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SECONDO SECONDO SECONDO SECONDO INCONTRO INCONTRO INCONTRO INCONTRO 2016 2016 2016 2016 “AGGIORNAMENTI DI MEDICINA DEGLI “AGGIORNAMENTI DI MEDICINA DEGLI “AGGIORNAMENTI DI MEDICINA DEGLI “AGGIORNAMENTI DI MEDICINA DEGLI ANIMALI ESOTICI” ANIMALI ESOTICI” ANIMALI ESOTICI” ANIMALI ESOTICI” Best Western Cremona Palace Hotel Best Western Cremona Palace Hotel Best Western Cremona Palace Hotel Best Western Cremona Palace Hotel 22/23 Ottobre 2016 22/23 Ottobre 2016 22/23 Ottobre 2016 22/23 Ottobre 2016 Responsabile Scientifico: Marco Bedin Med Vet, PhD, GPCert(ExAP), Padova Società Italiana Veterinari per Animali Esotici Via Trecchi 20 Cremona (Italy) Tel 0372 403500 [email protected] - www.sivae.it

“AGGIORNAMENTI DI MEDICINA DEGLI ANIMALI ESOTICI ... - SIVAE€¦ · cuniculus). Journal of Exotic Pet Medicine 17 (4):295-299, (2008) 4. James W. Carpenter : Exotic Animal Formulary

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ANIMALI ESOTICI”ANIMALI ESOTICI”ANIMALI ESOTICI”ANIMALI ESOTICI”

Best Western Cremona Palace HotelBest Western Cremona Palace HotelBest Western Cremona Palace HotelBest Western Cremona Palace Hotel

22/23 Ottobre 201622/23 Ottobre 201622/23 Ottobre 201622/23 Ottobre 2016

Responsabile Scientifico: Marco Bedin Med Vet, PhD, GPCert(ExAP), Padova

Società Italiana Veterinari per Animali Esotici

Via Trecchi 20

Cremona (Italy)

Tel 0372 403500

[email protected] - www.sivae.it

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SECONDO INCONTRO SIVAE 2016

“AGGIORNAMENTI DI MEDICINA DEGLI ANIMALI ESOTICI”

PROGRAMMA SCIENTIFICO

Sabato 22 Ottobre Ora Titolo Relazione Relatore 9.30 Linfoma del cieco in una coniglia Serena Sola 9,50 Prevalenza di stipiti di Pseudomonas aeruginosa multi-

resistente in tamponi cloacali da ofidi: indagine preliminare Andrea Sala

10,10 Utilizzo di fitoterapici in corso di terapia negli animali esotici Edgardo Pagani

10,30 Pausa 11,00 Le principali patologie cardiache nei piccoli mammiferi Christine

Castellitto 12.00 L' utilizzo dell'emogasanalisi nel coniglio Manuela

Mantineo 12,20 La flora batterica fisiologica nella testuggine terrestre

(Testudo hermanni) durante una stagione Petra Schnitzer

12,40 Micobatteriosi disseminata da Mycobacterium avium avium etambutolo-resistente in un riccio africano

Nicola Di Girolamo

13.00 Comunicazioni ai soci 13,30 Pausa Pranzo 14,30 Approccio clinico e anatomo patologico alle malattie dei pesci

ornamentali Gianpiero Nieddu – Rubina Sirri

15,30 Analisi dei tassi di crescita pediatrici nel petauro dello zucchero (Petaurus breviceps) in cattività

Valeria Vastano

15,50 Aumento del rapporto cortisolo/creatinina urinari in un criceto dorato (Mesocricetus auratus) con sintomatologia clinica compatibile con sindrome di sindrome di Cushing

Daniele Petrini

16.10 Pausa 16,40 Patologie urinarie negli animali esotici Marco Bedin 17,40 Induzione all'accoppiamento in una coppia di lucertola

ocellata (Timon lepidus) con l'utilizzo di follitropina alfa Alessandro Vetere

18,00 Caso di ipertrofia gastrica diffusa in un coniglio domestico Danilo Grande

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Domenica 23 Ottobre Ora Titolo Relazione Relatore 9,30 Infiammazione purulenta causata da Fusobacterium varium in

un riccio africano (Atelerix albiventris) Annalaura Scuto

9,50 Amputazione di un arto in tre specie di rettili: geco ciliato (Correlophus ciliatus), testuggine comune (Testudo hermanni) e tartaruga dalle orecchie gialle (Trachemys scripta scripta)

Emanuele Lubian

10,10 Monitoraggio t.a.c. dell'attività ovarica nei cheloni Andrea Pietra 10.30 Pausa 11,00 Le patologie dell’apparato digerente del coniglio: gestione

medica o chirurgica? Paolo Selleri

12,00 Un caso di tricomoniasi associato ad una grave polmonite eterofilica e granuloma eterofilico in cavita' orale in un esemplare di gufo reale (Bubo bubo)

Vincenzo Mulè

12,20 - 12,30

Discussione e chiusura dei lavori Consegna attestati di partecipazione

È PROIBITO FILMARE O FOTOGRAFARE LE PRESENTAZIONI DEI RELATORI

L’iscrizinone comprende: • Atti delle relazioni in formato cartaceo • Attestato di frequenza • 1 light lunch Sede: Best Western Cremona Palace Hotel - Via Castelleone 62 - fr. Costa Sant’Abramo - 26022 - Castelverde (CR) GLI ORGANIZZATORI DELL’EVENTO SI IMPEGNANO A RISPETTARE

IL PROGRAMMA PUBBLICATO CHE RIMANE SUSCETTIBILE DI VARIAZIONI PER CAUSE DI FORZA MAGGIORE

Sivae ringrazia le Aziende Sponsor per il sostengo e il contributo prestati per la realizzazione dell’evento

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Serena Sola Med Vet, Vicenza

LINFOMA DEL CIECO IN UNA CONIGLIA

Il linfoma è una patologia neoplastica sistemica che coinvolge il sistema ematopoietico. Prende

origine dai tessuti linfatici come i linfonodi e la milza, anche se può svilupparsi in tutti i tessuti

(intestino, stomaco, reni, cute, occhio e sistema nervoso).

A seconda del distretto anatomico interessato se ne distinguono di diverse forme (multicentrica,

alimentare, cutanea, mediastinica, extranodale).

I linfomi nel coniglio sono delle neoplasie frequenti, in particolare quelli con interessamento

dei linfonodi mediastinici, con coinvolgimento renale, splenico, epatico e i linfomi cutanei(1,2,3).

Purtroppo la prognosi non è mai delle migliori e gli studi chemioterapici sono ancora scarsi.

Una coniglia femmina di 10 anni di età, sterilizzata, viene portata in visita per un episodio di

disoressia, riduzione del volume ed alterazione della forma dei pellets fecali. Durante la visita

clinica, alla palpazione dell’addome si riscontra una massa voluminosa, mentre tutto il resto

appare nella norma. Si decide di effettuare un’ecografia per cercare di individuare l’origine

della massa.

Ecograficamente il quadro appare piuttosto complesso: non è possibile individuare la sede della

massa che appare disomogenea, a pattern misto. Inoltre non è presente un’unica formazione,

ma due distinte. Si procede quindi con un esame citologico eco guidato senza ottenere un

campione diagnostico. A causa dei limiti economici non è possibile effettuare ulteriori

approfondimenti (esami di laboratorio e tomografia computerizzata); si opta quindi per una

laparotomia esplorativa.

L’animale viene premedicato con Ketamina (Imalgene 1000, 100mg\ml; Merial),

Medetomidina (Domitor, 1mg\ml; Elanco Animal Health) e Butorfanolo (Dolorex, 10 mg\ml;

MSD Animal Health) per via sottocutanea; dopo circa 15 minuti si procede con l’applicazione

di un catetere endovenoso da 25 G nella vena tarsale di destra, quindi viene indotto con

Midazolam (Ipnovel, 5 mg\ml; Roche) per via endovenosa e mantenuto con Isofluorano

(Isofluorano, 100&; Merial) al 2 % con 2,0 L/minuto di ossigeno dopo intubazione

endotracheale. L’animale viene preparato per la chirurgia: viene eseguita una tricotomia

dell’addome e una disinfezione con betadine e alcool. Si esegue quindi una laparotomia

mediana da un cm caudalmente all’ombelico per 4 cm totali. L’apertura dell’addome mette in

evidenza l’interessamento dell’intestino; la massa coinvolge l’appendice del cieco e si

evidenzia un ispessimento intramurale della parte più caudale del cieco stesso. I linfonodi

circostanti risultano ispessiti, così come le placche del Peyer e il sacculus.

Si procede all’asportazione chirurgica dell’appendice e della porzione di intestino coinvolta nel

processo; le pareti dell’intestino vengono suturate con punti staccati con filo riassorbibile

monofilamento (Monocryl 1.5 ep, Ethicon), la breccia celiotomica viene suturata con sutura

continua a sopraggitto con filo riassorbibile intrecciato 3\0 (Vicryl). La cute viene suturata con

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sutura continua a sopraggitto con filo non riassorbibile 4\0 (Nylon). Il campione viene fissato

in formalina al 10% e sottoposto ad esame istologico.

Nel post chirurgico l’animale viene trattato con Buprenorfina (Temgesic, 0,3 mg\ml; RB

pharmaceuticalimited) e meloxicam (Loxicom, 5 mg\ml; Norbrook) a dosaggio rispettivamente

di 0,03 mg\kg e 0,5 mg\kg, fluidoterapia endovenosa, metoclopramide (Vomend, mg\ml;

Dechra), ranitidina (Zantadine, 30 mg\ml; Ceva) e terapia antibiotica di copertura con

enrofloxacina (Baytril, 25 mg\ml; Bayer).

La coniglia viene ospedalizzata e mantenuta sotto fluidoterapia endovenosa.

A due giorni dalla chirurgia la coniglia inizia ad alimentarsi autonomamente, anche se accusa

una dolorabilità alla palpazione dell’addome che appare gonfio e timpanico; la radiografia

mostra un timpanismo ciecale e stasi gastrica.

Nonostante la terapia post chirurgica dopo 10 giorni dalla chirurgia la coniglia è deceduta.

Il referto dell’istologia è indicatico di Linfoma. Le colorazioni immunoistochimiche effettuate

(CD3 e CD79) hanno evidenziato una diffusa positività per i linfociti B e occasionalmente per

i linfociti T, soprattutto alla periferia della lesione. La lesione risulta compatibile con linfoma

B del cieco.

Non è stato possibile effettuare l’autopsia della coniglia; rimane da capire se la stasi ciecale

fosse da imputare alla chirurgia o alla patologia stessa.

Le patologie tumorali stanno diventando sempre più frequenti nei conigli; questo è legato

probabilmente al fatto che c’è una prospettiva di vita maggiore, e maggiori sono le possibilità

diagnostiche e terapeutiche rispetto al passato.

L’adenocarcinoma uterino è la neoplasia più frequente nella coniglia, ci sono poi i Timomi.

Il linfoma è stato descritto sia in soggetti giovani che adulti e può coinvolgere diversi distretti

(linfonodi, polmoni, cute, fegato, reni, colonna vertebrale e il tratto gastroenterico)(1,2,3,5,6). Ad

oggi non sembrano esserci dei fattori predisponenti anche se la maggior incidenza di linfomi

cutanei in Europa rispetto all’America fa pensare che ci possa essere una causa ambientale(2).

Il coinvolgimento primario dell’apparato gastroenterico non è molto frequente; generalmente

le forme intestinali sono maggiormente associate a forme multicentriche(7,8).

Come già evidenziato in altri casi, il cieco può essere sede primaria di linfomi; il cieco del

coniglio è come lo stomaco del cane e del gatto, in quanto è stressato da stimoli fisici e chimici

e quindi può essere più suscettibile all’insorgenza di forme neoplastiche. La stadiazione della

neoplasia in modo corretto e l’istologia associata all’immunoistochimica sono fondamentali

per effettuare una corretta prognosi ed impostare una corretta terapia; purtroppo veri protocolli

chemioterapici ad hoc non sono ancora stati stabiliti ed è difficile ottenere una buona

immunoistochimica.

BIBLIOGRAFIA:

1. J.J. Heatley, A. N. Smith: Spontaneous neoplas of lagomorphs. Veterinry Clinic of

Exotic Animal 7 (3):561-77, 2004

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2. J. M. Ritter, W. von Bomhard, A. G. Wise, R. K. Maes, M. Kiupel: Cutaneous

Lymphoma in European pet rabbits (Orictolagus cuniculus). Veterinary Pathology 49

(5): 846-51, 2012

3. A.A.Pilny, D. Reavill: Chylotorax and Thymic Lymphoma in a pet rabbit (oryctolagus

cuniculus). Journal of Exotic Pet Medicine 17 (4):295-299, (2008)

4. James W. Carpenter : Exotic Animal Formulary (ed 4). St Louis, MO,

Saunders/Elsevier, 2013

5. A.A.Pilny, D. Reavill: Chylotorax and Thymic Lymphoma in a pet rabbit (oryctolagus

cuniculus). Journal of Exotic Pet Medicine 17 (4):295-299, (2008)

6. S. D. Reed, S. Shaw; D. E. Evans: Spinal lymphoma and pulmonary filariosis in a pet

domestic rabbit (Orictolagus cuniculus domesticus). Journal of Veterinary Diagnostic

Investigation 21 (2): 253-256,2009

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Prevalenza di stipiti di Pseudomonas aeruginosa multi-resistente in tamponi

cloacali da ofidi: indagine preliminare

Andrea Sala1, Francesco Rogato2, Davide Santospirito1, Francesco Di Ianni1, Igor Pelizzone3, Tiziano Iemmi4, Sara Flisi1, Emanuele Moggia1, Simone Taddei1, Sandro Cavirani1, Enrico

Parmigiani1 e Clotilde Silvia Cabassi1

1Università degli Studi di Parma, Dipartimento di Scienze Medico-Veterinarie, Parma

2DVM, libero professionista, Palma de Mallorca (Spagna)

3DVM, PhD, Clinica Belvedere, Reggio Emilia

4DVM, libero professionista, Parma

Introduzione:

Pseudomonas aeruginosa (PA) è un batterio aerobio Gram negativo, di forma bastoncellare e dotato di un singolo flagello polare che lo rende mobile. In virtù della sua capacità di utilizzare una moltitudine di composti organici per sostenere la sua crescita, la possibilità di aderire alle superfici attraverso pili e organizzarsi in biofilm, PA è in grado di colonizzare numerosi substrati. È considerato uno dei batteri più diffusi ed è stato isolato a partire sia da ambienti naturali (quali suolo, vegetali e acque dolci e marine), che da ambienti antropici (come ad esempio piscine e vie di scarico acque urbane). La sua presenza è stata inoltre riportata a livello intestinale di numerose specie animali. PA, possiede numerosi fattori di virulenza (esotossine, proteasi e pompe ad efflusso), che ne delineano le caratteristiche di un patogeno opportunista in grado di colpire diverse specie animali incluso l’uomo. PA viene spesso isolato in corrispondenza di infezioni locali, di gravità variabile a carico di diversi distretti anatomici; tuttavia può essere responsabile anche di forme gravi con coinvolgimento sistemico. Nel contesto odierno di salute pubblica, caratterizzato da un aumento esponenziale di casi di resistenza batterica nei confronti di numerose classi di antibiotici, PA emerge come una delle specie batteriche in grado di sviluppare molto rapidamente antibiotico resistenza. PA multi-resistente è noto per essere un agente complicante in ambito nosocomiale, potenzialmente letale soprattutto per pazienti affetti da fibrosi cistica e ustionati gravi. Inoltre, grazie alla sua capacità di aderire alle superfici e resistere nell’ambiente, risulta essere estremamente pericoloso anche per lungodegenti cateterizzati o intubati. Negli ofidi PA è un normale componente della flora buccale e intestinale, isolato con una maggiore incidenza in animali allevati in cattività piuttosto che in animali provenienti dall’ambiente selvatico. L’elevata umidità, la ventilazione a volte scarsa, le alte temperature, la permanenza di acqua e l’eventuale presenza di decorazioni ambientali che rendono indaginosa la pulizia delineano il terrario

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come un habitat ottimale per lo sviluppo e la permanenza di PA. Grazie all’elevata carica ambientale ed in presenza di fattori predisponenti (quali ad esempio l’errata gestione dei parametri ambientali o fenomeni in grado di produrre soluzioni di continuo di cute o mucose), PA è una delle specie batteriche più frequentemente coinvolta nel determinismo di infezioni sia locali che sistemiche degli ofidi, talvolta in grado di minacciare la sopravvivenza stessa dell’esemplare colpito. La trattabilità di queste infezioni, già condizionata dalla minor gamma di scelta di principi attivi utilizzabili in queste specie rispetto alle specie domestiche convenzionali, è spesso complicata dallo sviluppo di antibiotico-resistenza. Va inoltre ricordato che il rischio coinvolge anche il proprietario o l’operatore che lavora con questi animali poiché il morso di questi animali rappresenta un potenziale veicolo di trasmissione di PA dall’animale all’uomo.

Gli obiettivi che si prefigge questo studio sono diversi:

1) Ottenere un quadro generale riguardo la prevalenza di Pseudomonas aeruginosa negli allevamenti di ofidi dislocati principalmente in Italia Settentrionale.

2) Valutare eventuali correlazioni tra la presenza di questo batterio e i diversi parametri gestionali che potrebbero influire sulla sua prevalenza

3) Fornire dati riguardanti le resistenze più diffuse tra gli stipiti di PA di origine ofidica, sia nei confronti di principi antibiotici utilizzabili nell’ambito clinico per questi animali, sia nei confronti di un panel di antibiotici più vasto, contenente principi attivi ad uso umano, al fine di valutarne il profilo all’interno di un contesto di sanità pubblica.

Materiali & Metodi:

Sono stati presi in esame 362 soggetti, appartenenti alle famiglie Pythonidae (n=303 di cui 318 Python regius, 5 Morelia spilota, 1 Python curtus 1 Python molurus e 1 Aspidites ramsayi), Boidae (n=45 di cui 36 Boa constrictor, 4 Corallus hortulanus, 4 Acrantophis dumerili, e 1 Epicrates

cenchria) e Colubridae (n=1 di cui 25 Pantherophis spp., 12 Lampropeltis spp., 5 Pituophis spp., 4 Heterodon spp., 1 Othriophis teniurus e 1 Zamenis situla). Tutti gli animali presi in esame erano tutti mantenuti in cattività all’interno di allevamenti dislocati principalmente nel Nord Italia. Ai fini statistici, gli allevamenti di provenienza sono stati suddivisi, sulla base del numero di animali allevati,

in allevamenti di piccole (N < 10), medie (10≤N≤50) e grandi (N>50) dimensioni. Preliminarmente, gli animali sono stati sottoposti ad esame obiettivo generale e sono stati inseriti nello studio solo quelli clinicamente sani. Contestualmente è stato richiesto all’allevatore di compilare una scheda anamnestica per la raccolta dei dati gestionali relativi ad ogni singolo esemplare. Il prelievo di materiale fecale è stato eseguito mediante tampone cloacale e conservato in terreno di trasporto Amies, refrigerati alla temperatura di 4°C fino alla consegna al laboratorio. I campioni sono stati fatti pervenire tempestivamente e comunque entro 24 ore al laboratorio di batteriologia dell’Unità di Malattie Infettive degli Animali, presso il Dipartimento di Scienze Medico-Veterinarie dell’Università degli Studi di Parma, per l’esame colturale. La ricerca di PA è stata effettuata seminando i tamponi cloacali su terreno solido agar sangue, contenente il 5% di eritrociti bovini, ed incubati in aerobiosi a 37 °C per 24 ore. Si è quindi proceduto all’isolamento ed amplificazione delle colonie cresciute su terreno selettivo agar McConkey e, successivamente, all’identificazione dello stipite attraverso il riconoscimento delle caratteristiche morfologiche della crescita batterica, la

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presenza di pigmenti, la presenza di emolisi e risposte a test biochimici (ad esempio test della citocromo ossidasi). Per l’identificazione a livello di specie è stata effettuata mediante test biochimico-metabolici (API 20NE, Biomeriéux, Francia). Ciascuno degli stipiti isolati è stato sottoposto a prove di sensibilità ad antibiotici mediante la metodica di Kirby-Bauer. Di seguito viene riportato l’elenco degli antibiotici testati, che si compone di un gruppo di principi attivi, scelti tra quelli più comunemente utilizzabili nella pratica clinica per il trattamento di ofidi, e di un secondo gruppo di antibiotici necessari per la determinazione del profilo di resistenza di PA secondo quanto riportato da di Magiorakos et al (2012).(Tab.1).

Antibiotici utilizzabili in

ambito clinico

Sulfamidici (sulfametossazolo-trimethoprim); Fluorochinoloni (enrofloxacina, marbofloxacina); Cefalosporine (cefazolina, cefovecina); Tetracicline (doxiciclina); Fenicolati (tiamfenicolo)

Antibiotici indicati per la

determinazione del profilo

di resistenza secondo

Magiorakos et al

Aminoglicosidi (gentamicina, tobramicina, amikacina); Cefalosporine (ceftazidime); Polimixine (colistina, polimixina B); Fluorochinoloni (ciprofloxacina); Carbapenemi (imipenem); Penicilline (piperacillina-tazobactam); Monobattami (aztreonam); Ac. Fosfonico (fosfomicina)

Gli stipiti sulla base del profilo di antibiotico-resistenza sono poi stati classificati come segue:

• Stipiti Multi drug resistant (MDR): stipiti resistenti ad almeno 1 principio attivo in almeno 3 classi di antibiotici;

• Stipiti Extensively drug resistant (XDR): stipiti resistenti ad almeno 1 principio attivo in tutte tranne 2 classi di antibiotici;

• Stipiti Pan-drug resistant (PDR): stipiti resistenti a tutti i principi attivi testati.

I dati ottenuti sono poi stati confrontati in maniera incrociata con i dati provenienti dalle schede anamnestiche mediante test del “chi-quadro”.

Risultati:

Pseudomonas aeruginosa è stata isolato complessivamente da 214 esemplari dei 362 esaminati (59,12%). Questo dato relativo alla prevalenza cambia in funzione della dimensione degli allevamenti, andando da una prevalenza media tra gli allevamenti piccoli del 67,61%, ad una prevalenza media del 55,08% tra gli allevamenti di grandi dimensioni; tuttavia queste differenze non si sono rivelate statisticamente significative (P=0,3823).

Tra gli stipiti di PA non sono stati registrati isolamenti di ceppi XDR o PDR, mentre la prevalenza di stipiti MDR sul totale degli isolati di PA si attesta al 38,79% (n=83). Le resistenze più frequentemente registrate sono state quelle nei confronti di cefovecin, cefazolina, polimixine (polimixina B e colistina) e sulfametossazolo. Le resistenze osservate nei confronti degli altri singoli principi attivi sono riportati in tabella 2.

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Classe di antibiotici Principio attivo Stipiti PA resistenti

Aminoglicosidi Amikacina 2% Gentamicina 37% Tobramicina 8%

Carbapenemi Imipenem 0%

Cefalosporine Ceftazidime 2% Cefovecina 100% Cefazolina 100%

Fluorochinoloni Ciprofloxacina 1% Enrofloxacina 13% Marbofloxacina 1%

Penicilline ed Inibitori delle β-lattamasi

Piperacillina + tazobactam 11%

Tetracicline Doxiciclina 8% Monobattami Aztreonam 1% Composti dell’acido fosfonico Fosfomicina 9%

Polimixine Polimixina B 93% Colistina 95%

Sulfamidici Sulfametossazolo 89% Fenicolati Tiamfenicolo 64%

Confrontando quindi i dati ottenuti con le schede anamnestiche sono emerse numerose correlazioni tra la presenza di PA e PA-MDR e fattori sia gestionali che fisiologici. Dal punto di vista tassonomico si è potuto osservare prevalenze di PA differenti tra le diverse famiglie di appartenenza, con valori del 48% (n=13) per la famiglia Colubridae, 58% (n=176) per la famiglia Pytonidae e 78% per la famiglia Boidae. Le differenze osservate sono risultate essere statisticamente significative (P=0,04). Per quanto riguarda invece la prevalenza di PA-MDR le differenze osservate tra le diverse famiglie non sono risultate statisticamente significative (P=9,25). Anche l’età degli animali non sembra influire in maniera significativa (P=0,06) sulla prevalenza di PA, rispettivamente del 72% (n=34) nel gruppo dei baby e 57% nel gruppo degli adulti. Per ciò che riguarda invece la prevalenza di stipiti MDR, si è visto come la percentuale osservata negli adulti (44%; n=79) sia significativamente più elevata rispetto a quella osservata nel gruppo di animali giovani (12%; n=4). Altri parametri considerati quali l’origine dell’animale (ad esempio captive breeded o imported) o lo status riproduttivo degli esemplari non sembrano influenzare in maniera significativa i dati relativi la prevalenza sia di PA che PA-MDR (P>0,15).

Va sottolineato che la stragrande maggioranza di esemplari campionati appartengono alla specie Python regius. Tutti i dati relativi ai paramenti gestionali (quali temperatura, tasso di umidità, presenza di carta come substrato, tipologia di substrato ecc.) sono risultati essere piuttosto uniforma e di conseguenza non è stato possibile confrontare le differenze tra gruppi abbastanza numerosi da poter rappresentare un campione statisticamente utilizzabile.

Un altro parametro di rilevante importanza per la sopravvivenza e l’incremento della carica microbica di PA nel terrario è sicuramente quello riguardante i cicli di pulizia. Si è osservata una differenza statisticamente significativa (P=0,01) tra la prevalenza di PA in animali detenuti in terrari puliti con ciclo settimanale (54%; n=130), ciclo quindicinale (68%; n=73) e ciclo mensile (83%; n=10).

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Analogamente a quanto appena descritto, anche il ciclo di sostituzione della fonte d’acqua influisce significativamente (P=0,02) sull’incidenza dell’isolamento di PA: 48% (n=49) per i cicli di sostituzione settimanale contro il 67% (n=41) dei cicli di sostituzione quindicinale. Nessuna differenza statisticamente significativa è stata invece osservata per quanto riguarda la prevalenza di PA MDR tra i medesimi gruppi sia per quanto riguarda il ciclo di pulizia del terrario, che i cicli di sostituzione della fonte di acqua (rispettivamente P=4,61 e P=0,39).

Per ciò che riguarda la tipologia di alimento somministrato, nessuna differenza statisticamente significativa è stata registrata tra le prevalenze di PA e PA-MDR di animali nutriti con prede acquistate da un rivenditore e animali alimentati con prede allevate in casa del proprietario (rispettivamente P=0,25 e P=0,06). Diversa informazione è invece emersa per ciò che riguarda le modalità di conservazione e somministrazione della preda: da animali alimentati con prede fresche (vive o sacrificate appena prima della somministrazione) P è stato isolato nel 56% (n=170) dei soggetti, mentre la prevalenza in animali alimentati con prede conservate in congelatore sale al 78%. Questa differenza è risultata essere statisticamente significativa (P=0,01). Inoltre anche per ciò che riguarda la prevalenza di stipiti MDR, le differenze osservate tra il gruppo “prede fresche” (34%; n=57) e il gruppo “prede congelate” (56%; n=22) sono risultate essere statisticamente significative (P<0,01).

Discussione e Conclusioni:

Pseudomonas aeruginosa è un patogeno opportunista in grado di determinare infezioni di gravità variabile sia a carattere locale che sistemico, nell’uomo come in diverse specie animali. In letteratura esistono precedenti segnalazioni di isolamenti di PA da flora microbica orale e intestinale/cloacale di individui sani, appartenenti a diverse specie di ofidi. Tuttavia in presenza di fattori predisponenti, PA è in grado di evocare anche in queste specie infezioni talvolta letali. Confrontando i dati ottenuti con studi precedenti riguardanti la prevalenza di PA a livello cloacale, si può vedere come il nostro dato sia decisamente maggiore rispetto a quelle registrate in precedenza (Colinon et al 2010; Yeon-Sook et al 2011), sia in animali wild che captive breeded. Dall’analisi statistica è emerso come vi sia una maggiore predisposizione da parte di alcune famiglie ad essere più facilmente colonizzate a livello intestinale da questo batterio. Inoltre la mancanza di differenze significative di prevalenza di PA tra individui giovani ed adulti, congiuntamente all’alta prevalenza globale, ci permette di delineare un profilo di batterio commensale, facente parte della normale flora microbica intestinale di questi animali. L’aumento invece della prevalenza di stipiti MDR in funzione dell’età, potrebbe essere connesso ad un maggior numero di interventi terapeutici antibiotici in un animale adulto rispetto a uno giovane, o alla maggiore probabilità di diffusione dei geni di resistenza di stipiti MDR nel corso degli anni. La pulizia rimane un aspetto fondamentale per diminuire la carica microbica ambientale del terrario, che per sue peculiarità ambientali, costituisce un substrato ottimale per lo sviluppo e la persistenza di PA. Un ciclo di pulizia e sostituzione della fonte d’acqua a cadenza settimanale può aiutare a diminuire la carica ambientale di PA con ricadute anche sulla prevalenza a livello gastroenterico. Per ciò che riguarda l’alimentazione la maggiore prevalenza di PA connessa al cibo conservato in congelatore, può essere giustificata dalla parziale psicrofilia di PA.

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Alcuni stipiti batterici antibiotico resistenti possono acquisire caratteristiche strutturali a livello di parete e membrana batterica tali da conferire maggiore resistenza strutturale alle basse temperature Il congelamento, determinando un danno a livello cellulare, opera una selezione a favore delle specie batteriche più resistenti. Il successivo scongelamento favorirebbe quindi la crescita degli stipiti sopravvissuti portando ad una composizione microbiologica sicuramente differente da quella della preda viva o quantomeno fresca. Il quadro relativo all’antibiotico resistenza si presenta abbastanza complesso; infatti a fianco di principi attivi che registrano una scarsa o nulla resistenza nella popolazione, troviamo una completa e preoccupante resistenza nei confronti di alcuni antibiotici. Questo aspetto sottolinea l’importanza della sorveglianza sanitaria che deve essere operata a carico di questo microrganismo, che oltre a rappresentare una possibile sfida per il clinico, costituisce una potenziale minaccia per la salute pubblica. Pseudomonas aeruginosa si profila come un “male inevitabile” nella gestione e nella clinica degli ofidi. Tuttavia una più attenta gestione di diversi aspetti potrebbe essere d’aiuto per ridurne le ricadute sanitarie a carico sia dell’animale che delle persone che per passione o professione vengono a contatto con questi animali.

Bibliografia essenziale:

• Divers, Stephen J., and Douglas R. Mader, eds. Reptile medicine and surgery. Elsevier Health Sciences, 2005.

• Magiorakos, A‐‐‐‐P., et al. "Multidrug‐resistant, extensively drug‐resistant and pandrug‐resistant bacteria: an international expert proposal for interim standard definitions for acquired resistance." Clinical microbiology and infection 18.3 (2012): 268-281.

• Colinon, Céline, et al. "Genetic analyses of Pseudomonas aeruginosa isolated from healthy captive

snakes: evidence of high inter‐and intrasite dissemination and occurrence of antibiotic resistance genes." Environmental microbiology 12.3 (2010): 716-729.

• Jho, Yeon Sook, and Jong Hwa Lee. "Aerobic bacteria from oral cavities and cloaca of snakes in a

petting zoo." 대한수의학회지 51.3 (2011): 243-247.

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Utilizzo di fitoterapici in corso di terapia negli animali esotici

Edgardo Pagani, DMV Amb. Vet. Dr Edgardo Pagani (Trieste)

Introduzione

Molto spesso ci si trova di fronte a problematiche in cui bisogna decidere se somministrare farmaci

che possono alterare e/o peggiorare la situazione al momento della visita o se somministrare

prodotti alternativi quali fitoterapici e altri prodotti di origine naturale (aloe, curcuma, etc). In

entrambi i casi si deve sempre valutare il benessere dell’animale e l’influenza che tali prodotti

possono avere su di lui. Ultimamente si è visto che insorgono sempre più fenomeni di resistenza (ad

es. antibiotico resistenza), dovuti all’eccessivo uso e abuso di farmaci. Si è ricorso, quindi, ad altri

prodotti equivalenti e ben tollerati dall’animale, e che non alterano in alcun modo la sua fisiologia.

In questo lavoro, infatti, si cerca di evidenziare le proprietà dei prodotti fitoterapici negli animali

esotici, spiegando il loro effetto attraverso l’illustrazione di alcuni casi clinici significativi.

Proprietà dei prodotti fitoterapici

I prodotti fitoterapici hanno varie funzioni, meglio dire proprietà, e possono essere usati sia insieme

che singolarmente. Un esempio è dato dall'aloe che da sola ha un effetto moderatore, regolatore

cellulare e potere cicatrizzante oltre che purificante; insieme al propoli (noto come ricostituente

naturale) l'aloe funge da antibiotico naturale e ripristina e ripara la cute in modo più rapido e senza

effetti collaterali. Un altro esempio è dato dalla melaleuca che viene utilizzata per ripristinare e

migliorare il microcircolo soparattutto a livello respiratorio; se in associazione con curcuma e

camomilla ha un'azione simil cortisonica, molto meno “nociva” del suo analogo farmaceutico.

In caso di stress, dovuto a varie cause quali trasporto, ipersessualità, e disturbi comportamentali,

quali nervosismo, irrequietezza, irritabilità e aggressività si può utilizzare un'associazione di estratti

ricavati da biancospino, escolzia, melissa e tiglio. Tale associazione è molto efficace per “frenare”

l'aggressività ed ipersessualità, a cui spesso si aggiunge irrequietezza, in soggetti agitati e nervosi:

frequente negli uccelli, ad esempio nei pappagalli.

Casi clinici

1. Criceto con lesione cutanea sul dorso e sul ventre: applicazione di aloe sottoforma di gel

mista a propoli per crica una settimana.

2. Pappagallo (calopsita) con sintomi respiratori: terapia per os con melalaeuca, 2-3 gocce al

giorno per almeno 3 giorni e succo di aloe

3. Pappagallo cenerino con segni di aggressività: grazie all'associazione di estratti ricavati da

biancospino, escolzia, melissa e tiglio si è potuto controllare l'animale

4. Criceto con segni e sintomi di malessere addominale: terapia con curcuma, melaleuca e

camomilla con aggiuntodi succo di limone e/o di ananas percirca una settimana

5. Cavia con dismicrobismo intestinale e diarrea: terapia con carbone vegetale e fermenti per

ripristinare la flora intestinale, in aggiunta succo di aloe e limone

6. Coniglio con blocco intestinale: utilizzo di succo di ananas e aloe per sbloccare e pulire (e

disintossicare) l'intestino, con un aggiunta di carbone vegetale e fermenti per ripristinare la

flora intestinale

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CASTELLITTO CHRISTINE Med Vet, Bologna

Le principali patologie cardiache nei piccoli mammiferi Le patologie cardiache nei piccoli mammiferi sono relativamente frequenti , ma vengono spesso sottovalutate in quanto difficilmente diagnosticate. E’ fondamentale quindi riconoscere i segni clinici correlati a patologie cardiovascolari ed eseguire idonei esami collaterali quali radiografie, ECG ed esame ecocardiografico per una corretta valutazione della funzionalita cardiaca.

Le principali cardiopatie nel Furetto Le disfunzioni cardiache nel furetto sono diagnosticate prevalentemente in animali adulti di oltre i 3 anni di età, e le loro caratteristiche sono simili a quelle che si presentano nei cani e nei gatti. Ogni volta che un furetto presenta difficoltà respiratorie è importante indagare l’apparato cardiocircolatorio. I segni clinici di patologia cardiaca sono aspecifici: tachipnea, dispnea, anoressia, letargia, perdita di peso, difficoltà nel movimento e trascinamento degli arti posteriori. La valutazione clinica prevede un’attenta auscultazione cardiaca, la valutazione del polso, delle mucose e del tempo di riempimento capillare. Si possono anche rilevare rumori polmonari riconducibili a edema, e distensione addominale dovuta ad epatomegalia o ascite. E’ indicata anche la misurazione della pressione arteriosa. La pressione sistolica è compresa tra 133-160 mm/Hg mentre quella diastolica tra 110-125 mm/Hg

L’elettrocardiogramma fornisce importanti informazioni riguardo all’attività elettrica

cardiaca permettendo di diagnosticare eventuali aritmie. La frequenza cardiaca normale nel furetto è compresa tra 180 e 250 bpm. Il paziente può essere posizionato in decubito laterale o immobilizzato tenendolo per la collottola con gli arti sollevati dal tavolo. E’ un esame che può richiedere anestesia. Il tracciato elettrocardiografico del furetto è caratterizzato da onde P ridotte e onde R molto alte. L’aritmia sinusale è comune nel furetto sano. Il furetto cardiopatico può presentare un ritmo sinusale o una tachicardia sinusale, e le aritmie più frequenti sono rappresentate da extrasistoli atriali, extrasistoli ventricolari e blocchi atrio-ventricolari di I° e II° grado, spesso asintomatici. L’esame radiografico nei furetti consente di valutare la silhouette cardiaca, la presenza di edema polmonare e la presenza di versamento toracico. Le proiezioni indicate sono la laterolaterale e la ventro-dorsale Il cuore nei furetti, caratterizzato da una forma leggermente globoidale, è localizzato tra il sesto e l’ottavo spazio intercostale. Il ventricolo destro entra in contatto con lo sterno e

l’apice è a circa 10 mm dal diaframma, anche se spesso è nascosto dal grasso

pericardico.

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La misura piu attendibile per valutare le dimensioni cardiache è data dal rapporto tra la

somma dell’asse maggiore e dell’asse minore del cuore (proiezione L/L destra) e la

lunghezza delle vertebre comprese tra T5 e T8 il tutto misurato in centimetri. Tale rapporto dovrebbe risultare 1,34 per le femmine e 1,35 per i maschi. (modified vertebral heart score, Stepien 1999).

L’esame ecocardiografico rappresenta il gold standard per la diagnosi di patologia

cardiaca, fornendo precise informazioni relative alle dimensioni delle camere cardiache,alla contrattilità cardiaca e allo studio degli apparati valvolari. E’ generalmente un esame ben tollerato che raramente richiede anestesia.

La cardiomiopatia dilatativa è la cardiopatia più diffusa nel furetto. L’eziologia è

sconosciuta e colpisce generalmente furetti di oltre tre anni di età. I sintomi sono: tosse, dispnea, letargia, anoressia e dimagrimento. All’auscultazione può essere percepito un soffio cardiaco. I soggetti scompensati si presentano con grave dispnea, tachicardia, ipotermia, debolezza, pallore delle mucose e versamento pleurico, edema polmonare e/o ascite. In caso di edema polmonare si possono percepire all’auscultazione dei crepitii, mentre in corso di versamento pleurico i rumori respiratori e cardiaci risultano attenuati Radiograficamente si può osservare un ingrandimento della silhouette cardiaca, la presenza di edema polmonare e in caso di versamento toracico, la presenza di liquido nello spazio pleurico. La radiografia dell’addome può evidenziare ascite e spesso una splenomegalia e un’epatomegalia L’ECG può evidenziare extrasistoli atriali e ventricolari, fibrillazione atriale, tachicardia ventricolare parossistica o sostenuta, blocchi atrioventricolari di diverso grado L’esame gold standard per una diagnosi definitiva è rappresentato dall’ ecocardiografia. I furetti affetti da cardiomiopatia dilatativa presentano dilatazione delle camere cardiache, diminuzione degli spessori ventricolari setto-parietali, ipo/acinesia ventricolare diffusa, aumento dei diametri e dei volumi ventricolari telediastolici e telesistolici. Gli indici di funzione sistolica diminuiscono mentre aumentano il precarico e l’afterload ventricolare. Nel caso in cui sia presente una dilatazione avanzata si evidenzia un'insufficienza mitralica e tricuspidale causata dall’ allargamento dell’anello valvolare con conseguente rigurgito del flusso. La cardiomiopatia ipertrofica è meno frequente rispetto alla cardiomiopatia dilatativa, spesso presenta sintomatologia subdola o anche assente.

All’auscultazione cardiaca si può rilevare un soffio cardiaco e spesso tachicardia (>280

bpm). Radiograficamente non è sempre possibile osservare cardiomegalia. La diagnosi è ecocardiografica e si basa sulla misurazione dello spessore delle pareti cardiache, dato che si assiste ad un ispessimento della parete del ventricolo sinistro e ad una dilatazione atriale sinistra. In caso di cardiomiopatia ipertrofica la pressione ventricolare sinistra tende ad aumentare portando ad una maggiore pressione dell'atrio sinistro.

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Solitamente il paziente rimane asintomatico fino a che la patologia non determina uno scompenso cardiaco, tromboembolismo o morte improvvisa.

L’eziologia è sconosciuta, nei furetti non e mai stata riportata ipertrofia secondaria a

ipertensione o ipertiroidismo come nel gatto. Le valvulopatie sono diffuse in furetti adulti ed anziani. La valvola aortica è la piu colpita, ma anche la valvola mitrale, la tricuspide e più raramente la polmonare possono presentare delle alterazioni. I segni clinici si manifestano a seconda della gravità dell'insufficienza valvolare e della valvola interessata. In corso di IA, la radiografia mostra in corso di scompenso cardiaco i segni clinici di un edema polmonare, mentre l'ecocardiografia mostra un ispessimento della valvola interessata e un ingrandimento dell’atrio sinistro. Con la metodica Doppler si può evidenziare e valutare il rigurgito valvolare. I furetti possono presentare endocardite e miocardite. Le miocarditi nei furetti sono rare, ma il cuore può comunque essere soggetto ad infiltrazioni di cellule infiammatorie che determinano una riduzione della funzionalità cardiaca, aritmie e fibrosi del miocardio. Le cause dell'infiammazione del miocardio possono essere: autoimmuni, infezioni batteriche e virali (ad esempio la malattia delle isole Aleutine), parassitarie (ad esempio Toxoplasma), oppure vasculite sistemica. Le miocarditi devono essere sempre sospettate quando si rileva un’aritmia ventricolare improvvisa e/o una disfunzione cardiaca acuta in corso di patologie sistemiche in atto. L'esame diagnostico gold standard è rappresentato dalla biopsia del miocardio, ma data la difficoltà di applicazione si può utilizzare un biomarker cardiaco. Le cardiopatie congenite più frequenti sono il PDA, DIV, DIA. Filariosi Cardiopolmonare I furetti sono sensibili alle infezioni dai Dirofilaria Immitis e, a causa delle esigue dimensioni del cuore, anche la presenza di pochi parassiti (1 o 2 adulti) può provocare gravi conseguenze. La filaria solitamente è presente nel cuore destro, arteria polmonare e vena cava. Date le dimensioni, i vermi creano un’ostruzione meccanica causando un’insufficienza cardiaca destra con ascite, versamento pleurico e una congestione splenica ed epatica. I furetti possono essere asintomatici oppure presentare segni clinici quali tosse, letargia, ipotermia, debolezza, tachipnea, dispnea, cianosi, bilirubinuria e morte improvvisa. La diagnosi viene effettuata mediante la combinazione del test antigenico (SNAP Heartworm Antigen Test), che può però fornire falsi negativi (poche filarie adulte o solo di sesso maschile), con l’ esame radiografico, ecocardiografico, che può risultare utile nel rilevare la presenza di filarie adulte nel cuore, ed eventuale angiografia. Radiograficamente si può notare cardiomegalia, in particolare ingrandimento atriale e ventricolare destro, versamento pleurico, ascite. La diagnosi precoce risulta fondamentale. Il trattamento della FCP nel furetto è possibile ma comporta sempre una prognosi riservata, inoltre non è stato approvato nessun protocollo terapeutico dalla AHS.

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Possono essere utilizzati farmaci quali la melarsomina, che può essere associata a prednisolone, e la moxidectina. Anche l’approccio chirurgico può eventualmente essere preso in considerazione. Il test va ripetuto dopo tre mesi dall’inizio del trattamento, e se è positivo va ripetuto ogni mese fino a che non risulta negativo. Se la terapia ha successo il furetto dovrebbe risultare negativo al quarto mese.

L’AHS raccomanda la profilassi per tutti i furetti che vivono in aree endemiche. L’unico

farmaco registrato in Italia è rappresentato dall’ imidacloprid (20 mg/kg) +moxidectina (2 mg/kg), che viene somministrato mediante un’applicazione topica mensile. Terapia Il protocollo terapeutico per il furetto affetto da scompenso cardiaco prevede l’utilizzo di diuretici e di ACE inibitori, questi ultimi da dosare cautamente a causa del loro effetto ipotensivo Nella fase di scompenso (EPA) è indicata l’ossigeno terapia, la nitroglicerina e l’utilizzo di furosemide alla dose di 2-4 mg/kg IM o IV q8-12 h, per poi passare a 1-2 mg/kg PO q 12h in terapia cronica. L’ enalapril è utilizzato inizialmente alla dose di 0.25-0.5 mg/kg q 24-48 h, e può essere portato a q12 h se ben tollerato. La funzionalità renale deve essere sempre monitorata.

L’utilizzo di digossina e riportato in furetti con cardiomiopatia dilatativa e con aritmie

sopraventricolari. Data l’assenza in letteratura di dati riguardanti la cinetica della digossina nel furetto, occorre un attento monitoraggio di eventuali effetti tossici come anoressia, diarrea e vomito. E’ indicata la valutazione della digossinemia. La dose iniziale di digossina è di 0.01 mg/kg q24h, che può essere portata gradualmente a q12h in caso di necessità.

E’ stato riportato anche l’utilizzo di pimobendan, farmaco inodilatatore, in furetti affetti da

cardiomiopatia dilatativa (0.5 mg/kg PO q12h). L’utilizzo di un beta-bloccante (atenololo 3-6 mg PO q24h) o di un calcioantagonista (diltiazem 3.75-7.5 mg PO q12h) è indicato in corso di tachiaritmie e per ridurre la frequenza cardiaca in soggetti affetti da cardiomiopatia ipertrofica. In certi casi i BAV sintomatici possono rispondere alla teofillina (1-4 mg/kg q12 h), in caso contrario è consigliato l’impianto di pace-maker.

In caso di versamento pleurico è indicate la toracentesi. L’analisi del versamento va sempre eseguita per la diagnosi differenziale.

Le principali cardiopatie nel coniglio

Il coniglio può presentare sia cardiopatie congenite che acquisite. Talvolta l’anamnesi riferisce uno stato di intolleranza all’esercizio fisico; possono risultare asintomatiche anche

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cardiopatie molto gravi. Le razze giganti sembrano essere più predisposte allo sviluppo di cardiomiopatie. Le disfunzioni cardiache nel coniglio sono diagnosticate prevalentemente in animali adulti di oltre i 4 anni di età. I segni clinici più comuni di patologia cardiaca sono rappresentati da tachipnea, dispnea, anoressia, perdita di peso, letargia, intolleranza all’esercizio fisico, cianosi, aritmie, episodi sincopali. La valutazione diagnostica completa deve comprendere un attento esame clinico, elettrocardiogramma, radiografia del torace ed ecocardiografia. Un coniglio in stato dispnoico è un’ emergenza che richiede interventi mirati prima di eseguire qualsiasi esame clinico o test diagnostico, dato che la minima manovra di contenimento può essere causa di arresto respiratorio. I soggetti affetti da dispnea grave vengono sistemati in una gabbia a ossigeno prima di visitarli. Dopo averne stabilizzato le condizioni, gli animali vengono sottoposti all’esame clinico in un ambiente il più possibile tranquillo. Nel corso della visita può essere utile collocare una fonte di ossigeno in prossimità del naso del coniglio La valutazione clinica prevede un’attenta auscultazione cardiaca, la valutazione del polso, delle mucose e del tempo di riempimento capillare. Nel corso dell’esame clinico, può essere percepito un soffio o un ritmo di galoppo. Come negli altri mammiferi, anche nel coniglio le cardiopatie provocano edema polmonare e dispnea, pertanto all’auscultazione si possono anche rilevare rumori polmonari riconducibili a edema. La frequenza respiratoria nel coniglio è di 30-60 atti respiratori/minuto, sebbene possa aumentare significativamente a causa dello stress. La frequenza cardiaca è compresa tra 200 e 300 bpm. La pressione sistolica è compresa tra 120 e 180 mm/Hg. L’elettrocardiogramma fornisce importanti informazioni riguardo all’attività elettrica cardiaca permettendo di diagnosticare eventuali aritmie. E’ un esame generalmente ben tollerato dal coniglio, raramente richiede anestesia. L’esame radiografico può risultare utile nella diagnosi di cardiopatia. Generalmente richiede anestesia. Sono stati pubblicati i valori normali di VHS nel coniglio dalla proiezione laterolaterale destra: 7.55 +/- 0.38 in conigli < 1.6 kg e 7.99 +/- 0.58 in conigli > 1.6 kg. Il rilievo di cardiomegalia all’esame radiografico può essere associata all’accumulo di grasso pericardico, all’ ipertrofia o dilatazione delle camere cardiache,al versamento pericardico e alla presenza di masse (neoplasia, ascesso, cisti). L’esame ecocardiografico risulta pertanto indispensabile per una corretta diagnosi,

rappresentando l’esame gold standard per la diagnosi di patologia cardiaca. Fornisce

precise indicazioni relative alle dimensioni delle camere cardiache,alla contrattilità cardiaca e allo studio dei flussi transvalvolari. Permette di diagnosticare cardiopatie congenite ed acquisite e la presenza di masse toraciche. E’ generalmente un esame ben tollerato che raramente richiede anestesia.

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Come descritte nel furetto, tra le cardiomiopatie acquisite troviamo la cardiomiopatia dilatativa e la cardiomiopatia ipertrofica. E’ stata riscontrata nel coniglio anche la cardiomiopatia restrittiva, caratterizzata da fibrosi miocardica che provoca un grave deficit diastolico, indicata da rilievi istopatologici. Cause di cardiomiopatia possono essere anche la carenza di vitamina E, l’infezione da Coronavirus e infezioni batteriche quali la salmonellosi e pasteurellosi. Stress e catecolamine sono comprovate cause di cardiomiopatia. Si suppone che l’ipossiemia e la vasocostrizione coronarica possano causare necrosi e morte cellulare. Il coniglio ha un circolo coronarico collaterale limitato, pertanto è predisposto a fenomeni ischemici indotti dalla vasocostrizione coronarica. Sono stati riportati casi anche di valvulopatie e di endocarditi. La miocardite può essere causata dalla malattia di Tyzzer, che esita in fibrosi miocardica negli animali che sopravvivono, e da Encephalitozoon cunicoli.

La calcificazione dei tessuti molli come le arterie può essere causata da un assorbimento eccessivo intestinale di calcio,come in casi di ipervitaminosi D. L’arteriosclerosi aortica può essere causa di ictus e anche di sintomi aspecifici quali astenia e perdita di peso. Le cardiopatie congenite più frequenti sono il DIV, DIA,PDA

Terapia

Nella fase di scompenso (EPA) è indicata l’ossigeno terapia, la nitroglicerina e l’utilizzo di furosemide alla dose di 1-4 mg/kg IM o IV o SC q 4-12 h, per poi passare a 1-2 mg/kg PO q 8-24 h in terapia cronica.

In terapia cronica è indicato anche l’utilizzo dell’ace-inibitore come l’ enalapril (0.5 mg/kg PO q 12-24). In presenza di deficit sistolico come in corso di cardiomiopatia dilatativa, può essere aggiunto il pimobendan (0.1–0.3 mg/kg PO q 12-24 h).

L’utilizzo della digossina (0.005 mg/kg PO q 24 h) può essere indicato in corso di tachiaritmie sopraventricolari. Dato l’elevato rischio di tossicità, il coniglio deve essere monitorato per l’eventuale comparsa di anoressia e/o sintomi gastroenterici e la digossinemia va valutata dopo 6-7 giorni dall’inizio del trattamento In certi casi i BAV sintomatici possono rispondere alla teofillina (10–20 mg/kg PO), in caso contrario è consigliato l’impianto di pace-maker L’ipertensione sistemica, che può presentarsi in corso di disfunzione renale, può essere trattata con un ace-inibitore.

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EMOGASANALISI NEL CONIGLIO

Manuela Mantineo

Med. Vet., Messina

INTRODUZIONE

L’emogasanalisi (EGA) ci permette di valutare, grazie ad un prelievo rispettivamente venoso o arte-

rioso, eventuali disturbi acido-base dell’organismo e l’efficienza degli scambi gassosi a livello pol-

monare. Entrambe le modalità di prelievo possono essere inoltre utilizzate per valutare gli elettroliti.

Risulta un metodo diagnostico utile soprattutto nei pazienti in emergenza, o in quelli critici, poichè

ha il vantaggio di essere una pratica veloce, poco stressante, con risultati rapidi e necessita di una

piccola quantità di sangue. Consente quindi una rapida stabilizzazione del paziente sulla base dei

risultati forniti dall’esame stesso prima di procedere con ulteriori accertamenti diagnostici. Alcuni

dei parametri vengono misurati direttamente dall’analizzatore, in particolare pH, PCO2, PO2 e SO2,

altri calcolati, quali HCO3-, BE, SBE. I range di normalità dei parametri analizzati possono variare

lievemente a seconda dello strumento utilizzato, pertanto risulta importante conoscerli in modo da

poter giudicare correttamente i valori che lo strumento fornirà esaminando il campione di sangue. Per

una corretta esecuzione dell’esame è importante che il campione venga analizzato rapidamente eli-

minando eventuali bolle d’aria per evitare una diminuzione della PCO2 (essendo l’ aria ambientale

priva di CO2 ), un aumento del pH e conseguentemente una diminuzione della TCO2 e dei HCO3-

(poiché calcolati). La glicemia e la lattemia sono valutabili fino ad un’ora dal prelievo mentre gli

elettroliti entro 6 ore. Se non è possibile effettuare subito l’ esame il campione deve essere congelato,

o messo in acqua e ghiaccio ed utilizzato entro 6 ore. Eseguito l’EGA , è necessario identificare il

disturbo che ne ha causato lo squilibrio acido-basico. A tal fine è necessario eseguire la lettura con il

seguente ordine cronologico: pH, CO2, HCO3-. Il pH è la misura logaritmica della concentrazione

degli ioni H+ di una soluzione ed è espressa dall’ equazione logaritmica: pH = 6,1 + log HCO3- /0,03

PCO2. Il pH è quindi direttamente proporzionale alla concentrazione dei bicarbonati ed inversamente

alla concentrazione della CO2. Con pH fuori range avremo ACIDEMIA o ALCALEMIA. Tanto

maggiore sarà la concentrazione di HCO3- maggiore sarà il pH (acidemia) e tanto maggiore sarà la

concentrazione di CO2 minore sarà il pH (alcalemia). L’ organismo, dunque, per mantenere il pH

costante dovrà agire modificando, a seconda della situazione, la concentrazione dei bicarbonati o

della CO2 per mantenere il rapporto costante. Pertanto se cala la CO2 dovranno diminuire i bicarbo-

nati, se aumenta la CO2 dovranno aumentare anche i bicarbonati e viceversa. Questo meccanismo è

consentito grazie alla presenza di sistemi tampone intra ed extracellulari. Il principale sistema tam-

pone intracellulare è costituito dalle proteine e dai fosfati organici ed inorganici, che agiscono legando

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EMOGASANALISI NEL CONIGLIO

Manuela Mantineo

Med. Vet., Messina

o liberando ioni H+. Il principale sistema tampone extracellulare è costituito dai bicarbonati e

dall’acido carbonico. Nei mammiferi e negli uccelli gli organi deputati principalmente al manteni-

mento dell’equilibrio acido basico sono i polmoni, responsabili della concentrazione di CO2, i reni

attraverso meccanismi di regolazione con l’eliminazione delle urine ed infine l’apparato gastrointe-

stinale con l’induzione della diarrea (vomito nelle altre specie). Mentre la compensazione respiratoria

è abbastanza veloce (12-24 ore nell’ uomo) quella metabolica è lenta (2-5 giorni). La CO2, in presenza

di acqua, forma H2CO3-(acido carbonico), grazie a una reazione catalizzata dall’anidrasi carbonica,

l’H2CO3- formatosi tende a dissociarsi in H+ e HCO3

- come indicato nella formula: CO2+H2O ⇔

H2CO3- ⇔ H++HCO3

-. I prodotti della formula devono rimanere in equilibrio sia verso destra che

verso sinistra. Esistono due tipi di disturbi acido base primari di origine metabolica (acidosi e alcalosi)

e due di origine respiratoria (alcalosi e acidosi). Se compaiono singolarmente e sono accompagnati

dalla normale risposta compensatoria dell’organismo sono detti SEMPLICI. Sono definiti MISTI

quando compaiono due o più disturbi primari associati nello stesso paziente. Si parla di ACIDOSI

METABOLICA quando nell’organismo si manifesta una diminuzione del pH ed un calo di HCO3-,

causati da una perdita di bicarbonati o da un loro consumo per tamponamento di un acido. L’organi-

smo si trova in una condizione di ALCALOSI METABOLICA quando si verificano un aumento del

pH ed aumento di HCO3-. Si definisce ACIDOSI RESPIRATORIA una condizione caratterizzata da

una diminuzione del pH ed un aumento della CO2. Si parla infine di ALCALOSI RESPIRATORIA

quando si verificano un aumento del pH ed una diminuzione della CO2. Vi sono inoltre altri impor-

tanti parametri che è possibile ottenere grazie ad un esame di un campione di sangue attraverso un

emogas-analizzatore. In particolare, PO2 rappresenta la pressione parziale dell’ossigeno disciolto nel

sangue ed il suo valore dipende dalla normale capacità di ventilazione, diffusione e perfusione pol-

monare; molte condizioni neurologici ,muscolari respiratori o extrarespiratori possono dare ipo o

iperventilazione. Il valore di PCO2 rappresenta la pressione parziale della CO2 disciolta nel sangue

che è determinata dall’equilibrio tra produzione tissutale ed eliminazione polmonare. La SO2 fornisce

il grado di saturazione dell’ossigeno e rappresenta la percentuale di emoglobina ossigenata in rap-

porto a quella totale. La TCO2 rappresenta la CO2 totale sotto forma di bicarbonati e acido carbonico

HCO3-. Il valore di BE (eccesso di basi, bicarbonati e altre basi ) rappresenta la quantità di basi totali

per tamponare a ph 7,4 un litro di fluido extracellulare con una paCO2 di 40 mmHg a una temperatura

di 37C in contenente hb completamente ossigenata. E’ un indicatore dello stato metabolico. Una sua

riduzione indica acidosi metabolica, un suo aumento alcalosi metabolica. In corso di acidosi metabo-

lica può essere utile per capire se il disturbo è compensato. Se risulta infatti inferiore alla norma è

necessario decidere se il disturbo deve essere corretto con la somministrazione dei precursori del

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bicarbonato, bicarbonato o limitare la produzione di acidi. L’ANION GAP(AG) rappresenta infine la

differenza tra cationi e anioni (Na+ + k+ )-(Cl- + HCO3-). Nell’ organismo deve essere sempre mante-

nuta l’elettroneutralità. Acidosi metabolica con Anion Gap normale si può avere per perdita di bicar-

bonati e conseguente compensazione con ritenzione renale di cloro (tra le cause diarrea, acidosi tu-

bolare renale, ipoadrenocorticismo). Acidosi metabolica con Anion Gap aumentato si può verificare

in corso di intossicazione da glicole etilico, da acido acetilsalicilico, da dka, ed in corso di acidosi

uremica o acidosi lattica.

In medicina veterinaria, per quanto riguarda la specie cunicola, sono stati descritti diversi studi ef-

fettuati utilizzando l’emogasanalisi dell’ I-STAT. In particolare è stato effettuato uno studio nei quali

si riportano i valori ottenuti, (utilizzando analizzatore I-STAT ), su 44 conigli sani senza sedazione

(A. Montesinos, Ardiaca 2012 ). Non esistono al contrario, secondo l’esperienza dell’autore, studi

che descrivano valori fisiologici di emogas-analisi in conigli adulti sani utilizzando l’analizzatore

della GEPA modello CCX. Scopo del presente studio pilota quindi è stato la valutazione di parametri

ematici venosi di emogas in conigli sani utilizzando il suddetto analizzatore.

MATERIALI E METODI

Popolazione

La popolazione di questo studio include 30 conigli adulti sani, maschi e femmine, di età compresa tra

1 e 4 anni, appartenenti alla specie Oryctolagus cuniculus, visitati presso la struttura veterinaria per

vaccinazioni routinarie o per interventi di sterilizzazione. I prelievi sono stati effettuati, previo con-

senso dei proprietari, dalla vena safena laterale o dalla vena cefalica, senza necessità di sedazione.

Per l’esecuzione dell’esame è stato effettuato un prelievo di sangue venoso con una siringa eparinata

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da 1 ml. Con tale analizzatore sono infatti sufficienti 150 μl di sangue ed è possibile avere i risultati

in 65 secondi. Al momento del prelievo la temperatura dei consigli è stata misurata tra 39 e 40.3°C.

Strumenti e metodo d’analisi

L’emogas-analizzatore utilizzato è lo strumento Stat Profile Critical Care Xpress© (modello CCX)

della GEPA. Tale strumento può misurare da un minimo di 6 ad un massimo di 20 parametri. In

particolare vengono direttamente misurati i seguenti parametri: pH (per ISEE diretta), pCO2(con me-

todo Severinghaus), pO2 (con metodo amperometrico), SO2% (per riflettanza ottica), l’ematocrito

(per conduttività / correzione Na+), l’emoglobina( per riflettanza con lunghezze d’onda multiple),

Na+,

K+, Cl-, Ca++ e Mg++ (per ISE diretta), il glucosio (con metodo biosensore enzimatico/amperometrico),

la BUN (con metodo biosensoreenzimatico/ISE diretta), la creatinina ed i lattati (con metodo biosen-

soreenzimatico/amperometrico), la tBil e la HHB (per assorbimento ottico) ed infine O2Hb (Ossie-

moglobina), MetHb (Metaemoglobina), COHb (Carbossiemoglobina) e tHb (hb totale). Vengono in-

vece calcolati i seguenti parametri: HCO3-, Ca++/Mg++, TCO2, PO2/FIO2, Ca++ normalizzato, BEecf,

Gap Anionico, Mg++ normalizzato, BEb, Bicarbonati standard, Osmolalità.

Elaborazione statistica

I risultati ottenuti sono stati elaborati con un software commerciale (GraphPad prism, versione 6 )

utilizzando il metodo D’Agostino & Pearson omnibus (normalità test 1). Si riporta la media ± de-

viazione standard per i diversi parametri testati, riportando mediana e valori massimi e minimi e l’

intervallo di confidenza (CI 95%), che indica il range di valori dove si hanno il 95% di sicurezza che

la media reale della popolazione del campione rispecchi quella rilevata.

RISULTATI

PARAMETRO Mean ±±±± SD MEDIANA RANGE 95% CI

pH 7,38 ± 0,06 7,37 7,24 - 7,53 7,35 - 7,4

HCO3- mmol/L 20,93 ± 5,45 19,65 9 - 31,9 18,9 - 22,97

PCO2 mmHg 35,52 ± 10,96 35 15,08-60,9 31,43 - 39,61

Beecf -1,42 ± 13,04 -4,05 -16,5-60 -6,29 - 3,4

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PARAMETRO Mean ±±±± SD MEDIANA RANGE 95% CI

AnionGap mmol/L 17,49 ± 4,7 18 9,6-28,7 15,66 - 19,32

Lattati 7 ± 4,5 6,1 0,6-18 4,9 - 9

TCO2 mmHh 22,2 ± 4,9 20,45 15,3-33,7 20,21 - 24,23

HCT 33 ± 4,2 33 26-41 31,38 - 34,62

hb g/dL 10,7 ± 1,1 10,7 9,1-13,5 10,29 - 11,14

NA+ mmol/L 138,9 ± 4,2 139,8 127-145,3 137,3 - 140,5

K+ mmol/L 4,7 ± 0,75 4,91 3,5-6,5 4,4 - 5

CL- mmol/L 105,4 ± 5,2 105,6 94,4-122 103,5 - 107,4

Ca++ mmol/L 1,5 ± 0,1 1,59 1,29-1,59 1,5 - 1,6

Mg++ mmol/L 0,7 ± 0,13 0,79 0,42-0,99 0,7 - 0,8

GLU mg/dL 153,5 ± 55,4 136,5 96-294 132,8 - 174,2

BUN mg/dL 13,7 ± 5,8 12 5-38 11,5 - 15,8

CREA mg/dL 1,03 ± 0,3 0,9 0,5-1,8 0,9 - 1,1

DISCUSSIONE

Nonostante ci siano diversi studi sul coniglio, in realtà non abbiamo dati precisi sull’ applicazione

clinica dell’ EGA. Lo studio più completo e recente riporta i valori fisiologici rilevati in conigli adulti

sani ottenuti con l’analizzatore I-STAT (Montesinos, 2012). Rispetto ai valori riportati in tale studio,

possiamo rilevare una buona sovrapposizione degli stessi con i dati riscontrati nel presente studio

pilota. Per quanto riguarda in particolare il pH, il sangue venoso dei soggetti inclusi in questo studio

ha evidenziato un valore medio di pH pari a 7,38 ± 0,06, dato molto simile a quanto normalmente

riscontrato nell’uomo e nel cane. Tale dato può indicare un valore soglia, utilizzabile nella pratica

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clinica, tale per cui valori minori rilevati in altri soggetti potranno evidenziare una condizione di

acidemia mentre valori maggiori al contrario una condizione di alcalemia. Le stesse considerazioni

possono essere fatte anche per CO2, HCO3- e per BEecf , in quanto i dati ottenuti nel presente studio

possono rappresentare dei valori di riferimento per evidenziare condizioni di alcalosi o acidosi respi-

ratoria e metabolica in soggetti patologici. Per quanto riguarda i lattati i dati vanno presi in conside-

razione con cautela, poiché nel coniglio i lattati possono risultare più alti anche solo a causa di una

diverso metabolismo dell’acido lattico. Il livello dei lattati nei conigli inoltre ha un ritmo circadiani

influenzato dalla produzione del ciecotrofo. L’importanza dei lattati nei conigli non è stata ancora

correttamente e perfettamente inquadrata. Allo stato attuale pertanto la lettura dei lattati non risulta

un valido aiuto in un corretto iter diagnostico e prognostico. Per quanto riguarda altri parametri rile-

vati nel corso di questo studio, è possibile fare alcune considerazioni. In particolare, osservando i

valori soglia ottenuti per la creatinina, risulta importante ricordare che nel coniglio la creatina e l’urea

possono aumentare anche dopo brevi periodi in assenza di acqua, in quanto tale specie risulta incapace

di concentrare le urine come altre specie.

Per quanto riguarda infine il metabolismo del calcio va ricordato che nel coniglio il metabolismo di

questo elemento nei conigli è diverso rispetto a quello di cani e gatti. Il calcio contenuto nella dieta

infatti viene assorbito rapidamente e conseguentemente il calcio ematico lo riflette. Lo studio in og-

getto è da considerarsi certamente preliminare e non fornisce dati assoluti, ma può essere considerato

come un primo approccio ed un potenziale stimolo per approfondire lo studio dell’emogas analisi

utilizzando l’analizzatore CCX. Sarà quindi interessante ampliare il numero dei soggetti coinvolti in

modo da confermare i risultati incoraggianti ottenuti nel presente studio pilota, eventualmente com-

parandoli con dati ottenuti in soggetti con evidente sintomatologia clinica.

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La flora batterica fisiologica nella testuggine terrestre (Testudo hermanni)

durante la stagione attiva (aprile-ottobre).

Dr. Petra Schnitzer, Dr. Alexandra Scope, Dr. Claudia Hess, Dr. Zdenek Knotek

Le testuggini terrestri sono fra gli animali da compagnia più richiesti e comuni. Fra le patologie più

incontrate ci sono anche le infezioni batteriche, ma senza conoscere la flora batterica fisiologica non

possiamo identificare i patogeni. Lo scopo di questo studio è di identificare i batteri fisiologici durante

la stagione attiva, in un ambiente aperto, come un giardino.

Materiali e metodi: Sono stati selezionati 30 esemplari di Testuggine terrestre (Testudo hermanni), i

soggetti, 15 maschi e 15 femmine, sono stati numerati con uno smalto; tutti i soggetti avevano un peso

superiore a 800g. Per avere preferibilmente animali sani nello studio, tutti i soggetti sono stati

esaminati clinicamente e pesati. Inotre, per controllare la salute degli animali, si sono effettuati un

esame parassitologico e due volte un esame del sangue. In questo studio l’esame parassitologico è

stato fatto solo diretto, per avere una visione generale. Il sangue è stato preso a giugno ed a agosto (la

seconda e la quarta volta degli esami), applicando un screening generale che includeva emocromo ed

ematochimica. Per lo studio, gli animali sono stati sottoposti a un esame microbiologico 5 volte durante

la stagione, iniziando direttamente dopo il letargo, in aprile, in accordo con la letteratura corrente

(Avanzi 2002). I tamponi secchi della bocca, coana e cloaca, dopo il prelievo, sono stati elaborati

direttamente nel reparto microbiologico dell’università di Vienna. La semina è stata effettuata su 4

placche diverse (Columbia Agar, Coliform Agar, Schaedler Agar e Sabourad Agar): batteri e funghi sono

stati coltivati a una temperatura di 37 gradi per 24 - 48 ore. Ogni batterio coltivato è stato inoculato su

Columbia Agar per creare una monocultura. Per l’identificazione ulteriore dei batteri si sono eseguiti

test dell’ossidasi, catalasi, Salmonella Antigen Test e una colorazione di Gram. Un’identificazione più

accurata dei batteri trovati è stata ritenuta non utile ai fini dello studio.

Risultati

Alcune tartarughe sono state escluse dallo studio, perché essendo uno studio all’aperto alcuni soggetti

non sono più stati ritrovati, inoltre un soggetto è stato escluso per distocia. Il peso corporeo aumentava

in tutti i soggetti durante la stagione, e diminuiva prima del letargo. Due tartarughe (n°. 18 e 29)

perdevano più del 8% del peso corporeo e per questo sono state escluse dallo studio. Alcuni animali

dimostravano una crescita piramidale e in tre esemplari era possibile palpare le uova per via

transaddominalei. In una tartaruga (n° 6) sono stati trovati Ascaridi, in tutti Ossiuridi ed in alcuni Ciliati

e Angusticaecum sp. In totale sono stati coltivate 10 specie di batteri differenti. Fra questi i batteri

Gram positivi sono stati: Staphylococcus sp., Streptococcus sp, Clostridium sp. e Corynebacterium sp.

Fra i Gram negativi si trovavano Pasteurella sp., Klebsiella sp., Proteus sp, Escherichia coli, Citrobacter

sp. e Salmonella sp.

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Giorno di esaminazione 1 2 3 4 5

Animali totale 30 29 27 28 26

%

positive

%

positive

%

positive

%

positive

%

positive

mean

value

Staphylococcus spp. 46,7 31,0 77,8 46,4 53,8 51,2

Streptococcus spp. 30,0 44,8 13,8 60,7 26,9 35,3

Corynebacterium sp. 23,3 51,7 33,3 85,7 88,5 56,5

Pasteurella_1 sp. 43,3 41,4 25,9 24,1 33,3 33,6

Pasteurella_2 sp. 46,7 20,7 51,7 48,3 29,6 39,4

Pasteurella_3 sp. 66,7 72,4 86,2 96,6 81,5 80,7

Proteus sp. 0,0 37,9 24,1 10,3 11,1 16,7

E.coli 0,0 65,5 86,2 86,2 96,3 66,8

Klebsiella spp. 6,7 41,4 55,2 10,3 0,0 22,7

Citrobacter spp. 93,3 100,0 89,7 96,6 100,0 95,9

Salmonella spp. 70,0 86,2 69,0 65,5 100,0 78,1

Clostridium spp. 53,3 79,3 58,6 44,8 22,2 51,7

Tabella 1.

Fra gli Stafilococchi. potevano essere identificati Stafilococchi non emolitici e alfa-emolitici. Nel primo

campionamento 6 tartarughe (20%) avevano Stafilococchi alafa-emolictici nella bocca e nella coana. In

4 delle stesse 6 tartarughe, i batteri si trovavano anche nella cloaca. In due di queste tartarughe (24 e

29) il batterio poteva essere trovato nei campionamenti successivi. Alla fine della stagione solo una

tartaruga (no. 29, 3.8%) ospitava Stafilococchi alfa-emolitici nella bocca, coana e cloaca. Gli

Stafilococchi non emolitici aumentano (primo campionamento: bocca (4 animali)13.3%, coana (1

animale) 3.4%, cloaca (5 animali) 16.7%) durante la stagione con un picco nel mese di luglio (bocca

55,6% (15 animali), coana 53.3% (16 animali), cloaca 37,03% (10 animali)) e si abbassano di nuovo alla

fine della stagione (bocca 30,7% (8 animali), coana 33.3% (9 animali), cloaca 7.7% (2 animali)).

Fra gli Streptococchi si sono isolati ceppi non emolitici, alfa emolitici e beta emolitici. In genere la

distribuzione degli Streptococchi durante la stagione assomiglia a quella degli Stafilococchi con un

picco in agosto con 17 animali (58,6%). Direttamente dopo l’ibernazione, al primo campionamento,

sono stati trovati Streptococchi alfa emolitici nella bocca e coana in 4 animali (13.3%) e nella cloaca in

5 animali (16.7%).

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Ad agosto si trovavano Streptococchi con un picco nella bocca in 13 animali (46.4%), nella coana in 11

animali (39.3%) e nella cloaca in 3 animali (10.7%). Di questi la maggior parte appartiene al gruppo

degli Streptococchi alfa-emolitici, che durante il picco di agosto si coltivavano nella bocca in 11 animali

(39.3%), nella coana in 8 animali (28.6%) e nella cloaca in 2 animali (7.1%).

Corynebacterium freneyi è stato isolato soprattutto dalla cloaca, da 5 animali (16%) al inizio dell’anno

fino a 24 animali (85.7%) a agosto e 22 animali (84.6%) a ottobre. Mentre Corynebacterium freneyi

nella cloaca è molto presente, nella bocca e coana si trovava raramente (in 3 (10%) animali al primo

campionamento, in 2 (6.9%) animali nel secondo campionamento, mancava completamente nel terzo

e quarto campionamento), solo durante l’ultimo campionamento si trovava il batterio in 12 animali

(46.2%) nella bocca e 7 (26.7%) nella coana.

Clostridium spp. era presente soprattutto nella cloaca. Inizialmente 3 animali (10%) avevano il batterio

nella bocca, 4 (13%) nella coana e 12 (40%) nella cloaca. Dopo un picco nel secondo campionamento

di giugno,in 15 animali (51.7%) Clostridi si isolavano nella bocca, 8 (27.6%) nella coana e 21 (72.4%)

nella cloaca, il numero di positivi diminuiva fino a 2 (7.4%) nella bocca, 2 (7.4%) nella coana e 5 (18.5%)

nella cloaca prima di andare in letargo a ottobre.

Fra i batteri Gram negativi sono stati trovati tre diversi ceppi di Pasteurella. In seguito segnalati come

Pasteurella 1-3. Pasteurella_1 era beta-emolitica, ossidasi positiva e catalasi positiva. Pasteurella_2 era

anche beta-emolitica, con ossidasi negativa e catalasi positiva. Pasteurella_3 non era emolitica ed era

ossidasi e catalasi positiva. Microscopicamente tutti e tre batteri erano pleomorfi, con morfologia da

bastoncellare a coccoide.

La maggior parte dellei Pasteurella spp. sono state trovate nella bocca e nella coana, la positività degli

animali varia fra i 75-95% nella bocca e coana e 30-85% nella cloaca.

Anche Citrobacter sp. è stato trovato molto frequentemente nelle tartarughe. Al primo

campionamento nella bocca di 9 animali (30%), nella coana in 10 animali (33,3%) e nella cloaca in 26

animali (86.7%). Durante la stagione il batterio arrivava fino a 100% degli animali nella cloaca.

Salmonella spp. è stata coltivata in 8 (26.7%) animali nella bocca e nella coana e in 16 (53.3%) animali

nella cloaca direttamente dopo il letargo. Al secondo campionamento in 24 animali (82.8%) il batterio

è stato coltivato nella coana, in 21 (72.4%) animali nella bocca e in 19 (65.5%) degli animali nella cloaca.

Alla fine della stagione in 13 (50%) animali Salmonella spp. è stato trovato nella bocca, in 24 (92.3%)

animali nella coana e in 16 (61.5%) animali nella cloaca.

Escherichia coli non è stato isolato da nessun animale dopo il letargo. Durante la stagione aumentava

a luglio con 18 (66.7%) animali positivi nella bocca, 20 (74.1%) nella coana e 24 (88.9%) nella cloaca.

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Alla fine della stagione e all’ultimo campionamento prima del letargo in 3 (11.5%) animali si coltivava

il batterio nella bocca, in 6 (23.1%) nella coana e in 24 (92.3%) nella cloaca.

Klebsiella spp. è stata trovata al primo campionamento in 2 (6.7%) animali nella bocca, in 5 (16.7%)

animali nella coana e in uno (3.3%) nella cloaca. Klebisella spp. aveva un picco a luglio al terzo

campionamento con 12 (42.9%) animali nella bocca, 9 (32.1%) animali nella coana e 12 (42.9%) animali

nella cloaca. All’ultimo campionamento prima del letargo in nessun animale si poteva coltivare il

batterio.

Proteus spp. è stato coltivato raramente. Direttamente dopo il letargo nessun animale ospitava il

batterio. Al secondo campionamento a giugno il batterio si trovava in 9 animali (31%), per ridursi a 2

animali (7.4%) alla fine della stagione.

Diverse specie micotiche sono state isolate, soprattutto nella cloaca, però si sono presi in

considerazione solo Aspergillus sp. e Candida.

Discussione

Lo scopo dello studio era di determinare la flora batterica fisiologica nella bocca, nella coana e nella

cloaca durante una stagione attiva. In bibliografia diversi batteri sono descritti come patogeni, come

Streptococcus spp. e Stafilococcus spp. In casi di otite interna (MCARTHUR et al. 2004), Clostridium

perfringens in caso di diarrea (WEESE et al. 2000) e Pasteurella spp. in caso di malattia respiratoria

(DICKINSON et al. 2001, MCARTHUR et al. 2004 e SNIPES et al. 1995). Nello studio si vede una

prevalenza di 9 batteri isolati, fra i quali non è ancora chiaro quale siala loro patogenicità. Questi batteri

sono Staphylococcus sp. non emolitico, Streptococcus sp. alfa emolitico, Corynebacterium freneyi,

Clostridium spp., Pasteurella spp., Citrobacter sp., Salmonella spp, Klebsiella spp. ed E. coli.

Fra questi Pasteurella_2 sp. e Pasteurella_3 sp. dimostrano un tropismo verso la bocca e coana.

Clostridium spp. e Corynebacterium freneyi sono stati coltivati soprattutto nella cloaca, mentre

Staphylococcus spp., Streptococcus spp., Escherichia coli, Klebsiella spp., Pasteurella_1 sp. e Citrobacter

spp. sono stati coltivati sia dalla bocca, sia da coana e cloaca. I batteri coltivati nella bocca e coana sono

simili, probabilmente per la difficoltà del campionamento e dell’anatomia della bocca della tartaruga.

Fra gli Streptococchi si sono stati coltivati anche ceppi con proprietà beta emoliticche. DICKINSON et

al. 2001, MADER 2006 e MCARTHUR et al. 2004 li descrivono come patogeni. Considerando il numero

basso di animali positivi (3 durante la stagione), lo studio dimostra che, per lo meno, non sono da

considerare fisiologici.

Clostridium spp. in questo studio è stato coltivato frequentemente soprattutto nella cloaca degli

animali, cosa che probabilmente indica un ruolo non patogeno. In bibliografia, questo batterio è

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descritto principalmente come patogeno (MADER et al. 2006, MCARTHUR et al. 2004). WEESE et

al. (2000) descrivono Clostridium perfringens come causa di diarrea.

Tre ceppi diversi di Pasteurella spp. sono stati coltivati frequentemente in tutto il tratto intestinale, fra

questi Pasteurella_3 sp. più frequente. DICKINSON et al. (2001) nel suo studio ha trovato due ceppi di

Pasteurella spp., però solo Pasteurella testudinis è stato considerato patogeno.

Citrobacter spp. è stato trovato in tanti soggetti nello studio, in biblografia il ruolo di questo batterio

non è chiaro, DICKINSON et al. (2001) lo descrivono insieme con 16 altri come non patogeno, anche se

è stato trovato in pochi soggetti. MADER (2006) lo descrive però come patogeno e MCARTHUR et al.

(2004) lo descrive insieme con Bacteroides spp. come causa di un ascesso. CHINNADURAI et al. (2009)

lo descrive come causa della SCUD (Septicemic Cutaneous Ulcerative Disease) nei cheloni.

Anche Salmonella spp. è un batterio trovato frequentemente in questo studio, e per il suo potenziale

zoonotico è stato descritto in tanti studi. Hidalgo-Vila et al. (2007) descrive Salmonella spp. in

testuggini (Testudo graeca) in libertà e tartarughe aquatiche (Emys orbicularis e Mauremys leprosa) e

LOCKHART et al. (2008) in California Terrestrial Tortoises (Gopher polyphemus) con una incidenza di

5%. Hidalgo-Vila et al. (2007) ha trovato il batterio nel 100% delle testuggini. L’interpretazione della

patogenicità di Salmonella spp. è molto difficile. MCARTHUR et al. (2004) descrivono Salmonella spp.

come patogeno, come pure CHINNADURAI et al. (2009). JACOBSON (2007) però lo descrive come parte

fisiologica della flora intestinale nei rettili.

Klebsiella spp. e Proteus spp. sono stati trovati in relativamente pochi soggetti in questo studio, fatto

sostenuto anche da MADER (2006), che descrive i batteri come patogeni potenziali. Un caso di

ritenzione da uova nella testuggine greca (Testudo graeca) associato con infezione con Proteus spp. e

Pseudomonas spp. è stato descritto da MCARTHUR et al. (2004). Klebsiella spp., Proteus spp.,

Escherichia coli, Citrobacter spp. e Salmonella spp. sono stati descritti come possibile causa di

polmonite nei cheloni (CHINNADURAI et al. 2009).

In questo studio la flora batterica fisiologica della bocca, coana e cloaca è stato esaminato. Lo studio è

stato fatto in animali clinicamente sani, così che la maggior parte dei batteri trovati appartengono

probabilmente alla flora batterica fisiologica. Comunque non è ancora completamente chiaro quali

siano i batteri fisiologici e quali quelli potenzialmente patogeni. La maggior parte dei batteri non sono

stati identificati ulteriormente: un successivo studio in questo senso potrebbe fornire informazioni più

dettagliate circa l’interpretazione precisa della patogenicità. Questa è la prima descrizione di

Corynebacterium freneyi come batterio fisiologico in Testudo hermanni.

Bibliografia

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Micobatteriosi disseminata da Mycobacterium avium avium etambutolo-resistente in un riccio

africano

Nicola Di Girolamo, Cinzia Marianelli, Laura Bongiovanni, Cristina Schiano, Ivano Ciraci, Paolo

Selleri, Tommaso Furlanello, Michele Trotta

Clinica per Animali Esotici, Roma, (Di Girolamo, Schiano, Ciraci, Selleri); Istituto Superiore di

Sanità, Roma (Marianelli); Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Teramo, Teramo

(Bongiovanni); Laboratorio d'Analisi Veterinarie San Marco, Padova (Furlanello, Trotta)

Presentazione clinica

Un riccio africano (Atelerix albiventris) maschio, di 1 anno e mezzo, nato in cattività veniva portato

alla Clinica per Animali Esotici. I proprietari avevano notato sangue fresco nelle feci e calo

dell’appetito negli ultimi 10 giorni. Si dava il tempo al riccio di sentirsi a proprio agio, in modo che

si aprisse e si muovesse. In general il riccio appariva meno attivo del normale, letargico. Si riusciva

ad ispezionare la mucosa buccale che appariva pallida.

Esami diagnostici

Il riccio veniva sedato con isofluorano al 5% in una camera da induzione, al fine di eseguire

radiografie total body, un esame del sangue che includesse ematocrito e biochimico, una

colonscopia per valutare eventuali lesioni dell’ultimo tratto intestinale ed una ecografia addominale.

- Le radiografie non erano mostravano anormalità evidenti.

- Gli esami ematobiochimici mostravano unicamente un calo dell’ematocrito (20%).

- La colonscopia mostrava una diffusa erosione mucosale. Non si visualizzavano masse

endoluminali o diverticoli.

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- L’ecografia addominale mostrava alterazioni nel parenchima della milza, che appariva

disomogeneo con varie aree ipoecogene.

Si optava per eseguire un ago aspirato splenico prima di risvegliare il riccio. Alla citologia si notava

una popolazione mista di neutrofili e macrofagi con abbondanti bacilli acido-fast resistenti nel

citoplasma. Vista la diagnosi citologica, suggestiva di micobatteriosi, si inviava lo striscio della

milza alla Clinica San Marco per eseguire una PCR per Mycobacterium spp. (gene ITS). Si inviava

anche un campione delle feci per la stessa analisi. Il campione splenico risultava positivo ai

micobatteri mentre quello delle feci negativo. Il sequenziamento diretto e la comparazione

nucleotidica eseguita usando il database BLAST permetteva l’indicazione di Mycobacterium avium.

Trattamento e follow-up

Sulla base della diagnosi, il riccio veniva trattato con Rifampicina a 20mg/kg, sottocute, due volte

al giorno, Azitromicina a 10 mg/kg, oralmente, due volte al giorno e Enrofloxacina a 10 mg/kg,

oralmente, una volta al giorno. Si manteneva ospedalizzato per alcuni giorni in modo da provvedere

idratazione sottocutanea ed alimentazione assistita. Già dal secondo giorno dall’inizio della terapia

l’ematochezia diminuiva e l’animale iniziava ad alimentarsi di nuovo. Dal giorno 4, i segni clinici

non erano più evidenti e l’animale stava prendendo peso. Il giorno 6 il riccio veniva dimesso con

specifiche indicazioni per i proprietari relativamente al potenziale zoonotico. L’animale risultava

migliorato nei giorni successivo. Dopo 3 mesi dall’inizio della terapia (giorno 90), il riccio veniva

presentato di nuovo per una recidiva dei sintomi (anoressia e letargia). L’animale moriva poche ore

dopo la presentazione.

Necroscopia

Istologia

Si eseguiva un completo esame post mortem. L’istologia di milza, fegato, polmone e reni mostrava

una splenite granulomatosa multifocale, una nefrite linfoplasmocellulare multifocale interstiziale,

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una polmonite cronica linfoplasmocellulare, e una enterite linfoplasmocellulare. Alla colorazione di

Ziehl-Neelsen si evidenziavano micobatteri nel citoplasma dei macrofagi e delle cellule

multinucleate della milza.

Colture

Campioni dalla milza, fegato, polmoni, reni e feci venivano inviati all’Istituto Superiore di Sanità

per coltura dei micobatteri. Dopo 7 giorni di incubazione si osservava crescita batterica in tutti i

tessuti eccetto le feci. Estrazione del DNA e sequenziamento dei frammenti nucleotidici 353-bp del

gene gyrB e 933-bp del gene rpsA mostravano compatibilità con Mycobacterium avium subsp.

avium.

Antibiogramma – Suscettibilità ad antibiotici

Si eseguiva inoltre antibiogrammi per vari antibiotici e il campione risultava essere resistente

solamente all’etambutolo. La resistenza all’etambutolo veniva in seguito caratterizzata con PCR che

amplificavano il gene embB, risultando positive.

Conclusioni

Questo è la prima descrizione di Mycobacterium avium subsp. avium in un riccio africano pet. I

veterinari, patologi e microbiologi dovrebbero essere a conoscenza di questa differenziale in questa

specie. Inoltre questo caso clinico sottolinea come sia possibile e importante valutare l’antibiotico

resistenza anche in corso di micobatteriosi.

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Cenni sulle principali malattie virali delle carpe koi (Cyprinus carpio)

Dott. Nieddu Gianpiero

DVM

Ambulatorio Veterinario Ghelfi-Nieddu Via A. de Gasperi, 15 – Pavia

Corso di Laurea in Acquacoltura e Igiene delle Produzioni Ittiche Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

Campus di Cesena Via A. Doria, 5 – Cesenatico

L'allevamento delle carpe koi è antico. Da centinaia di anni questi pesci sono oggetto di selezioni accurate che hanno portato lo sviluppo di decine di varietà attentamente codificate e valutate. L'interesse per le koi è, da sempre, molto acceso in tutto il mondo e in Italia la carpicoltura ornamentale si sta sviluppando con molta velocità e qualità. Esistono concorsi di bellezza che fanno viaggiare per tutto il territorio i migliori esemplari e i rispettivi proprietari, favorendo in questo modo lo sviluppo di un commercio di pesci, a volte, non ben controllato. Lo studio delle malattie di questi pesci è molto interessante e, nello specifico, le malattie virali delle carpe koi offrono interessanti spunti di approfondimento. Se pensiamo alle malattie virali dei pesci, il primo pensiero possiamo rivolgerlo alla linfocistosi, probabilmente la prima malattia virale ad essere stata studiata in campo ittico. La linfocistosi è causata da un Lynphocystivirus scoperto e studiato fin dal secolo scorso. Si tratta di una malattia cronica che colpisce molte specie di allevamento sia marine che d’acqua dolce. È stata infatti rilevata in più di 125 specie di pesci, andando a colpire Salmonidi, pesci gatto, Ciclidi, ecc. Il virus presenta una certa specie-specificità e sono stati identificati, tra i tanti, Lymphocystis Disease Virus 1 (LCDV-1) e Lymphocystis Disease Virus 2 (LCDV-2). la lesione tipica di questa virosi è rappresentata da noduli biancastri che si manifestano sul corpo e sulle pinne dei pesci. Questi noduli originano da fibroblasti ipertrofici che progressivamente diventano via via sempre meglio visibili. Il fattore predisponente sembra essere un calo delle difese immunitarie in seguito a qualche forma di stress. Generalmente si tratta di una patologia autolimitante (se non subentrano patologie batteriche secondarie a complicare la situazione) e i sintomi (i noduli) spariscono nel giro di qualche settimana, probabilmente quando il sistema immunitario del pesce recupera un controllo sulla situazione.

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Il pesce simbolo sembra essere il Parambassis ranga, un piccolo pesce originario del sud est Asiatico, caratterizzato dall'essere quasi trasparente. Purtroppo un'abitudine, eticamente molto discutibile, ha portato alla creazione di versioni di questo pesce colorate artificialmente. È proprio questo trattamento colorante che, provocando un forte stress al pesce (seguito poi da quello derivante dal viaggio aereo), espone questi poveri pesci alla virosi. La malattia rende “non vendibile” il pesce colpito e determina, in questo modo, un danno commerciale importante. Come già detto, la linfocistosi colpisce molte famiglie di pesci di interesse acquariofilo e sembrerebbe non colpire i Ciprinidi e quindi non interessare le carpe koi. Concentriamo, quindi, l'attenzione su alcune tra le principali virosi delle carpe koi. Considerando il valore economico di alcuni soggetti (non di rado presenti anche in Italia) che può superare i 10.000 euro senza troppa difficoltà, è comprensibile che la prevenzione sia un'arma fondamentale per il controllo della diffusione di queste viremie. Quindi: acquisto consapevole e, soprattutto, quarantena. Il carpista, come molti acquariofili, può essere compulsivo, acquista senza la necessaria calma, senza considerare ciò che già ha nel laghetto (come qualità e, soprattutto, quantità), senza valutare troppo attentamente ciò che sta acquistando, magari senza disporre delle adeguate strutture necessarie per la quarantena. Spesso il medico veterinario arriva dopo che l’acquisto è stato effettuato e, a volte, dopo che il nuovo pesce è già entrato nel laghetto, purtroppo. La quarantena ideale dovrebbe prevedere: una vasca di dimensioni adeguate a quelle del pesce acquistato, idonea attrezzatura (coperchio della vasca, retini, ecc.), buon sistema di filtrazione, sterilizzazione UV, ecc. La quarantena non ha una durata precisa, dipende da tanti fattori: periodo dell’anno in cui viene effettuata, stato fisico del pesce, ecc. Indicativamente, un mese può essere un periodo idoneo. Durante la quarantena, ovviamente, l’osservazione del soggetto è di fondamentale importanza. Andremo ad analizzare come nuota, come si alimenta (preferenze di cibo, modalità di prensione dell’alimento, capacità di individuarlo sul fondo o sulla superficie dell’acqua, ecc.), se manifesta difficoltà di assetto, se compaiono sintomi riferibili a qualche malattia, ecc. Trascorso il periodo che avremo considerato sufficiente, il pesce quarantenato, potrà essere inserito nella sua dimora definitiva. Le malattie virali delle carpe koi sono diventate un punto focale della salute di questi pesci, soprattutto col diffondersi, negli ultimi decenni, di alcune virosi particolarmente insidiose. In generale, le virosi più conosciute e temute sono:

- Viremia primaverile della carpa - KHV, Koi Herpesvirus Disease

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- Carp pox - CEV (KSD), Carp Edema Virus (Koi Sleepy Disease)

La Viremia Primaverile della Carpa rappresenta lo stadio acuto dell’Ascite Infettiva. La patologia evolve poi in uno stadio “cronico” che viene comunemente chiamato Eritrodermatite. La fase acuta è sostenuta da Rhabdovirus carpio mentre la fase cronica deriva da complicanze batteriche sostenute principalmente da Aeromonas hydrophila. La carpa rappresenta l’ospite principale anche se la malattia è stata segnalata in carassi, lucci, siluri, tinche, ecc. Il serbatoio è rappresentato da quei pesci che sono sopravvissuti ad un episodio precedente della malattia. In primavera, quando la temperatura raggiunge e supera i 10°C, i pesci iniziano a manifestare i sintomi: letargia, ridotta frequenza respiratoria, perdita dell’equilibrio, lesioni cutanee, esoftalmia, dilatazione addominale, ecc. Ad un esame interno potremmo riscontrare lesioni emorragiche in vari organi (cuore, reni, vescica natatoria, intestino, ecc.). Sembrano essere più esposti i soggetti che escono dal periodo invernale in condizioni ambientali precarie (scarsa qualità dell’acqua ed errori gestionali in genere). L’incidenza della patologia è stata registrata in un preciso range di temperatura. Sotto i 10 e sopra i 18°C si manifestano meno sintomi (o non si manifestano affatto) e la mortalità è più cronica. La trasmissione del virus avviene tramite acqua e attrezzature contaminate, uccelli ittiofagi, parassiti, ecc. Purtroppo la mortalità può essere assai elevata e spazia dal 30% al 70% con i soggetti più giovani esposti maggiormente. La corretta diagnosi è necessaria anche perché è una malattia soggetta a notifica dal regolamento di polizia veterinaria. La procedura di controllo prevede l’eradicazione della patologia: svuotamento delle vasche, asciugatura, disinfezione e ripopolamento con pesci indenni. È possibile prevenirla?

- Riduzione degli stress - Evitare il sovraffollamento - Evitare la promiscuità delle attrezzature - Disinfezione corretta delle attrezzature - Innalzamento della temperatura (>20°C)

Un’altra malattia temuta è il KHV (Koi Herpesvirus Disease), sostenuta da Cyprinid Herpesvirus 3 che colpisce principalmente carpe koi, carpe comuni e pesci rossi. Il virus identificato per la prima volta in Israele e negli USA, si è rapidamente propagato proprio grazie al commercio delle carpe koi. Pare che il virus resista poco tempo senza ospite ma sembra resistere molto a lungo

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nel sedimento della vasca o nel materiale filtrante. È una viremia molto grave che può presentare anche il 100% della mortalità. Il range di temperatura ideale per lo sviluppo dei sintomi sembra essere compreso tra i 18 e i 30°C, divenendo quindi una patologia tipica del periodo tardo primaverile e estivo. I principali sintomi sono rappresentati da:

- pallore delle branchie - colorazione cutanea anomala - lesioni cutanee - enoftalmo - dispnea - anoressia - nuoto scoordinato - lesioni necrotiche a livello splenico, epatico e gastrointestinale.

La patologia può essere confusa con il Carp Pox che può causare gravi mortalità in carpe giovani mentre nei soggetti adulti propone solo lesioni cutanee. In alcuni stati (Israele, per esempio) esiste una profilassi vaccinale che può rendere meno identificabili come malati i pesci risultati positivi al test. Il Carp Pox è invece sostenuto da Cyprinid Herpesvirus I e colpisce carpe comuni, carpe koi, pesci d’acquario, pesci rossi, ecc. Le lesioni tipiche di questa virosi sono rappresentate da simil-noduli che si ingrossano progressivamente, a questi si aggiungono: ritardi di crescita, deformazioni scheletriche, presenza di cicatrici cutanee e mortalità nei soggetti giovani (< 2 mesi). La sintomatologia si manifesta principalmente nei mesi invernali per poi regredire con l’innalzamento della temperatura dell’acqua. Il danno causato da queste lesioni è principalmente di natura commerciale. Il virus sembra essere mantenuto sotto controllo dal sistema immunitario del pesce, in presenza di un calo delle difese immunitarie, dovute all’abbassamento delle temperature e all’avvicinarsi del periodo invernale, il virus prende il sopravvento inducendo la comparsa dei sintomi. L’ultima virosi è rappresentata dal CEV (Carp Edema Virus) o KSD (Koi Sleepy

Disease), identificata per la prima volta in carpe koi giapponesi negli anni ’70, è stata rilevata anche in Europa, negli ultimi anni. È stata definita una patologia emergente e, come tale, sta riscuotendo un notevole interesse da parte del mondo scientifico. Uno dei sintomi più evidenti è il comportamento soporoso da cui deriva il nome della malattia. I sintomi principali sono, oltre allo stato soporoso del soggetto, enoftalmia, edema generalizzato, lesioni necrotiche alle branchie (che appaiono anche molto gonfie,

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compromettendo la respirazione del pesce), lesioni cutanee e un’alta mortalità nei soggetti giovani (anche dell’80%). La malattia sembra manifestarsi in un range di temperatura dell’acqua compreso tra 15 e 25°C, un range molto simile a quello della KHV, e ne presenta alcuni sintomi sovrapponibili. Questa condizione rende più complessa la diagnosi e, soprattutto, rende più importante la sua corretta esecuzione. La prima diagnosi in territorio italiano è stata effettuata nel 2014 in un allevamento di carpe comuni su soggetti di origine ungherese. Dopo questa rilevazione è stato effettuato uno studio retrospettivo su carpe morte (e comunque correttamente conservate a -80°C) per cause ignote ed è stata rilevata la presenza del virus già nel 2010. Bibliografia: Abbadi M., Panzarin V., Pretto T., Quartesan R., Manfrin A., Cattoli G., Toffan A. descrizione del primo caso in Italia di Carp Edema Virus (CEV) – XXI convegno Nazionale S.I.P.I., 2015

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APPROCCIO CLINICO E ANATOMO PATOLOGICO ALLE MALATTIE

DEI PESCI ORNAMENTALI

Rubina Sirri BSc, MSc, PhD1,2

1 CLINICA VETERINARIA MODENA SUD, Piazza dei Tintori 1, 41057 Spilamberto (MO)

2 Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Via Tolara di Sopra, 50

40064 Ozzano Dell’Emilia (BO)

Correspondence: [email protected]

I pesci ornamentali possono manifestare tumori al pari degli altri animali e dell’uomo. Tra i tumori

più frequenti in queste specie vanno ricordati i tumori di origine cutanea e sottocutanea

(papillomi/carcinomi, cromatoforomi, fibromi/fibrosarcomi, schwannomi e tumori perivascolari), i

tumori di origine celomatica tra cui tumori gonadici (gonadoblastoma, mixed germ cell sex cord-

stromal tumors, seminoma, disgerminoma), epatocellulari, pancreatici o intestinali

(adenoma/adenocarcinoma) e infine tra quelli meno comunemente segnalati i tumori di origine

renale (nefroblastoma), endoteliale (emangiosarcoma), i tumori dei denti (odontoma,

ameloblastoma) e i tumori branchiali (carcinoma, branchioblastoma, osteocondroma).1-10

Generalmente i tumori dei pesci non metastatizzano tranne in rari casi riportati di carcinoma

cutaneo, epatico e intestinale, linfoma, emangiosarcoma, ma possono presentare un’elevata

invasività locale o presentarsi come multifocali.1 Le principali cause di tumore nei pesci sono fattori

genetici (talora specie-correlati), agenti virali e inquinamento ambientale ma più spesso l’eziologia

è multifattoriale.11

Dal punto di vista clinico l’approccio a queste patologie non è semplice: le principali difficoltà che

incontra il veterinario nell’accettare un caso oncologico in un pesce è la disponibilità di un alloggio

temporaneo per il paziente e la predisposizione di uno speciale letto chirurgico associato ad un

sistema a ricircolo per l’ossigenazione e l’anestesia generale. Inoltre, i tumori celomatici vengono

spesso riscontrati tardivamente e in molti casi presentano invasione dei tessuti circostanti.

L’intervento chirurgico rimane comunque, ad oggi, l’unica soluzione terapeutica ma, mentre per le

neoformazioni cutanee e sottocutanee risulta di facile applicazione, per i tumori celomatici è

risolutivo solo in una bassa percentuale di casi (circa il 50%). In letteratura sono riportati alcuni casi

di successo di chirurgia celomatica in carpe koi, precisamente un tecoma, un carcinoma ovarico e

un sarcoma indifferenziato.3,12,13

L’uso di strumenti di diagnostica per immagini come radiografia, ecografia e TC possono essere

molto utili per confermare la presenza di un processo neoplastico celomatico ed escludere in

diagnosi differenziale una dislocazione o malformazione della vescica natatoria, una ritenzione di

uova (distocia) o un accumulo di liquido (ascite). Inoltre permettono di valutare anche l’invasione

dei tessuti circostanti e la vascolarizzazione intratumorale (eco-doppler). Ultrasonografia e

radiografia sono stati utilizzati in alcuni casi di neoplasia celomatica in carpa koi,3,4,7 mentre

risonanza magnetica nucleare (MRI) e TC sono state impiegate in un caso di emangiosarcoma

peritoneale in una carpa koi, permettendo di visualizzare dettagliatamente l’invasione dell’osso

vertebrale e del canale neurale e l’osteolisi.6

Molto utile è anche la citologia, ecoguidata per le neoformazioni celomatiche, che consente di dare

informazioni aggiuntive sulla tipologia della neoformazione e discriminare tra un processo

neoplastico o in diagnosi differenziale lesioni granulomatose, cisti, xenomi parassitari o forme

iperplastiche. Le applicazioni citologiche più comuni sono i raschiati da branchie e cute per

l’esame parassitologico. Altre applicazioni includono la valutazione di lesioni cutanee o ulcere e di

accumulo di fluidi nella cavità celomatica.14 La citologia a supporto diagnostico in oncologia dei

pesci è stata riportata recentemente in un caso di schwannoma in pesce rosso (Carassius auratus) e

in una segnalazione di ernia della vescica natatoria associata ad infezione fungina e focale

adenocarcinoma in un cefalo (Mugil cephalus).7,15

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Dal punto di vista istologico, invece, ancora non esiste una classificazione delle neoplasie dei pesci

per cui ci si basa sulla classificazione WHO (World Health Organization) dei tumori nei mammiferi

domestici. Solo recentemente sono stati condotti i primi due studi sulla prevalenza, fattori di rischio

e classificazione istologica di 117 neoplasie celomatiche in carpe koi collezionate in Svizzera. Da

questo ampio studio è emerso che l’insorgenza dei tumori celomatici nelle carpe koi era

significativamente associata alla posizione del laghetto (interna vs. esterna) e al volume, alla

frequenza dei cambi d'acqua, all’origine delle koi, al numero di koi mantenute nel laghetto e all'uso

di alcuni prodotti (disinfettanti/farmaci). Nel 48,9% dei casi si trattava di koi di sesso femminile e

l'ovaio era l'organo più frequentemente colpito (35%); di questi tumori ovarici il 62,4% erano di

origine gonado-stromale (sex-cord stromal tumors), con comportamento maligno e infiltranti i

tessuti circostanti.8,10

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ANALISI DEI TASSI DI CRESCITA PEDIATRICI NEL PETAURO DELLO ZUCCHERO

(PETAURUS BREVICEPS) IN CATTIVITA' Valeria Vastano, Medico Veterinario 1, Daniele Petrini, Medico Veterinario 2, Iacopo Vannozzi, Professore 3 1 Libera Professionista, Pisa, Italia 2 Libero Professionista, Pisa, Italia 3 Professore Associato, Dipartimento di Scienze Veterinarie Università di Pisa, Pisa, Italia Il Petauro dello zucchero (Petaurus breviceps) è un marsupiale australiano entrato da qualche decennio a far parte degli animali da compagnia non convenzionali; nonostante ciò molti sono i campi ancora inesplorati nello studio della sua fisiologia, fra cui molti aspetti nell'ambito pediatrico. Questo studio è stato svolto presso uno degli allevamenti più grandi d'Italia e si prefigge l'obiettivo di osservare l’andamento dei tassi medi di crescita dei cuccioli di petauro attraverso il confronto fra diverse misurazioni corporee, considerando il periodo intercorrente tra l’uscita dal marsupio (OOP) fino alla ventesima settimana di vita. È il primo ad essere effettuato in petauri in cattività da diverse generazioni, e perciò a non essere limitato ad una sola subspecie o condizionato dallo stress che può facilmente presentarsi in soggetti di cattura, influenzando la crescita del cucciolo; è inoltre il primo effettuato senza alcun uso di anestetici. Il presente studio è stato eseguito su 11 soggetti cuccioli di Petauro dello zucchero, clinicamente sani, appartenenti a 8 cucciolate, nel periodo compreso fra gennaio e settembre 2015. I soggetti all'inizio dello studio avevano fra i 65 e i 107 giorni e sono stati seguiti fino alla ventesima settimana di vita (con un range fra 133 e i 135 giorni). Le madri hanno seguito un'alimentazione a base di macedonie di frutta stagionale variate quotidianamente, larve di Tenebrio molitor (camole della farina) e di Zophobas morio

(kaimani) e vari piccoli grilli, integrata con calcio carbonato in polvere e preparato di gomma di acacia. L'acqua era sempre disponibile in beverini a ciotola. Le voliere accoglievano un maschio, una femmina ed una cucciolata, erano dotate di nidi e accessori per l'arricchimento ambientale. I criteri di inclusione nello studio sono stati: • possibilità di staccarsi dalla mammella materna • verifica clinica dello stato di salute parentale • verifica clinica dello stato di salute individuale • scarsa sensibilità allo stress da contenzione. La verifica clinica dello stato di salute genitoriale ed individuale è stata raggiunta tramite esame obiettivo generale e analisi fecali a fresco e per flottazione. L'esame obiettivo generale si è svolto tramite raccolta dell'anamnesi parentale e individuale e con l'iniziale osservazione a distanza dei soggetti, che dovevano presentare uno stato del sensorio vivace, normali movimenti, nessun segno di abbattimento o dolorabilità evidente. Si è proseguito poi con l'osservazione: • dello sviluppo scheletrico, registrando se il soggetto presentava alterazioni ossee congenite o acquisite, quali eccessivo o deficiente sviluppo, deviazioni della colonna o di ossa, segni di osteodistrofia e fratture • dello stato nutrizionale: i soggetti non dovevano presentare evidenze delle protuberanze ossee del rachide e del bacino, né delle coste da fermi, e al contrario non dovevano presentare aree eccessivamente ricche di sottocute come segno di obesità. Non è stato possibile usare un BCS perché non vi è ancora un indice di questo tipo validato nel Petauro • della tonicità muscolare: i soggetti non dovevano presentare né ipertonicità né ipotonicità patologica o atrofia di porzioni muscolari • di eventuali atteggiamenti o segni particolari indici di infermità

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• della cute: il mantello doveva apparire sano, brillante e soffice, senza aree alopeciche, crostose, con orripilazioni, edemi o ferite, possibili indici di patologie fra le quali parassitosi o segni di autolesionismo da stress. Alla palpazione la pelle doveva presentarsi con la giusta elasticità e con un connettivo non eccessivamente lasso o ipertrofico. Gli annessi dovevano presentare un aspetto nella norma. • delle mucose apparenti: è stata osservata quella buccale che doveva presentarsi rosea, né pallida né iperemica • della temperatura: è stata rilevata attraverso un termometro ad infrarossi e doveva rientrare nel range fra 35,8°C e 36,6°C • della frequenza cardiaca e respiratoria: sono state rilevate tramite fonendoscopio, escludendo così anche la presenza di evidenti variazioni patologiche. La sensibilità allo stress è stata valutata osservando la reazione dei cuccioli una volta afferrati e contenuti fuori dal nido. Se infastiditi i petauri iniziano acute vocalizzazioni chiamate crabbing, tendono a svincolarsi con veemenza ed a mordere. La presenza di queste manifestazioni è indice di stress. I cuccioli che invece non tendono a fuggire, presentano un comportamento esplorativo, annusando le mani degli operatori e camminando lungo le braccia di questi. Hanno lo sguardo attento ma tranquillo e non percepiscono il maneggiamento come un evento stressante. L'immobilizzazione forzata è stata poi applicata solo per alcune misurazioni e per pochi secondi. Le misurazioni sono state effettuate durante il normale periodo di attività dei petauri (dalle ventuno alle ventiquattro) in modo da limitarne ulteriormente lo stress. Di ogni cucciolata è stata registrata la parentela genitoriale, i dati riproduttivi della madre (primipare o pluripare), e il rapporto fra cuccioli presenti nel marsupio e quelli che sono arrivati con successo all'OOP (Out of pouch - uscita dal marsupio) Per ogni soggetto in esame sono state raccolte, ad intervalli di 7 giorni, le misure in millimetri: 1. Lunghezza della testa: dall'occipite alla punta del naso 2. Larghezza della testa: distanza fra gli archi zigomatici 3. Altezza della testa: distanza fra il terzo medio mandibolare e la volta cranica 4. Distanza fra i punti centrali dei due occhi 5. Lunghezza dell'ulna 6. Lunghezza della mano: dal carpo alla punta del quarto dito 7. Lunghezza della tibia 8. Lunghezza del piede: dall'osso calcaneo alla punta del quarto dito 9. Larghezza marsupio: dal punto di attacco della plica marsupiale, all’altro della plica opposta 10. Diametro scroto 11. Lunghezza del corpo: dalla punta del naso alla cloaca 12. Lunghezza della coda: dalla cloaca alla punta della coda 13. Peso corporeo (in grammi) Sono stati registrati anche i giorni dall’OOP ed il sesso. Le misure sono state prese tramite un calibro digitale con sensibilità di 0,1 mm. Il peso è stato rilevato mediante bilancia elettronica con sensibilità di 1 grammo L’analisi matematica e statistica è stata eseguita relazionando i risultati fra loro attraverso la media aritmetica, su cui poi è stata valutata la stima della deviazione standard. Successivamente sono stati rilevati i tassi di crescita attraverso la formula: Misurazione giorno y – Misurazione del giorno x ----------------------------------------------------------- *100 Misurazione giorno x Dove y è la misurazione della settimana successiva ad x.

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Nello studio sono stati inclusi 11 soggetti, di 8 cucciolate diverse, di cui quattro femmine e sette maschi. I genitori non hanno presentato problemi di salute riportabili nell'anamnesi prossima o remota, né problemi evidenziabili alla visita clinica, fatta eccezione per una femmina che presentava una lieve dislocazione congenita della mandibola clinicamente non rilevante (assunzione di cibo mantenuta, possibilità di effettuare corrette vocalizzazioni). Anche i cuccioli non hanno presentato alcun problema rilevabile. Le feci di tutti i soggetti sono risultate negative ad ogni controllo settimanale. Nello studio 8 delle madri (100%) erano primipare. Come detto, il campione di cuccioli era composto da 4 femmine e 7 maschi, perciò le femmine corrispondevano al 36% del totale, mentre i maschi al 64%. Fra tutti i soggetti, 6 sono stati seguiti da 65 giorni di vita (due femmine e quattro maschi), maschio da 92 e i restanti sono invece rientrati nello studio dai 105-107 giorni di vita (2 femmine e due maschi). Dell'intero gruppo, 3 coppie erano costituite da fratelli, sempre di differente sesso, gli altri erano soggetti singoli (62,5% cucciolate con più soggetti, 37,5 % cucciolate con un solo soggetto). Il gruppo delle cucciolate con un solo individuo è rappresentato da 1 femmina e 3 maschi. Con i dati ottenuti dalla raccolta, è stato effettuato uno studio preliminare sui tassi di crescita calcolati. Il peso non è stato soggetto di calcolo perché precedenti studi ne hanno dimostrato la scarsa affidabilità. E’ stato comunque raccolto come componente del monitoraggio dello stato di salute generale dei cuccioli e come confronto con le altre misurazioni. Si è osservato che il tasso maggiormente rilevante per ogni settimana per la popolazione maschile è quello relativo a: 10° -11° settimana : altezza della testa 11° -12° settimana: lunghezza della coda 12° -13° settimana: lunghezza parziale 13° -14° settimana: lunghezza della coda 14° -15° settimana: lunghezza della tibia 16° -17° settimana: lunghezza della coda 17° -18° settimana: lunghezza della coda 18° -19° settimana: lunghezza dell’ulna 19° -20° settimana: lunghezza della coda Per la popolazione femminile, il tasso maggiormente rilevante per ogni settimana è quello relativo a: 10° -11° settimana: lunghezza della coda 11° -12° settimana: lunghezza della coda 12° -13° settimana: lunghezza della tibia 13° -14° settimana: lunghezza della coda 14° -15° settimana: lunghezza del piede 16° -17° settimana: lunghezza della coda 17° -18° settimana: lunghezza della mano 18° -19° settimana: lunghezza della tibia 19° -20° settimana: larghezza del marsupio Fra l’11° e 12° settimana, 13° e 14° settimana, 16° e 17° settimana la crescita è stata maggiore nella lunghezza della coda sia nei maschi che nelle femmine ed è l’unico valore che coincide in entrambi i gruppi per i periodi considerati.

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Considerando i valori ottenuti e data la frequenza con cui questi compaiono come maggiormente significativi nella crescita, i parametri più utili da raccogliere durante il monitoraggio settimanale del cucciolo si valuta che siano: - Per il maschio: lunghezza della coda - Per la femmina: lunghezza della tibia, lunghezza della coda I dati relativi a questi parametri sono stati analizzati in modo da ottenere una rappresentazione dell’andamento della crescita per le varie porzioni corporee prese in esame, dividendo come in precedenza, il campione in due gruppi: maschi e femmine

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Nei grafici sono rappresentati i valori medi nel periodo di tempo considerato, con la deviazione standard che segna il rnge per ogni giorno di misurazione e la tendenza data dalla linea continua.

Un altro confronto possibile con i nostri dati è quello fra maschi nati in cucciolate con più di un soggetto (max.2) e quelli che sono figli unici. L’analisi è stata effettuata solo sui maschi per la scarsa rappresentatività del gruppo di cucciolate con un solo soggetto femmina. Generalmente a partire dai 65 giorni, i figli appartenenti a cucciolate composte da almeno due elementi hanno dimensioni maggiori dei corrispettivi in età che sono figli unici. Questa differenza viene colmata successivamente, in particolare nel periodo fra i 90 giorni e i 110 e in seguito si ha un vantaggio a pro dei figli unici per diverse misurazioni. Fanno eccezione a questo andamento - Lo scroto: la sua progressione, nelle due serie prese in considerazione, non si presenta lineare. - La tibia: nei figli unici tende ad aumentare avvicinandosi al valore di quella dei maschi presenti in cucciolate di più soggetti, ma non arriva mai a superare il valore di questi ultimi. - Lunghezza del corpo: tra gli 86 e i 107 giorni ha un aumento nei soggetti con fratelli, mentre resta abbastanza costante nei figli unici. Nei giorni successivi è comunque maggiore nei cuccioli singoli. - Lunghezza della coda: si presenta maggiore nei soggetti con fratelli, anche se la differenza tende col tempo a colmarsi Bibliografia Booth RJ (2000) General husbandry and medical care of sugar gliders. In Bonagura JD (ed): Kirk’s Current Veterinary Therapy XIII. WB Saunders Brust D. (2009) Sugar gliders: a complete veterinary care guide. Sugarland, TX: Veterinary Interactive Publications

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AUMENTO DEL RAPPORTO CORTISOLO/CREATININA URINARI IN UN

CRICETO DORATO (MESOCRICETUS AURATUS) CON

SINTOMATOLOGIA CLINICA COMPATIBILE CON SINDROME DI

CUSHING

Daniele Petrini, Medico Veterinario 1, Gianluca Deli, Medico Veterinario 2, Stefano

Cusaro, Medico Veterinario 3, Cristiana Manetti, Medico Veterinario 4, Carlo Paoletti, Medico Veterinario 5 1 Libero Professionista, GPCert (ExAP), Pisa, Italia 2 Libero Professionista, GPCert (ExAP), Roma, Italia 3 Libero Professionista, GPCert (ExAP), Novara, Italia 4 Libero Professionista, GPCert (ExAP), Firenze, Italia 5 Libero Professionista, Parigi, Francia

Introduzione L’iperadrenocorticismo è una endocrinopatia caratterizzata da alterazioni metaboliche e varietà di

sintomi clinici secondari ad una esposizione cronica ed esagerata ad elevate concentrazioni plasmatiche

di cortisolo. In medicina veterinaria viene comunemente utilizzato il rapporto tra corticoidi urinari e

creatinina urinaria (UCCR) come test di screening per il morbo di Cushing nel cane.

L’iperadrenocorticismo in letteratura è riportata essere una condizione comune nei criceti ma sono

scarsi gli articoli scientifici a riguardo. La diagnosi spesso si basa su un sospetto clinico e non è di

solito corroborata da indagini diagnostiche.

Descrizione del caso Un criceto dorato (Mesocricetus auratus), maschio intero di 2 anni veniva portato in visita per lieve

ottundimento del sensorio, lesioni cutanee purulente, comedoni, poliuria e polidipsia, lieve polifagia. In

seguito alla visita clinica è stato stilato un diagnostico differenziale comprendente anche la sindrome di

Cushing.

Il criceto è stato sottoposto ad anestesia generale con isofluorano in ossigeno per accertamenti

diagnostici: ecografia addominale, prelievo ematico, prelievo delle urine tramite cistocentesi

ecoguidata, raschiato cutaneo profondo e biopsia cutanea a tutto spessore.

Considerate le piccole quantità di sangue e di urina ottenute e le piccole dimensioni del soggetto si è

deciso per un esame biochimico e per la determinazione del rapporto cortisolo/creatinina urinari

(UCCR). Quest’ultimo era significativamente più elevato rispetto a quello riscontrato in 10 soggetti

clinicamente sani e testati in precedenza.

Conclusioni A conoscenza degli autori non è descritta la determinazione del rapporto cortisolo/creatinina urinari

nella diagnosi di sindrome di Cushing nel criceto dorato.

In conclusione il prelievo delle urine risulta di più facile esecuzione e con meno rischi rispetto a quello

ematico; il rapporto cortisolo/creatinina urinari può essere considerato un valido aiuto nella diagnosi

della sindrome di Cushing nel criceto dorato.

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Indirizzo per corrispondenza

Dott. Daniele Petrini, Via Santo Stefano 41, 56123 Pisa (PI), Italia - Cell +393487834744 e-mail [email protected]

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PATOLOGIE DELL’ APPARATO URINARIO DEGLI ANIMALI ESOTICI Marco Bedin, DVM, PhD, GP Cert. (EX-AP) Accr. FNOVI Medicina e Chirurgia Aviare, Medicina e Chirurgia di Rettili ed Anfibi, Medicina e Chirurgia dei Piccoli Mammiferi Clinica Veterinaria Euganea, Dipartimento di Medicina e Chirurgia degli Animali Esotici, Monselice (Padova) Italy - www.clinicaveterinariaeuganea.it Nella clinica degli animali esotici le patologie delle vie urinarie sono di comune riscontro. La conoscenza della fisiologia e della patologia renale di queste specie e le alterazioni in corso di malattia é molto importante per poter impostare una piano terapeutico il più efficace possibile. All’insorgenza di queste patologie concorrono diversi fattori compresi la dieta e l’anatomia del loro apparato urinario. CONIGLI E CAVIE ANATOMIA E FISIOLOGIA Nel coniglio e nella cavia il parenchima renale ha una struttura unipapillata, con una papilla longitudinale e un calice che entra direttamente nel singolo uretere. Gli ureteri immettono l’urina direttamente nella vescica che, nel coniglio, quando vuota é flaccida e con una parete tre volte più sottile e dilatabile rispetto al gatto. Le urine a loro volta, vengono espulse dalla vescica attraverso l’uretra che, nel coniglio, ha un diametro molto grande in relazione alla taglia dell’animale (delle dimensioni approssimative dell’uretra di un bambino). Nel coniglio il diametro dell’uretra é maggiore nel maschio rispetto alla femmina. I conigli hanno un metabolismo del calcio alquanto singolare e l’omeostasi del calcio é regolata dal rene stesso. L’assorbimento del calcio della dieta é passivo ed avviene indipendentemente dalla vitamina D. I livelli di calcemia nel coniglio sono fisiologicamente maggiori rispetto alle altre specie. Le urine infatti, sono la maggiore via di escrezione del calcio (45-60%, rispetto a valori < 2% degli altri mammiferi). Un aumento del calcio introdotto con la dieta determina automaticamente un aumento del calcio escreto con le urine. PATOLOGIA L’esame clinico é una parte importante della diagnosi di una patologia urinaria. Nelle urine dei conigli che presentano sabbia urinaria é spesso possibile palpare in sospensione il sedimento di calcio. Gli uroliti quando presenti all’interno della vescica possono addirittura essere percepiti durante la palpazione dell’addome. Spesso però, le dimensioni ridotte e il fastidio provocato dalla pressione sull’addome rendono difficile la loro precisa identificazione. In presenza di ostruzione completa é possibile palpare i reni che appaiono di dimensioni aumentate in particolare in corso di idronefrosi. A livello del pelo che riveste la zona perineale é possibile vedere i residui della sabbia urinaria essiccati a formare concrezioni più o meno grandi. I sintomi clinici variano in base all’entità del problema e, in alcuni casi, anche in base all’indole del soggetto. Conigli di grossa taglia tollerano meglio le conseguenze delle infezioni urinarie e sono più tardivi nel mostrare i segni clinici di patologia più sotto descritti. DIAGNOSI Esame delle urine In quanto erbivori, i conigli e le cavie hanno urine con pH alcalino (pH 8,0 - 8,2) ed hanno un aspetto per lo più opaco, causato dai cristalli che si formano per precipitazione del carbonato di calcio (nei conigli) e ossalato di calcio (nelle cavie). La torbidità delle urine é variabile e dipende dalla quantità di calcio ingerito con la dieta, dallo stato di idratazione, dallo stato di salute, dall’età e dal momento riproduttivo del soggetto. Il colore invece, può variare dal giallo al rosso attraverso sfumature di giallo e marrone a seconda dei pigmenti della dieta e delle piante presenti in essa. Le urine rosse sono spesso esito dell’ingestione di tarassaco, broccoli, cavoli e bietole e spesso vengono confusi dai proprietari inesperti per ematuria. Un certo grado di calciuria é considerata normale nel coniglio e nella cavia anche se un eccessivo precipitato di calcio o una riduzione nel deflusso dell’urina può portare alla formazione di sabbia

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urinaria (più o meno densa - Sludge). La sabbia urinaria che si accumula in vescica può portare allo sviluppo di cistiti o irritare la parete uretrale quando viene espulsa, causando delle uretriti anche gravi. In caso di sospetta urolitiasi o in presenza di sabbia urinaria si consiglia l’esame delle urine. Il loro Ps é di 1.003-1.036 ma non é semplice da valutare per la presenza di cristalli. Le urine degli erbivori sono normalmente alcaline e altrettanto normalmente possono ottenere tracce di glucosio e di proteine. L’esame microscopico del sedimento urinario ci permette di valutare la presenza di cristalli, globuli rossi, cellule infiammatorie e batteri. Degno di essere ricordato é che l’ematuria nelle femmine può avere origine sia dal tratto urinario che dal tratto riproduttivo (nel dubbio possiamo eseguire l’esame delle urine mediante cistocentesi ed un ecoaddome). Nel caso si riscontrasse la presenza di batteri é consigliabile eseguire una urinocoltura ed eventuale antibiogramma per impostare correttamente una terapia mirata. Diagnostica per Immagini La diagnostica per immagini ci viene in aiuto mediante l’esecuzione di radiografie che mostrano la presenza di sabbia urinaria in vescica o di formazioni radiopache di dimensioni variabili (calcoli) che seppur dal profilo irregolare, sono tendenzialmente rotondeggianti. Mediante l’ecografia possiamo studiare con maggiore dettaglio il parenchima e la struttura renale (in caso di idronefrosi) o di valutare la presenza di calcoli di dimensioni ridotte difficilmente individuabili radiograficamente, nonché patologie uterine concomitanti Ematologia Esame ematologici di routine ci permettono di fare uno screening per individuare eventuali infezioni, anemia, la funzione epatica, la funzione renale e la calcemia. PATOLOGIE NEI MAMMIFERI 1. UROLITIASI Per urolitiasi si intende la formazione di calcoli nelle vie urinarie e può essere messa in relazione alla calciuria. Gli uroliti possono essere renali (nefroliti), uretrali (ureteroliti), vescicali (calcoli vescicali cistoliti) o uretrali (calcoli uretrali o uretroliti). Le urolitiasi nel coniglio sono correlati agli elevati livelli di escrezione del calcio ma possono anche essere il risultato dell’ostruzione meccanica delle vie urinarie. La ritenzione delle urine che porta alla formazione di calcoli urinari può essere secondaria ad aderenze, neoformazioni, ascessi e alla formazione di sabbia urinaria. Tra le cause non ostruttive di urolitiasi possiamo ricordare la genetica, la disidratazione, l’inattività, l’obesità, la ritenzione delle urine, le cistiti e le variazioni del pH urinario. I piccoli mammiferi con urolitiasi o ipercalciuria hanno spesso un’anamnesi di scarso esercizio fisico che li rende predisposti all’obesità e una dieta a base di pellet e fieno di fleolo entrambi ricchi di calcio. I segni clinici sono riferibili a stranguria, disuria, depressione, posizione antalgica del posteriore, digrignamento dei denti, incontinenza urinaria e dermatite da contatto con le urine (dermatite perineale), poliuria e polidipsia. Possono essere presenti anche ematuria e anoressia. 2. CISTITI Anche se non sono così frequenti, le cistiti possono manifestarsi anche nei conigli. Alcuni presentano ematuria, alti urinano con una elevata frequenza o mantengono sollevato il posteriore nel momento della minzione, altri non presentano alcun sintomo sino a quando la situazione non precipita con la comparsa di blocchi gastrointestinali o ostruzioni urinarie. Nelle cavia uno dei fattori predisponenti delle cistiti sono le infezioni sostenute da Streptococcus pyogenes. 3.INSUFFICIENZA RENALE Come per molte specie di mammiferi l’insufficienza renale é una malattia complessa, spesso presentata come quadro cronico piuttosto che acuto. Nei mammiferi i segni clinici sono abbastanza comuni in tutte le specie. Scarse condizioni fisiche, del mantello, anoressia, perdita di peso sono ricorrenti nei soggetti colpiti.

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PRINCIPI DI TERAPIA Per una terapia efficace bisogna identificare e correggere i fattori predisponenti. La terapia di supporto in questi casi prevede il trattamento della dermatite perineale, la pulizia accurata della cute e del mantello e una buona analgesia con una associazione tra FANS (meloxicam 0,3-1 mg/Kg PO q12h) e un oppioide (buprenorfina 0,03 mg/Kg SC), un antibioticoterapia sistemica (enrofloxacina 5-20 mg/Kg PO q12h oppure marbofloxacina 2mg/Kg PO o SC) in caso infezioni cutanee profonde. La presenza di sabbia urinaria a livello vescicale può essere gestita in diversi modi. Il primo prevede la compressione vescicale sino a svuotarla manualmente (attenzione al dolore e alle rotture traumatiche della vescica) del suo contenuto. La soluzione migliore prevede é il lavaggio vescicale eseguito per via endoscopica (cistoscopia) in anestesia generale con minori rischi per il paziente e un migliore esito terapeutico. Il trattamento delle urolitiasi prevede diverse possibilità a seconda della localizzazione del calcolo, dello stato di salute del paziente ed della dimensione dei calcoli. La chirurgia é la soluzione di scelta in quanto i calcoli non si scioglieranno da soli. La cistotomia é il trattamento di scelta nel caso di calcolosi vescicale. Nel caso in cui si verifichi un’ostruzione “bassa” dell’uretra ed é possibile palpare e raggiungere il calcolo si può procedere alla sua disintegrazione, specialmente se costituito da molti piccoli granuli piuttosto che un corpo unico. Nel caso in cui il paziente sia in idronefrosi, la nefrectomia é la procedura di scelta (non scevra da rischi anche di complicazioni postoperatorie). Prima di eseguire la chirurgia é consigliabile effettuare la valutazione della funzionalità renale attraverso un’esame ecografico di entrambi i reni e un biochimico con particolare attenzione agli enzimi renali. I calcoli di minori dimensioni possono essere trattati mediante cateterizzazione e lavaggi per rimuoverli dalla vescica o dall’uretra. Questo trattamento non chirurgico prevede di somministrare fluidi in quantità per favorire l’escrezione mediante l’urina. Comprimere delicatamente la vescica permette di migliorare gli esiti della procedura. La cateterizzazione avviene in anestesia generale e la vescica viene irrigata con soluzione salina sterile (soluzione fisiologica) che viene poi ri aspirata sino a ridurre il più possibile la densità della sabbia urinaria. Uno dei più importanti fattori per ridurre e prevenire l’ipercalciuria e l’urolitiasi é incrementare l’assunzione di liquidi da parte dell’animale. Si può quindi procedere a stimolare al diuresi mediante fluidi somministrati per via endovenosa (o nell’impossibilità di una accesso venoso anche per via SC o PO). Somministrare vegetali freschi e l’aggiunta di una piccola quantità di succo di frutta senza aggiunta di zuccheri fa si che l’animale assuma maggiori volumi di acqua nelle 24 ore, incrementando quindi la diuresi. Al fine della prevenzione e altresì importante limitare l’assunzione di calcio con la dieta, riducendo la quantità di pellet e fieni ricchi di calcio. L’eventuale somministrazione di vitamine e sali minerali deve essere interrotta. L’esercizio fisico e il pascolo su erba fresca incrementano la sete e l’assunzione di maggiori quantità di acqua. Secondo alcuni autori la somministrazione di Citrato di potassio svolgerebbe azione di prevenzione nei confronti della formazione uroliti di ossalato di calcio (Conigli 33 mg/Kg PO q8h, Cavia 10-30 mg/Kg PO q12h). I sali di citrato sono altamente solubili e legati al calcio riducono la concentrazione urinaria di ossalato di calcio. Il citrato di potassio é anche una alcalinizzante delle urine che aiuta ad aumentare la solubilità dell’ossalato di calcio che determina una riduzione della sedimentazione. La gestione a lungo termine include l’analisi delle urine eseguite con regolarità per verificare la comparsa di infezioni o la formazione di minerali ed Rx per verificare se si sono formati nuovi calcoli, da ripetersi ogni 6 mesi. UCCELLI CENNI DI ANATOMIA Il tratto urinario degli uccelli é anatomicamente semplice, con due reni, due ureteri e l’assenza della vescica urinaria. I reni sono organi pari e allungati, posti in posizione retroperitoneale nella parte posteriore della cavità addominale nella depressione renale, ovvero delle docce che si trovano tra le vertebre della regione lombosacrale e il sinsacro. La loro estremità craniale raggiunge i polmoni mentre con il loro margine posteriore arrivano al termine del sinsacro. Il rene negli uccelli ha dimensioni variabili in relazione alla specie considerata ed é suddiviso in tre porzioni: craniale, media e caudale. Queste sono suddivise l’una dall’altra da scissure. Sulla sua

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superficie ventrale é evidente la vascolarizzazione renale che decorre in solchi dedicati. Il rene é attraversato dal nervo sciatico e da alcuni nervi spinali. I reni sono sprovvisti i bacinetto renale ma, come i mammiferi presentano una zona midollare e una zona corticale. Nella parte corticale si riscontrano due tipi di nefroni: rettiliani e mammaliani (rispettivamente di primo e di secondo tipo). I nefroni rettiliani sono quelli più numerosi e occupano prevalentemente la zona periferica della corticale e sono caratterizzati dallo scarso sviluppo dell’ansa di Henle (ricordano quindi quelli dei rettili) e producono acido urico come prodotto finale dell’escrezione dell’azoto. I nefroni mammaliani (o di secondo tipo) sono meno numerosi e occupano prevalentemente la zona corticale a ridosso della midollare e possiedono una ben sviluppata ansa di Henle e producono urina come prodotto ultimo del metabolismo dell’azoto. I reni degli uccelli ricevono oltre il 50% del loro apporto ematico dal sistema portale renale, sangue venoso che proviene dall’intestino e dagli arti inferiori attraverso le vene iliache esterne ed interne, le vene ischiatiche e le caudomesenteriche. Infezioni a carico dei piedi, delle zampe e dell’intestino possono quindi determinare per via ematogena delle infezioni del rene. Le neoplasie o le infezioni renali possono causare stasi venosa degli arti inferiori o paralisi delle zampe per compressione del nervo sciatico. L’acido urico é prodotto nel fegato, trasportato per via ematica ed escreto principalmente per filtrazione glomerulare e secrezione tubulare. Le urine vengono raccolte dagli ureteri che si aprono nell’urodeo. da qui, mediante retroperistalsi, vengono sospinte nel retto dove avviene il riassorbimento dell’acqua e di alcuni elettroliti. Gli ureteri degli uccelli comprendono una parte renale e una pelvica. La prima corre sulla superficie ventrale del rene e riceve branche collaterali connesse alla midollare dei singoli lobuli renali. La parte pelvica invece si continua dalla parte renale e si stacca dal polo caudale del rene e sbocca sulla volta dell’urodeo, dorsalmente all’apertura delle vie genitali. PATOLOGIA Segni clinici associati alle Nefropatie: 1. Anomalie nell’emissione delle urine (Poliuria, anuria, oliguria): La normale quantità di urine

emesse nelle 24 h é estremamente variabile e dipende dalla specie, dall’età dell’animale, dalla dieta e dal momento fisiologico. Spesso i proprietari si presentano a visita lamentando che i loro animali fanno troppe urine, ma non sempre il proprietario percepisce le cose come realmente sono. Sta alla nostra esperienza clinica stabilire se la sintomatologia descritta é reale e patologica o fisiologica. In altri casi i proprietari lamentano che i propri animali fanno molte feci liquide, questo é il caso in cui vale la pena indagare per una possibile poliuria (i proprietari confondono spesso le urine e le feci degli uccelli). In caso di sospetta poliuria dovremo stabilire in base al volume e al colore se si tratta di urine o urati. La poliuria é considerata come un segno di nefropatia negli uccelli, anche se si notano spesso oliguria e anuria. La poliuria é caratterizzata da un reale e persistente aumento dell’emissione delle urine e dell’assunzione di liquidi (sete) e così come tale é un segno aspecifico che deve essere correttamente indagato clinicamente. La vera poliuria non prevede contemporaneamente l’aumento del volume di urati escreti. L’oliguria e l’anuria possono essere causate da diversi fattori extra urinari come la disidratazione, cloaciti, cloacoliti e neoplasie. A complicare il quadro inoltre, alcuni casi di nefropatie possono non determinare alcuna variazione nel volume o nella frequenza di emissione delle urine.

2. Polidipsia: La polidipsia é segnalata in concomitanza alla poliuria nelle nefropatie anche negli uccelli. La polidipsia però può essere essa stessa la causa della poliuria (per cause comportamentali o abitudini alimentari). Sta a noi capire, con accurata anamnesi e visita clinica se l’una sia la causa o l’effetto dell’altra.

3. Anomala colorazione delle urine o degli urati: come é noto, la variazione del colore delle urine o degli urati può essere indice di una patologia in atto. Con riferimento alle patologie urinarie la presenza di urine rossastro può essere indice di ematuria. Il sangue presente nelle urine può provenire dal tratto gastrointestinale, dall’ovidutto, dai reni, dai testicoli o dalla cloaca. Le patologie renali associate ad ematuria includono le neoplasie, le nefriti batteriche o virali e alcune forme di nefropatie tossiche. Urati rossi, rosati, o brunastri causati da emoglobinuria si riscontrano frequentemente in soggetti con intossicazione da metalli pesanti.

Sintomi associati a nefropatie:

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Molti dei sintomi associati a nefropatie negli uccelli sono simili a quelli presenti nei mammiferi includono letargia, anoressia, vomito e rigurgito, debolezza, disidratazione, aumento di volume dell’addome. Altri invece sono differenti come gotta articolare e viscerale, costipazione, dolore, in capacità di volare, ritardo dello sviluppo nei pulli allevati a mano. Il dolore e i sintomi neurologici a carico degli arti inferiori sono compatibili con insufficienza renale o meglio nefromegalia. Sintomatologia neurologica è causata da compressione diretta del rene sul plesso lombosacrale. Una diagnosi precoce di insufficienza renale è difficile poiché i sintomi sono spesso molto subdoli e a specifici. DIAGNOSTICA Acido urico L’aumento di valori plasmatici di acido urico possono essere indicativi di una nefropatia. L'iper uricemia così come tale però, non indica sempre un'insufficienza renale o una nefropatia. I valori dell’UA ematico aumentano quando la funzione renale é inferiore al 30%. La sintesi dell'acido urico avviene sia a livello epatico che a livello di tubuli renali. Negli uccelli, l’escrezione dell'acido urico avviene indipendentemente dal ritmo di assorbimento dell'acqua a livello tubulare. Anche se i valori di acido urico plasmatico vengono considerati come miglior indice di funzionalità renale, non è un dato sufficientemente sensibile come unico parametro per la valutazione del paziente nefropatico. BUN Negli uccelli l'azotemia ha scarsissimo significato nella valutazione della funzionalità renale. È invece un buon indice per determinare lo stato di idratazione del paziente. Creatinina La determinazione dei valori sierici della creatinina hanno scarso valore quale indice di funzionalità renale negli uccelli poiché sono in grado di eliminare la creatina prima della sua conversione in creatinina. Esame delle urine Negli uccelli l'escrezione renale consiste di urati densi bianco giallastri e una piccola quantità di urine liquide e incolori. Anche se l'esecuzione dell'esame delle urine non è così comune in medicina aviare, se ben eseguito é un test di elevato valore diagnostico. Una delle più grosse difficoltà che si incontrano e la separazione delle urine dagli dagli urati. Come per altre specie animali si va a valutare il pH, il glucosio, il sedimento, il colore e il peso specifico. La presenza di sangue o tracce di sangue può essere indicativo di nefropatia, anche in fase iniziale. Radiologia La valutazione radiografica del rene ci permette di valutare la presenza di nefromegalia, masse renali o calcificazioni del parenchima. Riscontro di questa anomalie indica la presenza di una nefropatia. Endoscopia L'endoscopia ci permette di visualizzare direttamente il rene come anche gli organi adiacenti. Indubbiamente è un importante mezzo diagnostico in caso di sospetta nefropatia. Una biopsia renale può darci buone risposte diagnostiche. PATOLOGIE NEGLI UCCELLI 1. NEFROPATIE Virali Molti virus sono in grado di causare delle nefropatie. I virus principali sono il polyomavirus, herpes virus, bornavirus, bronchite infettiva e molti altri. Batteriche

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La maggior parte delle nefropatie batteriche sono conseguenti a infezioni sistemiche. Con minore frequenza sono possibili infezioni batteriche ascendenti. Le lesioni renali che possa essere correlabili infezioni batteriche sono i granulomi, le nefriti interstiziali, le nefrosi e le glomerulopatie. I batteri principalmente coinvolti sono molti tra i quali stafilococchi, streptococchi, micobatteri, klebsiella, salmonella, Escherichia coli, e altri. Diagnosi di nefrite batterica può essere supportata da esami delle urine, urocoltura ed esami batteriologici, e biopsie renali. Micotiche Le nefriti micotiche sono rare ma possibili. 2. INTOSSICAZIONI Gli eccessi di vitamina D3 sono una della principali cause di nefropatia negli uccelli da gabbia. E’ caratterizzata da poliuria e da nefrosi diffusa che può essere confermata dall’istologia dell’organo dopo prelievo bioptico o all’esame autoptico. Le intossicazioni a metalli pesanti e le aflatossicosi e la mioglobinuria da danno muscolare sono associate a nefropatie. L’allopurinolo può essere tossico nelle poiane coda rossa. negli uccelli da gabbia é stata segnalata poliuria in seguito alla somministrazione di medrossiprogesterone e glucocorticoidi. Un’anamnesi di poliuria associata a supplementazione di vitamina D3 o esposizione a metalli pesanti (per lo più zinco) può far formulare un sospetto i insufficienza renale da confermare eventualmente con biopsia renale. In questi casi alla terapia di supporto dobbiamo associare degli agenti chelanti. 3. IPOVITAMINOSI A L’ipovitaminosi A é una delle cause di insufficienza renale. L’ipovitaminosi A determina ipercheratinizzazione degli epiteli e la metaplasia che avviene a carico di ureteri e dei dotti collettori può determinare l’insorgenza di ostruzione ureterale e insufficienza renale post renale. 4.GOTTA Gotta articolare e viscerale sono repeti comuni nelle specie di uccelli da gabbia e da voliera sono da attribuire a una malattia renale. La gotta é il risultato degli elevati livelli di acido urico ematico circolanti. Gli uccelli con gotta articolare possono essere portati a visita per zoppia, dolori articolari, articolazioni gonfie, riluttanza al movimento, in capacità di volare. La gotta viscerale viene raramente diagnosticata And mortem poiché il segno clinico più comune in corso di gotto viscerale é la morte improvvisa, tutta da un breve periodo con poliuria e anoressia. Da un punto di vista diagnostico l’aumento dei valori dell’UA non indicano la presenza di gotta (anzi, molti pazienti affetti hanno valori normali di UA) ma solo di una patologie renale in atto. I pazienti affetti da gotta hanno valori elevati di CK e di AST. Uno dei principali aiuti alla diagnosi é la citologia delle tumefazioni e masse articolari, volta a dimostrare la presenza di urati. La radiologia ci permette di evidenziare delle calcificazioni o aumenti di radiopacità dei reni, articolazioni o dei tessuti molli. La diagnosi post mortem è molto più agevole perché permette di evidenziare la presenza di urati sulle superfici sierose degli organi interni per lo più fegato, pericardio, milza e il rene stesso. Ogni processo patologico a carico del rene in grado di determinare iperuricemia é potenzialmente in grado di causare gotto viscerale o articolare. La gotta prevede delle cause renali o extralegali. Le cause renali vedono come potenziali cause le ostruzioni ureterali, la disidratazione, le malattie tubulari renali e le nefropatie virali o batteriche. Le cause extrarenali, oltre alle cause ereditarie, prevede le diete ricche di proteine, l’eccesso di calcio delle dieta, diete con squilibri di sodio e potassio ed ipervitaminosi di vitamina A, D3, B e carenze di fosforo e magnesio. Il trattamento della gotta, negli uccelli come nei mammiferi, prevede l’uso di allopurinolo, colchicina e diete con bassi livelli di proteine oltre alla trattamento specifico della nefropatia sottostante. PRINCIPI DI TERAPIA IN CORSO DI NEFROPATIA 1. Fluidoterapia: La disidratazione, se non trattata adeguatamente, é in grado di aggravare

rapidamente la malattia renale. Questo avviene soprattutto perché l’acido urico viene eliminato prevalentemente per secrezione tubulare indipendentemente dallo stato di idratazione dell’animale. L’acido urico così prodotto ed escreto nei tubuli renali senza essere rimosso dalla diuresi causa l’accumulo di urati nel rene, aggravando la condizione. La fluidoterapia può

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essere eseguita per via EV, IO o SC o nel caso in cui non si riuscisse a somministrare per altra via, anche per via orale (risultati alternanti). Il mannitolo e la furosemide possono aumentare la diuresi in animali aurici o oliguria.

2. Antibioticoterapia: a seconda dell’agente eziologico e delle condizioni cliniche dell’animale possono essere somministrati degli antibiotici non nefrotossici. Poiché si stima che circa il 50% delle nefriti sia di natura batterica, l’antibioticoterapia é uno step importante della terapia in corso di insufficienza renale negli uccelli.

3. Controllo dell’iperuricemia: Nel caso in cui i dimostri l’iperuricemia può essere usato l’allopurinolo in associazione alla fluidoterapia al fine di ridurre la produzione di acido urico e aumentare la sua eliminazione.

4. Dieta ipoproteica: una iniziale alimentazione forzata con una dieta da imbecco con bassi livelli di proteine può essere sufficiente per stabilizzare una paziente con nefropatia confermata o sospetta. Una volta stabilizzato l’alimentazione con una dieta scarsa di proteine migliora la prognosi, specialmente nei soggetti con nefropatie croniche.

RETTILI CENNI DI ANATOMIA L’apparato urinario dei rettili consiste nei reni ognuno dei quali collegato alla vescica attraverso un uretere. A seconda della specie, la vescica urinaria può essere presente e l’urina può immettersi in cloaca attraverso l’uretra. Come negli uccelli non vi sono orifizi esterni separati, ma un unica grande cavità che é la cloaca che raccoglie i prodotti di scarto provenienti sia dalle vie urinarie che dal canale alimentare che vengono poi eliminati dall’ano. Anche nei rettili la cloaca é suddivisa in tre porzioni: il coprodeo (la prima), l’urodeo e il proctodeo. la parte media (l’urodeo) riceve il prodotti della vescica urinaria o dell’uretra e delle vie genitali maschili o femminili. In alcune specie le vie urinarie e le vie genitali si fondono prima di entrare nell’urodeo mentre in altre specie entrano separatamente. Nel proctodeo invece si raccolgono i prodotti eliminati dalle vie genito urinarie e digerenti prima di essere espulsi all’esterno. Sauri Nella maggiorate dei sauri i reni sono posti nella parte prossimale del canale pelvico. I reni sono organi pari, allungati e appiattiti dorso-ventralmente. Alcuni sauri hanno una vescica completa che si connette con l’urodeo attraverso l’uretra e ricevono le urine dal rene attraverso l’uretere, altri invece hanno vesciche urinarie rudimentali che non sono in connessione diretta con gli ureteri. Altri sauri non hanno la vescica. Ofidi I reni sono organi pari, appiattiti e allungati che contengono 25-30 lobuli. In alcune specie non presentano lobuli. il rene destro si trova cranialmente rispetto al rene sinistro. Gli ofidi non sono dotati di vescica urinaria e il rene é collegato con l’urodeo attraverso gli ureteri e le urine vengono raccolte a livello del colon distale e del tratto distale degli ureteri. Cheloni I reni sono organi pari che si trovano nel celoma caudale, ventralmente alla colonna vertebrale sotto il carapace. hanno una forma appiattita, sono lobulati e simmetrici. Gli ureteri originano dal rene e come nei mammiferi si immettono direttamente nella vescica che é connessa con la cloaca attraverso l’uretra. La vescica può avere un corpo unico o avere delle estroflessioni (vesciche accessorie) laterali. I reni dei rettili non hanno una pelvi come nei mammiferi e non sono suddivisi in una zona midollare e una zona corticale. Rispetto ai mammiferi hanno un numero molto limitato di nefroni e, rispetto agli uccelli, sono anche più corti. I nefroni dei rettili non sono provvisti di Ansa di Henle per cui non possono produrre urine ipertoniche. i rettili devono quindi mettere in atto altri sistemi per il riassorbimento dell’acqua.

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SINTOMATOLOGIA E PRESENTAZIONE CLINICA Quando ci vengono portati a visita dei pazienti per cui sospettiamo una malattia renale é d’obbligo cercare di stabilir mese si tratta di una malattia renale acuta o di una patologia cronica. Raramente si tratta di fenomeni acuti ed in questi casi gli animali vengono presentati con depressione improvvisa (deve essere realmente improvvisa e non il proprietario che si é improvvisamente accorto che l’animale ha un problema), anoressia e mancata emissione di urine o urati. dovremo indagare sulle condizioni igieniche dell’allevamento (cause infettive di nefropatia), recente esposizione a tossine (es. gentamicina ed elevati livelli di vitamina D3 della dieta-integrazione), deprivazione dell’acqua e grave disidratazione. Gli animali che soffrono di patologie renali croniche sono spesso stati malgestiti per lunghi periodi. L’uso regolare di vitamina D3 somministrata nella dieta come “palliativo” alla corretta esposizione alla luce solare può causare nefrocalcinosi. I pazienti con nefropatie croniche tendono ad avere una lunga storia clinica di scarsa condizione corporea, appetito capriccioso e letargia che può perdurare da settimane o addirittura mesi e molti pazienti vengono presentati disidratati. Solo raramente i proprietari riportano quale sintomatologia clinica la poliuria e la polidipsia. Visita clinica In tutti i casi é sempre consigliata una visita clinica accurata e si consiglia l’attento monitoraggio del peso. Il paziente rettile con una grave nefropatia viene generate portato a visita con grave depressione e debolezza. in caso di patologie acute il paziente può anche essere in discrete/buone condizioni generali (in quanto l‘evento acuto non fa in tempo a modificare l’aspetto corporeo) e tende a non registra perdite di peso importanti. I segni clinici compatibili con uno stato i disidratazione consistono nella perdita di elasticità cutanea, riduzione delle secrezioni salivari e oculari mentre é meno frequente l’edema faringeo. nei pazienti le cui dimensioni lo permettano é possibile la palpazione dei reni per via transcloacale, permettendoci di stabilire le dimensioni, la forma e i margini del parenchima degli organi. Una marcata nefromegalia può causare fenomeni di costipazione e prolasso della cloaca. DIAGNOSTICA Anche se la loro attendibilità non é sempre così utile alla diagnosi, un prelievo ematico per l’esecuzione di un biochimico completo é uno step importante nella diagnosi delle nefropatie. Ematologia nei soggetti disidratati si ha spesso l’aumento dell’ematocrito. Dobbiamo sempre tenere presente che in corso di nefropatia cronica si ha spesso una anemia non rigenerativa che può mascherare l’emoconcentrazione. L’infiammazione e le infezioni acute possono causare grave eterofilia ed azzurrofilia. In corso di nefropatie croniche possiamo avere anche moderata leucocitosi senza una monocitosi ma, nei rettili tenuti costantemente a temperature al di sotto del loro OTR possono avere scarsa risposta del sistema immunitario con una risposta leucocitaria inappropriata, anche in corso di gravi infezioni. Biochimica In molti rettili l’urea e la creatinina sono entrambe variabili sia nella produzione che nell’escrezione per cui la loro utilità é praticamente nulla. In alcuni cheloni l’urea (BUN) ha una ruolo osmotico e la i suoi livelli possono essere usati come indice di disidratazione. Nella maggior parte dei rettili il prodotto ultimo del metabolismo azotato é l’acido urico. in condizioni di ridotta secrezione di acido urico (es. grave disidratazione) i suoi livelli plasmatici possono aumentare rapidamente. In corso di grave nefropatia l’amento dei livelli di acido urico avviene quando il danno renale é già avvenuto. All’aumentare della sua concentrazione aumenta anche la possibilità che possano formarsi e depositarsi cristalli di acido urico livello dei tessuti molli causando gotta viscerale e gotta articolare. In corso di danno renale acuto si ha anche l’aumento dei livelli di CK, AST e LDH ma la loro distribuzione in altri distretti dell’organismo fa si che questi parametri non siano utili come marker specifico del danno renale. In caso di grave danno glomerulare si ha un’aumento della perdita di albumine attraverso le urine il che determina ipoalbuminemia ed edema.

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Il rapporto calcio:fosforo é un indicatore affidabile di insufficienza renale. Nei rettili in buono stato di salute questo rapporto é > 1, mentre é < 1 in caso di insufficienza renale. Anche alcuni elettroliti come il Na, il K e il Cl possono essere indici di insufficienza renale, in particolare l’iperkaliemia. Nei casi sospetti insufficienza renale, é sempre consigliabile eseguir una biopsia renale per raggiungere la diagnosi certa. Esame urine E’ un esame meno utile nei rettili rispetto ai mammiferi. il rene dei rettili non può concentrare le urine per cui il Ps ha un significato limitato per la valutazione della funzionalità renale. inoltre, le urine prima di essere espulse devono passare attraverso la cloaca (urodeo) prima di entrare nella vescica per cui le urine presenti in vescica sono quasi sempre non sterili. Nonostante alcuni svantaggi, le urine dei rettili possono essere usate per eseguire dei citologici per individuare delle infezioni o delle infiammazioni. Radiologia Data la loro posizione nel canale pelvico, non in tutte le specie di rettili i reni sono facilmente apprezzabili alle radiografie. Ciò nonostante le proiezioni LL e VD/DV sono utili in corso di nefromegalia. Le radiografie sono in grado di svelare anche mineralizzazioni dei tessuti molli così come la presenza di uroliti radiopachi. nei sauri, gli unici organi che risiedono nel canale pelvico sono l’intestino e i reni, per questo motivo, in caso di nefromegalia abbiamo ostruzione extramurale del colon con conseguente costipazione. in alcuni casi può essere indicato l’uso del contrasto negativo (5-10ml di aria immessa in cloaca) per evidenziare con maggior dettaglio il rene. contrastografie del rene possono essere ottenute iniettando 800-1000 mg/Kg di ioexolo ed eseguite radiografie seriali a 0-0,5-2-5-15-30 e 60 minuti con l’animale mantenuto a temperatura ottimale. Ecografia In molte specie di rettili é possibile eseguire delle ecografia del rene usando delle sonde da 7,5-10 MHz che ci permettono di apprezzare la struttura del parenchima come anche la presenza di mineralizzazioni, cisti renali ed altre alterazioni a carico dell’organo. La presenza del baino può complicare la procedura ma esistono alcune finestre utili alla visualizzazione del rene. in alcuni casi (quando le dimensioni lo permettono) é possibile usare anche delle sonde transrettali. Vista la copertura di squame é consigliabile usare grandi quantità di gel, così come il suo pre riscaldamento. Endoscopia é possibile eseguire sia endoscopie transrettali (cloacoscopie) che celioscopie. Le prime anche s non ci permettono di visualizzare direttamente il rene ci permettono di percepire la sua organomegalia e l’ostruzione extramurale. La celioscopia invece, anche se necessità di molta pratica per essere eseguita con sicurezza, ci permette non solo di vedere l’organo ma anche di eseguire delle biopsie, fondamentali per la diagnosi certa. PATOLOGIE NEI RETTILI 1. GOTTA RENALE Una patologie che si riscontra con una certa frequenza nei rettili é la gotta renale che é causata dalla deposizione di acido urico a livello di tessuti molli. A seconda delle specie di rettili presi in considerazione, possono variare i livelli di acido urico escreti come prodotto finale metabolismo delle proteine ed è strettamente legata all'ambiente naturale animale. La causa della deposizione dei giurati a livello tissutale è una disfunzione renale. Le lesioni gottose precoci consistono nella deposizione di cristalli di acido urico nelle cellule epiteliali dei tubuli con successiva deposizione di cristalli attorno il centro di deposizione originario. I tofi gottosi sono sostanzialmente degli accumuli di acido urico a livello tissutale circondati da cellule infiammatorie costituite da eterofili e nei casi più gravi macrofagi e cellule multinucleari giganti. La dieta non corretta è uno dei fattori predisponenti la malattia. Uno degli esempi classici sono le diete a base di proteine animale fornite ai rettili erbivori (es. iguana, testudo, ecc..). Nei coccodrilli la gotta sembra poter essere causata da ipovitaminosi A. Anche la moderata disidratazione cronica

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sembra essere in grado ci compromettere la funzione renale determinando la gotta. Oltre ai fattori alimentari anche l’esposizione a tossine (es. farmaci nefrotossici come al gentamicina) sembra poter causare la gotta nei rettili. 2. IPOVITAMINOSI A L’ipovitaminosi A può causare metaplasia squamosa dell'epitelio mucoso renale. La metaplasia squamosa può coinvolgere i dotti collettori renali, e l'accumulo di cellule corneificate squamose é in grado di causare l'ostruzione parziale dei dotti con la formazione di spazi cistici. La metaplasia squamosa e l’ipercheratosi dei tubuli renali diminuisce la clearance renale degli urati. In seguito all’iperuricemia può avvenire la precipitazione di cristalli di acido urico e lo sviluppo di tofi articolari in vari organi. 3. ESPOSIZIONE A TOSSINE uno degli effetti collaterali dell’uso delle gentamicina nei rettili é la nefrotossicità, specialmente nei serpenti. I serpenti a cui viene somministrato elevata dose di gentamicina sviluppano gotta viscerale e necrosi tubulare. In questi soggetti è possibile ritrovare il tofi gottosi a livello delle si è rose del pericardio e del parenchima renale epatico splenico e polmonare. 4. MALATTIE INFETTIVE Molte malattie infettive sono in grado di compromettere la funzione renale nei rettili. Non solo virus e batteri ma anche protozoi, sono in grado di causare sia per via ematogena che per via retrograda delle infezioni renali tali da compromettere la funzionalità dell’organo con comparsa di sintomatologia. Alcuni protozoi (Coccidiosi, Entamoeba invadens ed E. histolytica) possono causare infezioni del colon che, sia per via ascendente che per via ematogena possono causare nefropatie. Tra i batteri, quelli più insidiosi sono i gram negativi. Essi, per lo più in corso di sepsi o di batteriemia conseguente ad infezioni di altri distretti, sono in grado di diffondere al rene causando nefropatia. Anche l’immunosoppressione causata dalle basse temperature a cui alcuni rettili sono esposti o le temperature inadeguate durante il letargo possono favorire le nefropatie causate da batteri che, in assenza di un sistema immunitario efficiente trovano il via libera per la colonizzazione del rene. Anche alcuni virus come IBD possono causare infezioni del rene. 5. MALATTIA RENALE CRONICA La maggiorate dei rettili affetti da nefropatie, ha lesioni croniche a carico del tessuto renale e della sua fisiologia tali per cui nella maggiorate dei casi non é più possibile risalire alle reali cause. Spesso sono malattie che perdurano nel tempo e che sono paucisintomatiche. Queste lesioni croniche determinano spesso gradi variabili di necrosi a carico dei tubuli o dei glomeruli. i tessuti sono ispessiti e con colorazioni alterate (spesso sbiaditi). In molti casi sono presenti depositi di urati e tofi gottosi. Spesso l’eziologia é multifattoriale ed include diete inadeguate (eccessi di proteine), disidratazione cronica, carenze ed eccessi vitaminici. 6. INFEZIONI VESCICALI Nei rettili sono spesso descritti dei calcoli urinari o uroliti. Gli uroliti sono localizzati per lo più a livello della vescica delle specie che ne sono provviste ma non é così insolito ritrovarli anche a livello di ureteri (la parte distale dell’uretere dove di solito vengono accumulate le urine) o di cloaca delle specie che non ne sono provviste. La causa della formazione di uroliti é sconosciuta anche se alcuni autori riportano come agenti eziologici le carenze alimentari (es. vitamina A e D), eccessi proteici della dieta, presenza di ossalati, infezioni batteriche e residui delle suture. Tutti questi fattori possono essere dei nidus sui quali, in modo concentrico, si depongono i materiali di deposito sino a formare calcoli di dimensioni variabili. Il segno clinico comune in corso di urolitiasi é la disidratazione. Nelle tartarughe é possibile la retropulsione vescicale di uova completamente formate che, non potendo più essere espulse, fungono da nidus per la deposizione di materiale. Generalmente, le urolitiasi non danno evidenti segni e sintomi clinici specialmente se di piccole dimensioni. Spesso sono dei reperti occasionali scoperti all’esecuzione di Rx eseguite per altri motivi. Quando presenti, i segni clinici comuni sono anoressia, costipazione, ritenzione delle uova, disuria e scarso incremento ponderale. Mano a mano che i calcoli aumentano di diametro, la loro

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superficie ruvida può causare irritazione della mucosa vescicale causando irritazione con ematuria, ed ispessimento della parete vescicale. LETTURE CONSIGLIATE 1. Avian Medicine and Surgery. Altman R.B., Clubb S.L., Dorrestein G.M., Quesenberry K., eds.

1997. W.B. Saunders Co., Philadelphia, PA.; 2. Ferrets, Rabbits, and Rodents: Clinical Medicine and Surgery, 2nd ed. Quesenberry K.E. and

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ALESSANDRO VETERE Med Vet, Milano

INTRODUZIONE:

Esistono pochi dati riguardanti l'attività ormonale sessuale nei rettili ed i relativi meccanismi di

regolazione; questo probabilmente a causa dell’enorme variabilità interspecifica e della grande

biodiversità che caratterizza i loro habitat, caratteristiche difficilmente riproducibili in cattività e ricche

di variabili di difficile interpretazione. I rettili sono la prima intera classe di vertebrati che si riproducono

attraverso fecondazione interna. Lo sviluppo di tale fecondazione dev'essere strettamente collegata

all'attuazione di specifici modelli comportamentali per facilitare la copula; questi comportamenti, per

lo più considerati "ancestrali" sono presenti ancora oggi ed i loro meccanismi fisiologici non sono ancora

stati pienamente compresi.Dove studiato, (la maggior parte dei lavori sono stati effettuati su specie del

genere Anolis spp.). il comportamento sessuale maschile nella maggior parte dei sauri è strettamente

correlato ad un aumento del volume testicolare con aumentata secrezione di ormoni androgeni ed il

loro conseguente aumento a livello plasmatico[Moore MC, Lindzey J. 1992]. In diverse specie di

lucertole, la castrazione del maschio provoca la perdita del comportamento sessuale; la successiva

somministrazione di androgeni esogeni ne comporterà la restituzione degli atteggiamenti riproduttivi

[Lindzey J, Crews D. 1986]. [Lindzey J, Crews D, 1988].Tale studio ha inoltre dimostrato che la

somministrazione di progesterone esogeno in maschi interi di Cnemidophorus inornatus ha mantenuto

inalterato il comportamento riproduttivo, mentre lo ha ripristinato nei soggetti precedentemente

castrati. Nelle Anolis carolinensis la ricettività della femmina matura nei confronti del maschio è

strettamente correlata alla maturazione follicolare. Solo durante la tarda metà della follicologenesi,

quando è presente almeno un grande follicolo preovulatorio, la femmina sarà recettiva nei confronti

dei corteggiamenti del maschio [Crews D. 1941] , [Jones RE, Guillette Jr. LJ, Summers CH, Tokarz RR,

Crews D.; 1983]. [Noble GK, Greenberg B. 1941]. Le femmine che hanno subito un intervento di

ovariectomia risultano non essere più recettive, mentre somministrando 17 B estradiolo o

progesterone verrà ripristinato tale atteggiamento. Per quanto riguarda alcuni esemplari di Iguana

iguana, il trattamento con GnRH umano o aviare ha reso i soggetti maschi aggressivi con i conspecifici

dello stesso sesso, mentre le femmine sono state indotte alla ricerca di un luogo dove deporre, anche

fuori stagione riproduttiva; il GnRH in questa specie ha probabilmente un meccanismo d'azione

paragonabile a quello dei mammiferi [Whittier JM, Tokarz RR; 1992]. Lo stesso studio dimostra inoltre

che nelle Anolis sp. il comportamento sessuale femminile è inibito dalla somministrazione di

prostaglandine .La nascita della terrariofilia ha reso reperibili sul mercato svariate specie di rettili e

anfibi; l'importazione in continenti o paesi lontani da quelli di origine ha reso difficile la replicazione dei

parametri adeguati allo svolgimento delle funzioni organiche naturali, tra le quali la riproduzione. E'

segnalato in letteratura l'uso di metodiche che prevedono l'utilizzo dell'elettrostimolazione come

metodo per ottenere un adeguato quantitativo di seme in soggetti riluttanti all'accoppiamento. Per la

realizzazione dello studio sono stati utilizzati 20 esemplari maschi adulti di Eublepharis macularius; 10

soggetti sono stati stabulati per un periodo di due settimane ad una temperatura di circa 20° C, mentre

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i rimanenti 10 soggetti a 29°C .Gli animali sono successivamente stati anestetizzati usando come gas

Isofluorano (induzione 5%, 1L ossigeno/min; mantenimento: 2.5%, 1 L ossigeno).Per collezionare il

seme è stata poi utilizzata una sonda di 4,5 cm di lunghezza e 3 cm di diametro, connessa

all'elettrostimolatore. Tale sonda è stata inserita nella cloaca e sono state erogate 15 scariche di 1 Volt

e 15 scariche di 2 volt per un totale di 3 cicli fino all'ottenimento del seme. Il liquido raccolto è stato poi

sottoposto a microscopia ottica per l'osservazione morfologica e quantitativa degli spermatozoi. Sette

esemplari hanno eiaculato durante la procedura (35%, 95% intervallo di confidenza: 14-56), la maggior

parte degli animali invece durante la prima serie di scariche (71.4%; 28.6%, dopo la seconda serie). I

dati statistici confrontati non hanno dimostrato differenze significative tra i due gruppi di animali

stabulati a diverse temperature. Lo studio ha concluso che per la specie citata l'elettrostimolazione è

un valido metodo per indurre l'eiaculazione [Funche et al., Icare 2015]. Un approccio combinato tra

elettrostimolazione e massaggio cloacale manuale è stato utilizzato con successo in esemplari non

anestetizzati di Geochelone elephantopus e Geochelone gigantea [Durrant, unpublished data, 1982].

L'utilizzo di FSH suino come induzione all'ovulazione è stato documentato in uno studio condotto su

esemplari di Anolis carolinensis di sesso femminile [Jones R.E. et. al., 1988]. Tale studio ha previsto

l'utilizzo di due gruppi divisi per coppie: al primo sono state inoculate sottocute due dosi di FSH alla

concentrazione di 25 microgrammi a 7 ore di distanza ad un esemplare e 0,05 ml di soluzione salina

all’altro. Successivamente sono stati effettuati campionamenti a 6,12,18,24 ore nel primo gruppo ed a

6,9,15,18 ore nel secondo. Sono stati valutati i risultati a 12 ed a 15 ore post trattamento: a 12 circa

metà ha ovulato, a 15 la maggior parte dei soggetti. Del gruppo di controllo solo 1 su 40 ha ovulato.

Istologicamente si è registrata nella regione dello stigma una netta separazione tra le cellule della

granulosa, che inoltre presentavano nucleo tondo, chiaro, con uno o due nucleoli prominenti.Inoltre le

fibre collagene si presentavano lassamente intrecciate e la teca rigonfia, presumibilmente a causa di un

accumulo di fluido extracellulare. La maggior parte di tali alterazioni sono sovrapponibili a quelle

riportate nei mammiferi, confermando l'ipotesi che l'FSH possa avere un ruolo fondamentale

nell'indurre l'ovulazione nei rettili.

Caso clinico

Una coppia di anni 3 di Timon lepidus (lucertola ocellata) è stata sottoposta alla visita clinica poiché

riluttante all’accoppiamento. Entrambi i soggetti sono stati acquistati all’età di 3 mesi e stabulati

separatamente fino alla maturità sessuale in una teca di 80 cm(L) x 50cm x 50 cm(h). A circa due anni e

mezzo e nel mese di Novembre sono stati entrambi sottoposti ad un letargo forzato (brumazione) di 5

mesi, ad una temperatura di 10°C di massima e 7°C di minima, con umidità relativa del 70%; anche la

frequenza dei pasti è stata inoltre gradualmente diminuita fino al digiuno completo entro l’inizio di

Dicembre. Durante i mesi di Gennaio e Febbraio i soggetti sono stati regolarmente monitorati per

quanto riguarda temperatura ed umidità ed è stata provveduta loro sempre acqua fresca. Il calo

ponderale registrato a fine febbraio è risultato essere del 4% per il maschio e del 3% per la femmina.

Nel mese di Marzo il range termico è stato progressivamente ripristinato fino a raggiungere una

massima di 32°C (hot spot) ed una minima notturna di 26°C, così come sono state aumentate anche le

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ore di esposizione alla luce. Anche l’alimentazione ha ripreso ad essere la stessa prebrumazione. Il

maschio è stato introdotto per primo nella teca della femmina, che da subito ha manifestato

atteggiamenti aggressivi nei suoi confronti. Il procedimento è stato successivamente invertito senza

risultati. Dopo numerosi tentativi e trascorso più di un mese dalla fine del letargo si è deciso di comune

accordo di sottoporre entrambi i soggetti ad una stimolazione ormonale con FSH esogeno. È stata

utilizzata follitropina alfa ottenuta con la tecnica del DNA ricombinante su cellule ovariche di criceto

cinese (Cricetulus griseus), utilizzata di routine in medicina umana nei pazienti affetti da ipogonadismo

o insufficienti livelli plasmatici di gonadotropine. Il protocollo ha previsto l’inoculo per via sottocutanea a

livello scapolare in entrambi gli esemplari di 1 UI ogni 12 ore per 3 giorni (ore 7.00 e ore 19.00); il dosaggio

è stato incrementato a 2 UI nei successivi due giorni mantenendo invariato l’orario di inoculo fino a 3 UI il sesto

ed il settimo giorno e 4 UI l’ottavo e il nono giorno. Il decimo ed ultimo giorno di terapia la follitropina alfa è stata

somministrata a 5 UI sempre ad ore 7.00 A.M. e 19.00 P.M. Già al 4° giorno di trattamento il proprietario ha

segnalato atteggiamenti riferibili all'attività riproduttiva del maschio nei confronti della femmina, la quale non

manifestava più un comportamento aggressivo nei suoi confronti. Tale comportamento è inoltre continuato nei

giorni successivi alla terapia. A 10 giorni dal trattamento il proprietario ha comunicato il decesso di entrambi gli

esemplari a causa di un errore gestionale (entrambi i soggetti sono stati stabulati al sole senza possibilità di riparo

dall’eccessivo calore) e si è quindi deciso di sottoporre entrambi i soggetti all'esame autoptico che ha confermato

la causa del decesso. L'esame istologico è stato effettuato su campioni di fegato, reni e testicoli dell’esemplare

di sesso maschile mentre sono state campionate entrambe le ovaie dell’esemplare di sesso femminile. I tubuli

seminiferi apparivano repleti e distesi da accumulo di numerose cellule della linea germinativa e nel lume vi era

una notevole presenza di spermatogoni e spermatidi, nei condotti efferenti dell’epididimo sono presenti

spermatozoi in maturazione; il 90% degli epatociti è caratterizzato dalla presenza di un grosso vacuolo

otticamente vuoto, suggestivo di lipidosi epatica; il rene apparentemente normale mostrava il segmento sessuale

multifocalmente e diffusamente aumentato di volume. La femmina è risultata essere in superovulazione.

CONCLUSIONE

In conclusione, nel caso clinico preso in esame, è verosimile che l’incremento dell’attività testicolare e del

segmento sessuale del rene siano riconducibili alla somministrazione di FSH. La presenza di lipidosi epatica in

molte specie di rettili è associata all’incremento del metabolismo epatico durante l’attività riproduttiva; tale

alterazione sembrerebbe dunque riferibile all’effetto della follitropina alfa. Quindi possiamo affermare che,

almeno su questi organi presi in considerazione, non è stata evidenziata alcuna tossicità legata alla

somministrazione della gonadotropina nel breve periodo. Inoltre questo caso clinico potrebbe rivelarsi un utile

spunto per poter adottare nuove terapie per il trattamento di patologie legate alla riproduzione. In un futuro

non troppo lontano l'utilizzo dell'FSH potrebbe estendersi ad altre specie minacciate, come ad esempio cheloni

e ofidi (la cui riproduzione in cattività risulta essere talvolta complicata).

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DANILO GRANDE MED VET, ROMA

CASO DI IPERTROFIA GASTRICA IN UN CONIGLIO DOMESTICO

Abstract

Un coniglio domestico adulto è stato portato in visita per un controllo annuale. Alla visita clinica

presentava sintomi aspecifici quali perdita di peso, feci poco formate e scolo nasale bilaterale. I

primi accertamenti effettuati hanno evidenziato un quadro di anemia cronica, ipoalbuminemia e

iperglobulinemia. In seguito alla persistenza dei sintomi gastroenterici si è deciso di effettuare un

esame ecografico che ha evidenziato un ispessimento gastrico pari al doppio dei valori fisiologici.

L'esame isto-patologico del campione bioptico esaminato ha messo in evidenza un' alterazione della

normale architettura della mucosa gastrica con presenza di infiltrato linfoplasmacellulare e un

contemporaneo ispessimento della tonaca muscolare, sia circolare che longitudinale, senza

coinvolgimento del plesso mioenterico. Il coniglio è stato sottoposto a eutanasia 30 giorni post

chirurgia in seguito al peggioramento delle condizioni generali. Una valutazione post mortem non è

stata possibile. Questo caso appare essere il primo caso descritto in bibliografia di ipertrofia gastrica

associato a una gastrite linfoplasmacellulare in un coniglio domestico.

Parole chiavi: coniglio domestico; stenosi pilorica; ipertrofia gastrica; gastrite interstiziale

linfoplasmacellulare

Un coniglio domestico (Oryctolagus cuniculus), maschio intero, di 2 anni di età, è stato portato in

visita per un controllo annuale. L'animale era regolarmente vaccinato e correttamente alimentato. Il

proprietario riferiva che da circa un anno il coniglio presentava rinite bilaterale responsiva a

antibiotico terapia, ma recidivante una volta interrotta. Al momento della visita il coniglio si

presentava in buono stato nutrizionale, scolo bilaterale e feci di forma irregolare e consistenza

diminuita. All'auscultazione non si apprezzava alcuna alterazione dei campi polmonari in entrambi

gli emitoraci. L'esame del cavo orale non ha mostrato nessuna alterazione a carico dei denti. L'esame

delle feci non ha evidenziato presenza di parassiti intestinali. In accordo con il proprietario si è

deciso di effettuare un esame ematochimico in attesa di programmare una rinoscopia. Le analisi

hanno mostrato un quadro di lieve anemia, ipoalbuminemia e iperglobulinemia con aumento delle

alfa e beta globuline. In seguito alla persistenza di feci alterate si è deciso di procedere con una

valutazione ecografica dell'addome. L'ecografia ha evidenziato un aumento di spessore della parete

gastrica con riduzione dello spazio endoluminale. In seguito l'animale è stato trattato con terapia per

gastrite cronica con ranitidina (3mg/kg po bid) e sucralfato (25mg/kg po bid) per 14 giorni. Al

controllo ecografico, nonostante i proprietari riferissero un miglioramento clinico, lo spessore

gastrico appariva invariato, cosi in accordo con i proprietari si è deciso di effettuare una laparotomia

esplorativa con biopsia del tratto interessato dalla lesione. L'animale è stato premedicato con

butorfanolo 0.1mg/kg intramuscolo e indotto con sevofluorano al 5% con ossigeno a 2L/min via

mascherina, successivamente è stato intubato alla cieca utilizzando un tracheotubo non cuffiato di

3.0 mm e mantenuto a 1,5L/min di ossigeno e tra 2% e 3% di isoflorano per tutto il tempo della

chirurgia. Una volta esteriorizzato lo stomaco è stata praticata una incisione a tutto spessore tra la

grande e la piccola curvatura includendo parte della porzione patologica e parte di quella sana; il

campione prelevato è stato messo in formalina (10%). Lo stomaco è stato successivamente suturato

utilizzando una tecnica introflettente a due strati con monofilamento 4-0. Il coniglio è stato tenuto

sotto osservazione per le 24h successive all'intervento ed è stata impostata una terapia analgesica-

antinfiammatoria con meloxicam-buprenorfina; la stessa è stata poi mantenuta a casa in attesa dei

risultati della biopsia effettuata, con la sola aggiunta di metoclopramide alla dose di 0,5mg/kg due

volte al giorno.

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L'esame istologico ha evidenziato una alterazione della mucosa gastrica in area antrale pre-pilorica

dominata da un quadro di gastrite interstiziale a carattere principalmente linfocitario, con aree di

totale cancellazione della componente ghiandolare del viscere, connettivizzazione interstiziale e

marcata iperplasia delle cellule parietali. Inoltre, si è osservato un allungamento delle cripte gastriche

e un aspetto pseudo cistico di altre. Anche a livello di passaggio mucosale dall'antro-corpo si è

osservato una iperplasia focale della mucosa gastrica con sollevamento delle pliche gastriche e

presenza di un minimo grado di displasia dell'epitelio stesso. Il quadro si accompagna da una gastrite

linfoplasmacellulare diffusa e severa, dove appare forte ed evidente l'attivazione del MALT.

In generale quindi si è osservato un ispessimento mucosale gastrico sia in senso relativo che

assoluto, con forte connotazione ipertrofica secondaria della tonaca muscolare circolare e

longitudinale (ipertrofia funzionale) secondaria alla gastrite cronica iperplastica.

L'animale nei controlli successivi ha mostrato un peggioramento progressivo delle condizioni

generali e una mancata risposta alla terapia medica mirata a ridurre la flogosi e aiutare lo

svuotamento gastrico. Inoltre le analisi di controllo hanno evidenziato un aggravamento del quadro

di anemia. In accordo con il volere del proprietario il paziente è stato sottoposto a eutanasia 30 giorni

post intervento chirurgico. Un esame autoptico non è stato possibile.

Sebbene l'ipertrofia pilorica è una patologia molto descritta in pediatria umana e in medicina

veterinaria1,12 pochi casi sono stati descritti nel coniglio domestico e nessuno di questo presenta un

iter diagnostico ante mortem.

DISCUSSIONE

In letteratura veterinaria è stato descritto ben poco riguardo la stenosi pilorica nel coniglio domestico.

Nel primo caso, riportato da Cardy R.H. Nel 1973 1 , un coniglio domestico di poche settimane di età è

deceduto con sintomatologia acuta e nei rilievi autoptici è stata evidenziata una dilatazione gastrica

con totale chiusura del lume pilorico; l'istologia del tratto interessato ha mostrato un ispessimento

importante dello strato muscolare pilorico. Simile alterazioni sono state descritte in seguito da

Weisbroth SH e Scher S.2 Nel loro studio gli autori avevano evidenziato all'esame autoptico in tre

giovani conigli, due di circa 3 mesi e uno di 2 anni di età, un aumento dello spessore gastrico della

regione pilorica con alterazioni istopatologiche in parte sovrapponibili a quelle descritte nel caso

clinico in questione, ma con assenza di gastrite interstiziale diffusa. I conigli presentavano inizialmente

sintomi simili di anoressia e perdita di peso preceduti da una interruzione nella defecazione. In tutti e

tre i casi la stenosi pilorica determinava una difficoltà di svuotamento gastrico e il rapido

deterioramento delle condizioni generali.

La stenosi pilorica è ad oggi una condizione patologica definita nel mondo della gastroenterologia con

il termine IPA (Ipertrofia Pilorica Antrale)13. Il termine IPA è usato per indicare un insieme di patologie

che nel corso degli anni sono state definite: sindrome della pilorogastropatia ipertrofica, sindrome

dell'ipertrofia dell'antro pilorico, gastropatia ipertrofica pilorica cronica, ipertrofia antrale e stenosi

pilorica. L'IPA è una condizione patologica infrequente nel cane e rara nel gatto, in cui l'ipertrofia della

tonaca mucosale e/o della muscolare a livello antrale e/o pilorico causano un ritardo dello svuotamento

gastrico e conseguente segni clinici13 . L'IPA è rilevata nel cane per lo più in soggetti adulti

appartenenti a razze brachicefale come: Lhasa Apso, Maltese, Pechinese, Shih Tzu, Bouledogue

Francese e Bulldog Inglese3,4,5,6,7,8,11,13 . Nel gatto è una condizione rara che colpisce generalmente

soggetti di razza Siamese nel primo anno di età associata a una ipertrofia della tonaca muscolare12.

Nel caso riportato il coniglio era stato portato in visita con sintomi aspecifici, solo le alterazioni della

forma delle feci potevano essere riferibili a una patologia gastroenterica sottostante e nonostante in

sede ecografica era gia evidente una importante alterazione dello spessore gastrico non vi era ancora

alcun segno clinico indicativo di stenosi pilorica. L'autore ipotizza che la spiegazione possa essere

nella tempistica della diagnosi effettuata, ma l'impossibilità di eseguire una autopsia post mortem non

permette di chiarire l'entità dell'ispessimento a carico delle restanti parti gastriche non sottoposte a

biopsia. Le diagnosi differenziale prese in esame in base ai dati raccolti pone l'attenzione tra l'IPA e il

leiomioma, quest'ultimo già descritto in altre specie,9,10 ma ancora mai riportato nel coniglio.

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ANNALISA SCUTO, Med Vet, Catania

INFIAMMAZIONE PURULENTA CAUSATA DA Fusobacterium varium IN UN RICCIO AFRICANO

(Atelerix Albiventris)

Introduzione

Il riccio africano (Atelerix albiventris) è un mammifero

proveniente dall’Africa centrale. Conosciuto come “riccio dal

ventre bianco” o “riccio dalle 4 dita”, è sempre più diffuso come

animale da compagnia.

Può raggiungere il peso di 250-600 gr (taglia inferiore rispetto al

riccio europeo, Erinaceus europaeus, il cui peso varia da 400 a

1200 gr).

Ha il muso allungato, occhi piccoli, arti corti ma efficaci nello scavare e coda vestigiale; la lunghezza del corpo

è di circa 25 cm.

La vita media è di 6-10 anni.

Presenta mascelle ben sviluppate e denti piccoli: gli incisivi sono taglienti e adattati per la prensione di piccole

prede; i canini sono piccoli e simili agli incisivi e ai premolari; i molari e i premolari sono piatti e larghi. I

denti sono a radice chiusa e crescita limitata e la formula dentaria è I 3/2, C 1/1, P 3/2, M 3/3 = 36. I denti da

latte erompono tra i 18 e i 23 giorni mentre i decidui alla 7° settimana. La dentizione si completa intorno alla

nona settimana di vita.

E’ un monogastrico ed è privo del cieco. Il riccio africano non va in letargo ma può andare incontro a

ibernazione se le temperature scendono sotto i 10°C circa. al di sotto di queste temperature possono andare

incontro a patologie respiratorie. L’umidità ideale è tra il 40% e 70 % . La normale temperatura rettale è di 35-

36 °C.

Un comportamento particolare del riccio è l’ anting: l’animale si cosparge di saliva nel momento in cui viene

in contatto con sostanze da odore o sapore nuovi o particolarmente forti. Il significato di tale comportamento

non è ancora chiaro ma si vantano diverse ipotesi: 1) produzione di odori molto forti che fungano da attrattori

per la riproduzione; 2) metodo di pulizia degli aculei; 3) che serva per ridurre la carica di ectoparassiti presenti

sulla cute, 4) o che serva per distribuire sostanze con funzione mimetica o dissuadente per proteggersi dai

predatori.

E’ un mammifero onnivoro/insettivoro. In natura si nutre di grilli, coleotteri, dermatteri, chiocciole e altri

piccoli invertebrati; ma all’occorrenza anche topini, carogne, radici, bacche e uova.

L’alimentazione in cattività del riccio africano è costituita da: insetti, vegetali, bacche, cibo commerciale per

gatti e ricci secco o umido: il secco è da preferire all’umido per evitare gengiviti e problemi dentali. In ogni

caso occorre valutare la qualità del cibo commerciale somministrato e le sue componenti analitiche.

Non si conoscono gli esatti fabbisogni nutrizionali per questa specie, ma certamente la dieta deve essere ad

alto tenore proteico e povero di grassi. Il rapporto Ca:P dovrebbe essere 1.2(1.5):1.0 per evitare stati carenziali

di calcio e malattia ossea metabolica (si manifesta soprattutto in diete strettamente insettivore).

L’obesità è una patologia molto frequente e per questa ragione è sconsigliata l’alimentazione ad libitum.

Fusobacterium spp. è un batterio gram negativo, non formante spore, anaerobio, facente parte della famiglia

Bacteroidaceae. Il genere comprende 13 specie che infettano l’uomo e diversi animali (Tab 1).

ORDINE Erinaceomorpha

FAMIGLIA Erinaceidae

SOTTOFAMIGLIA Erinaceinae

GENERE Atelerix

SPECIE albiventris

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Alcune specie di Fusobacterium sono commensali dell’orofaringe, del tratto gastroenterico e dell’apparato

genitale femminile nell’uomo; altre sono presenti nella flora microbica di scimmie (F. simae), cani e gatti (F.

rusii) e nel contenuto ciecale di alcuni anatidi (F. necrogenes).

La specie maggiormente isolata in medicina veterinaria è il F.

necrophorum, responsabile di infezioni necrotizzanti in ovini (lesioni

podali), caprini (stomatiti), bovini (ascessi epatici), suini (stomatiti),

equidi (dermatiti gangrenose) e responsabile della “jaw disease” nei

marsupiali appartenenti alla famiglia Macropodidae (es: canguri).

Il biovar maggiormente isolato di F. necrophorum nell’uomo e negli

animali è il tipo A, rinominato F. necrophorum necrophorum. Negli

equidi il responsabile delle lesioni associate alla cavità orale è il F.

equinum, il quale è molto simile dal punto di vista fenotipico al F.

necrophorum.

F. necrophorum e F. equinum sono fenotipicamente molto simili a F.

ulcerans, isolato da lesioni ulceranti. Interessante notare la stretta

somiglianza tra F. ulcerans e F. varium, i quali differiscono tra loro

solo per la capacità del secondo di ridurre nitrati in nitriti. Molti dei kit

che si trovano in commercio per l’identificazione degli anaerobi non contengono test per valutare la capacità

di riduzione dei nitriti e questo potrebbe essere responsabile di una mancata differenziazione di F. ulcerans e

F. varium a favore del primo.

F. varium è responsabile di coliti ulcerative, neoplasie al colon, ulcere da decubito e infezioni dell’apparato

respiratorio nell’uomo e di lesioni ulceranti e purulente nel cavo buccale e nell’apparato digerente di diversi

animali. Esami bioptici hanno evidenziato che F. varium invade muco e mucosa e si va ad annidare nelle cripte

similmente a quanto fa H. pilori.

La maggior parte dei Fusobacterium esacerbano la loro virulenza mediante la produzione di leucotossine. Il F.

varium non presenta il gene che permette la produzione di leucotossine e non sono stati identificati i suoi fattori

di virulenza. Si ipotizza che questa possa essere legata alla produzione di acido butirrico o capacità emolitiche

mediante la produzione di emolisina ma occorrono ulteriori studi per accertarlo.

F. mortiferum, F. ulcerans, F. equinum e in particolare F. varium si sono mostrati più resistenti rispetto ad

altre specie agli antibiotici.

Descrizione del caso

Spino, riccio africano (Atelerix albiventris) di 2 anni (età stimata), maschio di 360 grammi viene portato a

visita per disoressia presente da un mese e completa anoressia riscontrata negli ultimi 2-3 giorni.

I proprietari riferiscono che l’alimentazione quotidiana é a base di tarme, uova di quaglia sode, carote, pollo,

carne di manzo, pera e cibo commerciale umido per gatti. L’habitat é un terrario con fondo in truciolo di legno

di faggio e paglia, la temperatura della teca varia tra i 26 e 30 °C d’estate e circa 20°C in inverno.

I proprietari riferiscono un episodio di sindrome respiratoria verificatosi circa un anno prima, a pochi giorni

dall’acquisto dell’animale, curata con antibiotici.

L’esame obiettivo generale risulta nella norma con buon body condition score, mucose rosee e sensorio attivo.

L’esame obiettivo particolare presenta la porzione destra del muso tumefatta e occhio destro semichiuso.

L’esplorazione della cavità orale mostra la presenza di una neoformazione biancastra di consistenza solida in

corrispondenza dell’arcata mascellare destra.

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Viene eseguito l’esame radiografico che evidenzia rarefazione dell’osso zigomatico.

Viene prescritta: terapia antibiotica con clindamicina (10mg/Kg BID, PO), analgesica e antinfiammatoria con

meloxicam (0.2mg/kg SID, PO) e ranitidina (2mg/Kg BID, PO) in previsione dell’intervento di rimozione

della neoformazione.

Nei giorni antecedenti l’intervento l’animale è stato alimentato con Carnivore Care© e integrazione

multivitaminica.

Il protocollo anestesiologico adoperato prevede la premedicazione con dexmedetomidina (0.1mg/kg IM) e

ketamina (2mg/Kg IM) e analgesia con butorfanolo (0.05 mg/Kg SC); successivamente l’animale viene

intubato e il mantenimento del piano anestesiologico è garantito dalla somministrazione di isoflorano al 1.5%

in 1 L di O2.

Una volta anestetizzato il paziente si provvede al posizionamento di un apribocca per agevolare l’accesso alla

cavità orale. In sede operatoria si procede inizialmente con la pulizia dei tessuti con particolare attenzione

all’area circostante la massa. Durante questa procedura si evidenzia mobilità di un dente molare cranialmente

alla massa e si rende necessaria la rimozione di tale dente.

La massa asportata ha consistenza friabile e margini non netti. Terminata l’asportazione si effettuano lavaggi

con clorexidina al 4% e mediante uno specillo si verifica che non fossero presenti fistole.

La massa, il dente e i tessuti circostanti vengono inviati in laboratorio affinché venga eseguito esame citologico

e istologico. Prima di inviare i campioni al laboratorio la massa viene esaminata, rinvenendo un corpo estraneo

di probabile origine vegetale.

Alla fine dell’intervento viene somministrato atipamezolo (0.1 mg/Kg IM). L’animale è poi trasferito in

incubatrice alla temperatura di 25°C e il risveglio prosegue privo di complicazioni.

Il giorno stesso il riccio viene dimesso e viene detto ai proprietari di proseguire la terapia impostata in

precedenza.

Gli esami citologico e istologico relativi alla massa asportata (comprensivi di dente e tessuto circostante)

descrivono la lesione come una periodontite suppurativa senza caratteri di malignità.

Al controllo, effettuato a 7 giorni dall’intervento, i proprietari riferiscono che Spino ha ripreso ad alimentarsi

autonomamente e che le condizioni generali sembrano migliorate; ma durante l’esame obiettivo particolare,

all’esplorazione del cavo orale, si riscontra il recidivarsi della formazione di materiale ascessuale. Dopo dovuta

sospensione dell’antibiotico di una settimana, si effettua un tampone dalla sede della lesione per sottoporlo a

esame batteriologico. Da tale esame risulta la presenza di E. coli emolitico e Fusobacterium varium. In accordo

con i risultati dell’antibiogramma si imposta terapia con marbofloxacina (5 mg/kg SID, PO) +

trimethoprim/sulfa (30mg/Kg BID, PO).

A distanza di circa 20 giorni dal primo intervento l’animale viene portato a visita per oftalmorrea,

probabilmente dovuta ad un evento traumatico favorito da esoftalmo monolaterale instauratasi negli ultimi 4

giorni. In sede di visita si riscontra una lesione del globo oculare destro e si suggerisce un consulto

oftalmologico, il quale evidenzia una lacerazione corneale con iridocele grave e si opta per eseguirne

l’enucleazione. Il protocollo perioperatorio adottato è lo stesso del primo intervento.

Dopo circa 10 giorni dall’intervento di enucleazione, l’animale viene portato a visita per alterazione del respiro,

depressione del sensorio e viene evidenziata un’ulteriore neoformazione nella regione frontale. Inoltre, si nota

che la tumefazione che interessava la porzione destra della faccia si é diffusa anche al lato sinistro ove si

osserva esoftalmo; alla visita oculistica dell’occhio sinistro non si rilevano alterazioni.

Passati 21 giorni dall’inizio della terapia antibiotica impostata sulla base dei risultati dell’antibiogramma,

avendo riscontrato un notevole peggioramento della lesione e continua produzione di materiale purulento, si

opta per effettuare un ulteriore cambio di terapia sulla base dei dati riportati in letteratura riguardo la sensibilità

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di Fusobacterium varium all’amoxicillina e al metronidazolo (amoxi/clavulanico 15mg/kg BID, PO e

metronidazolo 20 mg/kg BID, PO).

Durante tutto il periodo di osservazione la pulizia dell’ascesso buccale è stata effettuata una volta a settimana.

Il soggetto è deceduto al 51esimo giorno dalla prima visita.

Conclusioni

Il riccio è un animale predisposto alle patologie del cavo orale, queste possono essere di tipo infiammatorio,

infettivo o neoplastico: gengiviti, ascessi, periodontiti, neoplasie. I denti possono andare incontro a fratture

spontanee o acquisite legate a patologie metaboliche. Le infezioni possono essere di natura batterica o virale e

sono da segnalare in particolare le infezioni da Enterovirus appartenente alla famiglia delle Picornaviriade e

responsabile della Foot and mouth disease. Tra le neoplasie va citato in particolare il carcinoma a cellule

squamose, che si presenta con iniziali sintomi di periodontite e gengivite ma evolve distribuendosi alla cavità

nasale e orbitale. I sintomi legati a patologia dentale o della cavità orale in generale sono aspecifici e includono:

anoressia o disoressia, scialorrea, gengivite, periodontite e possono essere presenti anche nausea e vomito.

Considerando la frequenza con cui si manifestano forme neoplastiche in sede orale nel riccio africano rimane

il dubbio che il caso descritto possa essere non una mera forma infettiva ma una forma neoplastica aggravata

da sovrainfezione.

Il Fusobacterium varium è stato associato a coliti ulcerative, neoplasia del colon, ulcere da decubito e infezioni

dell’apparato respiratorio in pazienti umani; e lesioni ulcerative e purulente del apparato gastroenterico e della

cavità orale di diverse specie animali. Nelle coliti ulcerative dell’uomo è spesso accompagnato da E. coli.

L’esame autoptico del soggetto descritto avrebbe permesso di verificare: 1) l’eventualità che l’infezione al

cavo orale si fosse sviluppata su una forma neoplastica non diagnostica; 2) la presenza di lesioni ulcerative a

carico dell’apparato gastroenterico in associazione alle lesioni del cavo orale così come avviene nei casi di

coinfezione di E. coli e F. varium determinanti coliti ulcerative dell’uomo.

L’esecuzione di esami batteriologici e antibiogramma nelle forme infettive dovrebbe essere una pratica di

routine per evitare fenomeni di antibiotico resistenza e attuare una terapia efficace che aumenti le possibilità

di guarigione del soggetto.

Quando si testa un tampone per la ricerca dei fusobacterium è consigliato richiedere specificatamente la

differenziazione tra F. varium e F. ulcerans in relazione alla capacità di ridurre nitrati a nitriti per evitare di

sottodiagnosticare F. varium e avere una reale percezione della sua distribuzione.

Nei casi come quello preso in esame è consigliato eseguire diagnostica batteriologica, citologica e istologica

in diversi stadi evolutivi della patologia per far si che le terapie impostate risultino efficaci nel tempo.

Dato che alcune specie di Fusobacterium sono state riscontrate come commensali della flora batterica del cavo

orale di soggetti sani, potrebbe essere augurabile indagare la composizione della flora microbica commensale

della cavità orale del riccio africano.

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"Husbandry and Medical Management of African Hedgehogs," Iowa State University Veterinarian: Vol. 59:

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AMPUTAZIONE DI UN ARTO IN TRE SPECIE DI RETTILI: GECO CRESTATO (Correlophus ciliatus),

TESTUGGINE DI HERMANN (Testudo hermanni), TARTARUGA PALUSTRE AMERICANA (Trachemys

scripta).

Emanuele Lubian, DVM, GPCert(ExAP) 1, Elena Ferlini, DVM 1, Massimo Millefanti, DVM 1

1 Veterinary practitioner, ambulatorio veterinario "Ferlini, Granata, Millefanti", Gaggiano, Italy

INTRODUZIONE

Nei rettili allevati come PET si manifestano spesso patologie o lesioni riguardanti gli arti. Tra queste le

più comuni risultano essere di natura traumatica (fratture e lussazioni), metabolica (malattia osteo

metabolica, gotta, disecdisi), infettiva (artrite settica).

L'amputazione sicuramente una soluzione drastica dal momento che si assiste alla perdita dell’intero

arto da parte del soggetto e della sua funzionalità motoria, posturale (o di mantenimento

dell’equilibrio), comportamentale (diversi animali sfruttano gli arti per comunicare tra loro),… Tuttavia

negli animali domestici è una pratica solitamente ben tollerata e consente all’individuo di trascorrere

una vita sostanzialmente normale.

Tale procedura in un geco, che trascorre gran parte della vita adeso a pareti verticali, o in una

testuggine, che necessita degli arti per sollevare dal suolo il carapace, o in una tartaruga acquatica che

cammina sulla terraferma oppure nuota in pozze d’acqua, deve assolutamente prendere in

considerazione le possibili ripercussioni etologiche e quindi il reale benessere dopo la chirurgia.

Purtroppo nei pochi articoli o nei capitoli dei libri che trattano l’argomento vengono espresse le cause e

gli approcci chirurgici ma non è altrettanto ben trattato il post operatorio.

Tra le patologie indicate precedentemente, solo poche sono effettivamente potenziali cause di

amputazione e, quando lo sono, è perché le condizioni della lesione sono davvero drastiche. In

particolare, la principale causa è di origine traumatica e le più probabili cause di trauma sono variabili

da specie a specie.

Nei sauri, per esempio, i principali traumi agli arti sono causati da morsi tra conspecifici, da cadute di

oggetti di arredamento o incastro nel sistema di chiusura del terrario. L’arto può presentare fratture

esposte e scomposte, che talvolta non possono in alcun modo essere ridotte e necessitano di

un’amputazione; altrimenti vi possono essere fratture scomposte e non ma non esposte: ciò che

giustifica in questi casi un’amputazione è la necrosi, che può crearsi per mancanza di irrorazione

sanguigna nella porzione distale dell’arto dopo il trauma; essa è legata alle lesioni vascolari create dalla

deviazione o dislocazione dell’osso. Talvolta invece (soprattutto come conseguenza ai morsi) la lesione

che viene a crearsi è di natura infettiva/ascessuale e, viste le caratteristiche particolari del pus dei

rettili e la conseguente difficoltà nel rimuoverlo (a differenza di quello dei mammiferi), esso va a

compromettere la funzionalità dell’arto; in altri casi l’intervento chirurgico finalizzato alla sua

rimozione è talmente drastico da rendere opportuna l’amputazione. In alcune specie si osservano in

misura abbastanza frequente gravi lesioni associate a MOM (per esempio deviazione degli arti, gonfiore

articolare), gotta (gonfiore delle articolazione per deposizione di acido urico),… ma molto raramente

patologie di questo tipo possono avere come terapia l’amputazione dell’arto.

Relativamente ai cheloni, le cause di amputazione sono ben diverse; fermo restando che la causa

traumatica è sempre la principale, le origini dei traumi sono differenti. Avviene molto comunemente,

soprattutto nel tardo inverno, che questi animali vengano morsi da muridi; infatti, quando le tartarughe

sono lasciate all’esterno durante il letargo (senza essere riposte in un ambiente controllato come

vivamente consigliato dall’autore) questi roditori, avendo a disposizione del “cibo facile” in una stagione

così ostica, possono nutrirsi del chelone che, non muovendosi per l’ipobiosi dovuta all’ibernazione, viene

lesionato principalmente sulle porzioni più esterne degli arti (che essendo tessuto molle vengono

aggredite più facilmente), ma, nei casi più gravi, si può assistere al decesso dell’animale e al consumo di

tutti i suoi organi interni. Se le lesioni riguardano solo gli arti non sempre è possibile l’approccio

conservativo, specialmente quando i segmenti ossei radio-ulna e l’articolazione del gomito sono esposti

ed irrecuperabili. Altre cause traumatiche sono le lesioni da conspecifici. Specialmente nel genere

Testudo l’approccio dei maschi verso i conspecifici è molto violento, sia che si tratti di approccio

riproduttivo verso le femmine sia offensivo verso altri maschi; essi tendono a percuotere con colpi di

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carapace il carapace altrui, mordono i tessuti molli come arti e coda e, infine, specialmente Testudo

hermanni a causa dello sperone che presenta all’apice della coda, nel tentativo di copula possono

lesionare i tessuti cloacali e pericloacali. Le fratture agli arti sono invece più rare nei cheloni, dal

momento che i segmenti ossei sono corti e tozzi, spesso circondati da una notevole massa muscolare e

da cute molto spessa, inoltre il carapace fornisce una notevole protezione dai traumi e, spesso, è la

prima struttura a lesionarsi. Le patologie metaboliche suddette per i sauri anche nelle tartarughe sono

molto raramente causa di alterazioni tali da richiedere l’amputazione dell’arto.

Inoltre, per entrambi i gruppi, sono da considerare anche le cause iatrogene; in questo gruppo rientrano

una serie di cause tra cui bendaggi troppo stretti, al punto da causare necrosi su un tessuto già

alterato oppure l’aggrovigliamento di fili di seta o nylon intorno all’arto.

Relativamente all’approccio chirurgico esiste poco in letteratura, spesso nei testi la bibliografia citata

appartiene alla medicina del cane e del gatto, invece tale pratica viene talvolta esposta in relazioni e

conferenze sulla base dell’esperienza diretta più che di articoli scientifici.

Relativamente ai casi della relazione, i tre animali sono stati portati dal veterinario per motivi diversi: il

geco è rimasto intrappolato nel sistema chiusura del terrario cinque giorni prima dell'esame, la Testudo

hermanni è stata morsa da topi durante il periodo estivo (in apparente estivazione), e la Trachemys

scripta è rimasta legata con un filo di nylon a livello dell’articolazione del gomito. Il geco era gestito da

solo in una teca di circa 40 cm x 40 cm x 50 cm con torba come substrato e un notevole numero di rami

e piante all'interno, nessuna fonte di luce UV era presente e la temperatura era controllata da un

tappetino termico. La testuggine di Hermann era lasciata libera in un giardino, allo stesso modo veniva

gestita la tartaruga palustre (dato che il proprietario l’ha confusa con una terrestre) alimentata con

erba e altre verdure.

Il geco presentava necrosi dell'intero arto posteriore destro con origine dalla regione della coscia; la

testuggine di Hermann presentava necrosi e una grave perdita di tessuto di entrambi gli arti anteriori e

piccole lesioni sugli arti posteriori; la Trachemys scripta mostrava un grave gonfiore del tratto distale

del dell'arto anteriore destro con principio di necrosi sulla cutanea; sia l’esame fisico e che la

radiografia effettuata hanno mostrato che non si trattava di un neoplasia (come sospettato

inizialmente dal collega che l’ha riferita), ma solo di edema. La tartaruga di Hermann è stata ricoverata

per iniziare una terapia medica, con l'obiettivo di dare restitutio ad integrum agli arti, ma, dopo un

mese di ricovero, relativamente all’arto destro si è resa necessaria l’amputazione. Negli altri due casi

clinici amputazione è stata fin da subito l'unica soluzione considerata. Il geco è stato anestetizzato con

l'induzione in maschera con isoflorano al 5%, mantenuto con isoflorano al 3%; la Testudo hermanni è

stata operata solo con l’utilizzo di lidocaina locale; La Trachemys scripta è stata preanestetizzata con

tramadolo (7 mg/kg) circa 24 ore prima dell’intervento, medetomidina e ketamina circa 20 minuti prima

dell’intervento e indotta con alfaxolone, mantenuta con isoflorano al 3%. La procedura chirurgica è

stata simile a quella utilizzata con altri animali ma, per quanto riguarda il geco, i due lembi cutanei sono

stati chiusi sulla superficie dorsale dell'arto per evitare problemi di cicatrizzazione causati dal

continuo sfregamento sul terreno. Nel caso della tartaruga del Hermann si è provveduto alla rimozione

della necrosi con curretage dell’estremità del moncone prossimale, vista l’impossibilità di chiudere l’area

con una sutura, una spugna emostatica riassorbibile è stata suturata sulla lesione, ancorandola ai lembi

cutanei limitrofi.

Relativamente al follow up dopo l'intervento chirurgico, il geco non ha mostrato alcun problema di

movimento, riesce a ricercare ed attaccare le prede sia su pareti verticali che orizzontali; la sutura è

stata rimossa dopo 8 settimane. La Testudo hermanni ha mostrato problemi di movimento, ma questi

sono stati facilmente corretti con un feltrino in plastica attaccato sullo scuto omerale destro del

piastrone; tale manovra consente all’animale di rimanere sollevato dal terreno e, essendo il feltrino

liscio, di scivolare facilmente sulle superfici lisce; la sutura è stata rimossa dopo 3 settimane e la

guarigione definitiva è avvenuta anche grazie all’applicazione di un unguento cicatrizzante per le

successive 6 settimane. La tartaruga palustre non ha mostrato alcun problema nel nuoto, per quanto sia

stata inserita in acqua in modo molto graduale (in questo caso il processo è stato molto lento anche

perché la tartaruga non aveva nuotato per molti mesi); la sutura è stata rimossa dopo 8 settimane.

Considerando questi casi e altri casi nella mia esperienza clinica consiglio: di amputare l’arto se non vi è

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altra opzione terapeutica (è un intervento molto drastico quindi va considerato sempre come ultima

scelta), di amputare sempre a livello di un articolazione (contrariamente a quanto segnalato da alcuni

autori il taglio in area diafisaria può dare diversi problemi di cicatrizzazione e in generale di

guarigione), per i cheloni terrestri effettuare il taglio il più prossimale possibile (essi non hanno

necessità di bilanciamento con l’arto e il più delle volte il moncone può solo essere soggetto a diversi

traumi).

Come conclusione, si può affermare che le lesioni agli arti nei rettili sono comuni e, non raramente,

bisogna considerare l’amputazione tra le opzioni terapeutiche. Di contro esitino pochi scritti in

letteratura che citano l’approccio chirurgico e soprattutto le condizioni di vita successivamente

all’intervento. Tale relazione si pone come obiettivo non tanto quello di insegnare una pratica

terapeutica chirurgica ma quello di esortare il clinico a pensare come garantire un reale benessere

all’animale dopo questo intervento.

Bibliografia

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3) Autumn K., Liang Y.A., Hsieh S.T., Zesch W., Chan W.P., Kenny T.W., Fearing R., Full R.J. (2000);

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Cremona; pp. 1169-1170

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ANDREA PIETRA Med Vet, Pavia

Sempre più animali non convenzionali vengono scelti come nuovi animali da

compagnia: questo fenomeno ovviamente non risparmia il mondo dei rettili e degli

anfibi. Difatti, sono diverse le specie di tartarughe portate dal veterinario. Diviene

perciò ovvio come una così crescente diffusione di questi animali comporti onori ed

oneri sia nei confronti dei proprietari che dei veterinari: i primi perché hanno il

compito di creare la migliore situazione ambientale e gestionale per poter donare al

proprio animale il massimo benessere possibile, mentre i secondi devono poter

consigliare i possessori di questi rettili le migliori soluzioni e intervenire o correggere

eventuali errori.

Sulla base di questa premessa si è deciso di studiare un aspetto particolarmente

delicato della vita dei Cheloni in cattività: la sfera riproduttiva. Questa risulta essere

importante sia per quanto riguarda gli allevatori, per poter correttamente impostare

l’attività, che i “comuni” possessori di tartarughe, in quanto una scorretta gestione

comporta alterazioni dei cicli riproduttivi o delle condizioni di salute che possono

sfociare in malattie anche mortali.

Le conoscenze in questo campo sono ancora aperte a nuovi studi per poter

migliorare ulteriormente la qualità dell’allevamento, nonché attuare una

prevenzione ancora più precisa ed efficace. Lo scopo di questo lavoro è quello di

indagare i mutamenti a livello ovarico dei follicoli ed il loro destino durante e dopo il

loro sviluppo in uovo, cercando di valutarne le tempistiche di crescita attraverso un

monitoraggio costante grazie alla diagnostica per immagini.

Per ottenere tutto ciò si è optato per una tecnica ancora oggi poco sfruttata ed

utilizzata, ma che offre una potenzialità diagnostica elevatissima: la Tomografia

Assiale Computerizzata (TAC): la sua capacità di rappresentare tridimensionalmente

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una specifica sezione del corpo permette di valutare nel dettaglio i più piccoli

particolari degli organi riproduttivi.

Per questa sua capacità diagnostica si è deciso di saggiare le potenzialità di questa

tecnica anche in casi patologici, valutando se possa essere una via consigliabile nella

comune pratica clinica.

Sono stati studiati e seguiti tre casi differenti: il primo era relativo ad una tartaruga

che è stata monitorata per circa un anno e mezzo allo scopo di comprendere al

meglio l’evoluzione delle uova attraverso questo arco temporale e cosa avveniva

loro durante il periodo di ibernazione; un altro caso riguardava un paziente con un

sospetto di infezione genitale con gravi sintomi: si è voluto valutare l’efficacia della

diagnostica TAC in caso di patologie severe, nonché vedere se, dopo un piano

terapeutico adeguato, era possibile evidenziare segnali di guarigione clinica e ripresa

dell’attività riproduttiva; l’ultimo caso trattava di una tartaruga che mostrava

problemi riproduttivi e deficit di schiusa: si è voluto osservare gli eventuali

cambiamenti avvenuti a livello ovarico dopo la terapia e ricollocazione ambientale.

Tomografia Assiale Computerizzata

La Tomografia Assiale Computerizzata è una tecnica diagnostica inventata da G. N.

Hounsfield e A. M. Cormack nel 1979. Questa metodica ci permette di ottenere, a

differenza della radiografia, un’immagine tridimensionale della sezione

dell’organismo interessata. Possiede inoltre una capacità di contrasto maggiore,

ovvero una miglior rappresentazione delle differenze dei tessuti basata sulla

attenuazione dei raggi x da parte del tessuto stesso. Maggiore è la densità, minore è

la quantità di raggi che oltrepassano l’oggetto ed impressionano l’immagine. Più

l’immagine riceva irradiazione, più tenderà ad apparire nera, viceversa, le sostanze

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che attenuano maggiormente il fascio si presenteranno bianche. Le differenti

densità tessutali verranno evidenziate nell’immagine finale mediante una scala di

grigi.

Le immagini che vengono a formarsi sono misurate e valutate in Unità Hounsfield: i

tessuti che causano una attenuazione minore dell’acqua avranno Unità Hounsfield

maggiori di 0 (parenchimi addominali, ossa e tessuto muscolare) mentre quelli che

hanno un minor grado di attenuazione, ad esempio aria e tessuto adiposo,

possiedono valori di UH negativi.

Per comparare e confrontare diversi tessuti si utilizzano i termini “iperdenso”,

“isodenso”, “ipodenso” a seconda che la densità della struttura sia maggiore, uguale

o minore rispetto ad un’altra.

Il macchinario utilizzato in questo lavoro è un modello TAC spirale.

Fisiologia e principali patologie riproduttive delle tartarughe

Tutti i cheloni sono ovipari, cioè depongono uova costituite da un guscio calcificato

che si presenta più resistente rispetto a quello degli altri rettili.

La maturità sessuale viene raggiunta intorno ai cinque/sette anni in natura, mentre

in cattività può essere anticipata sino a due/tre anni; solitamente avviene più

precocemente nel maschio rispetto alla femmina e dipende quasi esclusivamente

dalle dimensioni e dalla crescita del singolo individuo.

I maschi possiedono un singolo pene, che giace sul pavimento della cloaca e da essa

protrude quando è in erezione. Non possiede nessuna funzione escretoria nei

confronti dell’urina.

Nella cloaca sboccano due dotti deferenti che, seguendo il decorso degli ureteri, si

collegano ai testicoli. Questi organi sono in rapporto con il polo cranio-ventrale dei

reni e sono di forma allungata e di colore giallastro. Le dimensioni possono variare a

seconda della stagione e dall’attività sessuale dell’animale.

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Gli esemplari di sesso femminile presentano due ovaie poste cranialmente ai reni e

sospese nella cavità celomatica mediante la membrana celomatica. Sono organi

pari, sferici e che mostrano follicoli di varie dimensioni e sviluppo spuntare dalla

superficie. Le gonadi sono in comunicazione con gli ovidutti, che raccolgono le

cellule uovo e provvedono alla formazione dell’uovo. Il percorso termina nella

cloaca, precisamente nell’urodeo.

L’attività riproduttiva è regolata dalla liberazione e dall’interazione di vari ormoni, a

loro volta influenzati da vari fattori, quali fotoperiodo e temperatura, dimensioni e

ritmo di crescita dell’animale, metabolismo ed alimentazione. I principali sono:

testosterone, principale ormone sessuale maschile, l'estrogeno, ormone sessuale

femminile, il progesterone, con funzione inibitoria nei confronti dei follicoli, e le

gonadotropine, prodotte dall'adenoipofisi per promuovere lo sviluppo di ovaio e

follicoli.

Tutte queste molecole agiscono in rapporti di sinergia o antagonismo al fine di

regolare finemente le complesse modificazioni anatomo-fisiologiche che occorrono

durante il periodo di attività sessuale.

Principale fattore stimolante la liberazione delle gonadotropine è la luce: difatti

l’allungamento del fotoperiodo, in associazione all’aumento della temperatura,

funge da principale stimolo all’attività riproduttiva.

La riproduzione nei cheloni è solitamente stagionale, con attività riproduttiva

evidente una sola volta all’anno. Umidità, presenza di nutrimento, fotoperiodo,

intensità luminosa e durata del giorno sono tutti fattori di grande importanza nel

corretto svolgimento del ciclo sessuale. Questi parametri debbono essere

attentamente valutati e impostati anche in cattività, per evitare l'insorgenza di turbe

e/o malattie.

Casi Clinici

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Per poter ottenere immagini di alto valore diagnostico che rappresentino

fedelmente la situazione clinica del paziente, la tartaruga deve essere contenuta in

maniera efficace e decisa. Devono essere impediti il più possibile movimenti

volontari dell’animale, bloccandone sia gli arti anteriori che posteriori: eccessivi

spostamenti delle zampe provocano la formazione di diversi artefatti.

Per ottenere agevolmente un contenimento sicuro del paziente spesso si ricorre alla

sedazione più o meno profonda a seconda dell’irrequietezza e dell’indole

dell’animale. La scelta di questa metodica non è tuttavia priva di rischi: è necessario

dosare precisamente i farmaci da somministrare per ottenere una sedazione ed un

miorilassamento efficaci senza causare effetti collaterali quali bradicardia, apnea e,

nei casi più gravi, coma e morte. Ad aumentare le difficoltà nell’ottenere un corretto

dosaggio è la presenza di un sistema portale renale che permette di deviare il flusso

sanguigno, e con esso la maggior quantità di farmaco somministrato, direttamente a

livello tubulare ed incrementare la dose di principio attivo escreta mediante i reni.

Per ovviare a tutte queste problematiche è stato scelto di intraprendere un’altra via,

che permettesse di unire un alto grado di sicurezza con un basso tasso di difficoltà

d’esecuzione: si è deciso di adoperare alcuni oggetti che possano essere utilizzati

come supporti sui quali immobilizzare il paziente: trattasi di arnesi in materiale di

spugna oppure in plastica. Codesti oggetti forniscono una solida base d’appoggio

senza interferire o disturbare la conversione dell’immagine finale. Il paziente viene

così immobilizzato sul sostegno mediante l’utilizzo di cerotto. La quantità necessaria

varia a seconda dei casi e dell’irrequietezza dell’animale. Se il chelone rimane

eccessivamente agitato, diviene opportuno legare gli arti e costringerli all’interno

del corpo.

Il più delle volte non diviene necessario una immobilizzazione completa di tutti gli

arti, in quanto gli animali tendono a calmarsi da sé dopo la sistemazione sul

supporto.

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La rimozione del cerotto al termine dell’esame non comporta nessuna conseguenza

o trauma per il paziente; il distacco di eventuali scuti rimasti adesi al nastro adesivo

non comporta danni al carapace della tartaruga.

Una volta immobilizzato il paziente al supporto, questo viene posizionato sul tavolo

portapaziente che viene fatto scorrere sino all’interno del gantry. Si utilizza una

croce di due raggi laser come punto di inizio della scansione: nel caso delle

tartarughe monitorate si voleva osservare principalmente la porzione caudale della

cavità celomatica e il punto d’inizio dei topogrammi era posizionato all’incirca a

metà carapace.

Vengono poi immessi i valori di larghezza e lunghezza del campo di scansione,

nonché i valori corretti di MilliAmpere e Kilovolt del fascio radiogeno.

A) Primo caso: Il primo caso seguito riguarda un esemplare di Trachemys scripta

elegans di sesso femminile. L’età del paziente non è certa, ma è compresa fra i

quindici e i vent’anni. L’animale è di proprietà, vive in casa all’interno di una vasca di

plastica composta da una parte sommersa ed una rialzata. Non sono presenti aree

asciutte e sabbiose adatte alla deposizione. La tartaruga vive da sola e non ha

contatti con esemplari del sesso opposto ed altri animali. Viene alimentata con

alimentazione commerciale, principalmente gamberetti essiccati. È stato deciso di

seguirla e monitorarla per un periodo approssimativo di circa un anno e tre mesi al

fine di osservare lo sviluppo dei follicoli, la formazione e la crescita delle uova e il

loro destino alla fine del ciclo riproduttivo annuale.

Il paziente non ha mai avuto relazioni sociali con altre tartarughe, sia di sesso

femminile che maschile e non è mai stato fatto nessun tentativo di monta e

riproduzione. All’incirca cinque anni prima dello studio, la tartaruga espulse in acqua

un uovo completamente formato ma infecondo.

Il primo esame TAC è stato effettuato il 12 luglio 2012. Il paziente si è dimostrato

collaborativo e ha tollerato il sistema di contenzione.

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Dall’immagine sono evidenziabili diverse uova in via di sviluppo: non presentano

ancora calcificazione del guscio, sono di dimensioni ridotte e non è ancora possibile

distinguere precisamente il tuorlo contenuto all’interno. In questa fase di sviluppo si

contano sei uova, di cui uno maggiormente sviluppato, con una iniziale calcificazione

del guscio.

Il paziente è tornato per una seconda TAC di controllo dopo circa due mesi. Si

osserva una situazione di progressione: la maggior parte delle uova mostra una

riduzione delle dimensioni. Il dato più interessante è la deformazione dell’unico

uovo calcificato, senza mostrare lesioni. Al controllo in ottobre, non si rilevano

sostanziali variazioni.

Il controllo seguente è stato compiuto il 22 novembre, ai primi segni di ibernazione.

La condizione clinica del paziente è rimasta invariata, con la maggior parte delle

uova che si presenta ridotta di volume, facendo supporre un principio di

riassorbimento. È possibile notare uno spostamento ed una rotazione dell’uovo

degenerato.

Le visite sono state interrotte per il periodo corrispondente ai mesi dell’ibernazione

in quanto il ciclo ovarico e tutte le attività riproduttive sono quiescenti. È stato

deciso di riprendere la serie di visite di monitoraggio in primavera dell’anno

successivo, alle prime avvisaglie di risveglio.

L’esame TAC è stato effettuato il 19 marzo 2013; l’immagine conferma le

supposizioni iniziali: la situazione clinica è identica a quella riscontrata nella visita di

novembre. Non ci sono state modifiche nelle dimensioni o nel posizionamento delle

uova, dimostrando come tutte le attività riproduttive e sessuali siano sospese

durante il periodo di ibernazione, a causa delle rigide condizioni ambientali.

La mancata espulsione dell’uovo appartenente al ciclo precedente e l’assenza di

sintomi patologici sistemici osservati all’uscita dall’ibernazione fanno supporre che

possa considerarsi fisiologico un certo grado di ritenzione delle uova.

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La simultanea presenza di uova derivate dallo sviluppo follicolare dell’anno corrente

e dell’uovo degenerato ancora ritenuto è bene evidente alla visita del 20 giugno

2013: in questo ciclo sono due le uova che mostrano un avanzato grado di

maturazione con evidente formazione del tuorlo. Sono presenti anche diversi

follicoli di dimensioni ridotte e senza principio di calcificazione. L’uovo degenerato è

ancora ritenuto, ma viene spinto nella porzione più ventrale della cavità celomatica.

La distinzione fra le uova delle due annate è permessa dalla differente

mineralizzazione del loro guscio: l’uovo degenerato possiede una quantità di calcio

depositata decisamente maggiore ed è perciò più denso rispetto alle uova più

recenti.

La situazione generale rimane invariata anche all’esame successivo del 22 luglio;

unico reperto da segnalare è l’assottigliamento del polo craniale del guscio: una

rottura può essere sospettata, anche se la situazione clinica del paziente sembra

escluderne l’evenienza. Conferma che arriva dal controllo successivo, dove non sono

visibili pattern riconducibili a flogosi.

La disposizione spaziale delle uova è ancora invariate alla visita successiva del 7

agosto: seppur differendo per numero di uova con un visibile grado di calcificazione,

l’attuale situazione è perfettamente equiparabile a quella riscontrata l’anno

precedente durante il periodo estivo. Tutto ciò permette di ipotizzare che

l’andamento sinora riscontrato sia considerabile fisiologico.

L’ultima visita di controllo e monitoraggio viene fissata per il 16 settembre 2013. Il

proprietario riferisce che, durante l’ultima settimana di agosto, la tartaruga, pur non

possedendo un’area consona per la deposizione, ha espulso un uovo di circa 3 cm in

acqua con una concavità marcata; la sua forma indica chiaramente che si tratta

dell’uovo degenerato legato al ciclo riproduttivo precedente. È presumibile che

l’eccessivo ingombro volumetrico provocato dallo sviluppo delle uova neoformate

durante il corrente anno abbia stimolato il chelone ad una deposizione dell’uovo a

lungo ritenuto, nonostante la mancanza di una zona idonea per la deposizione.

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Nell’immagine TAC si assiste ad un mutamento dei rapporti spaziali: l’uovo

dell’ovidutto di sinistra pare essersi spostato verso il centro, mentre la porzione

controlaterale è occupata interamente da due uova molto sviluppate e di grandi

dimensioni. L'uovo degenerato non è riscontrabile in questa immagine,

confermando ulteriormente il suo allontanamento dal ventre materno. Questo

evento ha permesso di aumentare l’area disponibile per le uova neoformate

durante la primavera che si sono ridisposte per ottimizzare lo spazio venutosi a

creare.

Grazie a questo lavoro si è notato come negli stessi periodi dei due differenti anni la

situazione esaminata fosse simile: cambiano il numero di uova che raggiungono un

alto grado di mineralizzazione del guscio e dei follicoli sviluppatosi, ma le

tempistiche e le modalità di sviluppo sono le medesime, pur essendo uova non

fecondate. La quasi totalità delle uova viene riassorbita alla fine del ciclo

riproduttivo, in un periodo coincidente con l’uscita dall’ibernazione e l’aumento

delle temperature e del fotoperiodo, concomitante con l’inizio della ripresa

dell’attività sessuale. Nel caso in cui un uovo sia troppo sviluppato per essere

completamente riassorbito, la tartaruga provvederà ad espellerlo, conservandolo

dentro l’ovidutto per l’intera durata della stagione riproduttiva e dell’ibernazione,

per allontanarlo l’estate successiva, confermando tutti gli studi rinvenuti in

bibliografia sulla capacità delle tartarughe madri di trattenere la futura nidiata nel

caso non si verifichino le condizioni ottimali per la deposizione.

La compressione causata dall’aumento di numero e volume delle uova neoformate

nell’annata in corso agisce come principali stimolo alla deposizione di tutte le uova

del ciclo antecedente arrestate lungo il tratto genitale. In questo caso l’animale è

riuscito ad espellere l’uovo senza alcun problema ma, in caso contrario, sia per

ostruzione dell’uovo impegnato nel tratto genitale o per fattori non ostruttivi, si

rischiava di sfociare in un caso di distocia.

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B) Secondo caso clinico: tratta di un altro esemplare di Trachemys scripta elegans,

sempre di sesso femminile, di quarant’anni.

È stato portato in clinica in primavera in quanto presentava, al risveglio

dall’ibernazione, anoressia, debolezza, letargia. Inoltre il proprietario riportava stipsi

e conseguente assenza di defecazione. Non sono state riferite patologie precedenti

nella vita dell’animale. Il paziente vive in giardino ed è alimentato principalmente

con carne cruda.

Alla visita clinica la tartaruga presentava anche segni di disidratazione, ipotonia e un

lieve prolasso cloacale. L’occhio appariva infossato.

Sono stati effettuati degli esami del sangue e un profilo biochimico; il campione è

stato prelevato dal seno venoso subcarapaciale. L’ematocrito risultava diminuito e

alcuni valori biochimici alterati: la quantità di acido urico e di fosforo riscontrate

superano i limiti fisiologici mentre quelli di calcio e altri elettroliti, come sodio,

potassio e cloro, apparivano inferiori alla norma. Si rinviene anche un aumento della

glicemia.

Mediante l’esame dello striscio di sangue si notano forme eritrocitarie immature e

segni di rigenerazione.

Viene deciso di affidarsi alla diagnostica per immagini al fine di comprendere meglio

la situazione interna del paziente. Si opta per utilizzare sia la radiografia che

l’ultrasonografia e, infine, la tomografia assiale.

Alla radiografia vengono notati: perdita di dettaglio dei visceri all’interno della cavità

celomatica ed un aumento della radiopacità dei tessuti molli della porzione caudale

del celoma. Inoltre si nota un dislocamento craniale dei lobi caudali dei polmoni.

All’esame ultrasonografico, in cavità celomatica, si rinvengo un aumento

dell’ecogenicità e delle dimensioni del fegato e la presenza di liquido. L’incremento

della radiopacità notata nelle lastre corrisponde ad un consolidamento del tessuto

ovarico e dallo sviluppo di diversi follicoli, oltre quindici, che appaiono di forma

sferica, iperecogenici e ricchi di liquido.

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L’esame TAC ha permesso di confermare l’epatomegalia e l’aumento

dell’ipoattenuazione del parenchima. I valori di attenuazione sono estremamente

marcati e raggiungono circa le 20 UH: questi parametri fanno

pensare ad una grave lipidosi epatica. Un dato che è risultato visibile solamente

all’esame TAC è la nefromegalia bilaterale; inoltre, grazie alla miglior risoluzione di

questa metodica, si è potuto visualizzare più dettagliatamente la situazione ovarica.

Si evidenziano diversi follicoli in stadi di maturazione differenti. È stata rilevata la

presenza di uova di differente grado di sviluppo e calcificazione, per lo più blanda o

assente. Il campo si presenta parecchio disomogeneo per la presenza di liquido in

cavità ed è compatibile con una diagnosi di infiammazione. Questo quadro non

permette di visualizzare la vescia urinaria e non si evidenziano uova ectopiche.

Ulteriore reperto patologico riscontrato sono delle lesioni nodulari e calcifiche sulla

superficie delle sierose e del peritoneo.

In base all’insieme delle lesioni riscontrate, dell’esame clinico e dei valori biochimici

alterati si diagnostica una celomite ed una salpingite, associate a grave lipidosi

epatica e nefropatia bilaterale.

Una volta emessa la diagnosi, si procede all’approccio terapeutico: valutata la

modesta entità del prolasso cloacale, si è deciso di procedere con la riduzione.

Viene poi prescritta una terapia antibiotica e della fluidoterapia. La prima prevede

un’iniezione sottocutanea di Marbofloxacin 10 mg/Kg una volta al giorno per dieci

giorni e, una volta alla settimana, Cefovecine 0,1 mg/Kg.

La fluidoterapia viene somministrata mediante una dose di 10 ml composta per

metà da Ringer Lattato e per l’altra di soluzione fiosiologica NaCl 0,9%. In aggiunta,

vengono iniettati 2 ml di Metabolase e 100 mg/Kg di soluzione di Calcio glocusato.

Per risolvere il problema delle uova degenerate e ridurre lo stimolo flogistico da esse

causato, si procede con un trattamento farmacologico a base di ossitocina.

L’ormone viene somministrato per via intramuscolare in due volte: la prima alla

dose di 3 UI/Kg mentre la seconda di 5 UI/Kg.

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Le due somministrazioni sono state entrambe seguite dall’espulsione di parti di uovo

e materiale necrotico.

Il paziente è stato dimesso con la prescrizione della terapia antibiotica e di

alimentazione forzata.

Dopo l’emissione delle uova la tartaruga ha riacquistato peso, vitalità ed appetito,

riprendendo ad alimentarsi autonomamente.

Per monitorare il miglioramento clinico, il paziente è stato richiamato dopo circa un

mese per una visita di controllo.

L’esame TAC mostra un effettivo miglioramento della situazione clinica, con una

riduzione della quantità di liquido all’interno della cavità celomatica e una ripresa

dello sviluppo delle uova. Queste mostrano una progressione della maturazione e la

presenza di un guscio calcificato, che garantisce una minor dispersione del tuorlo

all’interno della cavità celomatica e permette una più semplice espulsione dell’uovo.

Rimangono ancora segni di infiammazione, ma di entità minore rispetto alla

precedente visita.

La lipidosi epatica non mostra segnali di miglioramento, mentre sono scomparse le

lesioni nodulare sulle sierose.

Il paziente viene dichiarato completamente guarito nelle visite di follow up

effettuate dopo 10 mesi.

La tomografia computerizzata si è dimostrata più precisa rispetto alle altre due

tecniche di diagnostica utilizzate: permette un visualizzazione dei parenchimi

estremamente più dettagliata rispetto alla ultrasonografia, consentendo di emettere

diagnosi con maggior certezza.

C) Terzo caso clinico: riguarda una tartaruga femmina appartenente alla specie

Testudo hermanni boettgeri, dell’età di circa 50 anni, portata in clinica per un

problema di mancata schiusa delle uova.

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L’animale è reduce da un trasferimento e ad oggi vive in giardino assieme ad altri sei

esemplari di cheloni, di cui due femmine e quattro maschi. Il paziente si presenta in

buona salute.

Non sono riporti casi di patologie pregresse. Il proprietario denuncia la mancata

schiusa delle uova nonostante la monta da parte del maschio: l’ultima nascita

avvenuta con successo risale a dieci anni prima.

Viene deciso di eseguire un esame TAC il 12 giugno 2012 per valutare le condizioni

cliniche del paziente e verificare l’eventuale presenza di qualche malattia

sottostante asintomatica.

L’immagine non mostra nessun segno patognomonico collegabile a qualche

patologia e non evidenzia lesioni alcune all’interno della cavità celomatica. È

possibile notare la presenza di quattro uova non calcificate, tre abbastanza

sviluppate ed una ancora all’inizio della maturazione.

L’assenza di lesioni e l’ottimale stato di salute del paziente fanno propendere per

problema legato a fattori ambientali piuttosto che qualche causa fisiopatologica.

Le uova appaiono quiescenti ma correttamente sviluppate. Viene perciò consigliato

al proprietario di sistemare al meglio la tartaruga in giardino, fornendole spazi

adeguati e sufficiente irradiazione solare. La presenza di esemplari di sesso maschile

fornisce uno stimolo positivo per la ripresa del ciclo ovarico e del comportamento

sessuale.

Il paziente è tornato per una visita di controllo, dopo essere stato posizionato

dentro un recinto in giardino, con illuminazione naturale e in compagnia delle altre

tartarughe.

Le immagini TAC confermano la ripresa dello sviluppo delle uova mediante una

progressione nella formazione del guscio calcificato. Tutte le uova mostrano uno

sviluppo fisiologico. All’interno della cavità celomatica non sono presenti segnali

indicativi di possibili patologie concomitanti.

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Conclusioni

Attraverso lo studio di questi tre casi si è potuto verificare le potenzialità

diagnostiche della TAC, sia in casi di conclamate patologie sia per il monitoraggio del

ciclo ovarico.

Il primo caso ha permesso di comprendere meglio gli avvenimenti che accadono

durante un ciclo riproduttivo: si è notato come le tempistiche e le fasi di sviluppo si

ripetono ogni anno, differendo per numero di follicoli e di uova prodotte.

Queste ultime incominciano a maturare in primavera, quando le temperature

aumentano e si allunga il fotoperiodo; nel giro di poche settimane inizia la

calcificazione dei gusci. Alla ripresa delle attività ovariche, le uova del ciclo

precedente ritenute in cavità celomatica vanno incontro a riassorbimento: vengono

quindi riciclate le sostanze nutritive immagazzinate all’interno del tuorlo; le madri

possiedono la capacità di trattenere le uova calcificate al loro interno senza

conseguenze anche per lunghi tempi.

La TAC si è dimostrata una eccellente metodica anche nei casi patologici: ha fornito

immagini molto più nitide e precise rispetto alla radiografia e all’ultrasonografia,

permettendo di evidenziare lesioni ed aspetti patologici che sfuggivano alle altre

tecniche di diagnostica per immagini.

Si è dimostrato come la tomografia assiale computerizzata sia, oggi, la miglior

tecnica disponibile per monitorare l’attività ovarica e per diagnosticare patologie

che, con le altre metodologie, passerebbero inosservate. Il suo potenziale ancora

inespresso funge da stimolo per intraprendere nuovi studi per comprendere gli

aspetti ancora poco affrontati, ampliando ulteriormente il parco di conoscenze a

disposizione e garantendo un supporto efficace ai proprietari di cheloni affetti da

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turbe riproduttive, nonché diventare una tecnica di riferimento importante per

innalzare il livello qualitativo dell’allevamento di questi rettili.

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LE PATOLOGIE DELL’APPARATO DIGERENTE DEL CONIGLIO:

GESTIONE MEDICA O CHIRURGICA?

Paolo Selleri, DMV, DipECZM

Clinica per Animali Esotici, Via Sandro Giovannini 53, Roma, Italia

Uno dei motivi più frequenti di presentazione del coniglio da compagnia è

la stasi gastroenterica.

Tale condizione può essere causata da una ipomotilità dell'apparato

intestinale o da una ostruzione meccanica (es. tricobezoari, corpi estranei,

ecc.). La discriminazione di queste due forme patologiche che hanno un

quadro sintomatico simile è fondamentale, poiché la gestione terapeutica

differisce sostanzialmente (terapia medica per stasi versus terapia

chirurgica per ostruzione).

Anamnesi e visita clinica

La visita ad un coniglio da compagnia presentato per mancata defecazione

deve prevedere un tempo piuttosto lungo da dedicare ad una approfondita

raccolta dell’anamnesi. Il coniglio non è ancora un animale pienamente

conosciuto dalla società e molti proprietari seguono ancora consigli errati

che derivano da credenze contadine che nel coniglio da compagnia

possono far insorgere patologie. È sempre consigliabile chiedere al

proprietario di portare una foto della gabbia in cui l’animale vive per

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aiutarci a capire qual è il grado di attenzione che il coniglio riceve dalla

famiglia e quanto i proprietari sono realmente informati sulle esigenze del

coniglio. Il coniglio è un animale preda e trovandosi in un ambiente non

familiare, come certamente è la sala visite di una clinica veterinaria, cerca

di nascondere i sintomi del suo disturbo. È importante sapere se sono stati

somministrati dei farmaci precedentemente alla visita poiché i conigli sono

sensibili a particolari antibiotici e possono avere reazioni cutanee ai

vaccini. L’anamnesi deve risalire anche a tempi meno recenti, settimane, o

mesi prima. Ad esempio episodi di lacrimazione possono anticipare

patologie a carico del dotto naso lacrimale, lo scuotimento delle orecchie

potrebbe anticipare la comparsa di un’otite media. Una visita adeguata

deve essere fatta posizionando il coniglio sul pavimento della sala visite,

per permettergli il movimento ed evitare cadute che nel coniglio possono

essere frequenti. Gli errori alimentari sono frequenti nel coniglio da

compagnia. Le diete ricche di carboidrati e povere in fibre portano in breve

tempo ad ipomotilità intestinale ed obesità. L’obesità, potrebbe predisporre

il coniglio a patologie del basso tratto urinario, in particolare ad urolitiasi e

urina fangosa che possono risultare in stasi GI. In questi casi il coniglio

presenta spesso una dermatite perineale da contatto con l’urina, poliuria e

polidipsia o disuria. Le branche della mandibola devono essere palpate

con attenzione perché frequentemente sviluppano ascessi odontogenici a

quel livello. Ascessi possono essere anche conseguenti a corpi estranei

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perforanti, e.g., aghi. La mucosa oculo-congiuntivale viene esaminata

allontanando delicatamente la palpebra inferiore dal globo. Contenendo

correttamente il coniglio, lo si ruota di 180 gradi in modo da esaminare la

mucosa genitale per valutarne il colore e la presenza di eventuali

secrezioni o emorragie. Nella femmina andrà valutata la vulva ed escluse

patologie quali vulvovaginiti e prolasso vaginale. Nel maschio durante

l’ispezione della mucosa prepuziale si valuta la discesa di entrambi i

testicoli, che avviene attorno le 12 settimane di vita.

La temperatura è un parametro fondamentale che deve essere sempre

rilevato al momento della visita. L’ipotermia è il segno prognostico più

rilevante nel coniglio. Conigli con ipotermia (valori di temperatura inferiori a

38,0 °C) hanno un rischio di mortalità tre volte maggiore rispetto a conigli

normotermici.

DIAGNOSTICA

Ogni caso di coniglio sospettato di blocco gastroenterico deve essere

sottoposto ad almeno esame radiografico, ecografico ed analisi del

sangue. L’omissione di una di queste procedure diagnostiche rischia di

esporci al grave rischio di mancanze diagnostiche

Esami radiografici

Il primo esame diagnostico da eseguire nel coniglio in stasi GI da più di 6-

12 ore e non ha evidenti segni clinici alla visita è la radiografia total body,

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proiezione latero-laterale e ventro-dorsale, mediante contenzione

manuale. Questo esame permette di avere un’immediata visualizzazione

dello stato di replezione dello stomaco. Si può impiegare una tecnica per

misurare la dimensione stessa dello stomaco, che consiste nella

misurazione dell'asse lungo dello stomaco dal margine dorsale al margine

ventrale. La misurazione deve essere ottenuta nel punto in cui la

lunghezza è massima. Successivamente si posiziona l’asse lungo cosi

misurato sul margine craniale del corpo vertebrale L1, e si misura il

numero di vertebre a cui corrisponde. La dimensione dello stomaco nei

conigli sani era di 3.5 (2.9-4.8) ± 0.54 vertebre. La tecnica è molto

semplice e consiste nella misurazione dell'asse lungo dello stomaco, e del

posizionamento di tale misura a partire dal margine craniale della vertebra

L1. Questa tecnica permette di valutare le dimensioni dello stomaco del

coniglio, senza subire l’influenza della sua taglia. L’esame radiografico

permette inoltre di escludere presenza di calcolosi renali, ureterali o

uretrali. Per visualizzare queste ultime c’è necessità di includere la zona

perineale del coniglio, poiché il pene è in posizione anatomica più caudale

rispetto ai carnivori domestici. La presenza di modeste quantità di gas è

normale nell’intestino del coniglio. La visualizzazione di dilatazioni

importanti delle anse intestinali deve porre il dubbio della presenza di

un’ostruzione meccanica. Spesso già all’esame radiografico è possibile

identificare un aumento della dimensione dell’utero in coniglie intere.

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Esami emato-biochimici

Gli esami emato-biochimici sono spesso il secondo step diagnostico nella

valutazione del coniglio in stasi GI. Torsioni del lobo epatico, diagnosticate

sempre più spesso, sono associate a varie alterazioni biochimiche. Un

innalzamento del valore di alanina aminotransferasi (ALT; valori di

riferimento: 14-80 IU/L; in 14 conigli su 15), di fosfatasi alcalina (ALP;

valori di riferimento: 4-70 IU/L; in 11 conigli su 15), della BUN (8 conigli su

15) e di aspartato transaminasi (AST; in 7 conigli su 15).

La glicemia è da tenere in considerazione poiché misurazioni di

iperglicemia (>320 mg/dL) sono state associate a ostruzione gastro-

intestinale in uno studio che includeva oltre 900 conigli. Gravi eventi

stressogeni sono associati a moderati livelli di glicemia (200-240 mg/dL).

Ciononostante nella pratica clinica è frequente riscontrare ostruzioni

intestinali anche con valori di glicemia normale, e a tale valore deve essere

dato quindi il giusto peso clinico. Sono descritti sporadici casi di diabete

nel coniglio e nel caso di iperglicemie persistenti deve essere tenuto in

considerazione. L’ipoglicemia è piuttosto rara nel coniglio adulto e

frequentissima nel coniglio giovane. Spesso secondaria a inanizione o

parassitismo (frequenti i coccidi). Per la misurazione della glicemia è stato

validato l’utilizzo di glucometri umani (Accu-chek Aviva). Tale glucometro è

adeguato per misurare la glicemia del coniglio. È consigliato sommare 10

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mg/dL al risultato ottenuto mediante le striscette.

Emo-gas analisi ed elettroliti

La misurazione di elettroliti è fondamentale in corso di stasi

gastrointestinale. L’iponatremia è un fattore prognostico negativo nel

coniglio ed associata ad un’aumentata mortalità. Il calcio ionico ci fornisce

importanti indicazioni relativamente alla parte attiva del calcio circolante

(valori di riferimento non pubblicati ma circa 1.4-1.5 mmol/L). Il potassio

può indicare stati di insufficienza renale acuta e mancata diuresi

(iperkalemia) o, raramente, stati di insufficienza renale cronica

(ipokalemia). L’utlizzo di emo-gas portatile (i-stat) o da tavolo (Nova

biomedica) su prelievo venoso permette un’immediata valutazione del

calcio ionico e di pH e PCO2.

Ecografia addominale

L’esame ecografico addominale permette, quando eseguito da un

operatore con esperienza nel coniglio, di escludere la presenza di

ostruzioni meccaniche, specialmente a livello intestinale. A volte

tricobezoari a livello gastrico non sono visualizzabili vista la presenza di

materiale alimentare e gas concomitante. In tali casi si possono eseguire

radiografie seriali a distanza di 4-6 ore per valutare il passaggio

dell’eventuale corpo estraneo in intestino con conseguente dilatazione e

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meteorismo. L’ecografia addominale permette di identificare disordini del

parenchima epatico ed in particolare torsioni del lobo epatico. In

particolare si nota una ecogenicità parenchimale mista con tipiche

striature. In casi dubbi si può eseguire l’esame ecografico con contrasto

(CEUS) che permette di diagnosticare con certezza la mancata

vascolarizzazione del lobo colpito. L’ecografia è importante per definire la

localizzazione dei calcoli (ureteri vs vescica) e per valutare eventuali

dilatazioni del bacinetto renale. L’ecografia è fondamentale per confermare

le patologie uterine e in sede pre-chirurgica.

OPZIONE CHIRURGICA

Gastrotomia

La gastrotomia è indicata nei casi in cui si ha evidenza di corpi estranei o

tricobezoari che diano ostruzione o subostruzione a livello pilorico. Il

coniglio si posiziona in decubito dorsale, si tosa facendo attenzione a

comprendere nella tosatura buona parte del torace e si esegue lo scrub

chirurgico. Si esegue un’incisione sulla linea mediana che origini

caudalmente all’apofisi xifoidea dello sterno fino a un paio di centimetri

caudalmente l’ombelico. Si ispeziona tutto l’addome per eventuali altre

alterazioni concomitanti. Una volta accertata la necessità della gastrotomia

si posizionano due suture di mantenimento sulla grande curvatura a 2-3

cm di distanza tra loro. Mediante le suture di mantenimento lo stomaco

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viene sollevato a livello della breccia operatoria. Si posizionano garze

umide intorno allo stomaco per prevenire contaminazione del peritoneo

con materiale gastrico. Si procede con l’incisione di 2-3 cm sull’area meno

vascolarizzata tra piccola e grande curvatura. Se necessario si può

riempire il lume gastrico con pochi millilitri di soluzione fisiologica. Una

volta eliminati eventuali corpi estranei, ispezionato lo stomaco ed il piloro,

ed ottenute eventuali biopsie si sutura lo stomaco su due piani con suture

monofilamento 3-0, 4-0. Il primo piano comprende muscolare e

sottomucosa con sutura continua Cushing o semplice e il secondo piano

comprende sierosa e muscolare con sutura invertente continua Cushing o

Lembert. Si esegue un lavaggio della cavità peritoneale con fisiologica

sterile opportunamente riscaldata e si richiude l’addome in maniera

standard.

Enterotomia

L’enterotomia nel coniglio è indicata in corso di corpi estranei intestinali o

raramente per eseguire biopsie. L’incisione è centrata sull’ombelico e va 2-

4 cm cranialmente e 2-4 cm caudalmente. Si ispeziona con attenzione

tutto il tratto gastroenterico. Una volta individuato il sito di ostruzione si

posizionano due enterostati (nell’esperienza degli autori clip per capelli

sterilizzate sono adeguate nel coniglio) cranialmente e caudalmente al

punto in cui si eseguirà l’incisione. In alternativa il secondo chirurgo può

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bloccare l’intestino cranialmente e caudalmente al sito da incidere con

indice e medio di entrambe le mani. Si posizionano garze umide intorno

all’intestino e si procede con l’incisione longitudinale. Si elimina il corpo

estraneo e si esegue una sutura a punti staccati con monofilamento 4-0 o

5-0. La sutura può essere longitudinale, seguendo l’incisione stessa, o

trasversale in modo da creare una dilatazione dell’intestino ed evitare

stenosi cicatriziali. Si esegue il lavaggio del peritoneo se necessario e si

richiude l’addome in maniera standard.

Enterectomia

L’enterectomia nel coniglio può essere necessaria quando un corpo

estraneo è rimasto per troppo tempo all’interno del lume intestinale e si

sono formate aree di necrosi, in corso di neoplasia intestinale (rare), o in

corso di perforazione intestinale. La procedura è identica all’enterotomia,

eccezion fatta che si procede con la legatura dei vasi di pertinenza del

tratto intestinale da escindere. La legatura dovrebbe avvenire quanto più

possibile vicina all’intestino stesso per evitare che ci siano aree

dell’intestino residuo non irrorate. Si incide l’intestino ad un angolo acuto di

15-30° in modo da aumentare lo spessore del lume. Una volta escisso il

segmento intestinale si esegue l’anastomosi posizionando punti staccati a

tutto spessore monofilamento 4-0 o 5-0 lungo il diametro dell’intestino. Al

termine dell’anastomosi si inietta 0.5 ml di soluzione fisiologica per

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valutare la tenuta della sutura. Si procede con il lavaggio peritoneale e la

chiusura standard dell’addome.

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UN CASO DI TRICOMONIASI ASSOCIATO AD UNA GRAVE POLMONITE

ETEROFILICA E MASSA NECROTICA OROFARINGEA IN UN ESEMPLARE DI GUFO

REALE (BUBO BUBO)

Vincenzo Mulè, DMV 1, Giulia Gottardi, DMV 1, Francesca Tonellato, DMV 2, Luca Pazzini,

DMV 1

1 Clinica Veterinaria Privata Centro Storico, Bolzano, Italia

2 Centro Recupero Avifauna Bolzano, Bolzano, Italia

Area di interesse: Animali esotici

Introduzione

Il gufo reale (Bubo bubo) è il più grande rapace notturno esistente. Appartiene alla famiglia degli

Strigidi. Gli adulti possono raggiungere i 70 cm di altezza, con un'apertura alare che si aggira

intorno ai 160-185 cm.

In Italia nidifica nelle regioni alpine e frequentemente si spinge in territorio urbano, la città

costituisce infatti un'ottima risorsa di prede per questo rapace.

Descrizione del caso

Il 10 gennaio 2015 un esemplare di gufo reale adulto veniva recuperato presso il quartiere

Oltrisarco della città di Bolzano. Alla prima visita il soggetto si presenta in uno stato di grave

dimagrimento e denutrizione (peso all'arrivo 1,340 Kg.).

All'Esame Obiettivo Generale si rileva, oltre alla grave malnutrizione, la presenza di lesioni

giallastre in cavità orale particolarmente evidenti nella porzione aborale della lingua e del palato.

Si decide quindi di procedere ai seguenti accertamenti diagnostici:

Radiografia in doppia proiezione

Esecuzione di tamponi batteriologici in cavità orale

Esecuzione di un campionamento per un esame microscpico a fresco delle lesioni in cavità orale

Esecuzione di tamponi sulle lesioni per una coltura micotica

Le radiografie mostrano un pattern polmonare diffuso ed aumento della radiopacità nei campi

corrispondenti ai sacchi aerei addominali. Gli esami microscopici delle lesioni in cavità orale

evidenziano una massiccia infestazione di protozoi flagellati del genere Trichomonas.

Oltre alla nutrizione forzata il soggetto viene trattato con terapia antibiotica con l'impiego di

Marbofloxacina (15 mg/Kg SID) e trattato contro i protozoi con Metronidazolo ad un dosaggio di

50mg/Kg die.

Nei giorni seguenti si nota un apparente miglioramento delle sue condizioni generali ed un aumento

della forza del paziente evidenziata nella maggiore resistenza alla cattura per la somministrazione di

cibo e terapie, anche se molta preoccupazione desta il fatto che dopo numerosi giorni di ricovero il

gufo non rigurgita borre.

Dopo 10 giorni di ricovero l'esemplare viene rinvenuto morto nella sua gabbia con il becco

imbrattato di sangue.

L'esame necroscopico eseguito in giornata conferma il grave stato di deperimento organico in cui

versava l'animale, evidenziabile dalla grave atrofia dei muscoli pettorali e dalle condizioni del

fegato, aumentato di volume e steatosico. A livello palatino si rileva la presenza di una massa

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bilobata solida ed estremamente vascolarizzata di circa 4 cm di diametro, dimensioni tali da

occludere l'orofaringe ed ostacolare l'alimentazione dell'animale e l'espulsione delle borre. Una

borra ben formata è stata evidenziata nello stomaco. Sangue coagulato viene ritrovato nel cavo

orale, in esofago e trachea. A livello renale, bilateralmente, è stata rilevata la presenza di emorragie

petecchiali.

Descrizioni macro e microscopica delle lesioni agli organi interni

Macroscopicamente si evidenzia una massa orofaringea necrotica caseosa, di 3-4 cm, con mucosa

ulcerata. In sezione si evidenzia invasione dei tessuti profondi. Sono stati prelevati campioni dalla

massa orofaringea, dal polmone, dal fegato, dal rene e dallo stomaco muscolare. Sono stati fissati in

formalina, inglobati in paraffina, eseguite sezioni di 1-2 micron e colorate con ematossilina-eosina

per la valutatazione microscopica.

foto 1: presentazione macroscopica della lesione in vivo

Foto 2: massa necrotica

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Descrizione istopatologica:

regione orofaringea, il 90% del tessuto orofaringeo è completamente distrutto e sostituito da una

lesione nodulare transmurale necrotizzante ed infiammatoria che coinvolge epitelio, sottomucosa e

strato muscolare profondo con parassiti protozoi ed aggregati di batteri bastoncellari intralesionali.

Il nodulo è costituito da abbondante materiale cellulare eosinofilico e cariorettico (necrosi),

numerosi eterofili, un minor numero di macrofagi, pochi linfociti e rare plasmacellule con

occasionali aggregati di grandi batteri bastoncellari (Clostridi). Frammisti alla necrosi sono presenti

numerosi organismi, da ovoidali a rotondi, di 5-7 micron, con nucleo basofilico (Trichomonas

gallinae). Diagnosi istopatologica: grave stomatite e faringite, localmente estesa, sub acuta

nodulare, necrotizzante, eterofilica ed istiocitaria con protozoi intralesionali (Trichomonas gallinae)

ed aggregati di Clostridi.

Polmone, il 60% dell'interstizio polmonare è gravemente coinvolto da infiammazione multifocale

che ha come bersaglio materiale estraneo. L'interstizio polmonare è gravemente espanso da un

infiltrato infiammatorio multifocale costituito da numerosi eterofili, un minor numero di macrofagi,

un moderato numero di cellule giganti multinucleate, pochi linfociti e rare plasmacellule con

materiale estraneo intralesionale (polmonite ab ingestis).

Fegato e rene, il 30% dell'interstizio epatico e renale risulta moderatamente espanso da un infiltrato

infiammatorio multifocale costituito da un moderato numero di eterofili, un minor numero di

macrofagi, pochi linfociti e rare plasmacellule.

Stomaco muscolare, l'epitelio è multifocalmente necrotico con rari protozoi intralesionali.

Immagini istologiche. Foto Luca Pazzini

epatite interstiziale multifocale eterofilica

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Stomaco muscolare. Necrosi epitelio

Orofaringe,flogosi eterofilica, necrosi, con organismi

morfologicamente compatibili con Trichomonas

L'insieme delle lesioni del gufo analizzate evidenzia una situazione compatibile con un quadro

setticemico, originato probabilmente dall'infezione presente nelle vie respiratorie (grave polmonite

interstiziale multifocale nodulare cronica eterofilica granulomatosa con materiale estraneo che ha

provocato una polmonite ab ingestis) ed estesosi a fegato (moderata epatite intertiziale multifocale

random sub acuta, eterofilica, istiocitica e linfocitaria), rene (moderata nefrite intertiziale

multifocale sub acuta, eterofilica, istiocitica e linfocitaria) e stomaco muscolare (multifocale necrosi

dell'epitelio con protozoi intralesionali). Infine, l'enorme massa bilobata prelevata dall'orofaringe

risulta costituita da materiale necrotico, batteri e cellule infiammatorie.

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Discussione

I Trichomonas sono protozoi appartenenti alla classe Trichomonadea. Essi sono organismi anaerobi

(senza mitocondri e perossisomi ma con hidrogenosomi, che sono organelli specializzati nei

processi metabolici della glicolisi). Sono caratterizzati da un singolo “corpo” (cariomastigonte) con

5-6 flagelli. La famiglia Trichomonadidae è inclusa nell'ordine Trichomonadida. Questo gruppo

contiene le specie Trichomonas vaginalis (che causa la trichomoniasi umana), Trichomonas Faetus

(responsabile della infertilità bovina) e Trichomonas gallinae (che rappresenta il parassita

principale coinvolto nella Trichomoniasi degli uccelli).

Particolarmente colpiti sono piccioni e tortore che rappresentano l'ospite principale del parassita e la

causa della sua diffusione globale. L'infezione si contrae già in età giovanile, in quanto la

trasmissione di questo parassita è mediata principalmente dall'assunzione di "latte del gozzo"

prodotto da individui infetti. Rapaci, come il nostro esemplare di gufo reale, si possono infettare

mediante l'ingestione di prede infette. Nel nostro caso la patologia si è manifestata con la comparsa

di una grossa massa necrotica data dall'infiammazione, ulcerazione e successiva necrosi della

mucosa di cavità orale e palato molle. Questa lesione ha dato luogo ad una grave infezione batterica

secondaria. L'infezione si è poi estesa ad altri organi tramite circolazione sistemica causando

polmonite, epatite e nefrite con esito letale. Inoltre, la presenza della massa necrotica ha impedito al

soggetto di produrre ed espellere le borre, fondamentali per il corretto funzionamento del sistema

gastroenterico. Tali macro lesioni, proprio per la loro grandezza ed invasività locale, possono

rappresentare esse stesse un problema per la sopravvivenza del paziente nonostante l'utilizzo

precoce di specifiche terapie antibiotiche ed antiparassitarie.

Trichomonas gallinae colpisce quasi tutte le specie di uccelli ed in particolare Columbiformi,

Galliformi, Psittaciformi, Passeriformi, Strigiformi e Falconiformi. Ha però un comportamento

diverso in base alle specie di uccelli che colpisce. E', infatti presente stabilmente nelle popolazioni

di piccioni di città un po' in tutto il mondo, arrivando ad avere una prevalenza che va dal 30 al 60%

in base agli studi effettuati in differenti aree geografiche (Begum et al. 2008). La Trichomoniasi è'

una malattia conosciuta fin dai tempi antichi ed un recente articolo (Wollff et al. 2009) la colloca

come parassita addirittura del Tirannosauro. Solo a partire dagli anni '80 si è provato, però a

classificarlo; prima in base alle specie che venivano colpite, poi, attraverso metodiche di biologia

molecolare. Solo recentemente, infatti, l'introduzione di metodiche molecolari e lo sviluppo di

colture cellulari hanno evidenziato sia la presenza di nuove specie di Trichomonas (Diaz et al.

2015), che la presenza di diversi ceppi genetici dello stesso Trichomonas gallinae (Sansano et al.

2009).

Questo parassita di solito si localizza nella parte superiore dell'apparato digerente degli uccelli ma

può colpire anche altri organi a seconda della sua virulenza. Recenti studi genetici e molecolari

(Amin et al. 2014) mirano proprio ad identificare le cause di questa più o meno intensa virulenza ed

i fattori genetici che sono alla base della resistenza agli imidazolici che, ad oggi, rappresentano

ancora le uniche opzioni terapeutiche a nostra disposizione. Analisi genetiche su Trichomonas

gallinae hanno dimostrato che esistono ceppi differenti di questo parassita ed alcuni di essi,

particolarmente virulenti, sono stati isolati sia su rapaci con grave sintomatologia clinica che su

passeriformi deceduti in massa nel Regno Unito (Lawson et al, 2011). Questi ultimi avevano le

stesse sequenze genetiche, classificate come ceppo G7. Diversi studi genetici (Tab. 1) classificano i

vari ceppi di Trichomonas gallinae in base a differenze nelle sequenze genetiche attraverso diverse

metodiche molecolari(Amin et al. 2014).

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Tabella 1. Amin et al. Parasitology Jan. 2014

Il Genotipo A (quello più frequente nei columbiformi) sembra essere quello meno virulento, mentre

il Genotipo B è stato isolato da uccelli con sintomatologia conclamata (Sansano et al. 2009). Studi

molecolari molto recenti (Martinez-Herrero et al. 2014), hanno evidenziato 5 genotipi diversi di

Trichomonas gallinae associati diversamente alla specie ospite, alla dieta ed alla presenza di lesioni

patognomoniche.

In passato tutti i flagellati presenti nel tratto respiratorio e digerente localizzati anteriormente al

gozzo venivano classificati come Trichomonas gallinae; questo per distinguerli dal

Tetratrichomonas gallinarum che si localizza nel basso tratto digerente, in particolare negli

anseriformi e gallinacei (Amin et al. 2014). Recentemente alcuni uccelli selvatici, in particolare un

pellicano ed un Ibis (Burns et al. 2013) sono stati rinvenuti deceduti con lesioni epatiche molto

simili alle lesioni al fegato evidenziate sul nostro paziente, ma l'agente eziologico è stato

classificato come Tetratrichomonas gallinarum.

La tipica presentazione della lesione sostenuta da questi protozoi è la presenza di lesioni necrotiche,

più o meno sviluppate localizzate in cavità orale o nella parte superiore dell'esofago che possono

estendersi tanto da causare occlusione parziale o completa del tratto digerente, fino a determinare la

morte del soggetto. L'infiammazione necrotizzante causa delle lesioni, può essere data dalla

secrezione di enzimi proteolitici prodotti dal parassita (Amin et al. 2014).

Per quanto riguarda la terapia, ad oggi solo i farmaci nitroimidazolici sono considerati efficaci nel

contrastare la patologia negli uccelli come nell'uomo: metronidazolo, dimetridazolo (tossico negli

uccelli), ronidazolo, carnidazolo. Purtroppo però, improvvisate “procedure di profilassi” effettuate

da allevatori soprattutto di piccioni viaggiatori consistenti nel somministrare basse dosi di

imidazolici anche a soggetti sani, hanno contribuito a creare ceppi resistenti di protozoi.

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Conclusioni

Nonostante si tratti di una patologia conosciuta fin dai tempi antichi, la Trichomoniasi degli uccelli

è tutt'altro che sotto controllo e dal 2005 è stata classificata anche come “patologia emergente” nei

piccoli passeriformi nel Regno Unito (Lawson et al. 2012). Per quanto riguarda la diffusione della

patologia nelle specie selvatiche, negli ultimi quarant'anni stiamo andando incontro ad un aumento

in tutto il mondo di casi segnalati presso Centri Recupero Avifauna soprattutto nelle specie di rapaci

che colonizzano gli ambienti urbani (Delogu et al. 1997) (Krone et al. 2005) (Work and Hale, 1996)

(Keymer F, 1972). Tutto ciò potrebbe essere dovuto sia all'abbondanza di prede (colombo

domestico) nel loro territorio, che alla contemporanea diminuzione del numero dei piccoli

mammiferi selvatici che prima rappresentavano la gran parte delle prede per i rapaci diurni e

notturni (Palma et al. 2006), dagli stessi studi sono segnalate, inoltre, alcune modificazioni

dell'atteggiamento predatorio dei rapaci osservati.

Solo grazie all'ulteriore sviluppo di tecniche di biologia molecolare e studi genetici potremmo

arrivare a saperne sempre di più sull'effettiva virulenza e sulla sensibilità ai farmaci di questi

parassiti. Conoscendo e sapendo isolare i ceppi più patogeni da quelli non patogeni potremmo

sviluppare strategie atte a contrastare efficacemente la patologia. Purtroppo, però, le tecniche di

biologia molecolare sono ancora troppo costose e la malattia, non avendo un forte impatto

economico (poichè colpisce le specie selvatiche ed i colombiformi), non rappresenta una vera e

propria minaccia per la nostra società (Amin et al. 2014). Per questo motivo le risorse umane ed

economiche per la ricerca in questo settore rimangono ancora molto limitate.

Bibliografia

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Relatori e moderatoriRelatori e moderatoriRelatori e moderatoriRelatori e moderatori

Marco Bedin, Med Vet, PhD, GPCert (ExAP) Laureato presso l’Università di Camerino, consegue il Dottorato di Ricerca presso l’Università di Padova dove è stato Professore a Contratto per i corsi di ortopedia dei piccoli mammiferi, traumatologia degli uccelli e chirurgia dei rettili. Dal 2015 é Certificato GPCert. (Exotic Animal Practice). Da sempre appassionato di Animali Esotici e Selvatici, se ne occupa subito dopo la laurea e collabora con vari progetti di conservazione di specie minacciate Gufo reale, Capovaccaio, Nibbio Reale. Autore di pubblicazioni su riviste scientifiche Nazionali ed Internazionali di Medicina e Chirurgia degli Animali

Esotici e Selvatici, direttore e relatore di corsi e congressi sulla medicina e chirurgia degli animali esotici. Svolge la Propria professione presso la Clinica Veterinaria Euganea di Monselice (PD) di cui é socio titolare occupandosi esclusivamente di Animali Esotici, Selvatici e da Zoo. Svolge attività di consulenza sulla Medicina e Chirurgia degli Animali Esotici presso L'Ospedale Veterinario I Portoni Rossi e Zola Predosa (BO).E' Socio SIVAE, AAV, EAZWV. Consigliere dell'Ordine dei Medici Veterinari ella Prov. di Padova ed é nel Direttivo ANMVI Regione (Veneto). Presidente SIVAE dal 2011 al 2014 e tuttora nel CD della Società.

Christine Castellitto Dott.ssa Christine Castellitto Si occupa esclusivamente di cardiologia veterinaria. Cittadina statunitense, si è formata presso l’Animal Medical Center, New York, con il Dr. Fox, dipl ACVIM (Cardiology). E’ relatore e docente di seminari, workshops e corsi di cardiologia ed ecocardiografia veterinaria a livello nazionale. Dal 2005 al 2007 è stata direttore, coordinatore e docente dei corsi di cardiologia ed

ecocardiografia base ed avanzato di Kriton. E’ Past President dell’Associazione Cardiologi veterinari “CARDIOVET” di cui è socio fondatore ed è Past President dell’Associazione Cardiologi ed Ecografisti Clinici Veterinari “CARDIEC”. E’ referente di cardiologia nell’azienda VetDiagnostic Company, situata a New York, ed è membro della Veterinary Association of New York City. E’ Presidente del Comitato Tecnico Scientifico “Hcm Research Project”, progetto di ricerca a livello internazionale sulla cardiomiopatia ipertrofica felina. Si occupa da diversi anni anche di cardiologia di animali esotici e selvatici. Attualmente è Presidente e direttore del Centro Cardiologico Veterinario, centro di referenza a livello nazionale di cardiologia, chirurgia cardiovascolare e cardiologia interventistica, situato presso la Clinica Veterinaria Poggio Piccolo, Castel Guelfo (BO).

Nicola Di Girolamo, Med Ved, MSc(EBHC), GPCert(ExAP) E' resident dello European College of Zoological Medicine presso la Clinica per Animali Esotici ed editore associato di BMC Veterinary Research. Svolge attualmente un dottorato in Scienze Veterinarie all’università di Bologna. Nel 2014 ha conseguito un master all’università di Oxford in medicina basata sull’evidenza. È autore di una quarantina di pubblicazioni su riviste internazionali peer-reviewed. È co-chair del comitato per l'educazione dell'ARAV e delegato italiano del comitato internazionale. Si interessa

nell'applicazione della medicina basata sull'evidenza in veterinaria.

Danilo Grande Dopo essersi laureato all’università di Medicina Veterinaria di Perugia nel Luglio 2007 si iscrive alla SIVAE e inizia un percorso formativo mirato ad approfondire le conoscenze di diverse specie animali.?In poco tempo parte per l’estero per recarsi in Inghilterra dove lavora alla Great Western Referrals, una clinica certificata dal Royal College, nel dipartimento di animali esotici, sotto la supervisione del diplomato europeo Dott. Neil Forbs.?Nell’anno che segue prende servizio presso Avivet, una clinica veterinaria per

soli animali esotici in Norvegia, lavorando sotto la guida del Dott. Espen Odberg. ?Nel periodo che intercorre si reca negli Emirati Arabi presso l’Abu Dhabi Falcon Hospital, dove vi passa un breve periodo in cui approfondisce la medicina dei rapaci. Negli anni successivi partecipa a diversi congressi internazionali (es. SEVC, AAV e ECZM) e corsi di formazione presso l’ European School for Advanced Veterinary Studies (ESAVS). ?Attualmente membro delle più importanti società internazionali di animali esotici, lavora a Roma offrendo un servizio di referenza per diverse strutture veterinarie.

Emanuele Lubian, Med Vet Lubian Emanuele si laurea a Milano nel 2010 in Medicina Veterinaria con voto 110/110 e tesi dal titolo “Composizione microbiologica cloacale in T. hermanni sane e con cloacite”; da allora dedica principalmente la sua attività alla cura degli animali esotici e selvatici. Ha svolto periodi di tirocinio presso strutture specializzate in medicina di animali non convenzionali, ha partecipato a numerosi congressi dedicati alla medicina veterinaria e alle scienze naturali, ha collaborato a progetti di divulgazione

scientifica e di tutela ambientale, svolgendo anche il ruolo di relatore a conferenze nazionali ed internazionali. Nel 2015 ha ottenuto il GPCert in Exotic Animal Practice. E’ autore del libro “Gechi nani” pubblicato da Testudo Edizioni nel 2013. Attualmente lavora in diverse cliniche e ambulatori e come free lance dedicandosi per lo più alla medicina degli animali esotici, è impegnato nella stesura del libro “Urodeli” e occupa il ruolo di direttore sanitario presso il centro di recupero della fauna selvatica LIPU di Magenta.

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Manuela Mantineo Si laurea all’ Università di Messina nel 2008 con tesi sperimentale dal titolo “Lesioni chirurgiche riscontrate in Caretta caretta presso il centro di recupero per le tartarughe marine di Linosa : esperienze personali nel triennio 2005-2008 “. Ha svolto diversi tirocini presso stutture specializzate sui non convenzionali e selvatici; tra cui, il centro di recupero di Polesella, la clinica veterinaria Brunetti, Exoticosalbea a las Palmas.

Scrivi per inserire testo Nel 2009 collabora con il centro di recupero tartarughe marine di Linosa Dal 2009-2016 collabora con la Clinica San Francesco di Venezia, dove si occupa di animali esotici, della medicina e anestesia dei piccoli animali Da marzo 2016 inizia una collaborazione con la clinica Borghesiana di Roma Socia SIVAE dal 2007 ha frequentato numerosi corsi di formazione Attualmente è impegnata per il conseguimento del GPcert per gli animali esotici

Vincenzo Mule' Vincenzo Mulè, Med Vet Lareato a Bologna nell'anno1997. Da studente collabora alla fondazione della neonata Società Italiana Studio Animali Non Convenzionali dell'Università di Bologna. Nel 1998 supera il National Board Exam e Clinical Competency Test negli U.S.A. dopo 6 mesi di tirocini formativi presso due

ospedali veterinari negli stati di New York e Virginia seguendo prevalentemente la medicina e chirurgia dei nuovi animali da compagnia, Dal 1999 inizia l'attività libero professionale a Bolzano occupandosi di clinica e chirurgia dei piccoli animali in particolare rettili ed uccelli. Nel 2003 è socio fondatore del Centro Recupero Avifauna Bolzano di cui ricopre il ruolo di direttore sanitario. Nell'anno 2005 in collaborazione con l'Ufficio Ambiente del Comune di Bolzano redige il testo "Animali in città", in cui vengono poste le linee guida sulla detenzione e corretta gestione degli animali domestici ed esotici da parte dei cittadini. E' attualmente direttore sanitario e proprietario della Clinica Veterinaria Centro Storico di Bolzano e socio amministratore dell'Ospedale Veterinario di Cles in Trentino. Collabora come consulente veterinario con l'Ufficio CITES della Provincia di Bolzano, il M.U.S.E. Di Trento ed il Museo di Scienze Naturali di Bolzano.

Gianpiero Nieddu, Med Vet E' docente di acquariologia presso la Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Bologna, nel Corso di laurea triennale di Acquacoltura e Ittiopatologia con sede a Cesenatico. È responsabile sanitario dell’"Acquario e Civica Stazione Idrobiologica di Milano". Ha conseguito il Master di I livello in Acquacoltura e Ittiopatologia presso l’Università di Bologna. Da anni si occupa di animali “non convenzionali” e, dal 2009, è socio dell'Ambulatorio Veterinario Associato Ghelfi Nieddu" a Pavia. Ha collaborato con diverse associazioni del settore acquariofilo, fra cui l’AIC (Associazione Italiana Ciclidofili), e Italian Koi Club. Numerose sono le sue collaborazioni editoriali con riviste veterinarie e nel settore

acquariofilo (Pet magazine, Il mio acquario, Mondo pet, Enciclopedia “Passione acquario”, Argos, Cinologia, Donna moderna, Corriere della Sera, ecc.), spesso come esperto di redazione. È socio SIVAE e SIPI (Società Italiana di Patologia Ittica).

Edgardo Pagani Edgardo Pagani, medico veterinario, ricopre il ruolo di Direttore Sanitario e legale rappresentante dell’ambulatorio veterinario ZamPeTS Center a Trieste. Laureatosi nel 2005 in Medicina Veterinaria presso l'Università degli Studi di Milano, dal 2003 è iscritto alla SIVAE (Società Italiana Veterinari Animali Esotici). La sua attività professionale ruota principalmente intorno alla cura degli animali esotici e non convenzionali. Ha collaborato con l'Asl di Milano, in particolare col direttore del Mercato ittico di Milano, il Dr Malandra Renato, suo correlatore nella tesi di laurea, e con l'Asl di Bergamo occupandosi di aspetti

riguardanti la sanità animale e l'ispezione degli alimenti di origine animale. Autore di pubblicazioni scientifiche, comunicazioni brevi e poster sugli Animali Esotici. Parla correntemente le lingue Inglese, Spagnolo e Cinese.

Daniele Petrini, Med Vet, GPCert(ExAP) Si laurea con lode nel 2008 presso la facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa con una tesi sperimentale dal titolo: “Iperadrenocorticismo nel furetto (Mustela putorius furo)”. Sin dai primi anni dell’università frequenta cliniche per piccoli animali occupandosi prevalentemente della medicina e chirurgia degli animali non convenzionali. Partecipa a numerosi congressi e corsi in Italia e all’estero ed è relatore abituale in seminari nazionali ed internazionali riguardanti la medicina degli animali esotici.Lavora come freelance

in Toscana occupandosi esclusivamente di medicina e chirurga degli animali esotici, anestesia e medicina d’urgenza con passione per i piccoli Mammiferi esotici. Dal 2013 è delegato regionale SIVAE toscana. Nel 2015 consegue il titolo di General Practitioner in Exotic Animal Practice GPCert (ExAP). Sta completando un master universitario di II livello in ‘Anestesia e terapia del dolore degli animali da compagnia e dei non convenzionali’ presso l’ateneo pisano.

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Andrea Pietra Andrea Pietra, Med Vet Nel 2014 si laurea a pieni voti all’Università degli Studi di Parma con tesi “Monitoraggio T.A.C. dell’attività ovarica nei Cheloni”. Da sempre affascinato dalla medicina degli animali esotici, durante il periodo universitario approfondisce l’interesse verso l’argomento. Dopo un periodo di tirocinio formativo presso il Macello Padano di San Cipriano Po (PV), incomincia a frequentare l’Ospedale Veterinario Oltrepo' di Stradella (PV) dove tuttora esercita la professione, occupandosi di medicina ed esami di laboratorio di piccoli animali. Ha frequentato diversi ambulatori che si occupano di animali esotici. Attualmente segue il Dott. Millefanti ed i suoi collaboratori presso l’Ambulatorio Veterinario Ferlini, Granata e Millefanti a Gaggiano (MI), applicandosi nella pratica della medicina degli animali non

convenzionali. Dal 2012 è socio SIVAE, partecipando a corsi e congressi.

Andrea Sala Nato a Modena il 07/08/1986. Laureato il 13/11/2012 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Parma, con tesi dal titolo “Valutazione della flora microbica in rapaci presenti nel Parco Natura Viva – Bussolego (VR)”. Da sempre interessato allo studio della Medicina Veterinaria applicata alle specie non convenzionali. Iscritto alla SIVAE dal 2011. Ha completato il Dottorato di Ricerca presso l’Unità Operativa di Malattie Infettive del Dipartimento di Scienze Medico-Veterinarie

dell’Università degli Studi di Parma. Attualmente continua a svolgere la sua attività di ricerca nell'ambito dell'antibiotico resistenza e dello sviluppo di strategie alternative per il trattamento di infezioni sostenute da stipiti multi-resistenti.

Petra Schnitzer, Med Vet, ECZM Resident (Avian) Missaglia (CO) Petra Schnitzer si é laureata nel 2010 in medicina veterinaria, a pieni voti, presso l’università di Vienna, con la tesi “Evaluation of the physiological bacterial flora in Hermann´s tortoise (Testudo hermannii) based on repeated examinations in the course of the summer season” con la Prof.ssa Alexandra Scope e il Prof. Zdenek Knotek Dipl ECZM (Herp). Prima della laurea ha lavorato come assistente scientifico presso la clinica per uccelli, rettili e pesci all’ università di Vienna. Ha fatto un internship presso la Clinica Veterinaria Valcurone del Dott. Crosta in quale lavorava poi come veterinario per quasi 2 anni. Tale è stato intervallato da 5 settimane di pratica presso la clinica veterinaria del Parque das Aves (Brasile). Petra Schnitzer ha

lavorato come staff veterinarian presso il Loro Parque di Tenerife, e dopo il rientro in Italia ha iniziato la Residency ECZM (Avian), che dovrebbe terminare nei primi mesi del 2016. Inoltre è cultore di materia presso l’università di Milano, dove dal 2013 dà lezioni a tema per il corso di laurea Allevamento e Benessere animale ed è relatrice ed istruttrice al corso Improve International per veterinari per animali esotici dal 2014. È di madre lingua tedesca, ha un’ottima conoscenza dell’Italiano e dell’Inglese e base dello Spagnolo.

Annalaura Scuto Laureata in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Bari con la tesi “Farmacocinetica di Enrofloxacin nel Coccodrillo marino (Crocodilus porosus)”. Già nel periodo degli studi si dedica con passione alle specie esotiche e non convenzionali, occupandosi anche della riabilitazione di animali selvatici e collaborando con diversi centri di recupero di tartarughe marine. Ha partecipato ai corsi di “Falconeria: tecniche di gestione e medicina dei rapaci” e “Stage di ecologia e conservazione dei mammiferi Chirotteri”. Dopo la laurea ha svolto un periodo di tirocinio presso la Clinica per Animali Esotici dei dottori Selleri e Collarile, e vi è poi rimasta in qualità di collaboratrice sino al settembre 2013. Successivamente segue un percorso formativo in Anestesia del Cane e del Gatto presso la Clinica “Santa

Fara” di Bari. Attualmente lavora come freelance a Catania collaborando con diverse strutture sul territorio siciliano. E’ tra i soci fondatori dell’associazione “VeTeam Esotici”, mediante la quale organizza giornate didattico-divulgative sui NAC. Regolarmente iscritta alla Società Italiana Veterinari Animali Esotici; segue giornate d’aggiornamento e corsi di formazione continua. Iscritta all’Ordine dei Medici Veterinari di Catania.

Paolo Selleri, Med Vet, PhD, SpecPACS, Dipl ECZM (Herp), Dipl ECZM (Small Mammal) Autore di oltre 40 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali con revisione paritaria. Siede nei comitati scientifici di congressi e giornali scientifici internazionali. Coautore di diversi libri di medicina degli animali esotici. É stato presidente SIVAE dal 2008 al 2011. É stato membro del consiglio direttivo

dell’Association of Reptile and Amphibian Veterinarians. É vicePresidente ANMVI con delega per gli animali esotici. I suoi interessi di ricerca si concentrano sull'applicazione della medicina basata sull'evidenza nella medicina degli animali non convenzionali.

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Rubina Sirri Laureata in Acquacoltura e Ittiopatologia con lode nel 2006 e in Sanità e Qualità dei Prodotti di Origine Animale con lode nel 2007 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Bologna. Nel 2011 ha acquisito il titolo di Dottore di Ricerca in Discipline Anatomoistopatologiche Veterinarie con una tesi dal titolo: “Approccio multimetodologico in patologia delle specie ittiche”. Nell’ambito del dottorato è stata “PhD Visiting Fellow” presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Berna, Svizzera, lavorando allo studio delle

neoplasie gonadiche delle carpe koi. Dal 2007 al 2016 ha lavorato come collaboratore presso il Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Università di Bologna, dove si è occupata di Patologia e Oncologia dei pesci, Patologia tossicologica, Patologia Nutrizionale e Immunoistochimica. Attualmente svolge attività di consulenza di Patologia e clinica dei pesci ornamentali presso la Clinica Veterinaria Modena Sud, Spilamberto (MO). E’ autore e coautore di 22 pubblicazioni su riviste internazionali e 6 su riviste nazionali. È socio EAFP (European Association of Fish Pathologists), EAS (European Aquaculture Society), SIPI (Società Italiana di Patologia Ittica) e membro della Direzione Scientifica di Italian Koi Club.

Serena Sola Laureata nel 2004 presso l' Università degli studi di Padova con una tesi scientifica sull'ematologia dei boidi, lavora da subito in strutture private come referente per la medicina e chirurgia degli animali esotici. Ha portato a termine il primo itinerario didattico degli animali esotici (2006/2008) . Dal 2006 lavora stabilmente presso la Clinica Veterinaria Santa Cecilia a Vicenza come responsabile della medicina e chirurgia degli animali esotici e dell'ecografia dei piccoli animali. Socia SIVAE dal 2005 e socia AEMV dal 2013 partecipa regolarmente a congressi nazionali ed internazionali.

Valeria Vastano Si laurea a pieni voti nel 2015 presso la facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Pisa con una

tesi sperimentale dal titolo: “Analisi dei tassi di crescita pediatrici nel Petauro dello zucchero (Petaurus

breviceps) in cattività”. Da sempre interessata allo studio della fauna selvatica ed esotica, collabora

come volontaria con diverse associazioni naturalistiche. Iscritta alla SIVAE dal 2012, frequenta numerosi

corsi e seminari riguardanti gli animali esotici. Durante l’università svolge praticantato in varie cliniche per piccoli animali

dedicandosi soprattutto alla medicina e chirurgia degli animali non convenzionali. Continua la formazione post laurea

partecipando alla IV edizione dell’itinerario SIVAE accreditato ESVPS per il conseguimento del GPCert in Exotic Animal

Practice. Da febbraio 2016 collabora con la Clinica Veterinaria “Il Falco”.

Alessandro Vetere Alessandro Vetere si laurea a pieni voti presso la facoltà di Medicina Veterinaria di Milano nel 2014 con tesi: “Patologie renali nel topo da laboratorio: studio retrospettivo di 295 casi”. Socio SIVAE dal 2015, lavora come free lance e collabora con diversi ambulatori della Lombardia tra i quali l’Ambulatorio Veterinario Ferlini, Granata e Millefanti occupandosi principalmente di animali esotici e di citopatologia diagnostica. Partecipa a congressi nazionali ed internazionali. Attualmente collabora con la facoltà di Medicina Veterinaria di Milano come correlatore di Tesi di Laurea nel dipartimento di Parassitologia e

Malattie Parassitarie. Sta partecipando al terzo Itinerario Didattico ESVPS: GPCert in Exotic Animal Practice.

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