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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 9 - numero 6 (87) - Giugno 2012

Anno 9 - numero 6 (87) - Giugno 2012 Curia e pastorale per ... › public › 163_ecclesia_incammino.pdf · Anno 9 - numero 6 (87) - Giugno 2012. 2 GiugnoGiugno 2012 Il contenuto

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22 GiugnoGiugno20122012

Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia

esclusivamente il pensiero degli artefici e non vincola maiin nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la

redazione Queste, insieme alla proprietà,si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di

pubblicazione, modifica e stampa a propria insindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni.

Articoli, fotografie ed altro materiale, anche senon pubblicati, non si restituiscono.

E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita

autorizzazione del direttore.

Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

Diocesi di Velletri-Segni

Direttore ResponsabileMons. Angelo Mancini

CollaboratoriStanislao FioramontiTonino Parmeggiani

Mihaela Lupu

ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.

RedazioneCorso della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

A questo numero hanno collaboratoinoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Luigi Vari,mons. Franco Risi, mons. Franco Fagiolo, don Dario Vitali,don Antonio Galati, Sr. Apostoline Velletri, Sr. MonasteroMadonna delle Grazie Velletri, don Claudio Sammartino,don Marco Nemesi, don Daniele Valenzi, p. Vincenzo Molinaro,Claudio Capretti, Katiuscia Cipri, Fabricio Cellucci, PierGiorgio Liveran, Paola Cascioli, Antonio Giglio, UfficioCatechistico,Claudio e Teresa Barone, Sara Lanna, AntonioVenditti, Sara Gilotta, Francesco Canali,GiovanniAbruzzese, Mara Della Vecchia, Carlo Iannucci

Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesi.velletri-segni.it

DISTRIBUZIONE GRATUITA

In copertina:

Foto Famiglia

- Giuseppe Toniolo testimone dell’integrazione tra la fede in Gesù Cristo Risorto e la vita quotidiana, + Vincenzo Apicella p. 3

- Benedetto XVI in visita all’Università Cattolica di Roma, S. Fioramonti p. 4

- Esperienze d’ospedale, Sara Gilotta p. 5- Il mmatrimonio tra gay? Un diritto in più e anticostituzionale, P. G. Liverani p. 6

- Peccato e Perdono nella Storia della Salvezza, Antonio Giglio p. 7

- Cos’è il Simbolo della fede?don Dario Vitali p. 8

- Libri Sacri: possiamo essere tranquilli sul loro contenuto? / 2, mons. Luigi Vari p. 9- L’adultera e la Misericordia,

Claudio Capretti p.10

- Sacramenti, l’Eucarestia / 2: aspetti liturgici,don Antonio Galati p. 11

- Perù: Vivere in Missione in un Paese Povero e lontano, Katiuscia Cipri p. 13

- Vogliamo ripartire? Puntiamo sulla famiglia,don Cesare Chialastri p.14

- Raccolta di Solidarietà delle Caritas Parrocchiali di Velletri, Paola Cascioli p. 15

- La Giornata diocesana della Famiglia”Potremo chiamarci ancora famiglia“,

p. Vincenzo Molinaro p.16

- Festa del Pane, esperienze di animatori,

collab. Ufficio catechistico p. 18

- Ritiro dei Cresimandi, esperienze,

collab. Ufficio catechistico p. 19

- � Fecero ritorno a Gerusalemme , Fabricio Cellucci p. 20

- Per scegliere.... La Missione,Sr. Apostoline p. 21

- Diaconato. La vocazione: come una brace che cova sotto la cenere,

Claudio e Teresa Barone p. 22- Giornata Mondiale di preghiera per le

Vocazioni: “Rispondere all’Amore si può” Sara Lanna p.23

- Il Canto nella Celebrazione della Messa esequiale, mons. Franco Fagiolo p. 25

- A proposito di presunte apparizioni: intervento della Congregazione per la Dottrina della Fede p. 26

- Nel pensiero di San Bruno:Le virtù cardine / 2, don D. Valenzi p. 28

- Segni: Il fontanile di Casarcioni. Quando le vere bestie sono gli uomini,

Francesco Canali p. 29- Il 23 settembre 1944, dopo 187 giorni, la sacra Immagine faceva il ritorno a Velletri (...)La Madonna delle Grazie sfollata a Roma /2

Tonino Parmeggiani p. 30- 21 Giugno San Luigi Gonzaga. Il nuovo Busto del Santo Patrono di Valmontone,

S. Fioramonti p. 32

- Ritorno alla storia / 29: Sant’Antonio di Padova e la depenalizzazione per insolvenza,

don Claudio Sammartino p. 33- l popolo delle spighe o spicatico,

Francesco Canali p. 34- Antonio venditti, Il Bandito della Regina, romanzo storico, G. Abruzzese p. 35

- Requiem Tedesco, Brahms,Mara Della Vecchia p. 36

- In ricordo di zia Maria, Carlo Iannucci p. 36

- Scuola e apprendistato, prof. Antonio Venditti p. 37

- Corso base di iconografia,Arte sacra Veliter p. 39

- Caravaggio, Crocifissione di san Pietro, 1600 - 1601, S. Maria del popolo, Cappella Cerasi - Roma,

don Marco Nemesi p. 39

- Bilancio della Diocesi di Velletri - Segni per l’anno 2011 p. 38

- Decreti Vescovili p. 39

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33GiugnoGiugno20122012

� Vincenzo Apicella, vescovo

II l 29 aprile scorso, nel-la basilica di SanPaolo fuori le mura,

è stato beatificato Giuseppe Toniolo,un professore di Economia politicadell’Università di Pisa, sposato e padredi 7 figli, scomparso poco prima del-la fine della prima guerra mondialenel 1918.Abbiamo avuto modo di ricor-darlo, in un precedente numero, aproposito delle Settimane sociali deicattolici italiani, da lui “inventate” oltrecento anni fa. Oggi sembra opportuno e necessarioriproporlo alla nostra attenzione, nonperché è di moda la categoria dei “pro-fessori”, ma come testimone della pos-sibilità di una compiuta integrazio-ne tra la fede in Gesù Cristo Risortoe la vita quotidiana in tutti i suoi aspet-ti, la cui mancanza è stata definitada Paolo VI come la piaga più gra-ve della Chiesa. Egli ha saputo vive-re alla luce del Vangelo tutte le situa-zioni e le scelte di una esistenza “ordi-naria”: lo studio, la professione, il matri-monio e la famiglia, l’impegno cul-turale, sociale e politico, in una Italiaancora lacerata, in cui i credenti nonpotevano ancora sentirsi completamente“a casa propria”. Egli seppe guida-re gli inizi del Movimento cattolico, che trovò la sua strada soprattuttooperando nell’ambito della società civile, essendo preclusa la via del-l’impegno propriamente politico.Nacquero così le cooperative, le associazioni di lavoratori, le banchepopolari, come la Banca Pio X a Velletri, insieme a tante altre iniziativedi assistenza e patronato dei più deboli. Ma perché rispolverare un per-sonaggio scomparso da quasi un secolo, vissuto in un’epoca tanto diver-sa dalla nostra? Il primo motivo, certamente, è quello per il quale la Chiesacontinua ancora a proclamare Santi e Beati, proponendo alla venera-zione dei fedeli quei battezzati che hanno saputo far fruttificare fino infondo i talenti ricevuti dal Signore, sempre diversi e tagliati su misuraper ciascuno di noi. Nel caso di Toniolo, inoltre, appare chiaro come lasantità sia tutt’altro che una separazione o una fuga dal mondo e, tan-tomeno, un genere di vita diverso e speciale: il Concilio prima e GiovanniPaolo II poi ci hanno detto che la santità è una meta proposta a tutti, inogni età e in qualsiasi condizione, come “misura alta della vita cristia-na ordinaria” (Novo Millennio Ineunte, 31). Ma ciò che rende partico-larmente interessante il nuovo Beato è l’invito pressante, che egli ci rivol-ge, a verificare il modo e i criteri con cui ci comportiamo nella vita fami-liare e sociale, nel campo dell’economia, come lavoratori e consuma-tori, in quello della cultura e anche in quello della politica, nel senso piùampio e più nobile del termine.A volte si ha l’impressione che la nostra fede rischia di rimanere un fat-to individuale e, spesso, esclusivamente privato, come se bastasse, pertenerla in piedi, un minimo di pratiche religiose e il rispetto di alcuni pre-cetti e tradizioni , salvo poi, una volta usciti dallo spazio sacro, a lasciar-ci trascinare, quasi inconsciamente, dalla corrente inesorabile della men-talità di questo mondo. Forse Gesù Cristo non ha nulla da dirci sulleingiustizie che si compiono quotidianamente, sulle furbizie con cui si dan-neggia il prossimo e la società intera, sull’uso che facciamo del nostrodenaro, sullo sfruttamento dei più deboli, sullo spreco o sul danneggiamentodelle risorse della natura, sulla logica del “ciascuno per sé…”, se non

addirittura del “mors tua, vita mea”?Dal 1891, data dell’Enciclica RerumNovarum di Leone XIII, fino ad oggi,con la Caritas in Veritate di BenedettoXVI, il Magistero non ha mai smes-so di cercare una riposta a questi inter-rogativi alla luce del Vangelo e si èvenuto così formando un sistema orga-nico di pensiero, in continua evolu-zione, che gli “esperti” chiamano Dottrinasociale della Chiesa, ma che è deltutto sconosciuta alla grande mag-gioranza dei cristiani e, possiamo aggiun-gere, per colpa di noi pastori.Toniolo fu uno dei principali prota-gonisti di questa ricerca col suo lavo-ro scientifico e con la sua azione con-creta, basandosi su due principi fon-damentali. Il primo è il “Principio dell’Incarnazione”,per il quale la fede e la grazia divi-na non si sostituiscono e non vani-ficano la natura dell’uomo, madevono animare e illuminare la sto-ria concreta per la costruzione di unaconvivenza basata sulla giustizia esulla pace.Il secondo è il “Principio dellaResurrezione”, per il quale la storiadegli uomini ha ormai inevitabilmentecome fine, come punto “Omega”, solo

Cristo Risorto, in cui tutte le cose saranno “ricapitolate”(Ef.1,10), perciòanche la croce, i fallimenti, le immani convulsioni delle vicende umanenon sono in grado di vanificare il progetto di salvezza, che il Padre hagià realizzato resuscitando il Figlio per la potenza dello Spirito Santo.Questi due principi rimangono validi oggi e sempre per ogni cristiano esu questo fondamento possiamo affrontare i problemi attuali: le difficoltàdelle famiglie, cui si accennava nello scorso numero, la crisi dell’occu-pazione e del lavoro, quella più generale dell’economia e della politi-ca, che richiede, come non si stanca di ripetere Benedetto XVI, non aggiu-stamenti di facciata, ma un ripensamento e una conversione culturalee morale profonda, per uscire dal vicolo cieco in cui gli egoismi indivi-duali e corporativi inevitabilmente ci portano. Nel corso della storia l’umanità si è trovata in tante situazioni che sem-bravano senza uscita, in tanti scenari apocalittici, sappiamo che ognivolta il mondo ne è uscito rinnovato, anche se non sempre in meglio,dipende da chi è capace di prendere il timone del cambiamento, per que-sto Giovanni Paolo II scriveva profeticamente: “Si tratta di continuareuna tradizione di carità che ha avuto già nei due passati millenni tan-tissime espressioni, ma che oggi forse richiede ancora maggiore inven-tiva. E’ l’ora di una nuova fantasia della carità…” (Novo Millennio Ineunte,50), come quella della generazione di Toniolo. Da questo impegno nes-sun cristiano può chiamarsi fuori, se è vero quello che afferma l’ultimodocumento del Concilio Vaticano II: “Non si venga ad opporre artificio-samente le attività professionali e sociali da una parte e la vita religio-sa dall’altra. Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascurai suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in peri-colo la propria salvezza eterna” (Gaudium et Spes, 43).

Nella foto del titolo:Il Card. Salvator De Giorgi presiede la celebrazione della

Beatificazione di Giuseppe Toniolo

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44 GiugnoGiugno20122012

Stanislao Fioramonti

GGiovedì 3 maggio papa Benedetto XVIha compiuto una visita all’Università Cattolicadel Sacro Cuore di Roma, nel 50° anniver-

sario dell’istituzione della Facoltà di Medicinae Chirurgia “Agostino Gemelli”. In quella occa-sione il pontefice ha tenuto un importante dis-corso sul legame tra scienza e fede e sulle dis-torsioni che di quel legame compie spesso lacultura moderna.Diamo un’ampia sintesi di quel discorso.

“Il nostro è un tempo in cui le scienze sperimentalihanno trasformato la visione del mondo e la stes-sa auto comprensione dell’uomo. Le moltepli-ci scoperte, le tecnologie innovative che si sus-seguono a ritmo incalzante, sono ragione di moti-vato orgoglio, ma spesso non sono prive di inquie-tanti risvolti. Sullo sfondo, infatti, del diffuso otti-

mismo del sapere scientifico si protende l’om-bra di una crisi del pensiero. Ricco di mezzi, manon altrettanto di fini, l’uomo del nostro tempovive spesso condizionato da riduzionismo e rela-tivismo, che conducono a smarrire il significa-to delle cose; quasi abbagliato dall’efficacia tec-nica, dimentica l’orizzonte fondamentale delladomanda di senso, relegando così all’irrilevan-za la dimensione trascendente. Su questo sfondo, il pensiero diventa debole eacquista terreno anche un impoverimento eti-co, che annebbia i riferimenti normativi di valo-re. Quella che è stata la feconda radice euro-pea di cultura e di progresso sembra dimenti-cata. In essa, la ricerca dell’assoluto - il quae-rere Deum - comprendeva l’esigenza di appro-fondire le scienze profane, l’intero mondo delsapere. La ricerca scientifica e la domanda disenso, infatti, pur nella specifica fisionomia epi-stemologica e metodologica, zampillano da un’u-

nica sorgente, quel Logos che presiede all’operadella creazione e guida l’intelligenza della sto-ria. Una mentalità fondamentalmente tecnopraticagenera un rischioso squilibrio tra ciò che è pos-sibile tecnicamente e ciò che è moralmente buo-no, con imprevedibili conseguenze.E’ importante allora che la cultura riscopra il vigo-re del significato e il dinamismo della trascen-denza, in una parola, apra con decisione l’orizzontedel quaerere Deum. (...)Per restituire alla ragione la sua nativa, integraledimensione bisogna allora riscoprire il luogo sor-givo che la ricerca scientifica condivide con laricerca di fede, fides quaerens intellectum, secon-do l’intuizione anselmiana. Scienza e fede han-no una reciprocità feconda, quasi una comple-mentare esigenza dell’intelligenza del reale. Ma,paradossalmente, proprio la cultura positivista,escludendo la domanda su Dio dal dibattito scien-tifico, determina il declino del pensiero e l’indebolimentodella capacità di intelligenza del reale. Ma il quae-rere Deum dell’uomo si perderebbe in un gro-viglio di strade se non gli venisse incontro unavia di illuminazione e di sicuro orientamento, cheè quella di Dio stesso che si fa vicino all’uomocon immenso amore. (...)Religione del Logos, il Cristianesimo non rele-ga la fede nell’ambito dell’irrazionale, ma attri-buisce l’origine e il senso della realtà alla Ragionecreatrice, che nel Dio crocifisso si è manifestatacome amore e che invita a percorrere la stra-da del quaerere Deum. (...) Ora l’uomo desidera due cose principalmente:in primo luogo quella conoscenza della veritàche è propria della sua natura. In secondo luo-go la permanenza nell’essere, proprietà questacomune a tutte le cose. In Cristo si trova l’unae l’altra. (...) E’ proprio percorrendo il sentierodella fede che l’uomo è messo in grado di scor-gere nelle stesse realtà di sofferenza e di mor-te, che attraversano la sua esistenza, una pos-sibilità autentica di bene e di vita. Nella Croce di Cristo riconosce l’Albero della vita,rivelazione dell’amore appassionato di Dio perl’uomo. La cura di coloro che soffrono è alloraincontro quotidiano con il volto di Cristo, e la dedi-zione dell’intelligenza e del cuore si fa segnodella misericordia di Dio e della sua vittoria sul-la morte. Vissuta nella sua integralità, la ricer-ca è illuminata da scienza e fede, e da questedue «ali» trae impulso e slancio, senza mai per-dere la giusta umiltà, il senso del proprio limi-te. In tal modo la ricerca di Dio diventa fecon-da per l’intelligenza, fermento di cultura, promotricedi vero umanesimo, ricerca che non si arrestaalla superficie. (...)Si inserisce qui il compito insostituibiledell’Università Cattolica, luogo in cui la relazioneeducativa è posta a servizio della persona nel-la costruzione di una qualificata competenza scien-tifica, radicata in un patrimonio di saperi che ilvolgere delle generazioni ha distillato in sapien-za di vita; luogo in cui la relazione di cura nonè mestiere, ma missione; dove la carità del BuonSamaritano è la prima cattedra e il volto dell’uomosofferente il Volto stesso di Cristo. L’UniversitàCattolica, che ha con la sede di Pietro un par-

continua a pag. 5

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55GiugnoGiugno20122012

ticolare rapporto, è chiamata oggi ad essere isti-tuzione esemplare che non restringe l’appren-dimento alla funzionalità di un esito economi-co, ma allarga il respiro su progettualità in cuiil dono dell’intelligenza investiga e sviluppa i donidel mondo creato, superando una visione soloproduttivistica e utilitaristica dell’esistenza. (...)Una Facoltà cattolica di Medicina è luogo dovel’umanesimo trascendente non è slogan retori-co, ma regola vissuta della dedizione quotidia-na. (...) E’ proprio l’amore di Dio, che risplendein Cristo, a rendere acuto e penetrante lo sguar-do della ricerca e a cogliere ciò che nessunaindagine è in grado di cogliere. L’aveva ben pre-sente il beato Giuseppe Toniolo, che afferma-va come è della natura dell’uomo leggere neglialtri l’immagine di Dio amore e nel creato la suaimpronta. Senza amore, anche la scienza per-de la sua nobiltà. Solo l’amore garantisce l’u-manità della ricerca”.

segue da pag. 4

Sara Gilotta

LL ’ospedale e le sue realtà costituisconoun microcosmo speciale, eppure, ahi-mè, normale, dove si agitano insieme

tanti mali( quelli fisici) e tanto bene. Un luogodove, forse, l’uomo si mostra nel suo “aspet-to” migliore, quello della solidarietà vera chenasce non da quel falso senso di carità, chepure è tanto conosciuto nel nostro mondo, madal bisogno profondo di considerare l’altro comeun vero fratello da aiutare, pur con le scarseforze che si possiedono. E’ questo un sentimento che è insito nella pro-fondità dell’io, in quei recessi edenici, che trop-po spesso rimangono nascosti nella nostra psi-che e che gli egoismi, le malvagità del mon-do tendono ad offuscare, senza riuscire a can-cellare del tutto, lasciandoli affiorare solo neimomenti “speciali” dell’esistere. Quando più forte si avverte la solitudine, la fra-gilità e quel senso di abbandono che ci fa sen-tire come navicelle sbattute dai marosi controscogli pericolosi ed inospitali. E’ forse ancheper questo che nulla come la malattia rivela lavera essenza dell’essere umano, per il qualeil sorriso più affascinante diventa, non quelloproposto continuamente dal mondo rutilante ecolorato, ma quello che brilla al pari di una stel-la su un viso affaticato dagli anni, dal doloree dalla sofferenza.

Forse perché in ospedale si diventa e ci si sen-te davvero tutti uguali, liberati dalle sovrastrutturesociali, che spesso ci opprimono, ci cambia-no, ci costringono ad essere e non solo a mostrar-ci diversi da quelli che in verità siamo. Del resto l’anima mostra il meglio di sé, lì dovel’amore per l’altro, fatto anche solo di piccoligesti di comprensione e di generosità, non habisogno di lunghi discorsi, ma di quella capa-cità che proviene direttamente da Dio, che , perdirla con Dante, è “alfa ed omega”, il principioed il fine, cioè, di tutti gli affetti piccoli e gran-di, che intessono la nostra vita e che da Luivengono trasformati in carità –amore. Anche perché forse in pochi altri luoghi ciascunodi noi riesce con altrettanta forza ed altrettan-ta semplicità a comprendere oltre i limiti cui è

aduso, per diventare capace di riconoscere lasua piccolezza, mettendo da parte, almeno perun po’, la sua abituale presunzione, che trop-po spesso non gli permette di nemmeno di espri-mere quella bontà di cuore , che pure possie-de e che sola può suscitare un vero sentimentodi giustizia e di misericordia verso l’altro, chesoffre come soffre egli stesso. Così, se nel mondo la parola “amore” ripetu-ta continuamente, è divenuta, purtroppo, soloun suono vuoto, una parola senza vero signi-ficato e senza peso, nei luoghi di sofferenzaessa riesce ad essere davvero voce della infi-nita provvidenza divina, in cui con le parole diSant’Agostino possiamo dire: ” In dono tuo requie-scemus,…..amor illuc attollit nos. In bona volun-tate pax nostra est.”

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66 GiugnoGiugno20122012

Pier Giorgio Liverani

AA ll’indomani del settimo Incontro Internazionale delle Famigliea Milano, sarà utile considerare i più recenti e gravi attac-chi alla famiglia, che provengono dal laicismo radicale. Eppure

proprio contro la famiglia, struttura di base della comunità cristiana comedella società umana – qualcuno me ha parlato come produttrice di un“Benessere Interno Lordo” che custodisce la qualità di vita e la soli-darietà di ogni popolo – i più pericolosi assalti sono arrivati dall’UnioneEuropea e perfino dal presidente degli Stati Uniti. Naturalmente anche in Italia il laicismo fa la sua parte: al posto di neces-sarie politiche di sostegno alla famiglia, prepara in Parlamento il cosid-detto “divorzio breve” per rendere ancora più facile lo scioglimento delvincolo coniugale e meno ponderato e più avventuristico il matrimo-nio: e insiste per regolamentare e assimilare al matrimonio le coppiedi fatto, comprese quelle omosessuali, anzi per istituire per queste ulti-me un vero e proprio matrimonio. La Suprema Corte di Cassazione, del resto, ha sancito per sentenzail “diritto” di tali coppie di costituirsi e di sentirsi famiglia.Le considerazioni conseguenti, a questo punto, sono molte e di gene-ri diversi anche lasciando da parte quelle religiose e sacramentali cheriteniamo più che note. La prima riguarda l’interesse pubblico alla disciplina giuridica del matri-monio (art. 29 Costituzione), destinato non a tutelare la relazione tradue persone, bensì a garantire l’ordine delle generazioni e la prepa-razione dei figli ai futuri doveri di membri della società: per questo nonè un privato o gli stessi sposi, ma lo Stato che, nel matrimonio conrito civile, proclama l’uomo e la donna “uniti in matrimonio” (i parrociesercitano anche un ruolo come delegati dallo Stato) al punto che (art.30 Cost.) che sottrarre loro i figli quando i due non fossero in gradodi «mantenerli, istruirli ed educarli» (art.30). Per quale altro interessepubblico il rapporto tra due per-sone dovrebbe avere la tute-la delle leggi?Che cosa muove le lobby gaya pretendere, senza ha alcu-na base etica né storica né diinteresse pubblico, impossibi-li “diritti” familiari? Lo si tace, ma – stringi stringi– la motivazione è sostanzial-mente di natura economica edi convenienze private: la con-tinuità nell’uso dell’abitazionein caso di morte del titolare (pro-prietario o affittuario), la suc-cessione nell’eredità, la rever-sibilità della pensione dei part-ner, i trattamenti fiscali e i con-corsi privilegiati per le coppiegiovani e per le famiglie in gene-rale. Tutte cose che, tra l’altro,porterebbero a ulteriori pesan-ti aggravi al bilancio delloStato. I “diritti” degli omoses-suali sono soltanto pallidebandiere di interessi perso-nalissimi. Ancor meno è fon-data l’altra questione, di con-tinuo sollevata, della parità deidiritti con il richiamo all’artico-lo 3 della Costituzione. Si dice: se gli “eterosessuali”(ma bisognerebbe dire i “nor-mosessuali”) hanno diritto di spo-

sarsi, perché non dovrebbero averlo anche gli omosessuali?Innanzitutto «tutti i cittadini […] sono uguali davanti alla legge, senzadistinzione di sesso [… e] di condizioni personali e sociali». Dunque la condizione di omosessuale non può esigere trattamenti par-ticolari. E poi ciò che definisce le persone gay è qualcosa che di menovago è ben difficile trovare: un “orientamento” sessuale e un “legameaffettivo”, che sono anche quanto di meno giuridicamente costatabi-le si possa trovare e definire. I legami affettivi, che esistono perfino nei confronti degli animali dome-stici, non hanno peso giuridico neppure nel matrimonio e sono orien-tamenti sessuali anche quelli degli uomini che preferiscono le biondeo delle donne che desiderano maschi dagli occhi azzurri. In ogni caso, nessuno impedisce legami affettivi od orientamenti di qual-siasi genere, ordinati o disordinati tra uomini e tra donne. E poi, perché due amici o amiche o due pensionati sessualmente nor-mali, ma conviventi per i più vari motivi, non dovrebbero poter gode-re degli stessi vantaggi che i gay reclamano? E perché, per regolare i rapporti economici, di proprietà, di uso ecce-tera non sarebbero sufficienti i normali patti tra privati? E chi proibisce a un malato in ospedale di indicare come persona diriferimento il proprio partner?Insomma, un maschio o una femmina possono essere gay, ma sem-pre maschi o femmine sono, godendo dunque, come ogni altro maschioe femmina, di tutti i diritti previsti, tra cui quelli di sposare una perso-na dell’altro sesso.Invece i gay pretendono un diritto in più: quello di poter sposareuna persona del proprio sesso, che ai normosessuali non è consen-tito e che, dunque, manda all’aria ogni principio di uguaglianza. D’altra parte nessuno vieta a nessuno di vivere la condizione che cia-scuno preferisce, accettando come chiunque altro per qualsiasi altrascelta, le conseguenze dei propri affetti e dei propri orientamenti.

Tutto questo senza affrontare,in questa sede, i problemi eticie di fede che i matrimoni gay sol-levano. E ribadendo, invece, il principioche la Chiesa insegna: pur nel-la obiettiva definizione di «intrin-secamente disordinati» degli«atti di omosessualità», che laSacra Scrittura presenta come«gravi depravazioni», le perso-ne omosessuali hanno diritto «alrispetto e alla non-discriminazione»,diritto che per gli altri si tradu-ce in dovere di carità e di amo-re (comunque) del prossimo. Gli omosessuali «devono esse-re accolti con rispetto, compassionee delicatezza» – afferma ilCatechismo della Chiesa Cattolica– e aiutati a vivere in castità, allostesso modo in cui questa vir-tù è obbligatoria per qualsiasi altrapersona. Il matrimonio omosessuale equi-varrebbe a una parificazione ver-so il basso del vero matrimonioe alla squalifica del normale efecondo esercizio della sessualitànelle nozze tra uomo e donna,svuotando di significato questaistituzione e con grave danno perl’intera società.

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77GiugnoGiugno20122012

Antonio Giglio

HH o già avuto modo nel 2010,nel mio scritto “ Catechesiai Detenuti – Segno di un

Diaconato ordinato “ di trattare dellafenomenologia del peccato e della com-prensione del perdono (da pag. 15 apag.34), a cui rimando l’eventuale let-tore interessato; ritengo utile ritorna-re in argomento con una ulteriore rifles-sione, frutto dei miei successivi stu-di sul tema. Mi sono chiesto anzitutto se il perdonorimane comunque un dono, oppureè un qualcosa di automatico, tanto dapoter addirittura pretenderlo da Dio;poi, se è possibile che Dio lo rifiuti;ancora, se alla clemenza divina devenecessariamente corrispondere un fat-tivo atteggiamento di chi ne fa la richie-sta, indagando conseguentemente sulle con-dizioni per riceverlo; ed, infine, cosa implica ilfatto di vivere nel perdono. Ci vengono in aiu-to le parole del Salmo 130, che ci fanno asso-lutamente comprendere come, a prescindereda altre considerazioni, l’esperienza del perdonodiventa testimonianza di un dono ricevuto “ peressere condiviso “.Il dato certo è che il perdono è “risposta ad unarichiesta”, desiderata con tutto il cuore, ma cheha già in essa la risposta all’appello da partedel Signore che leggiamo nel libro dell’Apocalisseal capitolo 3, versetti 19-20. L’orante è servo “nel profondo” del Signore chesta in cielo, come re con il suo appannaggio diperdono, di amore fedele e di redenzione, e sola-mente la supplica potrà superare il solco cau-sato dal peccato tra lui ed il suo Dio, consen-tendo così a Dio, che sembra non aspettare altroche questa richiesta di grazia, di corrergli incon-tro, come il Padre misericordioso che conosciamonel Vangelo di Luca 15,20.Di fronte a Dio nessuno può ritenersi giusto.Ce lo ricordano il Salmo 143 al versetto 2, il 14al v.3, il 53 al v.4, il libro di Giobbe 4,17, il pri-mo libro Re 8,46 ed Isaia 6, 3-7 che addirittu-ra ci dice che, per poter stare davanti a Dio trevolte santo, deve essere purificato con il car-bone ardente.Ma Dio può perdonare, e l’oran-te sperare.Il perdono, con la sua radice acca-dica che significa “aspergere”, ricorre solo 46volte nell’A.T. ed è un termine riservato stret-tamente a Dio; costituisce il presupposto del-la vita nell’annuncio della Nuova Alleanza e con-seguente restaurazione, come si legge nel pro-feta Geremia 31,33-34; 33,7-8 ed in Isaia 55,7.E’ un Dio colmo di tenerezza (si veda il profe-ta Osea), compassione e misericordia, desiderosodi voler provare il Suo amore per l’uomo, facen-dogli oltrepassare i limiti che la giustizia impor-rebbe alla sua relazione di Alleanza conIsraele, sempre pronto a riconoscere e pren-

dere in considerazione la strutturale debolez-za dell’uomo. E’ poi un Dio che fa grazia, benevolenza e favo-re, in quanto è pronto a tener comunque fedeall’alleanza, pur nelle difficoltà delle prove; è ilDio della “verità”, come della sincerità e dellalealtà; su di Lui si può fare affidamento perchési sperimenta continuamente il suo soccorso.E’ infine uno che ama il diritto e la giustizia, chetrasferisce sulla sposa Israele la giustizia, il dirit-to, la bontà, la tenerezza e la fedeltà, con unamore capace di esprimersi non solo a parolema con fatti.Per ottenere il perdono, il popolo dovrà pregare,supplicare e convertirsi, tornando al Signore contutto il cuore e con tutta l’anima; così farà Salomone( 1 Re 8, 30-53) che, riportato dalla sfera del-la morte alla vita grazie alla preghiera, sarà ingrado di celebrare il Signore assieme alla comu-nità. Nel N.T. il perdono non è riservato a Dioma a Gesù, ma spesso accade che l’uomo cer-chi Dio soltanto nel momento della sventura,per dimenticarsi subito dopo di Lui, forse per-ché sapere che Dio è sempre disposto a per-donare può anche portare a sottovalutare l’im-portanza della conversione; fondamento dellamanifestazione del perdono sarà la necessitàdi una conversione sincera e di un desiderio diperdono dettato da un amore vero; importan-te quanto ci dicono il profeta Osea 6,6; Isaia1,11; il Siracide 7,9 e Matteo ai capitoli 9,ver-setti 12-13 e capitolo 12,versetto 7, dove Dionon accetta sacrifici ed olocausti ma pretendela “contrizione” del cuore e dello spirito.Dio gradisce esclusivamente la nostra perso-na, con il riconoscimento del proprio peccatoe l’offerta totale di una buona volontà rinnova-ta, sapendo altresì che, se la conversione nonè sincera, il Signore non si lascia ingannare (Osea4,1; 4,2; 6,4). Il profeta Isaia (1, 16-18) mettein bocca al Signore l’esortazione :”Cessate difare il male, imparate a fare il bene …..Fategiustizia all’orfano, difendete la vedova…..”;

anche Gesù condanna scribi e fariseiche pagano le decime e trasgredisconola giustizia e la misericordia (Mt 23,23-24). Se mancano l’amore e la con-versione, allora il giudizio di Dio “sor-ge come la luce”, nel senso che, perraggiungere la conversione, il Signorearriva anche a punire, come mezzo estre-mo per far riflettere il suo popolo chesi ostina a non ascoltare; ma, sullo sfon-do, c’è sempre la possibilità del per-dono; Dio desidera e cerca la ricon-ciliazione; per mezzo della sofferen-za vuole toccare il cuore del colpevole,costringendolo a riconoscere la sua col-pa, ma il perdono precede sempre laconversione. L’amore di Dio c’è sem-pre prima e non viene mai meno, tan-t’è che se Israele cercherà il Signore,questi si lascerà trovare perché Egli

resta sempre “un Dio vicino” e tenero (Deut. 4,7),anche dopo la rottura dell’alleanza. Riflettendosulle parole del Siracide 5, 5-7, rileviamo checi avverte:”Non essere troppo sicuro del perdono tan-to da aggiungere peccato a peccato. Non dire: la sua misericordia è grande; miperdonerà i molti peccati, perché presso dilui ci sono misericordia e ira, il suo sdegnosi riverserà sui peccatori. Non aspettare a convertirti al Signore e nonrimandare di giorno in giorno, perchéimprovvisa scoppierà l’ira del Signore e altempo del castigo sarai annientato”.Ne deduciamo che il perdono, per Dio, non èaffatto automatico e che, perfino in Colui cheè la sorgente stessa della misericordia, la cle-menza è necessariamente correlata alle disposizionidi colui che la riceve.Nel Salmo 130, 5 leggiamo che il perdono è “spe-rato” ed “atteso con speranza”, dove lo spera-re dice l’affermazione di una dipendenza tota-le e della conversione, riconoscendo che per-dono e salvezza sono un dono che non dipen-de da noi, come neanche i tempi e le circostanzedella concessione; al versetto 7 del medesimoSalmo, poi, l’orante si rivolge a tutto il popolodi Dio, peccatore e bisognoso della salvezza,perché si unisca a lui in tale attesa.Una volta perdonati in Cristo, la nostra vita rico-mincia, poiché vivere del perdono comporta unapreghiera costante e la concessione previa delperdono a chi ci ha offeso (Mt 6, 14-15; Mc 11,25;Lc 11,4), ma tenendo presente che i nostri debi-ti nei confronti di Dio sono di triplice specie: anzi-tutto il mondo che ci viene affidato in custodia,poi l’uomo creato da Dio come essere libero perrimanere un “tu” che rispondesse al suo amo-re, ma molto di più Dio stesso, che si è volon-tariamente dato come interlocutore dell’uomo,nel senso che Dio si fa vicino agli uomini, crea-ture finite, e dà loro se stesso chiedendo con

continua a pag. 8

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88 GiugnoGiugno20122012

umiltà di essere amato.Gesù chiaramente dice (Mt 18, 33-35) che larelazione fra gli uomini determina la loro rela-zione con Dio e Paolo, in Col 3, 12-13, esortaconseguentemente i cristiani di quella comunità:”….Come il Signore vi ha perdonato, così fateanche voi”.Sempre, senza conservare rancore, senza lasciarinstaurare il disprezzo al posto dell’odio, in quan-to questo è il dettato dell’amore, nel quale venia-mo inclusi attraverso la redenzione.La nostra forza personale, da sola, purtropponon basta; ma se crediamo che Cristo ci ha otte-

nuto dal Padre un grandissimo perdono, dob-biamo da quello attingere la forza per eserci-tare il nostro perdono, che sicuramente è piùpiccolo, onde evitare che il nostro si deformi inprudenza e diplomazia.A conclusione, desidero ricorrere ad una cita-zione al femminile. Si tratta di alcune parole diEtty Hillesum, giovane ebrea olandese che havissuto la persecuzione ed è morta adAuschwitz, e che ci ha lasciato, oltre alle let-tere, quella straordinaria testimonianza che èil suo diario degli anni dal 1941 al 1943.Siamo in giorni cruciali, il 19 febbraio 1942, enel gennaio di quell’anno, nello splendido sce-

nario di Wannsee, alle porte di Berlino, era sta-ta pianificata in modo definitivo la “soluzione fina-le”; riferendosi al colloquio con un amico a pro-posito di ciò che spinge gli uomini a distruggerealtri uomini, scrive:”Ricordati che sei uomo anche tu…Il mar-ciume che c’è negli altri c’è anche innoi….e non vedo nessun’altra soluzione, vera-mente non ne vedo nessun’altra, che quel-la di raccoglierci in noi stessi e di strapparvia il nostro marciume. Non credo più chesi possa migliorare qualcosa nel mondo ester-no senza aver prima fatto la nostra parte den-tro di noi.”.Parole-macigno, ma quanto vere!

COS’È IL

SIMBOLO DELLA

FEDE?

Don Dario Vitali*

NN ella lettera apostolica Porta fidei, con la quale indice l’annodella fede, Benedetto XVI rammenta che l’11 ottobre 2012cadranno due anniversari: i cinquant’anni di apertura del con-

cilio e i venti anni di promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.L’accostamento dei due anniversari è un invito implicito a rileggere idocumenti del concilio anche attraverso la sintesi dottrinale offerta dalCatechismo della Chiesa Cattolica: «Questo documento, autentico frut-to del concilio Vaticano II, fu auspicato dal Sinodo straordinario dei Vescovidel 1985 come strumento al servizio della catechesi» (n. 4). Dopo il lungo cammino di commento corsivo alla Lumen gentium, con-dotto sulle pagine di Ecclesia negli anni passati, per l’anno della fedeè mia intenzione di rileggere il Simbolo della fede, che il Catechismospiega nella prima delle sue quattro parti, alla luce del Vaticano II. In questo modo sarà possibile tornare alle radici della fede, su cui pog-gia la vita cristiana. È questa, infatti, la logica che governa la struttu-razione del Catechismo in quattro parti, distinte in due sezioni ciascu-na: la prima, che sviluppa la professione della fede, è introdotta da unabreve sezione (“Io credo-noi crediamo”) dedicata al soggetto della fede,vale a dire la Chiesa, e in essa il singolo credente; la seconda svilup-pa i singoli articoli del simbolo della fede. La seconda parte è dedicata ai sacramenti, con una prima sezione dedi-cata alla dimensione liturgico sacramentale della Chiesa, la secondaai sette sacramenti, distinti in tre categorie: i sacramenti dell’iniziazio-ne cristiana (battesimo, cresima, eucaristia), i sacramenti della guari-gione (Penitenza e unzione degli infermi), i sacramenti del servizio del-la comunione (ordine e matrimonio). La terza parte tratta della vita in Cristo, specificando anzitutto la voca-zione dell’uomo alla comunione con Dio in Cristo per sviluppare in unaseconda sezione i dieci comandamenti. La quarta parte è dedicata alla preghiera cristiana, chiarendo anzitut-to il posto e l’importanza della preghiera nella vita della Chiesa e delcristiano, e offrendo a chiusura un commento al Padre nostro. Si può dire che non esiste vita in Cristo che non sia motivata da unafede matura, la quale non consiste certo nella sola conoscenza delladottrina, ma che da tale conoscenza non può prescindere. La professione di fede non è un atto cieco e vuoto, un affidamento disé al buio: questo è fideismo, che la Chiesa ha condannato come con-trario alla fede cristiana. Non c’è fede che non sia anche capacità direndere ragione di ciò che si crede; non c’è testimonianza che non sca-

turisca dalla consapevolezza di ciò che costituisce il contenuto delladottrina cristiana. I teologi hanno giustamente distinto la fides qua dal-la fides quae: con la prima formula indicano l’atteggiamento con cui l’uo-mo risponde a Dio, e questo implica tutto l’uomo, coinvolto in un incon-tro personale che si traduce in relazione. Ma questo incontro implicanecessariamente la conoscenza dell’Altro: quale relazione d’amore sareb-be possibile senza sapere nulla della persona che dico di amare? Sant’Agostino coniugava strettamente amore e conoscenza, dicendoche la conoscenza fornisce nuovi motivi all’amore, quale desidera, aman-do di più, conoscere ancora di più. Naturalmente, questa conoscenza non è semplice raccolta di informazioni.E tuttavia, senza informazioni si manca all’incontro. Studiare il simbo-lo della fede è un po’ come acquisire queste informazioni previe, cherendono possibile da parte dell’uomo una risposta motivata nella fedea Dio che si rivela come Padre che lo ama e lo salva. Spesso si amaripetere che in passato la Chiesa ha eccessivamente insistito sull’acquisizionedi una conoscenza mnemonica delle verità della fede – quelle che i teo-logi chiamano fides quae – nella convinzione che bastasse conosce-re per credere. Oggi però si rischia l’eccesso opposto, presumendo chela fede sia un sentimento interiore, nutrito di emozioni e non di conte-nuti oggettivi. La fede cristiana professa delle verità che non sono frutto dell’intelli-genza umana, ma ci sono date attraverso la Rivelazione custodita etrasmessa dalla Chiesa. Non che l’incontro con Dio dipenda unicamentedalla conoscenza, o che la conoscenza garantisca automaticamentee sicuramente la relazione di amore con Dio. Anzi, spesso accade ilcontrario: questo deve suonare di monito soprattutto a chi, come il sot-toscritto, svolgendo il suo servizio ecclesiale nel campo della teologia,deve sempre guardarsi dalla tentazione di ridurre il mistero nei confi-ni della ragione. Tuttavia, bisogna ribadire che, senza la conoscenza, la relazione man-ca di motivazioni e quindi rischia di naufragare. Il dramma della Chiesa,oggi, è quello di un analfabetismo nella fede. Come nella vita civile mol-ti, dopo la scuola, dimenticano anche i rudimenti più elementari di unacultura che non hanno mai amato e finiscono a malapena di saper fir-mare un documento, allo stesso modo troppi nella Chiesa non cono-scono i fondamenti della propria fede e rischiano di costruirsi un siste-ma di idee a proprio uso e consumo. Che poi il Signore possa guardare con misericordia anche maggiorechi non sa (soprattutto se la mancata conoscenza è dovuta a chi hamancato a precise responsabilità), è pacifico; ma non giustifica nes-suno a rimanere nell’ignoranza.L’ambizione dei contributi che via via compariranno su Ecclesia a com-mento del Simbolo della fede vorrebbe essere quella di presentare bre-vemente i contenuti della fede cristiana, perché la conoscenza alimentila fede e l’amore a Dio e ai fratelli.

*Docente Ordinario alla P.U.G. di Roma

segue da pag. 7

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99GiugnoGiugno20122012

Mons. Luigi Vari*

UU na volta stabilita l’attendibilitàstorica dei testi, che abbiamoa nostra disposizione, è chia-

ro, che ci si domanda come essi sianogiunti fino a noi, e, se, in questa trasmissione,non si siano verificati su di esso interventitali da renderlo inaffidabile.La domanda non è peregrina, se solo siragiona sul fatto, che i testi biblici sonoil fondamento dell’ebraismo e del cristianesimo,in tutte le sue espressioni, non si può imma-ginare che nessuno abbia fatto interventiper forzare qualche significato o affievolirneun altro. La storia dei primi secoli del cristianesi-mo con il fiorire di eresie di qualunquetipo, ci avverte, che l’uso del testo bibli-co e le sue distorsioni sono sempre pos-sibili. L’incertezza, che regna, per moltisecoli, sulla stessa determinazione del nume-ro e del nome dei libri, che compongo-no la Bibbia, è segno della fatica di con-servare la purezza della Parola. Oltre questo, però ci sono, nella trasmissionedel testo una serie di errori, che devono esse-re conosciuti, per essere corretti.Prima di tutto va chiarito, che noi non posse-diamo nessuno scritto originale della Bibbia,ma conosciamo tutti i testi attraverso quelli, chechiamiamo i testimoni del testo. Si tratta soprat-tutto di papiri e di pergamene, che contengo-no tutto o parte del testo sacro. Questi testimoni sono preziosi per la loro anti-chità e la loro vicinanza al testo originario, ter-mine ideale del lavoro di ricostruzione del testo.I testimoni più antichi sono i papiri, ma sonoanche più rari e più frammentari, vista la fra-gilità della materia prima, il papiro. Subito dopo vengono le pergamene, che for-mano dei Codici, alcuni preziosissimi per la lorocompletezza, o perché riportano, con particolareaccuratezza il testo biblico.I codici si dividono, a loro volta, in Codici maiu-scoli e minuscoli, a secondo che siano scritticon lettere maiuscole (scrittura più antica) ominuscola. Aprire uno di questo codici è un’e-sperienza particolare per noi abituati a orga-nizzare la scrittura attraverso accorgimenti tipo-grafici vari, con l’aiuto della punteggiatura, ladivisione delle parole, la prima reazione è quel-la della distanza incolmabile.

Una lettura più attenta, avendo la padronan-za della lingua, permette di dividere le paro-le, di chiarire i termini; ma nello stesso tem-po fa nascere molti dubbi, perché nella linguagreca, lingua nella quale sono scritti i testimonidel Nuovo Testamento, ci sono parole, che pos-sono essere divise in maniera diversa; non sem-pre è facile capire se una lettera sia la fine diuna parola o l’inizio di un’altra. Non diversamente dovettero reagire quelli, chericevevano l’incarico di copiare i testi per ren-derli disponibili alle chiese vicine; forse peg-gio di noi si dovettero trovare i monaci, chenei monasteri, si incaricarono di copiare i codi-ci, di non permettere che si perdessero, ben-ché la loro tecnica di copiatura, attenta più allariproduzione delle parole che al senso com-plessivo, abbia favorito una catena, che ha pro-dotto molti errori, ma tutti facilmente correg-gibili, perché dovuti a condizioni ambientali sfa-vorevoli (si immagini la cattiva illuminazione,il freddo…); alla conoscenza imperfetta dellalingua; alle condizioni della vista, che, affati-cata da ore di copiatura, induceva a errori par-ticolari, quali omettere una parola, saltare unariga, ecc.In ogni caso questi uomini devono essere rin-

graziati perché hanno salvato tutto il patri-monio di cui vennero a conoscenza, enon solo nel campo della letteratura bibli-ca, ma anche in quello della letteratu-ra profana.Abbiamo parlato della possibilità di cor-reggere questi errori, tecnicamentechiamati varianti; la scienza, che per-mette queste correzioni in vista della pro-duzione di un testo vicino al testo idea-le, è la Critica Testuale. Questa scienza non si occupa solo dierrori o varianti di tipo involontario, com-pito oggi relativamente facile grazie allecapacità di calcolo dei computer, ma soprat-tutto alla correzione delle varianti di tipovolontario; cioè dovute a interventiragionati sul testo per ottenere un deter-minato risultato. Si capisce bene comequeste siano più pericolose per la purez-za del testo; ma di queste parleremo nelprossimo mese.

*Parroco e Biblista

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1010 GiugnoGiugno20122012

Claudio Capretti

SSono posta in mezzo, al centro di un qualcosa da cui non si puòpiù scappare e dove l’angoscia ha spento ogni speranza. Forseè così che deve sentirsi un’animale braccato, quando capisce

che la sua corsa è oramai giunta al termine. In questo momento, capi-sco anche chi nella vita si sente accerchiato dai suoi nemici e rimanein attesa del colpo di grazia. Così sono io oggi, chiusa, assediata den-tro un cerchio. Da bambina giocavamo spesso al gioco del cerchio, mipiaceva stare in mezzo e vedere le mie amiche che tenendosi per mano,facevano un cerchio e iniziavano a ballare intorno a me. Mi sentivo protetta, ero certa che nessuna cosa dall’esterno di quel cer-chio mi potesse raggiungere. Alzavo gli occhi al cielo e sorridevo, edero felice, capivo che per esserlo bastava veramente poco. Poi moltecose nella mia vita sono cambiate ed oggi mi trovo dentro un cerchioche non protegge, ma che avanza sempre più minacciosamente ver-so di me. Ho come la sensazione di essere sospesa da un filo, al cen-tro di un pozzo oscuro, in attesa di una parola, di un ordine che reci-da il filo e mi lasci cadere nel vuoto.Dovrei urlare, chiedere pietà a qualcuno, giustificarmi in qualche modo,ma chi mi ascolterebbe?. Chi potrebbe muoversi a pietà per una comeme? Improvvisamente le ginocchia si piegano, più per una resa di cuo-re che per altro, sono a terra segno di una disfatta finale. Le lacrime miste a sudore cadono per terra, mescolandosi formandouna piccola fanghiglia. Fisso avidamente questo particolare, come sefosse l’ultima cosa che mi sia rimasta, l’unica cosa che mi porterò die-tro come unico salario di una vita sbagliata. China a terra, fisso quelpezzetto di suolo appena bagnato dal dolore che ho dentro, sembrache da un momento all’altro quel piccolo lembo di terra si apra dinnanzia me per inghiottirmi. Il terrore incalza sempre di più, la paura ha resogli onori alla disperazione e mi ha consegnata ad essa, come un tro-feo. Qualcuno, non ricordo chi, una volta mi disse che il male adottaquesta tattica: sedurre con dolci parole e una volta raggiunto il suo sco-po, ti scaraventa nella disperazione più feroce, dicendoti di continuo:“Sei rimasta sola, è finita! Non vedi come sei sporca?”. E’ tutto vero, ed è capitato a me. Improvvisamente il silenzio della fol-la interrompe i miei pensieri; tra lo spazio delle ciocche dei miei capel-li, intravvedo un anziano che dopo aver alzato le sue braccia per atti-rare l’attenzione di tutti e intimare il silenzio, punta il suo dito verso dime, e rivolgendosi ad un uomo sedu-to, gli dice: “Maestro, questadonna è stata sorpresa in fla-grante adulterio. Ora Mosè, nel-la Legge, ci ha comandato dilapidare donne come questa.Tu che ne dici?” Ho un sussultodi rabbia; strana questa leggeMosaica che punisce la donna,ma non l’uomo che adultera conessa. Intravvedo appena la figu-ra di quest’uomo che hanno chia-mato Maestro; perché stanno dele-gando a Lui la mia sorte? Perchémi hanno condotta a Lui? Che han-no a che fare i miei accusatori,con quest’uomo?Chi mai sei tu, e perché ti chia-mano Maestro? Chiunque tu sia,ho come la sensazione cheentrambi siamo dentro questo cer-chio, entrambi accerchiati da un

qualcosa che vorrebbe distruggerci, eppure Tu sembri incurante di ciòche sta accadendo. Fisso il Tuo dito che non punta verso di me, nonmi accusa, ma scrive sulla terra. Cosa lo ignoro, credo che tutti lo igno-rino. Cosa risponderai Maestro, a questa domanda?Se dirai di no allora andrai contro la legge, e forse lapideranno ancheTe; se dirai di si, allora ne verrai squalificato. In un modo o nell’altroentrambi non faremo una bella fine. Ho la sensazione che il mio cuo-re si fermi come se venisse compresso da più parti, ora sei Tu al cen-tro dell’attenzione, Tu sei il mio tribunale, ma forse anche il tribunaledi Te stesso. Cosa dirai? La richiesta di una Tua risposta da parte deimiei accusatori si fa sempre più incalzante, poi il Tuo dito si ferma ela Tua voce risuona nell’aria: “Chi di voi è senza peccato, scagli perprimo la pietra contro di lei” . Li guardi, li fissi uno ad uno e torni di nuovo a scrivere per terra, segniche forse rimarranno misteriosi, fino alla fine dei tempi. Vorrei che sulquel fazzoletto di terra Tu stessi scrivendo tutti i miei peccati, perchéavrei la speranza che il vento del perdono, soffiando, li cancelli, se liporti via per sempre, ed io avrei ancora una speranza. In un attimo,mi appare evidente tutta la stoltezza umana, la nostra, quando passiamoparte della nostra vita nel ricercare le colpe degli altri, per inciderle nel-le pietre e scagliargliele contro con rabbia. Ci inganniamo nel ricerca-re la nostra colpa e detestarla, ma poi altro non siamo che giudici spie-tati di tutti, e mai di noi stessi. Tu Maestro buono, non sei così, Tu li incidi su qualcosa che poi verràcancellato. Non lo so perché, eppure sento la salvezza avvicinarsi ame e capisco che una non risposta, o una risposta diversa da quellache indicano gli uomini, è la risposta vera. Risposte sbagliate che nasco-no da domande sbagliate che si annullano dinnanzi ad una risposta vera,la Tua. Sei entrato con me dentro questo cerchio, e la Tua Parola loha disgregato. Il cuore ritorna a pulsare di nuovo, salvata da quest’uomo,dalla Parola di questo Maestro. Guardo un poco i miei accusatori, stan-no allontanandosi da me. Gli ultimi, ad allontanarsi sono i più giovani. Che tutto questo sia servito anche a loro? Chi lo sa…Mi abbandono ad un pianto liberatorio, tutto il peso che gravava sullamia anima, tutto il male che ho commesso che mi stava condannan-do, si è come riversato, dissolto su quest’Uomo. Lo hanno coinvolto,

messo alla prova, affinché si pronunciasse conuna parola di condanna, come voler dire:

“Vedi neanche Tu puoi fare qualcosaper questa adultera”.

continua a pag.11

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1111GiugnoGiugno20122012

Ed invece Tu mi hai salvata. Molti uomini mi hanno strappato il cuore,lo hanno calpestato, Tu, oggi, me lo hai rubato. Molti lo hanno ferito, Tu, oggi, lo hai guarito. Inutili amori avvelenati lohanno macchiato, Tu in un solo istante, lo hai purificato, reso di nuo-vo vergine. Molti mi hanno portato così in alto, affinché cadendo mi faces-si più male, Tu Maestro buono oggi mi raccogli dalla polvere, fasci lemie ferite e mi rialzi. Una voce in me finora sconosciuta grida con for-za: “Svegliati mio cuore, svegliatevi arpa e cetra, voglio svegliare l’au-rora”. Siamo rimasti soli, io, misera non più prigioniera di un cerchio,dinnanzi alla Misericordia. “Donna dove sono? Nessuno ti ha condannata?”

Lo so, Tu sei Dio, solo Lui può perdonare i peccati, solo Lui non con-danna. Il senso di essere dinnanzi ad un oceano di misericordia avvol-ge il mio cuore nella dolcezza, sale il desiderio di immergersi di abban-donarsi in Esso. Non puoi non essere che il Messia, vorrei dirtelo, maho la forza di risponderti appena: “Nessuno, Signore” . Nessuno mi ha condannata, mio Signore, non sono più una cosa solacon il peccato. D’ora in poi, chi potrà mai separarmi dal Tuo amore?.Poi la Tua Voce risuona ancora nell’aria, ed è la brezza del perdonoche soffiando su di me mi restituisce la vita: “Neanch’io ti condanno; và e d’ora in poi non peccare mai più”.

Nell’immagine: Gesù e l’adultera, di Polidoro da Lanciano

segue da pag. 10

don Antonio Galati

VV olendo accostare il sacramento dell’eucaristiadal punto di vista celebrativo, forse unmetodo è quello di guardarla focalizzando

l’attenzione sulla preghiera eucaristica e, da lì,provare a dare un senso all’intera celebrazioneeucaristica che esprima quanto detto nella rifles-sione sulla Scrittura.La riflessione sulla preghiera eucaristicaSe ci si sofferma sulla struttura delle preghiereeucaristiche, almeno quelle più comuni come laseconda e la terza, si possono notare degli ele-menti ricorrenti che illuminano il sacramento del-l’eucaristia in maniera particolare.Prendendo come riferimento la preghiera euca-ristica seconda, si può notare che con-sta di nove parti:il prefazio, in cui si ringrazia il Padre peril dono del Figlio, soffermandosi su unoo più aspetti del mistero della reden-zione in base al tempo liturgico o allanecessità;il Sanctus attraverso cui la Chiesa pel-legrina sulla terra si unisce alla lode chela Chiesa celeste canta incessantementeal Padre;il post-sanctus in cui si riprende, dopoil canto della santità di Dio, il dialogocon Lui;l’epiclesi sul pane e sul vino con cui siinvoca lo Spirito Santo affinché i doniofferti diventino il corpo e sangue di Cristo;il racconto dell’ultima cena con le paro-le del Signore sul pane e sul vino che,in forza dell’autorità di quelle parole econ l’intervento dello Spirito, diventa-no il corpo e sangue del Signore;l’anamnesi offertoriale, con cui si fa memo-ria del sacrificio, con l’acclamazione del“mistero della fede”, e si offrono al Padreil pane e il vino appena consacrati;l’epiclesi sui presenti, con cui si invo-ca lo Spirito sul popolo celebrante affin-ché la partecipazione alla comunionediventi comunione tra loro nella Chiesa;

le interces-sioni, chepossono con-f i g u r a r s icome unaspecificazio-

ne dell’epiclesi sul popolo, nel senso che quel-lo Spirito invocato per creare comunione inter-venga in situazioni specifiche (per il papa e il vesco-vo locale, il mondo intero, i presenti e i defunti)configurando quella comunione ecclesiale comerisposta a delle esigenze;la dossologia con cui si canta la gloria della Trinitàe che si conclude con l’Amen acclamato dal popo-lo presente che sottoscrive quanto detto dal sacer-dote che in quel momento presiede alla celebrazione.Se ci si concentra sulle sezioni centrali, cioè sul-le due epiclesi insieme con il racconto istituzio-nale e l’anamnesi offertoriale, si può subito affer-mare che lo Spirito non viene invocato sul panee sul vino affinché la consacrazione avvenga perse stessa, ma perché quell’epiclesi e quella con-

sacrazione aprono alla successiva epiclesi, quel-la sui presenti che comunicando al corpo e san-gue di Cristo vengono trasformati nel corpo eccle-siale. Detto in altro modo, l’eucaristia è un sacra-mento che ci viene donato non perché chi ci siaccosta resti staticamente nell’adorazione, maperché la sua consumazione e il cibarsi di essospinga dinamicamente alla formazione dell’uni-co corpo ecclesiale. Ciò, ovviamente, non toglienulla al valore in sé del sacramento dell’eucari-stia, nel senso che se dopo la consacrazione quelcorpo e quel sangue di Cristo non vengono man-giati e bevuti, restano pur sempre realmente cor-po e sangue di Cristo, che va adorato. Però con-siderando la consacrazione in vista della con-sumazione si rende, penso, maggior onore al Cristoche è lì presente, proprio perché Egli è stato sul-la terra “un essere per gli altri” disposto al sacri-ficio per il bene altrui. E visto che chi è presen-te, sotto le specie del pane e del vino, è lo stes-so che camminava per le strade della Palestinae che si è sacrificato per noi, è più giusto acco-

starsi alla sua mensa per ricevere daLui questa vita donata.La Messa come preparazione alla mis-sioneTenendo presente quanto appena det-to circa l’obiettivo della consacrazioneper la formazione del corpo ecclesia-le, si può vedere l’intera celebrazioneeucaristica come il momento in cui lacomunità cristiana va incontro a Cristoche la chiama e, dopo aver fatto espe-rienza della sua presenza e essersi ciba-ta della sua vita, viene rimandata nelmondo per testimoniare la resurrezio-ne e, attraverso l’attività giornaliera, san-tificare il mondo stesso in forza di quelcibo e di quello Spirito ricevuti con laconsumazione dell’eucaristia. In altreparole, la Messa divine il momento incui la Chiesa si raduna intorno al suocentro, Gesù Cristo, viene rafforzata dal-l’ascolto della sua parola e dalla par-tecipazione al suo corpo e sangue, eviene rinviata nel mondo ad annunciareil Vangelo nello stesso modo con cuiCristo l’ha fatto, cioè con il dono gra-tuito di se stessi, che i membri della comu-nità possono fare perché attraverso l’eu-caristia sono stati destinatari del donogratuito della stessa vita di Cristo.

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1212 GiugnoGiugno20122012

mons. Franco Risi

CC on l’aiuto dello Spirito Santo, che gui-da la Chiesa nella vita della santi-tà, ci possiamo mettere nelle con-

dizioni idonee a vivere con fede la Giornata mon-diale di preghiera per la santificazione del cle-ro, che verrà celebrata il 15 giugno 2012.Questa giornata di preghiera di tutta la Chiesaè rivolta in modo particolare ai sacerdoti chehanno accolto l’invito a raggiungere la vetta del-la santità per la salvezza dell’intera umanità.Essa si fonda sulla Sacra Scrittura:«Questa è la volontà di Dio: la vostra santifi-

cazione» (1Ts 4, 3). Per facilitare l’esito di que-sta giornata, riguardante la santificazione delclero, possiamo tutti rivolgere la nostra atten-zione alla preghiera sacerdotale di Gesù, ripor-tata dall’evangelista San Giovanni al capitolo17: in essa si parla di Gesù che, prima di esse-re arrestato, innalza al Padre la preghiera sacer-dotale, con quattro sguardi che Egli rivolge perla santificazione dell’intera umanità, in modo spe-ciale per quanti scelgono di seguirlo più da vici-no. Il primo sguardo è la preghiera tra Gesùe il Padre: al Padre che venuta l’ora «Padre,è venuta l’ora: glorifica il tuo figlio, perché il Figlioglorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni esse-re umano, perché egli dia la vita eterna a tut-ti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eter-na: che conoscano te, l’unico vero Dio, e coluiche hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorifi-cato sulla terra, compiendo l’opera che mi haidato. E ora Padre, glorificami davanti a te conquella gloria che io avevo presso di te primache il mondo fosse» (Gv 17, 1-5). Il secondo sguardo è la preghiera di interces-sione di Gesù per i suoi Apostoli: «Ho mani-festato il tuo Nome agli uomini che mi hai datodal mondo […] Padre Santo, custodiscili nel tuonome, quelli che mi hai dato, perché siano unasola cosa come noi […] Non ti prego che tu litolga dal mondo, ma che li custodisca dal mali-gno […] consacrali nella verità. La tua Parola

è verità. Come tu hai mandato me nel mondo,anch’io ho mandato loro nel mondo; per loroio consacro me stesso, perché siano anch’es-si consacrati nella verità» (Gv 17, 6-11-15-19).Gesù vuole che i suoi Apostoli siano consacratinella verità, vivano in comunione piena con Dio,senza defezioni, e testimonino l’unità tra loro,manifestando quell’unità che caratterizza il Padre,il Figlio e lo Spirito Santo.Il terzo sguardo è la preghiera che Gesù rivol-ge per gli altri discepoli e quindi per tutta l’u-manità: «Non prego solo per questi, ma ancheper quelli che crederanno in me mediante laloro parola, perché siano una cosa sola; cometu Padre sei in me e io in te, siano anch’essiin noi, perché il mondo creda che tu mi hai man-dato» (Gv 17, 20-21). Da qui si comprende cheil cerchio si allarga ben al di là del ristretto grup-po dei Dodici. Cristo scorge la moltitudine deisuoi discepoli allora, oggi e sempre. Infine il quar-to sguardo ci parla di Gesù che ritorna con lasua preghiera al Padre, chiedendogli: «quelliche mi hai dato siano anch’essi con me dovesono io, perché contemplino la mia gloria, quel-la che tu mi hai dato, perché mi hai amato pri-ma della creazione del mondo»(Gv 17, 24).Da tutta questa preghiera si comprende che Gesùsi trova all’inizio di tutta la storia della Chiesae spinge lo sguardo lontano fino all’ultimo gior-no. Tutti i credenti, in modo particolare i sacer-doti, che sono in cammino verso la santità nonpossono confidare solamente nelle forze uma-ne, ma unicamente ed esclusivamente nella pro-tezione divina, impetrata dalla preghiera di Cristoal Padre, sorgente d’amore per l’umanità. La parola santificatrice di Dio è la causa pri-ma della santificazione sacerdotale e di tutti ibattezzati aperti al mondo: per questo la san-tità di Cristo è l’origine e il modello per tutti glisacerdoti che sono orientati a portare la sal-vezza che Egli ha compiuto con la sua mortein croce e con la sua risurrezione. Perciò tut-ta la preghiera sacerdotale di Gesù indica il cam-mino che tutti i sacerdoti devono percorrere se

vogliono arrivare alla vetta della santità.Da tutto quanto esposto, il sacerdote è chia-

mato in primo luogo a curare il suo rapporto conDio Padre per poterlo comunicare agli altri cheincontra nella sua missione: celebrazione del-la Santa Messa e degli altri Sacramenti, medi-tazione della Parola di Dio, recita della liturgiadelle Ore, adorazione di Gesù Eucarestia, reci-ta del santo rosario, direzione spirituale e con-fessione e altre iniziative personali idonee perincontrare Gesù. Tutto questo serve per far cre-scere nel suo animo quella fecondità che vie-ne e dipende solo da Dio, infatti ogni sacerdotedeve cercare di conformarsi e fondare tutte lesue attività pastorali al volere di Dio per un amo-re costante verso la Chiesa che serve. Da tutto questo scaturisce una crescita costan-te nella vita personale, sacerdotale e pastora-le che gli permetta di relazionarsi con gli altriin modo autentico e far sì che tutti crescano nel-la santità donata da Dio all’umanità. Concludorivolgendo una preghiera a Dio Padre per la san-tificazione di tutti i sacerdoti con una preghie-ra di Santa Faustina Kowalska:O mio Gesù, ti prego per tutta la Chiesa,

concedile l’amore e la luce del tuo Spirito, dà vigore alle parole dei sacerdoti,

in modo che i cuori induritisi inteneriscano e ritornino a te, Signore.

O Signore, dacci santi sacerdoti;tu stesso conservali nella santità.

O divino e sommo sacerdote,la potenza della tua misericordia

li accompagni ovunque e li difendadalle insidie e dai lacci del diavolo,

che egli tende continuamentealle anime dei sacerdoti.

La potenza della tua misericordia,o Signore, spezzi e annientitutto ciò che può oscurare

la santità dei sacerdoti,poiché tu puoi tutto.

Gesù mio amatissimo,ti prego per il trionfo della Chiesa,perché benedica il Santo Padre e

tutto il clero;per ottenere la grazia della conversione

dei peccatori induriti nel peccato;per una speciale benedizione e luce,te ne prego, Gesù, per i sacerdoti,

presso i quali mi confesserò durante la mia vita.

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1313GiugnoGiugno20122012

Katiuscia Cipri*

QQuesto mese abbiamo deciso di pub-blicare la testimonianza di un ragaz-zo italiano, Pietro Bolognini, che ha vis-

suto in Perù, nella regione dell’Angash, a Chacas,con la famiglia, per gran parte dei suoi 17 anni.Una testimonianza semplice e bella della letturadell’amore al prossimo fat-ta da chi in quella atmosfe-ra di aiuto continuo e gratuitoè cresciuto.Ecco cosa ha risposto alladomanda “Cosa significavivere in missione in un pae-se povero e lontano”.Sono un ragazzo italiano didiciassette anni, nato Italia:in missione sono arrivato atre anni, e sono qui daquattordici. La mia vita l’hotrascorsa in Perù. La pover-tà non la vedevo molto: i bam-bini miei coetanei eranomiei amici! Con loro andavo a scuola,giocavamo a calcio, andavoa pranzare nelle loro case,dove si mangia solo patatee zuppa. A volta li invitavo acasa mia, dove il mangiareera preparato e cucinato meglio. Vedevo che quando man-giavano a casa mia erano piùcontenti del solito e mi dice-vano. “Anche domani possiamovenire?” La mia risposta era sì, per-ché dopo il pranzo andava-mo a giocare a calcio o conla bicicletta o in riva al fiume dove l’acqua eracalma o dove si creava una piccola ansa doveera tutto calmo. I primi anni non mi accorgevoche i miei amici erano i figli delle persone chei miei genitori aiutavano, ma pensavo che fos-sero come me. Dai dodici anni in su ho inizia-to, con alcuni rientri in Italia, a capire e a distin-guere che le cose che avevo, loro non poteva-no permettersele per motivi economici.Sono contento dei miei giocattoli che, a volte,regalavo ai miei amici. Con il mio ritorno in Italia,un anno e mezzo fa, ho iniziato a fare cose con-

crete per loro: fare una casa, con dei miei com-pagni di classe, anche loro peruviani, per i vec-chietti che non hanno neanche le forze per cam-minare, a regalare delle cose a dei bambini chetrovavo per strada.

Nei volti di queste persone ho visto la vera feli-cità che un uomo può avere; ho visto come siringraziano le persone che donano qualcosa dibuono e che gli appartiene. Da loro ho imparato molto, anche se, come diceil padre Ugo:“I poveri hanno gli stessi difetti dei ricchi”.A volte i poveri continuano a volere le cose como-de, veloci e facili da usare. Ho sentito qualchevolta delle persone che sono andate in altri postipoveri del mondo; quì in Perù, bene o male, ogni

persona possiede un pez-zo di terra dove coltivaqualche cosa, peròanche loro, pur avendoqualcosa, non sono for-tunati come me, perciò

è bene che io faccia qualcosa per loro.Vivere qui in missione per quattordici anni miha insegnato molto e sicuramente mi ha fattomolto bene.

Adesso che tornerò in Italia per rimanerci, nonvorrei dimenticarmi della povera gente che hoconosciuto: voglio continuare a fare qualche cosaper loro.La famiglia di Pietro, sette figli, ha vissuto conimpegno e dedizione totale la propria presen-za in Perù, curando e seguendo le scuole pro-fessionali nelle quali i ragazzi imparano un mestie-re che permetta loro una vita dignitosa.

*Direttore Uff. Missionario diocesano

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1414 GiugnoGiugno20122012

Chialastri don Cesare*

DDopo essere stataper tanto tempo igno-rata, oggi la famiglia

è spesso al centro di riverenzeverbali nei dibattiti pubblici.Restano sempre rare le atten-zioni politiche reali e concre-te. Eppure nel momento in cuila crisi si fa più acuta, sia alivello economico e psicolo-gico, è proprio sulla famigliache occorre investire. Parlare di famiglia oggi signi-fica anche chiedersi: quantigiovani convivono perchéhanno fatto una scelta di liber-tà e quanti invece rinviano ilmatrimonio per ragioni dipovertà economica o perlavoro che, se c’è, è lontanoda dove si desidera vivere?Quante famiglie si fermano al primo figlio per-ché non ne vogliano altri o rinunciano al secon-do o terzo perché non ci sono sufficienti risor-se? Quante coppie si separano con una deci-sione libera e consapevole e quante invece per-ché in certi momenti duri e di sofferenze sonostate impreparate, sole, indifese e senza nes-sun sostegno o rete di protezione?Queste domande che nascono dall’esperienzapiù o meno diretta che molti di noi hanno cir-ca la vita familiare. Da esse occorre ripartire,salvando certamente le scelte personali di cia-scuno, per riflettere in che modo la società ita-liana e, in modo particolare, la politica posso-no sostenere la famiglia nel realizzare la suafunzione essenziale.Negli ultimi decenni la famiglia si è modificatasensibilmente: la struttura familiare si è allun-gata in senso verticale e si è ridotto l’asse oriz-zontale.Conosciamo tanti nonni e qualchebisnonno e sempre meno fratelli e cugini! Gliultraottantenni, di cui una buona parte in con-dizioni di autosufficienza, entro il 2050 potreb-

bero raggiungere il 15% circa su una popola-zione di 61, 6 milioni di persone (dati dell’ISTAT). Dunque una famiglia sempre più piccola e piùanziana, che si realizza in età avanzata e trat-tiene i figli a casa anche se diventano adulti.Le diverse situazioni di equilibrio precario rischia-no di precipitare di fronte a fatti imprevisti: laperdita del lavoro, la malattia, un genitore anzia-no non autosufficiente, il nascere o persisteredi una dipendenza (es. alcool, gioco, ecc), unfiglio problematico.Nascono sensi di inadeguatezza e di colpa, ein alcuni casi si può arrivare allo sgretolamen-to della vita familiare. Le risposte a queste situa-zione non sono semplici ed immediate. La fami-glia è lo specchio della società nella quale vive:dunque le sue fragilità riflettono quelle della socie-tà, e la difficoltà del vivere insieme in famigliaè legata alla difficoltà del vivere insieme nellasocietà. L’ operazione più urgente da fare è ditipo culturale, prima che operativa.Il primo servizio di carità alla famiglia è quellodi offrire stimoli affinché essa venga ricolloca-

ta dentro una diversa prospetti-va culturale. Lo dico puntando l’at-tenzione su un tratto caratteristicodella nostra società e facendo alcu-ne esemplificazioni per le politi-che familiari. Tutti concordano neldire che il tratto più caratteristi-co della nostra società è il primatodell’individualismo. Questo primato comporta che indi-viduo sia portatore di diritti mag-giori di quelli che porta la fami-glia, la quale è pensata come uninsieme di individui e al serviziodella loro realizzazione. Per cui la famiglia ha valore fin-tanto quest’ultima è piacevole, nelmomento in cui non lo è più, allo-ra si impone un cambiamento. Lafelicità è ricercata da soli e si èscettici riguardo alla possibilità diessere felici in due in modo dura-turo. La scelta culturale da fare

è quella di partire da una visione centrata sul-la persona e sulla rete di relazioni fondamen-tali che la sostengono: certamente in controtendenzarispetto al clima dominante. Questo ci fa rendere conto come invece oggi itemi del lavoro, del welfare, delle politiche socia-li siano organizzati in chiave individuale e pun-tano in modo determinante sull’uomo adulto (pas-sano in secondo piano i giovani e le donne).Alcuni esempi:La flessibilità e la mobilità sono sempre più pro-poste come una necessità del sistema produt-tivo, dentro una prevalente dimensione indivi-dualistica esse sono certamente sono una buo-na opportunità per i singoli. Ma se pensiamoad una persona reale che vive in una famiglia,allora ci rendiamo conto che essa ha bisognodi un minimo di stabilità e non gli giova affattol’essere sradicata dalla solidarietà dei legamidel territorio e della rete parentale. Le scelte sul mercato del lavoro e sul welfarecambiano notevolmente se si dà la priorità all’in-dividuo o alla famiglia;

continua a pag. 15

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1515GiugnoGiugno20122012

Paola Cascioli*

CC ome molti avranno personalmente constatato sabato 12 edomenica 13 maggio scorsi a Velletri si è tenuta presso i super-mercati una raccolta di generi alimentari organizzata dalle

Parrocchie e dalla Caritas Diocesana, a favore dei bisognosi della nostracittà. L’evento è stato possibile grazie alla collaborazione di oltre ses-santa volontari che hanno messo a disposizione diverse ore del pro-

prio tempo per sensibilizzare all’iniziativai clienti dei supermercati, raccogliere,

suddividere per genere edinscatolare gli alimenti

donati.Il nostro rin-graziamentova ai respon-sabili dei super-mercati che han-no aderito all’i-niziativa (i treCarrefour, laCoop, l’ Angelonidi viale ReginaMargherita ed il ConadMargherita divia D. Veroni)

permettendo ai nostrivolontari di sostare all’in-

gresso dei negozi per informa-re i clienti ed effettuare la raccolta.Un grazie particolare a quei supermercatiche hanno contribuito con una dona-zione di generi alimentari; alla Bancadi Credito Cooperativo di Velletri che

ha partecipato con un’offerta per sostenere le spese vive dell’opera-zione (buste, scatoloni, ecc.); a mons. Angelo Mancini che ha stam-pato locandine e volantini per l’evento; ai sacerdoti che si sono fattiportavoce dell’iniziativa nelle proprie parrocchie; ai capi-equipe (Elena,Gina, Maria Pia, Roberta, Roberto) che hanno coordinato il lavoro deivolontari presso ogni supermercato; a Raffaele, che ha guidato il fur-gone con infaticabile pazienza e caricato gli scatoloni di viveri per por-tarli da ogni negozio al magazzino di stoccaggio; a tutti i volontari checon la loro opera hanno reso possibile questa iniziativa e soprattuttoa tutte le persone di buona volontà che hanno donato con generositài generi alimentari e che hanno così contribuito ad una maggior giu-stizia sociale, condividendo i propri beni con chi è meno fortunato.Gli alimenti raccolti verranno suddivisi tra le Caritas parrocchiali in quan-tità proporzionali al numero di assistiti e di abitanti delle parrocchie stes-se.Questa raccolta, oltre a procurare cibo per i bisognosi della nostracittà, ha permesso ai volontari delle Caritas parrocchiali di Velletri dilavorare insieme per uno scopo comune, conoscendosi meglio, con-dividendo gioie e fatiche, scambiandosi idee sullo svolgimento del ser-vizio. Siamo certi che questa esperienza potrà essere di stimolo percontinuare una fattiva collaborazione tra le parrocchie della nostra cit-tà, in favore dei più bisognosi.Ecco, infine, qualche ulteriore informazione sull’evento:I volontari che hanno partecipato all’iniziativa sono stati oltre 60Sono stati messi gratuitamente a disposizione un furgone ed un camionper il trasporto dei beni ed un magazzino per lo stoccaggio dei colliSono state stampate gratuitamente 80 locandine e 2000 volantiniHanno partecipato tutte le parrocchie della città. Sono stati acquista-ti cartoni , buste e portabadges per un totale di 460 euro.Sono stati raccolti 5223 kg. di alimenti di cui: 298 di olio; 212 di ali-menti per l’infanzia; 234 di tonno in scatola; 1174 di pelati e passatadi pomodoro; 687 di legumi; 889 di pasta e riso; 128 di zucchero; 550di latte uht; 1051 di generi vari (marmellata, caffè, succhi di frutta, ecc.)

*Caritas Diocesana

Un altro esempio è l’occupazione femminile. Sembra che il mercato del lavoro e lo stato socia-le siano rimasti ancorati ad una immagine di fami-glia tradizionale in cui il padre usciva di casaper trovare il sostentamento della famiglia, men-tre la madre si dedicava alla cura della fami-glia in casa. Conciliare lavoro e famiglia è lascia-to alla fatica delle donne che si fanno carico deidue fronti(famiglia e lavoro) bruciando oppor-

tunità per una vita familiare ancora più pienadi significato e contemporaneamente privandola società di ulteriori risorse e potenzialità;L’ultimo esempio riguarda l’immigrazione.Il tarlo della sicurezza aumenta gli ostacoli peril ricongiungimento e la tutela delle famiglie degliimmigrati. È evidente che la filosofia di fondo della leggeitaliana considera gli immigrati, quando va bene,come individui che hanno risorse produttive e

non come persone con legami e vincoli affetti-vi e familiari, nonostante che la nostraCostituzione riconosca il diritto alla famiglia.La chiave per la ripartenza sta dunque nel cam-biare la prospettiva con cui le politiche socialiguardano alla famiglia, mettendo al centro la suaidentità profonda: le persone e le loro relazioi.

Direttore Caritas diocesana*

segue da pag. 14

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1616 GiugnoGiugno20122012

P. Vincenzo Molinaro

LL a cronaca di questa prima giornata dio-cesana dedicata alla pastorale della fami-glia si apre con un piacevole clima, lim-

pido e azzurro il cielo. Nascoste le insidie, anchese previste, della pioggia. Molte comunque lepresenze, probabile che il nome di Accattoli abbiaattratto gli indecisi anche tra coloro che guar-dano troppo le previsioni meteo.Un ambiente di accoglienza, diciamo senz’al-tro un aria di famiglia. I bambini scatenati, sul-l’erba e nei gonfiabili. Fino alle 11 è incontrar-si, ritrovarsi, comprare i biglietti della lotteria, faredelle foto. Poi c’è il richiamo che gli adulti accol-gono di buon grado e nella chiesa si apre la rela-

zione sul tema dettato dal nostro Vescovo: Avremo tempo per la famiglia?Il giornalista Accattoli non fa valere solo il mestie-re e la cultura, di certo notevoli. Quello che emer-ge è soprattutto la percezione che quanto dicecon estrema pacatezza sia avvalorato dalla espe-rienza. E’ un inno al vissuto. A molti appare unsogno che dura quasi un’ora e che al terminesuscita tante domande che portano via più dimezz’ora per le risposte.Mentre all’interno si ascolta e si riflette, fuori lecose cambiano. Al momento del pranzo il solecomincia a coprirsi e da lì a poco il cielo si chiu-

de dentro nuvole compatte che fra poco comin-ceranno a buttare giù pioggia e a creare disagio.Da qui la partenza affrettata per la maggior par-te degli intervenuti. Certo, specialmente con i bambini sarebbe sta-to impossibile rimanere lì e tenerli al coperto.La messa viene anticipata alle ore 15 e la par-tecipazione è totale. La chiesa si riempie unaseconda volta e la parola del Vescovo riportail sereno. Al termine, estrazione dei premi della lotteria.Anche chi non vince torna a casa con pensie-ri di soddisfazione. Per costruire una famigliaci vuole tanto tempo, ma siamo sicuri di noncamminare da soli. La comunità diocesana è ormaisull’onda giusta.

Avremo tempo per la famigliaSobrietà e comunicazione

Molto suggestiva la tesi sostenuta da Luigi Accattoli.Con la sua solita trasparenza, nella quale la teo-ria si alimenta della esperienza personale, l’af-fermazione che a prima vista appare inconci-liabile pian piano si pone come un orizzonte pos-sibile e affascinante.La sobrietà ci salverà dalla incomunicabilità. Questapotrebbe essere una traduzione forzata ma soloapparentemente.

In effetti, il grande guadagno dal qua-le spendere in seguito a favore del-la comunità, viene dal tempo rispar-miato con gli atteggiamenti prima-ri di semplicità e sobrietà. Non si tratta di mettere sul merca-to nuova merce, quanto di trasfor-mare il tempo solitamente impiegatonella gestione affannosa delle cosenel gesto della comunicazione.Questo a sua volta è il gesto di aper-tura verso l’altro considerato fami-

glia più grande e quindi terreno dove estende-re le proprie radici. Non per conquistare ma per condividere.“Rendere sobria la vita per farla comunicativa”questa l’affermazione di partenza. Un taglio alcammino di una singola famiglia che si trova ascoprire nuovi orizzonti come pure a un dise-gno di pastorale familiare che magari non deveo non vuole gestire grosse attività, ma incana-lare un movimento collettivo di rieducazione illu-minata. In alto, come stella polare, c’è la Trinitàdi Dio, immagine e ispirazione di qualsiasi nucleoche assomigli alla famiglia, con la sua intima comu-nione, con il suo amore che fuoriesce e inva-de la creazione.L’origine di ogni relazione è scritta nella Trinità.E’ da lì che nasce la gratuità, il personalismo,La persona cerca la comunione, vuole ancheandare oltre la propria famiglia. Con una cita-zione coraggiosa di Dante, Accattoli disegna laprofondità della relazione: “S’io m’intuassi, cometu t’immii”. L’uomo cerca di entrare nel tu di Dio seguen-do il cammino di Cristo nella incarnazione. Egliè entrato così perfettamente nell’umanità, è entra-to in me, questo è lo specchio dove guardarsiper realizzare la comunione coniugale. Si può trovare tempo per queste cose? Anche i giovani si lamentano sempre di non ave-re tempo, sembra che debbano rivoltare il mon-do. Eppure si chiede loro solo di studiare. Altroinvece è quello che richiede un matrimonio. Maqui si manifesta la elasticità del tempo. Un tempo vissuto per gli altri si dilata, si rad-doppia. Il tempo della preghiera risulta ampio,accogliente. Non è sottratto alle occupazioni. Iltempo dato agli altri, specialmente quando è vis-suto in coppia, diventa davvero doppio. Pure la coppia ha bisogno di tempo. Darne aifigli, agli amici, alla preghiera, ecco il segretodel tempo ritrovato. Condividere la festa, il lavo-ro vuol dire raddoppiare il risultato. Condividere la mensa, trasformare questotempo in preghiera comune, in conversazione,ascolto, riflessione. Lo stile della mensa spesso è la spia di una rela-zione educativa riuscita. E’ quindi da curare eda proporre. Coltivare il clima quotidiano dellamensa. Diventa il luogo simbolo del ritrovarsi maanche il luogo dell’apertura agli altri e non solonei discorsi. Cominciare presto a prendersi cura degli altriè il messaggio facile da dare ai propri figli quan-do essi ne sentono la bellezza e la semplicitànella parole dei genitori e ne vedono nella loro

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1717GiugnoGiugno20122012

vita esempi concreti e non vuote parole.Anche nelle risposte date agli intervenuti,Accattoli, si è mantenuto in un campo di posi-tività e di stimolo per le famiglie che non devo-no sentirsi assediate. Citando Tertulliano (Apologeticum), ha dimostratocome nel secondo secolo dopo Cristo c’eranotanti dei problemi familiari di oggi. Il primo è che i cristiani sono minoranza. In queltempo erano una minoranza attiva e intrapren-dente, oggi invece siamo una minoranza tristeperché ci sentiamo decadere e diventare sem-

pre meno propositivi, ma non è questo il pun-to. Bisogna invertire la tendenza, vivendo i valo-ri cristiani con intensità e gioia. Con un’altra cita-zione precisa, il relatore evidenzia che in pie-no Rinascimento, Erasmo da Rodderdamlamenta che l’affetto degli sposi viene a man-care prima che essi abbiano il tempo di cono-scersi. Sembra preso da un giornale di gossip.Invece è importante dare gli anticorpi alle fami-glie, mostrare quante sono quelle fedeli, quan-to sono felici, quanto sono generose, come san-no ospitare.

La famiglia cristiana, si avvia alla conclusioneil nostro relatore affondando nel vangelo, nonsi affanna ad accumulare, cerca una vita sobriae comunicativa, povera ma ricca di relazioni. Oggi, pur nelle difficoltà del tempo, ci sono tan-ti aspetti positivi, anche nelle leggi, c’è da fareper la famiglia, ma ci sono cose valide. Nella famiglia non c’è più tanta violenza comenel passato, c’è rispetto, c’è dialogo. E’ il tem-po ritrovato di ogni giorno che si misura solo conl’amore eterno e sempre attuale del nostro Dio,che si è relazionato con noi nella persona di Gesù.

PROPOSTE PER

L’ESTATE 2012DEL CENTRO DI SPIRITUALITÀ

SANTA MARIA DELL’ACERO

26 – 30 agosto 2012

ESERCIZI SPIRITUALI PER ADULTI

“Il mio arco pongo sulle nubi” (Gen 9,13)

30 agosto – 3 settembre 2012

GIORNATE DI PREGHIERA PER I GIOVANI

(18-30 ANNI)

“State sempre lieti nel Signore” (Fil 4,4)

Per informazioni e iscrizioni:sr. Gianna, sr. Monica, sr. Annalisa

(Suore Apostoline Velletri)Tel 06-963.33.24 / 06-96.40.823

[email protected]

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1818 GiugnoGiugno20122012

Ufficio catechistico

LL a Festa del Pane è unodi quegli eventi chericorderemo con gioia,

in cui non c’è stato spazioper la noia e la tristezza, unafesta che ha reso i ragazziprotagonisti coinvolgendo-li in attività divertenti e for-mative. Dopo un’iniziale dif-fidenza, i ragazzi hanno pre-so presto confidenza con i“negozi” speciali dove pren-dere tutto gratuitamente etra il gioco, l’arte, lo sport,il ballo, la solidarietà e l’in-contro con Dio, il tempo èpassato velocemente e l’en-tusiasmo è rimasto vivofino alla fine. Sebbene tut-te le attività abbiano riscosso successo, particolarmente graditi dai ragaz-zi sono stati il ballo, lo sport e lo stand della solidarietà.Significativo è stato l’angolo dell’incontro con Dio, nel quale i ragazzihanno sperimentato la bellezza del silenzio che consente di ascoltarela voce del Signore.Il momento più bello della festa è stato al termine delle attività, quan-

do tutti insieme in proces-sione ci siamo diretti in chie-sa per l’incontro con Gesù. E’ stato emozionante vive-re con i ragazzi di tutta ladiocesi e i loro catechisti unmomento di preghiera inten-so davanti a Gesù Eucaristia,a pochi giorni dalla primaComunione. Durante il viaggio di ritornosul pullman abbiamo raccoltole impressioni sul pomerig-gio trascorso insieme e i ragaz-zi hanno assegnato un bel10 alla festa con l’aggiun-ta della lode per la meren-da con pane e nutella! Dai loro volti sorridenti è venu-ta la conferma del giudizio

positivo e sempre daloro è scaturita larichiesta di poter rivi-vere la stessa esperienzail prossimo anno.

PP ane e vita: è festa; in quste semplici paro-le è contenuto tutto ciò che hanno spe-rimentato, sabato 21 aprile a Santa Maria

dell’Acero, i ragazzi della mia piccola comu-nità che si preparano a ricevere la prima comu-nione.Era per loro la prima esperienza di condivisionecon altre realtà parrocchiali della diocesi, masoprattutto è stato il modo per capire piena-mente cosa significa vedere e ascoltareGesù. Durante la festa hanno sperimentato,attraverso il personaggio del profeta Samueleche, il silenzio è il modo più semplice per sen-tire Gesù che ci chiama, ed hanno poi condi-viso questo silenzio con tutti gli altri ragazzi duran-te l’adorazione Eucaristica.La domenica, durante il catechismo, hanno rac-contato con entusiasmo ai compagni, che nonavevano partecipato, quel momento di festavissuta tra giochi e preghiera.

Marilena, Chiesa di San Francesco, Velletri

POSSIAMO VEDERE GESÙ?CERTO CHE SI!

CCe l’hanno dimostrato i bambini che

quest’anno faranno la loro prima comu-

nione. Trascorrendo un pomeriggio

all’Acero hanno potuto vedere con i propri

occhi che Gesù è presente anche nella dan-

za, nell’arte e nello sport.

A conclusione della giornata la preghiera

ha reso l’incontro ancora più intenso e ric-

co di gioia.

Grazie alla festa questi bambini hanno rag-

giunto una maggiore consapevolezza del-

la presenza di Gesù nella loro vita.

Simone e Roberta Collegiata di Valmontone

L’ufficio catechistico durante l’anno pastorale 2011/2012 ha proposto varie attività alla diocesi, in particola-re gli incontri di formazione per i catechisti che si sono svolti nelle diverse parrocchie. Due sono stati i riti-ri all’Acero, il 24-25 marzo e il 14-15 aprile, per i ragazzi che si preparano a ricevere il sacramento dellaCresima, il tema della due giorni è stato Voglio un sono, voglio un senso...”Vi ho dato l’esempio”.L’ultimo appuntamento, la Festa del Pane, indirizzata ai bambini della prima Comunione, si è svolto il 21

aprile. Seguiranno alcuni articoli di presentazione dei vari incontri e alcune esperienze di catechisti e ani-matori che vi hanno partecipato.

ESPERIENZE DI ANIMATORI CHE HANNO PARTECIPATO ALLA FESTA DEL PANE

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1919GiugnoGiugno20122012

RITIRO DEI CRESIMANDI

Il 24-25 marzo e il 14-15 aprile si sonoincontrati all’Acero i cresimandi di alcune

parrocchie della Diocesi.Voglio un sogno, voglio un senso...

”Vi ho dato l’esempio” è stato il tema dei duegiorni. Lasciamo la parola alle catechiste...

CC osa ti porti dietro dal ritiro della cresima?Cosa rivivresti? Con queste domande rivol-te ai cresimandi, noi catechiste abbiamo

pensato di riassumere e proseguire l’esperien-za della 2 giorni tenutasi lo scorso 14-15 Aprileall’Acero. Esperienza a cui i ragazzi nonostante le diver-se complicazioni che l’età comprende, hanno sor-prendentemente vissuto bene, questo a dimostrare

che anche il giovane più indisciplinato, se segui-to può sostituire la proprio irrequietezza con lavoglia di sapere. Dalle risposte che hanno dato,viene da chiederci, ma non è che i nostri ragaz-zi non hanno nessuno che li stia ad ascoltare eche risponda alle loro domande? Da qui l’idea di ripetere in parte la fase finale delritiro che comprendeva l’incontro con il Vescovoe a cui i ragazzi potevano porre delle domande;domande che per ragioni di tempo lì all’Acero nonè stato possibile trattare completamente e chequindi abbiamo cercato di esaudire tornati a casa.Anche in questo caso i giovani cresimandi han-no dimostrato una certa attenzione e sensibilitàsu determinate tematiche del tipo: cosa c’è dopola morte? Perche un giovane muore? O perché avvengono i miracoli? Oppure anco-ra, domande sulla vita dei consacrati o dei laiciche adempiono a dei ruoli ben precisi verso il pros-simo, curiosità stimolate soprattutto dalle testimonianzedi quattro persone tenutasi lì all’Acero.

Quattro tipi di vocazioni, di realizzazione di sognie d’incontro con Dio nella loro vita che a dettadei ragazzi è stato uno dei momenti più coinvolgentipieno di scambi, informazioni, emozioni e cono-scenza di altre realtà non presenti nella nostraparrocchia. Bella soprattutto la condivisioneattraverso espressioni di pensiero e giochi sia trai ragazzi che con noi catechisti, ma anche conqueste figure incontrate consacrate e non.Molti momenti piacevoli insieme, dal gioco al bal-lo, la proiezione del film la fraternizzazione e leattività proposte, che hanno fatto si che trasfor-massero il luogo in un posto in cui i cresimandianche a detta loro si sentissero accolti.Un’unica voce riassume tutto questo con nostrogrande piacere, cioè la voglia e l’espressione sognan-te nei loro occhi che non vedono l’ora di ripete-re l’esperienza.

Catechiste Parrocchia S. Maria Intemerata Lariano

Esperienza di un’animatrice Valentina Ferracci*

SS arà forse per la completa assenza di campo satellitare, o per tro-varsi completamente circondati da un paesaggio “diverso” da quel-lo quotidiano, oserei direi quasi “narniesco” : fatto sta che credo

di aver passato poco piùdi ventiquattro ore “sospe-sa”. Dimenticarsi di tut-to ciò che lasci prima diarrivare, è accaduto inmaniera semplice espontanea, così comeimmergersi nelle espe-rienze di chi è venuto lìper raccontarsi.... Per una persona cosìpoco loquace, forsetroppo come me è sta-to facile mettersi in unangolo e entusiasmar-

mi nell’ascoltare tutti i pensieri dei nostri ragazzi, i loro sogni, le loro doman-de e i loro sorrisi ... avendo l’opportunità di conoscerli sempre di più; osser-varli “da fuori” , prestando attenzione a tutti quei dettagli di cui spessoneanche ci accorgiamo è stata un’esperienza da “occhioni lucidi”!! Se alcu-

ne cose di quella giornata ora le ricordo meno intensamente, un qual-cosa che non dimenticherò facilmente è di essere tornata a casa con laconvinzione che tutto ciò di cui si è discusso, parlato, disegnato, visto...cre-devo fosse stato pensato per i nostri ragazzi... invece penso di averlo vis-suto in prima persona, come se fosse stato pensato anche per me; conqualche anno in più ho avvertito quelle parole, quelle esperienze, e queigesti con grande intensità. Per tutto ciò sono felice di con-fermare come verità assoluta lafrase sulle esperienze di vari cam-pi all’ Acero, che spesso ho sen-tito dire prima di partire: “ i ragaz-zi bisogna convincerli ad anda-re e tirarli via quando è l’ora ditornare a casa....” vale per me,ed è stato entusiasmante veder-lo confermato dai miei ragaz-zi... Per tutto questo se pensoal nostro breve soggiorno, miritrovo a canticchiare:“Ho imparato a sognare, quan-do inizi a scoprire che ognisogno ti porta più in là oltremuri e confini ho imparato asognare da là...”

*Chiesa Ss Giuseppe eVitaliano p. Segni

PERCHE’ PROGRAMMARE…

GGli incontri di formazione proposti dall’ufficiocatechistico hanno avuto ad oggetto laprogrammazione di un’unità di catechesi.

La scelta è stata adottata partendo dalle esigenzemanifestate dai catechisti negli incontri dell’an-no precedente. In particolare, si è ritenutoimportare fornire i criteri per elaborare,attraver-so la tecnica laboratoriale, una parte del per-corso formativo, ponendo al centro non i con-tenuti, ma i ragazzi. Il “quotidiano” va tenuto sem-pre presente dai catechisti perché è il luogo del-

l’incontro tra Dio e l’uomo e se non si tiene con-to della realtà si costruiscono castelli in aria. Gliincontri, svolti a livello cittadino, sono stati arti-colati in due momenti. Nel primo si sono presentatele caratteristiche della programmazione e le moda-lità di eseguirla nelle varie fasi: partire dall’ana-lisi della situazione dei ragazzi a livello familia-re, scolastico e sociale, definire gli obiettivi, il ragaz-zo non solo conosce,ma matura un atteggiamento,scegliere i contenuti, adottare le metodologie rite-nute più idonee, scegliere i materiali ed i tempidi attuazione. Nel secondo incontro i catechisti, insieme, effet-

tuavano una vera programmazione, utilizzandoi materiali messi a disposizione, come riviste esiti internet, oltre al testo di catechesi. L’esperienza,anche se limitata nei tempi, è stata significativaperché ha offerto l’opportunità di un lavoro comu-ne, che non in tutte le comunità parrocchiali avvie-ne, ed ha stimolato una riflessione sula catechesi,oggi, che non dovrebbe limitarsi ad offrire infor-mazioni sulla fede ma a far crescere nella fede,facendo maturare il senso della vita secondo ilvangelo, a sviluppare motivazioni profonde percredere e sperare, a favorire valide ragioni perimpegnarsi e servire gli altri nella Chiesa per ilmondo.

Ufficio catechistico

INCONTRI DI FORMAZIONE PER I CATECHISTI DELLA DIOCESI PER L’ANNO PASTORALE 2011/2012

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2020 GiugnoGiugno20122012

Fabricio Cellucci*

II talo Calvino in perché leg-gere i classici nel capitoloin cui parla dell’Odissea, come

viaggio di ritorno di Ulisse , trat-ta dell’argomento della memoriaaffettiva nel precisare che La memo-ria conta veramente- per gli indi-vidui, le collettività e le società-solo se si tiene insieme l’improntadel passato e il progetto del futu-ro, se permette di fare senza dimen-ticare quel che si voleva fare, didiventare senza smettere diessere, di essere sempre senzasmettere di diventare.In Seminario il discernimento aiu-ta anche nel compiere un nuo-vo viaggio verso casa: la sceltadi camminare in seminario nell’approfondimento sulla propria vocazio-ne, progetto unico e irripetibile dell’Amore del Signore, permette unanovità di vita, ci dice la nuove vocazioni per una nuova europa al nume-ro 37, ma è anche segno (il discernimento che si compie) del recupe-ro della propria identità, anzi viene aggiunto che, si compie quasi unritorno a casa alle radici dell’IO. Troviamo simboleggiato questo nel bra-no dei discepoli di Emmaus in cui possiamo leggere […] e fecero ritor-no a Gerusalemme.Camminare nella propria storia e farla illuminare dal Signore, per sco-prire il filo rosso che da sempre siamo legati a Lui che è , la via veritàe la vita. Visitare tutta la nostra storia, nulla è escluso dallo sguardo diDio, che come amico e compagno di viaggio, quindi come il poeta Virgiliocon Dante per usare un immagine che conosciamo, ci accompagna.In un cammino vocazionale dove scoprire e rispondere da credenti allavocazione al sacerdozio ministeriale significa avere la perseveranza dicamminare per trovare la pietra su cui è scritto il proprio nome (cfr Ap2, 17-18) oppure tornare alle sorgenti dell’io.

Compiere un cammino per sco-prirsi e comprendere sempre meglioche prima di tutto siamo Mistero,nell’accezione paolina del termine.Io non un altro sono chiamato,il Signore chiama me e non unaltro, davanti a Lui non possia-mo delegare ognuno è respon-sabile per se della chiamata par-ticolare che il Signore lo invitaa mettersi in gioco per arrivarealla salvezza, in quel modo tut-to speciale che fin dal principioè pensato per quella determinatastoria. Nel cammino di seminario que-sto si declina nell’acquisire com-petenze teologiche, spirituali,pastorali, ma ci ricordava non mol-to tempo fa il nostro rettore anche

nel fare un cammino di chiarezza che si muovono nel nostro cuore, allaluce di un obbiettivo di raggiungere quella pace capace di stabilità nelcamminare sulla strada della mia vita, sai nel tempo sereno sia quan-do sembra approssimarsi un terremoto, che possa destabilizzare la nostraabitazione. Allora è necessario verificare lo stato della mia casa: maga-ri so di non avere la casa migliore, ma conoscendone i limiti e le poten-zialità, so come prendermi cura di essa in occasioni problematiche opericolose. Tutto per scoprirci e poter vivere in pace: capaci di fare iconti con quello che siamo, fare i conti con noi stessi, raggiungere laconsapevolezza sufficiente delle nostre risorse e delle nostre faticheche ci permette di verificarci e poter guardare il cammino che faccia-mo e vedere se stiamo andando nella giusta direzione o magari il Signoreci sta chiedendo altro.Tutto alla lice dell’obbiettivo essere e crescere in Gesù, per vivere l’e-sperienza della vera pace:

Egli infatti, è la nostra pace (Ef 2, 14).O Dio, fonte dei ogni comunione,

nessuno ha nulla da dare ai fratelli se prima non comunica con Te;

donaci il tuo Spirito, vincolo di perfetta unità,

perché ci trasformi nell’umanitànuova libera e unità nell’Amore.

*Seminarista diocesano

Nell’immagine del titolo: “La scomparsa” di Arcabas,

dal ciclo pittorico di Torre de’ Roveri,dedicato ai Pellegrini di Emmaus

(1993-1994)

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2121GiugnoGiugno20122012

Sr. Apostoline Velletri

In questo numero ci apria-mo alla missione! Sr. Fernanda Tettamanzi,delle Missionarie di Maria– Saveriane – ci aiuta a com-prendere il cuore della voca-zione missionaria, a par-tire dalla domanda di unaragazza che chiede diessere aiutata nel discer-nimento.

«Partire per la missionemi attira… sarà vocazione o slancio di solidarietà?»(Giulia)

PPartire per la missione: perché partire? perche cosa? come? quale missione? Sonodomande che nascono quando il desiderio

è bello e vero.Conta molto la decisione di ascoltare con atten-zione, di uscire da te stessa. Ascoltare il Signoreche ti parla attraverso la Scrittura, gli avveni-menti, le persone. È importante tenere apertala domanda, disporsi a lasciarsela modificaree a verificare la direzione del viaggio.Lo slancio di solidarietà è espressione di un cuo-re sensibile, disponibile a recare aiuto a chi sof-fre. Se, nel coltivare tale atteggiamento, ti man-tieni in ascolto, con umiltà e desiderio di auten-ticità, ti accade una sorpresa sconvolgente. Scopriche è Dio che ti viene incontro, si dona a te, timostra il suo volto in Gesù di Nazaret. Lui ti atten-de nel povero. Ti accorgi allora che il tuo volerfare qualcosa per gli altri va misurato sul Suoessere dono per te, per ciascuno.

Che cosa è la missione…Scopri così che missione è, prima di tutto, entra-re in un dono gratuito che ci precede e ci sostie-ne. La missione nasce dall’incontro intimo, per-sonale, trasformante con il Signore Gesù. Primache un nostro operare, è un contemplare l’o-pera amorosa di Dio, ciò che lui ha fatto e faper te, per l’umanità. Maria ce lo insegna, nelcanto del Magnificat.

Missione è essere segno del Suo amore.Solidarietà efficace è “servire l’uomo rivelandoglil’amore di Dio che si è manifestato in Gesù Cristo”(Redemptoris missio n. 2). Senza la carità diDio l’andare ad aiutare resta in balìa delle emo-zioni del momento e facilmente si riduce a unosterile avvitarsi sulla ricerca solo della propriarealizzazione.

Che cosa porta la missione…Se vai portando la solidarietà del Signore, ti accor-gi che, mentre ti chini sulle ferite degli altri, vie-ni tu stessa risanata. Tuoi maestri sono i “pic-coli” che sanno di aver bisogno di Dio, mentrei “grandi” credono di arrangiarsi da soli. «Voglio anch’io conoscere il tuo Dio», si è sen-tita dire una mia sorella che, con la sua presenzadi cura amorevole, svelava il volto della mise-ricordia a un uomo sofferente e solo. Che lo sap-pia o no, questo mondo complesso e affasci-nante, tribolato e desideroso di vita vera, cer-ca lo sguardo d’amore di Dio.L’apertura alla missione, come avventura di fedee di amore, diventa anche spazio di scopertadella tua identità, del nome che da sempre Dioha scelto per te. È rivelazione che puoi coglie-re in un clima di ascolto orante, di confronto edi disponibilità generosa. Se hai incontrato Gesù e ti lasci guardare daLui, senti che Lui riempie di senso e di gioia latua vita. Cogli la portata liberante del suo Vangelo,pienezza di umanità, dono destinato a tutti. Certe parole del Vangelo, sembrano poi scrit-te in grassetto per te: Gesù «ne costituì Dodici– che chiamò apostoli – perché stessero conlui e per mandarli…» (Mc 3,14-15); «Andate dun-que e fate discepoli tutti i popoli…» (Mt 28,19).

“Andare” come consacrato o come sposato? Ascolta, prega.La prospettiva del matrimonio ti appare bella epossibile. Il Vangelo, colto come la perla pre-ziosa, il bene più urgente e necessario per tut-ti, ti muove a una dedizione totale alla sua cau-sa. Ti può accadere che lo sguardo d’amore delSignore ti rapisca il cuore. Risuonano intensidentro di te gli appelli avvertiti nell’ascolto oran-te di quelle parole della Scrittura, nell’incontrocon quei testimoni della missione.Non puoi stare tranquillo sapendo che molti atten-

dono di cono-scere a imma-gine di Chi sonofatti, vedendoquei volti sfigu-rati. Tanti sonoi vuoti di annun-cio e di com-passione. La convinzionesentita di esse-re amato e scel-to dal Signore tispinge a unaconsegna tota-le a Lui. È forte l’impul-so interiore adappartenergli inmodo esclusivo,

a scegliere la sua modalità d’amare, diventan-do spazio di fraternità per chiunque. Perché si affretti la riunione dell’unica famigliadei figli e delle figlie di Dio. Scatta allora la deci-sione che scioglie l’incertezza, nell’affidamen-to totale a Colui che ti chiama.

Cosa comporta la missione…Certo, occorre l’umiltà di confrontarsi con per-sone sagge per una realistica conoscenza dite stesso, delle tue motivazioni, capacità e limi-ti. La consacrazione per la missione, implican-do un partire anche fisico, esige la disponibili-tà a lasciare la propria terra, a distaccarsi dal-la propria famiglia d’origine e cultura. Comporta la sfida dell’incontro con l’altro: altrepersone, altra cultura, altro ambiente. Richiedela capacità di andare incontro all’altro nell’ascolto,nel rispetto, nella stima, con un sereno e chia-ro senso della propria identità. Mentre offri ciòche sei, vieni arricchito dal dono che l’altro èper te, con la sua fede e visione di vita. Dopo un’opportuna ponderazione decidi allo-ra di mettere in gioco la tua vita, per farne undono d’amore, appoggiato al Signore che ti tie-ne per mano. La scelta, qualunque essa sia, sarà da alimentaree rinnovare ogni giorno. Potrai sempre conta-re sulla Sua fedeltà e sulla Sua forza.

www.saveriane.it(da SE VUOI 3/2010)

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2222 GiugnoGiugno20122012

Claudio e Teresa Barone

MMi è stato chiesto di scrivere della miavocazione al diaconato permanente.È la prima volta che lo faccio e ricor-

ro alla forma umile della testimonianza. Trovodifficoltoso scrivere di cose che sento mol-to personali. Forse è bene che mi presentio meglio, che ci presentiamo: siamo ClaudioBarone e Teresa. Siamo approdati in questa Diocesi nell’ago-sto del 1990 insieme ai nostri figli Cristiane Ilenia; certo allora, almeno io, ero, comesi suol dire, abbastanza lontano dallaChiesa. Ero uno dei tanti cristiani battezzati, che han-no frequentato la parrocchia da ragazzi maormai non più frequentanti né tantomeno voglio-si di avere contatti con certe realtà presbi-terali! Il mio lavoro mi portava spesso a sta-re fuori casa. Nel 1997, dopo vari inviti da parte di amicia mandare la figlia a catechismo per la cre-sima, l’accompagnai a casa di questi amiciche la portavano al catechismo insieme alle

loro figlie e dopo si ripassava a casa loro perriprenderla. Poi iniziai ad accompagnarla iostesso presso la parrocchia di San GiovanniBattista in Velletri.È iniziato così il mio cammino verso Cristoo, come dice un canto, forse era Cristo chesi stava facendo vicino (o ero io che fino adallora mi ero rifiutato di ascoltarlo?). In seguito ho accompagnato sempre io stes-so mia figlia e piano piano, ed in modo qua-si inconsapevole, mi sono trovato sulla stra-da del ritorno a Cristo. Questo ritorno a Cristo si è rivelato come unabrace che cova sotto la cenere, ma tanta, tan-ta cenere, e proprio come la brace, una vol-ta venuta all’aria, inizia ad ardere e si tra-sforma in un fuoco che si autoalimenta e chediventa impossibile arginare se non a rischiodi ustionarsi sempre di più, così mi sono sen-tito sempre più coinvolto al punto che nonpotevo più fare a meno di passare, anche soloper qualche minuto, in chiesa davanti alSantissimo. È stato così che mi sono trovato a conoscerel’esistenza del Rinnovamento nello Spirito Santo

e del suo modo diessere parte dellaChiesa. Ho inizia-to a leggere laBibbia quasi comeun qualsiasi libro,ma ho dovuto farei conti con la miainadeguatezza allacomprensione deitesti senza qualcunoche me li spie-gasse, quindi chie-si a don Dariocome fare e lui sem-plicemente mi invi-tò a frequentare deicors i pressol’I.S.S.R. di Velletrialmeno per tenta-re di meglio com-prendere quel cheleggevo. Ormai la messadomenicale e festi-va era diventata unbisogno primario eTeresa, mia moglie,iniziò anch’essa avenire con me. Una domenica fui

invitato a leggere dall’ambone, sebbene sor-preso, dissi di sì. Ormai cominciavo a sen-tirmi parte integrante di quella parrocchia edella comunità che la formava.Il 1° gennaio del 2000 (e chi se lo scorda!)fui invitato a far servizio all’altare; cosa stra-na, non ricordo la data della prima volta chefui indicato quale ministro straordinario perl’eucarestia durante una celebrazione di unafestività che ora non ricordo, ma quel che ricor-do, e molto chiaramente, è la sudarella fred-da che mi prese ed il gran timore accompagnatoda un tremore intimo, al pensiero che dove-vo distribuire Cristo sotto la forma del PaneEucaristico ad una parte dei fedeli presen-ti! (questo timore mi accompagna ancora oggie non so se passerà mai). Con mio dispiacere fu decretata la chiusu-ra dell’I.S.S.R., quindi mi sono trovato sen-za scuola. Con Teresa iniziammo a far par-te della Caritas parrocchiale a cui partecipoancora oggi, sebbene si possa dire più “albisogno” mentre Teresa lo fa in modo con-tinuativo. Ultimamente Teresa ed io abbiamo seguitoinsieme il corso per ministri straordinari perl’Eucaristia. Nel 2008 mi fu proposto di intraprendere ilcammino per il diaconato permanente che hoaccettato con gioia, gioia condivisa ampia-mente da Teresa. Nel frattempo iniziai a fre-quentare dei corsi presso il PontificioCollegio Leoniano di Anagni nell’attesa chesi stabilisse il cammino di formazione per i

continua a pag. 23

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2323GiugnoGiugno20122012

Sara Lanna

II l cammino di risposta alla personale voca-zione all’amore è la realtà più autenti-ca, affascinante, misteriosa e alta del-

la nostra vita. E’ anche l’unica che può dareun senso profondo e un compimento vero aciò che siamo e desideriamo vivere. Perché dall’Amore siamo stati creati e a que-sto siamo chiamati.Il 28 aprile 2012, vigilia della Giornata Mondialedi preghiera per le Vocazioni, la nostra chie-sa diocesana si è riunita ad Artena, nella chie-sa del Rosario, per pregare per le vocazio-ni. “Rispondere all’Amore si può” è il temaproposto quest’anno dal Centro Nazionale perle Vocazioni. La veglia, preparata dal Centro DiocesanoVocazioni, è stata articolata in tre momenti:la memoria dell’amore, o amore come eros,in cui abbiamo meditato come Dio abbia mes-so nel cuore dell’uomo il desiderio di trova-re compimento al proprio desiderio in un altroessere che gli sia complementare; l’amorecon philia, amicizia, grazie alla quale gli uomi-ni si riconoscono come fratelli e si sentonopartecipi di un’unica vocazione che è amo-re; l’amore come agape, ovvero l’amore chesi dona senza chiedere nulla in cambio. Mentre il primo e il secondo momento sonostati simboleggiati dalle fedi nuziali il primo,l’olio profumato il secondo, portati all’altare;il terzo momento è culminato nella contem-plazione dell’Amore: è stata svelata l’imma-gine del volto di Cristo, il Cristo del crocifissodi S. Damiano.I testi, le preghiere, i canti, le testimonian-ze e i simboli scelti hanno contribuito la rap-presentativa comunità diocesana a pregare

insieme per il dono di vocazioni nella chie-sa e per essere capaci di rispondere piena-mente alla vocazione all’amore.Anche questa Veglia diocesana ha dimostratocome la preghiera insieme, la testimonian-za e il supporto reciproco, cercare e trova-re luoghi e opportunità di ascolto dell’Amore

che chiama sono fondamentali se si desideravivere e camminare per dare compimento alprogetto d’amore che Dio ha per ciascunodi noi.

diaconi nella diocesi.Dal 2007 sono ormai in pensione così mi sonpotuto dedicare a realizzare un desiderio cheavevo nel cuore dal 2000, l’anno della GMGche si tenne a Roma, cioè partire per riper-correre a piedi gli antichi sentieri di un Camminomedievale che porta alla tomba dell’ApostoloSan Giacomo il Maggiore.A fine agosto 2009, avendo già percorsoil Cammino francese, partii per il pellegrinaggioa Santiago di Compostela percorrendo la Viade La Plata partendo da Siviglia e calcan-do le antiche vie Pecuarie e molti tratti di CalzadaRomana e percorrendo il Sanabres. Durante il cammino si hanno molte possibilitàdi stare soli e poter pensare e pregare, oltread incontrare persone di tutto il mondo e che,dopo nemmeno cinque minuti sembra di cono-scere da sempre, pur non sapendo neanche

il nome o la professione!Al mio ritorno, metà ottobre, trovai la gra-dita sorpresa che finalmente era stato pia-nificato un percorso per gli aspiranti al dia-conato! Ora continuo a frequentare dei cor-si al Pontificio Collegio Leoniano di Anagnie altri corsi presso il centro di formazioneteologica in Velletri. Devo dire che non è facile, specie per chicome me ha la memoria che ogni tanto, spes-so, comincia a far cilecca, ma come scrittoai piedi del quadro della Divina Misericordiadico: “Signore, io confido in te!” E nel frattempo continuo a servirlo come meglioposso e quando diventa pesante, mi affidoal salmo 23: “il Signore è il mio pastore nonmanco di nulla!”

segue da pag. 22

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2424 GiugnoGiugno20122012

Suore del Monastero“Madonna delle Grazie” di Velletri

«Nella Chiesa antica esisteva la consuetudine che il vescovo o il sacerdote dopo

l’omelia esortasse i fedeli esclamando: “Conversi ad Dominum“ -

volgetevi ora verso il Signore. Ciò significava anzitutto che essi si voltassero

verso l’oriente, nella direzione da cui sorge il solein quanto segno di Cristo che ritorna,

all’incontro con il quale noi andiamo nella celebrazione eucaristica.

Dove per qualche ragione questo non era possibile, essi volgevano lo sguardo all’immagine di Cristo

nell’abside oppure alla croce, per orientarsi verso il Signore.

Perché, in definitiva, si trattava di questo fatto interiore: della conversio, del dirigere

la nostra anima verso Gesù Cristo e, in questo modo, verso il Dio vivente,

verso la luce vera».1

QQueste parole del Santo Padre Benedetto XVI nell’omelia del-la Veglia Pasquale del 2008, ci permettono di entrare nel temaproposto che è l’Offertorio della Santa Messa, qui trattere-

mo soltanto brevemente alcuni aspetti. Dopo la processione offertoriale vi è da parte del sacerdote il gestodell’elevazione dei doni e delle orazioni che lo accompagnano: «Benedettosei tu, Signore, Dio dell’universo. Dalla tua bontà abbiamo ricevu-to questo pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Lo presentiamo a te perché diventi per noi cibo di vita eterna».Il contenuto delle preghiere è collegato con le orazioni che gli ebreirecitavano a tavola. Orazioni che, nella forma di benedizioni, han-no per punto di riferimento la Pasqua di Israele e sono pensate, decla-mate e vissute pensando ad essa.Questo suppone che esse sono state scelte in quanto anticipazio-ne silenziosa del mistero pasquale di Gesù Cristo. Per questo, la preparazione e la realtà definitiva del sacrificio di Cristosi compenetrano in queste parole. Nello stesso tempo, «portiamoall’altare anche la sofferenza e il dolore del mondo, coscienti chetutto è prezioso agli occhi di Dio». In realtà, «il celebrante, in quanto ministro del sacrificio, è l’auten-tico sacerdote, che porta a compimento - in virtù del potere speci-fico della sacra ordinazione - il vero atto sacrificale che conduce dinuovo tutti gli esseri a Dio. Invece coloro che partecipano all’Eucaristia, senza sacrificare comelui, offrono assieme a lui, in virtù del loro sacerdozio comune, i pro-pri sacrifici spirituali, rappresentati dal pane e dal vino, dal momen-to della loro preparazione sull’altare».Il pane e il vino diventano, in un certo senso, simbolo di tutto ciòche l’assemblea eucaristica in quanto tale porta in offerta a Dioe che essa offre in spirito. Questa è la forza ed il significato spirituale della presentazione deidoni. In questa linea si comprende l’incensazione dei doni colloca-ti sull’altare, della croce e dell’altare stesso, che significa l’oblazio-ne della Chiesa e la sua preghiera, che salgono come incenso ver-so la presenza di Dio.«Si comprende ora meglio perché la Liturgia Eucaristica, con il suovalore di presentazione e di offerta della creazione e di se stes-si a Dio iniziasse, nella Chiesa antica, con l’acclamazione: Conversiad Dominum - dobbiamo sempre allontanarci dai cattivi sentie-ri sui quali tanto spesso ci incamminiamo con i nostri pensierie le nostre opere. Dobbiamo invece sempre dirigerci verso di Lui. Dobbiamo esseresempre convertiti, con la nostra vita intera diretta verso Dio».Questo cammino di conversione, deve essere più intenso ed imme-diato nel momento previo alla Preghiera Eucaristica, giacché il gestodi presentazione dei doni e l’atteggiamento con cui si realizza, sti-molano il desiderio di conversione e di oblazione di sé.E’ il nostro più vivo desiderio che possiamo partecipare tutti più coscien-temente e fruttuosamente ad ogni Santa Messa!

1 Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche della Santa Sede, Il Sacerdote nell’offertorio della S. Messa.

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mons. Franco Fagiolo*

DDopo la presentazione del-la parte musicale dellanuova versione del Rito

delle Esequie, ci fermiamo unmomentino su cosa e comecantare ai funerali. Naturalmente, come dovrebbe sem-pre accadere, bisogna prima ditutto considerare bene le circo-stanze, le persone che vi parte-cipano, il tipo di assemblea chesi raduna. Il carattere della musi-ca dovrebbe ispirare un senso diserenità e di pacificazione, evi-tando tutto quello che può sem-brare lacrimevole, funebre. E ricordiamoci che anche in que-ste particolari circostanze, difondamentale importanza è la par-tecipazione al canto da parte ditutta l’assemblea. Ciò non toglieche, avendo a disposizione il Coro,in qualche momento l’assembleapossa partecipare anche soltantocon l’ascolto.Prima di tutto, come in tutte le cele-brazioni, la prima preoccupazione è quella dieseguire in canto i dialoghi tra il celebrante el’assemblea, le acclamazioni (canto al Vangelo,Santo, anamnesi, dossologia), l’Agnello di Dioalla frazione del pane (e invece, purtroppo, tan-te volte si fa spazio a un canto per lo scambiodel segno della pace, tralasciando l’Agnello diDio che è un canto rituale!!!!!). E, come al solito, sono da preferire quelle melo-die abituali, per favorire al massimo la parteci-pazione dell’assemblea.Grande importanza, e non soltanto alla messaesequiale, deve essere data al canto del Salmoresponsoriale. Da qualche anno, raccomanda-to da più parti, si sta insistendo molto per ripor-tare in auge questo canto rituale. Contributi diriflessione e proposte musicali di diverso tiposono ormai a disposizione degli animatori musi-cali. Anche la nuova versione del Rito delle Esequiene propone diversi, musicati appositamente perl’occasione. È difficile e impegnativo cantare il Salmo respon-soriale, lo sappiamo tutti. Ma mai si cominciae mai diventa un fatto normale, consueto. Intantocominciamo con il cantare almeno il ritornello:ce ne sono tanti, per tutti i gusti e per ogni cir-costanza. Basta cominciare! Il Salmo respon-soriale è la risposta dell’assemblea a Dio cheparla nelle scritture.Infatti è la Parola di Dio che proclama il miste-ro pasquale, dona la speranza di incontrarci anco-ra nel regno di Dio, ravviva la pietà verso i defun-ti ed esorta alla testimonianza di una vita vera-mente cristiana. E questa Parola esige una rispo-sta: “Per esprimere il dolore e per promuove-re con efficacia la fiducia, nei riti per i defuntila Chiesa ricorre soprattutto alla preghiera deiSalmi” (Premesse al rito delle Esequie n. 12).Merita particolare attenzione il Canto di com-

miato, particolarmente raccomandato dal Rito:è questo un momento importante e difficile!Probabilmente, il rituale della celebrazione deifunerali, già da tempo, è stato forse il primo aproporre un canto rituale proprio: si tratta delcanto del commiato.È l’ultimo saluto rivolto dalla comunità cristia-na a un suo membro, prima che il corpo ven-ga portato alla sepoltura. È vero che c’è sem-pre, nella morte una separazione, ma i cristia-ni, membra come sono di Cristo e una sola cosain lui, non possono essere separati neppure dal-la morte. Deve essere un canto che si presti,per il testo e la melodia, a essere eseguito da

tutti, in modo che tutti lo sentano come un momen-to culminante del rito (cfr. Premesse Rito del-le Esequie nn. 10-11).Dopo queste importanti, doverose e significa-tive riflessioni sul canto nella celebrazione ese-quiale (Ecclesia maggio e giugno 2012), al pros-simo numero, concretamente, titoli e autori peruna giusta e dignitosa scelta di canti per la cele-brazione dei funerali.

*Responsabile Diocesano del Canto per la Liturgia

[email protected]

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2626 GiugnoGiugno20122012

SACRA CONGREGAZIONEPER LA DOTTRINA

DELLA FEDE

NORME PER PROCEDERENEL DISCERNIMENTO

DI PRESUNTEAPPARIZIONI

E RIVELAZIONI

Prefazione1. La Congregazione per la Dottrina della Fedesi occupa delle materie che hanno attinenza conla promozione e la tutela della dottrina della fedee della morale, ed inoltre è competente per l’e-same di altri problemi connessi con la disciplinadella fede, come i casi di pseudo-misticismo,di asserite apparizioni, di visioni e messaggi attri-buiti a origine soprannaturale. In ottemperan-za a quest’ultimo delicato compito affidato alDicastero, ormai oltre trent’anni fa furono pre-parate Normae de modo procedendi in diudi-candis praesumptis apparitionibus ac revela-tionibus.Il Documento, deliberato dai Padri dellaSessione Plenaria della Congregazione, fu appro-vato dal Servo di Dio Papa Paolo VI il 24 feb-braio 1978 e conseguentemente emanato dal Dicasteroil giorno 25 febbraio 1978. A quel tempo le Normefurono inviate alla conoscenza dei Vescovi, sen-za darne una pubblicazione ufficiale anche inconsiderazione del fatto che esse riguardano inprima persona i Pastori della Chiesa.2. Come è noto, con il passare del tempo, ilDocumento, è stato pubblicato in alcune ope-re su detta materia, in più di una lingua, ma sen-za l’autorizzazione previa di questo Dicasterocompetente. Oggi bisogna riconoscere che i prin-cipali contenuti di questo importante provve-dimento normativo sono di pubblico dominio.Questa Congregazione per la Dottrina della Fedeha ritenuto pertanto opportuno pubblicare le sud-dette Norme, provvedendo ad una traduzionenelle principali lingue.3. La attualità della problematica di esperien-ze legate ai fenomeni soprannaturali nella vitae nella missione della Chiesa è stata rilevata ancherecentemente dalla sollecitudine pastorale dei

Vescovi radunati nella XII Assemblea Ordinariadel Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio nel-l’ottobre 2008. Tale preoccupazione è stata rac-colta dal Santo Padre Benedetto XVI, inserendolanell’orizzonte globale dell’economia della sal-vezza, in un importante passaggio dell’EsortazioneApostolica Post-sinodale Verbum Domini.Sembra opportuno ricordare qui tale insegna-mento del Pontefice, da accogliere come invi-to a dare conveniente attenzione a quei feno-meni soprannaturali, cui si rivolge anche la pre-sente pubblicazione:«La Chiesa esprime la consapevolezza di tro-varsi con Gesù Cristo di fronte alla Parola defi-nitiva di Dio; egli è “il Primo e l’Ultimo” (Ap1,17). Egli ha dato alla creazione e alla storiail suo senso definitivo; per questo siamo chia-mati a vivere il tempo, ad abitare la creazionedi Dio dentro questo ritmo escatologico dellaParola; “l’economia cristiana dunque, in quan-to è l’Alleanza nuova e definitiva, non passe-rà mai, e non è da aspettarsi alcun’altra rive-lazione pubblica prima della manifestazione glo-riosa del Signore nostro Gesù Cristo (cfr 1 Tm6,14 e Tt 2,13)” (Dei Verbum, 4). Infatti, come hanno ricordato i Padri duranteil Sinodo, la “specificità del cristianesimo si mani-festa nell’evento Gesù Cristo, culmine dellaRivelazione, compimento delle promesse di Dioe mediatore dell’incontro tra l’uomo e Dio. Egli‘che ci ha rivelato Dio’ (Gv 1,18) è la Parolaunica e definitiva consegnata all’umanità” (Propositio4). San Giovanni della Croce ha espresso que-sta verità in modo mirabile: “Dal momento incui ci ha donato il Figlio suo, che è la sua uni-ca e definitiva Parola, ci ha detto tutto in unasola volta in questa sola Parola e non ha piùnulla da dire ... Infatti quello che un giorno dice-va parzialmente ai profeti, l’ha detto tutto nelsuo Figlio, donandoci questo tutto che è il suoFiglio. Perciò chi volesse ancora interrogare ilSignore e chiedergli visioni o rivelazioni, nonsolo commetterebbe una stoltezza, ma offen-derebbe Dio, perché non fissa il suo sguardounicamente in Cristo e va cercando cose diver-se e novità” (Salita al Monte Carmelo, II, 22)».Tenendo presente quanto sopra, il Santo PadreBenedetto XVI rileva:«Il Sinodo ha raccomandato di “aiutare i fede-li a distinguere bene la Parola di Dio dallerivelazioni private” (Propositio 47), il cui ruo-lo “non è quello... di ‘completare’ laRivelazione definitiva di Cristo, ma di aiu-tare a viverla più pienamente in una deter-

minata epoca storica”(Catechismo della ChiesaCattolica, 67). Il valore delle rivelazio-ni private è essenzialmentediverso dall’unica rive-lazione pubblica: questaesige la nostra fede; in essainfatti per mezzo di paro-le umane e della media-zione della comunitàvivente della Chiesa, Dio

stesso parla a noi. Il criterio per la verità di unarivelazione privata è il suo orientamento a Cristostesso. Quando essa ci allontana da Lui, allo-ra essa non viene certamente dallo Spirito Santo,che ci guida all’interno del Vangelo e non fuo-ri di esso. La rivelazione privata è un aiuto perquesta fede, e si manifesta come credibile pro-prio perché rimanda all’unica rivelazione pub-blica.Per questo l’approvazione ecclesiastica di unarivelazione privata indica essenzialmente cheil relativo messaggio non contiene nulla checontrasti la fede ed i buoni costumi; è leci-to renderlo pubblico, ed i fedeli sono auto-rizzati a dare ad esso in forma prudente laloro adesione. Una rivelazione privata puòintrodurre nuovi accenti, fare emergere nuo-ve forme di pietà o approfondirne di anti-che.Essa può avere un certo carattere profetico (cfr1 Tess 5,19-21) e può essere un valido aiuto percomprendere e vivere meglio il Vangelo nel-l’ora attuale; perciò non lo si deve trascurare.È un aiuto, che è offerto, ma del quale non èobbligatorio fare uso. In ogni caso, deve trat-tarsi di un nutrimento della fede, della speran-za e della carità, che sono per tutti la via per-manente della salvezza (cfr Congregazione perla Dottrina della Fede, Il messaggio di Fatima,26 giugno 2000: Ench. Vat. 19, n. 974-1021)»[1].4. È viva speranza di questa Congregazione chela pubblicazione ufficiale delle Norme per pro-cedere nel discernimento di presunte appari-zioni e rivelazioni potrà aiutare l’impegno deiPastori della Chiesa cattolica nell’esigente com-pito di discernimento delle presunte apparizionie rivelazioni, messaggi e locuzioni o, più in gene-rale, fenomeni straordinari o di presunta originesoprannaturale. Nel contempo si auspica che iltesto possa essere utile anche ai teologi ed agliesperti in questo ambito dell’esperienza viva del-la Chiesa, che oggi ha una certa importanza enecessita di una riflessione sempre più appro-fondita.William Card. LevadaPrefettoCittà del Vaticano, 14 dicembre 2011, memoria liturgica di SanGiovanni della Croce.[1] Esortazione Apostolica Post-sinodale Verbum Domini sulla Paroladi Dio nella vita e nella missione della Chiesa, 30 settembre 2010,n. 14: AAS 102 (2010) 695-696 Al riguardo si vedano anche ipassi del Catechismo della Chiesa Cattolica dedicati al tema (cfrnn. 66-67).

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Nota preliminare Origine e carattere

delle Norme

Durante la Sessione Plenaria annuale del novem-bre 1974, i Padri di questa Sacra Congregazionehanno esaminato i problemi relativi alle presunteapparizioni e alle rivelazioni spesso loro con-nesse, e sono pervenuti alle seguenti conclu-sioni:1. Oggi, più che in passato, la notizia di que-ste apparizioni si diffonde rapidamente tra i fede-li grazie ai mezzi di informazione (massmedia). Inoltre, la facilità degli spostamenti favo-risce e moltiplica i pellegrinaggi. L’Autorità eccle-siastica è perciò chiamata a pronunciarsi in meri-to senza ritardi.2. D’altra parte, la mentalità odierna e le esi-genze scientifiche e quelle proprie dell’indagi-ne critica rendono più difficile, se non quasi impos-sibile, emettere con la debita celerità i giudiziche concludevano in passato le inchieste in mate-ria (constat de supernaturalitate, non constat desupernaturalitate) e che offrivano agli Ordinarila possibilità di autorizzare o proibire il culto pub-blico o altre forme di devozione tra i fedeli.Per queste ragioni, affinché la devozionesuscitata tra i fedeli da fatti di questo generepossa manifestarsi nel rispetto della piena comu-nione con la Chiesa e portare frutti, dai qualila Chiesa stessa possa in seguito discernerela vera natura dei fatti, i Padri hanno ritenutodi dover promuovere in materia la seguente pro-cedura.Quando l’Autorità ecclesiastica venga informatadi qualche presunta apparizione o rivelazione,sarà suo compito:a) in primo luogo, giudicare del fatto secondocriteri positivi e negativi (cfr. infra, n. I);b) in seguito, se questo esame giunge ad unaconclusione favorevole, permettere alcunemanifestazioni pubbliche di culto o di devozio-ne, proseguendo nel vigilare su di esse con gran-de prudenza (ciò equivale alla formula: «pro nuncnihil obstare»);c) infine, alla luce del tempo trascorso e del-l’esperienza, con speciale riguardo alla fecon-dità dei frutti spirituali generati dalla nuova devo-zione, esprimere un giudizio de veritate et super-naturalitate, se il caso lo richiede.

I. Criteri per giudicare, almeno con una certa probabilità, del carattere dellepresunte apparizioni o rivelazioni

A) Criteri positivi:

a) Certezza morale, o almeno grande proba-bilità dell’esistenza del fatto, acquisita per mez-zo di una seria indagine.b) Circostanze particolari relative all’esistenzae alla natura del fatto, vale a dire:

1. qualità personali del soggetto o deisoggetti (in particolare, l’equilibrio psichico, l’o-

nestà e la rettitudine della vita morale, la sin-cerità e la docilità abituale verso l’autorità eccle-siastica, l’attitudine a riprendere un regime nor-male di vita di fede, ecc.);

2. per quanto riguarda la rivelazione,dottrina teologica e spirituale vera ed esente daerrore;

3. sana devozione e frutti spirituali abbon-danti e costanti (per esempio, spirito di preghiera,conversioni, testimonianze di carità, ecc.).

B) Criteri negativi:

a) Errore manifesto circa il fatto.b) Errori dottrinali attribuiti a Dio stesso, o allaBeata Vergine Maria, o a qualche santo nelleloro manifestazioni, tenuto conto tuttavia dellapossibilità che il soggetto abbia aggiunto – ancheinconsciamente –, ad un’autentica rivelazionesoprannaturale, elementi puramente umani oppu-re qualche errore d’ordine naturale (cfrSant’Ignazio, Esercizi, n. 336).c) Una ricerca evidente di lucro collegata stret-tamente al fatto.d) Atti gravemente immorali compiuti nelmomento o in occasione del fatto dal sogget-to o dai suoi seguaci.e) Malattie psichiche o tendenze psicopatichenel soggetto, che con certezza abbiano eser-citato una influenza sul presunto fatto sopran-naturale, oppure psicosi, isteria collettiva o altrielementi del genere.Va notato che questi criteri positivi e negativisono indicativi e non tassativi e vanno applicatiin modo cumulativo ovvero con una qualche lororeciproca convergenza.

II. Intervento dell’Autorità ecclesiastica competente

1. Se, in occasione del presunto fatto sopran-naturale, nascono in modo quasi spontaneo trai fedeli un culto o una qualche devozione, l’Autoritàecclesiastica competente ha il grave dovere diinformarsi con tempestività e di procedere concura ad un’indagine.2. L’Autorità ecclesiastica competente può inter-venire in base a una legittima richiesta dei fede-li (in comunione con i Pastori e non spinti daspirito settario) per autorizzare e promuoverealcune forme di culto o di devozione se, dopol’applicazione dei criteri predetti, niente vi si oppo-ne. Si presterà però attenzione a che i fedelinon ritengano questo modo di agire comeun’approvazione del carattere soprannatu-rale del fatto da parte della Chiesa (cfr Notapreliminare, c).3. In ragione del suo compito dottrinale e pasto-rale, l’Autorità competente può interveniremotu proprio; deve anzi farlo in circostanze gra-vi, per esempio per correggere o prevenire abu-si nell’esercizio del culto e della devozione, percondannare dottrine erronee, per evitare peri-coli di un misticismo falso o sconveniente, ecc.4. Nei casi dubbi, che non presentano alcun rischioper il bene della Chiesa, l’Autorità ecclesiasti-

ca competente si asterrà da ogni giudizio e daogni azione diretta (perché può anche succe-dere che, dopo un certo periodo di tempo, il pre-sunto fatto soprannaturale cada nell’oblio); nondeve però cessare di essere vigile per intervenire,se necessario, con celerità e prudenza.

III. Autorità competenti per intervenire

1. Spetta innanzitutto all’Ordinario del luogo ilcompito di vigilare e intervenire.2. La Conferenza Episcopale regionale onazionale può intervenire:a) se l’Ordinario del luogo, fatta la propria par-te, ricorre ad essa per discernere con più sicu-rezza sul fatto;b) se il fatto attiene già all’ambito nazionale oregionale, sempre comunque con il consensoprevio dell’Ordinario del luogo.3. La Sede Apostolica può intervenire, sia sudomanda dell’Ordinario stesso, sia di un grup-po qualificato di fedeli, sia anche direttamentein ragione della giurisdizione universale del SommoPontefice (cfr. infra, n. IV).

IV.Intervento della Sacra Congregazioneper la Dottrina della Fede

1. a) L’intervento della Sacra Congregazione puòessere richiesto sia dall’Ordinario, fatta la pro-pria parte, sia da un gruppo qualificato di fede-li. In questo secondo caso, si presterà atten-zione a che il ricorso alla Sacra Congregazionenon sia motivato da ragioni sospette (come, peresempio, la volontà di costringere l’Ordinario amodificare le proprie legittime decisioni, a rati-ficare qualche gruppo settario, ecc.).b) Spetta alla Sacra Congregazione interveni-re motu proprio nei casi più gravi, in particola-re quando il fatto coinvolge una consistente par-te della Chiesa, sempre dopo aver consultatol’Ordinario, e, se la situazione lo richiede, anchela Conferenza Episcopale.2. Spetta alla Sacra Congregazione giudicaree approvare il modo di procedere dell’Ordinarioo, se lo ritiene possibile e conveniente, proce-dere ad un nuovo esame del fatto, distinto daquello realizzato dall’Ordinario e compiuto o dal-la Sacra Congregazione stessa, o da unaCommissione speciale.

Le presenti Norme, deliberate nella Sessione Plenaria diquesta Sacra Congregazione, sono state approvate dalSommo Pontefice Paolo VI, felicemente regnante, il 24febbraio 1978.

Roma, dal palazzo della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, 25 febbraio 1978.

Franjo Cardinale ŠeperPrefetto

+ Jérôme Hamer, O.P.Segretario

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Don Daniele Valenzi

SS econdo l’idea di Bruno di Segni le quat-tro virtù cardinali sono quelle per lequali è governato tutto il mondo, e sono

così unite tra di loro che non possono avereragione di essere le une senza le altre: “Chi nepossiede una, le possiede tutte, e a chi ne man-ca una qualsiasi, non ne possiede nessuna”.La prudenza che Bruno chiama “sapienza”, lagiustizia, la fortezza e la temperanza vengonodescritte come sempre attraverso quei passi del-la scrittura che il vescovo di Segni trova illu-minanti per cogliere il significato profondo e spi-rituale di queste quattro virtù. Così in breve viene detto di che tipo, e comequeste virtù principali della vita cristiana sianonecessarie per ciascuno.Di seguito riporto le indicazioni che il santo pasto-re consegna perché possano essere conseguitetali virtù e il dramma che vive chi le smarrisceo non le ha mai possedute.Vediamo ora come conformarsi ad esse, e comenon si stia bene senza che esse ci siano. Maa chi sembra che sia impossibile averle tutte,si adoperi per quanto possibile, persino di aver-ne una sola, poiché se la avesse, le altre, sen-za dubbio, la seguiranno. Fa, dunque, o prin-cipe, chiunque tu sia, in modo da avere la giu-stizia, e conservarla. Questa infatti sembra essere più necessaria perte, e poi per mezzo di questa sola anche sag-gio, e forte e temperante apparirai.

Ma guarda tu che stai facendo giustizia agli altri,non dimenticati di te stesso, e tu che esercitila giustizia in mezzo al popolo, praticalaanche per te stesso. Giusto fu Abramo, così come di lui sta scritto:“Perché Abramo credette a Dio, e gli fu accre-ditato come giustizia (Rm 4, 3).” Quale maggiore giustizia di credere e di obbe-dire al proprio Creatore? E perché ha avuto que-sta singola virtù, non c’è alcun dubbio che egliebbe anche tutte le altre virtù. Forte fu Giuseppe, che superò la sua passio-ne mettendo alla prova se stesso, in quella for-tezza appare sapiente, giusto, e temperante. Giusti erano i tre ragazzi che, contrariamentealle leggi del paese che non vollero adorare unidolo, in questo gesto viene rivelato quanto sapien-ti, e anche quanto temperanti furono. Sapiente era Daniele a cui Dio aveva rivelatoi suoi segreti; quanto fu giusto lo provarono idue anziani; tanto fu forte, che posto nella fos-sa i leoni non osavano assalirlo. Poiché infat-ti aveva già abbandonato i vizi, per questo i leo-ni lo temevano. Questa era la temperanza con cui ha mangiato,verdure, ed i suoi lunghi digiuni testimoniare.Ma vuoi sentire di quelli ai quali, poiché man-cava una di queste virtù, hanno perso anchele altre? Perse Davide la fortezza, dopo avervisto Bersabea il piacere della carne lo vinse,allora tutte le altre virtù atterrite fuggirono dalui. Chi può dubitare che sia stato non sapien-te, non giusto, e privo di temperanza, egli che,

sopraffatto dalla lus-suria, commise nellostesso tempo pecca-ti tanto gravi? Mafelice è colui che,condotto dalla peni-tenza, meritò di sen-tire: “ti è perdonato iltuo peccato(2 Sam 12, 13).

” Anche Salomone, per-sa la sapienza, per laquale era ricco dellealtre, sacrificò agliidoli: da questo subi-to svanirono giustizia,fortezza e temperan-za. Così, dunque,cercane una per vol-ta: e sappi, che la quat-tro virtù non possonostare senza le altre.

Se, invece, vuoi vedere quelle ben unite e stet-te tra di loro, osserva gli apostoli e martiri, osser-va i confessori e i dottori della Chiesa che quel-le circondarono e cinsero, tanto che potevanoessere messi a morte, e tuttavia non poteva-no essere separati da esse e strappati via.Questo significano (Esodo 25), quei quattro anel-li d’oro, che erano nell’arca dell’alleanza attra-verso i quali le due aste introdotte non eranomai separati da loro: ora erano quelle aste coper-te di oro purissimo. Infatti, poiché l’arca dell’alleanzasignifica la Chiesa santa, è ben noto.Dunque i quattro anelli sono le quattro virtù sopranominate, sono, naturalmente, d’oro, e più splen-denti di ogni bellezza, e chi non è stato mes-so in ordine attraverso di queste non è né famo-so, né bello. Comprendo per le due aste Pietroe Paolo, e tutti gli altri santi, senza i quali la Chiesadi Dio, né può essere sollevata, né sostenutae nemmeno retta. E questi sono d’oro, perchérisplendono per la luce di una vita senza mac-chia e di saggezza. Mai le aste sono tirate fuo-ri dagli anelli, perché gli uomini santi non pos-sono essere mai separati dalle suddette virtù.Con questi, quindi, si porta l’arca, poiché attra-verso la fede, la dottrina e gli esempi di que-sti si regge la santa Chiesa, e per mezzo deigradi delle virtù dei vescovi e del ministero deisacerdoti è innalzata alle cose del cielo. Bisogna sempre rispettare i vescovi e i sacer-doti, perché senza le aste non si può portarel’arca di Dio. Portano l’arca di Dio senza le astegli eretici, che vanno proclamando le loro neniee fuggono l’autorità degli apostoli e si allonta-nano dalla fede cattolica e dalla dottrina. Sianosempre memori di quanto è accaduto ai figli diEli, Ofni vale a dire, e Finehas, che presero l’ar-ca di Dio, ed essi morirono in battaglia.Per la vita d i modi erano più riprovevole e teme-rario. Quindi non è senza ragione che vengo-no interpretati per Ofni i piedi nudi, perFinehas, la bocca del muto. Non è infatti conveniente che riceva il gover-no della Chiesa di Dio colui che è muto, e chenon ha ancora i piedi calzati con la prepara-zione del Vangelo della pace. Questi tali, dunque, catturano la Chiesa di Dioe la consegnano in schiavitù agli spiriti malvagi;ma anche questi moriranno in battaglia, loro cheavrebbero dovuto liberare gli altri dalla morte.I quattro colori con i quali erano ricamati la ten-da e i teli del tabernacolo, che erano posti ovun-que insieme e mai separatamente, questi quat-tro significano le virtù.Giacinto vale a dire, porpora e scarlatto tinto

due volte, bisso ritorto di queste cose abbia-mo sufficientemente parlato nel commento all’Esodo.Ma ora solo ci occupiamo di parlare di una que-stione. Mentre per quelli era ornato e decora-to il tabernacolo, invece per questi la Chiesa,perché senza saggezza, senza giustizia, sen-za fortezza e temperanza, nessuna anima puòessere ornata e decorata. Questi sono quegligli ornamenti di cui si dice: “La regina era allatua destra in veste dorata, circondata intornoda varietà di colori (Sal 44, 10).”

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2929GiugnoGiugno20122012

Francesco Canali

LL a città di Segni nella metà dell’Ottocentocontava circa 4.300 abitanti, con un’eco-nomia basata sulla piccola burocrazia loca-

le, notai, magistrati, salariati, sulla curia vesco-vile, le grandi proprietà ecclesiastiche e, in granparte, sull’agricoltura. Il suo territorio, che si esten-deva per oltre 60 Kmq., era costituito da una par-te montagnosa ed una pianeggiante, fino a toc-care i confini di Montefortino, Valmontone,Paliano e il fiume Sacco dove per secoli l’allevamentodel bestiame è stato una risorsa importante e mol-to fiorente. Da un censimento del 1837 si rilevail seguente numero di animali da pascolo presentinel territorio: mucche 664, cavalli 460, muli 180,asini 171, maiali 2410, capre 2293 e pecore 1464.Da questi dati si rileva l’importanza economica del-l’allevamento e in particolare delle vacche da lavo-ro (appeccatrici) , dei cavalli e dei neri ovvero imaiali allevati allo stato semi-brado; un numeroinferiore veniva allevato nei stabolari a ridosso del-le mura cittadine, le capre e le pecore infine ave-vano i loro pascoli naturali sulle montagne, e perla sopravvivenza di costoro era fondamentale evitale la disponibilità di acqua. Nell’agro segnino erano infatti numerosi i fonta-nili e le sorgenti di acqua private e pubbliche, spar-se su tutto il territorio, per la cui manutenzionel’amministrazione comunale stanziava forti som-me di denaro. Uno dei più importanti era quellofatto costruire agli inizi dell’800 “a proprie spe-se per comodo dei bestiami” dal sacerdote segni-no Don Pasquale Milani “restringendo l’acqua deri-vante da una fonte” che scaturiva in un appez-zamento di sua proprietà in località casarcioni, facen-te parte del quarto d’erba d’inverno più conosciutocome il “quarto d‘erba mentuccia”.Il fontanile, situato nei pressi del Santuario di Rossillia ridosso della Via Latina, allora importantissimavia di comunicazione tra il nord e il sud dell’Italia,rivestiva una grande importanza non solo per ilbeveraggio degli animali, ma anche come puntodi ristoro e sosta per i numerosi viandanti e pel-legrini che transitavano lungo l’antica via conso-lare. Il sacerdote segnino, appartenente ad unadelle primarie famiglie della città e cantore (bas-so) insieme agli altri “compaesani” Don BernardoValenzi (basso), Nicola Gizzi (soprano), LeandroPiazza (basso) nella prestigiosissima Cappella Sistina,anche per questo motivo nel corso degli anni, ave-va sempre consentito agli allevatori di servirsi del“prezioso comodo” fino a quando “annoiato in segui-to ai numerosi guasti e per i molti dispetti e mil-lantazioni dei pastori”, con apposita istanza inol-trata alle autorità competenti, aveva stabilito “unprecetto di non più far beverare le mandrie di bestia-me senza un suo preventivo permesso”.Ma, alcuni pastori ed allevatori, disobbedendo allanormativa, avevano condotto il loro bestiame nelfontanile senza il preventivo permesso del sacer-dote. Ne era scaturita una denuncia e la condannadi due allevatori. In verità, in quel tempo erano frequenti le liti trai proprietari di abbeveratoi e gli allevatori di bestia-me come frequenti erano ad esempio le liti perstabilire a chi spettasse l’utilizzo delle acque, seal proprietario del fondo in cui scaturiva l’acqua

o al proprietario del terreno da cui scaturiva il pre-zioso liquido, dispute interminabili che spesso fini-vano sui banchi dei tribunali, poiché tanta era l’im-portanza dell’acqua in un’economia agricolacome quella nell’Ottocento. Della vicenda si interessarono le due massime auto-rità della città, il Gonfaloniere e il Governatore.Chiamato in causa come amministratore e diret-tamente interessato, come vedremo, il 22 settembre1825 il Gonfaloniere di Segni Domenico Colabucci,indirizzava una lettera alla Delegazione Apostolicadi Frosinone riguardo proprio alla controversia sca-turita tra il sacerdote Don Pasquale Milani ed i pos-sidenti di bestiame, circa l’utilizzo delle acque delfontanile di casarcioni e la denuncia che ne eraseguita: “Per ragion dell’officio e pubblico interesse,mi conviene render noto all’ Ecc.za VostraReverendissima che un tal Sig. Don Pasquale Milanidi questa città in un suo terreno chiamato casar-cioni fabbricato da circa venti anni a questa par-te ove ha sempre permesso che si abbeveras-sero gli animali, nella corrente stagione estiva acausa della scarsità dell’acqua, il ridetto Don Milanicon sua istanza promossa davanti a questoGovernatore, ha preteso che niuno potesse farabbeverare le proprie bestie in detto suo terrenosituato in vicinanza delle pubbliche vie comuna-li senza previo il di lui permesso. Questa novità potrebbe pregiudicare sia i proprietaridei bestiami che i forestieri che continuamente pas-sano essendo il detto abbeveratoio nei pressi del-la strada pubblica. Il suddetto DonMilani ha poi promosso causa giu-diziale contro Luigi Manni e AndreaFratipiparo per avere costoro averfatto abbeverare le loro bestie caval-line e bovine in detto fontanile; hovoluto tutto ciò dedurre, conclude-va la missiva, a notizia di VostraEccellenza Reverendissima acciò vogliadegnarsi di abbassare gli ordini e per-ché revochi l’istanza del Milani ten-dente a pretendere che sia riporta-to il di lui permesso prima di abbe-verare e che sia cassato l’espostocontro i suddetti allevatori…”.Dell’intera vicenda se ne era occu-

pato anche il Governatore della città, VincenzoTomassi, il quale, contesta al Gonfaloniere di “averreclamato per ragione del suo officio” contro unadisposizione del Tribunale rilasciata in favore delsacerdote Don Pasquale Milani di “non far beve-rare nel fontanile di sua proprietà senza un suopreventivo permesso”. Riguardo poi le denuncependenti a carico del cavallaro Luigi Manni e delbovaro Andrea Fratipiparo, il Governatore tienea precisare: “Se il fontanile fu costruito dal Sig.Pasquale Milani con il suo denaro, se questo esi-ste nel proprio fondo ove scaturisce la fonte, nonvedo ragione per cui il Sig. Gonfaloniere o altripossidenti di bestiame possano pretendere di eser-citare un diritto sopra una proprietà privata” auspi-cando anzi che la denuncia “possa avere il suopieno vigore” rimarcando infine il fatto, di non pococonto, che il bestiame accudito dal Manni fossedi proprietà del Colabucci. Non conosciamo il pro-seguo della vertenza anche se, a memoria d’uo-mo, anche dopo la morte del sacerdote e canto-re, avvenuta il 18 ottobre dello stesso anno, il fon-tanile ha continuato a dissetare animali e uomi-ni fino a quando questi ultimi, dimentichi del pre-zioso servigio reso per oltre due secoli alla comu-nità, nella più totale indifferenza si sono resi com-plici dell’abbandono e dell’oblio dell’abbeveratoio.Forse il sacerdote segnino aveva ragione! Alla vistadi ciò che resta dell’antica fonte, probabilmenteavrebbe consentito ai soli fedeli e amici animalidi potersi rinfrescare e rifocillarsi !?

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3030 GiugnoGiugno20122012

Il 23 settembre 1944, dopo 187 giorni, la sacra Immagine facevail ritorno a Velletri, dopo essere stata portata, al mattino, nell’ udien-za che il Santo Padre Pio XII aveva concesso ad una delegazio-ne diocesana.

Tonino Parmeggiani

CC ome abbiamo vistonel numero prece-dente, il quadro del-

la Madonna delle Grazie erastato trasportato su ordine delCardinal Enrico Gasparri,per motivi di sicurezza, lune-dì 20 marzo 1944, nellaChiesa del Gesù a Roma dove,nella prima domenica di mag-gio, venne celebrata laFesta in Suo onore (in con-temporanea anche nellaCattedrale di S. Clemente aVelletri), alla presenza del cle-ro, delle autorità cittadine edi tutti i veliterni rifugiatisi aRoma, per i quali la sacraImmagine era diventata un sicu-ro riferimento di speranza. Pochi giorni dopo, il 2 giugno,le truppe degli alleati occu-parono il territorio a sud di Romaper cui, in città, si avviò dasubito l’opera di sgombero del-le macerie, cominciarono adarrivare i primi aiuti materia-li, i cittadini pian piano pre-sero a ritornare, il CommissarioPrefettizio Clelio Bianchi ini-ziava il suo lavoro amministrativoper la ricostruzione. Era cosa ovvia che il pensieroandasse anche alla Madonnadelle Grazie “sfollata a Roma”per cui alcune persone for-marono un comitato checominciò a riunirsi a casadell’Ing. Felice Remiddi e fis-sò, per sabato 23 settembre,dopo 187 giorni, l’atteso ritor-no a Velletri della sua Patrona,preparando altresì un mani-festo:

«23 Settembre 1944, torna fra il suo popolo fedele la Sacra e VenerabileImmagine della MADONNA DELLE GRAZIE.Torna, dopo aver seguito una parte dei suoi figli profughi in Roma, nel-la nostra città martoriata per ridarci il conforto delle sue benedizionie delle sue Grazie: per aiutarci, con la Divina Provvidenza e prote-zione, nella difficile opera di ricostruzione che ci attende: torna per rav-vivare in noi la fede, lo spirito di sacrificio, la carità, che possono ren-derci puri, accetti e benedetti dal Figlio Divino.

Cittadini, prepariamoci afesteggiare l’avvenimentosolenne. Prepariamo innan-zi tutto le anime nostre, per-ché cominci una nuova vitaspirituale e cristiana chesarà la preparazione e labase della nostra nuova gui-da civile. Prepariamoci anche mate-rialmente perché la Celestenostra protettrice Maria SS.delle Grazie trovi già la nostracittà riordinata, pronta ariprendere la sua vitaquando tornerà tra noi…».Per l’occasione Papa PioXII concesse, nella matti-nata dello stesso giorno,una speciale udienza aduna rappresentanza dellaDiocesi, recante con seil quadro della Madonna.Sia nella cattedrale veliternache nella Chiesa del Gesù,nei giorni 20, 21 e 22 mar-zo si svolse un Triduo; saba-to 23 alle ore 10, dopo lacelebrazione di una S.Messa, dal Gesù partì il cor-teo verso il Vaticano e quiriprendiamo dall’articolode “L’OSSERVATOREROMANO” di domenica 24:«Questa mattina sabato,alle ore 10,30, nella Saladel Concistoro, il SantoPadre ha ricevuto un fol-to gruppo di sacerdoti e difedel i del la DiocesiSuburbicaria di Velletri, conla rappresentanza ufficia-le della Città e di tutti iComuni della Diocesi, i qua-li con devotissimo pensierofiliale, prima di riaccom-pagnare il vetusto quadrodella Vergine SS.ma del-le Grazie nel la loro

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3131GiugnoGiugno20122012

Cattedrale, hanno voluto portarlo nella Casa del Supremo Pastore, nel-la speciale Udienza, sollecitata allo scopo di “esprimere a Sua Santitàla unanime vivissima gratitudine per la generosità usata verso Velletriin dure circostanze e per implorare l’Apostolica Benedizione sulla Diocesiintera”. La veneratissima Icone è stata collocata a lato del trono. Sono intervenuti: Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Salvatore Rotolo,Vescovo tit. di Nazianzo, Ausiliare dell’Em.mo Signor Cardinale Vescovodi Velletri; una rappresentanza del Capitolo della Cattedrale e il ParrocoMonsignor Moresi; Monsignor Ginnetti; una larga delegazione dei Parrocidella Diocesi; vari religiosi, tra cui le rappresentanze dei Frati Minorie dei Cappuccini; il Rev.mo P. BitettiS.J., il quale ha predicato in Velletri iltriduo di preparazione al desideratis-simo ritorno della cara Immagine; variereligiose; e numerosi fedeli. Presentiinoltre il Sindaco di Velletri (l’alloraCommissario prefettizio Cav. Clelio Bianchin.d.a.) con la Giunta Comunale al com-pleto; tutti i Sindaci della Diocesi, tracui quelli di Littoria, Norma, Cisterna,Cori, Giulianello, Roccamassima e dialtri centri importanti; e varie altre per-sonalità. L’Augusto Pontefice, accolto da unavibrante manifestazione di omaggio alSuo ingresso nella Sala, si è dappri-ma soffermato in preghiera dinnanzialla venerata Icone, fervidamenteraccomandando, con lo slancio del Suocuore, alla Madre celeste tutti i dilet-ti figli della Diocesi veliterna: quindi si è assiso in trono ed ha rivoltoai convenuti alcune fervide parole di compiacimento e di augurio». La descrizione dell’ingresso nei Palazzi Vaticani la prendiamo dal volu-me di Renato Guidi:«L’Immagine della Madonna, accompagnata da mons. Celestino Amati,entra dal portone di bronzo nei Sacri Palazzi Apostolici e viene postanella Sala del Concistoro. Vediamo il quadro antichissimo con una lie-ve venatura, una piccola scalfitura prodotta dagli eventi bellici: nes-suno è stato risparmiato, anche la Madonna è rimasta ferita.Nell’argenteo vestito la Madre dei Veliterni splende, raggiante di tor-nare tra i suoi figli». Sua Santità Pio XII rivolse alla comunità diocesana un bel discorso,volto a rincuorare gli animi della gente, dopo tante sofferenze, di cuiriportiamo alcuni brani: «Nel rimirarvi oggi presso di Noi, diletti figli, Ci è caro di pensare chela SS.ma Vergine delle Grazie, Patrona principale della città e delladiocesi di Velletri, vi abbia ispirato ella stessa il desiderio di riunirvi

qui intorno a lei, prima di ricondurla nella sua secolare dimora. Voi nonavreste potuto trovare una maniera più delicata di attestarCi la vostragratitudine. … Quando sotto la violenza della bufera micidiale e devastatrice, voi dove-ste abbandonare la terra nativa, la vostra sollecitudine filiale volle met-tere al sicuro l’immagine della Madre amatissima. E dove avrebbe ellapotuto avere un asilo più dolce al suo cuore, che nella casa la qualeporta il nome del suo Figlio divino, nella venerabile Chiesa del Gesù?Là era a voi di conforto l’andare a salutarla, a confidarle le vostre ango-sce e le vostre pene, a manifestarle le vostre speranze, a domandarleconsiglio, a sottometterle i vostri buoni propositi. L’esilio è sempre dolo-

roso … ma come la pena è alleviata,quando si ha con sé la madre e si può,nonostante tutto, adunarsi intorno a lei!Ed ecco che l’ora del ritorno della vene-rata effigie è sonata. Ritorno ansiosa-mente atteso, ma la cui gioia è offuscatadal pensiero di tante rovine dellavostra vetusta città. … Ma non soltanto le case di pietra e dicemento debbono essere rialzate,bensì anche tutto l’edificio spirituale, mora-le e sociale. Promuovere questa rico-struzione è la nobile missione propriadi voi, pastori di anime, e di voi, cui èaffidata l’amministrazione dei comuni». Seguono due esortazioni, sul piano mate-riale e spirituale: «Nell’opera di riedifi-cazione materiale Noi non possiamo chelodare e incoraggiare il proposito di colo-ro, i quali, pur desiderosi di far rivive-

re le linee e le forme simboliche ed estetiche di un passato rimastocaro, intendono di applicare alle nuove costruzioni e riparazioni i per-fezionati metodi della tecnica moderna»; di certo allora Sua Santitànon avrebbe immaginato che la “tecnica moderna”, in mano alla insor-gente speculazione, avrebbe colto solo l’occasione per costruire enor-mi cubature che, rispetto al manufatto edilizio originale, ne conservavanosolo il nome! Continua il Papa: «Nell’opera di rinnovamento spirituale, morale e socia-le, a più forte ragione importa che, riannodando la catena troppo spes-so interrotta delle sante tradizioni religiose e familiari, si prepari conun lodevole senso di progresso un avvenire migliore e più sano, unafamiglia più fermamente fedele alla legge di Dio, una società più fra-terna, più onesta, più giusta, in una parola più veramente e profon-damente cristiana». L’udienza si concluse con la “Nostra paterna ApostolicaBenedizione, pegno ed auspicio di conforto, di prosperità e di pace”dopodiché Mons. Rotolo presentò al Santo Padre alcune delle personalitàpresenti. Verso le ore 13 il lungo corteo di macchine, partì alla volta di Velletri,dove giunse due ore dopo, con molti veliterni che avevano voluta acco-glierla al confine del territorio comunale verso Genzano; l’arrivo nel-l’attuale piazza Garibaldi fu un immancabile tripudio di gioia e di festa:crediamo che per ognuno degli astanti e per l’intera città, questo ritor-no del quadro della Madonna delle Grazie era da interpretarsi comel’inizio di una nuova era, quella della ricostruzione. Processionalmente,attraversando la città tra le distruzioni e le macerie, l’Immagine feceil suo ritorno in Cattedrale nel cui piazzale Padre Bitetti S.J. tenne unaomelia, la mattina di Domenica 24 settembre, il Vescovo Sua Eminenzail Cardinale Enrico Gasparri celebrò una Solenne Messa pontificalecon Benedizione papale. La Madonna era ritornata nella suaCattedrale, nella sua Velletri, nella sua Diocesi.

(fine)

Nella pagina accanto: Una delicata riproduzione su tavola dell’Icona della Madonna delle Grazie

eseguita dal pittore veliterno Aurelio Mariani (1863 - 1939), foto di G. Chrysostomidis.

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Nella foto: Chiesa del Gesù a Roma

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Stanislao Fioramonti

II l culto per Luigi Gonzaga iniziò aValmontone verso la metà del ‘700, dopoche papa Benedetto XIII aveva proclamato

santo (30 dicembre 1726) e poi patrono deglistudenti (1729) il giovane erede del marchesedi Castiglione delle Stiviere. Egli aveva rinun-ciato al marchesato per diventare gesuita edera morto a Roma nel 1591, a soli 23 anni, pertisi risvegliata dalla sua continua opera di soc-corso degli appestati (per questo è invocato con-tro le malattie polmonari e nel 1991 papa GiovanniPaolo II lo proclamò protettore dei malati di AIDS,la peste del XX secolo). San Luigi divenne patrono principale diValmontone “a furor di popolo” solo a fine ‘700o inizi ‘800, quando secondo la tradizione loca-le il paese scampò a una grave pestilenza gra-zie alla sua intercessione. Il riconoscimento ufficiale di tale patronato daparte della Chiesa, con papa Pio IX, è del 1850e nel 1855 il popolo inaugurò la grande statuae macchina in legno dorato con la quale il san-to è portato in processione il sabato preceden-

te l’ultima domenica di settembre, anche se lafesta liturgica del santo cade il 21 giugno.Prima che questa statua entrasse in funzione,“oggetti” concreti della devozione popolare ver-so S. Luigi erano un “tondino” (portaritratti ova-le) settecentesco che inquadrava un’immaginedel santo - probabilmente quella che ancora siconserva in sacrestia, dipinta da Sebastiano Concae recentemente restaurata – e che fu posto nelsecondo altare di sinistra della Collegiata (cap-pella dell’Annunziata) come sottoquadro dellapala più grande; e un mezzobusto in legno argen-tato, alto circa 50-70 cm, che purtroppo è sta-to rubato dalla Collegiata una quarantina d’an-ni fa, verso il 1970. Questo mezzobusto fu acquistato probabilmentealla fine del ‘700, anche se i documenti storicinon lo ricordano mai (tanto che qualcuno cre-de che sia stato comprato dall’arciprete Cocchianel periodo 1945-76); solo nell’Inventario par-rocchiale del 1857 si parla, al capitolo “Metalli”,di “quattro reliquiari grandi appartenenti a S. Luigi”,ma quel mezzobusto non era un “metallo”. Essoera portato in processione la vigilia della festadel Santo. Quando per questo scopo fu adot-

tata la macchina processionale più grande (1855),esso veniva esposto nel presbiterio dell’altaremaggiore della Collegiata durante il triduo di giu-gno del Santo ed era indicato col nome di “SanLuigi piccolo”.Negli anni dopo la metà del ‘900 don Paolo Cocchialo utilizzò ancora per le processioni dei fanciulliche aveva istituito il 21 giugno e, la vigilia di que-sto stesso giorno, per la processione pubblicanel decennio in cui il vescovo diocesano Carliabolì la festa di S. Luigi di settembre aValmontone (1967-76). Dopo quarant’anni di assenza, il busto di S. Luigitorna dunque quest’anno 2012 grazie all’iniziativadel parroco della Collegiata don Luigi Vari, allapartecipazione popolare che ha risposto comesempre generosamente alla richiesta di contri-buti (durante la benedizione prepasquale dellefamiglie si è distribuita come ricordo l’immagi-ne di una processione patronale e una letterain cui si sollecitava la partecipazione alla rea-lizzazione del nuovo busto), e alla sensibilità del-l’artista valmontonese Piero Casentini, che harealizzato l’opera senza pretendere compensi. Casentini è pittore affermato, scultore, espertodi arte religiosa moderna e realizzatore di arre-di sacri (il suo sogno artistico è quello di averela committenza di una intera chiesa nuova, perla quale realizzare dalla progettazione all’arre-do sacro alla decorazione artistica); noto anchetra noi per le opere che ha lasciato nelle nostrechiese (soprattutto in quella francescana di S.Angelo, ma anche in Collegiata e a S. Anna),in circa 40 giorni lavorativi ha modellato un gros-so blocco d’argilla, ne ha ricavato il calco in ges-so, lo ha colmato con una resina speciale, chepoi ha rivestito di foglie d’argento ed ha infinetrattato con una patinatura particolare per dar-le l’aspetto di antico. Ne è risultata è un’opera alta 90 cm, larga 45e piuttosto leggera (pesa circa 25 kg), raffigu-rante un giovane che di antico ha soltanto la capi-gliatura (“caravaggesca, l’ha definita Piero): ilvolto è sereno, lo sguardo fisso e profondo, latalare tutta ricamata che indossa indica la suadecisa scelta religiosa, con la mano destra strin-ge il Crocifisso, scopo della sua vita, e con lasinistra indica in alto, verso Dio, dove tutti dob-biamo tendere. Nel complesso l’immagine di un “guerriero del-la fede” (altro che santino col collo torto dellavecchia iconografia), moderna nell’aspetto,destinata a far breccia nel cuore dei giovani (deiquali è il protettore), che dimostra fierezza, “quel-la che un pò manca a noi cristiani”, ha detto l’au-tore. Un’immagine destinata, la sera del 21 giu-gno 2012 dopo la messa, ad essere portata dinuovo in processione per le vie del paese, accom-pagnata dal gruppo dei “paggetti di S. Luigi” incostume seicentesco, dalle associazioni catto-liche del paese e dal popolo; è già pronta al riguar-do una nuova macchina processionale inlegno, con raggiera posteriore e anteriormen-te lo stemma della Compagnia di Gesù (la fami-glia religiosa di S. Luigi), realizzato dal falegnameAngelo Nardi di Castel S. Pietro Romano.

Foto del Busto di S. Luigi di Francesco Fioramonti

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3333GiugnoGiugno20122012

Non so se per quest’anno sarà possibile, ma sareb-be bello che nella processione di S. Luigi di giu-gno il patrono fosse accompagnato nel suo girodel paese anche da segni della nostra storia.Mi è venuto in mente che la statua potrebbe esse-re preceduta da vessilli, con portatori in costu-me, di tutte le entità che hanno avuto il domi-nio di Valmontone nel corso dei secoli; potreb-bero sfilare così le bandiere della Chiesa Cattolica(i cui colori antichi erano il bianco e il rosso, maga-ri con le chiavi di Pietro), della Famiglia Conti,degli Sforza di Santa Fiora, dei Barberini, deiPamphili, dei Doria-Pamphily-Landi; seguireb-be il gonfalone di Valmontone, con gli stemmidelle tre parrocchie valmontonesi e della diocesidi Velletri-Segni e con quello della famiglia Gonzaga.

A questa simbologia si potrebbero aggiungerenel tempo le bandiere delle località italiane e stra-niere che hanno come patrono S.Luigi Gonzaga,se con esse si volesse intraprendere una seriedi contatti per istituire una sorta di gemellaggioattivo. Una terza iniziativa per rafforzare il legame affet-tivo con il nostro patrono potrebbe essere quel-la di effettuare ogni anno un pellegrinaggio inuno dei luoghi legati al santo; le destinazioni inte-ressanti non mancherebbero, da Roma (S. Ignaziocon la tomba e le Cappellette, il Collegio Romano,S. Balbina, S. Andrea al Quirinale...) a Napoli(chiesa del Gesù Vecchio, Duomo...); daCastiglione delle Stiviere in provincia di Brescia,dove Luigi è nato il 9 marzo 1568 e dove è con-

servata la reliquia del suo cranio e un interes-sante museo, a Firenze dove maturò la sua voca-zione religiosa; da Madrid a Milano, tappe impor-tanti della sua vita civile e intellettuale; e cosìvia per tante altre località.Il nuovo busto di S. Luigi insomma può esserel’occasione per rinsaldare il nostro legame conil santo non solo dal punto di vista devoziona-le, ma anche e soprattutto da quello della com-prensione profonda e dell’adesione alle sue scel-te, che lo rendono un giovane sempre attualeperché ha saputo rinunciare serenamente e deci-samente a privilegi e vantaggi terreni per “con-cepire la sua esistenza come un dono da spen-dere per gli altri”, come ben disse papa PaoloVI nel 1968.

don Claudio Sammartino

CC aro Reverendo, proprioperché lei è parroco diuna chiesa che si ono-

ra di avere come patrono il gran-de S. Antonio di Padova, vorreiproporle uno dei più grandi mira-coli che il nostro Santo operò duran-te la sua breve vita.Verso la fine della Quaresima del-l’anno di Grazia 1231, la predi-cazione del santo lusitano riuscìa concretizzarsi in una legge vera-mente “rivoluzionaria” e di enor-me importanza sociale. Anche ai nostri tempi, purtroppo,c’era la mortifera piaga dell’usura, che stritolava letteralmente chi pernecessità economica si faceva prestare del denaro da autentiche san-guisughe umane, che godevano anche dell’appoggio della legge, sem-pre pronta a punire (a volte con il carcere a vita) non soltanto chi nonfosse in grado di restituire ciò che aveva ottenuto in prestito, ma anchechi si fosse reso garante per lui. Padova, come numerose città italiane ed europee, viveva in un climadi squilibrio sociale che favoriva chi, avendo disponibilità di denaro liqui-do, apriva dei banchi di prestito imponendo tassi di interessi molto ele-vati. Inutile spiegarle, trasognato curato, che in molti si rovinavano lavita e purtroppo sperimentavano l’ingiustizia di una legge che proteg-geva i “finanzieri” del tempo! Grazie a Dio però, la nostra città provò l’autorevolezza di un umile fra-te, che armato della sola Parola di Dio, riuscì a bloccare i “disegni degliempi”. Infatti, al termine della predicazione quaresimale, e precisamenteil 15 marzo del 1231, il governo della città emanò una legge veramentesorprendente che testualmente proclamava: “Su richiesta del venera-bile fratello, il pio Antonio, dell’Ordine dei frati minori, in futuro nessundebitore o suo garante potrà essere privato della sua libertà, quandosia incapace di estinguere il proprio debito”. La legge prevedeva poi la requisizione dei beni del debitore insolven-te, ma proibiva espressamente di ricorrere alla carcerazione come risar-

cimento per la mancata restituzio-ne del prestito ottenuto.Caro reverendo, anche lei si chie-derà in cosa consista il miracolooperato dal nostro Santo; ebbene,ma non è un vero fatto prodigiosoche un uomo senza potere economiconé appoggi politici, vedesse accol-ta una sua richiesta che fu addirit-tura sancita in una legge, che otten-ne la liberazione immediata di nume-rose vittime del bisogno e che resti-tuì dignità alla giustizia umana? Non è forse un miracolo eclatanteche dei politici legati ai giochi di pote-re e ad interessi di parte anche eco-nomici (creda, caro padre, anche

ai nostri tempi…) ascoltassero l’ammonimento, il consiglio e la richie-sta di vera ed evangelica giustizia che provenivano dalla pratica di vitadi un umile frate, che con il suo intervento nel sociale dimostrava cheil Regno di Dio non riguardava soltanto il futuro escatologico, ma inte-ressava anche del vissuto quotidiano dei figli di Dio? Quello che a Padova chiamavamo semplicemente il Santo era un for-midabile predicatore delle verità cristiane non soltanto con la sua incon-testabile scienza biblica e teologica, ma soprattutto con la pratica di vitadel Vangelo “vissuto sine glossa” come insegnava S. Francesco! Noi del tempo comprendemmo subito che per scardinare certi “dogmi”della vita economica e politica, ci fosse bisogno dell’esempio di vita edell’autorevolezza di un fraticello forte soltanto della Grazia e della Veritàdi Dio. Caro reverendo, per adesso le chiedo venia per averle fatto per-dere tempo con queste mie divagazioni che forse le sembreranno inu-tili e sconclusionate, ma che sono scaturite dal desiderio di far cono-scere la grandezza di un Santo che fu taumaturgo in tutti i campi, nes-suno escluso. Che l’esempio e l’intercessione di S. Antonio aiuti tuttivoi pastori del 3° millennio ad affrontare le sfide che i nuovi tempi vipropongono. Con simpatia, un “cane sciolto”del Libero Ordine di SanPietro.

Nell’immagine: Miracolo di S. Antonio di Padova, Francisco Goya, 1798, Madrid

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3434 GiugnoGiugno20122012

Francesco Canali

CC on nota del 6aprile 1842, laL e g a z i o n e

Apostolica di Velletri inter-pellava i l priore diGavignano, Cap. VincenzoBaiocchi, su quale fossela “consuetudine in vigo-re in rapporto alle spiga-role, cioè se siano questesolite andare a raccoglierele spighe appresso aimietitori, oppure dopoche le casole siano sta-te tolte dai rispettivi terreni”( le casole erano covonidi grano accatastati) spe-cificando se “nel primo casotale consuetudine fosse sta-ta costì introdotta prima del-l’anno 1781, oppure poste-riormente e se esse spigarole oltre l’andare appresso ai mietitori, sia-no anche solite andare a raccogliere le spighe dopo la mietitura e spe-cialmente allorché vengono trasportate le casole…”. Nella risposta, il priore sottolineava come “da consuetudine immemo-rabile in questo luogo è che le spigarole sono solite raccogliere le spi-ghe sia appresso ai mietitori che dopo sono state tolte le casole daiterreni finita la mietitura e specialmente dopo che le casole vengonotrasportate nei granai. Non saprei poi con precisione, concludeva il prio-re, la vera epoca in cui sia stata introdotta in questo luogo siffatta con-suetudine poiché è da tempo immemorabile”.Chi erano queste spigarole, più conosciute come spigolatrici che, ricur-ve, racimolavano e raccoglievano le spighe e i chicchi di grano cadu-ti per terra al seguito dei mietitori? Le spigarole o il “popolo della spiga o spigatico”, appartenevano allacategoria più povera e indigente della comunità, poste all’ultimo gra-dino della scala sociale al di sotto persino dell’ ” informe gruppo del con-tadiname” 1, escluse da tutto e dalla storia, esentate persino dal paga-mento del focatico per “estrema povertà”, presenti solo in qualche scam-polo di letteratura come “La spigolatrice di Sapri”. Il “popolo della spiga” era costituito prevalentemente da vedove, don-ne sole o nuclei familiari particolarmente numerosi. Nella metà dell’Ottocentoa Gavignano quasi una famiglia su dieci poteva essere annoverata inquesta fascia, dunque una grossa fetta di popolazione costretta mol-to spesso per sopravvivere, a ricorrere alla carità elargita dalle istitu-zioni religiose come confraternite, pii sodalizi, opere di carità ecc. Unico “privilegio”, la raccolta delle spighe e i chicchi di grano nei cam-pi dopo la mietitura, diritto conteso però anche dai neri ovvero gli ani-mali neri, cioè i maiali. Così si legge nell’art.1° del “ Capitolato per l’af-fitto del popolo spicatico “ andato in vigore il 3 aprile 1835: “Il popolo delle spighe conosciuto sotto il nome di spigatico, consistenel diritto di pascere le spighe rimaste nei diversi campi del territoriodopo la raccolta delle messi cogli animali neri od altri bestiami”, capi-tolato stilato proprio per regolamentare l’accesso dei maiali nei cam-pi da spigare. I primi decreti, a noi noti, che regolavano il diritto allaraccolta della spiga, risalgono agli inizi del ’700 anche se tale praticaveniva esercitata sicuramente già nei secoli precedenti. Nel consiglio comunale del 29 novembre 1702, ad esempio, si intima-va all’affittuario delle erbe estive (affitto che aveva inizio il 9 maggio eterminava il 29 settembre), a garantire il diritto di “far spigare” tutti gliabitanti del paese. Diritto confermato qualche decennio in appresso (l’8dicembre 1712): “Che il detto compratore di detta spiga ed erbe nonpossa impedire a persona alcuna di andare a capezzare il grano nel-

le are in tempo di tritare…”e ancora “che il compra-tore della spiga et erbe nonpossa entrare in detta spi-ga con li porci se non siail 5 di agosto”. La raccolta delle spighe o“ruspo”, aveva inizio il 18luglio al termine della mie-titura preceduta da unbando pubblico e terminavail 29 settembre per permettereai contadini di preparare icampi per le nuove semi-ne. Nel caso che non fos-se stato ancora completatoil restringimento delle regni,ovvero la sistemazionedei covoni nelle are, la rac-colta veniva posticipata dialcuni giorni non senza preav-viso da parte della magi-stratura. Come accenna-to, il problema principale per

le spigarole era rappresentato dalla presenza dei neri i quali, a diffe-renza degli altri animali come gli ovini la cui presenza nei campi veni-va tollerata, recavano gravi danni al terreno a tutto svantaggio della rac-colta della spiga. Già in un pubblico consiglio dell’ 11 marzo 1720 ilconsiglio comunale aveva decretato che “essendosi intesi molti recla-mi e voci del popolo che sarebbe bene fare levare dal territorio li por-ci in ispecie nella vendita che deve farsi dell’erba e delle spighe, per ligravi danni che si ricevono dai medesimi, come le spighe che raccol-gono li poveri e guastano e ruinano anche le fontane…”.Ai neri, oggetto di continui reclami da parte dei bovari per i continui scon-finamenti nelle riserve e difese, era infatti interdetto il pascolo primadel 1° agosto proprio per permettere una più ricca e abbondante rac-colta di spighe. I maiali potevano entrare nei campi aperti solo se accom-pagnati dai guardiani ed era loro vietato l’utilizzo degli abbeveratoi edelle fontane pubbliche e dovevano “fermarsi nelle strade pubbliche doven-do queste servire per mero transito e non per altro”.Nel cap. 3 del Capitolato…veniva meglio specificato: “Entrati che saran-no i neri nel pascolo, essi dovranno pascolare nei soli campi aperti delterritorio accompagnati da custodia in masseria riunita. Dovranno di piùtenersi lontani dalle trite (covoni di grano) per uno spazio non minoredi 20 passi di circuito, come ancora dai pagliari all’uso destinati de boviaratori” e ancora “l’ingresso poi dei neri nei distretti, prati, vigne ed altriterritori di qualunque sorte, sarà punito colle pene annunciate coll’ag-giunta di scudo uno per ogni capo trovato nei detti luoghi”. I contrav-ventori venivano infatti puniti con multe assai elevate. La consuetudine di raccogliere le spighe nei campi è continuata anchedopo l’Unità d’Italia. Per allontanare i maiali dall’abitato nell’estate, perio-do durante il quale si verificavano più frequentemente le epidemie, ilconsiglio comunale in data 29 aprile 1877 deliberava di “allontanare imaiali domestici dall’abitato ed immetterli nel pascolo dello spicaticocol pagamento di L.2,50 a capo”. Questo era il miserabile “popolo delle spighe” sopravvissuto fino allametà del secolo scorso! Ancora oggi qualcuno ricorda quelle poverevecchie “spigarole” ricurve sotto il peso degli anni e della fatica a con-tendere le spighe di grano ai maiali.

1 In verità negli ultimi decenni è andato sempre più crescendo l’interesse sto-riografico verso il mondo agricolo e la società contadina. I contadini sono infat-ti passati, come scrive lo storico Gioacchino Giammaria “dal misconoscimentostoriografico ad una attenzione diversa, a partire dalla nuova storia economi-ca fino alle più recenti inchieste”.

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3535GiugnoGiugno20122012

Giovanni Abruzzese

II l prof. Antonio Venditti, per tutti a Velletri“il Preside Venditti”, dopo le precedenti trepubblicazioni di prestigiose terne di poe-

sie, torna ora a pubblicare un romanzo: “Il Banditodella Regina”. Lo fa con la sua consueta umil-tà e in sordina, quasi si trattasse di poca cosa,ma così non è! Il libro esce impreziosito del-l’apporto grafico del maestro Agostino DeRomanis che ne ha curato la copertina a colo-ri e “decorato” l’interno con bellissime stampe.Anche questa volta, come per le precedenti pub-blicazioni, il ricavato delle vendite sarà devolu-to all’associazione benefica “Velletri per il Mali”della quale è presidente il prof. Pier Luigi Staraceche tanto si adopera per portare aiuti concretia quelle popolazioni meno fortunate.Il romanzo è decisamente da riferire a quello sto-rico e lo stile narrativo dell’autore è di quelli cheprende. Si apre il libro a caso, su un punto qual-siasi e subito si viene trascinati nel vigore deglieventi. Le parti descrittive, quelle narrative e idialoghi dei personaggi sono equilibratamentedosati e gli uni supportano e chiariscono i moti-vi presenti negli altri: il risultato è una efficacescrittura che consente una deliziosa lettura.Il racconto è quello del brigante Vincenzo Vendetta,detto “Cencio” che calcò la scena della vita cit-tadina nella prima metà dell’ottocento, epoca ric-ca di tensioni sociali e politiche, preludio dellastagione risorgimentale in Italia. Velletri allora era una legazione dello stato pon-tificio e in più occasioni si trovò ad essere pun-to di transito di personaggi chiave che qui si avvi-cendarono per alterne e opposte vicende: FedericoI di Borbone, Garibaldi, Papa Pio IX. L’autore rivela che l’interesse per questo per-sonaggio prese a farsi strada nella sua mentequando, appena decenne, seguiva con trepidazionele memorie sul brigante di un commerciante, suofiero discendente. Così prende a intessere il rac-conto con eventi storici locali e interregionali estorie private dei personaggi coinvolti nelle vicen-de di Cencio. Particolarmente godibile, nella par-te iniziale del libro, è l’affresco che con il con-certo di parole usate come pennellate a tinte tenuie decise, dipingono l’ambiente del territorio del-la Velletri del tempo con le sue vigne, gli orti, ifossi, le sorgenti, i boschi, gli spiazzi erbosi chefanno da palcoscenico e scenografia alla sem-plice ma affascinante vita degli abitanti che inesso si integrano con i loro rituali gesti quoti-diani. Azioni che hanno il semplice e naturalefine di suggere dalla vita ciò che è più autenti-co e necessario per integrarsi armonicamentecon il creato.Protagonista assoluto in questa dimensione èCencio durante l’età della fanciullezza, che peròviene turbata da un incidente di percorso chesegnerà per sempre il suo destino. Il giovaneda subito si manifesta intollerante alle soverchierie,alle prepotenze e alle ingiustizie, soprattutto quel-le giustificate dalla logica del potere e dall’ar-roganza del privilegio di casta che una élite socia-le, dei cosiddetti notabili, pretende di garantireper sé negando agli altri la partecipazione allar-

gata al godimento del-le risorse comuni. Di Cencio, ritrae unprofilo di uomo emble-matico, ma allo stes-so tempo semplice,comune e straordi-nario, sprovveduto maanche scaltro, titubantee risoluto… un uomocome tanti, ma comepochi coraggioso egeloso della sua e del-l’altrui libertà e digni-tà. Cencio diviene“bandito”, ma mai cri-minale, per questo ècostretto ad una vitaisolata, in contuma-cia, lontano dagliaffetti e dalla socie-tà “civile”. Quando non vivequesta condizione è recluso in galera, quindi sem-pre isolato. L’autore pare lo voglia vedere comeun contemplativo laico, ma non troppo! La scel-ta di vivere da brigante, poi, non trova giustifi-cazione nella mania di protagonismo, né nellamitomania e neppure nella cupidigia o aviditàdi denaro, piuttosto egli sembra avere scelto disacrificarsi per il bene delle persone che ama,verso le quali è sempre premuroso e genero-so. Ne esce un profilo di veliterno Roobin Hoodanimato da sentimenti filantropici piuttosto chedisegni criminali.Cencio non somiglia al brigante tipico: ignorante,arrogante e fors’anche poco intelligente; no! Eglisa leggere, scrivere e possiede una buona loque-la che gli consente di trattare alla pari con chipari non è sia per condizione sociale, sia per ilmodo di vedere il mondo. Un uomo che ama e quasi non conosce cosasia l’odio; che si sforza di avere fiducia nei simi-li e fede nell’onnipotente, ma ciononostante delin-que! Per non essere calpestato? Per istinto disopravvivenza? Per tentare di ristabilire un prin-cipio di equità violato? Chissa! Vero è, che Cencio amava visceralmentela libertà e tutto quello che ad essa alludeva:gli animali selvatici, l’aria aperta, gli spazi scon-finati, le relazioni non vincolanti. Per tutto questo aveva però, paradossalmentedovuto rinunciare alla libertà civile, quella di cit-tadino, e per riavere questa, pro-getta una messinscena che ha delgeniale ma anche dell’ingenuo a cuilo spinge la disperazione e il sen-timento di amore verso i suoi cariche vorrebbe liberi insieme a lui. Lascelta di portare avanti tale strategiasegnerà l’epilogo della vita avven-turosa di Cencio Vendetta unuomo che il nostro autore, AntonioVenditti, vuole mondato dai suoi pec-cati per il solo gesto di avere avu-to fede nella potenza divina e nel-la benevolenza materna della

Madonna delle Grazie, cuisi rivolge come figlioassetato di amore, com-prensione e Giustizia… divi-na!Nella parte finale, Vendittirelaziona sull’accurataanalisi delle carte processualiriguardanti il bandito dal-le quali non emergono pro-ve probanti del suo coin-volgimento nel delitto delmaresciallo Antonio Generali. Di tutte le “birbonerie” que-sta rappresenta certa-mente la più sacrilega, deci-samente superiore a tut-te quelle che gli vengonoaddebitate, compresaquella del furto dell’effigedella Madonna. Il brigan-te, si è macchiato sì, del-la colpa di aver combat-

tuto l’arroganza e la prepotenza con le mede-sime armi, al punto di riuscire a entrare a farparte del “sistema” auto eleggendosi parte atti-va del malaffare e per questo pretendente l’im-munità o l’impunità, ma forse a tanto non dovràessersi spinto.La volontà persecutoria degli inquirenti e dellamagistratura sembra dettata più da motivi di oppor-tunità a conservare un ordine pubblico incen-trato sulla necessità del rispetto dell’autorità. Unasorta di esercizio a cercare di governare le mas-se diffondendo tra esse un sentimento di pau-ra, una logica del terrore che induca alla supi-na obbedienza di canoni, strutture sociali, isti-tuzioni… intoccabili, per non ridurre le oppor-tunità di agio della classe sociale dominante.Venditti anche in questa occasione non ha man-cato di rivelare il suo animo profondo di edu-catore, attento più alla persona che alle sue gesta,all’animo profondo che muove gli esseri uma-ni, pronto non a giustificare ma a comprende-re, a cercare una spiegazione logica, plausibi-le, razionale ai comportamenti che spesso cela-no i veri intenti. Solo chi ha la chiave di volta giusta riesce a deci-frare con serenità gli altri, e questa chiave è laPietas, è lo sguardo interiore che riesce a tro-vare in ognuno un riflesso di Dio che è Amore!Il libro è in vendita presso la libreria “Numero6” in via Croce, gestita dal noto Roberto Zaccagnini.

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3636 GiugnoGiugno20122012

Carlo Iannucci

Nel medesi-mo giorno(27 aprile)

in cui era nata, MariaLuisa se n’è tornata allacasa del Padre quasiun secolo dopo, forsea testimoniare che lavita e la morte sono unacosa sola, che si nasceper morire e si muoreper vivere, come fa ilseme fradicio generandonuova vita.Era la sorella di miopadre e ci volevamo ungran bene, l’ho vista sof-

frire e soffrire, resistere con tenacia fino a cade-re, recisa dalla “falce che pareggia tutte le erbedel prato”. Dice il saggio che la vecchiaia è essa stessamalattia, però arriva il momento in cui i farma-

ci e la cura solerte di chi ti ama non bastanopiù : dobbiamo convincerci che siamo gocce cadu-te dall’Alto, diventiamo rigagnoli, ruscelli, torrentie fiumi ma in fondo, sempre e comunque, ci atten-de l’immenso oceano della misericordia di Dio.Proprio Dio vogliamo ringraziare per la vita dona-ta a Maria Luisa, così piena ed intensa comeanche noi l’abbiamo conosciuta. Ascoltando le sue vivide memorie, talvolta Lechiedevo... di scrivere il romanzo della Sua vita,tanti erano i piccoli e grandi segreti custoditi,oggi utili per meglio comprendere Segni, segni-ni e... ”segninità”. Così avremmo saputo del pon-te Scarabeo, nei cui pressi era nata, come testi-monia il vicolo Calamita, soprannome della Suafamiglia; della giovinezza vissuta lungo la sola-tia “bia piana”; del primo lavoro nel Telegrafodella madre (Cesira Cipollini), poi nell’Ufficio Postaledi Segni, dove per oltre quarant’anni ha servi-to ed assistito migliaia e migliaia di cittadini, chelì impararono a conoscerne la vivacità e la sim-patia; del Suo matrimonio con GiuseppeAllegrini e della nascita dei suoi Rosa e Pietro;della tragica fine dei suoi fratelli Antonio - for-se la prima vittima segnina, e decenne, di un

incidente stradale - e Attilio (36 anni, mio padre);delle alterne fortune della Sua famiglia, del Suoarrivo alla pensione, dei suoi viaggi avventurosiper mezz’Europa; del culto appassionato del-le Sue amicizie, della parola intelligente e del-la polemica , spesso sferzante. Poi arrivò la stagione più triste delle rovinosecadute, dei femori infranti e testardamente risa-nati, le lunghe degenze e le sorprendenti ripre-se, fino alla svolta drammaica della Sua vita,la morte del figlio Pietro, lutto dal quale non sep-pe più riprendersi malgrado il correre del tem-po. Perfino la Sua fede sembrava vacillare alpensiero del figlio ed era sempre difficile dis-cuterne : accarezzava tuttavia il sogno di poter-lo riabbracciare nell’altra vita e questo era il segnoindiscutibile della Sua fede nel buon Dio: ... aifedeli che in Te confidano concedi i Tuoi santidoni, la virtù e il premio, la morte santa, la gioiaeterna.... Animati dalla speranza del Paraclito,noi,che restiamo nella crescente, umana solitudi-ne, vogliamo ricordare Maria Luisa, zia Maria,che aspetta l’affetto dei nostri pensieri e dellenostre preghiere, perchè, al di là della dubbiezzafoscoliana, ”il sonno della morte è men duro nel-le urne confortate dal pianto”...

Mara Della Vecchia

NN ella sua produzione musicale Johannes Brahms riservò unaparte cospicua alla musica corale, sia a cappella che accom-pagnata e tra questa dedicò delle opere importanti alla musi-

ca sacra a partire dall’Ave Maria op. 12 per coro femminile, orchestra eorgano del 1858 e soprattutto il Requiem Tedesco, la cui composizioneera stata preceduta da una serie di cori sacri che costituiscono una sor-ta di preparazione e avvicinamento, come i Marienliedere op.22 del 1859,il Salmo XIII op. 27 del 1860, il coro sacro Lass dich nur nichts daurenop. 30, i Drei geistliche Choere op. 37. Il Requiem Tedesco op. 45 fucomposto tra il 1857 e il 1868 e fu eseguito per la prima volta integral-mente al Gewandhaus di Lipsia nel 1869, dopo l’esecuzione parziale avve-nuta a Brema nell’anno precedente.Questa composizione prese vita in un periodo molto difficile per il gio-vane musicista, infatti aveva perso la madre nel 1865 e aveva subito l’ab-bandono della donna amata la quale aveva lasciato la Germania per tra-sferirsi in Irlanda, inoltre stava vivendo lontano da Clara Schumann, don-

na importantissima per la sua formazione e crescita arti-stica e doveva abituarsi ad una nuova situazione fami-liare in quanto suo padre aveva deciso di risposarsi.Per il testo del Requiem, Brahms preferì non utilizzarequello tradizionale, bensì di comporne uno originale, sce-gliendo liberamente dei brani dal testo biblico.L’emozione suscitata nel pubblico che assistette alla pri-ma esecuzione del Requiem fu grande e profonda, dal-l’incipit del coro d’inizio: “Beati coloro che sono in lutto”fino alla conclusione che invoca e la vita eterna, l’effet-to solenne e grandioso non conosce cedimenti.Uno dei critici musicali dell’epoca lo paragonò alla Messain Si minore di Bach e alla Missa Solemnis di Beethoven.E infatti è proprio a questa grande tradizione tedesca cheil Requiem brahmasiano si ispira, una musica severa, piùaffine alle costruzioni musicali rigorose di Bach e di Haendel,che alla musica romantica a lui più vicina . Proprio per questo, se da un lato veniva apprezzato per

aver dato seguito alla grande tradizione della musica tedesca, dall’altroveniva causticamnte criticato per lo stesso motivo e additato come unvecchio parruccone, come ebbe a dire Wagner che, parlando del suocollega disse che sembrava aver indossato “la parrucca dell’Alleluja diHaendel”. Il Requiem risulta formato da sette parti , dopo l’apertura “Beaticoloro che soffrono”, la seconda parte è caratterizzata da un coro all’u-nisono “ogni carne è come erba e tutta la gloria umana è come il fioredell’erba”. Inizia la terza parte con le parole del Salmo XXXIX “Signorefammi conoscere la misura dei miei giorni. Un corale fugato costituisce la quarta sezione, mentre nella quinta par-te interviene il soprano solista “Voi siete ora tristi... voglio consolarvi comeuna madre consola il suo bimbo”. “Perché noi non abbiamo quaggiù nessuna dimora sicura”, è il testo del-la sesta parte, nella quale l’incertezza del modo, tra maggiore e mino-re, evoca l’ansia e l’angoscia dell’animo umano che spera nella vita eter-na. L’ultima parte inizia con la proclamazione della resurrezione dei mor-ti da parte della voce del baritono e si conclude con le parole dell’Apocalisse:“Felici coloro che muoiono nel Signore”.

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3737GiugnoGiugno20122012

Prof. Antonio Venditti

FF rancesco Profumo, Ministro “tecnico” delM.I.U.R. (Ministero dell’Istruzione,dell’Università, della Ricerca), in una del-

le poche esternazioni ha dichiarato di non volermodificare la Riforma della scuola e dell’univer-sità, sviluppata dal precedente Ministro. E ciò vaconsiderato positivo in un Paese in cui, con l’av-vicendarsi dei Governi, sul piano dialettico e nonsolo, esisteva la prassi di distinguersi dal pas-sato e di modificare almeno in parte anche risul-tati utili, faticosamente raggiunti. Sotto il profilo del buon funzionamento dell’isti-tuzione scolastica, la continuità è senz’altro unvalore positivo. Ciò ovviamente non significa chesi debba adottare l’immobilismo della conserva-zione, perché, proprio quando non si perseguo-no sconvolgimenti, è più che doveroso l’adatta-mento continuo alle nuove esigenze.Si deve fronteggiare una grave emergenza, in unperiodo in cui è di drammatica attualità la “que-stione” giovanile, per il 31% di disoccupazione,secondo le statistiche ufficiali, basate sulle listedi quanti ricercano un lavoro, senza tener con-to degli apatici o scoraggiati, che si trovano nel-la inquietante situazione di non far niente, cioènon studiano e non aspirano nemmeno a svol-gere un’attività lavorativa con vari pretesti. Anche la scuola deve fare la sua parte, non sol-tanto con la serietà e con il rigore negli studi, fina-lizzati sempre più all’effettivo ingresso nel mon-do del lavoro, ma anche adattando l’”obbligo sco-lastico” a tale ineludibile necessità. Il Ministro, fis-sando tale “obbligo” a 17 anni, ha voluto dire unaparola chiara in una questione, purtroppo, con-troversa, per facilitare l’auspicato risultato.La soluzione dovrebbe porre fine al contrasto trale due diverse concezioni : termine del percor-so propriamente scolastico a 16 anni o a 18 anni,secondo le due diverse norme adottate da leg-gi precedenti.La soluzione “salomonica” a 17 anni è congenialead un più immediato e sicuro ingresso nell’ap-prendistato, dopo la frequenza di corsi di adeguataformazione che permettano anche il conseguimentodi una “qualifica” professionale. La domanda pressante è : “Cosa deve fare lascuola per favorire concretamente l’ingressodei giovani nel mondo del lavoro?”La risposta è talmente ovvia che viene da chie-derci perché negli anni passati ciò non sia statofatto davvero, invece di impegnare il tempo in este-nuanti quanto inconcludenti discussioni teoriche.La scuola deve preparare i giovani a svolgere tut-ti i lavori necessari, non soltanto quelli impiega-tizi e le professioni ritenute falsamente le più “nobi-li”. Se tutti i giovani sono obbligati a frequenta-re fino a 18 anni le scuole superiori che, con ilconseguimento del diploma, permettono l’accessoalle facoltà universitarie, ne consegue – come l’e-sperienza evidenzia – che l’aspirazione comu-ne è quella di avere un impiego possibilmente impor-tante o di svolgere professioni prestigiose secon-do la pubblica opinione.Certo, tra le aspettative rosee e la non facile real-tà, il divario è grande, come dimostra l’insuccessosoprattutto a livello universitario, con un gran nume-

ro di rinuncia-tari dopo i pri-mi anni e conil ritardo ende-mico nel con-seguimentodelle lauree. Ne deriva unrilevante nume-ro di giovaniche male han-no progettatoil loro avveni-re, forse illu-dendosi di pro-seguire nelfacile andazzodegli studi, gio-vani che nonhanno un pia-no di riserva eche comun-que non voglio-no ridimen-sionare le loroaspettative,nonostante leprove contrarie, e che ricercano almeno per unpo’ lavori impossibili, senza alcun risultato, e poinaturalmente cadono nello scoraggiamento e siadagiano nella condizione di “bamboccioni”, sen-za più ricercare un’occupazione che li renda auto-nomi e permetta loro di formarsi una nuova fami-glia.La responsabilità di tale preoccupante situazio-ne va equamente divisa tra le tre istituzioni, dacui queste generazioni senza futuro dipendono: la famiglia, la società, la scuola. La famiglia avreb-be dovuto, al di là delle mode e degli interessi,capire meglio e motivare le aspirazioni dei figli,nel confronto con le capacità concrete e con leesigenze della realtà, ridimensionando le attesee sostenendo le vere attitudini.La società avrebbe dovuto programmare il futu-ro delle nuove generazioni, puntando sul lavoroper tutti, in applicazione del 1° articolo della Costituzione,combattendo le ingiustizie, i privilegi, le disuguaglianze.La scuola, assicurando una solida formazione dibase, a tutti i soggetti dell’educazione, secondoil diritto di ognuno alla formazione integrale del-la personalità, avrebbe dovuto ridurre e non aumen-tare la forbice con le reali esigenze della socie-tà, preparando ogni giovane , secondo le sue atti-tudini e capacità, ad un possibile ruolo lavorati-vo. Applicando al meglio la Riforma della scuo-la secondaria superiore, nel rilancio dell’istruzionetecnica e professionale, si può determinare unasvolta nell’immissione dei giovani nel mondo dellavoro, preparandoli, oltreché con una solida for-mazione di base, anche in relazione a tutte quel-le attività in cui esistono possibilità di impiego imme-diato, per le quali sono le stesse aziende a chie-dere le fondamentali conoscenze.L’elasticità, tanto evidenziata nel mercato del lavo-ro, deve essere adottata anche in ambito scola-stico, nel senso che, con tutto rispetto per i pia-ni di studio e per i programmi, si devono ricer-care forme nuove di preparazione, che preluda-

no, ad esempio, dopo il conseguimento della “qua-lifica” professionale, proprio a 17 anni, all’imme-diata attivazione di corsi specifici, magari in col-laborazione con le aziende, per l’acquisizione del-le competenze necessarie allo svolgimento di deter-minati tipi di lavoro, propedeutici all’inizio del-l’apprendistato, primo lavoro regolamentato e retri-buito. E si deve davvero fare in modo che il lavo-ro duri per tutta la vita, perché – come stiamo ama-ramente constatando – senza lavoro, non solovengono a mancare gli indispensabili mezzi di sus-sistenza, ma la stessa dignità dell’uomo e delladonna viene umiliata e la società viene sconvoltanel suo intimo. Ma, poiché, nella mobilità dei mercati, non è pos-sibile il mantenimento dello stesso tipo di lavo-ro, fermo restando il sacrosanto diritto di lavorare,si deve determinare nei giovani la capacità di ade-guamento continuo alle situazioni emergenti, cioèla volontà e la capacità di svolgere lavori nuovi,sempre in relazione alle diverse attitudini, ma conl’acquisizione delle nuove conoscenze e competenzenecessarie.Si va, quindi, verso un formazione continua, perla quale la scuola deve attrezzarsi, per esseredavvero al servizio della società. Questo emerge dal dibattito attuale sulla riformadel lavoro e questo era certamente il senso del-le dichiarazioni del senatore Mario Monti,Presidente del Consiglio dei Ministri, terminate,però, nella battuta infelice che il posto fisso è “mono-tono”, perché in una questione così angoscian-te per i milioni di disoccupati ed i milioni di pre-cari, soprattutto giovani, non serve l’ironia,anche con i buoni propositi e le adeguate azio-ni per riaprire le prospettive di crescita dell’eco-nomia nella competitività richiesta dalla glo-balizzazione dei mercati, con il conseguente recu-pero di molti posti di lavoro, andati perduti negliultimi anni, e la creazione di tanti altri, nello svi-luppo delle nuove tecnologie.

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3838 GiugnoGiugno20122012

Bollettino diocesano:

BILANCIO DELLA DIOCESI DI VELLETRI-SEGNI

PER L’ANNO 2011

1. COSTI Euro 2. RICAVI Euro

1.1. GESTIONE ORDINARIA 2.1. GESTIONE ORDINARIA

Gestione immobiliare: Tasse e Tributi:

- Gestione Episcopio ed assicurazione 1.991 - Rimborso marche 120

- Manutenzione Episcopio 1.442 Contributi percepiti:

- Gestione altri edifici ed assic. 2.260 - Contributi ordinari percepiti (C.E.I. 8 per mille) 289.075

- Gestione Museo, Archivio e Biblioteca (utenze, assic.) 52.010 - Contributi per i Cappellani (dall’ A.S.L. e Op. Berardi) 21.677

- Gestione Teatro Aurora (utenze, assic.) 3.985 Offerte e proventi vari:

- Tempietto del Sangue (utenze, assic.) 815 - Offerte varie 2.335

- Inizio lavori per abitazione sacerdoti 6.292 - Rimborsi da servizi vari (Cancelleria, T. Aurora, Mensa) 24.739

Gestione Uffici: - Offerte Ufficio Scuola 1.400

- Funzionamento Uffici (utenze, fotocopiatrici) 14.213 Fitti Attivi:

- Oneri diversi (abbonamenti, cancell., gest. informat., pulizia) 12.770 - Fitti attivi 39.851

Spese attività Uffici: Proventi finanziari:

- Spese Attività Uffici (ritiro clero, assic. infortuni 60 ragazzi) 3.245 - Interessi su C/C 780

- Pastorale Diocesana (past. dioc., vocazionale, giovanile) 13.230 - Interessi su Titoli 3243

Comunicazioni sociali 25.200 TOTALE 383.220

Spese del personale:

- Spese personale (stipendi, contributi vari, spese Mensa) 23.892

- Contributi erogati (Capp. Ospedale, Op. Berardi, Sem. Anagni) 45.005

Contributo straordinari erogati: ( N. B. le cifre sono arrotondate all’euro)

- Gestione Acero, Casa Famiglia Segni, Archivio Segni 28.485

Altre componenti passive:

- Sopravvenienze passive, appartamento don L. Carosi 8.276

Imposte e tasse:

- Imposte e tasse ( Redditi Ires, ICI, Imposte di Registro) 6.542

Spese per il Vescovo:

- Per il Vescovo Diocesano 9.575 2.2. GESTIONE STRAORDINARIA

- Contributo per il Vescovo Emerito 4.897 - Contributo straordinario dalla C.E.I. per l’acquisto

TOTALE 264.125 dell’edificio e terreno dall’Opera Don Guanella 829.000

1.2. GESTIONE STRAORDINARIA - Vendita dell’appartamento lasciato alla Diocesi da Don

- Spesa iniziale oer l’ acquisto di un edificio con terreno Luigi Carosi, per realizzare abitazioni per sacerdoti 207.504

dall’Opera Don Guanella 808.000 - Ricavato dall’esproprio di terreno all’Acero dall’ ACEA 7.163

TOTALE 808.000 TOTALE 1.043.667

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3939GiugnoGiugno20122012

Prot. VSC 13A/ 2012 DECRETO VESCOVILE DI EREZIONE E DI APPROVAZIONE DELLO STATUTO

DELLA CONFRATERNITA “GIOVANNI PAOLO II”SITA IN LARIANO, PRESSO LA PARROCCHIA S. MARIA INTEMERATA

Vista l’istanza presentata da un gruppo di fedeli e dal parroco di S. Maria Intemerata in Lariano, p. Vincenzo Molinaro, tendente ad ottenere, anorma del can. 314 del Codice di diritto canonico, il riconoscimento di una Confraternita e l’approvazione del suo statuto, adeguato alle norme canoniche e civili vigentiVerificato, a seguito di attento esame, che lo statuto da approvare risulta, nei singoli articoli e nel suo complesso, sostanzialmente conforme alle suddette normeConsiderate le favorevoli informazioni assunte sulla vita, le vicende e le attività svolte dagli interessati fino al presente.Tenuto conto che tutta l’attività della erigenda Confraternita si svolge in pieno accordo con la parrocchia di S. Maria Intemerata, presso la quale la stessa ha sede,in forza della mia autorità ordinaria

DECRETOChe viene eretta e riconosciuta la Confraternita “Giovanni Paolo II”, sita in Lariano presso la Parrocchia S. Maria Intemerata, Piazza S.Eurosia 5, è contestualmente approvato il suo statuto composto da 24 articoli e al presente atto allegato, mandando a chiunque spetti diosservarlo e di farlo osservare, riservando a me e ai miei Successori ogni altra necessaria approvazione di successive modifiche in tutto o inparte, qualora nel corso del tempo l’Assemblea dei Confratelli le dovesse eventualmente deliberare.Il presente decreto, redatto in tre copie, verrà inviato alla Confraternita e alla Parrocchia presso la quale la prima ha sede, mentre una copia,come di dovere, resterà agli atti della Cancelleria.

Velletri, 1° Maggio 2012Mem. di San Giuseppe lavoratore + Vincenzo Apicella, vescovo1° anniversario della Beatificazione di Giovanni Paolo II

-----------------------------------------------------------------------------------------------Prot. VSC 16A/ 2012

Con la chiusura del Convento dei PP. Cappuccini è venuto a mancare presso il Cimitero Monumentale di Velletri il sacerdote cappellano perl’assistenza spirituale. Al fine di garantire una adeguata assistenza spirituale in un luogo così importante, per la facoltà concessami dal C.J.C.con il presente decreto

nomino te Rev.mo Ghibaudo mons. Giovanni Cappellano del Cimitero di Velletri.

Velletri, 08.05.2012 + Vincenzo Apicella, vescovo

il Cancelliere Vescovile, Mons. Angelo Mancini

Bollettino diocesano:

Arte Sacra Veliter

EE’’ arrivato a metà del cammino, il corsobase di iconografia bizantina, organiz-zato dal maestro d’ar-

te Fabio Pontecorvi nel labo-ratorio del Museo diocesanodi Velletri con il supporto logi-stico degli amici dell’associazioneculturale il Trivio.Un percorso importante per gliallievi che con entusiasmo estupore sono entrati a contattocon la tempera all’uovo, pig-menti naturali, foglia in oro masoprattuto con il soggettoche stanno rappresentando.

Il volto di Cristo non dipinto da manod’uomo Achiropita o acheropita,dal Greco bizantino ἀχειροποίητα("ἀ-" privativo + "χείρ" = mano + "ποιείν"= fare, produrre), significa “non fat-to da mano (umana)”.Il percorso tecnico, che partendo daldisegno su tavola in massello

ingessata (Levkas)per poi seguirecon la grafia del vol-to e la campituradel volto (Sankir)un colore scuro tipo verde oli-va, fino all’inizio delle lumeg-giature a significare anche ilpercorso di ogni cristiano chedal buio delle tenebre vieneaccolto dalla luce dell’amoredi Dio.Importante il significato sim-

bolico e teologico dei tratti somatici del volto edei colori che aiutano a leggere l’icona e la suaspiritualità.Un contributo importante è stato quello dellapresenza della docente in Scienze religioseAlessandra Mancini che ha spiegato con il con-tributo di slide la storia del Mandillion (imma-gine del volto di Gesù).

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Caravaggio, Crocifissione di san Pietro,

1600 – 1601, Cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo a Roma

don marco Nemesi*

DD opo la commissione per la Cappella Contarelli, Caravaggiosi vede assegnare un altro autorevole incarico: la realizza-zione delle due tele laterali per la cappella Cerasi in Santa

Maria del Popolo. Tiberio Cerasi, tesoriere generale della Camera Apostolicasotto papa Clemente VIII, nel luglio del 1600 aveva acquistato in SantaMaria del Popolo la cappella Foscari (dedicata ai Santi Pietro e Paoloe situata nel transetto accanto all’altare maggiore), con il diritto di modi-ficarla a suo piacimento. Cerasi si era rivolto ai massimi arti-sti di quegli anni: un’Assunta per lapala d’altare viene commissionata adAnnibale Carracci, mentre a Caravaggiosi richiedono due dipinti laterali, daeseguire su tavola di cipresso, raffi-guranti la Crocifissione di san Pietroe la Conversione di san Paolo, i duesanti ai quali la cappella era dedica-ta. Alla morte di Cerasi, ne diventaerede universale l’Ospedale dellaConsolazione. Probabilmente a cau-sa di un rallentamento nell’esecuzionedei lavori di ampliamento della cap-pella, affidati all’architetto CarloMaderno, le due opere eseguite daCaravaggio furono sistemate nella cap-pella soltanto nella primavera del 1605.Tuttavia, i dipinti tuttora visibili nellacappella Cerasi non sono su tavoladi cipresso, ma su tela. Delle due tavole, che già nel Seicentopresero la via della Spagna, ne soprav-vive oggi solo una Conversione di Paolo,confluita a Roma nella collezioneOdescalchi. Della seconda, laCrocifissione di san Pietro, si perse-ro le tracce molto presto. Il biografoBaglione, suggerisce che il motivo del-la sostituzione delle prime versioni sutavola fu il rifiuto del committente rimasto insoddisfatto.Affascinante è l’ipotesi che Caravaggio stesso abbia percepito l’inade-guatezza dei dipinti da lui eseguiti su tavola rispetto allo spazio ristret-to, da poco restaurato, della cappella, dove si sarebbero trovate a fian-co a fianco con la magnifica e innovativa pala d’altare di Annibale Carracci,l’Assunta che a braccia aperte sembra volere uscire dalla tela per cor-rere incontro ai visitatori.Caravaggio avrebbe quindi concepito le due nuove versioni tra il 1601e il 1605. Sia la struttura compositiva sia la corrispondenza dei gesti trala pala centrale di Carracci e i due dipinti laterali di Caravaggio creanonella piccola cappella una spazialità particolare, quasi teatrale, una sug-

gestione in cui è potentemente coinvolto, da protagonista, chiunque entriin quel modesto spazio. I rimandi fra i due quadri raffiguranti san Pietro e san Paolo sono tantoforti e stringenti da creare un dialogo serrato e di forte emozione. Caravaggioin questo dipinto usa la luce per concentrare lo sguardo di chi osservail quadro su poche figure: san Pietro con le mani già trafitte dai chiodi,è poggiato sulla croce che sta per essere innalzata e sembra cercarecon lo sguardo il conforto di qualche presenza amica, ma incontra sol-tanto il vuoto. Il senso di umanità, d’intensa partecipazione, si estendeanche ai tre aguzzini che non sono presentati come personaggi che agi-scono in modo brutale e crudele, ma sono piuttosto uomini semplici, costret-ti a un lavoro faticoso. I tre aguzzini, oltre a guardare nella direzione oppo-sta dell’apostolo, sono disposti intorno a lui a raggiera sul lato sinistrodella scena, impegnati nell’ultimo atto dell’esecuzione. L’uomo in basso innalza con la forza delle spalle l’asse della croce; quel-lo al centro assicura al legno l’estremità della corda con cui sono lega-ti i piedi di Pietro; un terzo carnefice sta per tirare il capo della corda per

sollevare la croce, da cui l’apostolo,per sua volontà, sarà appeso a testain giù. Simbolo salvifico della fede cri-stiana, la croce è per Caravaggio ilfulcro della scena: il suo innalzamentorappresenta simbolicamente la costru-zione della Chiesa, affidata da Cristoa Pietro, su cui si concentra la luce. Il sasso in primo piano è da interpretarsicome un crittogramma del nome(Pietro/pietra). L’ambientazione della scena corri-sponderebbe al luogo storicamenteindicato come sede del martirio: ilGianicolo. Il tema del dipinto influì inseguito sulla scelta di Rubens nel dipin-to nella cappella di Sant’Elena in SantaCroce in Gerusalemme e di Guido Reninella pala già all’abbazia delle TreFontane.Stupenda è la lettura letteraria chene ha dato Roberto Longhi: «Sulle rocce brune che saranno(con quella luce negli occhi)ultimo ricordo del martire, pres-so la cava di pozzolana o la cal-care di San Pietro in Montano, ilpittore, impassibile, gira la fati-ca dei serventi (il cui gesto, è dove-roso riconoscerlo, è di operai chesi affaticano e non di carnefici che

incrudeliscano nella bisogna), tutti in giubboni e brache frusti,baveri sgualciti e pur rifiorenti nel lume), piedi fangosi e con ipochi attrezzi; e riprende da vicino il santo, forse notissimo model-lo buono di via Margutta, che, già infitto alla croce, ci guarda cal-mo, cosciente come un moderno eroe laico; mentre il mantellobigio-azzurro va scivolando in un angolo sotto l’ombra del badi-le brunito, accanto al pietrone friabile e caldo come un pane anco-ra impolverato dalla cenere del forno».

*Direttore Uff. diocesano Beni culturali, Chiese e Arte sacra