, le famiglie Valenzi e Cletimeniconcessero al Collegio dei Canonici, salvi i dirit-ti di Patronato- Anno del Signore 1854). Inoltre la lapide reca in alto: - a sinistra, unostemma con la scritta FORTITER-FELICITER(fortemente, felicemente) posta nel cartiglio supe-riore; - a destra, un altro stemma, entrambi appar-tenenti alle due famiglie).Nel 1903 fu costruita la nuova macchina pro-cessionale di San Bruno, in sostituzione di quel-la realizzata su disegno dell’Arch. Andrea Busiri,che nella lettera datata Roma 12 febbraio 1875,indirizzata al canonico Falasca, per chiederenotizie sui lavori di restauro della cattedrale, comu-nicava di aver iniziato il disegno della nuova mac-china processionale di San Bruno, che si pre-parava di eseguire per la festa del 1875 e chie-deva, inoltre, quale fosse lo stemma delcomune (AIS archivio capitolare, busta 168). Con l’occasione fu restaurato l’altare utilizzando

le quattro colonnine con capitello ionico, scol-pite in legno, della sostituita macchina.Nel secolo successivo non sono mancatiinterventi di restauro della Cappella, anche senon sempre con esito felice e nel rispetto di quan-to, nel corso degli anni, aveva testimoniato lacura dei fedeli: dalla, purtroppo, inevitabile demo-lizione degli stalli laterali, completamente tar-lati, alla tinteggiatura avvenuta nel 1958, finoal rifacimento del pavimento con lastre di mar-mo bianco di Carrara e bardiglio, disposte a scac-chiera, realizzato in occasione del Giubileo 2000,come testimonia la scritta incisa su lastra metal-lica, con supporto di legno:“In memoria di Mariannina Felici Gizzi, il mari-to e i figli nel grande Giubileo del 2000 offro-no il pavimento di questa cappella”.In occasione di tale lavoro fu tolta la lapide del1858 e gettata in una discarica; anche se ormainon più integra, fu recuperata da cultori dellamemoria che, per fortuna, non mancano nellanostra città.

segue da pag.30

3232 MarzoMarzo20122012

Don Daniele Valenzi

LLa virtù della carità come le altre virtù teo-logali, ha Dio come origine, infatti soloDio è all’origine della fede e della spe-

ranza e della carità, possiamo disporci a rice-vere queste virtù, con la preghiera, con la pra-tica dell’umiltà, ma non siamo noi a originare que-ste virtù, è Dio che le dona. Sono teologali anche perché Dio ne è l’ogget-to: con la fede noi conosciamo Dio e ciò cheDio dice di sé e del creato; con la speranza spin-giamo la nostra volontà verso ciò che realizzala volontà di Dio in noi e con la carità noi amia-mo Dio e ciò che Dio ama. Ma con una differenza: la fede che perfezional’intelligenza umana e le fa conoscere Dio stes-so fa uso del linguaggio e dei concetti umani,quindi di concetti limitati, finiti, che sono per loronatura riduttivi della realtà senza limiti che è Dioe quindi, la fede, per quanto perfezioni l’intelli-genza, ha un limite oggettivo: riduce Dio nei limi-ti finiti dei nostri concetti, per quanto possanoessere concetti e idee contenute nella rivelazionestorico-biblica. La speranza aiuta la nostra volontà in un attodi fiducia che sta per realizzarsi. La carità, invece, perfeziona la volontà e la volon-tà si porta sulla persona amata così come que-sta è in se stessa. L’amore e la volontà comportano un movimen-to dalla persona che ama alla persona amataper raggiungere il possesso della stessa per-sona amata, nella sua reale identità e non nel-l’idea che noi ci siamo fatti di essa o in quelloche potrebbe essere. Per questo la carità è più eccellente anche rispet-to alla fede e alla speranza: mira a gioire e ama-re Dio per quello che Dio è in se stesso. Bruno di Segni nel secondo libro delle senten-ze, dopo aver descritto le virtù della fede e del-la speranza, parla diffusamente della virtù del-la carità commentando il brano iniziale del capi-tolo 13 della prima lettera ai Corinti, conosciu-to anche con il nome di inno alla carità. Il santo vescovo segnino divide la sua esege-si in due parti: la prima che dedica alla descri-zione della necessità della virtù in questione edel beneficio che arreca all’umanità, mentre laseconda in cui cerca di descriverne la natura.Per il momento ci soffermiamo sulla prima par-te in cui san Bruno mostra con chiarezza chequesto dono di Dio è motivo di salvezza per tut-ti, personale prima, universale poi.Quanto grande sia la virtù della carità, e quan-

to sia necessaria per gli uomini, lo mostra il bea-to apostolo Paolo, dicendo: “Se anche parlas-si le lingue degli uomini e degli angeli, ma nonho la carità, sono un bronzo che risuona o uncembalo che tintinna. E se anche avessi il donodella profezia e conoscessi tutti i misteri e tut-ta la scienza e avessi tutta la fede, così da tra-sportare le montagne, ma non avessi la carità,non sono nulla. E se anche distribuissi in cibo per i poveri tut-te le mie sostanze e dessi il mio corpo per esse-re bruciato, ma non avessi la carità, niente migiova (1 Cor. 13, 1ss). Con queste parole il bea-to apostolo mostra più chiaramente che ogni elo-quenza o facilità nel parlare, qualsiasi conoscenzao saggezza, qualsiasi pienezza di fede o di ognivirtù abbia un uomo, se non ha la sola carità,non è nulla e niente gli giova ed non è consi-derato per nulla. Ma è molto strano, che qualcuno ritenga di giun-gere ad una tanto grande perfezione, così si pen-sa, senza la carità, perché sembra essere impos-sibile, e se per caso non fosse impossibile, spo-stare le montagne con la fede, dare tutti i pro-pri beni ai poveri, offrire il proprio corpo alle fiam-me, e capire i misteri nascosti di Dio, senza lacarità. E che dire delle lingue degli uomini e degliangeli? Questa grazia è stata a volte molto necessa-ria, soprattutto nella Chiesa primitiva, quandofurono inviati a predicare la parola di Dio a tut-te le genti. Come avrebbero potuto insegnareloro se avessero ignorato la loro lingua?“Gli apostoli, dunque, narravano in lingue diver-se le opere meravigliose di Dio (At 2, 11).” Eccoperché l’apostolo dice: “Rendo grazie al mio Dio,perché io parlo le lingue di tutti gli uomini (1 Cor14, 18)”. Ma ora si trovano pochi o nessuno cheabbiano l’abilità di parlare le lingue di tutti. E ‘sufficiente ad ognuno la propria lingua, per-ché è sufficiente che ognuno predichi solo nel-la propria patria. Si può dubitare che qualcunoin qualche modo potrebbe parlare nelle linguedegli angeli o anche gli angeli parlare in quel-le le lingue. Abbiamo letto che molti hanno parlato con gliangeli, ma non li abbiamo sentiti parlare, nonsappiamo come abbiano parlato. Quelli che han-no parlato con loro, tanto eloquentemente, tan-to soavemente, tanto piacevolmente, tanto facil-mente e tanto elegantemente parlarono ecapirono. Non dubito che quelli abbiano parla-to molto più piacevolmente, più dolcemente epiù speditamente di quanto sia efficacie l’abili-tà umana di linguaggio nell’arte del parlare. Per

ciò Mosè, quando sentì l’angelo che gli parla-va, disse di essere più impedito e più lento nelparlare, dopo aver sentito l’eloquenza della sualingua. Non che il suo linguaggio fosse più lento o impe-dito dal discorso angelico, ma che a confrontodella sua eloquenza e dolcezza ammutolì, e sem-brava completamente privo della lingua. Possiamo intendere per gli uomini, i filosofi etutti gli altri saggi di questo mondo. Possiamoindicare per gli angeli i patriarchi e i profeti etutti gli altri che annunciando la Parola di Diosono degni del vocabolo angelico. Dica dunque l’apostolo e dica ciascuno di noi:“Se anche parlassi le lingue degli uomini e degliangeli, ma non avessi la carità, sono come unbronzo che risuona o un cembalo che tintinna(. 1 Cor 13, 1)” perché per gli altri posso esse-re utile, ma per me non posso essere utile. Infatti un bronzo che risuona e un cembalo chetintinna possono essere utili per gli altri chiamando,adunando, deliziando, invitando alle battaglie,ma dal momento che sono insensibili non pos-sono giovare a se stessi. Similmente anche i dottori della Chiesa che devo-no essere migliori per tutti gli altri, anche se par-lano in ogni lingua e imitano non solo filosofi eoratori, ma anche gli angeli per la dolcezza el’eloquenza di parola, tuttavia se non hanno lasola carità, possono giovare agli altri, ma nonpossono essere utili per se stessi. Pertanto, quando parlano con questa intenzio-ne, affinché Dio sia glorificato, e fratelli edificati,allora gioveranno a se stessi; e qui non c’è dub-bio che ci sia la carità. Se, invece, aspettano la ricompensa umana perla loro predicazione, ascoltino il Signore che dice:“In verità io vi dico: hanno già ricevuto la lororicompensa (Mt 6, 4).” “E se avessi il dono del-la profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta lascienza, e se avessi tutta la fede , così da tra-sportare le montagne, ma non avessi la carità,non sono nulla (1 Cor. 13, 2). Infatti sia Balaam, sia la Sibilla, sia Caifa, e mol-ti altri, si legge che abbiano avuto lo spirito diprofezia, ma poiché non avevano la carità, nien-te gli giovò. Molti anche oggi sono dotati di unagrande scienza e bene ed in modo profondo espon-gono i misteri delle Sacre Scritture, ma poichénon hanno la carità, niente gli giova. Si legge negli Atti degli apostoli dei figli di Sceva(At 19, 14), che pur tuttavia non essendo cri-stiani, attraverso la fede cacciarono i demoni,scongiurandoli nel nome di quello che Paolo pre-

segue a pag. 33

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dicava: anche quelli nel giudizio saranno chia-mati; “Signore, non abbiamo noi forse profeta-to nel tuo nome, e scacciato i demoni?”. A questi il Signore dirà: “In verità vi dico, io nonvi conosco (Mt 7, 12)”. Non avrebbero certamentesentito questo, se avessero avuto la carità. Dunque quelli che cacciarono i demoni, sonoda comprendere come quelli che possono spo-stare le montagne. “ E se anche distribuissi in

cibo per i poveri tutte le mie sostanze e dessiil mio corpo per essere bruciato, ma non aves-si la carità, niente mi giova (1 Cor. 13, 3).” Ma così è da comprendersi quando dice, nonsono niente e niente mi giova, cioè che questee simili cose, senza carità, sono nulla per rice-vere la felicità, per quanto molto giovano per alle-viare i tormenti. Bisogna notare, tuttavia, che nel distribuire i beni

e nel fare elemosine, è cercato dal Signore piùil sincero affetto che la larga mano. Abbiamo sentito dei donatisti, che spesso si era-no offerti alle fiamme, e a precipizi, e ad altri tipidi morte, per essere fatti martiri non di Dio, comescioccamente essi stessi pensavano, ma piut-tosto del diavolo. Ma, come è stato sufficiente-mente dimostrato, nessuna virtù e nessuna cosabuona può giovare in assenza della carità.

continua da pag. 32

prof. Enrico Mattoccia

CChi ha studiato anche pochecose su Manzoni, ricorde-rà certamente che la sua vita

ebbe un improvviso e grande cambiodi rotta. Difatti a Parigi, nel 1810, quan-do la prima moglie Enrichetta Blondelabiurò il Calvinismo, egli “si convertì”ritornando alla pratica convinta e fer-vente del Cattolicesimo che da anniaveva messo da parte. Quella conversione, anche dagli sto-rici della letteratura viene considera-ta come il fatto principale della vita edella poesia del grande scrittore. Riscoprendo la verità evangelicasecondo l’insegnamento della Chiesa,Manzoni trovò un lievito nuovo e poten-te alla sua poesia e la sua vita fu ani-mata da grande fervore spirituale chetrasfuse anche in tutte le sue opere,nelle quali proclamò le idee di libertàed uguaglianza, di difesa dei diritti del-l’uomo e dei popoli quali conseguen-ze dei principi evangelici. La sua vita fu di esempio per i con-temporanei ed è tuttora additata comemodello. Nel 1973, in occasione del-la celebrazione del centenario della mor-te del “Grande Lombardo”, papaPaolo VI, che era stato arcivescovo diMilano prima di essere eletto Pontefice,inviò al suo successore, il cardinaleGiovanni Colombo, una lettera nella quale, com-piacendosi di quanto era stato organizzato, esal-tò “l’alta testimonianza di Alessandro Manzonialla fede cattolica”. Per papa Montini, Manzoniè “l’insigne uomo che ha dato alla fede catto-lica una alta testimonianza con la convinzionevissuta del credente e col sommo magistero let-terario dell’incomparabile artista”, cioè con lavita e con la letteratura.. Nella lettera il Papa ripercorre la vita e le ope-re del Manzoni in un periodo in cui era anco-ra viva l’ideologia illuministica, alla quael lo scrit-tore oppose “una visione teologica della vita uma-na e affermò l’inscindibilità del fatto morale daquello dottrinale” (La Morale Cattolica); inoltresi oppose al laicismo della rivoluzione con accen-ti squisitamente religiosi (Inni Sacri), affermandoanche il valore del culto cattolico; da ultimo, di

fronte al dramma umano della guerra, “celebròil soccorso della fede con le sue composizioniliriche sul Risorgimento Italiano e sul declinonapoleonico. Le tragedie manzoniane ricorda-rono sulle scene la storia franco-longobarda einsieme umanissimi sentimenti e un’esperien-za vitale, dove, assieme ai grandi, anche ai sem-plici è assegnato un “posto degno di rispetto edi umana pietà”. Nel Romanzo, gli “umili” sono protagonisti alme-no tanto quanto i grandi e assurgono ad esem-pio e simbolo di tutti gli umili della terra. I personaggi manzoniani, specialmente ne I PromessiSposi, continua il Papa, sono ancora vivi nel-le città e nelle campagne lombarde ed hannouna fisionomia simbolica: sono “figure tipichedi perenne eloquenza, malgrado il cambiamentodei tempi”. Il Pontefice ricorda specialmente il

cardinal Federico, padre Cristoforo,Renzo, Lucia, l’Iinnominato... ei continui richiami alla storia, alle“situazioni passate ma non tra-scorse”, cioè “che si ripetono nel-la storia recente dei popoli”. Le pagine del Romanzo invita-no in modo efficace a “guarda-re più in alto, per trovare i lega-mi della vita umana con un dise-gno della Provvidenza”, perchélo Scrittore ha “riproposto, conla pacata suggestività dell’arteil significato più profondo dellaumana esistenza”. Nell’opera manzoniana non esi-stono zone “morte” o “pagine diripiego”; anche fatti e situazio-ni marginali hanno il loro signi-ficato e il loro insegnamento, sonouna “lezione segreta e persistentedel Manzoni più intimo” che pro-pone “un cristianesimo puro e sem-plice, una verità sofferta tra unapopolazione di derelitti e diconsacrati alla morte”. A quel tempo erano vive le dis-cussioni sul “terzo stato”, Manzonilo esaltò e lo mise al centro del-la sua arte.Oggi, in molte scuole, lo studiodel Manzoni è nei programmi, mada diversi insegnanti viene taci-tamente radiato, spesso per

motivazioni preconcette di ordine religioso o pseu-do didattico e letterario. Egli ha ancora moltoda dire sia ai giovani che agli adulti. Di frontealle teorie nichiliste, alla ricerca spasmodica delpiacere, del denaro, della carriera e del con-sumismo...Manzoni, con la vita e con l’arte invita ad alza-re lo sguardo per cogliere, “nella fitta e confu-sa trama degli eventi umani” l’azione segretadella Provvidenza che tutto guida, alla fine, peril bene dei suoi figli, come egli appunto scrivenella conclusione del Romanzo. Un insegnamento cristiano, evangelico... l’uni-co che ancora abbia qualche messaggio di spe-ranza per l’umanità.

Nell’immagine: “La conversione dell’innominato”dai Promessi Sposi, Alessandro Grardassoni.

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prof. Enrico Mattoccia

LLa grande stampa e la televisio-ne ci parlano spesso di attrici, dipolitici..., ci narrano i delitti, i fur-

ti, le violenze, gli scandali che affliggono città e campagne... Raramenteperò si occupano di persone che hanno una vita esemplare, ama-no la famiglia, seguono la ragione e la coscienza. Si tratta di per-sone che, fortunatamente, costituiscono ancora la maggioranzadella nostra popolazione. Un esempio: è stata quasi ignorata la “bea-tificazione” di una giovane di 18 anni, avvenuta al Santuario delDivino Amore, alle porte di Roma, il 25 settembre 2010. Si tratta di Chiara Badano, nata a Sassello, nell’Appennino Ligure,il 29 ottobre 1971 e morta il 7 ottobre 1990, poco prima del 19°compleanno. I genitori l’avevano tanto desiderata, infatti era nataundici anni dopo il loro matrimonio. Fu educata dalla mamma aiprincipi cristiani e, fin da piccola, ebbe grande attenzione agli “ulti-mi”, tante volte difesi ed elogiati dal Vangelo. A nove anni entrò a far parte del settore giovanile del Movimentodei Focolari, fondato da Chiara Lubich e, a poco a poco, coinvol-se anche i genitori. Era intelligente e volitiva, vivace, allegra, spor-tiva, dal sorriso dolce e comunicativo. Frequentava il Liceo Classico quando, a 17 anni, la colse un improv-viso e lancinante dolore alla spalla sinistra che fu appurato esse-re originato da osteosarcoma. Iniziò per Chiara un periodo di dolo-re che la portò alla morte precoce. Quando, alla fine delle indagini, dai medici le fu detta la verità, nonsi perse d’animo, affrontò cure dolorosissime, ma non si spense ilsuo sorriso e lei stessa faceva coraggio ai genitori, alla mammain modo particolare. Ripeteva spesso, nei momenti di dolore piùacuto: “Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io!”. Era convinta che“il dolore abbracciato rende liberi”.Durante la malattia fu in contatto con il suo vescovo, mons. Livio

Maritano e anche con la fondatrice del Movimento dei Focolari. Prima di morire chiese ai suoi che la Messa del suo funerale fos-se una festa durante la quale nessuno doveva piangere, perchélei era andata ad incontrare il Signore.Il coraggio di fronte al male e tutta la sua vita precedente le crea-rono attorno una fama di santità che la Chiesa ha riconosciuto uffi-cialmente, grazie anche al miracolo attribuito alla sua intercessio-ne: la guarigione improvvisa di un bambino di Trieste affetto da menin-gite fulminante. Il suo Vescovo, che per primo avviò il processo dibeatificazione (cioè tutte le pratiche perché la Chiesa riconosca lasantità di una persona), ha scritto: “Mi è parso che la sua testimonianza fosse significativa, in parti-colare per i giovani. C’è bisogno di santità anche oggi. C’è bisogno di aiutare i giovani a trovare un orientamento, uno sco-po, a superare insicurezze e solitudine, i loro enigmi di fronte agliinsuccessi, al dolore, alla morte, a tutte le loro inquietudini”. Ha aggiunto: “E’ sorprendente questa testimonianza di fede, di fortezza da par-te di una giovane di oggi: colpisce e determina molte persone acambiare vita; ne abbiamo testimonianza quasi quotidiana”.Se cerchiamo appena un po’ nella storia della Chiesa, vediamo cheChiara Badano è preceduta da tanti altri giovani e ragazze che han-no vissuto intensamente i precetti del Vangelo pur avendo avutouna esistenza piuttosto breve e sono stati dichiarati ufficialmentesanti, modelli di riferimento per tutti. Ce ne sono agli inizi del Cristianesimo e anche nei tempi moder-ni. Basterebbe pensare a S. Maria Goretti (11 anni), a S. DomenicoSavio (14 a.), S. Pancrazio (13 a.), S. Tarcisio ( appena adolescente),S. Vito Martire (13 a.), Santa Devota (21 a.), S. Agata (13 a.), S.Giovanna d’Arco (19 a.), S. Giorgio (20 a.), S. Agnese (12 a.), BeatoPier Giorgio Frassati (24 a.), S. Teresa di Lisieux (24 a.), BeataAntonia Mesina (15 a.), S. Francesco Marto (veggente di Fatima,10 a.), S. Ugo di Lincoln (11 a.), Servo di Dio Angelo Bonetta (15a.).... Una lista completa occuperebbe certamente molte pagine.

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don Claudio Sammartino

RReverendo Curato di Segni,lasci che mi presenti: sonoFernando Trastamara, Re di

Sicilia e d’Aragona, meglio conosciutocome Ferdinando il Cattolico, e le scri-vo per perorare la causa di mia moglieIsabella.Essendo uno dei suoi affezionati dodi-ci lettori mi commuovo sempre nel leg-gere le lettere che personaggi fon-damentali della Storia di SantaMadre Chiesa, o della storia ingenerale, le scrivono ogni mese: dopomolti dubbi e preoccupazioni ho pre-so anche io la penna e ho deciso discriverle. Io e la mia «amata moglie»eravamo «un solo corpo ed una solamente» ma oggi quasi nessuno ci cono-sce e spesso le cose che si diconosu di noi sono solamente dei clichéfabbricati dalla propaganda di voltain volta protestante, ebraica, massonicae terzomondista.Il mio sdegno è arrivato ormai all’a-pice e ho deciso, da bravo marito, didifendere l’onore della «mia carissima SeñoraIsabella», la Regina Cattolica. Pensi, ReverendoCurato, che persino i giornali e la stampa cat-tolica ci ignorano e si rifiutano di scrivere su dinoi, che abbiamo ricevuto da Santa Madre Chiesa,il 19.12.1496 il titolo ereditario di Re Cattoliciper i nostri meriti nella causa di Cristo e nelladifesa dell’ortodossia della fede.La cosa che più mi infastidisce è il fatto che ilprocesso di canonizzazione di mia moglie si èarenato nel 1991 a causa delle proteste con-giunte del mondo islamico, protestante ed ebrai-co (proteste che travolsero anche il Beato GiovanniPaolo II, reo di aver ribadito in quegli anni lapermanente urgenza dell’evangelizzazione deipopoli con l’Enciclica Redemptoris Missio). Quando potrò vedere mia moglie onorata degna-mente con il Titolo, almeno, di Beata? La causa in sé e per sé non ha alcun proble-ma, nessun vizio, nessun errore: come diconoin Spagna está parada, sta ferma.I nostri detrattori, senza nemmeno aver letto unsolo nostro documento o aver consultato qual-cuno dei famosissimi archivi dei nostri Regni,ci accusano delle peggiori infamie che si pos-sano immaginare come il genocidio degliIndios americani, razzismo, antisemitismo,islamofobia, usurpazione del trono e ribellioneall’autorità regnante.Siamo additati come degli arrivisti che hannosolamente cercato e bramato il potere con ognimezzo lecito e illecito, arrivando a reprimere inostri sentimenti e disprezzare quelli dei nostrifigli o dei nostri cari. Qualcuno ha osato affer-mare che mi Señora Isabella avrebbe avvele-nato suo fratello Alfonso di appena 15 anni perrubargli la successione al trono. La verità, ovvia-mente, manco a dirlo, è stata ben altra.Ad esempio, Reverendo Padre, ci siamo spo-sati prima di tutto per amore e poi anche per

calcolo politico: leggete le nostre lettere chesi trovano tutt’oggi nell’Archivio di Simancase scoprirete che ci dispiaceva essere distan-ti l’uno dall’altro ed io, una volta, il 14.06.1475,ho confessato a mia moglie «di essere rattri-stato per non vedere la mattina, accanto a me,la mia dolce Isabella».Con un dispendio impressionante di energieabbiamo riformato un intero Paese nell’arcodi 25 anni senza tralasciare nessun aspetto:abbiamo riformato completamente il Clero seco-lare e gli Ordini Religiosi, rifondammo la poli-zia e riattualizzammo la cavalleria, fondammoScuole ed Università gratuite per chiunque voles-se studiare e, nella riforma delle università, sot-to la protezione della mia carissima moglie, l’in-segnamento universitario si aprì alle prime don-ne. Amavamo a tal punto la giustizia che era-vamo sempre in giro nei nostri Regni per poter-la amministrare e, a Barcellona, il 7.12.1492,facendo io stesso gratuitamente udienza sub-ii un terribile attentato da parte di un folle.Siamo accusati di islamofobia perché portam-mo a compimento, dopo più di 7 secoli, laReconquista, riprendendo ai musulmani ilRegno di Granada. Unici tra tutte le Teste CoronateCristiane, abbiamo cacciato dall’Italia gli inva-sori maomettani dopo lo sbarco ad Otranto del1480, siamo stati gli artefici di una missione diplo-matica, nel 1501, presso il Sultano d’Egitto perfar cessare le persecuzioni contro i cristiani dell’Imperoislamico e per custodire e restaurare le Chiesedi Terra Santa. Pensi, Reverendo, che persino il lontanissimoRegno di Georgia nel 1495 ci chiese aiuto e pro-tezione contro le angherie dei Turchi.Il nostro nome e le nostre gesta, compiute gra-zie all’aiuto di Dio era sulla bocca di tutti. Chiparlava, però, si meravigliava della mia cara Isabella:non capivano «come mai fosse così famosa pur

essendo una donna».Sa che le dico? Dicevano così perché non la conoscevano: lamia consorte istituì il primo ospedale da cam-po della storia moderna, che era ovviamentechiamato Ospedale della Regina, e si presen-tava personalmente nei campi di battaglia, volen-do assistere ai combattimenti dalla prima lineae curando personalmente i feriti.Senta questa cosa incredibile che sicuramen-te non conosce: la guerra di Granada, nel 1489,si era bloccata perché non riuscivamo a con-quistare la fortezza di Baza che cadde solamentecon l’arrivo della Regina. Le fonti sono tutte con-cordi in questo e arrivano ad affermare che ilcomportamento di mia moglie sul teatro di bat-taglia«rendeva gli uomini leoni e i vassalli, schia-vi; non c’erano disertori e non era necessariala pena di morte»Ma ora, Reverendo Curato, la devo lasciare.Sarebbero troppe le cose da ribadire e controbattere.Lo spazio mi manca, la stanchezza mi prendenuovamente. Se sarà buono pubblicherà questa mia letterae se vorrà, in un secondo momento, analizze-remo il problema ebraico e la gloriosa Scopertadell’America, «il secondo evento più importan-te dopo l’Incarnazione di Cristo». Preghi per me, preghi perla Spagna che sta rin-negando le sue radici. Per parte mia, difende-rò sempre e continuamente l’onore di mia moglie.Suo, Ferdinando d’Aragona, Re Cattolico per Grazia Divina.

Nell’immagine:

Boabdil di fronte a Ferdinando e Isabella dopo la caduta di Granada del 1492,

Francisco Pradilla y Ortiz, 1882

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prof. Antonio Venditti

LL ’ultima significativa “riforma” del Ministrodel M.I.U.R Mariastella Gelmini haesteso gli istituti scolastici comprensivi

a tutti i luoghi d’Italia, fin dal prossimo anno sco-lastico 2011/2012 : essi raggruppano la scuo-la dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secon-daria di primo grado in un’unica istituzione sco-lastica, con una segreteria e con un dirigente.La decisione, che è stata dettata dall’esigenzadi riduzione delle spese, solleva rilevanti que-stioni di gestione e di funzionamento congiun-to delle tre diverse scuole. Come si sa, le scuole dell’infanzia e le scuoleprimarie sono già unite nei circoli didattici, carat-terizzati dalla molteplicità dei plessi scolastici spar-si anche in estesi territori, mentre le scuole mediesono limitate ad una sede spesso unica, o tut-t’al più con qualche succursale. Raggruppamentiseparati di circoli didattici e di scuole medie sonogià avvenuti dal 2000, quando è entrata in vigo-re l’”autonomia scolastica”, concessa soltantoad entità di almeno cinquecento alunni. Da allora, quando i numeri non lo consentiva-no, sono stati formati gli istituti “comprensivi” del-le due entità sopraindicate. Avremo quindi isti-tuzioni scolastiche con una popolazione tra i mil-le ed i millecinquecento alunni ed in prospetti-va anche di più, con un dirigente, al quale potreb-be anche essere assegnata la “reggenza” di unaltro istituto comprensivo senza titolare. Una discussione non nuova verte sulla“secondarietà” della scuola media, che stori-camente si è sviluppata nei corsi inferiori degliistituti superiori, unificati nel 1940, anno di isti-tuzione della scuola media come scuolasecondaria inferiore e via d’accesso, previo esa-me di ammissione, alla scuola secondaria supe-riore, in netta divisione dalla scuola di avvia-mento professionale, che preparava solo alleprofessioni più modeste, senza possibilità diproseguimento degli studi.Nel 1962 è stata istituita la “scuola media uni-

ca”, in attuazione dell’obbligo scolastico di ottoanni, sancito dalla Costituzione, con program-mi che, anche nelle successive riforme, sem-pre hanno posto in rilievo la “secondarietà”, ancorpiù necessaria dopo che l’obbligo scolastico èstato elevato a dieci anni, comprendendoanche il primo biennio delle scuole superiori. Il collegamento naturale, quindi, della scuola media,scuola secondaria inferiore , è con la scuola secon-daria superiore; ciò non significa che non ci deb-ba essere collegamento con l’istruzione prima-ria, anzi il rapporto deve essere intenso,soprattutto con le classi terminali, per facilitareal massimo il passaggio dall’uno all’altro ordi-ne di scuola, nella delicata evoluzione dalla fan-ciullezza alla preadolescenza. Le strutturazioni educative non possono igno-rare le differenti fasi evolutive e devono sem-pre garantire le più idonee collocazioni di alun-ni/e in ambienti autenticamente educativi, chesiano al riparo dalla benché minime occasionidi disagio, che compromettono la serenità del-la crescita nel compimento dei percorsi didat-tici. Gli istituti comprensivi, così come si sonoconfigurati nell’esperienza ormai decennale, sonorisultati piuttosto problematici, non soltanto perla complessità della gestione, ma soprattutto perla difficoltà di amalgamare differenti visioni gene-rali e differenti obiettivi specifici. Il punto di debolezza di tali istituzioni si è mani-festato finora nella scuola media, minoritaria rispet-to alla più solida e maggioritaria componente del-la scuola primaria, unita alla scuola dell’infan-zia per maggiore affinità, almeno all’inizio del-l’istruzione elementare. Infatti, nel Collegio deidocenti, principale organo di programmazioneeducativa e didattica, la scuola media è a con-tinuo rischio di emarginazione e comunque spes-so si stabilisce una dannosa contrapposizio-ne tra i diversi tipi di scuole. Meglio sarebbe stato effettuare accorpamentiomogenei di circoli didattici e di scuole medie,riducendo così i problemi soltanto alla complessitàgestionale ed amministrativa.

Del resto gli istituti comprensivi sono stati costi-tuiti, nel 2000, soprattutto per piccoli centri, spe-cialmente delle località montane ed insulari, chealtrimenti avrebbero vista pregiudicata nel ter-ritorio la possibilità della regolare istruzione. Subito, però, anche in grandi centri, si è voluto spe-rimentare tale “innovazione”, per vari motivi, anchequando esistevano le possibilità di unificazio-ne di scuole dello stesso tipo; i risultati, in gene-re, sono stati poco soddisfacenti, al di là del-l’automatico passaggio dalla scuola primaria allascuola media. Ma, fermo restando il principio del-la libertà di scelta della famiglie, è capitato chei genitori rifiutassero la scuola media interna, per-ché ritenuta di scarsa qualità o problematica, periscrivere i loro figli ad altra scuola media più ras-sicurante. Pur con le necessità di risparmio impo-ste dalla grande crisi economica, il Ministero avreb-be dovuto valutare più attentamente le conse-guenze di una immediata ed obbligatoriaestensione a tutto il territorio nazionale di tali agglo-merati di scuole. Restano così importanti nodida sciogliere e limiti da individuare, per evitareeccessivi accorpamenti, fino al raggiungimen-to del numero prefissato, soprattutto nei com-prensori dei piccoli paesi. Un unico ufficio di segreteria comporterà cer-tamente gravi disagi per le famiglie. Un unicodirigente sarà in seria difficoltà a svolgere effet-tivamente il suo ruolo di “promozione e coordi-namento” e quindi il buon funzionamento del-l’istituzione scolastica tanto frammentata.Inammissibile, inoltre, sarà l’assegnazione del-la “reggenza” di un altro istituto comprensivo.Contestualmente alla norma di unificazione dicircoli didattici e scuole medie, dovevano esse-re stabilite le modalità di funzionamento, con tut-te le indicazioni utili ad evitare complicazioni erischi. C’è ancora tempo per porre rimedio allepiù gravi incongruenze e si deve sperare cheil Ministro del M.I.U.R. emani norme in tal sen-so, trattandosi di una grande questione scola-stica che interessa tutta l’istruzione primaria esecondaria inferiore.Naturalmente, fatte per onestà intellettuale le dovu-te riserve sull’istituzione stessa degli istituti sco-lastici comprensivi, ora che dovunque sono sta-ti formati, si deve scommettere sulla possibili-tà di trovare un nuovo equilibrio per non com-promettere, fin dall’inizio, la validità della for-mazione di bambini, fanciulli e preadolescenti.Chi ha sempre agito per il bene della scuola,non può disimpegnarsi ma deve adoperarsi peril buon funzionamento della realtà scolastica incui è inserito, in spirito di servizio, senza rifiu-ti ed inutili pregiudizi. Ci si riferisce alla serietà e generosità dei sin-goli operatori, che hanno però bisogno del soste-gno delle famiglie, delle autorità e di tutta la comu-nità. Si attendono dalle Autorità scolastiche adogni livello misure immediate e di medio e lun-go periodo, per ridurre al massimo le disfunzionie per evitare i rischi più evidenti di prevalenzadi una scuola sulle altre, stabilendo la pari digni-tà di ognuna, al di là dei numeri, evitando ognitipo di emarginazione.

continua a pag.37

3737MarzoMarzo20122012

Don Corrado Fanfoni*

II l tema della prossima GMG (Giornata Mondialedella Gioventù) fa riferimento alle due let-tere nelle quali l’Apostolo Paolo invita ad

essere lieti e felici vivendo questa gioia “nel Signore”,ossia in stretto contatto con Lui.Il Santo Padre, proprio all’inizio del suo messaggioper la Quaresima 2012 ci ha ricordato: «la Quaresimaci offre ancora una volta l’opportunità di riflette-re sul cuore della vita cristiana: la carità. Infattiquesto è un tempo propizio affinché, con l’aiu-to della Parola di Dio e dei Sacramenti, rinno-viamo il nostro cammino di fede, sia personaleche comunitario. È un percorso segnato dalla pre-ghiera e dalla condivisione, dal silenzio e dal digiu-no, in attesa di vivere la gioia pasquale». Essere lieti nel Signore è per i cristiani un impe-gno a non accontentarsi di sperimentare una feli-cità passeggera ma a gustare la gioia vera chepuò scaturire solo dall’incontro diretto col Cristovivo, col Risorto. Motivo della gioia cristiana è, per l’Apostolo, la cer-tezza che il Signore è vicino e per alimentare questa gioia è neces-sario vivere la dimensione della preghiera ed essere fedeli a Dio. Questoinvito fatto ai giovani, in occasione della prossima domenica delle Palme,vuole stimolare l’impegno delle nuove generazioni ad impegnarsi nelcammino personale e comunitario e, soprattutto, spinge a non stancarsimai nel ricercare la Verità e sprona a camminare sempre per vivere unacrescita continua che porta alla piena conoscenza di sé. Un proverbiodella Tanzania dice: «chi arriva per primo alla sorgente beve l’ac-qua più pura» e ci ricorda che è possibile sperimentare la gioia se siè capaci di impegnarsi, vigilare, attendere…In un mondo spesso bombardato da notizie che richiamano l’attenzio-ne sulle problematiche economiche, politiche, sociali… in una realtà comequella che viviamo, in cui chi si trova a dover fare scelte per il suo futu-ro e per la propria realizzazione ha paura di sbagliare e vive nell’ansiadi non poter meritare la gioia, il Papa Benedetto annuncia con corag-gio che è possibile avere certezze ed è possibile sperimentare la feli-cità camminando in compagnia del Signore.Mi vengono in mente i tanti giovani che, per ritrovare il coraggio e inve-stire positivamente sul proprio futuro, difendono la vita, promuovono ini-ziative solidali, progettano gruppi e cooperative per essere vicini agliultimi… Non si può non pensare a tutte quelle realtà giovanili che spes-so vengono descritte come disfattiste e svogliate e che invece sannocostruire il bene e sanno farlo mettendo Gesù Cristo al centro. Penso a tutti i ragazzi impegnati nelle nostre parrocchie e penso all’al-

legria e alla vitalità che trasmettono nelle realtà in cui operano. Non posso non pensare, però, a tutti quei giovani che sono in prote-sta contro le istituzioni (prima tra tutte la Chiesa) e che si aspettanocoerenza e serietà da chi dovrebbe dare l’esempio…Tutte queste realtà parlano di vita e vitalità, di sogni e desideri, di ricer-ca di verità e giustizia, di bisogno di riferimenti chiari e testimoni cre-dibili. Con la Notte di Nicodemo del 3 marzo passato abbiamo volutodare un contributo che potesse alimentare i desideri e le aspettativedei nostri giovani con la presenza di Nadia Cersosimo, direttrice del car-cere di Paliano: l’impegno di una cristiana laica nei confronti dei dete-nuti è uno dei tanti esempi di testimonianza cristiana che riaccende lasperanza e fa sperare i giovani nella possibilità di un futuro più bellodel presente che viviamo. Nella tradizionale Veglia della GMG con ilnostro Vescovo Vincenzo ci impegneremo tutti, con la preghiera e lariflessione, a farenostro l’invito del Papaa vivere, con “sugge-rimento” di San Paolo,la GIOIA NEL SIGNO-RE! L’appuntamento èfissato per le ore 19 del31 marzo nellaParrocchia.

*Assistente Servizio diocesano di

Pastorale giovanile

Dal Ministero dell’Istruzione devono essere ema-nate in tal senso chiare disposizioni che, attra-verso le Direzioni scolastiche regionali, sianooperative ed efficaci già prima dell’inizio del nuo-vo anno scolastico. Circoli didattici e scuole medie, con alto sensodi responsabilità, devono prepararsi subito all’im-minente fusione, stabilendo al più presto le pri-me intese per una programmazione convergente,perché ancorata ad una profonda visione peda-gogica, che garantisca, nel rispetto delle dif-ferenze, una serena convivenza ed una profi-cua collaborazione, con indubitabili riflessipositivi sulla nuova istituzione scolastica.Serve il costruttivo confronto, nella prospettivareale di un’armonizzazione delle strategie edu-cative e didattiche, per la quale serviranno ine-vitabilmente anni, durante i quali si deve

seguitare ad operare al meglio, per il bene deglialunni e della comunità.Spetta soprattutto ai docenti, nella piena con-sapevolezza della loro funzione, fronteggiare lepresenti e future difficoltà, con propositi schiet-ti e coraggiosi, che non mettano minimamen-te a repentaglio i risultati fin qui ottenuti, ma anzimigliorino il rendimento del processo di inse-gnamento/apprendimento, elevando la qualitàdella scuola.I dirigenti scolastici, senza indispettirsi per il rad-doppio del lavoro e della responsabilità e sen-za farsi distrarre dall’eventuale rischio perso-nale di perdere una sede ambita, devono svol-gere con potenziato impegno le loro funzioni,per preparare l’avvio del prossimo anno sco-lastico in condizioni di normalità, per quanto con-cerne il funzionamento di tutti i tipi di scuola com-presi nella nuova istituzione.

segue da pag.36

3838 MarzoMarzo20122012

Bollettino diocesano:

Prot. VSC/ 04/2012

DECRETO DI NOMINA A VICARIO PARROCCCHIALEDELLA DI SAN MARTINO EP. IN VELLETRI

Secondo quanto disposto dal can. n° 547 del C.D.C. , volendo rispondere alle attese della Parrocchia di San Martino ep in Velletri, dopo lanomina ad altro incarico del rev.do P. Roberto Petruzziello, sentite le indicazione del rev.do P. Provinciale dei Chierici Regolari Somaschi, con ilpresente decreto

nomino te P. Pasquale De Ruvo crsVicario Parrocchiale della Parrocchia di San Martino ep. in Velletri

Nell’attuare quanto richiesto dai cann. 545§1, 548 e ss. in sintonia con il parroco, ti assista la mia paterna benedizione.Velletri, 27.01.2012 + Vincenzo Apicella, vescovo

Prot. VSCA 05/2012DECRETO DI NOMINA DEL PARROCO

DELLA PARROCCHIA DI SAN MARTINO EP. IN VELLETRI

Al Reverendo P. Pietro Trezzi Chierico Regolare SomascoSalute nel SignoreLa Parrocchia di San Martino si è resa vacante per la destinazione ad altro incarico del rev.do P. Antonio Di Trani. Ora desidero provvederealla nomina del nuovo parroco nella persona di un sacerdote idoneo, affinché i fedeli ivi dimoranti non abbiano a mancare dei necessari aiutispirituali e materiali. Pertanto, con animo di Pastore, responsabile della vita spirituale di ogni singola Parrocchia nell’unità della indivisibileChiesa locale, accogliendo le indicazioni del Rev.mo P. Provinciale della Congregazione Somasca, fiducioso nelle Tue doti sacerdotali

Ti nomino in virtù delle mie facoltà ordinariePARROCO della suddetta Parrocchia di “San Martino ep.”

in Velletri e dell’annesso territorio, a norma dei canoni 519-523 del Codice di Diritto Canonico.La nomina a Parroco è eseguita “ad tempus”, secondo le disposizioni della C.E.I. fissando il tempo nella misura di nove anni, trascorsi i qualil’ufficio del Parroco continuerà tuttavia “ad nutum episcopi”.A tale scopo, Ti concedo tutte le facoltà necessarie, mentre chiedo a tutti i fedeli di codesta parrocchia di riconoscerTi e di rispettarTi comePastore.Ti accompagni nelle fatiche pastorali la mia personale benedizione,che in auspicio di celesti favori, imparto di cuore a Te, ai Tuoi Collaboratorie ai fedeli della Parrocchia.Velletri, 08.02.2012 + Vincenzo Apicella, vescovoFesta di San Girolamo Emiliani

Il cancelliere vescovile, Mons. Angelo Mancini

Rosario Sanguedolce

E’ un messaggio di fede e di amore quello che i “Dilettanti All’Opera”della Parrocchia di S. Clemente vogliono trasferire a credenti e non conl’annuale rappresentazione della passione, morte e resurrezione di Gesù

Cristo, denominato il “Processo”.Quest’anno la rappresentazione avverrà DOMENICA- 25 MARZO alle ore 19.00 presso la Cattedrale di S.Clemente, Velletri.Tra gli altre fatiche teatrali (“Sarto all’improvviso” e laBottega dell’Artigiano, che ha riscosso tanto succes-so per l’Epifania) – dice il regista del Gruppo, PietroGiammatteo – questa è quella che più sentiamo comenostra perché ci impegniamo a rappresentare un even-to, quello di Gesù Cristo morto e risorto, che coinvol-ge le nostre vite e la fede che ci sforziamo di viverequotidianamente.Invece, Gianni Lucci, Presidente dell’Associazione, sot-

tolinea il fatto che “il Processo” costituisce il momento più importanteed unificante del ns. Gruppo, che vede impegnati i singoli associati intante attività pastorali della nostra Parrocchia.Per noi anche questo impegno fa parte di un’esperienza di fede checi coinvolge, ci forma e ci costringe a meditare.

3939MarzoMarzo20122012

Salvador Dalì, Corpus Hypercubus, 1954, Metropolitan Museum of

Art - New York.

don Marco Nemesi*

Il 27 marzo 1953, Salvador Dalì annunciò cheavrebbe dipinto un quadro sensazionale: un Cristoesplosivo, nucleare e ipercubico. Disse che sareb-be stato il primo quadro dipinto con una tecni-ca classica e una formula accademica, ma com-posto di elementi cubici. Quando un giornalista gli chiese perché voles-se dipingere un “Cristo esplodente” Dalì rispo-se: “Non lo so ancora. Prima ho le idee, poi lespiego. Questo dipinto sarà il grande lavoro meta-fisico della mia estate”. L’opera fu terminata nel1954 ed esposta il mese di dicembre alla Carstairs

Gallery di New York. È indubbiamente uno deilavori più indicativi dei suoi dipinti religiosi in sti-le classico. “Metafisico, trascendente, cubico”Così Dalì definisce il suo capolavoro. La Crocifissione è un impressionante lavoro cheaccosta perfettamente gli elementi del mistici-smo nucleare di Dalì con il ritorno alla sua ere-dità cattolica. È una crocifissione al tempo del-la scienza moderna. Un particolare degno di notaè la mancanza di chiodi nelle mani e nei piedidi Cristo, particolare che indica la sua perfettae completa redenzione. La croce rappresentail possibile riflesso di un mondo in quattro dimen-sioni. Dalì unisce il fascino della matematica allasua fede cattolica, indicando che due concettiapparentemente contrapposti, la scienza e la fede,possono coesistere. Il Cristo di Dalì si staglia immacolato e perfet-to contro un cielo scuro e un’improbabile cro-ce cubiforme. Quel corpo perfetto e senza trac-ce di sangue colpisce e affascina, tanto da non

poter distogliere da esso lo sguardo. Da ciò chedel volto di Cristo s’intravede, si nota chiaramenteanche l’assenza della barba. È un Cristoimberbe, bellissimo e glorioso, eppure sacrifi-cato come testimoniano lo spasmo delle manie la posizione del capo.È Cristo l’unico vero riparatore e noi, che purenon abbiamo contemplato il suo corpo sfigura-to dal sangue, sappiamo come grazie a quellesofferenze e a quella morte egli ci abbia riscat-tato dal peccato restituendoci al primitivosplendore. Il Cristo appare come l’uomo perfetto,il Nuovo Adamo sospeso tra cielo e terra, nonin forza dei chiodi, che sono completamente assen-ti, ma in forza dell’Amore. La Croce su cui Cristo consuma il suo donarsiper amore nostro possiede, nell’opera di Dalì,una struttura cubiforme. Immagine che inquie-ta perché esaspera ulteriormente la sospensionedel corpo di Cristo tra cielo e terra. Su quellaCroce Cristo non ha pace, non può neppure ripo-

Volontari del Museo

EE ccoci finalmente arrivati a Marzo, mese che vede l’inizio di unaserie di nuovi appuntamenti con “L’Arte al costo di un caf-fè”, nella seconda edizione del progetto culturale ideato e rea-

lizzato dai volontari del Museo Diocesano e promosso dalla Diocesidi Velletri - Segni!« I nostri appuntamenti mensili, ci riferisce Simone Valeriani, uno deiresponsabili del progetto, saranno mirati, come l’anno passato, ad appro-fondire le conoscenze storiche e culturali che ognuno di noi ha sullacittà di Velletri, aiutandoci con le festività offerte dal calendario liturgi-co e rendendo protagoniste le opereconservate nel nostro museo, che dalcanto loro, raccontano già una storia,come collezione; l’anno appena pas-sato ci ha dimostrato come i visitatoriche hanno aderito siano rimasti moltosoddisfatti degli approfondimenti pro-posti, condividendo la nostra curiosi-tà per il passato della nostra città; è perquesto motivo che abbiamo ritenuto oppor-tuno riproporre l’iniziativa».Simone, cosa pensate di poter dareal visitatore? «Un racconto fatto di tappe, di storiedi Santi e di cittadini, storie di miraco-li e di vita semplicemente quotidiana,storie smarrite o forse solo ricordate vaga-mente, aneddoti e curiosità. Tuttoquesto è L’Arte al costo di un Caffè, unviaggio a tappe dove ogni mese trat-teremo massimo due opere alla volta,approfondendo temi che altrimentirichiederebbero ore e ore di visite gui-date».Ci potresti spiegare come mai ave-te scelto questo nome? «Prendere un caffè può essere un momen-to piacevole per tanti motivi. Con la scu-sa di andare a “prendere un caffè” si

possono incontrare di nuovo persone perse di vista da anni o scam-biare delle amichevoli impressioni con qualcuno appena conosciuto perstrada. Noi non offriamo un caffè ai visitatori ma, come se lo offrissi-mo, dedichiamo a loro un momento piacevole di ricordi, evocati dalleopere d’arte che fanno parte della nostra collezione; una visita guida-ta a misura di cittadino, al prezzo di un caffè visto che offriamo que-sta possibilità al costo di 1 euro».Quale sarà il vostro primo appuntamento quindi?«Apriremo le porte del Museo all’iniziativa i pomeriggi di Sabato 24 eDomenica 25 Marzo dalle ore 15.00 alle 19.00, in occasionedell’Annunciazione del Signore che ricorre il 26 dello stesso mese e

mostreremo i due dipinti ottocenteschidi Luigi Fioroni che furono parte dellaCappella-Santuario della Madonnadelle Grazie sita in Cattedrale».I volontari saranno dunque disponibi-li ad accompagnare il visitatore in unpercorso attraverso quella che è la cul-tura della città di Velletri, impostandoun discorso a partire dalle basi del cre-do veliterno che ha scritto la storia del-la città, tornando alle origini delle tra-dizioni di cui parlavano i nostri ante-nati con l’intenzione ben precisa di rac-contare, descrivere e discutere insie-me le nostre opere, le chiese della cit-tà ed i nostri monumenti. Vi aspettiamo al Museo Diocesano il24 e 25 Marzo!

Prossimi appuntamenti: Aprile – Sabato 21 e Domenica 22

Tema della Crocifissione: Crocifissione, Antoniazzo Romano;

Exultet.Maggio – Sabato 12 e Domenica 13

Mese Mariano:Percorso per mostrare le due opereex-voto alla Madonna di Antoniazzo

Romano, custodite nel museo.

sare nel sonno della morte: egli, infatti, è vivoe agonizzante. Come non rammentare qui la famo-sa espressione di Pascal: “Cristo è in agonia finoalla fine del mondo!”.È interessante chiarire quale significato simboliconasconde il cubo. Il cubo è il quadrato elevatoa potenza e il quattro è una cifra cosmica, lacifra della materia e della prova. Quattro sonoi punti cardinali, quattro i venti, quattro gli ele-menti: aria, acqua, terra e fuoco; dunque cosmoe materia. Mentre i multipli di quattro esprimo-no la prova: la quarantena, i quarant’anni delpopolo nel Sinai, i quaranta giorni di Gesù neldeserto, la Quaresima, tempo di digiuno e peni-tenza prima della Pasqua. Nel ventre maternoil bambino si sviluppa in sette qua-rantene. Il quadrilatero nei chiostriè una sorta di grembo in cui si matu-ra per il cielo, ma in senso negati-vo il quadrilatero rimanda alla tom-ba. In ebraico quattro, dalet signi-fica anche porta: il quattro indica unluogo chiuso, da dove, sembra, nonsi uscirà mai, luogo in cui si cercauna porta, un passaggio, una pas-qua, l’utero - del resto - è la portaattraverso la quale il Bimbo vede laluce. Il quattro è inoltre il numero delpotere del male sulla materia: quat-tro sono i cavalli dell’Apocalisse cheportano carestia, fame, guerra e mor-te.Negli affreschi della cappella degliScrovegni, Giotto ha racchiuso in unquadriportico Erode mentre eccitai soldati a uccidere, a s-quartare, ibimbi innocenti, sullo sfondo dellacrudele scena sta uno scorcio deltempio che è invece a pianta otta-gonale, segno del progetto d’amo-re e misericordia di Dio che supe-ra le malvagità della storia. InfineCristo, dalla croce, vede i soldati lace-rare le sue vesti in quattro parti; anchele piaghe di Cristo, nel dipinto, sonoriassunte e simbolicamente rap-presentate in quattro cubi. La Croce dipinta da Dalì esprime lasomma del dolore del mondo, del-la malvagità umana, il peso della mate-ria che si ribella alla volontà del suocreatore. Questo carico di dolore edi peccato è l’altare su cui Cristo s’im-mola. Quando Salvador Dalì, dipinse questo qua-dro, aveva alle spalle una vita in continua fugadalle guerre: la prima guerra mondiale, la guer-ra civile di Spagna e l’ultima guerra mondialecon le atrocità naziste; il cubo esprime la capa-cità dell’uomo di razionalizzare il male, di pia-nificare la morte e la tortura, dice l’oppressio-ne dell’uomo sull’uomo. Ma quello che veramenteimpressionò Dalì orientando in modo diverso lasua vita fu l’esplosione atomica di Hiroshima del6 agosto1945. È interessante notare come unuomo senza pudore né molti scrupoli, portato

alla provocazione e agli eccessi, di fronte allamaterializzazione del male senta la necessitàdi una certa riparazione, di un ritorno ai valoridello spirito. Forse ogni uomo potrebbe legge-re nella croce cubica di Dalì la cifra del propriodolore, il male del proprio tempo. Un male e un dolore da cui Cristo però non siè sottratto, anzi Egli ha attuato la redenzioneaccettando il mistero d’iniquità che lo ha pro-gressivamente avvolto. Sotto la croce, l’artistaha dipinto un irreale pavimento a scacchi, sim-bolo della storia con le sue trame, con i suoi gio-chi di azzardo e di potere. Cristo non cercò mortificazioni o penitenze esa-gerate; Egli invece ricevette l’accusa di beone,

commensale al banchetto dei peccatori, amicodelle prostitute. Cristo ha riparato al nostro maleaccettando di salire sulla croce della storia, cosìcome il Padre gliela presentava, giorno dopo gior-no, attimo dopo attimo. Una croce che assumevadi volta in volta un volto diverso: quello di Erode,di Caifa, di Pilato, ma anche il volto di Giuda edi Pietro. La luce, nel dipinto di Dalì, investe Cristodall’alto, illuminandogli il petto. Un timidobagliore si leva dall’oscuro panorama, l’alba cheannuncia sembra però destinata a non veniremai. Il corpo di Cristo è la vera luce, tutto ciò

che è lontano da Lui, rimane nel buio. Solo laMadre, è bagnata dalla sua luce uscendone piùvivida nei colori e rinnovata. Il contrasto fra la nudità statuaria di Gesù e lasontuosità delle vesti di Maria colpisce. Cristoè l’innocente, la sua nudità è l’estrema purez-za, è la bellezza che salverà il mondo.Il linguaggio surreale si esprime attraverso la figu-ra della Madonna che ci appare in primo pianocon un’acconciatura moderna dei capelli (ritrat-to di Gala, moglie e musa ispiratrice dell’auto-re). I colori degli abiti della Madonna che con-templa il Crocefisso richiamano i colori della sce-na: l’ocra della croce, l’argento della pavimen-tazione a scacchi, il blu del mare. La veste più

nascosta, quindi più vicina alla sua car-ne è il blu - che richiamando il mare(simbolo del male) rimanda alla fragi-lità umana, al peccato. Il drappo ocradice l’identificazione, l’imitazione del-la Madre con il crocefisso. Il manto argen-teo, che più delle altre vesti riflette laluce, dice la divinità. “Rivestitevi del SignoreGesù Cristo e non seguite la carne neisuoi desideri”. (Rom. 13,14). Da un lato dunque ci si riveste dei meri-ti di Cristo, dall’altro ci si spoglia del pro-prio “habitus“, delle proprie abitudini sba-gliate. Sono otto i cubi della croce diDalì, otto come la pianta ottagonale dimolti antichi Battisteri. Otto, cioè sette più uno l’ottavo gior-no, il giorno della risurrezione che riman-da all’escatologia. Il cubo, il male, nonha l’ultima parola sulla storia. La creazione è proiettata comunque ver-so un oltre che è e rimane nelle manidel Creatore. Tuttavia non è solo nel-l’ultimo giorno, che scenderà sul malela parola “fine”. Degli otto cubi della cro-ce il corpo di Cristo rappresenta meta-fisicamente il nono cubo e nove è il nume-ro del miracolo. Il nove indica il divinoche irrompe nell’umano (è infatti la som-ma di tre [numero divino] più sei [nume-ro dell’uomo]); i nove mesi di gestazioneproducono il miracolo della vita; nove-ne e noviluni ottengono le grazie spe-rate e nove sono i cori angelici, inter-mediari fra Dio e gli uomini.Cristo, nono cubo, dice che la sua risur-rezione ha già cambiato la storia, hagià detto l’ultima parola sulla morte, ha

già restaurato l’uomo secondo la primitiva bel-lezza; il non ancora sussiste, affidato alla liber-tà dell’uomo. Il non ancora è lo spazio che Dioriserva alla nostra partecipazione libera evolontaria alla sua opera di salvezza. “Colui checi ha fatto senza di noi - direbbe ancora S. Agostino- non vuole salvarci senza di noi”.

*Direttore Ufficio Diocesano Beni Culturali e Arte Sacra