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anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 - www.rivistapaginauno.it anno X - numero 48 - giugno / settembre 2016 - www.rivistapaginauno.it

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RESTITUZIONE PROSPETTICASurvival economydi Giovanna Cracco

POLEMOSInformazione, potere e TTIPdi Iacopo Adami

Dal Jobs Act alla Loi Travail.La Francia e noiCollettivo Clash City Workers

Too slow for too longdi Giovanna Baer

L'INTERVENTOTecnologie, capitalismoe vie di fugadi Giorgio Griziotti

INCHIESTAThank you for smokingdi Giovanna Cracco

INTERVISTASOS Fornace-San Precario.La 'città vetrina' di Aresedi Domenico Corrado

INTERVISTAMaria Rosa Cutrufelli.Sebben che siam donne,paura non abbiamodi Giuseppe Ciarallo

A PROPOSITO DI...Il mondo del lavoro nella poeticadi William McIlvanneydi Carmine Mezzacappa

FILO-LOGICOChiacchieradi Felice Bonalumi

BUONE NUOVEEros ai tempi della crisiRecensione di Uomini nudi,Alicia Giménez-Bartlettdi Sabrina Campolongo

LE INSOLITE NOTEJohn SurmanFree and Equaldi Augusto Q. Bruni

8,00 euro

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DIRETTORE EDITORIALEGiovanna Cracco

GLI AUTORI DI QUESTO NUMEROIacopo AdamiGiovanna BaerFelice BonalumiRaffaella BrioschiAugusto Q. BruniSabrina CampolongoGiuseppe CiaralloAndrea CocciCollettivo Clash City WorkersDomenico CorradoGiovanna CraccoGiorgio GriziottiCarmine MezzacappaMilton Rogas

Le opere pubblicate sono di Mathilde Ferghinae fanno parte del Progetto Gaza ParkourAnd Free Running

Le collaborazioni a questa rivista sonoa titolo gratuito. Tutti i testi, salvodiversamente indicato, sono soggetti a licenza Creative Commons – Attribuzione, Non commerciale, Non opere derivate, 2.5 Italia. I testi proposti per un'eventuale pubblicazione non vengono restituiti e vanno inviati a:[email protected]

IN COPERTINAHandalaMathilde FerghinaBiro e acquerello, 2015

anno X – numero 48giugno / settembre 2016pubblicazione bimestrale (5 numeri annuali)prezzo di copertina 8,00 euroautorizzazione tribunale di Monza n. 1429registro periodici, del 13/12/1999

SOCIETÀ EDITRICEMcNelly s.r.l.Via A. Villa 44 - Vedano al Lambro (MB)

DIRETTORE RESPONSABILEValter Pozzi

SEGRETARIA DI REDAZIONEGiusy Mancinelli

PROGETTO GRAFICOPaginauno

ABBONAMENTO ANNUALEordinario 35,00 eurosostenitore 50,00 euroc/c postale n. 78810553 intestato Valter Pozzib/b IBAN: IT 41 V 07601 01600 [email protected]

NUMERI ARRETRATIPer ricevere i numeri arretrati scrivere a:[email protected]

STAMPAFinsol s.r.l.via Prenestina Nuova 301/C3, Palestrina (RM)www.finsol.it - [email protected]

Chiuso in redazione il 26 maggio 2016www.rivistapaginauno.it

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In questo numero

Survival economy: tra stagnazione secolare e riequilibri glo-bali, il capitale italiano arranca e la sharing economy è la nuo-va frontiera dello sfruttamento. TTIP alla volata finale: den-tro il Trattato di libero scambio Usa-Ue che nel silenzio deimedia si vuole firmare entro l’autunno. Crescita economicacercasi: il report di aprile del Fondo monetario internaziona-le lancia l’allarme: la Cina ci salverà? Tecnologie, capitalismoe vie di fuga: dispositivi mobili e biopolitica, messa a profit-to del comune ma anche possibile autonomia: il problema èpolitico. Unione europea e Big Tobacco: in scadenza il pri-mo di quattro accordi anti-contrabbando, tra segretezza deidati e pressione delle lobby. Dal Jobs Act alla Loi Travail: laFrancia e noi, punti in comune tra la riforma d’oltralpe e quel-la italiana. Produci, consuma, crepa: la ‘città vetrina’: SOSFornace e San Precario, Mayday al centro commerciale diArese.

E ancora: intervista a Maria Rosa Cutrufelli, la ‘terza rivolu-zione’ nei romanzi di William McIlvanney, la chiacchiera ela vita inautentica. E poi: recensioni musicali, di romanzi,saggi e film, arte con le opere di Mathilde Ferghina e il Pro-getto Gaza Parkour And Free Running.

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SOMMARIO

_ RESTITUZIONE PROSPETTICA pag. 6 Survival economy di Giovanna Cracco

_ POLEMOSpag. 12 Informazione, potere e TTIP di Iacopo Adami _pag. 20 Dal Jobs Act alla Loi Travail. La Francia e noi Collettivo Clash City Workers _pag. 26 Too slow for too long di Giovanna Baer

_ L'INTERVENTOpag. 34 Tecnologie, capitalismo e vie di fuga di Giorgio Griziotti

_ INCHIESTApag. 40 Thank you for smoking di Giovanna Cracco _ INTERVISTApag. 46 SOS Fornace-San Precario. La 'città vetrina' di Arese di Domenico Corrado

pag. 50 Maria Rosa Cutrufelli. Sebben che siam donne, paura non abbiamo di Giuseppe Ciarallo

_ A PROPOSITO DI...pag. 54 Il mondo del lavoro nella poetica di William McIlvanney di Carmine Mezzacappa

_ FILO-LOGICOpag. 60 Chiacchiera di Felice Bonalumi

_ BUONE NUOVEpag. 66 Eros ai tempi della crisi Recensione di Uomini nudi, Alicia Giménez-Bartlett di Sabrina Campolongo

_ IN LIBRERIA – narrativapag. 74 Gli ultimi giorni di Smokey Nelson Catherine Mavrikakis (R. Brioschi) Neighbours Lília Momplé (R. Brioschi) L'altra figlia Annie Ernaux (Milton Rogas)

_ IN LIBRERIA – saggisticapag. 75 TTIP, P. Ferrero, E. Mazzoni, M. Di Sisto (I. Adami) Globalizzazione e decadenza industriale Domenico Moro (G. Cracco) Lettere / Riflessioni Madame de Staël (S. Campolongo) _ LE INSOLITE NOTEpag. 76 John Surman Free and Equal di Augusto Q. Bruni

_ ZONA FRANCApag. 82 Bubba Ho-Tep Don Coscarelli Silvio forever Roberto Faenza e Filippo Macelloni Non si uccidono così anche i cavalli? Sydney Pollack di Andrea Cocci

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RESTITUZIONE PROSPETTICA

Il processo di globalizzazione non siarresta. Una tappa dietro l’altra, lepolitiche degli Stati proseguono nellacreazione di un unico libero mercatomondiale, senza barriere protezioni-stiche per merci, servizi e capitali.

A Occidente dodici Paesi, tra cuigli Stati Uniti, hanno firmato il TPP, ilTrattato di libero scambio dell’area delPacifico (1), e sono in corso i negoziatitra Usa e Europa per il TTIP (2).

A Oriente la Cina preme per esse-re riconosciuta dall’Unione europeacome ‘economia di mercato’, un cam-

biamento di status che cancelle-rebbe i dazi doganali oggi applicatiai suoi prodotti. Difficilmente acca-drà ora, ma è solo questione ditempo. A fine 2016 avrebbe dovu-to infatti concludersi il processo av-viato nel 2001, quando il Paese asia-tico entrò nel Wto accettando unperiodo di osservazione di quindicianni. Oggi gli Stati Uniti fanno pres-sione per respingere la richiesta, el’Europa va nella medesima dire-zione. Ufficialmente la politica cine-se è ancora troppo presente nellastruttura produttiva per essere con-siderata un’economia di mercato,in realtà, visto l’evolversi della crisinei Paesi a capitalismo avanzato,

aprire adesso le porte alle merci ci-

nesi a basso prezzo significherebbe an-nientare l’industria manifatturiera an-cora rimasta nel Vecchio Continente.Il 12 maggio scorso dunque il Parla-mento europeo ha votato a grandemaggioranza (546 sì, 28 no e 77 aste-nuti) una risoluzione contraria, e an-che la Commissione si sta allinean-do. Ma l’attuale rifiuto non è indica-tore di un’inversione di tendenza: ilprocesso di globalizzazione sa essereflessibile, sa rallentare per poi ripar-tire più vigoroso.

C’è tuttavia chi parla esplicita-mente di ‘stagnazione secolare’ – manon per questo, per inciso, mette indiscussione la globalizzazione. Ne di-batte un filone di economisti, capeg-giati dallo statunitense Lawrence Sum-mers (3), il quale ha proposto per laprima volta la sua analisi davanti alFondo monetario internazionale nelnovembre 2013. Secondo Summersda circa vent’anni l’economia realenon registra una crescita ‘sana’: pri-ma del 2001 l’aumento del Pil è coin-ciso con la bolla borsistica delle dot.com, tra il 2002 e il 2007 con la bollaimmobiliare poi esplosa con i mutuisubprime. Da allora, siamo ancora quia dibatterci con la recessione, nono-stante le banche centrali, la Fed pri-ma e successivamente la Bce, abbia-

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di Giovanna Cracco

Survival economy

__________________________________________________________________________________________________1) Sono coinvolti: Stati Uniti, Messico, Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia,Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam2) Cfr. Iacopo Adami, Informazione, potere e TTIP, pag. 123) Lawrence Summers, Segretario al Tesoro degli Stati Uniti dal 1999 al 2001 con Clinton,rettore dell’Università di Harvard dal 2001 al 2006, Direttore del National Economic Councildal 2009 al 2010 con Obama

Le politichedegli Stati

proseguononella creazione

di un unicolibero mercato

mondialementre c’è

chi parlaesplicitamentedi stagnazione

secolare ela divisione

internazionaledel lavoro si va

modificando

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no portato praticamente a zero il co-sto del denaro e inondato il mercatodi liquidità. Sono gli investimenti pri-vati nel capitale produttivo a manca-re, sia per Summers che per il Fmi,mentre il denaro prende la strada del-la finanza – si temono, ancora, bollefinanziarie. Né Summers né gli anali-sti del Fmi spiegano tuttavia le ragio-ni del calo degli investimenti, limitan-dosi a scattare una fotografia di ciòche hanno davanti: forse perché perfarlo dovrebbero scomodare Marx ela teoria della caduta tendenziale delsaggio di profitto.

Contemporaneamente, la divisio-ne internazionale del lavoro, struttu-rata dall’organizzazione produttiva subase globale, si va modificando. Le tregrandi aree del mondo inizialmentecreate stanno cambiando. L’Africa e ilMedio Oriente sono ancora le zone diestrazione delle materie prime, mal’Asia non è più solo la ‘fabbrica delmondo’ e Stati Uniti ed Europa han-no forti difficoltà a continuare a esse-re le regioni in cui vendere le merciprodotte. E infatti il Fmi, lanciandol’allarme sull’eccessiva lentezza dellacrescita economica mondiale, spingela Cina a favorire la nascita di un mer-cato interno, per creare quel ceto me-dio che possa acquistare i prodottifabbricati non solo in Asia ma anchein Europa e Usa (4).

In tutto questo, l’Italia arranca più dialtri Paesi; sta faticando non poco per

adattarsi alla globalizzazione. Le cau-se della sua ‘arretratezza’ vanno ri-cercate nelle caratteristiche storichedella classe dirigente politica ed eco-nomica, e di conseguenza nella strut-tura produttiva messa in piedi. Pochicapitali investiti, innanzitutto – la mag-gior parte dei profitti è sempre rima-sta nelle tasche degli imprenditori in-vece di prendere la via dell’innova-zione e della ricerca – e un forte so-stegno/legame con la politica alimen-tato dalla micro e macro corruzione;una quota molto alta di piccole e me-die imprese contro pochi grandi grup-pi a controllo familiare, che si giova-vano di posizioni di monopolio/oligo-polio proprio grazie alla vicinanza conla politica; una forte presenza delloStato nell’economia, con la proprietàdiretta di banche e aziende; l’esisten-za della cosiddetta ‘galassia del nord’,riunita nel patto di sindacato di Rcs,con Mediobanca a ruolo di coordina-tore di quello che è stato definito ‘ca-pitalismo di relazione’; e infine il ‘ban-cocentrismo’, la caratteristica tutta i-taliana di rivolgersi alle banche pertrovare capitali da investire – sotto-scrivendo prestiti – invece di andaresul mercato azionario. Anche l’esisten-za all’interno dei confini di una ‘zonadepressa’ nella quale investire con ilforte sostegno dello Stato, il Meridio-ne, ha inciso nella mancanza di inte-razione con l’estero del capitale ita-liano.

La bella penisola, insomma, benpiù di altri Paesi, si reggeva su un si-stema economico chiuso e protetto

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Boccia ha lanciato ilsasso nello stagno del capitaleitaliano, o si adatta alla globalizzazioneo muore: la capitalizzazione della Borsadi Milano ètra le piùbasse dellaUe, il 35% delPil a frontedi un 65%della mediaeuropea

______________________________________________4) Cfr. Giovanna Baer, Too slow for too long,pag. 26

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RESTITUZIONE PROSPETTICA

(oltre che colluso con la criminalitàorganizzata), e per questo poco con-

correnziale; quando si sono apertele frontiere, non ha saputo staresul mercato.

L’euro è stato il fattore decisivoper iniziare a modificare la struttu-ra economica, a partire dalle priva-tizzazioni avviate nel 1992, ma ilprocesso è stato lento e ha incon-trato non poche resistenze da par-te di imprenditori abituati a stareal caldo. Ora il problema è che lacrisi globale, giunta a questo pun-to, lascia ben poco tempo per rior-ganizzarsi. Lo sa Renzi, che da quan-do è entrato a Palazzo Chigi ha ilpiede premuto sull’acceleratore, esembra averlo ben chiaro anche ilnuovo presidente di Confindustria.

Alla sua prima uscita pubblica,il 26 maggio scorso, Vincenzo Boc-cia è stato esplicito. Ha parlato del-

la necessità di attrezzarsi “al nuovoparadigma economico. Noi impren-ditori dobbiamo costruire un capita-lismo moderno fatto di mercato, diapertura ai capitali e di investimentinell’industria del futuro”; ha affer-mato che oggi servono “dimensioniadeguate. Per questo dobbiamo cre-scere. Crescere deve diventare la no-stra ossessione. […] Ricordando atutti, a partire da noi stessi, che ‘pic-colo’ non è bello in sé, ma è solo unafase della vita dell’impresa. Si nascepiccoli e poi si diventa grandi”; hacondannato il ‘bancocentrismo’ ita-liano e promosso la raccolta di capi-tali sui mercati azionari (“Il nostroobiettivo come imprenditori è rac-cogliere capitale adeguato ai piani dicrescita industriale: più capitale dirischio, meno capitale di debito. Leimprese devono utilizzare strumentifinanziari alternativi e diventare me-no ‘bancocentriche’”); ha promosso

fusioni e acquisizioni, anche con real-tà straniere, criticando la struttura fa-miliare tipica delle imprese italiane(“Non dobbiamo rimanere soggioga-ti dalla paura della perdita del con-trollo”).

Boccia (classe 1964 – Giorgio Squin-zi, fino a ieri presidente, era del 1943)ha lanciato il sasso nello stagno delcapitale italiano: o si adatta alla glo-balizzazione o muore. Perché anche idati del 2015 confermano che la ca-pitalizzazione della Borsa di Milano ètra le più basse dell’Unione europea,appena il 35% del Pil a fronte di un65% della media Ue, con la Franciache tocca l’81% e la Gran Bretagna il121%; su 6.000 imprese italiane chefatturano più di 50 milioni, solo 220sono quotate in Borsa. Spingere il mer-cato dei capitali significa non solo u-scire dal bancocentrismo ma anchefavorire i processi di fusione e acqui-sizione, superando in tal modo il con-trollo familiare, il capitalismo di rela-zione e la struttura a piccole/medieimprese. In questa direzione va anchela lotta alla diminuzione del debitopubblico: ridurlo, infatti, significa spo-stare il risparmio italiano dai titoli diStato alla Borsa.

Si tratta di una riorganizzazionecomplessiva dell’economia e dellastruttura delle imprese italiane, chefino a oggi ha proceduto con lentez-za e ora deve farsi più rapida; unatrasformazione che si inscrive nel pas-saggio da una fase capitalistica na-zionale a una globalizzata. Ciò signifi-ca che la riduzione del numero di im-prese, per chiusura o per acquisizio-ne, che si registra da quando è scop-piata la crisi nell’economia reale nel2008, non è un processo negativo chela politica italiana sta cercando di con-trastare, ma il necessario percorso diadattamento alla globalizzazione che

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Spingere ilmercato

dei capitalisignifica

uscire dalbancocentrismo

e favorire iprocessi di

fusione eacquisizione,superando il

controllofamiliare, il

capitalismo direlazione e la

struttura apiccole/medie

imprese

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Survival economy

sta favorendo, e che oggi esplicita-mente spinge.

La situazione ha del paradossale.Sulla sponda dello sfruttamento del la-voro l’Italia si è già adeguata alla glo-balizzazione: attraversando il Pacchet-to Treu, la legge 30 e infine il Jobs Actil lavoro è oggi a uso e consumo del-le curve produttive e la retribuzionecollegata alla produttività; è a buonpunto anche il welfare, dal quale loStato si sta rapidamente ritirando perlasciare spazio ai profitti privati; sullato del capitale, invece, non è anco-ra pronta. Dunque continua ad anna-spare più di altri Paesi, con il Pil asfit-tico, lo spettro della deflazione sem-pre accanto e la disoccupazione sta-bile a due cifre, mentre nelle grandicittà si sopravvive grazie alla sharingeconomy, Airbnb e Uber su tutte. Unasituazione che non cambierà nemme-no se il capitale italiano riuscirà a glo-balizzarsi e a registrare una crescita e-

conomica, perché se gli equilibri del-la globalizzazione trasformeranno dav-vero la Cina nel nuovo mercato di ven-dita, a che prezzo potranno esserevendute le merci in Asia, e quindi aquale costo del lavoro potranno es-sere prodotte nei Paesi a capitalismoavanzato?

E allora più che sharing economy sa-rebbe corretto definirla survival eco-nomy, perché già ora a tenerla in pie-di non è la favoletta della condivisio-ne, che ha così positivamente colpitol’immaginario delle nuove generazio-ni, ma l’incubo della sopravvivenza.“Airbnb è più di un gruppo di case. Èun modo radicale per ripensare l’e-conomia. Circa il 62% degli host diAirbnb usa il servizio per pagare l’af-fitto o il mutuo” (5), dice Brian Chesky

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Despite thepain, there ishope: 2012war in Gaza.MathildeFerghina.Biro eacquerello,2015.

A tenere inpiedi la sharing economy nonè la favolettadellacondivisionema l’incubodella sopravvivenza: Airbnb non rappresentasolo un nuovo modello economicoma anche una nuova forma di sfruttamento

______________________________________________5) Rebecca Chao, How the Internet Savesat #PDF14, techpresident.com, 6 giugno 2014

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RESTITUZIONE PROSPETTICA

– classe 1981, cofondatore e oggi am-ministratore delegato di Airbnb, pa-

trimonio netto di 3,3 miliardi di dol-lari secondo la rivista Forbes – checentra il punto: ci si paga l’affitto oil mutuo. Airbnb si affianca al wel-fare familiare per compensare le en-trate di un lavoro sottopagato, o gra-tuito (stage) o inesistente. Gli hostsono per lo più giovani, che si divi-dono un appartamento di due/trecamere e ne danno la disponibilitàintera su Airbnb, o che vivono in unmonolocale o in un appartamentocon due stanze e ne affittano una.Il disagio è evidente: pulire casa e

cambiare la biancheria ogni volta, fa-re la questua dagli amici per poterdormire sul loro divano, o sopporta-re, con il sorriso e la gentilezza, estra-nei per casa.

Uno studio dell’Università Bocco-ni intitolato “L’ospitalità alternativa aMilano” del febbraio 2015 – quindiprecedente ai sei mesi di Expo, che

hanno fatto esplodere il fenomeno –fotografa l’esistenza di 6.800 alloggiproposti su Airbnb, contro 455 alber-ghi e 398 esercizi extra-alberghieri(B&B, affittacamere regolarmente i-scritti al registro, ostelli ecc.). Una ve-ra economia parallela che offre prez-zi per tutte le possibilità, dai 20 euroa notte a qualche centinaio, a secon-da delle sistemazioni e delle zone.

Certo c’è anche chi ha fiutato l’af-fare. Analizzando la sola zona del cen-tro storico, lo studio Bocconi prendea campione 505 alloggi: il 61% deglihost offre una sola sistemazione (èquel 60% che ci paga l’affitto), il re-stante 39% due o più case, a Milanoe/o in altre città (il 4% gestisce alme-no dieci alloggi). Si sono quindi inse-riti nel circuito Airbnb anche proprie-tari di tre o più case (sfitte) e impre-se immobiliari: per loro è un’ulterio-re occasione di profitto, che si inseri-sce nella logica capitalistica.

Ma ciò che segna la differenza è

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Abdallah Inshasi.Mathilde Ferghina.

Biro e acquerello,2015.

L’Italia si è giàadeguata alla

globalizzazionesul piano dello

sfruttamentodel lavoro e lo

sta facendosu quello del

welfare, è ilcapitale che

non è ancorapronto

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Survival economy

quel 60% di individui sottopagati odisoccupati di cui Airbnb mette a va-lore la casa/camera privata, tratte-nendo per sé commissioni che varia-no dal 9 al 15%. In meno di otto annil’azienda californiana ha superato i20 miliardi di dollari di quotazione,mentre l’host è contento se a 30, o50 o 100 euro alla volta riesce a pa-garsi l’affitto.

Airbnb non rappresenta solo un‘nuovo modello economico’, come di-ce Chesky, ma anche una nuova for-ma di sfruttamento. Così come Uber,che trasforma la tua auto privata inun taxi e ti propone di diventare ‘au-tista’. “Guida quando vuoi, guadagniquello di cui hai bisogno” recita il si-to; puoi guidare di notte, o nel finesettimana, quando sei libero dall’al-tro lavoro sottopagato.

Si potrebbe anche riflettere sucome l’economia ‘digitale’ stia grat-tando via la terra da sotto i piedi aquella ‘analogica’ – i tassisti, gli al-bergatori... – ma questo è un altro di-scorso.

Di sicuro, tra i ‘se’, i ‘forse’ e i ral-lentamenti che caratterizzano questafase della globalizzazione, il processodi sfruttamento dell’Uomo all’inter-no del sistema capitalistico, italianoe mondiale, è in continua evoluzionee non conosce momenti di arresto.Accanto a quello classico legato allaforza lavoro si è sviluppata la messaa profitto del comune (6), il lavorogratuito che tutti noi forniamo allemultinazionali GAFA – Google, Ama-zon, Facebook, Apple – (7) e la sha-ring economy. E se un tempo era sem-

plice riconoscere la forma e il luogodi sfruttamento, oggi è molto più dif-ficile. Ma è il primo passo da com-piere per opporsi.

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______________________________________________6) Cfr. Giorgio Griziotti, Tecnologie, capitali-smo e vie di fuga, pag. 347) Cfr. Renato Curcio, Colonizzazione dell’im-maginario e controllo sociale, Paginauno n.47/2016

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POLEMOS

Nel giugno del 2013, duran-te il summit del G8 in Irlan-da del Nord, alla presenzadi Barack Obama, David Ca-meron, José Manuel Barro-so e Herman Van Rumpy (al-l’epoca rispettivamente pre-sidente della Commissione europeae presidente del Consiglio europeo),sono iniziati i negoziati tra Stati Unitie Unione europea sul TTIP (Transatlan-tic Trade and Investment Parternship).Si tratta di un trattato di libero scam-bio il cui obiettivo è l’abolizione deidazi doganali e l’armonizzazione (il ter-mine è di Cecilia Malmström, com-missaria al Commercio europeo) del-le norme, che regolano la produzio-ne e il traffico di prodotti e servizi trale due sponde dell’Atlantico.

Inizialmente i negoziati si svolge-vano nella più totale segretezza (1).Perfino i deputati europei potevanoaccedere ai documenti solo all’inter-no di una sala di lettura di sei metriquadrati, predisposta dalla Commis-sione, dove si era ammessi uno allavolta, con il divieto di portare con sépenna, block notes e cellulare. La pos-sibilità di prendere appunti era limi-

tata ad alcuni scarabocchi a matita suuna carta speciale, non fotocopiabile.

Tale assenza di trasparenza ha de-terminato le proteste dei movimentisociali, nonché di una parte degli stessiparlamentari europei, i quali il 9 ot-tobre 2014 sono riusciti a ottenere ladeclassificazione del mandato nego-ziale del TTIP. In altre parole, a parti-re da quel momento, le direttive sul-la cui base viene discusso il negozia-to sono rese note, e nel gennaio 2015la Commissione europea ha pubbli-cato i suoi primi testi di posizionamen-to inerenti al TTIP. Tuttavia, restanosegreti i risultati delle trattative – unasituazione quantomeno paradossalein democrazia. A questo proposito, èbene notare come il Parlamento eu-ropeo non abbia, de facto, alcun mo-do di partecipare ai negoziati – puòesprimere, cioè, il suo giudizio soltan-to al momento del voto finale, senzala possibilità di intervenire sul testo.Infatti, secondo il Trattato di Lisbonache, tra le altre cose, regola il funzio-namento delle istituzioni europee, lagestione degli accordi bilaterali è e-sclusivo appannaggio della Commis-sione europea.

Ma facciamo un passo indietro: èbene ricordare, infatti, che quest’ulti-

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INFORMAZIONE,POTERE E TTIP Iacopo Adami

Al G8 del 2013 iniziano i

negoziati traStati Uniti e

Unioneeuropea sul

TTIP: i risultatidelle trattativesono segreti e

vi partecipasolo la

Commissione,il Parlamento

è escluso

__________________________________________________________________________________________________1) Per tutte le informazioni inerenti al TTIP, rimando al saggio di Paolo Ferrero, Elena Maz-zoni e Monica Di Sisto, TTIP. L’accordo di libero scambio transatlantico. Quando lo conoscilo eviti, Derive Approdi, 2016, nonché al sito web del movimento Stop TTIP Italia https://stop-ttip-italia.net e a quello della Commissione europea http://ec.europa.eu/index_it.htm

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ma è composta da individui non elet-ti direttamente dai cittadini. Alle ulti-me elezioni del 2014, per la prima vol-ta il nome del presidente della Com-missione è stato indicato nella sche-da elettorale accanto al simbolo deidiversi partiti politici (oggi è presiden-te Jean-Claude Juncker), ma preceden-temente era proposto dal Consiglio eu-ropeo; in accordo con gli Stati mem-bri egli sceglie poi gli altri 27 com-missari, uno per ogni Paese, e il Par-lamento europeo è chiamato a espri-mersi sulla Commissione nel suo in-sieme. Dunque un giro parecchio in-tricato, dove risultano evidenti i nu-merosi gradi di separazione tra le isti-tuzioni e il cittadino.

Tornando al TTIP, gli europarla-mentari possono formulare solo que-siti circostanziali, a cui chiaramentela Commissione è tenuta a risponde-re – nel rispetto, però, della riserva-tezza. Insomma, la logica è: chiedimipure tutto quello che vuoi, tantoposso decidere io se renderne contoo meno.

Ma cosa prevede esattamente ilTTIP? La questione dei dazi doganaliè, in realtà, di secondaria importanzaessendo questi, in numerosi casi, giàmolto bassi. Il vero obiettivo del Trat-tato è imporre un’egemonia norma-tiva sulla produzione e sul consumodi beni e servizi in tutta l’area atlanti-ca. E poiché tale uniformazione si at-

tuerebbe in nome di un aumento delcommercio e degli investimenti, è ov-vio che essa determinerebbe un livel-lamento al ribasso delle leggi e deiprincìpi che regolano i mercati, in-fluenzando, tra l’altro, la capacità de-gli Stati di legiferare nell’interesse deicittadini.

A questo proposito è emblemati-ca la questione relativa al meccani-smo ISDS (Investor-State Dispute Set-tlement), già in vigore in numerositrattati di libero scambio (anche inte-reuropei), che prevede l’istituzione diarbitrati internazionali per la risolu-zione delle controversie tra Stato e in-vestitore. Ciò significa, in altre paro-le, che se venisse firmato il TTIP, an-che nel contesto dell’accordo bilate-rale tra Europa e Stati Uniti le multi-nazionali sarebbero libere di far cau-sa agli Stati promotori di politiche chepossano intralciare gli interessi del-le imprese. Per avere un’idea di co-me ciò possa avere ripercussioni tra-giche sulla vita di ognuno, basti pen-sare al caso di Veolia contro Alessan-dria di Egitto. Nel 2011, in seguito allaprimavera araba e al rovesciamentodi Mubarak, il nuovo governo avevaportato il salario minimo da 41 a 72euro al mese; Veolia, multinazionalefrancese che opera nel settore dei ri-fiuti, non volendo veder ridotti i pro-pri profitti, ha fatto causa al governoegiziano per 70 milioni di euro. Ecco

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I dazi doganalisono giàmolto bassiil vero obiettivo del TTIPè imporre un’egemonianormativaal ribasso sulla produzionee sul consumodi beni e servizi

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dunque che tematiche come il lavoro, ma anche l’am-biente e le politiche sociali, diventano appannaggioesclusivo dei maggiori gruppi imprenditoriali.

In cosa consiste esattamente il meccanismo ISDSè ben chiarito nel saggio TTIP. L’accordo di libero scam-bio transatlantico. Quando lo conosci lo eviti di PaoloFerrero, Elena Mazzoni e Monica Di Sisto (uscito amarzo per Derive Approdi): “L’iter arbitrale può av-venire in luoghi del tutto informali, quali sale riunio-ni di grandi alberghi; manca palesemente di indipen-denza; i giudici sono pagati dalle società private chericorrono e il conflitto di interessi è macroscopico; icasi sono discussi da un numero molto limitato di per-sone, una casta di qualche centinaia di avvocati cheguadagnano milioni di dollari con cause che essi stessiesortano a muovere contro gli Stati. Tutto questo inassenza di una regolamentazione chiara che defini-sca i loro ambiti di intervento: in un processo posso-no indossare i panni del giudice, in un altro rappre-sentare l’accusa, in un terzo la difesa”. Inoltre, “i me-diatori hanno un loro tornaconto nel deliberare a fa-vore delle imprese, in quanto, così facendo, le incen-tivano a promuovere nuovi ricorsi”.

Le numerose critiche inerenti all’inserimento del-la clausola ISDS nel TTIP hanno portato l’Unione eu-ropea a proporre una modifica nell’ambito del nego-ziato, chiedendo di istituire, al posto degli arbitrati,delle Corti specifiche, più simili a dei tribunali inter-nazionali. Il 16 settembre 2015 Frans Timmermans,primo vicepresidente della Commissione europea, hatrionfalmente dichiarato: “La proposta relativa a unnuovo sistema giudiziario per la protezione degli in-vestimenti rappresenta una reale innovazione. Que-sto nuovo sistema sarà composto da giudici piena-mente qualificati, i procedimenti saranno trasparentie le cause saranno giudicate in base a regole chiare.Il tribunale sarà inoltre soggetto al riesame di un nuo-vo organo d’appello. Con questo nuovo sistema tute-liamo il diritto dei governi di legiferare e garantiamoche le controversie in materia di investimenti sianorisolte nel pieno rispetto dello stato di diritto” (2). Pec-cato che, appena ventiquattro ore dopo la propostaeuropea, la Camera del commercio degli Stati Uniti,

controparte della Commissione nel ne-goziato, l’abbia respinta in termini as-soluti.

Il fantasma degli arbitrati interna-zionali continua, dunque, ad aleggia-re intorno al Trattato di libero scam-bio tra Stati Uniti e Unione europea.

Se si considera poi il fatto che nelTTIP viene aggirata la clausola conte-nuta nel GATS (Accordo generale sulcommercio dei servizi), secondo cuisono esclusi da ogni processo di libe-ralizzazione quei servizi forniti dagliStati nell’ambito della loro attività pub-blica, si capisce come il Trattato pre-giudichi la possibilità dei governi dipromuovere politiche volte alla tute-la del welfare o alla sostenibilità am-bientale, andando a insidiare ancheservizi quali la sanità, l’istruzione ecc.Perché basta restringere il concettodi servizio pubblico, non consideran-do tali quelli che possono essere of-ferti anche da soggetti terzi o per lacui erogazione è previsto un corrispet-tivo economico, e i giochi sono fatti.

Tuttavia la questione è trattata so-lo indirettamente dal TTIP, che la de-manda al TiSA (Trade in Service Agree-ment), l’accordo sul commercio dei ser-vizi reso noto ufficialmente il 10 mar-

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_____________________________________________________________________________________________________________________2) Commissione europea, Comunicato stampa “La Commissione propone un nuovo sistema giudiziario per laprotezione degli investimenti per il TTIP e altri negoziati commerciali e d’investimento dell’Ue”, 16 settembre2015

Con il meccanismo ISDSle multinazionali potranno

fare causa agli Statipromotori di politichein grado di intralciare

gli interessi delle impreseossia il profitto

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zo 2015, in seguito alle rivelazioni di Wikileaks del 19giugno 2014, il cui obiettivo dichiarato è aprire almercato il maggior numero di settori dei servizi pub-blici (3).

Ci si potrebbe dilungare ancora molto sugli effet-ti che produrrebbe la firma del TTIP. Si pensi, per e-sempio, al principio di precauzione adottato, fino aquesto momento, dall’Unione europea, che prevededi non immettere sul mercato alimenti, farmaci o al-tre merci di cui non si abbiano a disposizione datiscientifici conclusivi, concernenti la loro sicurezza onocività per l’uomo e l’ambiente. Negli Stati Unitiquesto non esiste, ma vige la consuetudine di ritira-re prodotti dal mercato solo dopo che sia stata asso-data la loro nocività e abbiano, dunque, già avuto mo-do di provocare danni. Una differenza notevole che,

nel contesto del TTIP, cesserebbe diesistere in quanto, come già accen-nato, uno degli obiettivi principali delTrattato è l’armonizzazione (al ribas-so) delle norme.

O ancora si potrebbero accenna-re gli sconvolgimenti a cui sarebbe sog-getto il settore agroalimentare. Sem-pre il libro di Ferrero, Mazzoni e DiSisto cita l’elenco stilato dal ministe-ro dell’Agricoltura statunitense che in-dividua le ‘regole’ da eliminare, se-condo il punto di vista dei maggioriesportatori americani ed europei. Inpratica, bisognerebbe “rendere lega-le il lavaggio del pollo col cloro per

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Ho il mondo sulle spalle, cammino nel cielo.Mathilde Ferghina. Biro e acquerello, 2015_____________________________________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________________________________3) Cfr. S. Maurizi, WikiLeaks: ecco l’accordo segreto per il liberismo selvaggio, L’Espresso, 19 giugno 2014. Ilnegoziato è ancora un corso e riguarda Australia, Canada, Cile, Colombia, Corea, Costa Rica, Giappone, HongKong (Cina), Islanda, Israele, Liechtenstein, Mauritius, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Pakistan, Panama,Perù, Stati Uniti, Svizzera, Taiwan, Turchia e Unione europea

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disinfettarlo; rendere legale l’allevamento di suini man-zi e bovini ricorrendo a ormoni della crescita; rende-re legale l’utilizzo di ormoni che compromettono ilsistema endocrino umano per selezionare le specie;consentire la permanenza di alti residui di pesticididentro frutta e verdura; porre fine al bando degliOgm; limitare i controlli sanitari e fitosanitari lungotutta la filiera; limitare la protezione di quei prodottilegati ai territori che li producono così indissolubil-mente da assumerne il nome: le cosiddette indica-zioni geografiche, tra cui doc, dop e così via”.

Se il Trattato Transatlantico trovasse applicazio-ne, si ultimerebbero così i piani dei teorici del neoli-berismo, secondo cui l’azione dello Stato deve avve-nire lungo tre assi gerarchizzati, nei quali il potere le-gislativo e quello esecutivo vengono subordinati allivello ‘meta legale’, che è la massima libertà delleimprese e della concorrenza. Verrebbe inoltre a crear-si un’enorme area geopolitica, estesa dal Canada alMessico e dall’Europa al Giappone, fino all’Australia,con gli Stati Uniti al centro. Gli effetti del TTIP an-drebbero infatti a sommarsi a quelli degli altri duegrandi trattati di libero scambio voluti dagli Usa: ilTPP (Trans-Pacific Partnership), firmato nel febbraio2016, e il NAFTA (North America Free Trade Agree-ment), firmato nel dicembre 1992. Va poi ricordato ilCETA (Comprehensive Economic and Trade Agree-ment), tra l’Europa e il Canada, la cui rifinitura legaleè stata annunciata il 29 febbraio 2016. A questo pun-to ci si dovrebbe pure chiedere quali rapporti inten-dano mantenere gli artefici di tali manovre con i Paesiesclusi – Russia e Cina in primis – ma è già abbastan-za chiaro che si tratta anche di strategie volte a farfronte a una guerra economica sempre più aspra, so-rella gemella della guerra guerreggiata (basti pensa-re ai campi di battaglia di Siria e Ucraina).

Insomma, il discorso è ampio – e ciò che finora è

stato citato basta a rendere un’ideadell’enorme portata del TTIP. Com’èpossibile, dunque, che la stragrandemaggioranza dei cittadini europei – ein particolare quelli italiani – nonl’abbia mai nemmeno sentito nomi-nare?

La risposta è semplice: basta leggerei principali quotidiani, guardare i te-legiornali o ascoltare le maggiori ra-dio per rendersi conto che nessunone parla. Non è certo una sorpresa,purtroppo: lo stretto rapporto tra po-tere economico e politico da una par-te e informazione dall’altra non do-vrebbe essere ormai un mistero pernessuno.

Si tratta di una storia antica, cherisale agli albori del giornalismo no-strano. Sono numerosi i documentiche, fin dall’Unità d’Italia – e ancheprima, nel contesto dei vari Regni –attestano l’esistenza di fondi segretida destinare alla sovvenzione di quel-le testate impegnate nella celebrazio-ne e legittimazione del neonato go-verno. In una relazione dell’ottobre1871 redatta dal segretario generaledel ministero dell’Interno Gaspare Ca-vallini al ministro Lanza, si legge: “Illavoro che mi hai affidato è compiu-to colla maggiore diligenza. Tuttequante le carte dal 1862 sino al gior-no d’oggi furono da me esaminate,niuna eccettuata. Risulta che tutti iGabinetti sussidiarono, chi più, chimeno, la stampa, ma soprattutto iGabinetti Rattazzi, Cantelli e Ferraris;[…] Risulta che i Ministri Ricasoli,Chiaves, Cadorna e Lanza non rila-sciavano alcun Buono in proprio ca-po; risulta invece che altri ne prele-varono per somme enormi; accenne-rò solo che nel 1862 vi sono Buonifirmati da Rattazzi per ₤. 209.450 e

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La Commissione europea sta facendo di tuttoper giungere alla firma del Trattato entrol’autunno di quest’anno mentre ancora

gli Stati Uniti sono rettidall’amministrazione Obama

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Capriolo [Vincenzo] per ₤. 99.310 Totale ₤. 308.460” (4). Ma naturalmente non era solo il governo a finan-

ziare la stampa. Già allora il controllo di aziende ebanche era una pratica diffusa. Risale al marzo 1886la fondazione a Genova del Secolo XIX, grazie allesovvenzioni del gruppo siderurgico Ansaldo; semprea marzo, ma del 1885, il Corriere della Sera ottennegenerosi investimenti da parte dell’industriale coto-niero Benigno Crespi, a cui poi si aggiunsero quelli diGiovanni Battista Pirelli ed Ernesto De Angeli. E an-cora: tra il 1888 e il 1892 la Banca Romana pagò ol-tre 765.000 lire a diversi giornalisti e una decina ditestate, ponendo le basi per uno scandalo che coin-volse nomi allora di spicco quali Costanzo Chauvet,

Giuseppe Turco e Carlo Levi. Fino adarrivare a oggi, con le principali impre-se manifatturiere e finanziarie che sispartiscono quote azionarie dei gran-di quotidiani e i processi di accentra-mento proprietario a cui assistiamo.

A fronte di ciò, è impossibile non an-dare con la mente ai due grandi ro-manzi distopici di Aldous Huxley eGeorge Orwell, nei quali il rapportotra potere e informazione ha un’im-portanza centrale.

Spesso 1984 è citato come metrodi paragone della realtà odierna. Ineffetti qualche somiglianza c’è – e ri-guarda soprattutto, oltre a quello delcontrollo sociale, l’aspetto relativo allapropaganda. All’epoca – il romanzo èscritto nel 1948 – Joseph Goebbelsnella Germania nazista aveva fattoscuola (una per tutte, la famosa fra-se: “Ripetete un bugia cento, mille,un milione di volte e diventerà unaverità”), ma la successiva società deiconsumi ha perfezionato il marketingagendo sulle emozioni, il concetto distatus symbol e i desideri indotti. Pro-prio per questo il parallelismo con1984 risulta obsoleto: nel libro di Or-well la dittatura è dichiarata, il nemi-co ben visibile, nonostante i tentatividi manipolazione mentale della po-polazione, e il regime si regge anco-ra, in gran parte, sulla repressione vio-lenta dei dissidenti.

Pur essendo stato pubblicato se-dici anni prima, è decisamente più at-tuale lo scenario de Il mondo nuovodi Huxley, in cui la società è regolatadal principio della produzione in se-rie (applicato anche agli esseri uma-ni) e la popolazione sa nulla del pro-prio passato, se non che era caratte-rizzato dalla barbarie. Le persone so-no soggette a ciò che nel romanzo vie-

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__________________________________________________________________4) Mauro Forno, Informazione e potere. Storie del giornalismoitaliano, Laterza

Checkpoint.Mathilde Ferghina. Biro e acquerello, 2016__________________________________________________________________

Checkpoint.Mathilde Ferghina. Biro e acquerello, 2016__________________________________________________________________

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ne chiamato condizionamento (termine che sostitui-sce educazione), che le rende gioiosamente inconsa-pevoli, vivono e consumano felici e assumono rego-larmente una droga euforizzante, il soma. “La ditta-tura perfetta avrà sembianza di democrazia, una pri-gione senza muri nella quale i prigionieri non sogne-ranno mai di fuggire. Un sistema di schiavitù dove,grazie al consumo e al divertimento, gli schiavi ame-ranno la loro schiavitù”. Questo scrive Huxley, e inquesto spostamento dell’attenzione, in questa inco-scienza felice sta la terribile preveggenza della suaopera.

Oggi il funzionamento della censura non implicanecessariamente l’utilizzo di pratiche repressive (perquanto mai abbandonate e ancora adoperate all’oc-correnza), ma si struttura nel non dare visibilità a que-stioni essenziali, saturando l’etere di inessenziali, men-tre l’antipolitica e l’imbarbarimento culturale fannoil resto. Si assiste così a fenomeni grotteschi, come idieci chilometri di coda sull’autostrada A8 il 17 aprile– giorno del referendum sulle trivelle – causati dall’i-

naugurazione del centro commercia-le più grande d’Europa ad Arese, ealle due ore di coda che quelle stes-se persone sono state disposte a fareuna volta raggiunta la meta per acca-parrarsi il pollo fritto di una catenadi fast-food. Individui che, se ancheleggono i quotidiani, non hanno la piùpallida idea di cosa sia il TTIP e nonsanno che i membri della Commis-sione europea stanno facendo di tut-to per giungere alla firma del Tratta-to entro l’autunno di quest’anno, men-tre ancora gli Stati Uniti sono rettidall’amministrazione Obama; perchétutti i candidati alle presidenziali a-mericane si sono dichiarati contrarie, anche se resta poi da vedere cosafarà realmente il vincitore della corsauna volta eletto, ciò lascia supporreun interessamento alla questione da

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Palestre di sabbia.Mathilde Ferghina. Biro e acquerello, 2015

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parte dei mezzi di informazione, anche mainstream,d’oltreoceano, cosa che è mancata – e continua amancare – in Italia.

Di fronte a questa situazione, è normale per chiancora conserva un atteggiamento critico sentirsi so-praffatto. Tuttavia può essere di aiuto ricorrere al con-cetto greco di parresia, iniziato a circolare intorno alV secolo a.C. Secondo la definizione data da MichelFoucault, “la funzione della parresia non è dimostra-re la verità a qualcun altro, ma è quella di esercitareuna critica: una critica dell’interlocutore, o anche dise stesso. […] La parresia è una forma di critica versogli altri o verso se stessi, ma sempre in una posizionein cui colui che parla o che confessa è in una condi-zione di inferiorità rispetto all’interlocutore. Il parre-siastes è sempre meno potente della persona concui sta parlando. La parresia viene dal basso, ed è di-retta verso l’alto” (5).

Nonostante la mancanza di trasparenza e le at-tuali forme di censura praticate dall’informazione uf-ficiale, in Europa è riuscito a svilupparsi un ampiomovimento Stop TTIP, e il 7 maggio scorso si è tenu-ta a Roma una manifestazione di protesta che haportato in piazza 30.000 persone provenienti da tut-ta Italia. Inoltre, la Francia si è già dichiarata contra-ria alla firma del Trattato, ed è del 2 maggio la noti-zia che Greenpeace Olanda ha pubblicato online iltesto di consolidamento del TTIP, che inquadra la si-tuazione dei lavori ad aprile – 248 pagine in linguag-gio legale, tecnicamente complesso, più una nota in-terna dell’Unione europea (6).

Finché resteranno gruppi di persone consapevolie decise a porsi in maniera conflittuale rispetto al po-tere, la parresia sarà sempre possibile – e con essa,forse, il cambiamento.

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__________________________________________________________________5) Michel Foucault, Discorso e verità nella Grecia antica, Don-zelli6) https://www.ttip-leaks.org/

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Se c’è qualcosa che acco-muna i governi europei inquesto momento storico, èstato pienamente riassun-to da Myriam El Khomri, mi-nistro del Lavoro francesee prima firmataria della LoiTravail: “L’obiettivo […] è quello di a-dattarsi ai bisogni delle imprese” (1).Punto. Cosa questo significhi nel con-creto lo possiamo vedere in Italia,con il Jobs Act del tandem Renzi-Po-letti, e lo stanno scoprendo i france-si, con la legge che vuole trasforma-re il diritto del lavoro nel loro Paese.

Dal Jobs Act alla Loi TravailA un anno di distanza dall’entrata invigore della legge italiana, nel marzo2016, il governo socialista francese haannunciato un disegno di legge chevorrebbe riconfigurare il funzionamen-to delle relazioni industriali in Fran-cia, in particolare nella direzione di unindebolimento della posizione con-trattuale dei lavoratori. Nei prece-denti numeri di Paginauno abbiamodelineato la tendenza non solo fran-cese, ma condivisa a livello europeo,a ridurre tutele del lavoro, diritti e sa-

lario, anche spostando la contratta-zione dal livello nazionale a quello lo-cale o aziendale, diminuendone la coor-dinazione e di conseguenza metten-do i lavoratori in una posizione dimaggiore debolezza. Un obiettivo as-sunto in modo univoco all’internodell’Unione europea e chiesto a granvoce dai rappresentanti dei gruppi ca-pitalistici più integrati a livello conti-nentale; sul lato italiano, si rivela chia-ramente nell’analisi dei rinnovi con-trattuali pubblicata nel numero 46 (2).

Viene infatti proprio da Medef, laConfindustria d’oltralpe, la richiestadi riformare il diritto del lavoro fran-cese, con l’obiettivo di ridurre i salarie quindi, si afferma, migliorare la com-petitività delle imprese ravvivando gliinvestimenti, la crescita economica ela fiducia. L’effetto più probabile, pe-rò, sarà un incameramento di profittida parte di alcune grandi imprese chepotranno diminuire il costo del lavo-ro, mentre l’occupazione continueràa languire e i cosiddetti working poorsad aumentare.

I sindacati confederali italiani sisono prestati al dubbio scambio trariduzione dei salari e ripresa econo-mica proposto dal governo Renzi, ehanno messo in piedi una ben tiepi-

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DAL JOBS ACTALLA LOI TRAVAILLA FRANCIA E NOICollettivo Clash City Workers

Viene daMedef la

richiesta diriformare il

diritto dellavoro francese

con l’obiettivodi abbassare

i salari,aumentare la

giornatalavorativae ridurrele tutele

__________________________________________________________________________________________________1) E. Lefebvre e D. Perrotte, Myriam El Khomri: «Il n’y a aucun recul des droits des salariés»,Les Echos, 19 febbraio 20162) Cfr. Collettivo Clash City Workers, Salari da fame, orari da pazzi: i nuovi contratti nazio-nali, Paginauno n. 46/2016

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da opposizione al Jobs Act, oltre a nonavere in alcun modo promosso, senon addirittura ostacolato, la presa diparola delle lavoratrici e dei lavora-tori che pure avevano aderito in ma-niera significativa alla manifestazio-ne convocata dalla Cgil il 12 dicem-bre 2014.

Diversamente è andata in Francia:contro questa legge sono stati finoraproclamati quattro scioperi generalie più di dieci grandi manifestazioni inpiù di duecento località. Solo il 31marzo sono scese in piazza un milio-ne e mezzo di persone, e a partiredallo stesso giorno migliaia di giova-ni hanno occupato stabilmente Placede la République a Parigi (nonché nu-merose piazze minori in giro per laFrancia), dando avvio al movimentodella Nuit Debout, che promuove mo-dalità di democrazia diretta e riven-dica maggior potere per i cittadini.Questa forma di mobilitazione ha fat-to irruzione nell’immaginario euro-peo, richiamando in scena il ciclo dilotte del 2011, le piazze spagnoleriempite da migliaia di persone ognigiorno e l’esperienza di Occupy WallStreet, estremamente simbolica sep-pur limitata.

Rispetto ai movimenti del 2011 c’èstato però un motore differente: lacentralità di un tema specifico e in-sieme generale come il lavoro.

L’opposizione alla riforma El Khom-

ri è stata preceduta da alcune esplo-sioni di conflitto nei luoghi di lavoro,come nel caso dei dipendenti Air Fran-ce e quelli Goodyear, e si è accompa-gnata a un rifiuto dei soprusi, dellanon applicazione dei contratti, dellediscriminazioni sessiste e razziste, del-lo sfruttamento con salari irrisori. Ri-fiuto e dibattito che si sono potuticondensare in un discorso pubblico ecollettivo grazie al lavoro del sito webe dell’omonimo collettivo On VautMieux, che ha raccolto e messo in re-lazione decine di racconti individualidi queste condizioni. Un ulteriore e-lemento ha contribuito a rinnovareuna prospettiva di riscatto e la possi-bilità di azione: il film Merci patron!del regista François Ruffin, che rac-conta la storia di una coppia licenzia-ta da una grande azienda francese eche grazie alla scelta di non rasse-gnarsi riesce a ottenere giustizia.

Fermi, arresti, stato d’emergenzae articolo 49 comma 3Tutto questo è avvenuto in un mo-mento di crescente repressione e vio-lenza da parte delle istituzioni fran-cesi. Lo stato di emergenza entratoin vigore dopo gli attacchi terroristicidel 13 novembre a Parigi ha formal-mente vietato cortei e manifestazio-ni, ma fino a oggi i prefetti non ave-vano applicato il divieto totale dei ra-duni. Questa sospensione delle liber-

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Contro la Loi Travailsono stati proclamati quattro scioperi generali e più di dieci grandi manifestazioni:il 31 marzosono scese in piazza un milione e mezzo di persone ed è iniziata laNuit Debout

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tà civili ha dato alla polizia d’oltralpe, nota per la suabrutalità, il via libera a comportamenti violenti.

Sono centinaia i fermi e gli arresti effettuati neitre mesi di mobilitazioni contro la Loi Travail. I mani-festanti sono stati riempiti di lacrimogeni e violente-mente caricati; molti attivisti sono stati picchiati earrestati; a Lille, la polizia ha addirittura fatto irruzio-ne in una sede del sindacato CNT. Anche agli studen-ti delle scuole superiori è stato riservato lo stesso trat-tamento: alla fine di marzo, il video di uno studentedi una scuola di Parigi Nord, picchiato dalla poliziaantisommossa, ha suscitato l’indignazione nazionale– portando la procura ad aprire un procedimento con-tro uno degli ufficiali coinvolti.

Come se non bastasse, a maggio, il governo fran-cese ha deciso di far passare la Loi Travail utilizzandouno degli articoli più reazionari della Costituzionegollista, il 49 comma 3, che permette di emanare unalegge grazie al solo consenso del Consiglio dei mini-stri. Uno strumento utilizzato per aggirare il voto inParlamento ed eliminare il rischio, reale, di vedere boc-ciato il provvedimento: diversi parlamentari sociali-sti, infatti, sotto la spinta delle mobilitazioni avevanoespresso parere contrario. Negli ultimi dieci anni l’ar-ticolo 49 è stato utilizzato solo tre volte, e tutte e treper far passare leggi fortemente volute da Medef.

La riforma francese...Andiamo allora a vedere in che cosa consiste la (con-tro)riforma francese, perché è così desiderata da Me-def, osteggiata dalla popolazione, e in che modo haa che fare con noi. È importante focalizzare cinquequestioni centrali, includendo nell’analisi anche alcu-ni provvedimenti che sono in parte già contenuti al-l’interno della legge Macron, emessa in piena crisigreca con l’obiettivo di rassicurare gli investitori pri-vati e la Commissione europea (Emmanuel Macron èl’attuale ministro francese dell’Economia, rappresen-tante dell’ala liberista del Partito socialista), e che tro-vano la loro vera funzione nel progetto di legge ElKhomri, con il chiaro intento di riformare il code dutravail.

Deroghe contrattualiL’introduzione della possibilità per gli accordi azien-dali (o di secondo livello) di andare in deroga ai con-

tratti nazionali di categoria e allo stes-so codice del lavoro è certamente lamodifica più importante. Essa dispo-ne la fine del principio di favore, os-sia la regola principe del diritto dellavoro, per la quale qualsiasi accordosindacale può discostarsi dai contrat-ti nazionali e dalle leggi solo nel casoin cui sia favorevole al lavoratore. LaLoi Travail invece dispone che in casodi accordo aziendale, siglato dai sin-dacati in possesso della maggiore rap-presentatività, esso potrà andare inderoga alle fonti gerarchicamente su-periori pur essendo favorevole all’im-presa. Un po’ quanto previsto, in Ita-lia, dall’accordo interconfederale del28 giugno 2011 (e il conseguente del10 gennaio 2014), e soprattutto dal-l’articolo 8 della legge 148, figlia delgoverno Monti.

Nel caso invece non vi sia maggio-ranza sindacale, ossia se i rappresen-tanti dei lavoratori rifiutano l’accor-do peggiorativo, una qualunque siglasindacale può richiedere che vengasvolto un referendum all’interno del-l’azienda; referendum che, però, benlontano dall’essere una forma di par-tecipazione democratica, in una simi-le situazione diventa un voto sotto ri-catto, con il lavoratore lasciato solo difronte a una falsa scelta: quella tra ilprovvedimento aziendale (spesso unadelocalizzazione o una riduzione delpersonale) e il peggioramento delle

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Lo stato di emergenzaha formalmente vietatocortei e manifestazioni

e dato alla poliziad’oltralpe il via libera acomportamenti violenti

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Dal Jobs Act alla Loi Travail

proprie condizioni di lavoro. È la storia della Fiat diPomigliano e dell’Electrolux in Italia, della Bosch diVénissieux in Francia, della General Motors a Stra-sburgo, della Continental di Clairoix e della Dunlopdi Amiens.

Licenziamenti collettiviGrazie al governo di Nicolas Sarkozy (2008), all’Accor-do Nazionale Interprofessionale siglato da Stato, Me-def e sindacati concertativi (CFDT E CGC) e alla leggesocialista di “sécurisation de l’emploi” del 2013, è giàpossibile ridurre i salari, aumentare tempi e ritmi dilavoro e licenziare in caso di “difficoltà economiche”.La Loi Travail, però, indebolisce gravemente la defini-zione di difficoltà economiche. Esse consisterebberoin “un abbassamento del giro d’affari” o nella “perdi-ta di redditività” dell’impresa lungo un intervallo di“diversi trimestri”; non è specificato quanti, ma pos-siamo immaginare l’interpretazione che ne verrà da-ta: semplicemente più di uno.

Non sarà difficile provare un calo del giro di affarilungo un periodo di sei mesi, né tantomeno crearlo.La legge infatti specifica che la diminuzione di fattu-rato debba verificarsi a “livello di impresa” e non più“a livello di gruppo”. Nell’epoca delle grandi societàmultinazionali e delle abilità tecnico-contabili nel farsparire e riemergere costi e profitti da una sede al-l’altra e da un Paese all’altro, tramite prezzi arbitrariper i semilavorati o strumenti di debito e credito in-terni al gruppo, è evidente come un’azienda compo-sta da diverse filiali possa facilmente determinarel’andamento economico di un singolo stabilimentoper poter rientrare nei parametri previsti dalla leggeEl Khomri.

Infine, nel nuovo testo viene colpito anche l’ob-bligo di ricollocamento relativo ai licenziamenti eco-nomici – le imprese erano obbligate a proporre al la-voratore il ricollocamento in un’altra filiale del me-desimo gruppo – che semplicemente viene eliminato.

Licenziamenti individualiAltra modifica sostanziale è quella che riguarda i li-cenziamenti illegittimi. In Francia, pur non esistendol’articolo 18 come lo abbiamo conosciuto in Italia (tu-tela molto forte che è servita a garanzia dell’azionesindacale e abolita dal Jobs Act per tutti i nuovi con-

tratti di lavoro), in caso di licenzia-mento considerato illegittimo il lavo-ratore può ricorrere ai giudici del la-voro, che ne definiscono la natura, loconvalidano o, più spesso, condanna-no l’impresa al reintegro o al paga-mento di un’indennità proporziona-ta al danno subìto dal lavoratore. LaLoi Travail elimina il limite minimodell’indennità (sei mensilità) e ne fis-sa uno massimo (sei mensilità per idipendenti con meno di cinque annidi anzianità, quindici mensilità perquelli con più di vent’anni). In questomodo, per liberarsi di lavoratori sco-modi o ‘in eccesso’ le imprese avran-no la possibilità di calcolare in antici-po i costi massimi del licenziamento,proprio come avviene in Italia con ilcontratto a tutele crescenti introdot-to con la riforma del lavoro del go-verno Renzi.

Questa parte della legge è un at-tacco diretto al cuore della classe la-voratrice francese. Se è infatti veroche il 90% dei nuovi contratti stipula-ti sono precari, ancora nel 2014 l’86%dei contratti esistenti, sul totale dei23 milioni di dipendenti francesi, era-no a tempo indeterminato. È quindievidente l’obiettivo del governo Hol-lande-Valls: rendere più precari e ri-cattabili i cosiddetti ‘garantiti’ – piùprotetti e sindacalizzati – fornendo alcontempo un’infrastruttura giuridica

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Il governo francese ha decisodi far passare la Loi Travail

utilizzando l’art. 49 comma 3che permette di emanare

una legge con il solo consensodel Consiglio dei ministri

senza passare dal Parlamento

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POLEMOS

più vicina alle imprese, in grado cioè di assicurare ilprimato della contrattazione aziendale a discapito dellaregolazione ex lege tipica dell’ordinamento francese.

Indennità di disoccupazioneIl debito dell’organismo creato nel 1958 per gestirele indennità di disoccupazione, l’Unedic, ha raggiun-to nel 2015 la cifra record di 25 miliardi. Il governofrancese vorrebbe quindi riformare (ovvero ridurre)l’erogazione del sussidio di disoccupazione, per an-dare verso un pareggio di bilancio. Le trattative tragoverno, Medef e sindacati, iniziate a fine febbraio,sono tuttora in corso, e dovranno concludersi primadella fine di giugno, data di scadenza dell’accordo at-tualmente in vigore. Nonostante governo e impresestiano accusando lavoratori e disoccupati di “avervissuto al di sopra delle proprie possibilità” e di nonvoler “fare i giusti sacrifici”, diversi studi dimostranocome il deficit annuale dell’Unedic non sia tanto le-gato al funzionamento della cassa del sussidio di di-soccupazione ma a precise scelte politiche. Infatti icontributi versati annualmente dai lavoratori risulta-no eccedenti rispetto ai sussidi di disoccupazione e-rogati dall’Unedic: nel 2014 il saldo tra le due vociera in attivo di circa 2,7 miliardi di euro. Dove cerca-re dunque le ragioni del debito? L’Unedic è obbligataa finanziare ogni anno una parte del budget del PoleEmploi (Centri per l’impiego). Il deficit annuale è dun-que in larga misura generato da questo finanziamen-to, ossia da una deresponsabilizzazione dello Stato edelle imprese nei confronti degli chomeurs (disoccu-pati).

C’è dunque l’intenzione di caricare questa re-sponsabilità sulle spalle degli stessi disoccupati, conla conseguente corsa al ribasso dei salari e delle tu-tele innescata dalla guerra tra poveri che verrebbe ascatenarsi. Va infine tenuto in conto che nella Fran-cia della crisi il ricorso ai contratti a tempo determi-nato è letteralmente esploso (3); insieme a quelli in-terinali, riguardano più del 90% delle nuove assun-zioni, mentre diminuisce anno dopo anno la duratamedia dei contratti. È evidente che un taglio ai sussi-di di disoccupazione andrebbe a colpire tanto i gio-

vani precari quanto i ‘nuovi’ disoccu-pati soggetti ai licenziamenti.

Giornata lavorativaLa Francia è considerata – a torto – ilPaese delle 35 ore, introdotte per leg-ge nel 1998 dall’allora governo Jo-spin. In realtà, le 35 ore calcolano ladurata normale della settimana lavo-rativa, oltre la quale è obbligatoriopagare gli straordinari. Le imprese nehanno guadagnato in flessibilità esgravi fiscali: le 35 ore infatti rappre-sentano la media settimanale calco-lata su tutto l’anno solare. Ciò vuoldire che attualmente è possibile ave-re giornate di lavoro di dieci ore, eche fino a dodici settimane consecu-tive è possibile usufruire di un lavo-ratore per una media di 46 ore senzapagare straordinario alcuno.

In linea con questa impostazione,l’attuale governo vorrebbe andare ol-tre e cancellare definitivamente l’i-dea delle 35 ore. Nel progetto El Khom-ri, infatti, si prevede che in periododi accresciuta attività produttiva lagiornata di lavoro, previo accordo sin-dacale, possa raggiungere le dodiciore; che la maggiorazione per il lavo-ro straordinario sia ridotta dal 25% al10%; che si possa lavorare per 46 oresettimanali per sedici (e non più do-dici) settimane consecutive (e 48 orein caso di sovrappiù produttivo), e chequesta media possa addirittura rag-

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__________________________________________________________________3) Cfr. Aujourd’hui, 85% des contrats de travail sont des CDI,FranceInfo.fr., 12 gennaio 2016

Negli ultimi dieci annil’articolo 49 comma 3

è stato utilizzato solo trevolte e sempre per far

passare leggi voluteda Medef

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Dal Jobs Act alla Loi Travail

giungere le 60 ore settimanali in caso di ispezioneamministrativa positiva.

Le nuove misure andranno a colpire la possibilitàdi avere una vita sociale e la necessità di rifiatare ditanti lavoratori, anche perché la nuova legge per-mette di frazionare le undici ore di riposo obbligato-rie tra un turno di lavoro e l’altro. Queste norme sifaranno sentire soprattutto in quei settori, come ilcommercio, nei quali alle imprese è già permesso ditutto: in determinate zone della Francia ricche di cen-tri commerciali e nei pressi delle stazioni è possibiletenere aperti i negozi sette giorni su sette fino a mez-zanotte, e a queste domeniche ‘a ciclo continuo’ siaggiungono le dodici di apertura straordinaria previ-ste dalla Loi Macron dello scorso anno, che possonoessere concesse su delibera dei prefetti o delle mu-nicipalità in tutto il territorio francese. Un po’ quelloche è avvenuto in Italia con il decreto sulle liberaliz-zazioni del governo Monti.

… e noiÈ facile riconoscere come la Loi Travail si inseriscanel filone già tracciato dal Jobs Act in Italia e ancoraprima dal Piano Hartz in Germania. È una lotta diclasse dall’alto, messa in atto dal Capitale accantoalla narrazione dominante che ne decreta al contra-rio la fine (Marchionne docet), in nome dell’obiettivodi uscire dalla crisi economica. Sempre le crisi sono ilmomento ideale per ridisegnare l’architettura socia-le ed economica di un Paese, e questa non fa ecce-zione. L’ideologia neoliberista mira a ripristinare inEuropa un feroce sfruttamento lavorativo e a sman-tellare il welfare, per ridare fiato ai profitti delle im-prese. Una politica che abbiamo visto applicare nellaforma più brutale in Grecia, dal 2010 in poi. Neppurele forti mobilitazioni di massa, gli scioperi generali el’elezione di un governo di sinistra ‘radicale’ hannosaputo imprimere un’inversione di tendenza nel pic-colo Paese ellenico, costretto a piegarsi da istituzio-nali sovranazionali e a suon di speculazioni finanzia-rie sui titoli pubblici. Bisogna allora ripartire da unapresa di coscienza che era in parte emersa con il so-stegno all’OXI! (NO!) greco, e sembra oggi riprende-re con il sostegno all’opposizione francese, che il 15maggio scorso ha visto mobilitazioni in trecento cittàin tutta Europa: l’attacco al lavoro si muove sul piano

internazionale, e dunque internazio-nale deve essere la risposta. Nel 2010lo striscione che sventolava sull’Acro-poli di Atene diceva: “People of Eu-rope, rise up!”.

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POLEMOS

Too slow for too long (1): iltitolo dell’ultimo World Eco-nomic Outlook (WEO), unreport pubblicato dal Fon-do monetario internaziona-le due volte all’anno, in pri-mavera e in autunno, e checontiene le analisi e le previsioni checostituiscono parte integrante dellepolitiche di sviluppo economico delFondo sui mercati finanziari interna-zionali e nel sistema globale, non èforiero di buoni presagi. Secondo larelazione resa nota ad aprile, l’alta vo-latilità dei mercati azionari, il bassotasso di crescita delle economie avan-zate e il protrarsi delle turbolenze neiPaesi emergenti e a basso reddito,oltre alle numerose crisi di origine noneconomica (disastri naturali, terrori-smo ecc.), non solo riducono le sti-me di crescita economica per il 2016e il 2017, ma suggeriscono che la pro-babilità di sviluppi inaspettati negati-vi è divenuta più elevata.

Nonostante in Cina nel corso del2015 la crescita sia stata leggermen-te migliore delle aspettative, per ef-fetto della resilienza della domandainterna, che ha compensato la con-

trazione del settore manifatturiero,nelle economie avanzate asiatiche aessa collegate – come Hong Kong eTaiwan – i risultati si sono brusca-mente contratti per effetto del decli-no delle esportazioni. In America La-tina, la regressione è stata peggioredelle aspettative in Brasile, mentre nelresto del continente il livello di attivi-tà è stato in linea con le previsioni.Ampiamente scontata è stata anchela recessione in Russia, che tuttaviasi è estesa alla maggior parte delleRepubbliche dell’ex Unione Sovietica,in parte come conseguenza della cri-si russa e in parte per effetto del ri-basso del prezzo del petrolio (molti diquesti Paesi sono infatti esportatori digreggio e gas naturale). Gli indicatorimacroeconomici suggeriscono che an-che nei Paesi sub-sahariani e in Me-dio Oriente (dove non sono disponi-bili dati trimestrali), i risultati sonostati inferiori alle attese, sempre a cau-sa del prezzo del petrolio, ma anchedel declino delle quotazioni di altrematerie prime e dei conflitti interni.In generale, anche le tensioni geopo-litiche hanno avuto il loro peso sullacontrazione della crescita globale (spe-cialmente in Ucraina, Libia e Yemen),insieme al declino della produzione in-

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TOO SLOWFOR TOO LONGGiovanna Baer

Secondo il Fmidiversi fattori

non soloriducono le

stime dicrescita

economica2016/2017 ma

suggerisconoche la

probabilitàdi sviluppi

inaspettatinegativi èdivenuta

più elevata

__________________________________________________________________________________________________1) Dove non diversamente indicato, i dati economici e i commenti contenuti nell’articolo sonotratti dal World Economic Outlook: Too Slow for Too Long, International Monetary Fund, Wa-shington, aprile 2016

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dustriale causata dalla crisi degli in-vestimenti, in particolare nel settoreenergetico e minerario, e dalla dece-lerazione delle attività manifatturie-re cinesi.

Secondo gli analisti del Fondo mo-netario internazionale, la crescita glo-bale prevista per il 2016 si attesteràsu un modesto 3,2%, valore correttoal ribasso dello 0,2% rispetto ai datidi gennaio. Sebbene le previsioni in-dichino che la ripresa si rafforzerà nelcorso del 2017 e degli anni successi-vi, bisogna prepararsi a fare i conticon l’incremento del grado di incer-tezza. Dal momento che nei Paesi a-vanzati la crescita rimarrà contenuta,l’accelerazione attesa, dicono i ricer-catori, dipenderà da un tasso di svi-luppo robusto nei mercati emergen-ti, il cui effettivo realizzarsi si basa sualcuni fattori tutt’altro che scontati:la graduale normalizzazione delle con-dizioni nei sistemi attualmente sottopressione; il riassetto positivo dell’e-conomia cinese; l’aumento delle atti-vità nei Paesi esportatori di materieprime; e infine una crescita senza scos-se nelle rimanenti economie in via disviluppo.

Ma il rischio può essere anche unaltro: un persistente basso tasso dicrescita è in grado di per sé di ridur-re i risultati potenziali e, con essi, iconsumi e gli investimenti; di conse-guenza, continui downgrade delle pre-

visioni di crescita potrebbero mette-re in stallo l’economia mondiale, de-terminando una diffusa stagnazionesecolare.

La sindrome cineseLa Cina sta attraversando una fase ditransizione importantissima ma com-plessa verso una crescita più sosteni-bile basata su consumi e servizi, dicui alla fine, secondo il Fmi, benefi-ceranno tutti i Paesi dell’area, ma chenel frattempo può avere effetti av-versi soprattutto sulle economie piùdeboli.

Il rallentamento del tasso di svi-luppo in Cina è dipeso soprattutto dal-l’andamento degli investimenti e del-le esportazioni, che hanno invertitola tendenza dopo un lungo periododi rapido crescita. Data la dimensio-ne del mercato cinese, il suo livellodi apertura, l’alto livello degli investi-menti e dell’attività di import-export,il fenomeno si è ripercosso lungo i ca-nali commerciali su tutte le econo-mie mondiali, con effetti diretti (la ri-duzione della domanda dei prodottidei Paesi partner) e indiretti (l’impat-to sulle quotazioni di specifici beniimportati dalla Cina, per esempio lematerie prime), che hanno influenza-to sia i tassi di cambio, sia i mercati a-zionari. Dal momento che la Cina èuno dei primi dieci partner commer-ciali di più di cento Paesi, i quali nel lo-

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Continui downgradedelle previsioni di crescita potrebbero mettere installol’economia mondiale determinando una diffusa stagnazione secolare

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POLEMOS

ro complesso rappresentano circa l’80% del Pil mon-diale, il suo ruolo nel processo di import-export re-gionale e globale (importazione di beni semilavoratie beni capitali ed esportazione di prodotti finiti) larende un perfetto ‘conduttore’ di crisi che hanno laloro origine non solo all’interno, ma anche all’estero.

La situazione è resa ancora più critica dall’impor-tanza che il Paese ha assunto negli ultimi dieci annicome consumatore finale dei beni prodotti in Euro-pa e negli Stati Uniti: lo staff del Fmi calcola che la di-minuzione di un punto percentuale della crescita ci-nese riduce la crescita dei Paesi del G20 (le primeventi economie mondiali) dello 0,25%, e per questeeconomie mature, le cui sorti gravitano intorno a untasso di sviluppo minimo, un quarto di punto può fa-re la differenza. A questo si aggiunge che la Cina è ilmaggior importatore di un vasto numero di materieprime, soprattutto metalli (nel 2014 rappresentava il40% della domanda globale), e che il rallentamentodegli investimenti ha avuto un impatto significativosulla richiesta e sulla quotazione di tali beni, il cuiprezzo dal 2011 è sceso in media del 60%. Ciò ha ge-nerato un sostanziale eccesso di capacità produttivanel settore minerario e ha forzato i Paesi esportatoriad adattare i propri sistemi economici ai ricavi piùbassi.

Sembra dunque cruciale per il benessere mon-diale che la Cina riorganizzi il proprio modello eco-nomico, facendo crescere il tenore di vita della fami-glia media per orientare lo sviluppo verso i consumie i servizi e realizzare quello che le autorità di Pechi-no chiamano “il sogno cinese”.

Martin Feldstein, professore di Economia all’Uni-versità di Harvard e presidente emerito del NationalBureau of Economic Research, sostiene (2) che “unacrescita più rapida della spesa per i consumi avrebbel’effetto di invertire il recente rallentamento nella cre-scita del Pil, fornendo la domanda supplementare ne-cessaria per creare posti di lavoro per quei milioni dicinesi che stanno abbandonando il settore agricolo egli altri milioni che si stanno laureando in una delleuniversità del Paese. In questo momento, in Cina, laspesa per i consumi rappresenta appena il 36% del

Pil, circa la metà del livello degli StatiUniti e dell’Europa occidentale. Le ra-gioni di questa percentuale così bas-sa sono da ricercarsi nel peso limita-to del reddito delle famiglie sul Pilcomplessivo e nell’elevato tasso di ri-sparmio delle famiglie”. I funzionari ci-nesi sperano che redditi più alti perle famiglie possano produrre un raf-forzamento della spesa per i consu-mi, in una fase in cui il restringimen-to del mercato del lavoro sta causan-do un aumento dei salari e il proces-so di urbanizzazione sta spostando ilavoratori da impieghi agricoli a bas-sa produttività a impieghi meglio re-tribuiti nelle città.

Tuttavia, secondo Feldstein, ci sa-rebbe un’altra strada, più rapida esemplice, per far crescere la spesa peri consumi, e questa strada “consistenel ridurre il tasso di risparmio dellefamiglie, attestato su livelli elevati acausa di diversi fattori, fra cui il ri-schio di perdere il lavoro e l’assenza diun programma previdenziale pubbli-co affidabile”. Il problema, in parti-colare, sarebbe la mancanza di unaprotezione sanitaria: “La sanità pub-blica è molto rudimentale e le assicu-razioni sanitarie private sono acces-sibili a pochi, perciò le famiglie accu-mulano grandi quantità di denaro li-quido per avere una riserva a cui at-tingere quando si presenta la neces-

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La Cina è uno dei primidieci partner commerciali

di più di cento Paesiche nel loro complesso

rappresentano circa l’80% delPil mondiale: è un perfetto

conduttore di crisi

__________________________________________________________________2) M. Feldstein, La via salutare alla crescita dei consumi in Ci-na, il Sole 24 Ore, 10 settembre 2015

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Too slow for too long

sità di pagare un ricovero ospedaliero”. Secondo il pro-fessore, ex consulente di Reagan, la via più sicura perrisolvere il problema non sarebbe potenziare il siste-ma di welfare, ma incoraggiare i datori di lavoro adacquistare assicurazioni sanitarie aziendali, escluden-do i versamenti effettuati allo scopo dal reddito im-ponibile. “Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna questamisura si è rivelata un incentivo molto efficace perl’acquisto di assicurazioni private. Gli stessi beneficifiscali potrebbero essere estesi anche all’acquisto diun’assicurazione sanitaria da parte dei singoli indivi-dui, consentendo loro di dedurre i premi versati dalproprio reddito imponibile”. In questo momento, inCina, gli incentivi fiscali sono usati per incoraggiare i

piani di risparmio previdenziale ma,sebbene necessario, questo “produ-ce l’effetto indesiderabile di incremen-tare il risparmio delle famiglie, inve-ce di far crescere la spesa per i con-sumi”. Al contrario, la deducibilità peril datore di lavoro dei premi dell’assi-curazione sanitaria ridurrebbe il tas-so di risparmio nazionale, inducendoi dipendenti a sostituire i consistentiaccantonamenti personali di liquiditàcon le polizze aziendali.

Un’analisi analoga del problema,ma con conclusioni diverse, è quella

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Hey, world!Mathilde Ferghina. Biro e acquerello, 2016_____________________________________________________________________________________________________________________

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POLEMOS

effettuata da Romano Prodi su Il Messaggero (3). Se-condo Prodi, i consumi cinesi non riescono a cresce-re abbastanza velocemente per compensare gli ef-fetti negativi della stagnazione delle esportazioni edegli investimenti non solo perché “molta parte deicittadini impiega i maggiori guadagni non in consumima in risparmio, per fare fronte a un’insufficiente dif-fusione di un adeguato sistema sanitario e pensioni-stico”, ma anche a causa della grande lotta contro lacorruzione che si sta mettendo in atto in Cina, “ope-razione assolutamente necessaria perché la corruzio-ne si stava diffondendo in modo tale da mettere a ri-schio le radici stesse dello Stato”. Questa battaglia haportato da un lato a un forte calo della domanda deibeni di lusso (alimentata dalle bustarelle), mettendoin difficoltà le aziende occidentali e molti produttoricinesi che erano vigorosamente entrati nel settoredei prodotti di consumo più costosi; e dall’altro harallentato il funzionamento del settore pubblico, rin-viando di fatto molte delle necessarie decisioni eco-nomiche.

Per cercare di contenere il tasso di risparmio del-le famiglie il governo cinese, riporta Prodi, ha inizia-to la costruzione di migliaia di presidi sanitari distri-buiti in tutto il Paese, ma piani di questo genere ri-chiedono tempi molto lunghi, mentre l’emigrazionedelle imprese a bassa tecnologia e ad alta intensitàdi mano d’opera procede alla velocità di un fulmineverso i Paesi a più basso costo del lavoro, come il Viet-nam, il Bangladesh e il Myanmar. Il governo cineseha pertanto iniziato “una politica espansiva del bi-lancio volta a contrastare gli elementi negativi che sisono prodotti negli ultimi mesi e ad accelerare letrasformazioni necessarie per fare fronte al rallenta-mento dell’economia”. Secondo Prodi il sistema nellungo periodo possiede ancora grandi potenzialità dicrescita, grazie a “l’urbanizzazione di altri 200 milio-ni di contadini, risorse umane sempre più specializ-zate, un rapidissimo sviluppo dei consumi di prodottielettronici, massicci investimenti nel settore ecologi-co e sanitario e, soprattutto, un impressionante sti-

molo alla modernizzazione delle strut-ture produttive”.

Per facilitare questo processo, asettembre 2015 il Consiglio di Statocinese ha messo in palio 60 miliardidi yuan (9,43 miliardi di dollari) perla creazione di un fondo nazionale asostegno dello sviluppo delle piccolee medie imprese, quelle cioè che de-vono fare il “salto di qualità” (4). Il go-verno centrale contribuirà con 15 mi-liardi di yuan, mentre il resto degli in-vestimenti verrà da imprese statali,enti locali, istituzioni finanziarie e so-cietà private. Tuttavia le misure nonhanno ancora dato i risultati sperati:ad aprile 2016 in Cina il commercioha segnato un +10,1%, inferiore alleattese degli analisti, mentre gli inve-stimenti fissi lordi sono aumentati del10,5% da gennaio, contro stime di unincremento dell’11% (5), e Yu Yong-ding, docente universitario nonchéuno dei più prestigiosi ricercatori del-l’Accademia cinese di scienze sociali,intervistato da Repubblica lo scorsoaprile non addolcisce la pillola: “Nondovete stupirvi se la crescita cinesescenderà sotto il 6% nel 2016. Troppisono gli elementi negativi ancora ir-

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_____________________________________________________________________________________________________________________3) Romano Prodi, La Cina e i consumi: Le due ragioni che frenano la crescita di Pechino, Il Messaggero, 17 ot-tobre 20154) Cfr. R. Fatiguso, Il decollo mancato dei consumi interni, Il Sole 24 Ore, 2 settembre 20155) Cfr. Ansa, Cina: frenano consumi e investimenti, 14 maggio 2016

La situazione è resa ancorapiù critica dall’importanza

che la Cina ha assuntonegli ultimi dieci anni

come consumatore finaledei beni prodotti in

Europa e negli Stati Uniti

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Too slow for too long

risolti, e praticamente tutti i fattori di valutazione, dal-l’efficienza di capitale alla produttività del lavoro, so-no ancora in caduta” (6).

Un barile di guaiL’altra grande minaccia alla crescita globale è, secon-do il Fmi, la drastica riduzione dei prezzi delle mate-rie prime. Nei Paesi esportatori le ragioni di scambiosono crollate, con la conseguenza che tali Paesi (spes-so caratterizzati da basso reddito) faticheranno a ri-portare il loro tasso di crescita ai livelli di un tempo,a meno che non differenzino le basi delle loro espor-tazioni (un processo che richiede tempo). Sebbenein linea di principio il fenomeno dovrebbe tradursi invantaggi simmetrici per i Paesi importatori, in prati-ca gli effetti negativi sui produttori hanno finora do-minato la scena economica, con dinamiche simili aquelle del decennio 1929-1939. È stato soprattutto acausa del crollo dei prezzi delle materie prime chenel 2015 l’inflazione nelle economie avanzate è statapari in media allo 0,3%, il livello più basso dallo scop-pio della crisi finanziaria, mentre il tasso globale diinflazione è rimasto stabile all’1,6-1,7%, un valoremolto più basso di quello desiderato dalle banche cen-trali. In molti mercati emergenti, il crollo del prezzodel petrolio e di altri beni (incluso quello del cibo,che ha un alto impatto sull’indice dei prezzi dei Paesiin via di sviluppo) ha sì ridotto l’inflazione, ma in al-cune nazioni come il Brasile, la Colombia e la Russiauna massiccia svalutazione delle monete nazionali haeroso in larga parte questo effetto positivo, e l’infla-zione è addirittura risalita. Il prezzo del greggio è sce-so più del 32% fra agosto 2015 e febbraio 2016, pereffetto dell’aumento della produzione nei Paesi mem-bri dell’Opec e in Russia, delle attese di un compor-tamento analogo dell’Iran, e per le preoccupazioni dauna parte circa la forza della domanda globale e leprevisioni di crescita a medio termine, dall’altra peril comportamento dei mercati finanziari sempre piùavversi al rischio, e che perciò potrebbero decideredi abbandonare gli investimenti in materie prime eazioni.

Insieme a quelle del petrolio sono scese non solo

le quotazioni di carbone e gas natu-rale, ma anche di merci diverse dalcarburante, come i metalli (-9%) e iprodotti agricoli (-4%). Il protrarsi neltempo delle quotazioni attuali del greg-gio, secondo il Fmi, potrebbe ulterior-mente destabilizzare le prospettive dicrescita dei Paesi esportatori, e seb-bene alcuni di questi dispongano diconsiderevoli riserve finanziarie, talirisorse si stanno consumando, men-tre altri Paesi produttori si devonoconfrontare già da oggi con la neces-sità di tagli alla spesa.

Molto interessante a questo pro-posito è un editoriale del Guardian delgennaio scorso dal titolo The Guar-dian view on the geopolitics of fallingoil prices (7), in cui si analizzano leconseguenze del crollo dei prezzi delgreggio. Secondo il quotidiano britan-nico, sebbene nella geopolitica dellaproduzione petrolifera le previsionisiano sempre un rischio, si può co-munque presumere che “se il prezzodel barile continuerà a precipitare leripercussioni saranno enormi a livel-lo globale. Basti pensare a come i mas-simi e i minimi delle quotazioni han-no influito sulle relazioni internazio-nali e gli sviluppi politici degli ultimi

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_____________________________________________________________________________________________________________________6) E. Occorsio, Allarme di Pechino: “La crescita cinese scenderà sotto il 6%”, La Repubblica, 12 aprile 20167) The Guardian view on the geopolitics of falling oil prices, The Guardian, 13 gennaio 2016

È cruciale per l’economiamondiale che la Cina

riorganizzi il proprio modelloeconomico facendo crescere

il tenore di vita dellafamiglia media per

orientare lo sviluppoverso i consumi e i servizi

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POLEMOS

quarant’anni. La crisi petrolifera degli anni Settantaha rimodellato il panorama mondiale e ha dato unanuova rilevanza al Medio Oriente. Quando i prezzi so-no crollati alla metà degli anni Ottanta, la fine dell’U-nione Sovietica è stata accelerata dal collasso dellesue esportazioni. L’invasione del Kuwait da parte diSaddam Hussein nel 1990 nasceva in parte dalla vo-lontà di conquistare nuovi territori in un momento diristrettezze finanziarie. In Algeria, altro Paese pro-fondamente dipendente dagli introiti del petrolio, lostesso calo del prezzo (fino a meno di dieci dollari albarile) ha innescato una vittoria elettorale degli isla-misti, un colpo di Stato e poi la guerra civile”. E an-che se le democrazie liberali dell’Occidente hannobeneficiato del crollo del blocco sovietico, il calo deiprezzi non ha certo portato pace e stabilità nel mon-do arabo e musulmano. “In generale possiamo direche il crollo del prezzo del petrolio ha ridotto la spe-ranza che le potenze emergenti possano continuarela loro crescita modernizzandosi e contribuendo a ga-rantire la stabilità internazionale. Troppi governi, in-fatti, hanno basato le loro ambizioni sui prezzi alti diprodotti che oggi sono in caduta libera. […] Prendia-mo l’esempio del Brasile. Un tempo descritto come ilcampione del sud del mondo, oggi barcolla perchél’economia è in crisi e la situazione è resa ancora piùinstabile dallo scandalo di corruzione che ha colpitoil gigante petrolifero Petrobras. Il Brasile è una demo-crazia, dunque l’instabilità è una notizia sgradita. Ilcalo del prezzo del petrolio non aiuterà nemmeno ilnuovo governo della Nigeria, primo produttore di pe-trolio in Africa, in un momento in cui le reti jihadistesi stanno diffondendo nella regione e oltre”.

Continua il Guardian: “La caduta del prezzo delpetrolio non colpisce solo i Paesi amici dell’Occiden-te, ma anche le potenze che considera avversarie. InRussia, Vladimir Putin sembra determinato a resti-

tuire al suo Paese il ruolo di grandepotenza ricorrendo all’avventurismomilitare in Europa e in Medio Orien-te, ma ora deve gestire una compli-cata equazione finanziaria. Il Cremli-no ha appena annunciato un tagliodel 10% della spesa pubblica, segnoevidente che il Paese sta subendo leconseguenze delle sanzioni interna-zionali e del calo dei prezzi in un’eco-nomia che ha bisogno di un petrolioad almeno cento dollari al barile.

“Altri regimi altrettanto colpiti dalcalo del prezzo del greggio cercanodi compensare con i fondi d’investi-mento statali, ma si tratta di inter-venti limitati. Il Venezuela è un altroesempio delle insidie di quella che èdefinita la maledizione delle risorse,ovvero l’eccessiva dipendenza dal pe-trolio a scapito della modernizzazio-ne e della diversificazione dell’econo-mia. La crisi del modello ‘bolivaria-no’ avrà conseguenze al livello regio-nale, a partire da Cuba, Paese a lun-go sostenuto dai sussidi venezuelanie attualmente impegnato in una nuo-va fase dei suoi rapporti con gli StatiUniti.

“L’area dove le conseguenze geo-politiche del calo del prezzo del pe-trolio sono più imprevedibili è natu-ralmente il Medio Oriente. L’ArabiaSaudita ha orchestrato la riduzionedel costo del barile nel tentativo diindebolire l’Iran, suo rivale regiona-le, nel momento in cui torna sul mer-cato delle esportazioni petrolifere. Tut-tavia i prezzi bassi rappresentano an-che un problema interno per le dina-stie del Golfo. A lungo termine que-sto potrebbe ridurre la conflittualitàdella regione, ma a breve termine po-trebbe essere un’ulteriore causa ditensioni per regimi traballanti, che vo-gliono distogliere l’attenzione dai pro-

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L’altra grande minaccia alla crescita globaleè la drastica riduzione dei prezzi delle

materie prime, non solo petrolioma anche carbone, gas naturale,

metalli e prodotti agricoli

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Too slow for too long

blemi interni. La Russia potrebbe fare la stessa scel-ta, mentre la reazione di Pechino è ugualmente im-prevedibile. Quel che è certo è che entrate petrolife-re troppo basse possono essere altrettanto dannosedi entrate troppo alte”.

A mali estremi, estremi rimediÈ lo stesso Fmi ad avvertire che, attualmente, le pro-babilità che lo scenario ipotizzato dal WEO si realizziappaiono più basse, e che di conseguenza il rischiodi un indebolimento dell’economia mondiale è di-ventato più elevato. Il risultato di questa fragilità con-giunturale è l’urgenza di misure di ampio respiro pergestire la maggiore vulnerabilità. Secondo gli econo-misti del Fmi, nei Paesi avanzati tali misure dovreb-bero articolarsi su tre piani: riforme strutturali per po-tenziare gli investimenti e la produttività (ossia ab-bassamento dei salari e riduzione delle tutele del la-voro, da una parte, e dall’altra smantellamento delwelfare per creare un nuovo mercato per il Capitaleprivato), politiche monetarie accomodanti per con-trastare le pressioni deflazionistiche (il Quantitativeeasing messo in atto dalla Bce, con estremo ritardorispetto alla Fed americana), e politiche fiscali grow-th-friendly per sostenere la domanda; mentre nei mer-cati emergenti le autorità dovrebbero concentrarsi sulcontenimento dei problemi di origine macroecono-mica e finanziaria.

Se tuttavia dovesse verificarsi una diminuzione si-gnificativa del tasso di crescita, per mettere al riparol’economia globale da una nuova spirale recessivasarebbe necessaria una “politica macroeconomica col-lettiva” che potenzi la rete di salvataggio e i poteri dicontrollo delle istituzioni finanziarie e isoli le ricadu-te degli shock di origine non economica. Secondo Mau-rice Obstfelt, economic counsellor del Fmi, “l’attualepeggioramento dell’outlook e le conseguenze nega-tive a esso associate richiedono una risposta imme-diata”. Se i responsabili politici delle nazioni sapran-no riconoscere i rischi cui sono esposti tutti i Paesi econcerteranno i provvedimenti necessari per mette-re al riparo l’economia, le ricadute positive sui livellidi fiducia globale saranno sostanziali, dice Obstfelt,“rafforzando la crescita e impedendo ulteriori ritardidella ripresa”. Diversamente, ci troveremo di nuovodavanti al baratro.

Una prospettiva, dopo quasi diecianni di crisi, che dovrebbe metterein discussione l’ideologia neoliberista,anche in una delle sue istituzioni-tempio, il Fmi; eppure neanche lascalfisce.

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L'INTERVENTO

Incontro-dibattito sul libro Neurocapitalismo. Mediazioni tecnologiche elinee di fuga, Giorgio Griziotti (Mimesis, 2016), presso il Circolo anarchicoPonte della Ghisolfa (Milano), 4 maggio 2016

Innanzitutto mi preme sottolineare che questo libro non è nato con l’in-tenzione di sviluppare un’elucubrazione teorica sulle tecnologie, o sulrapporto tra tecnologie e sociopolitica, ma quasi da un bisogno, scaturi-to da due inclinazioni personali: la passione per le tecnologie – ho stu-diato e lavorato tutta la vita in questo campo, soprattutto nelle tecnolo-gie dell’informazione e della comunicazione – e quella politica. Facendoparte del lungo ‘68 italiano, termine che preferisco a quello degli ‘annidi piombo’ che viene propinato dai media mainstream, mi sono infattitrovato a riflettere e a cercare di capire qual è il nesso fra queste tecno-logie e il contesto politico in cui viviamo.

Quando ho cominciato a interessarmi di politica erano gli anni in cui Ber-keley, l’università e città californiana, era un doppio simbolo: da un latola culla dei movimenti che negli Stati Uniti si battevano contro la guerrain Vietnam, dall’altro il luogo in cui nasceva quello che sarebbe poi dive-nuto il free software. È lì infatti che vengono create le prime versioni diUnix ‘open source’, precursore di Linux e del free software, ed è lì chesono state inventate le funzioni essenziali per connettere i computer ainternet. Anche se la commessa veniva dal ministero della Difesa ameri-cano, che negli anni della guerra fredda era interessato a costruire unarete che potesse ricomporsi in caso di un evento atomico, la nascita di in-ternet corrispondeva anche a un bisogno di quella generazione, che vo-leva comunicare e che lottava contro le forme d’imperialismo allora do-minanti.

L’esperienza e il vissuto dei decenni che ho passato professionalmente

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Giorgio Griziotti

Tecnologie, capitalismo e vie di fuga

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nel campo di queste tecnologie mi hanno portato ariflettere sul ruolo della tecnica, che è da sempre unaforma di mediazione con il mondo, con tutte le suecontraddizioni e biforcazioni. Una delle immagini cheho inserito all’inizio del libro è infatti ripresa dal film cul-to 2001: Odissea nello spazio, nel quale Kubrick mo-stra una scimmia antropomorfa che prende un ossoe ne fa uno strumento di difesa e soprattutto di ag-gressione, una scena che simbolicamente rappresen-ta il nascere della tecnica.

Tuttavia oggi sta avvenendo un importante cam-biamento: queste tecnologie, che prima erano sepa-rate dalla nostra soggettività, ora entrano a farne par-te. È una trasformazione che già altri studiosi primadi me hanno definito un divenire macchina dell’uo-mo, il famoso mito dei cyborg di Donna Haraway. Sia-mo quindi di fronte a un salto rispetto alla mediazio-ne della tecnologia come prima era intesa, un cambia-mento di paradigma.

A partire da questa visione ho dunque cercato di ar-ticolare il libro su tre assi portanti, molto legati tra lo-ro: l’aspetto del produrre, quello del vivere e quellodell’organizzarsi. Sono legati perché i confini tra pro-durre e vivere, tra lavorare e vivere, oggi non sonopiù netti come prima – so che non è una riflessionenuova, anche se io cerco sempre di mettere in evi-denza il ruolo delle tecnologie in queste osmosi. Oggilavoriamo perché abbiamo anche uno smartphone checi sollecita ed entra in gioco in momenti che fanno

parte sia della vita che del lavoro, e idue aspetti si mescolano. In tutto que-sto mi pare che la figura di uomo na-ta nell’Umanesimo e nell’Illuminismonon sia più così centrale. C’è una di-scussione aperta, qualcuno dice chesiamo davanti a soggettività ibride,quello che viene definito ‘postuma-no’. Su questa tendenza, portata a-vanti anche da studiose femministe eprogressiste come Rosi Braidotti, cheafferma che il postumano è una spe-ranza perché in esso si sviluppa un’e-tica diversa da quella capitalistica at-tuale, io francamente sono un po’ cri-tico: perché se le tecnologie vengo-no usate, come lo sono oggi, per pla-smarci, il postumano può essere be-nissimo capitalista; non esiste nessunautomatismo che renda il postuma-no non capitalista.

A questo si aggancia il tema sulla neu-tralità delle tecnologie. Si sa che letecnologie non sono mai neutre, mafanno parte di processi dinamici – unatecnologia immobile è una tecnolo-gia morta – ma proprio per questopossono assumere valenze politicheanche opposte, a secondo del modo

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L'INTERVENTO

con cui vengono utilizzate. L’esperienza politica degli anni Sessanta e Set-tanta e il fatto d’aver in qualche modo interiorizzato alcuni concetti fracui quello della biopolitica come emerge per esempio in Foucault e poiin Hardt/Negri, sono stati fattori essenziali per percepire il cambiamen-to di paradigma a cui accennavo prima.

Lavorando nel settore proprio nel momento in cui tutta l’industriadelle reti e dei dispositivi mobili nasceva e poi cresceva esponenzialmen-te, ho intuito che gli smartphone e simili sono gli strumenti biopoliticiper eccellenza. Proprio perché li abbiamo su di noi, permettono un con-trollo individuale e finissimo, e quindi il ruolo di questi apparecchi è inti-mamente legato alla prossimità con il corpo. Una situazione molto diver-sa rispetto ai PC: per scrivere su un computer, per esempio, bisogna ac-cenderlo, aspettare che sia pronto e stare seduti e poi la scrittura impli-ca principalmente il funzionamento dell’emisfero più legato alla raziona-lità. I dispositivi mobili entrando invece direttamente e sempre di più acontatto con il corpo, come dicevo, coinvolgono praticamente i cinquesensi e provocano emozioni (i pubblicitari ci vogliono inculcare che oggitutto è solo emozione): ascoltiamo musica, vediamo video, parliamo, gio-chiamo e comunichiamo in svariati modi. Questo avviene in qualsiasi si-tuazione, momento e luogo. Ci permettono di immergerci in realtà au-mentate o virtuali e attraverso un’infinità di sensori possono interagire omonitorare persino il buon funzionamento biologico: che si tratti della gli-cemia di un diabetico o del ritmo cardiaco di un jogger, solo per fare qual-che esempio. I devices sono talmente il tool emblematico della biopoli-tica che ho sentito la necessità di creare un neologismo: bioipermedia.

La tecnologia dunque non è neutra e questi dispositivi sono utilizzatiper modellarci, per plasmare addirittura i comportamenti, le emozioni,le carte del cervello, come dicono i neuroscienziati. “Noi vogliamo cono-scere prima di voi quali sono le vostre intenzioni”, ha affermato l’ammi-nistratore delegato di Google; per il consumismo, certo, ma non solo,anche per un controllo politico globale. Ma se questa è l’essenza di co-me una tecnologia viene utilizzata oggi dal capitalismo cognitivo, proprioper il fatto che non è neutra essa permette, nello stesso tempo, un cer-to livello di autonomia.

Le grandi multinazionali digitali, ormai simboleggiate dall’acronimo GAFA(Google, Amazon, Facebook e Apple) si basano maggioritariamente suun prodotto che non gli appartiene, che è in effetti un prodotto del co-mune: il free software e l’open source. GNU Linux è probabilmente ilsimbolo più conosciuto. Non solo perché è un artefatto di grande porta-ta ma soprattutto perché lo troviamo dappertutto, anche se non sem-pre lo sappiamo. Anima non solo milioni di computer, fra cui la grandemaggioranza dei server internet o del Cloud, ma partecipa anche al fun-zionamento di miliardi di apparecchi includendo i dispositivi mobili (An-

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Tecnologie, capitalismo e vie di fuga

droid è un derivato di Linux), le box delle televisioni,le unità di controllo elettronico nelle automobili ecc.Il capitale sta dunque usando un prodotto del comu-ne, e ciò avviene da Berkeley in poi.

È un aspetto importante che va riconosciuto, an-che per renderci conto che abbiamo le possibilità, lecapacità di linee di fuga, di autonomia nell’uso delletecnologie. Certo è il prodotto di una moltitudine cheha una determinata capacità tecnologica, però que-sta intelligenza collettiva tecnica è enormemente piùforte e diffusa rispetto a quando io ho cominciato alavorare nel settore; all’epoca eravamo pochi pionie-

ri. Non è importante saper program-mare, tutti in qualche maniera con-tribuiamo alle evoluzioni. Pensiamoal termine prosumer, cioè produttoree consumatore, che a me non piaceperaltro, perché implica uno sfrutta-mento, un lavorare gratis per le mul-tinazionali. È quello che succede quan-do ci obbligano a parametrare le ap-plicazioni, o quando ci fanno utilizza-re delle versioni che non sono stabilie che contengono anomalie che dob-biamo scoprire e segnalare. Tutto di-pende dai modi d’uso: quando con lanostra creatività inventiamo delle mo-dalità non previste, quando usiamo leapp in una finalità d’autonomia, allo-ra contribuiamo alla produzione del co-mune anche senza essere program-matori.

L’autonomia nell’uso delle tecnologie,che già ci permette una via di fuga,potrebbe essere molto più forte. Pen-siamo al movimento del peer-to-peer,che ha in qualche modo intaccato lacupola del copyright, che certo esisteancora ed è sempre fortissima, peròoggi è possibile avere musica o videogratuitamente.

Esistono altre tecnologie recentiche aumentano il potenziale di auto-nomia, come quella che nasce con ilbitcoin, per esempio, che è stato for-se pensato in un’ottica anarco-capi-talista, ed è utilizzato come dispositi-vo del capitalismo finanziarizzato edell’accumulazione. Il bitcoin però èbasato su una tecnologia, la block-chain, che apre nuove prospettive, chetramite opportuni algoritmi permet-te usi diversi da quello di asset finan-ziario. Esistono già degli esempi, espe-rimenti come quello del faircoin nel-

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L'INTERVENTO

l’ambito del progetto Faircoop e delle Cooperative Integrali, e un altro chesta cominciando qui a Milano, a livello di concezione, non ancora di im-plementazione, che si chiamerà, se lo si farà, commoncoin, e che permet-terà di utilizzare la tecnologia della blockchain per avere una moneta au-tonoma.

Lo stesso si può dire per tutto quello che riguarda la sharing economy. Og-gi è egemonizzata dal capitale, basta vedere quello che succede conAirbnb, che ci fa diventare degli affittacamere, con Uber, che ci fa diven-tare dei tassisti, negli Stati Uniti già esiste un’altra applicazione, che amio parere arriverà anche da noi, che si chiama TaskRabbit e ci farà di-ventare tutti un po’ idraulici, montatori di Ikea o tuttofare dei nostri vici -ni. Una piattaforma con cui, pagando laute commissioni come al solito,

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___________________________________________________________________________________________Niente aerei per volare. Mathilde Ferghina. Biro e acquerello, 2016

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Tecnologie, capitalismo e vie di fuga

si compra il tempo di una persona che ti fa un lavo-retto a casa. Tutto questo è controllato dal capitale,che fa miliardi sfruttando la capacità di condivisionedelle moltitudini, ma recentemente ho letto un do-cumento interessante di Trebor Scholz, uno studiosotedesco che vive negli Stati Uniti, sulle piattaforme delcooperativismo (1). Ci sono insomma, secondo Scholz,le possibilità di clonare funzionalmente queste gran-di piattaforme della Silicon Valley per rendere la sha-ring economy autonoma dallo stesso capitale; ci so-no tecnologie che hanno la capacità di poter essereutilizzate in un modo che non sia quello capitalistico.

Il problema quindi è essenzialmente politico. Senon ci crediamo, se non c’è uno stato di fiducia politi-ca nelle nuove monete come commoncoin o faircoin,è chiaro che si resterà su un circuito estremamenteridotto e non si avrà un’influenza e un’espansione im-portante. Dipende da noi coniugare queste tecnolo-gie, la moneta per esempio, o le forme del cooperati-vismo, con delle parole d’ordine, dei concetti politici,come quello del reddito universale, un tema molto di-scusso a Parigi, nelle Nuit debout. A mio parere oggiesiste una capacità diffusa non solo di resistere, maanche di creare reali possibilità di autonomia. Certoorganizzarsi è il passaggio più complicato e più diffici-le politicamente, perché, dal mio punto di vista, nonsi tratta di riformare il sistema ma di costruire qual-cosa di alternativo. I tempi sono lunghi, ma esistonole capacità per farlo. Bisogna crederci e siamo già sullabuona strada...

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___________________________________________________________________1) Cfr. http://www.rosalux-nyc.org/wp-content/files_mf/scholz_platformcooperativism_2016.pdf

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INCHIESTA

Nel novembre 2000 l’Unione europea e dieci Paesi Ue(1) intentano una causa presso la Corte distrettuale diNew York contro Philip Morris International (PMI) eJapan Tobacco International (JTI), accusando le duemultinazionali di contrabbando di sigarette e riciclag-gio di denaro. Le indagini condotte dall’Olaf, l’uffi-cio europeo per la lotta antifrode, hanno infatti eviden-ziato il coinvolgimento diretto e indiretto delle due a-ziende produttrici nel commercio illegale, che secon-do le stime della stessa Olaf sottrae all’Unione impo-ste per 10 miliardi di euro all’anno. Alla fine del 2001Commissione europea e PMI avviano trattative riser-vate su un possibile accordo per combattere il con-trabbando e la contraffazione di sigarette, e nel luglio

2004 l’intesa viene firmata: Philip Mor-ris si impegna a collaborare con l’U-nione – limitando la produzione allaquantità richiesta dal mercato legale,assicurando di vendere solo a riven-ditori legittimi e introducendo un si-stema di tracciamento – e la causa intribunale decade. Un simile accordoviene firmato nel 2007 con Japan To-bacco International – e anche in que-sto caso la controversia legale si chiu-de – e a seguire con la British Ameri-can Tobacco (BAT) e la Imperial To-bacco Limited (ITL) nel 2010.

L’accordo con Philip Morris sca-de a luglio di quest’anno – solo nel2022 quello con JTI e nel 2030 glialtri due. Nel febbraio scorso il Par-lamento europeo ha aperto una discus-sione sul suo eventuale rinnovo, e il 9marzo ha votato a maggioranza unarisoluzione (414 voti a favore, 214contrari e 66 astensioni) con cui hachiesto alla Commissione di non rin-novare l’accordo.

In questi dodici anni l’intesa haportato nelle casse della Ue e dei die-ci Paesi firmatari un miliardo di dol-lari a titolo di finanziamento alle ini-ziative anti-contrabbando (2), e ha pre-visto ulteriori pagamenti da parte del-la multinazionale, pari al 100% delle

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Giovanna Cracco

THANK YOUfor SMOKING

______________________________________________________________________________________________________________________1) Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna2) Cfr. comunicato stampa Commissione europea Payments by Philip Morris International, inc. Under the An-ti-Contraband and Anti-Counterfeit Agreement: the European community and 10 Member States agree the di-stribution of approximately 1 billion USD, 5 ottobre 2006

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imposte, nel caso di sequestri di partite illegali supe-riori alle 50.000 sigarette. Va da sé che la controparti-ta per PMI è stata non solo la chiusura della contro-versia in corso, ma anche una garanzia legale futura:la collaborazione infatti implicitamente tutela PMI dal-l’eventualità di essere portata nuovamente in giudizioper contrabbando di sigarette nell’Unione europea.

La questione di fondo è chiaramente se l’accordocon PMI – così come gli altri tre, identici nell’approc-cio – sia stato efficace nella lotta al contrabbando op-pure se, al contrario, abbia favorito gli interessi dellamultinazionale, che con pochi spiccioli – è il caso didefinire in tal modo gli importi pagati all’Unione eu-ropea rispetto ai bilanci delle industrie del tabacco –si è garantita l’immunità per dodici anni.

La riservatezza che circonda i quattro accordi, in-fatti, pone non pochi dubbi. Se da una parte hanno as-sicurato alla Ue entrate per complessivi 1,9 miliardi didollari (Tabella 1, pag. 43), dall’altra l’evasione percontrabbando è stimata, come abbiamo visto, in 10 mi-liardi ogni anno, quindi i conti decisamente non tor-nano; l’aver poi stabilito la soglia di 50.000 sigarettesotto la quale le imprese del tabacco non pagano al-cuna sanzione sulle partite illegali sequestrate, ha con-sentito una facile scappatoia – la riduzione quantitati-va delle singole partite illegali introdotte nell’Unioneeuropea – al riparo della garanzia legale che tutela lecompagnie da eventuali nuove cause giudiziarie; l’a-ver infine unificato le figure del controllato e del con-trollore, affidando direttamente alle industrie del ta-bacco, e non a un organismo esterno, il compito di im-plementare un sistema di tracciamento dei prodottivenduti, porta inevitabilmente a chiedersi quanto pos-

sano essere attendibili i dati fornitidalle multinazionali stesse.

Esemplare una interrogazione po-sta da Bart Staes (gruppo Verdi) il 4novembre 2013 (3), con la quale il par-lamentare chiedeva quante sigarettedella marca Classic – tra i brand piùsoggetti al contrabbando – fosserostate sequestrate nell’Unione europeanegli anni 2011 e 2012, se i sequestriavessero generato pagamenti di san-zioni a carico di Imperial Tobacco Li-mited, azienda produttrice, e nel casoquale fosse la quantità di sigarette con-teggiate per la sanzione e a quantoammontasse l’importo della sanzionestessa. Il 28 febbraio 2014 la Com-missione europea ha risposto (4) for-nendo i numeri totali delle sigaretteClassic sequestrate nei due anni (181milioni nel 2011 e 142 milioni nel2012, tra originali e contraffatte) manegando, in nome della riservatezzadegli accordi sottoscritti con ITL, tut-te le informazioni relative alle even-tuali sanzioni comminate.

Gli accordi prevedono anche un‘importo base’ annuale relativo allesigarette sequestrate, superato il qua-le l’impresa è obbligata a pagare il500% delle imposte evase; soglia mairaggiunta da alcuna delle quattro mul-tinazionali. Significativo inoltre il fat-

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______________________________________________________________________________________________________________________3) Cfr. http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=WQ&reference=E-2013-012453&language=EN4) Cfr. http://www.europarl.europa.eu/sides/getAllAnswers.do?reference=E-2013-012453&language=EN

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INCHIESTA

to che nel 2014 Commissione europea e PMI abbianofirmato una modifica dell’intesa, con effetti retroatti-vi a partire dal primo luglio 2012, che ha portato l’im-porto base da 90 a 450 milioni.

Le ammende poi si applicano solo alle sigaretteoriginali sequestrate, e non a quelle contraffatte: se-condo gli accordi, l’azienda ha il diritto di esaminarele partite oggetto di sequestro e di inviare una relazio-ne all’Olaf, allegando la relativa documentazione nelcaso in cui l’analisi concluda che le sigarette sono con-traffatte, ossia non prodotte nei propri stabilimenti. Sel’Olaf è in disaccordo, la partita è sottoposta all’esa-me di un laboratorio indipendente, designato di comu-ne accordo tra la Ue e la multinazionale del tabacco,per un giudizio definitivo.

Ancora Bart Staes nel novembre 2013 (5) chiedealla Commissione di rendere pubblico il numero di se-questri effettuati relativi a partite superiori alle 50.000sigarette a far data dall’attuazione degli accordi, ilnumero totale delle sigarette oggetto di tali sequestri,quante fossero quelle originali e quante quelle con-traffatte e in quanti casi fosse stato un laboratorio in-dipendente a dichiarare la contraffazione. Il 28 gen-naio 2014 la Commissione risponde (6) che fino al 31ottobre 2013 i sequestri sono stati 6.261, pari a 4,1miliardi di sigarette, di cui 3,2 miliardi contraffatte e891 milioni originali, e che mai è stato fatto ricorso aun laboratorio indipendente per la loro analisi.

Difficile verificare questi numeri, in quanto gli stu-di del settore tendono a unificare i dati del mercato il-legale, sommando tra loro i prodotti originali e quellicontraffatti. Di certo, negli accordi firmati dalla Com-missione europea sono le multinazionali a stabilire l’o-riginalità o meno delle sigarette sequestrate, dunque astabilire, di fatto, i valori su cui poi dovranno pagarele sanzioni, e mai la Commissione ha avuto un dub-bio – legittimo, visto l’evidente conflitto di interessi

– sull’attendibilità delle loro analisi.Solo il 24 febbraio 2016, il gior-

no stesso in cui si è aperta la discus-sione in Parlamento, la Commissioneha presentato una valutazione tecnicadell’accordo con PMI (7), nella qualesono stati resi pubblici alcuni dati.Tra quelli più significativi, il ricono-scimento che tra il 2006 e il 2014 ilvolume del contrabbando in Europanon è affatto diminuito, anche se èmutato nella sua composizione: nellepartite sequestrate le sigarette origi-nali PMI hanno registrato una fles-sione dell’85%, ma è aumentato il nu-mero delle cheap whites, le sigarettenon di marca. È inoltre stato fornitol’importo delle sanzioni comminate aPhilip Morris dal 2006 al 2015: 68milioni di euro.

Letti nel contesto, sono dati im-barazzanti. I numeri dei prodotti PMIsono relativi alle sole partite illegalisuperiori alle 50.000 sigarette – nullaè dato sapere sui sequestri di partiteinferiori – e, come sopra evidenziato,in questi dodici anni è stata la stessaPMI a stabilirne l’originalità o meno.Contemporaneamente il mercato ne-ro sembra aver avuto una reazionepiù che pronta al mutato contestocreato dalla firma dei quattro accor-di: non solo ha colmato immediata-mente il buco nato dalla (dichiarata)diminuzione nel mercato illegale disigarette originali, ma ha anche sosti-tuito le sigarette contraffatte (false

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______________________________________________________________________________________________________________________5) Cfr. http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=WQ&reference=E-2013-012454&language=EN6) Cfr. http://www.europarl.europa.eu/sides/getAllAnswers.do?reference=E-2013-012454&language=EN7) Cfr. http://g8fip1kplyr33r3krz5b97d1.wpengine.netdna-cdn.com/wp-content/uploads/2016/02/PMIAgreementSWD2016-44.pdf

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Thank you for smoking

Philip Morris, o Japan Tobacco ecc.) con cheap whi-tes (nessuna marca), prodotti che sono automatica-mente esclusi da qualsiasi controllo sulla loro prove-nienza o meno dagli stabilimenti delle quattro indu-strie del tabacco. Basta insomma produrre sigarettebianche per sfuggire ai controlli imposti dagli accor-di, e alle relative sanzioni.

L’unica cosa certa, a conti fatti, è che il fenomenodel contrabbando non è diminuito, e da una parte con-tinua a sottrarre entrate fiscali per 10 miliardi l’annoalla Ue, e dall’altra ad alimentare profitti in nero incapo alle imprese produttrici, chiunque esse siano, eall’intera filiera illegale, criminalità organizzata, rici-claggio di denaro ecc. Eppure la Commissione euro-pea ha dichiarato di voler continuare su questa strada,rinnovando il primo accordo di questo tipo giunto ascadenza, quello con PMI. Può ancora cambiare idea,visto il parere negativo espresso dal Parlamento, ma

non è tenuta a farlo, poiché la risolu-zione votata il 9 marzo dagli europar-lamentari non è vincolante. Se lo fa-rà, dovrà vedersela con la lobby del ta-bacco, una delle più attive in campoeuropeo.

Secondo uno studio del Corporate eu-rope observatory (Ceo) (8) del 2012,a Bruxelles sono presenti 97 lobbistidel tabacco, che hanno a disposizio-ne un budget annuale di 5,2 milioni erappresentano nove compagnie e 22industrie del settore, tra coltivatori, ri-venditori, produttori e distributori. Su

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Tabella 1. Dettagli accordi Unione europea e multinazionali del tabacco

______________________________________________8) Cfr. Ceo, Mapping the tobacco lobby inBrussels: a smoky business, 6 novembre 2012

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INCHIESTA

tutte svetta proprio Philip Morris, con nove lobbisti eun budget dichiarato, per il 2011, di 1 milione e 125mila euro; seguono JTI, BAT e ITL, oggi ITG (Tabel-la 2). Per il 2014, i dati forniti dalle imprese stesse alRegistro della Trasparenza, che nell’intenzione do-vrebbe rendere pubblica la dimensione del fenomenolobbistico nell’Unione europea, evidenziano l’impie-go di risorse ancora maggiori.

Cifre probabilmente inferiori alla realtà, non essen-do obbligatoria ma solo volontaria l’iscrizione al re-gistro (JTI, per esempio, nel 2014 non vi compare), eimpossibile da controllare la veridicità dei dati di-chiarati; e, aggiunge lo studio di Ceo, riportando al-cuni casi nel dettaglio, è nota la partecipazione a in-contri presso il Parlamento europeo di diversi lobbistinon registrati.

Inoltre, scrive sempre Ceo, una ricerca di Alliancefor lobbying transparency and ethics regulation (Al-ter-Eu), un’associazione di oltre 200 organizzazionidella società civile che si occupa dell’influenza eser-citata dalle lobby nell’agenda politica Ue, ha dimo-strato che molte delle spese di lobbying riportate nelregistro sono irrealisticamente basse, e in alcuni casil’ammontare potrebbe essere dieci volte superiore al-

l’importo dichiarato. Le imprese pos-sono poi assumere studi legali per fa-re pressione su parlamentari e com-missari, studi che generalmente nonsi iscrivono al registro oppure, se lofanno, non dichiarano le generalitàdei loro clienti; il più delle volte inol-tre la Commissione li definisce ‘con-sulenti legali’ e non lobbisti, bypas-sando in tal modo gli obblighi di tra-sparenza.

Obblighi già risibili, come sotto-lineato l’8 febbraio scorso dal Media-tore europeo Emily O’Reilly (9), cheha pubblicamente criticato la sceltadella Commissione di non rendere piùtrasparenti i suoi rapporti con le mul-tinazionali del tabacco; nell’ottobre2015 O’Reilly aveva infatti chiesto alla

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Tabella 2. Risorse per l’attività di lobbying nell’Unione europea

______________________________________________9) Cfr. Comunicato stampa n. 2/2016 Euro-pean Ombudsman, Ombudsman regrets Com-mission stance on UN tobacco lobbying ru-les, 8 febbraio 2016

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Commissione di pubblicare online i verbali di tutte leriunioni con i lobbisti e/o i loro studi legali, richiestarespinta con la motivazione che gli obblighi previstidalle direttive sono già rispettati.

E su questo non c’è dubbio. Anche i quattro ac-cordi sottoscritti vengono rispettati. Il problema è in-fatti la cornice legale che la politica europea disegnasu misura degli interessi delle multinazionali, come di-mostrano anche le trattative in corso sul TTIP (10).

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___________________________________________________________________10) Cfr. Iacopo Adami, Informazione, potere e TTIP, pag. 12

La vecchiaEuropa dorme.Mathilde Ferghina.Biro e acquerello, 2016

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INTERVISTA– al Collettivo SOS Fornace-San Precario

LA ‘CITTÀ VETRINA’ DI ARESE di Domenico Corrado

Grandi affari e grandi svendite: il centrocommerciale più grande d’Europa ha aper-to i battenti.

Lo scorso 14 aprile è stato inaugurato adArese “Il Centro”, una gigantesca area com-merciale che si estende su una superficie dicirca 120.000 metri quadrati con oltre 200negozi e 2.000 dipendenti. Parcheggi gremi-ti, traffico in tilt e una folla di persone gal-vanizzate. Sulla scia di questo entusiasmo loscorso primo maggio gli attivisti del centrosociale SOS Fornace e del punto San Preca-rio Rho-Fiera hanno sfilato in corteo all’in-terno del supermercato Iper e tra i corridoidel centro commerciale, inaugurando la May-day dei precari della città vetrina. Ne par-liamo con loro.

Cosa rappresenta per voi il nuovo centrocommerciale di Arese?

La nuova area commerciale sorge lad-dove una volta si producevano le automo-bili dell’Alfa Romeo, in un territorio a fortevocazione industriale che negli ultimi anniha conosciuto un violento processo di dein-dustrializzazione. Sono dinamiche di vec-chia data, che si inseriscono nel processo diterziarizzazione dell’economia dei territoridell’hinterland del nord ovest milanese, dovesorgono Rho e Arese; sono zone che hannoconosciuto un primo momento di svolta nel2005, con l’inaugurazione della nuova Fiera diMilano, fino ad arrivare al 2015 con l’Expo.

Questo centro commerciale rientra nellafase matura di questa trasformazione delterritorio ed è esempio, con il suo corollariodi grandi inutili opere e speculazioni edili-zie, di una programmazione urbanistica ter-ritoriale totalmente asservita al mercato, connessun rispetto per i bisogni del territorio.In un’area già satura di centri commerciali,infatti, il Centro non porterà altro che unaumento delle nocività, come congestionedel traffico, tracollo della viabilità, inquina-mento, case vuote, desertificazione sociale elavoro precario.

Senza dimenticare il burrascoso iter isti-tuzionale che ha portato all’approvazionedell’Accordo di Programma, in spregio al-l’autogoverno dei territori e persino alle re-gole della democrazia formale. L’Accordo èstato infatti votato alla fine del 2012 da ununico organo elettivo dei comuni coinvolti,in una seduta a porte chiuse tenutasi pres-so Lainate, in un città militarizzata dopo chel’opposizione sociale aveva occupato l’aulaconsiliare bloccando il voto. Qualche gior-no prima la giunta regionale di Formigoniormai dimissionaria, travolta dall’ennesimaondata di scandali e arresti, con un colpo dimano aveva chiuso gli affari in sospeso, ap-provando l’Accordo di Programma senza di-scussione. Per Arese, l’altra amministrazio-ne coinvolta nell’affare, il sì definitivo è arri-vato da un commissario prefettizio, che e-sercitava funzioni politiche quantomeno im-

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proprie, mentre Rho, contraria al progetto,nel 2010 ha respinto il piano uscendo dallapartita.

Come si è inserita la vostra azione al Cen-tro nel contesto della Mayday 2016 e qua-le era lo scopo?

L’azione si è inserita nel quadro e nellospirito della MayDay. La nostra intenzioneera sanzionare uno dei luoghi della preca-

rietà presente sul nostro territorio, che ri-spetto a Fiera Milano è una presenza fissa365 giorni all’anno. Abbiamo inaugurato ilCentro con un corteo guidato da militanti tra-vestite da hostess che distribuivano ai clien-ti del supermercato volantini con le offertedel centro commerciale, ossia manodoperasottopagata e lavoro precario, l’unica veraofferta di questa ‘Città vetrina’. È stato unmodo per iniziare un percorso di avvicina-

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INTERVISTA– al Collettivo SOS Fornace-San PrecarioLa ‘città vetrina’ di Arese

mento ai lavoratori e alle lavoratrici del Cen-tro. È un progetto che necessita di continui-tà, e che stiamo portando avanti un passoalla volta in un processo che si costruiscestrada facendo, a fianco e con chi vive quo-tidianamente la precarietà. Il primo maggioera solo l’inizio, siamo andati a presentarcinel quadro dell’azione politica che svolgia-mo quotidianamente sul territorio.

Come ha reagito il territorio all’aperturadel Centro?

Dopo le grandi code che hanno conge-stionato il traffico i riflettori si sono spenti,e dell’entusiasmo iniziale è rimasto sola-mente il timore di una viabilità perennemen-te bloccata e la certezza del lavoro precarioe sottopagato. Le nuove assunzioni grava-no oltretutto sulla collettività tramite sgravi

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contributivi generosamente concessi alle im-prese. L’Accordo di Programma poi parla-va di circa il 50/60% delle assunzioni a tem-po indeterminato, ma con il Jobs Act è laprecarietà a essere diventata a tempo inde-terminato. Se i posti di lavoro sono pochi,dunque, non sono nemmeno buoni: l’impo-sizione della città vetrina porta necessaria-mente con sé lavoro precario, paghe basse,disponibilità 24/7 e lavoro domenicale. Quin-di l’entusiasmo iniziale dell’inaugurazionenon corrisponde alle aspettative che si era-no generate sul versante occupazionale.

Il giorno dell’inaugurazione del Centro ilpatron di Iper Marco Brunelli ha confer-mato l’interesse di Ikea ad aprire un nuo-vo negozio ad Arese. Il punto vendita do-vrebbe sorgere nell’area degli autosilos FiatAlfa Romeo abbattuti lo scorso anno intempi di Expo in una zona adiacente a Rho.Cosa ne pensate?

L’area in questione, che ricade in territo-rio rhodense, era stata esclusa dal PianoAlfa dopo che nel 2010 il consiglio comu-nale di Rho aveva votato contro l’Accordodi Programma, atto che aveva portato a tra-sferire il progetto a qualche centinaio di me-tri per escludere i comuni dissidenti. L’an-nuncio di Brunelli suona perciò come l’en-nesimo sberleffo alla volontà del territorio,già ripetutamente espressa fin nei suoi am-biti più istituzionali come appunto il consi-glio comunale di Rho, al momento nemme-

no consultato sulla questione Ikea – la cuiapertura, non si capisce a che titolo, è statadata per certa dal patron di Iper. A questomodello, oggi come in passato, non faremomancare la nostra opposizione. Siamo certiche anche Brunelli imparerà a sue spese cheil territorio è di chi lo abita, e non di chi cispecula.

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INTERVISTA– a Maria Rosa Cutrufelli

SEBBEN CHE SIAMO DONNE, PAURA NON ABBIAMOdi Giuseppe Ciarallo

Maria Rosa Cutrufelli, che i lettori di Pagi-nauno hanno già avuto modo d’incontrareall’uscita del suo precedente libro I bambinidella ginestra (1), è da sempre scrittrice par-ticolarmente interessata ad affrontare le te-matiche legate alla condizione femminile.Narratrice, critica letteraria, curatrice di an-tologie di racconti, sceneggiatrice di radio-drammi per la Rai, insegnante di scritturacreativa presso l’Università La Sapienza diRoma, Maria Rosa Cutrufelli nel suo ultimoromanzo Il giudice delle donne (Frassinelli,2016), ambientato agli inizi del secolo scor-so, narra la storia di un sogno che fu possi-bile realizzare solo successivamente, a di-stanza di mezzo secolo: quello del diritto divoto alle donne. Il racconto ruota attorno aun fatto realmente accaduto nel 1906, quan-do dieci maestre chiesero provocatoriamen-te l’iscrizione alle liste elettorali e il giudiceLodovico Mortara, con grande meraviglia escandalo da parte di tutti, diede loro ragione.

Ciò che oggi sembra una cosa normale escontata, alle coraggiose maestre marchigia-ne protagoniste del libro, donne che accese-ro la miccia delle rivendicazioni, costò san-gue, sudore, lacrime e umiliazioni.

Dunque Maria Rosa, partirei dal titolo: Ilgiudice delle donne. Non credi che abbia

spostato l’attenzione dalle vere protagoni-ste della storia, le coraggiose maestre pro-motrici della sacrosanta rivendicazione, auna figura certamente centrale nella vicen-da ma in qualche modo solo consequen-ziale a esse?

Ci ho pensato molto. All’inizio dovevaessere solo un ‘titolo di lavoro’, provviso-rio. E infatti, una volta ultimato il libro,avevo pensato di cambiarlo e di mettere alcentro le maestre, le vere protagoniste delracconto. Ma poi ho capito che non era giu-sto: se quella battaglia, a differenza dellealtre che le donne hanno combattuto in tut-ta Italia, ha avuto un esito positivo (anche sesoltanto per qualche mese), è per merito diLodovico Mortara. È lui, con il suo sì, cheha reso giustizia alle dieci maestre marchi-giane, e dunque la sua figura rappresentalo ‘snodo’, per così dire, di tutto il racconto.

A dettare il ritmo del racconto ci sono duepersonaggi ‘minori’ in riferimento allagrande Storia: Alessandra, giovane mae-stra esuberante che ama sfidare i pregiudi-zi di una società a parole proiettata versoil futuro e il progresso, ma ancora ancora-ta a ideali vecchi e reazionari; Teresa, bam-bina che i drammi della vita hanno già tra-sformato in una donna, chiusa in se stes-sa, schiva, sospettosa di tutto e tutti. Perentrambe, la narrazione che cuci loro addos-so è una sorta di romanzo di formazione...

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_________________________________________________________1) Cfr. Giuseppe Ciarallo, Maria Rosa Cutrufelli.Il peso dell’inverità, Paginauno n. 29/2012

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È vero, e infatti considero questo libroun vero e proprio romanzo di formazione,che racconta la crescita emotiva, ma soprat-

tutto intellettuale e politica, di una giovanedonna e di un giovane uomo all’inizio delNovecento, un periodo storico ricco di aspet-

tative (poi andate deluse, ahimè, e nella ma-niera più tragica). Anche la bambina Tere-sa, a modo suo, diventa ‘grande’ quando ca-pisce che non può sottrarsi alla Storia, checi attraversa e ci forma, nel bene come nelmale. È a quel punto che l’emigrazione, aisuoi occhi, perde il carattere di ‘destino for-zato’ e diventa una sfida da affrontare conl’arma della speranza.

Sullo sfondo, la scuola. Una scuola pove-ra, con scarsi mezzi, in strutture fatiscentie che in alcuni casi crollano. Sfogliando unantico dizionario mi sono reso conto chenell’Italia umbertina di fine XIX secolo, do-ve grande è lo spavento per il crescere del-la conflittualità sociale, con i movimentisocialista e anarchico che chiedono giusti-zia sociale, lavoro e anche istruzione, quel-la della scuola obbligatoria era considera-ta un’idea irrealizzabile (perché si volevache non si realizzasse) tanto da essere ci-tata a esempio nella voce Utopia nel Voca-bolario della lingua parlata. Nuova edizio-ne (Rugatini e Fanfani, G. Barbera Editore,1893). Vedendo la situazione odierna, pareche l’istruzione (soprattutto se pubblica)non sia mai stata in cima ai pensieri dei no-stri governanti, allora come oggi, anzi...

Sì, questo è davvero sconfortante. Men-tre leggevo le cronache di quel periodo, mistupivo per le tante analogie con l’oggi: il pre-cariato, le sedi disagiate, la scarsa conside-

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INTERVISTA– a Maria Rosa CutrufelliSebben che siamo donne, paura non abbiamo

razione per il lavoro degli insegnanti, leaule fatiscenti, la mancanza di strumenti dilavoro adeguati... Non a caso Alessandra, lagiovane supplente, protagonista del mio ro-manzo, a un certo punto dice: “Che tristez-za! Non capisco la negligenza dei nostri go-vernanti: la pubblica istruzione non dovreb-be essere il vanto, il biglietto da visita del-l’Italia moderna?”

Per scrivere il romanzo avrai passato ore eore nel faticoso lavoro di documentazione.

C’è una cosa che mi incuriosisce e forse tumi puoi aiutare: la storia è ambientata nelleMarche nel primo decennio del secolo scor-so, luogo ed epoca in cui il movimento a-narchico era particolarmente forte e attivo.Hai avuto modo di capire come questo mo-vimento (sapendo la posizione anarchicain merito al voto) si poneva nei confrontidelle rivendicazioni delle suffragiste?

In realtà, al di là della posizione ‘ufficia-le’, gli atteggiamenti personali variavano...Per esempio, Emma Goldman era un’accesa

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La guerra del 2014, Gaza. Mathilde Ferghina. Biro e acquerello, 2016______________________________________________________________________________________________________________________

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antisuffragista (diceva che il problema, perle donne, consiste soprattutto nel liberarsi daipropri ‘tiranni interiori’), ma non tutte le a-narco-femministe erano d’accordo con lei. Mol-te consideravano il suffragio come un impor-tante passo avanti per l’espressione di sé.

Oggi le elezioni sono diventate una farsa,i partiti non hanno più linee politiche e pe-culiarità proprie, il voto è diventato pres-soché inutile in quanto si fa fatica a coglie-re diversità di programmi (e di moralità)tra i candidati, sembra premonitore il pun-to di vista del compagno sindacalista diOlga – una delle protagoniste – il quale inuna delle ultime pagine del libro affermache “il parlamentarismo è un fiasco colos-sale, che la democrazie e il voto in genera-le, non solo quello femminile, è ciarpamed’altri tempi”. Partendo da tali considera-zioni, provocatoriamente ti chiedo: è valsala pena mettere in campo così tanto impe-gno e sofferenza per ottenere uno strumen-to così vuoto di significato?

Il voto, nelle nostre società, è il riconosci-mento che si è ‘cittadini’ a pieno titolo. Ledonne sono ‘cittadine’ da poco, pochissimotempo... Prima eravamo soltanto delle ‘ani-me morte’, senza peso in alcun campo delvivere associato. E se la cattiva politica ten-ta in tutti i modi di rendere inutile il suffra-gio popolare, di svuotarlo o addirittura dicancellarlo, è perché non si tratta ‘sempli-cemente’ di un diritto, ma anche di un ‘po-

tere’. Un potere ‘negoziale’, come dicono inostri giuristi più illuminati. E magari è perquesto che ancora fa paura...

In conclusione, nel corso di una preceden-te intervista mi avevi detto che ti sarebbepiaciuto scrivere un romanzo di fantascien-za. Hai accantonato l’idea o è ancora unpensiero che ti frulla per la testa?

Non abbandonerò mai l’idea... Mi tentaperché credo che sia il genere letterario più‘politico’ e più adatto a raccontare gli incu-bi – e i sogni – del nostro tempo. Ma la miapenna è riluttante... Finora, almeno.

Maria Rosa Cutrufelli è nata a Messina, è cre-sciuta fra la Sicilia e Firenze, ha studiato a Bo-logna e ha scelto di vivere a Roma. Si è laureatain lettere presso l’Università di Bologna con unatesi sulle strutture del romanzo. Collabora conriviste letterarie e di critica. Tra i numerosissi-mi titoli della sua produzione letteraria nell’am-bito della narrativa, della saggistica, dei libri diviaggio e per ragazzi, del racconto, segnaliamoi suoi ultimi romanzi: La donna che visse perun sogno, 2004; La briganta, 2005; Compli-ce il dubbio, 2006; D’amore e d’odio, 2008; Ibambini della Ginestra, 2012; Il giudice del-le donne, 2016. Tutti pubblicati con la casa e-ditrice Frassinelli.

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Il mondodel lavoronella poetica diWilliam McIlvanney(sesta parte)*

di Carmine Mezzacappa

A PROPOSITO DI...

The Kiln (1996, La fornace, Tranchida 2008)tratta la questione del lavoro in maniera me-no diretta perché il tema centrale è l’accessoall’istruzione per tutti, e McIlvanney avverteche questo pur lodevole principio democra-tico nasconde in realtà trappole da cui è dif-ficile sapersi difendere. Nel 1944, il governoconservatore aveva approvato la legge sullaregolamentazione degli accessi agli studi su-periori e universitari. In effetti, la decisione disostenere anche gli studi dei giovani delleclassi meno abbienti era stata dettata più dal-l’urgenza di riempire i vuoti provocati dalleingenti perdite di vite umane durante la guer-ra che da un intento di apertura democratica(sebbene questo fosse stato il modo in cuivenne presentata dal governo). Il risultato,sul piano sociale, fu che gli studenti privi dimezzi economici che beneficiarono di borsedi studio – i cosiddetti scholarship boys – siresero ben presto conto che la loro posizio-ne poteva migliorare concretamente solo aprezzo di dolorosi compromessi. I loro senti-menti – speranza di riuscire a emanciparsi,delusione, insicurezza interiore, rancore con-tro i privilegi della rigida società britannica,senso di colpa nei confronti della loro classedi provenienza – sono stati efficacemente te-stimoniati, negli anni Cinquanta-Sessanta-Set-tanta, in commedie (vedi Look Back in Anger,1956, di John Osborne), in romanzi (Pasmo-re, 1972, di David Storey) e in illuminanti sag-gi come The Uses of Literacy (1957) di RichardHoggart e The Long Revolution (1961) di Ray-mond Williams.

La fornace è un’intensa rappresentazio-ne degli stati d’animo di Tom Docherty (figliodi Conn Docherty e nipote di Tam Docherty)che, inseguendo la sua ambizione di diven-tare insegnante, scrittore e intellettuale, tra-

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________________________________________________________* Le parti precedenti sono pubblicate su Paginauno n.43/2015, 44/2015, 45/2015, 46/2016, 47/2016

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sforma i propri tormenti privati e professionali in un atto di de-nuncia contro una delle più sottili ambiguità della civiltà britanni-ca (e occidentale in generale): l’istruzione concessa anche ai cetipoveri non è altro che un’astuta trappola in cui questi perdono laloro identità e, di conseguenza, anche la loro carica critica e pole-mica contro un sistema che li schiaccia fingendo di sostenerli.

Questo tema, in effetti, è presente in quasi tutta la narrativadi McIlvanney. I dubbi di Tom Docherty sugli studi universitari so-no gli stessi che hanno altri personaggi: Charlie Grant in RemedyIs None (1966), Eddie Cameron ne Il regalo di Nessus, Tony Veitchin The Papers of Tony Veitch (1983, Le carte di Tony Veitch, Tran-chida 2000) e soprattutto Scott Laidlaw, il fratello suicida dell’i -spettore Laidlaw, in Strange Loyalties (1991, Oscure lealtà, Tran-chida 2001). Tutti sono in conflitto con una cultura che non arric-chisce e costringe ad accettare le ipocrisie di una società che si fin-ge liberale. Il destino comune di questi eroi è di non riuscire a en-trare in sintonia con la borghesia che dovrebbe accoglierli, e dinon esserlo più con la gente della loro classe che li considera deitraditori, condannandoli a uno spiazzamento e a una solitudineche, in alcuni casi, li schianta senza pietà.

La cultura e la conoscenza, se non si traducono in comporta-menti sociali virtuosi, non sono un bene condiviso, riflette amara-mente Tom Docherty/William McIlvanney.

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Graffiti.Mathilde Ferghina.

Biro e acquerello,2015

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Il mondo del lavoronella poetica diWilliam McIlvanney

A PROPOSITO DI...

Nel suo percorso di formazione come roman-ziere e intellettuale, McIlvanney aveva piùvolte dichiarato che, riconosciuta la propriavocazione alla scrittura, l’aveva nutrita con unimpegno e un rispetto che potremmo defini-re wordsworthiani verso la gente della comu-nità in cui era nato e si era formato. Egli è sta-to uno dei protagonisti di un fenomeno so-ciale significativo nella Gran Bretagna deglianni Cinquanta-Sessanta, che Raymond Wil-liams, nel suo profetico saggio The Long Re-volution, aveva descritto come la ‘terza rivo-luzione’, ossia la rivoluzione culturale, dopoquella industriale e quella che aveva prodot-to sia il suffragio universale sia la liberazionedi numerosi Paesi dall’oppressione coloniali-sta. Ebbene, questa terza rivoluzione avevaavuto il merito di favorire l’accesso di un piùampio numero di individui ai processi di ap-prendimento e, di conseguenza, alla produ-zione di forme avanzate e raffinate di espres-sione e comunicazione che prima erano ri-servate solo ad alcuni gruppi sociali privile-giati. Questo aveva ovviamente modificatoanche la percezione dell’arte e della culturain virtù del numero crescente di scrittori, ar-tisti e intellettuali provenienti da classi nonagiate.

La fornace ci invita a prendere atto che imeccanismi di riconoscimento e di condivisio-ne di idee e stati d’animo non si realizzano piùsoltanto in base all’appartenenza alla pro-pria classe e ai suoi valori consolidati ma se-condo meccanismi di aggregazione in co-stante mutamento. La cultura, in sostanza,non è più un patrimonio comune ma un vei-colo di dibattito che ha la funzione dialettica– a volte costruttiva, a volte meno – di pro-vocare costanti riallineamenti su questionipolitiche, sociali, economiche. Chi ambisce aimpossessarsi della cultura borghese, per e-sempio, come accade a Tom Docherty, dovreb-

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be tenere conto che lo studio, per la classe operaia, non innesca unprocesso di crescita ma una subdola forma di destabilizzazione alsuo interno, in quanto porta l’individuo a fare scelte e ad assume-re comportamenti non familiari. Tom ne diventa consapevole quan-do incontra per strada un suo ex compagno di scuola che svolgeun lavoro non qualificato. Pur non volendolo, si trovano ormai insituazioni non più compatibili: la scuola ha compiuto su di loroun’invisibile, e solo apparentemente indolore, forma di discrimi-nazione. Provengono dallo stesso mondo, hanno le stesse radici,ma hanno preso strade diverse e inevitabilmente la loro percezio-ne della società è diversissima.

Nei confronti dei suoi cari, Tom prova l’amara sensazione dicommettere una sorta di tradimento. Anche se non è quello chelui vuole, anche se i familiari lo sostengono e non gli faranno maimancare il loro affetto nemmeno nella remota ipotesi di un falli-mento, Tom capisce che una barriera di vetro si frapporrà tra lui eloro, attraverso la quale si potranno ancora scambiare sguardi so-lidali senza tuttavia mai più incontrarsi veramente di nuovo.

Ma non c’è solo il dolore del distacco dalle proprie radici. McIl-vanney, dopo avere pubblicato La fornace, ha lasciato trascorrerecirca dieci anni prima di pubblicare Weekend (2006, Weekend,Tranchida 2010), il suo ultimo romanzo. Il motivo è che la comu-nità da lui descritta nelle opere precedenti, nel frattempo avevacessato di esistere ed era stata emarginata da una nuova societàaggressiva, assolutamente priva di sensibilità, il cui unico scopoera di cancellare tutte le identità più diverse per inglobarle in un

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Aeroporto diGaza distrutto.

Mathilde Ferghina.Biro e acquerello,

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Il mondo del lavoronella poetica diWilliam McIlvanney

A PROPOSITO DI...

grigiore indistinto. Quale tipo di cultura – sichiedono McIlvanney e il suo alter ego lette-rario, Tom Docherty – sarà dunque capace,pur modificandosi, di conservare i valori piùrappresentativi della comunità che li ha creatie impedire che vengano spazzati via dal po-tere economico che, per garantirsi il consen-so, mira a forgiare individui senza identità di-sposti a subire qualsiasi imposizione senzareagire?

McIlvanney ha indicato una possibile so-luzione: nei suoi romanzi ha mischiato leg-gende metropolitane nate dalla tradizione o-rale della classe operaia con i classici dellaletteratura e del teatro; ha messo sullo stes-so piano musica classica, jazz, rock, folk eprogrammi radiofonici; ha dato pari dignità agrandi figure della politica, dello sport, dellospettacolo. Ha smontato tutte le categorie dicultura alta, cultura popolare, cultura di mas-sa sostenendo che la cultura è una sola eche la sua importanza risiede solo nell’esse-re espressione di un individuo o di un grup-po di individui. Non esiste, nella visione diMcIlvanney, un’espressione culturale supe-riore a un’altra: le storie raccontate intornoal caminetto e le storie di un acclamato scrit-tore pubblicate da un editore di prestigio so-no da tenere sullo stesso piano. Lo scrittorescozzese, in sostanza, ha dato dignità anchealla cosiddetta blotterature, dichiarando tut-ta la sua gratitudine alle sue letture giovanilitra cui spiccavano, insieme alle grandi operedella letteratura mondiale, i romanzi westerndel tedesco Karl May e la letteratura erotico-poliziesca dell’investigatore Hank Janson. Ilsuo obiettivo, dunque, è stato di trovare untono alto che nobilitasse il patrimonio cultu-rale delle classi più povere. La ricchezza dellasua opera complessiva è in questa miscela dicultura popolare e cultura borghese, in cuinon esistono gerarchie di valore estetico ma

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viene invece sottolineato che un patrimonio di conoscenze e sen-sibilità conta solo se consente a ogni individuo di definire il proprioambiente sociale e condividerlo con altri.

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War everyday.Mathilde Ferghina.

Biro e acquerello,2016

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FILO-LOGICO

La voce è onomatopeica e dovrebbe deriva-re dalla radice sanscrita KAL=risuonare oGAL=gridare. Di certo la parola e la praticadella chiacchiera sono fortemente presentinel nostro quotidiano. Qualche esempio, tut-t’altro che esaustivo:

• non perderti in chiacchiere inutili =non tergiversare, non girare intorno al noc-ciolo del discorso;

• facciamo due chiacchiere = parliamodel più e del meno;

• a chiacchiere sei bravo = sottinteso:sei bravo a parole, mancano i fatti;

• è una chiacchiera inventata = notiziasenza fondamento;

• chiacchiera di corridoio = notizia sen-za fondamento o comunque poco attendi-bile e di solito con un doppio fine o, per lomeno, con un soggetto da denigrare;

• troppe chiacchiere = in senso dispre-giativo si dice di uno che parla troppo;

• ha una gran chiacchiera = persona checon le parole vuole confondere.

Si noti come, in quasi tutte queste espres-sioni e, in realtà, anche nelle altre ovviamen-te non riportate, il termine sia plurale, per-ché è proprio in questo numero che assumequasi sempre il significato di biasimo, di in-sieme di parole inconcludenti e inutili.

Per altro siamo circondati non solo daparole, ma, per esempio a Carnevale, anchedalle chiacchiere, dolci friabili con nomi di-versissimi nelle varie zone e regioni, ma chedovrebbero avere avuto origine nell’anticaRoma e da lì si sono poi diffuse in tutto ilmondo.

Nella sua accezione più generale, e nonnegativa, la chiacchiera è una forma di co-municazione che non impegna, risponde allivello minimo di intrattenimento socialmen-te accettabile e può essere considerata unasorta di saluto allargato. In un luogo di lavo-ro davanti alla macchinetta del caffè si fan-no quattro chiacchiere, magari con delle bat-tute per rompere la monotonia della gior-nata. Il nostro vicino di ombrellone, accan-to al quale passiamo anche diverse ore matendenzialmente non rivedremo più finitala vacanza, ci è simpatico perché con lui siparla tanto per passare il tempo di cose co-muni di cui parlano tutti e soprattutto nelmodo in cui tutti ne parlano, cioè senza im-pegno. Anche incontrando un conoscente,dopo i saluti di rito, possiamo fermarci echiedere tanto per cortesia come stanno i fi-gli ecc. Insomma, in tutte queste situazioniil nostro e l’altrui parlare non implica rifles-sione e un ascolto particolari e, semmai, tut-

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CHIACCHIERADI FELICE BONALUMI

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to ciò spiega, se ce ne fosse bisogno, perchéla chiacchiera è tanto diffusa.

Come è noto nel secolo scorso il termineha avuto spazio a livello filosofico in Esseree Tempo di Martin Heidegger, proprio all’in-terno della considerazione sulla degrada-zione del linguaggio nella dimensione del-la quotidianità. In realtà possiamo andaredecisamente indietro nel tempo e arrivare aLucrezio, che di chiacchiera parla nel De re-rum natura: “Perché, se gli uomini afferma-no spesso che le malattie / e il disonore sidebbono temere più che la morte, / e chel’essenza dell’animo è, lo si sa, quella stessa/ del sangue, od anche dell’aria, secondo co-me ci aggrada, / e non v’è quindi bisognodi questa nostra dottrina, / potrai capire, daquanto segue, che queste son tutte / millan-terie: nell’effetto la realtà le smentisce. [...] /Conviene dunque che l’uomo si studi quan-do pericola, incerto, / e lo si giudichi nelleavversità, perché allora / la vera voce unabuona volta prorompe dal fondo / del cuo-re, cade la maschera, e il volto resta qual è.”

Se da un lato Lucrezio sottolinea comela chiacchiera sia lontana, anzi allontani, dal-la realtà e in particolare davanti a quelle si-tuazioni che potremmo definire limite qualimalattia, disonore e morte (esattamente ciò

che costituisce il senso del fare filosofia),dall’altro pone l’accento sul valore rassicu-rante che i discorsi vuoti hanno.

Temi che, in un’ottica differente, anzi dia-metralmente opposta, si ritrovano in Heideg-ger: per il filosofo tedesco la morte è il pro-blema fondante la vita, per Lucrezio è unnon-problema. Ma in comune c’è la consi-derazione che affrontare il problema dellamorte è necessità ineludibile per vivere unavita autentica.

In realtà in comune c’è anche altro e losi può riassumere così: per entrambi c’è lamorte, dato risolutivo che pone fine alla vi-ta, ma anche una morte lenta per cui la vitaè inautentica e ha il suo fondamento nella esulla chiacchiera.

La riflessione di Martin Heidegger in Es-sere e Tempo è molto articolata e parte dallaconstatazione che il linguaggio è comunquela caratteristica dell’uomo, il suo mezzo di au-toriconoscimento e di riconoscimento deglialtri e da parte degli altri. Naturalmente ilparlare come risultato del pensare come tut-ti gli altri (del proprio gruppo, della pro-pria etnia ecc.) assume immediatamente unvalore di rassicurazione. Ma implica ancheuna rinuncia al ragionare in modo autono-mo, per proprio conto. Questa è l’ambivalen-

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FILO-LOGICO

za della chiacchiera (1). Tuttavia per il filo-sofo tedesco ciò non è ancora negativo, per-ché il mio esserci nella quotidianità racchiu-de comunque una comprensione del mon-do, e in questa comprensione c’è anche il miorapportarmi agli altri: “Il termine ‘chiacchie-ra’ qui non ha alcun significato ‘spregiati-vo’. Esso non fa che designare terminologi-camente un fenomeno positivo che costitui-sce il modo di essere della comprensione edell’interpretazione dell’Esserci quotidiano”.

La negatività sta nel fatto che la chiac-chiera impedisce la comprensione origina-ria su cui il discorso discorre. In linguaggioheideggeriano manca la comprensione on-tologica con l’ente di cui si discorre, e il com-prendere tutti le stesse cose dipende dal si-tuarsi del linguaggio a livello mediano, in mo-do appunto che tutti comprendano allo stes-so modo.

In altre parole, ciò che importa è il di-scorso in quanto tale, non il discorso che ri-manda ad altro e, come conseguenza, è lasua ripetitività la caratteristica precipua. Siparla tanto per parlare e questo parlare sen-za fondamento garantisce la diffusione del-la chiacchiera che viene percepita dai par-lanti come totalizzante la realtà su cui pre-tende parlare. Sulla parte di realtà di cui lachiacchiera si appropria non c’è altro da ag-giungere perché tutti sono concordi.

È l’esistenza inautentica di cui parla Hei-degger e in cui prevale il ‘si’: si parla, si di-ce, si pensa ecc., vale a dire faccio mio il mo-do di vedere la realtà della collettività. Il‘si’ è la parola chiave di ogni massificazio-

ne e, paradossalmente, il basta che se ne par-li con cui una vera o presunta celebrità vuo-le rimanere sotto i riflettori è la confermadel discorso del filosofo tedesco.

Senza dimenticare una problematica cheinteressa la sociologia e la psicologia socia-le in prima istanza e poi la psicologia del-l’individuo. Alludo al riconoscimento, socia-le e del singolo, dell’autorità che, in quantotale, veicola la comprensione della realtà. Epuò farlo a livello di chiacchiera, cioè dicen-do indipendentemente dal fondamento deldetto. Fino a qualche anno fa la televisionepoteva essere additata come esempio tipicodi autorità: tutto ciò che la televisione dice-va era vero semplicemente e indiscutibil-mente perché l’aveva detto la televisione. Og-gi si devono perlomeno aggiungere i nuovimedia dove chiunque, indipendentementedalle sue conoscenze e dalla sua esperien-za, può dire tutto su qualunque cosa.

Resta naturalmente un problema: per-ché, nonostante tutto e nonostante la consi-derazione negativa che l’accompagna, lachiacchiera è tanto diffusa? La risposta diLucrezio/Heidegger seppure, ed è bene ri-peterlo, da posizioni diversissime, è univo-ca: la realtà è la morte e allora si chiacchie-ra, che è rassicurazione e appropriazione su-perficiale della realtà, per censurare e allon-tanare la morte.

Alla vita inautentica si contrappone, vada sé, la vita autentica, ma l’argomento diqueste righe è la chiacchiera e mi limito a ci-tare lo psicanalista inglese Wilfred Bion chesottolinea come solo l’esperienza emotiva,cioè lo sperimentare i propri sentimenti, ren-de la vita autentica e autentica la costruzio-ne del proprio essere-nel-mondo, per ritor-nare a un’espressione heideggeriana.

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________________________________________________________1) Ricordo che il § 35 di Essere e Tempo si intitolaLa chiacchiera. Le citazioni che seguono sono preseda: Martin Heidegger, Essere e Tempo, trad. Pie-tro Chiodi, Longanesi, 1976, 3 ed.

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CHIACCHIERA

Per altro non può sfuggire come la cul-tura occidentale dal Seicento abbia svilup-pato una laicizzazione che fa perno sulla con-vinzione che veniamo dal nulla e per purocaso, che per caso abitiamo su questo pia-neta, che per caso ci siamo evoluti in un cer-to modo e, soprattutto, che dopo la morte ciaspetta il nulla. Non possiamo ovviamentenegare la morte, ma all’interno di questa cul-tura la possiamo allontanare sia, per esem-pio, morendo in una anonima stanza d’o-spedale, sia con la chiacchiera che non ci im-pegna, e cioè anonima.

Si può forse dire che la superficialità ela naturalità sono i due termini entro i qua-li si svolge la chiacchiera. Esemplare in que-sto senso è un pensiero di Wittgenstein dal-le Ricerche filosofiche: “Talvolta si dice: glianimali non parlano perché mancano lorole facoltà spirituali. E questo vuol dire: nonpensano, e pertanto non parlano. Ma ap-punto: non parlano. O meglio: non impie-gano il linguaggio – se si eccettuano le for-me linguistiche più primitive. Il comanda-re, l’interrogare, il raccontare, il chiacchie-rare, fanno parte della nostra storia natura-

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Scorciatoia per la libertà. Mathilde Ferghina. Biro e acquerello, 2015.______________________________________________________________________________________________________________________

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FILO-LOGICO

le come il camminare, il mangiare, il bere,il giocare”.

Naturalità in questo caso vuole dire sem-plicemente la diffusione del fenomeno in tut-te le culture, anche se probabilmente è op-portuno distinguere fra varie tipologie dichiacchiera. Per esempio, il pettegolezzo sem-bra spiegabile in termini psicologici comemeccanismo di difesa: sposto l’attenzione dame su un altro così io non mi svelo e, anzi,do per implicito che io possegga delle virtùche sono esattamente l’opposto dei difetti ri-velati nell’altro.

Ma se tutti i pettegolezzi sono chiacchie-re, non tutte le chiacchiere sono pettegolez-zi. Come già detto si può parlare di cose as-

solutamente insignificanti senza con questorecare danno ad altri, e possiamo parlare dicose serie senza serietà, riportando il giudi-zio e il ragionamento di altri che, necessa-riamente in quel momento e su quella que-stione, consideriamo autorevoli.

Qui scatta la superficialità della chiac-chiera: mi limito al già detto e così sono alsicuro. Ma questo già detto implica il mioprendere il già detto, appunto, senza rifles-sione, senza partecipazione, senza elabora-zione. Non solo, più il già detto è largamen-te condiviso più mi esonera dall’ascolto. An-cora una volta è la non partecipazione il com-portamento del chiacchierone, che vive unavita inautentica in quanto non sceglie.

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Dopo scuola. Mathilde Ferghina. Biro e acquerello, 2016.______________________________________________________________________________________________________________________

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CHIACCHIERA

Il non cristiano Heidegger rimane anco-rato all’idea, fortemente sviluppata dal pen-siero cristiano, che percorre buona parte dellafilosofia, per cui la vita dell’uomo saggio èun prepararsi alla morte. Naturalmente nelfilosofo tedesco non c’è una prospettiva ol-tre la vita, dunque non ci si prepara per l’al-dilà, ma qui nella vita terrena l’uomo è chia-mato a esserci con un progetto.

Proprio per questo la chiacchiera è ne-gativa in rapporto alla vita autentica, inquanto esattamente la sua infondatezza è“un fattore determinante” della “sua diffu-sione pubblica”: “La chiacchiera è la possi-bilità di comprendere tutto senza alcuna ap-propriazione preliminare della cosa da com-prendere. La chiacchiera garantisce già inpartenza dal pericolo di fallire in questa ap-propriazione”.

Due considerazioni in conclusione. Laprima è la centralità delle parole autentico,autenticità nella filosofia contemporanea. Va-le la pena ricordare, cosa che naturalmentefa anche Heidegger, che autentico rimandaalla radice autŏs, cioè se stesso, dunque lavita autentica è quella che è originariamen-te conforme a se stessa. In fondo la ricercadi Heidegger e quella di Kierkegaard ri-spondono alla stessa esigenza: chiedere al-l’uomo di scegliere, per cui, paradossalmen-te, è più autenticamente uomo chi sceglie ilmale convintamente che chi sceglie il beneper conformismo.

Ma soprattutto, e in questo molto lonta-no da Hegel, per il filosofo tedesco il mon-do non è creato dalla coscienza, ma è giàdato, ed è l’insieme delle cose che possia-mo e dobbiamo utilizzare. Con cura, parolachiave in Heidegger, cioè dobbiamo rag-giungerle nella loro originarietà. Ecco allo-

ra il peccato originale della chiacchiera: è unnon-prestare-attenzione, un non-prendere-cura. Al limite, può essere un distruggerein quanto non si guarda al futuro. Ma quinel discorso entrerebbe la categoria delladeiezione e lo spazio non lo consente.

Seconda considerazione, in realtà unadomanda. La comunicazione di massa, cioèil dire perché tutti concordino, è necessaria-mente, inevitabilmente, chiacchiera?

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BUONE NUOVE

Non è facile raccontare il presente, per cui Zygmunt Bau-man ha coniato l’aggettivo di liquido, quello di una socie-tà nella quale “le situazioni in cui agiscono gli uomini simodificano prima che i loro modi di agire riescano a con-solidarsi in abitudini e procedure” (1); è proprio la man-canza di solidità del suolo su cui muoviamo i nostri pas-si a costituire un ostacolo alla possibilità di metterne afuoco il nucleo profondo, ammesso che esista, e i confini,che paiono in continuo spostamento. Ci provano alcunifilosofi e sociologi (il già citato Bauman, ma anche Byung-Chul Han, che citerò, e prima di tutti Herbert Marcuse,che aveva già immaginato le derive della società neoli-berista in testi come Eros e civiltà, pubblicato nel 1955), iquali ribadiscono la necessità di mantenere una distanzacritica dal presente per non restarne fagocitati, per con-servare la capacità analitica, ma la letteratura troppo spes-so abdica, forse troppo dentro il presente, troppo vittimadella sua fascinazione pervasiva, per riuscire a inciderloo anche solo per riuscire ad afferrarne qualche implica-zione profonda.

Un tentativo interessante è questo di Alicia Gimenéz-Barlett, che con il suo ultimo romanzo, Uomini nudi, la-sciata la strada agevole e dal successo quasi certo del po-liziesco, genere di cui è una penna nota e apprezzata, ciconduce in una narrazione scomoda, a tratti persino ur-ticante, costringendoci ad abitare i panni tutt’altro che ama-

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di Sabrina Campolongo

EROSAI TEMPI DELLA CRISI Recensione di Uomini nudi, Alicia Giménez-Bartlett

__________________________________________________________________________1) Zygmunt Bauman, Vita liquida, Laterza

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bili di quattro personaggi che, sempre in prima personae con un linguaggio povero e piatto come la realtà cheracconta, si alternano per oltre quattrocento pagine.

Se, devo ammettere, questa scelta tecnica mi ha a trattiinnervosita, nella lettura – questo continuo saltare, anchepiù volte all’interno della stessa scena, da una ‘testa’ al-l’altra mi risulta stancante – l’idea mi è apparsa alla finecoerente, se non necessaria. Il monologo, in cui ogni pro-tagonista sembra voler spiegare se stesso, o giustificarsi,da un lato riecheggia diversi fenomeni contemporanei –dal ‘confessionale’ presente in qualsiasi reality alle bache-che facebook – dall’altro riporta a una funzione arcaicadel narrare, che è quella di sospensione del tempo, neltentativo di tenere lontana la morte. “Il discorso,” scriveFoucault, “si sa, ha il potere di trattenere la freccia giàscoccata, in una contrazione del tempo che è il suo spa-zio specifico” (2).

E la freccia, si comprende subito, è già partita per ipersonaggi di Giménez-Bartlett, sebbene, con il suo talen-to di giallista, solo alla fine l’autrice ci svelerà chi è desti-nato a restarne colpito.

La trama si dipana in un gioco di coppie, destinato asubire diverse rotazioni e spostamenti negli equilibri. Cop-pie sodali e opposte, uomo-uomo e donna-donna, prole-tariato-alta borghesia, ignoranza-cultura, vecchi valori-nuovi valori (o nuova assenza di valori), vincitori-perdenti,

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Uomini nudiAlicia Giménez-BartlettSellerio2016(traduzione di Maria Nicola)

__________________________________________________________________________2) Michel Foucault, Scritti letterari, Feltrinelli

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BUONE NUOVE

oltre alla classica e centrale uomo-donna.Quattro gli interpreti: Irene, quaran-

tenne imprenditrice, “la cocca di papà,la donna manager, la moglie fedele”, chedopo essere stata tradita e lasciata dalmarito riallaccia i contatti con l’amica Ge-noveva, dieci anni più vecchia, totalmen-te rifatta, allegra, ricca, “un po’ putta-none”, vistosa, volgare ma dotata di sen-so pratico, soprattutto capace di essereuna presenza non invasiva, non giudi-cante. Quindi i due uomini, giovani: Ja-vier, insegnante di letteratura licenzia-to da una scuola di suore, diventato su-perfluo – come la letteratura stessa – pervia della crisi, il classico bravo ragaz-zo, un po’ (più di un po’) noioso, genti-le, forse più per incapacità a dire di noche per autentico slancio, blandamenteidealista, e infine Iván, un bell’animale,prestante, rozzo, gonfio di rabbia ma an-che furbo, uno che resta sempre a gal-la, ma che per un impulso difficile daanalizzare (bisogno di espiazione, soli-darietà maschile, un fondo di purezza?)decide di prendere Javier sotto la suaala, rendendosi conto che, dopo averperso il lavoro, il ragazzo non ha glistrumenti per non affogare.

Come un novello Lucignolo, Ivántrascina a suon di lusinghe e bizzarrisermoni sociologici il candido Javier ver-so la perdizione, dapprima offrendoglidi lavorare nel locale in cui si spogliasu un palco alcune sere alla settimana,e poi, una volta fattagli assaporare unavita più comoda ed epicurea, vincendo

le sue – non proprio inscalfibili in veri-tà – resistenze, per convincerlo a se-guirlo anche nella sua seconda – e piùremunerativa – professione di gigolò, omeglio di escort.

Parallelamente, Genoveva si incari-ca di risollevare il morale dell’algidaIrene, portandola fuori. Interessante èil percorso a tappe di queste uscite: al-l’inizio la trascina per negozi, grandi ca-tene di abbigliamento, in cui tutto èmeravigliosamente ordinario e abbon-dante, a basso costo e omologato, an-che la clientela, in cui ragazzine mino-renni e casalinghe cinquantenni prova-no e acquistano i medesimi capi. In se-guito, la invita a una mostra d’arte – al-tra merce, ma meno divertente e piùcostosa dei vestitini di Zara, pertantoanche più noiosa – prova a coinvolger-la in corsi di zumba e ritocchini estetici– anche il corpo è sottomesso al diktatdella prestazione – per poi offrirle l’ul-tima merce, gli uomini in vendita.

Aprendo a Irene il mondo inimma-ginato della prostituzione maschile, Ge-noveva prepara – il lettore l’ha compre-so benissimo – il terreno all’incrocio deidestini dei protagonisti.

Da questo punto in poi le istanze te-matiche del romanzo sono affidate inmodo particolare a Javier e, forse ancordi più, a Irene, che scopriamo afflitta dalfantasma di una figura paterna a dir po-co ingombrante, uno di quei padri checontrolla e gratifica, che protegge e co-manda, che si pone a esempio sempre

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Eros ai tempi della crisi

irraggiungibile, che tratta la figlia co-me una principessa, a condizione chelei non lo deluda. E Irene ha fatto ditutto per non deluderlo, non piangeva,nemmeno da bambina – perché il pa-dre era già abbastanza triste per la mor-te della moglie, la madre di Irene – nonsi lamentava della propria solitudine,per il timore di rendergli poco piace-vole il rientro a casa e di vederlo anco-

ra meno, più tardi ha studiato econo-mia per aiutarlo con l’azienda, ha spo-sato l’uomo che lui ha individuato perlei, un promettente avvocato. Non si èmai scostata dal sentiero tracciato dalpadre, nemmeno dopo la sua morte, nonfinché quel marito e alleato perfetto nonla lascia, adducendo come ragione il fat-to di non poter vivere senza “quel tra-sporto che rende la vita degna di esse-re vissuta”, e di aver trovato quella pas-sione con un’altra.

L’abbandono paterno, che tanto laspaventava da bambina, arriva per in-terposta persona, ed è definitivo. Irenenon riesce ad accettare la solitudine im-meritata, sfugge il confronto con se stes-sa, cerca aiuto frequentando uno psico-terapeuta ma lo abbandona accorgen-dosi che lui punta a quello snodo irri-solto, al rapporto con il padre che l’haresa insanabilmente orfana, e trova in-fine un aiuto molto più comodo nel rap-porto di mutuo soccorso con Genove-va. Nel momento in cui quest’ultima lemostra l’opportunità di disporre delcorpo di uomini sconosciuti, risveglia inlei un’energia che covava sotto le bracitiepide.

Mentre il rapporto di Genoveva coni ragazzi che ‘affitta’ è tutto sommatoun’imitazione di relazione – lei stessasi dimostra ben disposta a recitare e asubire la commedia del corteggiamen-to, pur avendo ben chiaro chi paga –Irene si scopre affascinata dal propriopotere su quei corpi. In una forma di

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Mohammad (2). Mathilde Ferghina. Biro e acquerello, 2016.___________________________________________________

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BUONE NUOVE

sadismo completamente cerebrale, go-de del guardarli nudi, anche se in real-tà quello che sembra piacerle è umi-liarli negando ogni contatto, rifiutandociò per cui ha pagato. Questo atteggia-mento da regina capricciosa nascondeperò un’insicurezza di fondo, non aven-do mai sperimentato in precedenza al-cun piacere nel sesso.

Lo ‘scoglio’ viene superato dal pre-vedibile incontro con Javier. Entrambiprofani nell’ambiente in cui si incon-trano, l’uno che si prostituisce senten-

dosi sempre un professore di letteratu-ra, l’altra che si immagina soltanto dipassaggio in quel mondo che percepi-sce come sordido e volgare, tra i due sistabilisce presto un’attrazione speciale.Facile a questo punto temere uno scon-tato happy ending alla Pretty woman, in-vece, sebbene la scoperta del piaceresembri far perdere un po’ di freddezzaa Irene, che si lascia strappare qualcheconcessione di tenerezza, la situazionenon fa che precipitare verso un’insana-bile e fatale frattura.

Tanto più Javier, attratto sia dallafragilità che gli sembra d’intravederesotto la scorza di Irene, che dalla pro-spettiva della svolta esistenziale che leisembra potergli offrire, cerca di far e-volvere la loro relazione – inutilmentemesso in guardia da Iván, che è solitoavere un rapporto con le donne ag-gressivo e manipolatorio quanto quel-lo di Irene con gli uomini – tanto piùquest’ultima si irrigidisce. Le ragioniconsapevoli di questa diffidenza sonolegate – ma solo superficialmente – alladifferenza di classe, al timore che Ja-vier voglia approfittarsi di lei e dei suoisoldi, a quello che voglia rinchiuderladi nuovo in una prigione – quella dellerelazioni stabili – che sembra determi-nata a fuggire, ma la solitudine di Ire-ne, il suo spaesamento, destinato a peg-giorare con la vendita dell’azienda pa-terna, non possono che indicare una di-versa e più profonda motivazione.

Irene, infatti, ha scoperto il godi-

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Mohammad (1). Mathilde Ferghina. Biro e acquerello, 2016.___________________________________________________

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Eros ai tempi della crisi

mento nel sesso, ma è rimasta fuoridalle porte dell’Eros, inteso come istin-to di vita e impulso distruttivo al tem-po stesso, come narrazione e dramma,che comporta necessariamente l’accet-tazione dell’impossibilità di possederel’Altro e, a monte, della sua stessa alte-rità. In questo senso, Irene è totalmen-te inserita nella società della prestazione,per dirla con Han, dove “ogni cosa èpossibile, in cui tutto è iniziativa e pro-getto” ma che “non ha alcun accessoall’amore come offesa e passione” (3).

Irene infatti ha bisogno di mante-nere il controllo; è lei che continua avoler pagare, che decide le modalità ela frequenza degli incontri, che spostasempre più in là la posta in gioco. Sem-bra non comprendere le ragioni di Ja-vier, i motivi per cui si sente offeso, fe-rito. Il donarsi le risulta inaccettabile,inconcepibile addirittura, tanto da nonriuscire nemmeno a fingere. Le sue rea-zioni sono spropositate, viscerali; quan-do Javier le si rivolge chiamandola ‘te-soro’, “fa un salto, come se l’avesse pun-ta uno scorpione”, l’abbandono la ter-rorizza.

“Mentre mi strofino dappertutto mirendo conto che l’asciugamano è suo eprovo un senso di ribrezzo. È assurdo:faccio sesso con un uomo ma mi fa schi-fo il suo asciugamano usato. Con Javierc’è sesso, non intimità”. Nel suo saggio

Sull’intimità. Lontano dal frastuono del-l’amore, François Jullien dichiara che“ciò che rende possibile l’intimità [...] èche non ci siano più mire né progettisull’Altro; in altri termini, che non sivoglia né ci si attenda nulla da lui; chesi liberi la relazione da qualsiasi finali-tà e interesse”.

La resa implicita in quest’afferma-zione, l’accettazione dello scacco che èl’amore, è propriamente ciò che atterri-sce Irene, la quale, dopo la resa totaleall’etica paterna (e al pensiero maschile,di conseguenza, “mi ha tirata su comeun ragazzo”) si ritrova spaventosamen-te sola e sperduta. Non più moglie, nonpiù cocca di papà e nemmeno donnamanager, avendo accettato di venderel’azienda strozzata dalla crisi, Irene haperso la sua identità. “Non mi rimanepiù niente di papà. Non mi rimane piùniente della mia vita. Non mi rimanepiù niente di me stessa”.

Lo stretto legame tra identità e la-voro nella società contemporanea è pa-lese anche in Javier, la cui concezionedi sé si frantuma e si disperde con laperdita dell’impiego, abbattendo dra-sticamente le sue resistenze etiche. Lasua innocenza di fondo – ai limiti del-l’ottusità – gli consente però di ricom-porre almeno in parte il proprio Io, peroffrirlo a Irene, che considera, da inna-morato, come atopica, in senso socrati-co, unica, inclassificabile.

“Ogni volta che sul volto dell’altroleggo la sua innocenza, la sua grande

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___________________________________________________3) Byung-Chul Han, Eros in agonia, Notte-tempo

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BUONE NUOVE

innocenza, vi colgo la sua atopia: eglinon sa il male che mi fa”, scrive RolandBarthes nei suoi celebri Frammenti diun discorso amoroso, e Javier ne è il per-fetto interprete. Negli atti imprevedibi-li e feroci di Irene non coglie altro chequell’inclassificabilità che lo affascina edietro la quale crede di intravedere lapropria medesima ferita, la propria com-plessità. “Non sono quello che sembro,ma lo sono. Esisterà pure un modo perfarglielo capire. Anche perché lei si tro-va nella mia stessa posizione. Non èuna frequentatrice di uomini a paga-mento, ma paga per stare con un uomo.

Non è una Messalina, ma la eccita ve-dere uomini nudi, forse non osa anda-re oltre”.

Le illusioni di Javier, incautamentequanto involontariamente alimentate daIrene, condurranno al tragico epilogodi un romanzo che non offre possibiliaperture, che si chiude sull’incontro didue violenze, l’una strisciante, sperso-nalizzante, di un presente in cui tutto èmercificato, compreso l’Eros, l’altra de-flagrante, cieca, antica.

“Occhio ai tipi tranquilli e benedu-cati! Occhio a quelli che leggono i libri!”conclude Iván, ripulendo sangue dal

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Old school. Mathilde Ferghina. Biro e acquerello, 2015.___________________________________________________________________________________________________________

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Eros ai tempi della crisi

pavimento, sangue che sembrava esse-re il suo elemento, che pure non ha ver-sato, per quanto abiti da sempre sul fra-gile confine della violenza – oppure pro-prio per questo, perché la violenza è ilsuo elemento, ne conosce i meccanismie le conseguenze, ha imparato a con-trollarla. Javier, al contrario, fino a quelmomento conosceva il limite solo inastratto, per averlo letto sui libri, nelDelitto e castigo che ha regalato a Iván.

Le sue parole chiudono il romanzo,la sua lingua rozza, sporca, esaltata. Ep-pure Iván non è un personaggio sem-plice, al contrario. Molte sono le suesfaccettature irregolari, è l’esemplarerappresentativo di una specie in evolu-zione. Sfavorito dalla sorte, il padremorto di overdose e la madre dentro efuori dal carcere, ha costruito da solo ilproprio codice etico, che rispetta quasireligiosamente. Non ha la minima sog-gezione verso la cultura o il potere, nes-suna remora nello sfruttare ogni op-portunità, un istinto di autoconserva-zione granitico, incorruttibile per qual-siasi emozione, qualsiasi sentimento (chepure prova: sia l’amicizia per Javier cheil dolore per la morte della madre ap-paiono sinceri), è una macchina da guer-ra, è un nuovo vincente.

Se siete in cerca di una luce in fon-do al tunnel, lasciate perdere questoromanzo.

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IN LIBRERIA narrativa

Tra pochi giorni giustizieranno unnero. Di nome fa Smokey Nelson.Vent’anni fa ha ucciso ad Atlanta unafamiglia intera, madre, padre e figli.Sydney, musicista in viaggio versoNew Orleans, dopo che l’uragano Ka-trina l’ha costretto a fuggire, lo co-nosce bene: ai tempi l’hanno becca-to al posto dell’altro, tranquilli, luinon c’entrava, è stato solo uno scam-bio di persona, un equivoco per viadella pelle. Anche Pearl sa di chi sitratta. Con lui ha fumato persino unasigaretta nel parcheggio del moteldove poco prima era avvenuta la stra-ge. Un così bel ragazzo, ma lei chene sapeva? Non ha capito che era unassassino, certo che no. Ora è in va-canza con la figlia e sente la notizia.

E Ray? Anche lui ha molto a chefare con chi salirà al patibolo. Gli haportato via la figlia e i suoi nipotini.Ecco perché lui non si sottrarrà, nos-signore, da quanto aspetta questomomento? La fine di Nelson avver-rà sotto i suoi occhi di credente. Ro-manzo scritto a più voci – la conclu-siva è quella del condannato – dovei personaggi compiono un percorsoche ha per climax, nel confronto conla morte, una metamorfosi: le ma-schere cadono e arriva l’essenza. Com-pare il bene e il male di ognuno. Laprospettiva cambia. Tra pochi giorniuccideranno un uomo.(R. Brioschi)

GLI ULTIMI GIORNIDI SMOKEY NELSONCatherine Mavrikakis, Kellereditore, 288 pagg., 16,50 euro

Mozambico, 1985. L’indipendenza daicolonizzatori portoghesi è cosa re-cente, una manciata d’anni. Accantoall’euforia per la creazione di comi-zi popolari e di servizi per tutti i cit-tadini c’è la disperazione per i con-tinui massacri di innocenti da partedi gruppi armati per lo più di Paesivicini. L’obiettivo di tali azioni de-stabilizzanti è creare panico e al tem-po stesso ribellione nei confronti delgoverno mozambicano colpevole diappoggiare l’Anc, il movimento chelotta contro l’apartheid. Il romanzoè la storia di uno di questi raid. Sisvolge in poche ore: dalle 19 di seraalle 8 del giorno seguente. Il com-mando, formato da sudafricani e datre black indigeni, dovrà fare i contiquesta volta con un ostacolo impre-visto: sarà infatti l’umile ma corag-gioso gesto di una donna, Mena, adare un fermo alla brama di denaro,all’impeto di razzismo e vendetta de-gli assalitori. Ma non c’è solo Mena,altre due figure femminili, Muntaz e

Leia, sono cariche di valori positivi.L’originalità è nella struttura narrati-va che si sviluppa su tre filoni checorrono paralleli per poi convergerenel finale. La scrittura arriva subitoall’osso e narra l’Uomo e la storiache quest’ultimo si porta dietro. Sco-va gli scheletri negli armadi. Da leg-gere. (R. Brioschi)

NEIGHBOURS.STORIA DI UN DELITTOLília Momplé, Fila37,128 pagg., 14,00 euro

Difficile sostenere, leggendo la Er-naux, che una vita non possa diven-tare romanzo. Basta isolare i pochimomenti di ‘valore’ e rifletterci so-pra, direbbe la scrittrice, ed ecco avoi un racconto. Una fotografia, unafrase registrata al volo, un semplicefatto nascondono così tanti temi dascriverci sopra pagine su pagine. La

Ernaux è così: né memoire né narra-tiva, bensì un’ibridazione di entram-bi i generi in cui all’operazione discavo tipica del ricordo, aggiungel’uso di tecniche da romanzo con lequali intesse tra loro piccoli fatti eminuziose riflessioni a spirale. Percostruire questo brevissimo testo, laErnaux recupera un lontano pome-riggio d’estate in cui, a dieci anni, èvenuta a sapere di avere avuto unasorella, morta di difterite a sei anni,prima che lei nascesse. Partendo daqui, l’autrice comincia a scavare e acucire tra loro diversi momenti si-gnificativi, colti lungo l’asse del tem-po della propria vita, nel tentativo didare un senso alla propria nascita,frutto del caso e della necessità, inun percorso a ritroso di toccate e fu-ghe che ricorda una famosa poesiadi Thompson: “Io fuggii giù nellenotti e i giorni: io fuggii giù lungol’arco del tempo; io fuggii giù per levie labirintiche della mia memoria...”(Milton Rogas)

L’ALTRA FIGLIAAnnie Ernaux, L’Orma editore,88 pagg, 8,50 euro

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IN LIBRERIA saggistica

Il TTIP è il Trattato di libero scam-bio che l’Unione europea dovrebbefirmare con gli Stati Uniti, in mododa garantire l’abolizione dei dazi do-ganali e l’uniformazione delle nor-me in numerosissimi ambiti: dal la-voro al settore agroalimentare, dal-l’industria ai servizi pubblici. Inoltre,è prevista l’instaurazione del mecca-nismo ISDS, che prevede la possibi-lità, da parte delle multinazionali, difar causa agli Stati, nell’eventualitàin cui questi ultimi si facciano pro-motori di politiche in grado di intral-ciare i loro interessi. I negoziati sonoancora in corso, ma la Commissioneeuropea ha espresso la volontà di giun-

gere alla firma del Trattato entro l’au-tunno di quest’anno, motivo per cuiquesto saggio rappresenta una pre-ziosa fonte di informazioni, in un pa-norama caratterizzato dalla più tota-le assenza di dibattito, soprattutto inItalia. Un silenzio tanto più funzio-nale ai poteri forti in quanto, con lafirma del TTIP, si chiuderebbero idue cicli storici aperti dalla Rivolu-zione francese e quella di Ottobre,giungendo all’ingabbiamento termi-nale della democrazia, auspicato daiteorici del neoliberismo. (I. Adami)

TTIP. L’ACCORDO DI LIBEROSCAMBIO TRANSATLANTICO.QUANDO LO CONOSCI LO EVITIPaolo Ferrero, Elena Mazzoni,Monica Di Sisto, Derive Approdi,180 pagg., 13,00 euro

Con la barra dritta sulla teoria dellacaduta tendenziale del saggio di pro-fitto di Marx, Domenico Moro ana-lizza la realtà economica italiana de-gli ultimi vent’anni e il processo diglobalizzazione, mettendo a confron-to dati, cifre, grafici e alla prova leteorie, allargando lo sguardo all’Eu-ropa e agli andamenti mondiali. Allabase della crisi è quella sovraccumu-lazione di capitale che anche gli ana-listi mainstream ormai riconoscono,pur non riuscendo a spiegarsi la ri-duzione di investimenti nel compar-to manifatturiero. Eppure non è com-plicato: il capitale va dove può trarreprofitto. Quindi da venticinque anninella finanza e non nella produzio-ne. Perché dall’attività produttiva nonriesca più a estrarre utili adeguati èuna domanda che scomoda i concet-ti di capitale fisso e variabile, plusva-lore e pluslavoro e, appunto, la teo-ria della caduta tendenziale del sag-gio di profitto. Che è tendenziale, sot-tolinea Moro, e ciò significa che ilcapitale è in grado di mettere in attodiversi fattori antagonistici – che l’au-tore analizza nel dettaglio – che labloccano, in una dinamica non linea-re e contrastante. Dunque non aspet-tiamoci l’implosione del capitalismo.Ben poche cose implodono; la mag-gior parte bisogna farle esplodere, a-gendo sulle loro contraddizioni. (G. Cracco)

GLOBALIZZAZIONE EDECADENZA INDUSTRIALEDomenico Moro, Imprimatur,250 pagg., 13,00 euro

Si usa dire, in Francia, “ai tempi diMadame de Staël”, e se questo ren-de l’idea della celebrità di questapensatrice, in tempi in cui alle donneera consentito di essere brillanti soloall’interno del proprio salotto, pur-troppo non dice molto su quanto siaeffettivamente letta, a duecentocin-

quant’anni dalla sua nascita. Eppu-re, Mme de Staël è, come pochi al-tri, il suo tempo. Il suo pensiero èquello di un’epoca, nelle sue operetroviamo la storia delle idee dal 1780al 1817. In queste brevi Lettere suRousseau, seguite da Riflessioni sulsuicidio, nella bella traduzione mo-derna di Andrea Inzerillo, si deli-neano già le grandi linee della suavisione. Di Rousseau, nel 1788, am-mira il talento, ironizza sulla teoriadel ‘buon selvaggio’, celebra l’elo-quenza, la limpidezza delle idee, latensione verso l’eguaglianza, tema alei caro almeno quanto quello dellalibertà e dell’affrancamento della don-na dai limiti impostole dalla società.Le riflessioni sul suicidio colpisco-no per la loro modernità, pur nonprescindendo da un’etica religiosa,per la dolente comprensione nellacondanna. “Il dolore è uno degli ele-menti essenziali della facoltà di es-sere felici, e non possiamo concepi-re l’uno senza l’altra.”(S. Campolongo)

LETTERE SUGLI SCRITTIE IL CARATTERE DIJEAN-JACQUES ROUSSEAU. RIFLESSIONI SUL SUICIDIOMadame de Staël, Bibliosofica,168 pagg., 12,00 euro

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LE INSOLITE NOTE

10 dicembre 1948 l’Assemblea generale delle Nazio-ni Unite proclamava la Dichiarazione Universale deiDiritti dell’Uomo. Per la prima volta nella storia del-

l’umanità, era stato prodotto un documento che riguardavatutte le persone del mondo, senza distinzioni. Per la primavolta veniva scritto che esistono diritti di cui ogni essereumano deve poter godere per la sola ragione di essere almondo.

IlIl titolo dell’album riprende la formulazione dell’articolo

1 della Dichiarazione: “Tutti gli esseri umani nascono liberied eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e dicoscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito difratellanza.” Il Preambolo della Dichiarazione Universale èimportante perché, prima dei singoli articoli, enuncia un prin-cipio assolutamente innovativo: il valore della dignità uma-na è posto al di sopra della sovranità degli Stati.

Gli estensori della Dichiarazione intendono i diritti uma-ni come ‘verità pratiche’: il diritto alla vita è il bisogno vitaledi vivere, il diritto al lavoro è il bisogno vitale di lavorare (o-pinabile, ma va così). Dicono: scriviamo un elenco di veritàoperative, chi se ne frega del fondamento. Ma l’articolo 1 e-

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DI AUGUSTO Q. BRUNI

JOHN SURMANFREE AND EQUAL

(ECM, 2003)

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splicita chiaramente quale sia il fondamento dei diritti uma-ni: è l’essere umano in quanto tale.

In tal modo si leva di torno un pericolo di scivolone, chesi ripresenta ogni tanto, cioè la pretesa che esista una sortadi ‘diritto naturale’ un ‘ur-recht’ preesistente a tutti gli altri.L’espressione ‘diritto naturale’ è una contraddizione in ter-mini se ci si pensa: ciò che esiste in natura ha un suo mododi manifestarsi, che solo noi pretendiamo di incasellare in‘leggi’ fisse di comportamento (si pensi alla cristallografia:provate a trovare in natura dei cristalli minerali perfetti co-me le forme di geometria solida di quella scienza). Insommase c’è legge non è naturale e se è naturale non ha legge, masolo comportamento osservabile, meccanismo di funziona-mento relativamente predittibile.

In ogni caso, per tornare a noi, termina una volta per tut-te il vecchio mondo in cui i diritti venivano creati oppure gra-ziosamente elargiti (come le Costituzioni liberali ‘octroyées’dal sovrano di turno). Il legislatore, nel nostro caso il legisla-tore internazionale, non ‘crea’ né ‘concede’ i diritti umani,ma li ‘riconosce’. I diritti umani preesistono alla legge scrit-ta. I diritti umani siamo noi.

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LE INSOLITE NOTE

Tutto bellissimo, e assolutamente necessario, almeno sul pia-no della linea dei princìpi. Lo sappiamo tutti che fine fannole dichiarazioni di principio, ma non si può farne a meno,per paradossale che sembri: emano dei princìpi e poi – siacon le mie leggi che con lo stato dei rapporti di forza che creo– li disattendo. Ok, ma almeno ci sono dei princìpi generali acui appellarsi per far dichiarare incostituzionali le leggi cheviolano quegli stessi princìpi generali.

Non furono sciocchi i nostri padri costituenti quando scris-sero che la neonata Repubblica si impegnava a rimuovere(nella legislazione pratica) gli ostacoli che si frapponesseroall’attuazione dei princìpi fondamentali. Non è un ulterioredichiarazione di principio: è un obbligo, preso atto che gli o-stacoli c’erano (e continuano a esserci), e sinistra profezia sulla“Costituzione tradita” di cui già urlava disperato il poveroCalamandrei pochi anni dopo la sua emanazione.

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Cimitero diKhan Younis.

Mathilde Ferghina.Biro e acquerello,

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JOHN SURMAN

E, inoltre, una considerazione s’impone: possiamo ritener-ci liberi per natura e per successiva conferma giuridica, manon uguali. Viva la biodiversità, anzi, altrimenti saremmo tut-ti cloni come quelli di Star Wars. Piuttosto siamo uguali nel-la comune ricerca e desiderio della nostra felicità, così comenell’essere tutti soggetti degni del ‘diritto d’avere diritti’, sen-za alcuna discriminazione.

“Liberi ma non uguali” è anche il leitmotiv di questo bellis-simo album del fiatista della Cornovaglia John Surman, trat-to da una suite intitolata That’s Right che fa da contenitoreideale per il successivo titolo-corollario Free and Equal. JohnSurman condivide innanzitutto qualcosa in termini di imma-ginazione folk/jazz e di mescolanza tra classica e jazz con unaltro gigante della musica europea come Jan Garbarek (a ec-cezione delle vendite di album). Ma a differenza di questi hauna preferenza verso un approccio strutturale alla musica cheil minimalista Garbarek di solito evita: una solida strutturadi base su cui improvvisare.

Una manifestazione di questa differenza è il veloce evol-versi del talento di Surman verso una scrittura dalle cadenzeclassiche per insiemi orchestrali, che spesso riflette una suaprimigenia devozione alla musica corale. In questo senso mipiace osservare che la London Brass, la sezione fiati dell’al-bum, non è composta da musicisti jazz stagionati. L’ensem-ble London Brass è in primo luogo un ensemble di musicada camera classica, anche se alcuni dei membri del gruppomostrano chiaramente una certa comprensione del linguag-gio jazz e dei princìpi dell’improvvisazione jazzistica. Comerisultato, il suo leader può procedere spedito verso la costru-zione di un suono collettivo e coeso. Per questo stesso moti-vo l’ensemble di ottoni spesso ha la funzione di un coro, e ibei vocalizzi jazzistici di Surman ne traggono sicuramentebeneficio. Le sezioni dell’ensemble sono tutte rigorosamentescritte, laddove Surman e il suo socio Jack DeJohnette improv-visano in piena libertà.

Non si tratta però di una di quelle strampalate situazioni‘il jazz incontra la classica’ dove i musicisti classici hanno bi-sogno delle note scritte da leggere, altrimenti non funziona-no. Surman viene come detto da una consolidata esperienza

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LE INSOLITE NOTE

di scrittura per ottoni con il Brass Project e Peter Warren, ein questo caso l’integrazione tra improvvisazione e musicascritta funziona ancora meglio: basta fare attenzione alle si-gnificative improvvisazioni del trombonista Richard Edwards,del trombettista John Barclay e del solista di corno RichardBissill per smontare definitivamente il luogo comune che imusicisti classici abbiano sempre bisogno dello spartito. Inquesto senso la libertà dello spirito di un musicista è qui as-sicurata, ma non certo l’uguaglianza. La tela su cui è dipintol’intero album è anzi un inno alla diversità musicale, armo-niosamente disposta.

Surman dipinge larghe pennellate a olio con il suo saxsoprano tra le onde di Preamble, surfando e librandosi a suopiacimento tra di esse. Il pianismo quasi debussyniano di De-Johnette, sentito solo di tanto in tanto su disco, e meno anco-ra dal vivo, vista la sua storica eccellenza alla batteria, si di-mostra capace di disegnare un merletto assieme al loop diclarinetto basso e al suono della tromba nel successivo Ground-work. Qui, come altrove, Surman trova spazio per improvvi-sazioni apparentemente impossibili grazie a un bilanciamentoinvisibile dell’ensemble che ne mette in evidenza la recipro-cità. È in questo stesso spirito, forse, che DeJohnette prendele sue bacchette solo dopo dieci minuti buoni dall’inizio deldisco, lavorando in Sea Change (il brano forse più significati-vo dell’album) con il clangore dei suoi piatti come fosse unachiglia che piomba sui flutti, e gli ottoni che mimano il solle-vamento delle onde dell’oceano nel coro di background. Il so-lo del tubista Owen Slade che apre Back and Forth, fornisce unsenso primario di polifonia. Puntuale e vivificante, segnalaun crescendo primario che si evolve in un’ulteriore polifoniadanzata su cui Surman si diverte a gettare sprazzi di luce…un delizioso affresco di undici minuti. Fire ripercorre le viemultiformi del piccolo ensemble in cui il ruolo principale, li-rico ed energetico, è giocato dalle trombe. In Debased Line sipuò cogliere una certa nostalgia e irrequietezza di spirito cheincarna la passione di Surman come musicista. In the Shadowc’è l’evocazione del maestro Paul McCandless degli Oregon,sicuramente un punto di riferimento mondiale per il sopra-no: il suo timbro inconfondibile aleggia sopra un valzer mo-bile e incalzante e causa le scintille di una reazione corale. Il

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JOHN SURMAN

virtuosismo di Surman, fino a a quel punto tenuto a freno, hamodo di dispiegarsi compiutamente nel titolo successivo Freeand Equal, man mano che il nostro perde il suo lato più sel-vaggio e fa da propellente per il drumming di DeJohnette.Questi, a sua volta, ha finalmente modo di far breccia in moltedighe strutturali dell’intero album col suo drumming effica-cissimo, anche se mai invadente nell’Epilogue finale, che ha ilsapore dell’irrompere e svuotarsi di una impetuosa correntefluviale nel mare aperto.

Applausi a scena aperta.

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ZONA FRANCA di Andrea Cocci

Elvis contro la mummia? Ebbene sì:se so’ ‘nventàti pure questo. Ma quan-do l’idea parte dal cervello, viene svi-luppata su carta da un cranio fluore-scente come quello di Joe Lansdale,per poi essere a sua volta ritradottain linguaggio pellicolaro da quel ge-nietto incompreso di Don Coscarelli(Phantasm è un gioiello), che per farrivivere The King ha scelto quell’i-

strionico faccia di gomma di BruceCampbell (... occorre ricordare che èstato l’indimenticabile protagonistade La Casa e L’armata delle tene-bre?), siamo di fronte non solo a qual-cosa di plausibile, ma anche di tene-ramente delizioso e divertente. Per-ché BOT è una favola agrodolce suldesiderio di tornare a essere ciò chesi era ma che non si è più, nonchésulla vecchiaia vista dall’ottica di unanziano (sano di mente) internato inun ospizio per sbarellati mentali. Condue soldi in croce, Coscarelli ha par-torito un lungometraggio da stan-ding ovation che, sebbene sia a trattinaif, dona pura soddisfazione. Ed èuna di quelle chicche che almeno due,tre, quattro, cinque volte te le rivedicon piacere. Da gustare RIGORO-SAMENTE in lingua originale; è unodi quegli innumerevoli casi in cui,per colpa del doppiaggio nonché del-la traduzione dei dialoghi, si perdeun buon 62,33% (ca.) del potenziale.

BUBBA HO-TEPregia di Don Coscarelli, 2002

Anche se sarà difficile, va visto colsorriso in bocca. Nel senso: abbia-mo passato trent’anni a parlarne ma-le, a odiarlo (io ero in primissima li-nea)... ma era davvero esso il pro-blema? Il presente documentario, con-fezionato a regola d’arte, m’ha fattocapire una cosa fondamentale che ame, come alla stragrande maggioran-za degli italiani, era sfuggita... eppu-re era lì, sotto il nostro naso. Mettia-mo che avete un incisivo cariato. Faun male cane. Dovete assolutamentecurarlo. Cosa fate? Ovvio: andate inpizzeria. E poi? Uscite doloranti eincazzati perché il pizzaiolo crimina-le non ha saputo fare il suo lavoro...Il problema non era il pizzaiolo; sie-te voi che avete scordato che un piz-zaiolo fa pizze, non si occupa di den-ti. Berlusca è un comico, un piazzi-sta, un cantante, un animatore, un o-ratore del nulla, un attore... mica unpolitico! Se abbiamo cercato di farci‘curare’ da un ‘pizzaiolo’, che ci la-

mentiamo se da un incisivo cariatoci siam ritrovati con tutta la boccamarcia e putrescente? Ci serva damonito, perché attualmente viviamoin un Paese pieno di astuti pizzaioliche si spacciano per dentisti Illumi-nati. La cazzata l’abbiamo già fatta.SF lo mostra più che bene. Perchéostinarci? ... altro che Pasta del Ca-pitano...

SILVIO FOREVERregia di Roberto Faenzae Filippo Macelloni, 2011

Tremendo! Signori: c’era già tuttoqua. Già si sapeva come andava a fi-nire il nostro teatrino matrixiano chechiamiamo ‘società’. Sperando an-dasse diversamente, alcuni hanno cer-cato di avvisarci direttamente, senzaricorrere a metaforine sociali. Comein questo caso. E noi? Oggi eccociqui: perennemente di fretta, veloci,reattivi, sempre in pista ad arrabat-tarci per arrivare a fine mese spom-pati... con lo scopo di sopravvivere si-

no al mese successivo... per poi arri-vare all’altro. Al di là della truffa delsignoraggio bancario, oggettivamen-te, il denaro non è una ricchezza con-creta. Il TEMPO sì. Se uno deve ri-darti 1.000 € dovrà sbattersi per ra-cimolarli, però alla fine riuscirà a re-stituirteli. Ma se perdi anche solo 10minuti della tua vita, dove li recupe-ri? Coloro che intercambiabilmente,a turno, amministrano il potere da se-coli conoscono benissimo questo prin-cipio sicché, per controllarci e sog-giogarci, hanno fatto in modo di im-postare una società basata sulla sot-trazione del tempo. Tempo per pen-sare. Per Capire chi sei, cosa stai fa-cendo, cosa ti piace, cosa vuoi dav-vero. E sopratutto il Perché lo vuoi.Ci hanno tolto il tempo per porci do-mande. E noi balliamo. Mamma, perché balliamo?Zitta e muoviti, non hai tempo per‘ste cazzate. Fa i compiti e muta.

NON SI UCCIDONO COSÌANCHE I CAVALLI?regia di Sydney Pollack, 1969

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RESTITUZIONE PROSPETTICASurvival economydi Giovanna Cracco

POLEMOSInformazione, potere e TTIPdi Iacopo Adami

Dal Jobs Act alla Loi Travail.La Francia e noiCollettivo Clash City Workers

Too slow for too longdi Giovanna Baer

L'INTERVENTOTecnologie, capitalismoe vie di fugadi Giorgio Griziotti

INCHIESTAThank you for smokingdi Giovanna Cracco

INTERVISTASOS Fornace-San Precario.La 'città vetrina' di Aresedi Domenico Corrado

INTERVISTAMaria Rosa Cutrufelli.Sebben che siam donne,paura non abbiamodi Giuseppe Ciarallo

A PROPOSITO DI...Il mondo del lavoro nella poeticadi William McIlvanneydi Carmine Mezzacappa

FILO-LOGICOChiacchieradi Felice Bonalumi

BUONE NUOVEEros ai tempi della crisiRecensione di Uomini nudi,Alicia Giménez-Bartlettdi Sabrina Campolongo

LE INSOLITE NOTEJohn SurmanFree and Equaldi Augusto Q. Bruni

8,00 euro

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