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Appendice I casi aziendali

Appendice - GIORGIO ROVERATO · venivano praticate agli utenti, l’ente pubblico ritenne di procedere al riscatto anti-cipato delle due concessioni. ... ottocentesco, non più sufficiente

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Appendice

I casi aziendali

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 269

AcegasAps S.p.A.Padova-Triesteazienda “multiutility” attiva nei servizi a rete

La modernizzazione di un territorio ha a che fare non solo con la struttura della sua economia, ma anche con la qualità dei servizi che in esso vengono erogati; qua-lità che dipende dalle capacità tecniche e organizzative messe in campo dall’ente (o dagli enti) erogatori di tali servizi.

Da questo punto di vista Padova ha acquisto nel tempo posizioni di eccellenza, oggi riassunte nella AcegasAps S.p.A., una multiutility sorta nel dicembre 2003 dalla fusione tra APS (Azienda Padova Servizi) e Acegas, l’ex azienda municipalizzata di Trieste. Ambizione della società è quella di proporsi, mediante possibili alleanze o partnership, come punto di riferimento e di aggregazione nel Nord Est per altri operatori dell’area, con tuttavia una attenzione anche a possibili business nei nuovi mercati orientali dell’Unione Europea.

Con 503 milioni di euro di fatturato e quasi 1.700 dipendenti al 2004, AcegasAps è oggi il sesto operatore italiano fra quelli quotati al Mercato Telematico di Borsa Italiana e il primo nel Nord Est. Il suo raggio d’azione riguarda 222 mila utenze nel servizio idrico integrato, 140 mila nell’energia elettrica e 257 mila nel gas, mentre il comparto di igiene ambientale serve circa 520 mila abitanti.

La società è, nel territorio di cui questo volume tratta, l’esito ultimo delle trasformazioni che hanno investito l’articolato comparto delle ex aziende munici-palizzate, ma è anche la somma della lunga esperienza accumulata dagli enti che l’hanno preceduta nella complessa gestione di impianti, reti e servizi.

È in sostanza una storia di lunga durata quella che in essa si riassume, e che trae origine, per quanto riguarda la parte padovana, dal primo servizio di illumi-nazione pubblica e privata affidato nel 1845 dalla Municipalità patavina in con-cessione a una società a capitale francese, la Società Civile per l’illuminazione a gas. Con ciò iniziando un lungo processo di infrastrutturazione tecnologica della città che riguardò, tra l’altro, la realizzazione di una moderna rete fognaria, prima inesistente, la costruzione dell’acquedotto e della relativa rete distributiva (1888) e l’istituzione di un servizio di trasporto pubblico, dapprima con il tram a cavalli e poi (1907) con la tramvia elettrica.

Prima ancora, tuttavia, della legge del 1903 che consentì ai comuni di dotarsi di proprie aziende municipalizzate per gestire i servizi di pubblica utilità, il Comune di Padova si ritrovò a dover assumere in proprio, o “in economia” per usare il termine corretto, sia la rete distributiva del gas, ormai estesa dalla illuminazione anche ad altri utilizzi civili (riscaldamento e uso di cucina). La logica privatistica dei concessionari non aveva infatti consentito l’estensione di questi due servizi a tutto il territorio comunale, cosicché, anche per poter ridurre le tariffe elevate che venivano praticate agli utenti, l’ente pubblico ritenne di procedere al riscatto anti-cipato delle due concessioni.

Il riscatto venne esercitato dapprima per l’acquedotto e la rete idrica (1891), e poi per l’officina di produzione del gas di città e la relativa rete distributiva (1896).

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Quello riguardante l’acquedotto avvenne dopo solo tre anni dalla sua entrata in attività, e era motivato – più ancora che per il gas – dalla limitata estensione della rete: tale situazione rischiava di compromettere quel ruolo di presidio igienico-sanitario che aveva motivato il Comune ad attivarsi per la sua realizzazione. Non solo la società concessionaria, la Società Veneta di Vincenzo Stefano Breda, aveva costruito una rete che non copriva nemmeno tutti i quartieri all’interno delle mura Cinquecentesche, ma le tariffe elevate da questa praticata tagliavano fuori dall’uti-lizzo dell’acqua potabile i ceti meno abbienti, che continuavano così a rifornirsi di acqua dai pozzi inquinati o dai corsi fluviali della città, anch’essi a rischio.

AcegasAps, un vecchio impianto padovano.

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Emergeva netta da questa scelta la motivazione a presidiare direttamente i ser-vizi di pubblica utilità, che fu poi a base della legge sulle municipalizzate. Se per l’acquedotto il Comune decise di affidarsi alla gestione “in economia”, per il gas optò invece, dato il processo industriale della sua produzione, per la costituzione di una vera e propria azienda, l’Azienda Comunale del Gas, per certi versi antesigna-na di quelle che furono poi le municipalizzate. Dagli anni Venti essa assunse poi la denominazione di AMG (Azienda Municipale Gas).

Anche per il trasporto pubblico, dopo un ventennio di concessione a una ditta privata, si giunse nel 1907 alla costituzione di una azienda comunale, questa volta a tutti i titoli “municipalizzata”: in questo caso la scelta era motivata dal fatto che la ditta privata (né altri concessionari erano reperibili sul mercato) non era in grado affrontare gli investimenti necessari per realizzare un servizio a rete. Ma fu una scelta temporanea: di lì a trent’anni, con il passaggio dalla tramvia su sede propria ai filobus, il servizio venne dato in concessione a una società privata, la SAER. Non si trattò di una scelta positiva, tanto che nel 1952 il Comune non rinnovò la conces-sione e diede vita all’ACAP (Azienda Comunale Autofiloviaria Padova).

Negli anni Cinquanta il Comune si trovò a dover potenziare l’acquedotto ottocentesco, non più sufficiente a garantire l’approvigionamento idrico di una città in espansione: fu così che nel 1958 venne realizzata una seconda condotta che, affiancandosi in parallelo a quella originaria, aumentava di molto l’acqua che proveniva dalle risorgive di Dueville, in provincia di Vicenza. La maggiore comples-sità di gestione, e il fatto che alcuni comuni contermini di Padova chiedevano di poter usufruire del servizio, portò nel 1962 alla costituzione di una terza azienda municipalizzata, l’AMAP (Azienda Municipale Acquedotto Padova). Ipotizzando, tuttavia, un futuro accorpamento all’AMG, al momento di costituire l’organo di governo che l’avrebbe gestita l’Amministrazione comunale assunse la decisione di nominarvi le stesse persone che già svolgevano lo stesso ruolo per il servizio idrico. L’unificazione non fu tuttavia cosa semplice e, per difficoltà tecnico-econo-miche prima ancora che politiche, solo nel 1984 si giunse alla nascita dell’AMAG (Azienda Municipalizzata Acqua e Gas), che riassumeva in sé le due competenze fino ad allora divise. Nel frattempo (1972) l’AMG aveva dismesso la produzione del gas città, processo industriale inquinante, ed era divenuta distributrice locale di gas metano, acquistato dalla SNAM dell’ENI.

Tra i servizi gestiti “in economia”, il Comune conservava quello della Nettezza Urbana. Anche per questo fu alla fine decisa (1976) la creazione di una specifica azienda, l’AMNIUP (Azienda Municipalizzata di Igiene Urbana Padova), chiamata a gestire tra l’altro il termovalizzatore, uno dei primi in Europa, costruito fin dal 1962 in località San Lazzaro. AMNIUP fu, nel suo campo, un’azienda-pilota, realiz-zando subito – in cooperazione con il CNR – le prime sperimentazioni nel campo della raccolta differenziata, ed estendendo ben presto la sua attività nei comuni limitrofi. Cosa, del resto, che anche l’ACAP andava in quegli anni facendo grazie alla costruzione di una vera e propria rete intercomunale di trasporto pubblico: non più autofiloviaria, bensì su gomma mediante autobus urbani.

Nel 1999, infine, le tre municipalizzate vennero accorpate nell’APS, allo scopo

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– anche per le ovvie sinergie finanziarie – di governare in maniera integrata i servizi per l’ambiente, l’energia e la mobilità in un’area ormai dilatata rispetto agli stretti confini del capoluogo. Una scelta di razionalizzazione, che giungeva alla fine di una stagione di forti investimenti e innovazioni tecnologiche in tutti e tre i com-parti. Già questo costituiva un traguardo di rilievo: gestire in maniera unitaria, pur con una struttura divisionalizzata, un mix di servizi in un territorio ampio, potendo contare su professionalità d’eccellenza e su impianti mediamente all’avanguardia nel contesto italiano.

La lunga esperienza della “municipalizzazione” padovana si chiuse poi con la trasformazione di APS in Società per Azioni, ancorché ancora di totale proprietà pubblica, e – dopo lo scorporo della Divisione Mobilità – con la fusione del 2003 dianzi ricordata.

Una storia lunga, quindi, quella qui brevemente riassunta. Una storia, tuttavia, che segnò un percorso di evoluzione virtuosa dagli elevati standard comunque con-seguiti nella gestione pubblica dei servizi a rete al loro passaggio in capo ad una società aperta al capitale privato, in grado – in virtù della patrimonializzazione dei beni in essa conferiti e delle competenze tecniche e professionali con essi trasferite – di affrontare efficacemente le sfide del mercato.

AcegasAps, sala macchine.

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Berti Pavimenti Legno S.n.c.Villa del Conteazienda attiva nella produzione di parquet e pavimenti in legno in genere

Colpisce, nel sito web di questa azienda, la definizione – alla relativa voce – di “tecnologia come strumento di creatività”, data la tipologia merceologica della sua produzione, relativa al parquet – vale a dire a quel pavimento fatto di liste di legno, spesso a spina di pesce – che costituisce una delle tradizionali pavimentazioni delle nostre abitazioni. L’interrogativo è cosa possa avere a che fare la tecnologia, soprat-tutto nel suo corollario “creativo”, con una tipologia in uso da secoli nell’industria delle costruzioni.

Sta in questo la caratteristica di questa impresa. La quale ha peraltro un’altra “anomalia”, se così può essere definita: e che consiste, nonostante le dimensioni (200 addetti diretti nel 2004, fatturato non recuperato), nell’essere costituita in for-ma di Società in nome collettivo quando altre aziende, anche di taglia più piccola, usualmente corrono sotto forma di S.p.A. Chi ha studiato la industrializzazione in-glese, sa che quando – tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta dell’Ottocento – furono introdotte le limited companies, i cui soci erano chiamati a rispondere patrimonialmente per il solo capitale sottoscritto, non poche furono le ditte che si negarono ad adottare la nuova forma societaria, intendendo la respon-sabilità illimitata in capo ai titolari di una ditta individuale, o ai soci di una società di persone, come un valore immateriale premiante sul mercato. Probabilmente la scelta societaria dei Berti come famiglia imprenditrice non c’entra con questo retroterra identitario, e dipenderà invece da logiche interne ai rapporti interperso-nali dei soci; e tuttavia si tratta di un assetto proprietario che è d’uopo rimarcare, se non altro per le implicita responsabilità personale che esso comporta.

Ma torniamo al concetto di tecnologia richiamato nel sito della Berti Pavimenti Legno S.n.c.: esso rimanda all’uso delle più moderne strumentazioni, come il laser per effettuare gli intarsi nel legno, in lavorazioni di tipo tradizionale un tempo ese-guite completamente a mano. Solo che l’applicazione di tecniche industrializzate non si traduce, in questo caso, in un impoverimento del prodotto, bensì consente di sperimentare soluzioni innovative prima impensabili, introducendo per di più una flessibilità di esecuzione che si traduce in un elevato pregio del risultato.

Ciò è il risultato di una storia imprenditoriale che si snoda lungo il secolo scorso, e che vide come protagonista iniziale Cesare Berti che nel 1929, a Villa del Conte, e dopo una breve esperienza come apprendista falegname, decise di aprire una propria bottega, applicandosi presto – tra altre tipologie di lavorazione – an-che ai parquet.

L’attività del suo laboratorio seguì, ovviamente, i ritmi e le strozzature della dif-ficile congiuntura degli anni Trenta e del periodo bellico; l’esperienza accumulata consentì tuttavia a Berti di inserirsi positivamente nella ripresa economica che si aprì negli anni della Ricostruzione, tanto che nel 1950 egli dovette dotarsi di una sede più ampia. Scegliendo, però, di rendersi in qualche modo indipendente nell’approvvi-gionamento della materia prima acquistando direttamente i tronchi e segandoli in

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proprio. Ciò lo portò naturalmente a sconfinare nell’intermediazione di legnami, e anzi, per qualche tempo, questa diverrà la sua preminente occupazione.

La stagione di intenso sviluppo edilizio che doveva caratterizzare l’Italia a parti-re dalla seconda metà degli anni Cinquanta, lo convinse a ritornare alla produzio-ne, ma con un salto di qualità di tipo industriale. Nel 1958 egli diede infatti vita alla

Il fondatore della Berti Pavimenti legno s.n.c., Ce-sare Berti.La sede attuale.

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IN.PAR. Industria Parchetti, specializzandosi nella realizzazione e posa di pavimen-ti in legno. Fu una scelta premiata dal mercato, e segnata da una rapida crescita, che comportò – nel 1970 – lo spostamento delle sale di lavorazione in un’area nei pressi della stazione ferroviaria, e la realizzazione di un raccordo ferroviario, strate-gico per contrarre i costi di trasporto dei materiali.

Nel 1971 l’ingresso in azienda dei figli di Berti, Giancarlo e Silvano, impresse una nuova vitalità all’attività familiare, giunta ormai ad occupare un centinaio di dipendenti. La ragione sociale venne mutata in P.B. Parchettificio Berti, e ben presto anche la segheria e il magazzino legnami vennero trasferiti nel nuovo sito produttivo, che ampliò così le proprie dimensioni.

Gli anni Ottanta sono segnati da una particolare attenzione all’evolversi dei gusti del mercato, e ai mutamenti che intervengono nei processi tecnologici. Il Parchettificio era stato, del resto, la prima azienda del settore ad adottare linee computerizzate per la realizzazione dei parquet. In questa stagione l’azienda si orienta verso la produzione di pavimenti a disegno, con motivi geometrici ispirati alle pavimentazioni di antiche ville venete o di altri edifici artistici. In seguito, anche grazie all’adozione della tecnica di taglio laser, inizia la produzione degli innovativi pavimenti intarsiati, il prodotto di punta della ditta, che nel 1992, proprio per una maggiore aderenza alla gamma delle lavorazioni, assume l’attuale denominazione di Berti Pavimenti Legno S.n.c.

Negli anni successivi, la Berti ampliò la propria tipologia produttiva acquisendo due imprese minori, che detengono tuttavia interessanti segmenti di mercato: la Vepal S.a.s., attiva nei pavimenti in legno flottanti, sorta nel 1982 in provincia di Bologna ma dal 1999 anch’essa operante a Villa del Conte, e la Comello Giobatta S.r.l. di Vergnacco, che si occupa soprattutto di pavimenti in legno massiccio.

Grazie anche a queste due acquisizioni, l’azienda di Villa del Conte è oggi uno dei più grandi e dei più apprezzati produttori di pavimenti in legno, con importan-ti flussi esportativi nei principali paesi del mondo, in particolare Stati Uniti, Russia, Spagna, Turchia, Arabia Saudita.

È stata la tecnica del taglio al laser quella che ha garantito alla società un ap-prezzamento sui mercati internazionali. Il laser garantisce un intaglio del massello di altissima precisione, senza limiti di complessità: il che ha consentito di realizza-re opere di straordinario prestigio, come alcune pavimentazioni del palazzo del Cremlino (circa 6.000 mq) e la fedele ricostruzione del pavimento del castello di Windsor, distrutto da un incendio. Dall’accostamento di tasselli di essenze diverse, con le loro differenti tonalità cromatiche, sono stati ricostruiti i pavimenti di edifici storici di svariati paesi, tra i quali conviene menzionare La Fenice a Venezia, i Palazzi del Quirinale e di Montecitorio a Roma, i Castelli di Hofburg e di Neppersdorf in Austria, la Royal Academy of Arts di Londra, il Palazzo Presidenziale di Kiev. Ma interventi di analogo prestigio sono stati realizzati anche in edifici contemporanei, come nel caso dell’Auditorium del Lingotto a Torino, o dell’Hotel Royal di Osaka.

Un successo, quello di questo caso imprenditoriale, che appare tutto giuocato sulla sintesi tra una forte aderenza alla tradizione del prodotto e un uso spinto delle tecnologie più innovative.

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Blowtherm S.p.A.Camposampieroazienda meccanica di apparecchiature per riscaldamento e di forni di verniciatura

L’interesse di questa azienda è che essa ha saputo sviluppare nel volgere di pochi decenni una vincente diversificazione di prodotto, a partire dalle tecnolo-gie messe a punto nel business che l’aveva originata, vale a dire la produzione di apparecchiature per il riscaldamento dell’aria (generatori d’aria calda, bruciatori, gruppi termici, corpi scaldanti).

Grazie a tale diversificazione (forni di verniciatura che sfruttano il flusso termi-co per fissare le vernici negli oggetti sottoposti a trattamento), la Blowtherm S.p.A. è oggi integrata, pur senza dimenticare la sua vocazione iniziale, in un gruppo di aziende leader mondiale nella produzione di forni di verniciatura rivolti sia alle carrozzerie d’auto sia alle industrie del legno, della plastica, dei metalli, dell’au-tomobile, dell’aeronautica e della nautica. Ma, in particolare, sono stati il settore dell’auto, e la conseguente collaborazione con i principali produttori mondiali e i più importanti fabbricanti di vernici, a consentire di realizzare un processo innova-tivo di verniciatura (“Smart Cure”) che accorcia i tempi di essiccazione contenendo altresì i costi energetici.

Questa avventura imprenditoriale incominciò nel 1956 a Camposampiero, dove ancora l’azienda ha sede e stabilimento principale, ad opera di Giovanni Peghin, un ingegnere fresco di laurea deciso a intraprendere una propria attività, distinta da quella di famiglia. Le sue competenze tecniche lo spinsero in un settore, quello del riscaldamento, ancora relativamente giovane nell’Italia postbellica e quindi caratterizzato da una domanda potenzialmente elevata. Cosa che puntualmente

La prima catena di montaggio dei bruciatori Blowtherm.

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si verificò, nei tornanti di quello che poi fu chiamato il “miracolo economico” del quinquennio 1958-63.

L’intuizione del giovane imprenditore fu quella di focalizzarsi sugli impianti e attrezzature ad uso industriale, e su quelli rivolti ai grandi complessi abitativi, un segmento di mercato promettente nella febbre edilizia e produttiva di quella sta-gione. Il successo che arrise all’impresa, e lo sviluppo delle tecnologie che resero le apparecchiature dell’azienda competitive rispetto agli altri produttori, portarono nel corso degli anni Settanta a sperimentare la diversificazione richiamata in aper-tura. Si trattò, data la particolarità del prodotto, di una vera e propria sfida impren-ditoriale: cui tuttavia il mercato domestico rispose positivamente, così spingendo l’azienda a muoversi anche sui mercati stranieri, inizialmente quelli del M.E.C. Tanto che il fatturato della nuova famiglia di prodotti cominciò a crescere più di quello delle apparecchiature per riscaldamento, che peraltro scontava l’esaurirsi della fase espansiva degli anni Sessanta e dei primissimi Settanta.

L’incidente che nel 1981 stroncò la vita di Giovanni P. segnò un difficile mo-mento di transizione, tuttavia superato rapidamente grazie alla collaborazione che venne a crearsi tra famiglia imprenditoriale, dirigenti e maestranze, tutti consape-voli dell’irripetibile patrimonio di competenze che in quell’impresa si era nel frat-tempo consolidato. E fu una collaborazione fruttuosa, dato che nel giro di pochi anni la Blowtherm conseguì non pochi risultati.

Fu rafforzata la divisione “verniciatura”, ormai il settore trainante dell’impresa. Sulla fine degli anni Ottanta l’espansione all’estero si estese agli Stati Uniti, con un accordo commerciale con un operatore del Texas, rafforzato nel 1993 da una joint venture paritetica (la Blowtherm U.S.A.) che portò alla realizzazione di un sito pro-duttivo. E fu attraverso questa consociata che, nel 1998, l’azienda padovana acquisì

L’attuale sede della Blowtherm.

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la divisione cabine di verniciatura della canadese DeVilbiss: una scelta che risultò strategica, consentendole un rapido primato sui mercati internazionali.

La competizione globale evidenziò tuttavia un punto di debolezza: vale a dire il fatto che il “cuore” sia delle macchine per riscaldamento sia delle apparecchia-ture di verniciatura, i bruciatori, non erano prodotti da Blowtherm ma acquisiti all’esterno. Fu in questo campo che si realizzò il secondo snodo strategico della storia dell’impresa camposampierese, grazie all’acquisizione del 50% della F.B.R. di Legnago, un impianto all’avanguardia nella realizzazione di quei bruciatori di cui la tecnologia della Blowtherm abbisognava.

Attualmente il gruppo Blowtherm – con Direzione in Padova, e presieduto dal 1991 da Francesco Peghin, figlio di Giovanni – conta su tre stabilimenti tra Italia e Stati Uniti, e su una capillare rete di assistenza tecnica nei principali paesi di irradiamento commerciale. Con 108 addetti in Italia, il fatturato (20 mln di € nel 2004) è realizzato nell’Unione Europea, negli Stati Uniti e in una quarantina di paesi degli altri continenti.

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Bonollo Umberto S.p.A. (Distillerie)Mestrinoazienda attiva nella produzione di grappe

Lo sviluppo di questa azienda di contenute dimensioni, ma dalla vita longeva e ormai tra le principali distillerie di grappa, è stato segnato negli ultimi decenni del Novecento da una politica di diversificazione dei marchi, perseguita con l’acquisi-zione, e la rivitalizzazione, di due nomi storici della grappa veneta altrimenti desti-nati a scomparire dal mercato. Una scelta che, unita alle tecniche di distillazione affinate nel tempo, ha consentito alle Distillerie Bonollo Umberto S.p.A. un rapido posizionamento tra i produttori di qualità.

La ditta di Mestrino, pur nata alle soglie degli anni Cinquanta del secolo scor-so, è l’erede di una solida tradizione dipanatasi a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento ad opera di Giuseppe Bonollo, il capostipite di questa dinastia di distillatori. Probabilmente la sua attività nel campo della grappa fu all’inizio non esaustiva dei suoi interessi economici, dato che il primo documento che testimonia dell’esistenza della distilleria artigiana da lui avviata (una denuncia di produzio-ne, obbligatoria per gli operatori nel campo degli alcool) risale solo al 1908; una sfasatura temporale che si ritrova anche in altre vicende imprenditoriali, dove la produzione di grappa veniva originariamente vissuta come semplice integrazione del reddito dell’agricoltore o del viticoltore.

L’attività della piccola azienda artigiana di Giuseppe B. ebbe un graduale svi-luppo, che si rafforzò con il passaggio generazionale, quando in azienda entrarono due dei suoi figli, Luigi e Umberto, i quali riuscirono a farla uscire dal mercato ristretto, prevalentemente vicentino, in cui essa era insediata: una fase, peraltro, che coincise con un certo rilancio di un prodotto che sembrava avviato a un lento declino nei consumi.

Il sodalizio tra i due fratelli a un certo punto tuttavia si interruppe, e, pur sen-za che ciò comportasse alterazioni nei rapporti familiari, Umberto decise la via dell’intrapresa solitaria, trasferendosi nel piccolo centro agricolo al confine tra la provincia euganea e quella di Vicenza. Una opzione, quella di Umberto di voler comunque rimanere nel cuore della regione contraddistinta dalla più ricca tradi-zione nel campo della produzione di grappa, che aveva non poco a che fare con la presenza in loco di un bacino particolarmente ricco della materia prima indispen-sabile per tale distillato: vale a dire l’uva, e quindi la vinaccia.

Anche se aperta ad altre lavorazioni liquoristiche, quasi indispensabili per trovare spazio in un mercato nuovo, la grappa fu il prodotto principe della nuova avventura imprenditoriale; all’affinamento del quale, vuoi sul fronte dei metodi di distillazione che su quello della selezione delle vinacce, Umberto – progressi-vamente affiancato dai figli Giuseppe, Antonio, Dario, Bruno e Amedeo – dedicò buona parte del suo impegno, nell’intento di ottenere un prodotto privo di imper-fezioni e dalle elevate qualità organolettiche.

In realtà, pur tributario della tradizione tramandatagli dal padre, la sfida che Umberto B. coltivava era quella dell’innovazione che consentisse alla piccola azien-

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da di inserirsi a pieno titolo tra i produttori di qualità. Fu una sfida lenta e faticosa, segnata tuttavia da risultati importanti, come quando nel 1972 dalle vinacce del Friularo, un’uva autoctona del padovano, venne ricavata la prima grappa di mo-novitigno, anticipando una evoluzione del gusto oggi pienamente consolidato. Ma all’epoca si trattò, appunto, di una sfida, che doveva fare i conti con una accentuata frammentazione del mercato di produzione, ma anche con le modeste dimensioni impiantistiche dell’azienda, forzatamente vocate a produzioni diversificate che, tuttavia, aggredendo i più piccoli segmenti di mercato consentirono accumulo di liquidità, alla fine riversata nella costruzione (fine anni Settanta) di una moderna distilleria a Conselve, nella Bassa padovana, dove fu concentrata, e ampliata, la produzione della grappa.

I successivi perfezionamenti di quell’impianto permisero di affinare esperienze tecniche e gestionali in grado di garantire efficacemente, a seconda delle opportu-nità del mercato, le più diverse lavorazioni. Da questo punto di vista, l’impianto di Conselve è divenuto una felice sintesi di metodi (e strumenti) produttivi tra loro diversi, alcuni dedicati a distillati di nicchia, altri a tipologie più industrializzate, ad esempio quelle veicolate dalla grande distribuzione. In essa, che alla prevalente

Colonna di distillazione alla Bonollo S.p.A.

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produzione di grappa affianca quella di acquavite d’uva e di brandy, convivono ap-parecchiature modernissime con altre che sono retaggio del passato, e che meglio si prestano alle lavorazioni di piccole partite di elevata qualità. È per esempio il caso di due “bagnomaria” (o tamburlani “pigri”), un tempo considerati il simbolo della distillazione gentilizia, utilizzati per ottenere le acquaviti d’uva – ovvero il distillato ottenuto dal mosto fermentato – e pregiate partite di grappa di monovitigno tra cui la Grappa di Amarone, dove gli aromi delle vinacce vengono accuratamente separati e selezionati con meticolosa attenzione. Ad essi si affiancano le piccole cal-daie a vapore fluente che consentono di realizzare grappe ricche di personalità e di notevole struttura organolettica, e – sempre esemplificando – l’alambicco continuo che assicura elevate produzioni giornaliere consentendo di lavorare una grande quantità di vinaccia allo stato fresco.

Dall’integrazione della tradizione con la continua innovazione, la Bonollo ha messo a punto un sistema unico di produzione, estremamente attento a tutte le fasi che vanno dalla selezione della materia prima fino al confezionamento dei distillati. Una cura particolare è riservata alla fase di acquisizione delle vinacce, che devono essere trasferite nel minor tempo possibile dalle cantine terze alla distilleria, dove in attesa della loro lavorazione vengono conservate in ambienti a fermentazione controllata che, impedendone alterazioni batteriche, consentono di mantenere intatto il loro potenziale aromatico. Il tutto all’interno di una tecno-logia complessa, nata nell’ultimo decennio dalla cooperazione tra la ricerca inter-na all’azienda e quella realizzata all’esterno da istituzioni autorevoli, come nel caso del Dipartimento di Scienze Alimentari dell’Università di Udine.

L’esito in termini produttivi è stato un generale innalzamento della qualità, concretatosi in una nuova linea di grappe e acquaviti d’uva rigorosamente mono-vitigno (la Collezione Bonollo Of), che ha consentito all’azienda di posizionarsi nelle primissime posizioni del mercato nazionale e internazionale.

Si diceva, all’inizio, della politica dei marchi. Negli ultimi quarant’anni la Bo-nollo è uscita rafforzata dal processo di selezione che il mercato ha pesantemente operato nel comparto delle distillerie, non solo in quelle vocate alla grappa, deter-minandone una drastica contrazione di impianti, vuoi per il peso della burocrazia fiscale, vuoi – soprattutto – per il calo dei consumi, in parte indotto dalla concor-renza dei distillati stranieri. Contrastare la caduta dei consumi richiedeva da un lato lo spostamento in prodotti di qualità superiore, ma anche una diversificazione dell’offerta, quest’ultima perseguita dalla Bonollo rilevando a metà degli anni Set-tanta del Novecento i marchi e il patrimonio di tradizione di due rinomate distille-rie della regione: la vicentina Dalla Vecchia di Malo e la padovana Modin, che aveva sede a Ponte di Brenta, alla periferia della città.

È quest’ultimo il marchio più interessante tra i due. Non solo per l’antica origi-ne (risale al 1842), ma anche per la tecnica di produzione messa a punto dal fon-datore della ditta (tal Luigi Rigato), poi passata a Ferdinando Modin. Tale tecnica è quella del c.d. ripasso, ovvero nella doppia distillazione. In una prima fase le vi-nacce vengono attraversate dal vapore diretto per estrarre gli aromi e l’alcol, i quali vengono fatti condensare in un liquido a bassa gradazione alcolica. Tale liquido

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viene poi posto in uno speciale alambicco (denominato “Modin” perché fu Fer-dinando M. a perfezionarne i principi) per una successiva distillazione – il “ripas-so”– nel corso del quale centinaia di molecole si combinano generando composti aromatici inediti e di notevole interesse organolettico. Salvando lo storico marchio, la Bonollo ha anche preservato da scomparsa il raffinato metodo di produzione ad esso collegato: un metodo che il mercato ha dimostrato di apprezzare.

Per quanto riguarda l’attuale struttura logistico-organizzativa va menzionato che, se nello stabilimento di Conselve vengono realizzate le grappe e gli altri distil-lati, nella sede originaria (nonché sede legale) di Mestrino insistono sia la moderna linea di imbottigliamento che il reparto per la (contenuta) produzione liquoristi-ca. Il prodotto principale resta infatti la grappa (circa tre milioni di bottiglie annue, ripartite nelle varie tipologie e marchi), profittevolmente commercializzata sia sul mercato interno sia su quello internazionale (Europa e Stati Uniti, soprattutto).

Pur organizzata sotto forma di società azionaria, l’azienda (33 addetti nel 2001, e un fatturato 2003 ricompreso dalla Camera di Commercio nella classe 5-15 mln di €) è tuttora interamente controllata dalla famiglia del fondatore, anche in ciò replicando una tradizione dei distillatori italiani. Salvo pochi casi, infatti, che ri-guardano le ditte attive quasi esclusivamente sul mercato di massa, le distillerie italiane fanno riferimento diretto alle famiglie fondatrici.

«La storia della Bonollo – recita uno scritto di fonte aziendale – non è fatta di capitali in cerca di avventura, ma di persone e di una grande passione per il far grappa che dura immutata da quattro generazioni»: questo tono dimesso, ma nello stesso orgoglioso, è quasi la sintesi di ciò che sta dietro a un prodotto antico e tuttavia vivificato da processi mirati all’eccellenza. Ma, verrebbe da dire, è anche singolarmente la chiave di lettura di non poca parte della storia del tessuto mani-fatturiero in cui la Bonollo è inserita, e nel quale essa rimane oggi pressoché unica depositaria di un mestiere un tempo affollato di piccoli, piccolissimi protagonisti.

Grappa di monovitigno della Collezione Bonollo Of.

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Carraro industria cicli S.p.A.Ronchi di Villafrancaazienda attiva nella produzione di biciclette da passeggio, da cross e da competizione

Modello di bicicletta della Carraro industria cicli del 1924.

Il padovano ha una lunga storia della produzione biciclettistica, basti pensare all’importanza di marchi come la Rizzato e la Torresini, en-trambe aziende da tempo scomparse. E, tuttavia, quella tradizione – fatta di competenza e di intuizioni costruttive – non è andata perduta, ma prosegue sia per la passione di artigiani, che spesso provengono dall’agonismo, sia per l’attività industriale di aziende come quella qui descritta.

Anche la storia della Carraro indu-stria cicli S.p.A. prende avvio da un artigiano, Giovanni Carraro, che già nel 1906 aveva intrapreso la produzione su commissione di biciclette da trasporto. Questa attività si concretizzò in forma più matura nel 1924, data considerata fondativa della produzione “industriale”, anche se molto rimaneva della struttura artigianale, per poi consolidarsi nel 1936 con i primi marchi di fabbrica (Clodia e Wintrop, nome quest’ultimo invero anomalo nel clima di autarchia linguistica dell’epoca).

Fu con l’ingresso nel 1960 dei figli di Giovanni – Marino e Ivone – che l’azienda cominciò a individuare profittevoli situazioni di nicchia in un mercato iperaffollato di produttori, grazie alla messa a punto di una bicicletta pieghevole (la Susy) che co-nobbe una produzione in crescita, fino agli oltre 200.000 pezzi consegnati nel 1966. Un successo davvero insperato per una impresa “di periferia”, e molto lontana dalle attrezzature sulle quali potevano contare i suoi competitori. Ma fu un risultato che spinse ad accelerare le innovazioni, e che consentì all’impresa di cimentarsi con i mercati stranieri (sono degli anni Settanta le prime esportazioni), grazie alla pro-duzione di bici da cross, da passeggio e sportive, e anche alla realizzazione, proprio per i mercati esteri, di un ciclomotore particolarmente competitivo.

La deriva sportiva della Carraro andò rafforzandosi negli anni Ottanta con l’inte-resse che la terza generazione (Giovanni e Andrea, figli di Marino, ed Enrico, figlio di Ivone) manifestò per tale comparto produttivo; fu su loro impulso, del resto, che la Carraro doveva approdare al mondo della competizione, con la costituzione di specifici team destinati a replicare sui circuiti i successi di vendite che cominciavano a giungere copiosi. Fu la stagione della MTB da cross-country chiamata Huski, e delle altre che la affiancheranno nel tempo, fino alla serie di biciclette firmate da Ayrton Senna da Silva poco prima dell’incidente mortale nel G.P. di Formula 1 a Imola.

La vocazione alla qualità della progettazione, e alla raffinatezza della realizzazio-

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA284

ne, avviata in quella fase, è rimasta una costante della casa padovana, anche dopo che essa è passata interamente sotto il controllo di Marino Carraro e dei suoi due figli (1999).

Oggi l’azienda (della quale non è stato possibile ricavare né il fatturato, né il numero di addetti) percorre, per un prodotto maturo, le strade della massima innovazione ricorrendo per i propri telai a materiali quali il titanio, il carbonio o la lega titanio-carbonio, in grado di garantire le migliori performance e assetti di sicurezza sulla strada. Prodotti, questi, la cui affermazione sul mercato continua a essere supportata da una attività agonistica di qualità, invero insolita per una im-presa di contenute dimensioni.

Modello di crossbike chili (444) del 2005.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 285

Carraro S.p.A.Campodarsego (Padova)azienda operante nel campo dell’ingegneria meccanica (produzione di sistemi di trasmis-

sione per macchine movimento terra, trattori, veicoli commerciali)

La storia della Carraro S.p.A. di Campodarsego – oggi a capo di un impor-tante Gruppo multinazionale quotato dal dicembre 1995 alla Borsa di Milano (21,840.000 € di capitale e 17.833.456 € di riserva da sovrapprezzo azioni) – rac-chiude nella sua evoluzione il paradigma classico di tante imprese venete: ovvero il passaggio, nel corso delle generazioni della famiglia imprenditoriale, dalla bottega artigiana a una compiuta dimensione industriale. In questo caso rafforzata da uno straordinario percorso tecnologico e di internazionalizzazione.

Sorta nel 1932 come ditta individuale, e con un organico di 12 dipendenti, l’ori-ginaria produzione dell’azienda era costituita da seminatrici, piccoli aratri e erpici destinati al mercato locale, con qualche esito anche in altre province dell’Italia del nord. L’affinamento industriale delle seminatrici, avvenuto negli anni Cinquanta con la loro motorizzazione, portò quasi naturalmente l’impresa, a sviluppare il pri-mo trattore, presentato alla Fiera di Verona nel 1958.

Pur intrapresa relativamente tardi rispetto al primo boom trattoristico italiano, questa nuova produzione – corrente con il marchio dei “Tre Cavallini” – consentì al-l’azienda di Campodarsego di uscire da un ambito prettamente localistico di vendita, ricavandone alcuni piccoli ma significativi segmenti di mercato nazionale. Essa con-solidò anche le dimensioni industriali dell’impresa: giacché la maggiore complessità del nuovo prodotto, unita a una vivacità della domanda attratta da prezzi concor-renziali rispetto ai grandi produttori, fece superare le caratteristiche stagionali della produzione precedentemente incentrata sulle seminatrici e quindi anche di una manodopera non ancora completamente radicata nel lavoro manifatturiero.

Le scelte gestionali che il salto produttivo indusse e l’emergere all’interno della famiglia proprietaria di due divergenti filosofie imprenditoriali, soprattutto in rapporto alla manodopera cresciuta nel numero e nella propria autocoscienza di controparte, portarono nel 1960 alla rottura dell’unità aziendale con la nascita di due distinti organismi d’impresa, di cui l’odierna Carraro S.p.A. (inizialmente costituita come “Officine Meccaniche Giovanni Carraro di Oscar e Mario Carraro e F.lli S.a.s.”.) è l’esito più rilevante.

Come è evidente, l’aspetto familiare importa: e per le caratteristiche “accumula-tive” del trasformarsi dell’attività originaria da bottega artigiana a industria propria-mente detta, e per il divaricarsi dei destini dell’originario nucleo imprenditoriale.

È nella azienda di cui questa scheda tratta che maggiori e significativi si sono manifestati i salti produttivi, tecnologici e organizzativi.

Avviate alcune diversificazioni in direzione dei trattori cingolati e delle macchi-ne per movimentazione terra, e acquisite – in un riuscito esempio di integrazione produttiva – le Fonderie del Montello S.p.A. di Montebelluna (1970), il punto di snodo dell’evoluzione dell’evoluzione della Carraro, e anzi di quella che potrem-

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA286

mo definire la sua “mutazione genetica”, passò attraverso le due crisi che al volgere degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta investirono il settore. La Carraro vi fece fronte con un inizialmente marginale, e poi strategico, impegno nella produ-zione di componentistica qualificata che a partire dalla produzione di assali per macchine a quattro ruote motrici, affinata nella prima metà degli anni Settanta in un proficuo rapporto di collaborazione con la Renault, finì per mutare radical-mente il business dell’impresa. Finché, nel 1984, la ormai limitata produzione di macchine agricole fu trasferita a una consociata rodigina (Agritalia S.p.A.).

Il successo della Carraro, che ormai controlla una molteplicità di imprese in Italia (Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Emilia-Romagna, Abruzzo), in Germania, Polonia, Stati Uniti, Argentina, India e Cina, e specializzate ciascuna in singole famiglie di componenti, non è tuttavia dovuto al solo mutamento del prodotto ma ai salti tecnico-organizzativi che l’obiettivo di affermarsi quale produttore di beni ad alto contenuto qualitativo e tecnologico ha implicato. Ciò ha determinato una

Carraro S.p.A., linea produzione assali.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 287

evoluzione tecnologica rapidissima, testimoniata sia dal livello raggiunto dai propri laboratori di ricerca che dagli stages attivati per un crescente numero di laureandi grazie alla proficua collaborazione con l’Università degli Studi di Padova e altre sedi universitarie italiane, europee e americane. La Carraro, del resto, è stata tra i pochi partners privati che concorsero nel 1987 alla costituzione del Consorzio Padova Ricerche (oggi TRASTEC), guidato proprio dall’Ateneo patavino e finaliz-zato all’interscambio di conoscenze tra mondo accademico e imprese.

Da una strategia indirizzata al rapporto con l’utilizzatore finale, dove l’azienda era teoricamente libera di scegliere i segmenti di mercato in cui operare, ma dove in realtà la concorrenza con i grandi produttori imponeva la discriminante non già della qualità bensì del differenziale di prezzo rispetto ad essi, la Carraro è passata a una strategia fondata sull’innovazione dei processi produttivi e sui grandi numeri che solo la produzione dei componenti per un mercato internazionale poteva ga-rantire, ma soprattutto sulla collaborazione progettuale con la committenza.

Tutto ciò in linea con le best practices suggerite dalle norme ISO/TS 16949:2002 che garantiscono la conformità dei processi aziendali al più evoluto sistema di gestione per la qualità nell’industria automobilistica, e che sottolineano l’impor-tanza di agire per processi interfunzionali, e alle quali tutti gli stabilimenti italiani del Gruppo sono conformi. Attraverso il continuo controllo dei processi coinvolti nella soddisfazione dei requisiti posti dal cliente, e in particolare dei “Processi di Sviluppo Prodotto e Produzione”, il Gruppo Carraro si è concentrato – secondo i principi del “miglioramento continuo” – sulla prevenzione della difettosità, la ridu-zione dei costi e il servizio al cliente.

Questi obiettivi hanno implicato un impegno particolare nella formazione della manodopera, da un lato con un considerevole incremento dei dipendenti laureati e diplomati, e dall’altro col superamento sia delle residue figure dell’operaio di mestiere che dell’operaio-massa a competenza indifferenziata degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta. La Carraro ha così bruciato in pochi anni le tappe che le

Carraro S.p.A., assale.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA288

altre imprese meccaniche hanno percorso in un tempo ben maggiore: affrontando da un lato la sfida della qualità come componente fondamentale della propria pre-senza sul mercato, e dall’altro instaurando un efficace sistema di relazioni sindacali basato sulla collaborazione.

Le caratteristiche innovative dell’impresa (alta tecnologia del prodotto, con pro-spettive interessanti in produzioni di nicchia rispetto il “core business” degli assali; rilevanza strategica derivante dai 58 brevetti internazionali detenuti; leadership tec-nologica di processo impostata alla qualità totale e al “Total Quality Management”; produttività e flessibilità ottenute soprattutto nelle lavorazioni meccaniche delle parti in ghisa e nell’assemblaggio finale), e la conseguente necessità di capitali “freschi”, portarono nel 1995 a un allargamento della compagine proprietaria.

In seguito all’operazione di collocamento in Borsa delle azioni della Carraro S.p.A., avvenuto sia attraverso un aumento di capitale che con la vendita di azioni possedute da due merchant banks, So.Pa.F. S.p.A. e Arca Merchant S.p.A., e da due dei fratelli Carraro, la famiglia imprenditoriale (che precedentemente deteneva l’80% del capitale sociale) scese a una partecipazione complessiva del 57,3% delle azioni: per il 47,5% attraverso la finanziaria di famiglia Finaid S.r.l., e per il 9,8% con partecipazioni individuali di suoi membri. Il restante capitale, pari al 42,7%, è andato a costituire il flottante, che appare decisamente superiore a molte società “storiche” del listino.

Gli anni Novanta segnarono l’avvio del processo di internazionalizzazione del Gruppo, che si realizzò con l’acquisizione di insediamenti produttivi in India, Po-lonia, Argentina, Corea, Stati Uniti e Germania. Il piano di crescita internazionale è ora supportato da una nuova organizzazione per unità di business (“Drivelines”, “Driver”, “Components”, “Parts”) ciascuna dedicata a un particolare settore di mer-cato ovvero sistemi di trasmissione, riduttori, componenti e ricambi, che permette di focalizzarsi su progetti specifici di sviluppo, e di sviluppare alleanze tecnico-com-merciali che consentano una ottimizzazione della copertura geografica.

Carraro è oggi il maggior produttore mondiale di assali differenziali sterzanti e rigidi per macchine agricole, movimento terra, veicoli commerciali leggeri, au-tomobili, macchine movimentazione materiali e applicazioni stazionarie come le scale mobili.

Il Gruppo, con oltre 2.200 addetti, di cui poco più della metà in Italia, ha regi-strato un fatturato consolidato 2004 di quasi 514 milioni di €, di cui l’84% collo-cato fuori dal paese. Il peso dell’export, e il contributo produttivo delle partecipate estere, sono stati i fattori a base della sua internazionalizzazione, che hanno peral-tro reso l’azienda di Campodarsego – e ben oltre il fatturato – una delle protagoni-ste della modernizzazione dell’apparato produttivo regionale. Il Gruppo Carraro appare oggi sempre più fornitore di “sistemi” piuttosto che di soli componenti, in una relazione di effettiva partnership con la clientela, e ciò grazie allo sforzo di un costante innalzamento del livello tecnico dei prodotti e della propria competitività: il tutto conseguito, a ogni grado di funzione, attraverso servizi di avanguardia e sofisticati strumenti di gestione.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 289

Ceramiche estensi S.r.l.Esteazienda attiva nella lavorazione della ceramica

La caratteristica di questa azienda è di essere insediata in un territorio di anti-che tradizioni ceramiche, rivitalizzate nella seconda metà del diciottesimo secolo dall’emergere di alcune manifatture di rilievo (quelle di Giovanni Battista Brunello e Girolamo Franchini innanzitutto), che in parte rimodulavano le tipologie pro-duttive di Faenza, e soprattutto di Nove di Bassano. E proprio presso il più impor-tante e innovativo fabbricante di Nove, Pasquale Antonibon, si erano formati sia il Brunello sia i lavoranti che egli chiamò a lavorare con lui quando, nel 1765, diede avvio a Este alla sua attività. Brunello, Franchini e altri che nella realtà atestina costruirono le loro fortune, andarono evolvendo una produzione di basso profilo – volta più che altro al soddisfacimento delle esigenze della vita quotidiana – nella ceramica di qualità e in quella artistica.

La Ceramiche Estensi S.r.l., sorta negli anni Settanta, occupa oggi una sessan-tina di addetti e – con un fatturato 2003 classificato dalla Camera di Commercio nella classe da 1,5 a 2,5 mln di € – rappresenta l’unica realtà industriale di un comparto composto di microaziende che operano su volumi limitati. La sfida del-l’azienda è stata quella di coniugare la ricca esperienza del passato con metodiche tipicamente industriali, pur nel perseguimento di una raffinatezza distintiva dei circa 700 articoli attualmente in produzione. I quali si articolano in due grandi famiglie, una destinata all’uso domestico e l’altra di fruizione decorativa.

Nel tempo, Ceramiche Estensi ha sviluppato alcuni elementi distintivi, che co-

Ceramiche estensi, collezione Nautìlos.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA290

stituiscono altrettanti vantaggi competitivi: una elevata riconoscibilità del marchio aziendale; una struttura produttiva adatta alla produzione di serie quantitativamen-te rilevanti; una elevata e stabilizzata qualità di prodotto.

L’azienda svolge al suo interno l’intero ciclo di lavorazione, dalla progettazione (elaborazione dei disegni e dei modelli), alla realizzazione degli stampi in gesso via via fino al prodotto finito.

Può essere interessante richiamare le quattro differenti tipologie di lavorazione e, a dimostrazione della capacità produttiva, indicare le quantità che possono es-sere realizzate giornalmente per ognuna di esse. Lavorazione per stampaggio a pressa: 1.500 pezzi giornalieri; lavorazione a colaggio: 150-400 pezzi a seconda delle dimen-sioni; lavorazione al tornio: 850 pezzi; lavorazione per stampaggio a caldo: 3.000 pezzi. Tutta la produzione così ottenuta viene sottoposta a rigorosi controlli di qualità, e i prodotti classificati di seconda scelta vengono commercializzati esclusivamente tramite lo spaccio aziendale. Solo quella di prima scelta va sul mercato.

La produzione viene commercializzata sia con il marchio aziendale (ESTE C.E.), sia con quello di alcuni clienti della grande distribuzione di fascia alta. I principali mercati di sbocco sono quelli stranieri, in particolare Stati Uniti, Canada e Australia, che assorbono la gran parte della produzione, seguiti da Giappone, Gran Bretagna e Germania, ma con qualche esito in alcuni paesi medio-orientali.

Le vendite sui mercati esteri sono generalmente effettuate per grandi serie (migliaia di pezzi per ogni ordine), mentre le vendite in Italia sono costituite da ordinativi di volume unitario più ridotto data la tipologia della rete distributiva che raggiunge negozi di fascia medio-alta.

L’eccellenza coniugata alla industrializzazione di una produzione un tempo solo artigianale è, in sintesi, il tratto distintivo di questa esperienza aziendale, fortemente legata al territorio come dimostra anche l’attuale assetto proprietario formato da imprenditori dell’area estense.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 291

CERVED Business Information (B.I.) S.p.A.Padova-Romaazienda attiva nel terziario avanzato (elaborazione dati sull’affidabilità, solvibilità e

struttura economico-finanziaria delle azienda italiane)

Con sede a Roma, ma struttura e centro di calcolo a Padova, CERVED B.I. S.p.A. è non solo la maggiore banca di dati economici sulle aziende italiane, ma an-che l’erede di quella pionieristica impresa che fu la CERVED (Centro Elettronico Regionale Veneto Elaborazioni Dati) creata nel 1974 da Mario Volpato, Presidente della Camera di Commercio di Padova tra il 1970 e il 1982. Una impresa che, da struttura delle Camere venete, si trasformò nel 1976 – anche se con una variazio-ne nel significato dell’acronimo, rielaborato in Centri Elettronici Reteconnessi Valutazione Elaborazione Dati – nella Società nazionale di informatica dell’intero sistema camerale italiano, tale rimanendo fino al 1995. Di come nacque quella straordinaria esperienza informatica, ma anche di business, si è avuto modo di par-lare nel testo.

Qui si vuole brevemente tracciare l’evoluzione che CERVED ebbe successiva-mente, a partire dal 1983, quando la costituzione di Centrale dei Bilanci S.r.l., partecipata dalla Banca d’Italia assieme ai principali gruppi bancari del paese, e la ricchezza delle informazioni contenute nelle banche dati della CERVED, resero naturale – per il miglior conseguimento dei fini di Centrale, vale a dire l’analisi finanziaria e lo sviluppo di modelli di valutazione del rischio di credito – l’intera-zione tra i due soggetti societari. Questa collaborazione sinergica, via via più strin-gente, portò poi Centrale dei Bilanci ad entrare nel capitale di CERVED, fino ad assumerne nel 2002 il controllo.

Un importante momento di snodo fu rappresentato dall’entrata in vigore, il 1° gennaio 1996, del Registro delle Imprese, già previsto dall’art. 2188 del C.C. Codice Civile ma mai attuato, la cui realizzazione ex L. 580/93 poneva fine al poco più che cinquantennale regime transitorio di tenuta dei dati ufficiali sulle imprese e sulle società presso le Cancellerie dei Tribunali. Constatata l’efficienza con cui informazioni di tipo analogo erano già gestite da CERVED nell’ambito del Registro delle Ditte, fu un’evoluzione naturale l’investitura del sistema camerale di una fun-zione di pubblicità legale-istituzionale. E, tuttavia, il fatto di essere CERVED chia-mata a gestire istituzionalmente gli archivi informatici dei dati obbligatoriamente (e coattivamente, date le sanzioni per chi non si iscriveva al nuovo Registro delle Imprese) raccolti dalle Camere di Commercio, strideva ormai con la sua contem-poranea natura di azienda commerciale che da tempo, su dati analoghi, faceva business vendendoli a banche e imprese. Questo “ordinario conflitto di interessi”, non saprei usare altra definizione, venne risolto – proprio alla vigilia della nuova, e cogente normativa – con una scissione del ramo d’impresa destinato a assolvere agli obblighi di legge. Nacque così nello scorcio del 1995 Infocamere, una Società consortile per azioni dipendente direttamente da Unioncamere, assumendo inve-ce CERVED pienamente la caratteristica di società vocata al mercato.

A CERVED, ormai divenuta sinonimo di affidabilità per il mondo delle banche

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA292

e delle imprese, rimase così la struttura commerciale, che acquisisce a condizioni di mercato i dati di Infocamere per elaborarli e “venderli” a banche, imprese, sog-getti privati. Tanto Infocamere quanto la “nuova” CERVED hanno mantenuto un legame profondo con la città di Padova, dove insiste la loro sede tecnica e dove viene condiviso il centro di calcolo e di comunicazione; rimanendo, per entrambe, la rispettiva sede in Roma.

Per differenziarsi da altri (per esempio le agenzie di valutazione del credito) che hanno creato concorrenza nel particolare mercato della elaborazione dei dati camerali, CERVED B.I. ha sfruttato la sua lunga esperienza nella gestione e nell’elaborazione dei dati, la professionalità delle risorse tecniche, amministrative e commerciali. Che ha consentito una elevata conoscenza delle esigenze operati-ve dei clienti, rispetto alle quali essa è stata in grado, meglio di altri competitors, e anche per economie di costo, di fornire un soddisfacente grado di incrocio tra i dati anagrafici di una impresa, i suoi dati di bilancio, i diretti concorrenti, le medie di settore, identificando altresì con estrema precisione i dati dei soci, proprietari, amministratori, nonché gli eventuali eventi pregiudizievoli a carico dell’azienda o dei soggetti con cariche. In sostanza, tutto ciò che serve per poter valutare efficace-mente l’affidabilità delle imprese.

La sede padovana della CERVED.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 293

La vastità e la completezza delle banche dati possedute, unita alla capacità di integrare tra loro informazioni provenienti da altre fonti pubbliche, attentamen-te raccolte e riclassificate, permette di accrescerne enormemente il valore d’uso grazie a riferimenti incrociati e a analisi statistiche, eventualmente integrati da indicatori della classe di rischio del soggetto economico sul quale vengono chieste informazioni, e/o del fido massimo prudenziale.

Grazie alla scelta di differenziarsi attraverso la qualità e il valore dei propri ser-vizi, CERVED B.I. è oggi azienda leader di mercato. Con 10 filiali sul territori nazio-nale, e un organico medio di 125 addetti, essa ha nel 2004 realizzato un fatturato di 124,4 mln di € di fatturato, servendo più di 18.000 clienti, tra i quali la quasi totalità delle prime 200 banche italiane e oltre la metà delle 500 maggiori imprese del paese. Il suo sistema di gestione (risorse e strutture, processi e procedure e re-sponsabilità) risponde agli standard internazionali ISO 9001.

CERVED B.I. è stata via via affiancata da due altre imprese controllate da Centrale dei Bilanci, che bene integrano i servizi prestati alla clientela. Si tratta di Pitagora S.p.A. e Consit Italia S.p.A.: la prima è una sofisticata software house che lavora sia per Centrale come Gruppo che per il mercato; la seconda, acquisita da Centrale nel 2004, fornisce dettagliatissime informazioni catastali permettendo l’identificazione del patrimonio immobiliare di un soggetto, sia esso una impresa o persona fisica.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA294

Diemme S.p.A.Padovaazienda attiva nella torrefazione e commercializzazione del caffé

Può apparire strano che in un paese in cui il consumo del caffé rappresenta un mercato di massa – e nel quale proprio per queste sue caratteristiche si sono nel tempo consolidate posizioni dominanti, come rappresentate da un produttore (Lavazza) che oggi copre da solo oltre il 40% del mercato nazionale – continuino a esistere, e a prosperare, produttori di piccola dimensione. Ma è nel mercato di massa che le produzioni di nicchia, e quindi di qualità, riescono a meglio insinuar-si, piuttosto che in quelle dove operano moltissimi piccoli attori.

La vicenda della Diemme S.p.A. si giuoca su questo differenziale qualitativo, e sul valore immateriale dell’appartenenza a un territorio ben definito, anche se poi il successo di Diemme come produttore di nicchia è andato costruendosi attraverso l’allargamento dal mercato a un più vasto insediamento nazionale. Si tratta di una piccola azienda (18 dipendenti al 2001, e una fascia di fatturato 2003 tra i 5 e i 15 mln di € secondo la classificazione della Camera di Commercio), che tuttavia è arrivata alla terza generazione imprenditoriale.

La sede storica della Diemme.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 295

L’azienda nacque nel 1927 ad opera di Romeo Dubbini che, intuendo le poten-zialità del mercato del caffé, cercò di inserirvisi ricercando le migliori fonti di ap-provvigionamento della materia prima e approntando, in una proficua sperimenta-zione empirica, le miscele più gradite al consumatore. L’insediamento, almeno fino

La fase della tostatura del caffè, ieri e oggi.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA296

ai primi anni Cinquanta, fu essenzialmente locale, anche se il prodotto venne ben veicolato attraverso il contatto diretto con i pubblici esercizi, peraltro in diretta con-correnza con un altro produttore padovano, ancor oggi più aggressivo nel trasferire nell’insegna degli esercizi-clienti il nome della ditta fornitrice. Dubbini mirava co-munque a qualcosa di più del mercato locale, e se oggi il concorrente cui si faceva riferimento (la Vescovi S.p.A., nata sempre nel 1927, e nella classe di fatturato 2003 tra i 2,5 e i 3,5 mln di €) ha una estesa clientela cittadina e provinciale, Diemme è più ramificata sul territorio nazionale, anche grazie a un qualche approccio alla grande distribuzione organizzata. Come dire che se il diretto concorrente era anda-to privilegiando la distribuzione attraverso i pubblici esercizi, Diemme aveva invece presto intuito, pur non rinunciando a caffé e pasticcerie, le potenzialità di canali di-stributivi altri che, rapportandola direttamente al consumatore finale, consentivano maggiori margini di ricavo. Si trattò di una scelta tra due diverse strategie, che co-munque avvantaggiò presto la Diemme in termini di volumi prodotti, e di notorietà del marchio ben al di fuori del mercato locale. Se a Padova e in provincia il caffé ha coinciso con il nome di Vescovi, al di fuori della città la qualificazione padovana del prodotto ha in genere riportato il consumatore al nome della ditta di Dubbini. Due strategie diverse, si diceva; richiamando le quali non si intende ovviamente esprime-re giudizi di valore, ma solo rimarcarne la tipologia distintiva.

Il passaggio generazionale da Romeo Dubbini al figlio Giulio fu emblematica-mente segnato nell’iconografia aziendale dall’autorizzazione da questo ottenuta a esercire all’interno della ditta un Magazzino doganale, atto a semplificare la gestione della acquisizione della materia prima. Fu soprattutto una semplifica-zione burocratica, che tuttavia si rifletté nella snellezza operativa (ma anche sulla gestione ottimale delle scorte di materia prima) che da ciò derivò all’azienda, la quale conobbe a partire dagli anni Cinquanta una crescita sia produttiva che di irradiamento extraprovinciale.

Gli anni Novanta, con l’ingresso in azienda dei figli di Giulio Dubbini – Federico, Gianandrea e Sebastiano – segnarono un qualche segno di disconti-nuità. Che passò, pur mantenendo la scelta strategica della pluralità dei canali di vendita, attraverso una rivitalizzazione del rapporto con gli esercizi commerciali, considerati essi stessi un fondamentale strumento di promozione e di pubblicità del marchio. Da ciò scaturì una particolare fidelizzazione della clientela commer-ciale, fatta di mirate politiche di marketing, di servizi e di consulenza, nonché della fornitura a prezzi contenuti delle tazzine o delle salviette con il nome Diemme, già praticata da altre marche, ma segnate in questo caso da un ricercato accostamento tra qualità dei materiali proposti e qualità perseguita nel prodotto del business, vale a dire delle miscele del caffé.

Una piccola azienda familiare, quella qui descritta; che tuttavia ha a che fare con le caratteristiche distintive dell’economia provinciale, dove in non pochi casi la cura della qualità si coniuga (si è coniugata) con la passione per il prodotto prima che con l’interesse economico del business. Soprattutto, come in questo caso, anche se non nell’insegna della ditta, il prodotto si è identificato con la storia – e quindi con il nome della famiglia imprenditrice.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 297

FIP Industriale S.p.A.Selvazzano Dentroazienda attiva nello sviluppo di tecnologie di protezione e rinforzo delle opere di ingegneria

civile

Il caso di questa azienda (fatturato 2004 di quasi 94 mln di €, e una occupazio-ne di 352 addetti) interessa, oltre che per il suo contenuto tecnologico, per essere l’evoluzione virtuosa di una impresa commerciale, la F.I.P. S.r.l., avviata nel 1945 da Attilio Daciano Colbachini per la distribuzione di articoli tecnici destinati all’edili-zia, al settore idroelettrico e autostradale. Questa attività di distribuzione grossista proseguì fino al 1962, quando l’azienda – dopo aver iniziato alcune diversificazioni produttive su iniziativa di Romeo Chiarotto, entrato nella compagine societaria nel 1956 – assunse una dimensione compiutamente industriale, delegando l’attività commerciale a una ditta appositamente costituita, la FIP articoli tecnici S.r.l.

Da una iniziale specializzazione nello studio e nella produzione di articoli tec-nici per la grande edilizia, Chiarotto, che nel frattempo aveva acquisito il controllo della società, si indirizzò allo sviluppo delle tecnologie di protezione e rinforzo delle opere d’ingegneria civile in genere, indirizzate non solo agli operatori italiani del settore ma anche a imprese straniere attive nei grandi lavori.

Oggi FIP Industriale S.p.A., alla cui guida è subentrata Donatella Chiarotto, ha considerevolmente aumentato la sua presenza sui mercati internazionali e opera con prodotti e tecnologie all’avanguardia nel campo dell’ingegneria civile, in parti-colare nei settori delle strade, autostrade, ferrovie, metropolitane, edifici, impianti industriali, dighe, piattaforme petrolifere e strutture portuali. La sede principale è a Selvazzano Dentro, ma altre unità operative sono ubicate a Milano, Roma, Parigi, Cambridge, San Paolo in Brasile, nonché l’impresa ha rappresentanze in molti altri paesi.

La elevata competenza della struttura ingegneristica e tecnica dell’impresa è in grado – a partire dagli studi preliminari alla progettazione esecutiva e alla spe-rimentazione in laboratorio dei prototipi, fino alla costruzione, all’installazione e al monitoraggio del comportamento in opera delle realizzazioni – di dare risposte sofisticate a una vasta gamma di problemi di cantiere. La progettazione è realizzata con avanzati strumenti informatici, come programmi di calcolo per il dimensiona-mento dei dispositivi o per l’analisi dinamica delle strutture. A essa concorrono il laboratorio interno di prove funzionali e simulazione di terremoti, nonché i labora-tori per lo studio dei prodotti chimici e per lo studio dei prodotti cementizi.

La maggior parte dei prodotti FIP (in particolare i dispositivi antisismici e an-tivibranti, i giunti di dilatazione, le “geocelle”, le guarnizioni di tenuta idraulica per gallerie) sono il risultato dell’attività di ricerca interna, con investimenti annui nell’ordine del 10% del fatturato, sviluppata grazie alla elevata qualificazione del personale (30% tra laureati e diplomati tecnici).

Tale attività di ricerca (150 brevetti depositati in un trentennio) ha in particola-re interessato la protezione sismica, con i primi studi e applicazioni nel 1974 nei gran-di viadotti autostradali, e la protezione ambientale, con i primi studi sulla salvaguardia

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA298

di Venezia e dei suoi monumenti proseguendo poi negli ultimi anni con la ricostru-zione dell’equilibrio morfologico lagunare attraverso la consociata Mantovani.

La strategia di puntare sull’innovazione continua ha fatto sì che FIP maturasse una notevole esperienza anche nello svolgere progetti di ricerca finanziati dalla Commissione Europea in partnership con primarie imprese, università e istituti di ricerca europei. Questi progetti, e il continuo lavoro di studio realizzato in FIP, hanno permesso la messa a punto di nuovi metodi di progettazione e costruzione, come la realizzazione di dispositivi in leghe a c.d. memoria di forma per la protezio-ne di monumenti storici ed edifici civili, con la prima installazione nella Basilica di San Francesco ad Assisi dopo il terremoto che l’aveva fortemente lesionata.

L’attività di ricerca e sviluppo si esprime anche nella progettazione di attrezza-ture speciali da cantiere e, nel settore della produzione, attraverso la costante inno-vazione e il miglioramento dei mezzi e dei processi produttivi: l’officina è attrezzata con macchinari avanzati che permettono di mantenere il ciclo produttivo ai più alti livelli di controllo di qualità ed affidabilità, con una elevata capacità produttiva an-nua. Il Sistema di Qualità FIP è dal 1992 certificato CISQ-ICIM del Sistema Qualità, in conformità alle normative internazionali ISO 9001

L’azienda di Selvazzano Dentro si distingue nel settore di appartenenza per

Interni della Fip industriale.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 299

l’ampia gamma di prodotti e interventi che può proporre, e per le competenze acquisite sul campo nel poter tempestivamente adeguare i prodotti in base alle normative specifiche presenti nei vari paesi in cui essa opera. Tali competenze hanno tra l’altro favorito la sua partecipazione alle attività dei gruppi di lavoro che elaborano le normative di settore; ciò sia a livello nazionale (UNI, ANIDIS-GLIS) che internazionale (CEN, EOTA, ISO).

FIP Industriale è ora integrata in FIP Group, assieme ad altre aziende utilizza-trici delle tecnologie da essa sviluppate: la padovana impresa di costruzioni Ing. E. Mantovani S.p.A., attiva dal 1949 nelle costruzioni generali e nei dragaggi, e acqui-sita da Romeo Chiarotto nel 1987; la Dolomiti Rocce S.r.l., con sede a Ponte delle Alpi (Belluno) e specializzata nella Geotecnica e del consolidamento di terreni, pareti rocciose ecc.; la Ferrari Ing. Ferruccio S.r.l., vocata ai lavori subacquei e alle tecnologie marine, con sede a Malcontenta (Venezia); e, infine, la già menzionata FIP articoli tecnici S.r.l., che continua in Z.I.P. l’attività di intermediazione da cui originò la realtà industriale dell’impianto di Selvazzano Dentro. L’elevata specializ-zazione, e le sinergie in esso sviluppate, rendono FIP Group una realtà produttiva complessa, e dotata di ampia visibilità sia sul mercato domestico che su quello internazionale.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA300

Fischer Italia S.r.l.Padovaazienda attiva nei sistemi di fissaggio industriale e domestici

Questa impresa presenta – tra i vari profili che qui presentiamo – una peculiarità difficilmente ripetibile, data la precedente esperienza nel settore delle ferramenta di Paolo Morassutti, co-partner nella joint venture con la Fischer Werke Artur Fischer GmbH & Co. di Tumlingen (Waldachdal, Germania) che, nel 1963, la originò. L’azienda conseguì in breve tempo una posizione di assoluta leadership nel mercato domestico dei sistemi di fissaggio.

Il rapido successo, oltre che all’attenta qualificazione del prodotto resa possi-bile da un sofisticato laboratorio di ricerca tecnologica, fu in buona parte dovuto al suo capillare apparato commerciale mutuato dalla precedente esperienza di P. Morassutti quale dirigente della centenaria azienda di famiglia, la Paolo Morassutti S.p.A., fino agli anni Settanta la più grande impresa italiana di distribuzione al det-taglio e all’ingrosso di ferramenta, minuterie metalliche e casalinghi.

Dopo aver acquisito all’azienda familiare (1958) la distribuzione in esclusiva per Italia dei prodotti della Fischer tedesca, caratterizzati soprattutto dai tasselli in nylon per il fissaggio domestico, nel 1963 Paolo Morassutti decise di intrapren-

La prima sede della Fischer Italia a Padova.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 301

derne – in partnership con il licenziatario tedesco – la produzione di tali prodotti. In breve la Fischer Italia riuscì a raggiungere gli standard prescritti dall’accordo di partnership, e a aggiungere ai prodotti tradizionali – grazie al menzionato laborato-rio di ricerca – tipologie più idonee allo specifico mercato italiano, in particolare per l’utenza professionale e industriale. Non fu, tuttavia, la sola attenzione al mer-cato e alle sfide innovative ciò che dalla antica casa commerciale Paolo Morassutti trasmigrò nell’azienda industriale di cui qui si accenna, ma anche parte di quello spirito di corpo, o se vogliamo di “famiglia aziendale”, che già aveva costituito uno dei punti di forza della scomparsa casa distributiva: dove a una particolare non conflittualità nelle relazioni di lavoro, si accompagnava un ruolo sociale della fa-miglia imprenditrice all’interno della comunità padovana. Un ruolo che, appunto, continuò nella Fischer, da anni ormai impegnata a fianco del Comune di Padova nella rivitalizzazione, e conservazione, del grande patrimonio artistico della città. Con una filosofia e continuità di intervento che andò oltre la semplice “sponso-rizzazione” delle iniziative comunali, tali interventi risaltavano per il non diretto “ritorno” in termini pubblicitari, dato il loro rilievo essenzialmente locale. E anche ciò fu parte dell’“anomalia” del caso Fischer.

Sul piano prettamente aziendale, va rimarcata la particolare attenzione riser-vata (ben prima delle certificazioni UE) ai controlli di qualità sulle materie prime utilizzate, e – soprattutto – alle prove di resistenza dei manufatti realizzati; proba-bilmente una eredità culturale delle pratiche in uso in Morassutti per testare la idoneità dei materiali acquisiti per la intermediazione grossista.

Dal 1998 Fischer Italia (classificata per il 2003 dalla Camera di Commercio nella fascia di fatturato tra i 50 e i 150 mln di €) fa parte integrante della Fischer Werke Artur Fischer GmbH & Co., avendo essa rilevata la partecipazione del socio italia-no. Tale Gruppo internazionale conta oggi 22 società produttive, in 19 paesi tra i più industrializzati del mondo, occupando complessivamente oltre 3.400 addetti.

Una scelta dei noti tasselli Fischer.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA302

IVG Colbachini S.p.A.Cervarese Santa Croceazienda attiva nella produzione di tubi industriali in gomma su mandrino

La vicenda di questa azienda importa, ai fini di questo studio, non solo per il posizionamento di assoluto rilievo conseguito in poco meno di quarant’anni nei mercati internazionali, ma ancor più per il fatto che essa incorpora una storia im-prenditoriale di lunga durata.

Sorta nel 1966, la IVG Colbachini S.p.A. rappresenta infatti il risultato di una fortunata diversificazione degli interessi industriali della omonima famiglia di im-prenditori, approdata a Padova agli inizi dell’Ottocento da Bassano per meglio at-tendere a quella produzione di campane che Giuseppe Colbachini aveva avviato fin dal 1745 nel borgo natio di Angarano, coinvolgendovi progressivamente i propri fratelli. Fu uno di questi, Daciano, a imprimere nella città euganea slancio all’at-tività di famiglia; l’azienda non solo si consolidò, ma acquisì notorietà e prestigio sia in Italia che all’estero, ottenendo nel 1898, da papa Leone XIII, la patente di “Fonderia Pontificia”, poi reiterata da Pio X nel 1904.

Ancora oggi la Daciano Colbachini & Figli – da tempo trasferitasi a Saccolongo, a pochi chilometri da Cervarese – è l’unica fabbrica di campane al mondo a poter apporre sulla propria produzione le insegne pontificie: rappresentando le stesse una sorta di riconoscimento alla cura meticolosa con cui ogni campana viene ap-prontata secondo le specifiche esigenze di una variegata clientela.

Anch’essa è ricompresa, sotto la forma giuridica di S.r.l., all’interno del Gruppo IVG, di cui la IVG Colbachini S.p.A. (IVG sta per Industria Veneta Gomma) costi-

La patente papale del 1904 che rinno-va alla Colbachini lo status di “Fonderia Pontificia”.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 303

tuisce la società più rilevante.L’impianto di Cervarese è fin dal suo avvio mirato alla produzione di tubi di

gomma su mandrino per medie e basse pressioni, oggi realizzati in lunghezze fino a 120 metri e con diametro fino a 850 mm, e nei quali la IVG è leader mondiale. In realtà, esso per certi versi costituisce l’evoluzione di una idea business che un esponente della famiglia imprenditoriale, un altro Daciano Colbachini (o, meglio, Attilio Daciano C.) aveva perseguito dopo la seconda guerra mondiale dando vita alla F.I.P., una società per la commercializzazione di articoli tecnici destinati all’edi-lizia, al settore idroelettrico e a quello autostradale, poi estesasi alla produzione, e indi sviluppatasi con diverso assetto proprietario (se ne veda la scheda a p. 297).

È comunque a partire dalla F.I.P., e più ancora dopo la costituzione della IVG, che la produzione di campane diventa marginale negli interessi della famiglia im-prenditrice; di lì prende avvio la costruzione di un gruppo diversificato di imprese, presto attivo su più fronti produttivi.

Conviene menzionarne le articolazioni, per meglio cogliere l’ambito opera-tivo. Accanto alla IVG Colbachini S.p.A. (certificata ISO 9001:2000), con sedi in Francia, Germania, Inghilterra, Repubblica Ceca, Stati Uniti e Singapore, opera-no la Thermoform S.p.A. di Torreglia, che produce ogni tipo di termoformato destinato in particolare al settore caravan, autocaravan, freddo industriale e auto-lavaggi; la Industessile S.p.A. di Montegalda (Vicenza), che produce tessuti e fili aderizzati, nastri per usi industriali realizzati con fibre di rayon, nylon, poliestere, aramidiche; la Silikoneurope S.r.l. di Loiano (Bologna), che produce articoli in gomma siliconica liquida e termoplastica per l’industria automobilistica, elettroni-ca, farmaceutica, telefonica, agroalimentare e degli elettrodomestici; l’Akuton S.r.l. di Montemerlo-Cervarese Santa Croce, che si occupa della progettazione e produ-zione di raccordi speciali destinati ai tubi industriali in gomma; la Manifattura Tubi Gomma S.p.A. di Grisignano di Zocco (Vicenza), che completa la gamma di tubi in gomma su mandrino realizzati a Cervarese, con una tipologia di lunghezza inferio-re, ma con diametro fino a 1.000 mm.; la S.T.I. S.r.l. di Montegaldella (Vicenza), impegnata nella costruzione di stampi per materie plastiche e lavorazioni mecca-niche a controllo numerico; la Transfer Gomma S.r.l. di Saccolongo, che produce marcature di prodotti industriali in gomma e in plastica; la Sami Instruments S.r.l. di Reschigliano-Campodarsego, che produce strumenti di misura e per l’automa-zione di impianti chimici e petrolchimici. Tutte queste società sono certificate ISO 9001 o 9002, il che attesta della attenzione alla qualità che il gruppo persegue per la massima soddisfazione della propria clientela internazionale.

Ad esse va, ovviamente, aggiunta la già ricordata Fonderia Campane Daciano Colbachini & Figli Stabilimento Pontificio S.r.l. di Saccolongo, attraverso la quale i Colbachini partecipano del ristretto numero di imprese familiari che, vantando ol-tre duecento anni di ininterrotta attività, sono riunite nell’associazione internazio-nale “Les Hénokiens”. Non pochi degli attuali 33 soci dell’associazione hanno dato vita a musei storici relativi al proprio comparto merceologico. Tra questi anche i Colbachini, cha a villa Fogazzaro-Colbachini di Montegalda (Vicenza) ospitano la

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA304

Fondazione “Museo Veneto delle Campane Daciano Colbachini”, che oltre all’at-tività propriamente museale si occupa della promozione e valorizzazione dell’arte campanaria.

Con un fatturato 2004 di circa 100 milioni di €, collocato in gran parte sui mer-cati dei cinque continenti, il Gruppo IVG – che occupa oltre un migliaio di addetti diretti – costituisce un esempio di impresa della tradizione veneta, che da un setto-re di artigianato artistico ha saputo evolversi su frontiere tecnologiche avanzate in direzione del mercato globale.

La sede attuale della IVG Colbachini a Cervarese Santa Croce.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 305

Luxardo (Girolamo) S.p.A.Torregliaazienda attiva nella produzione liquoristica

La storia di questa azienda rileva per più di un motivo nelle vicende economiche del padovano. Non tanto per le dimensioni (32 addetti nel 2001, e per il 2003 clas-sificata dalla Camera di Commercio nella fascia di fatturato 5-15 mln di €), quanto per la sua antica origine e per aver saputo replicare, in un ambiente all’inizio a essa estraneo se non ostile, un successo imprenditoriale di lunga durata. Talché ben si inserisce in un contesto di cultura d’impresa, quello regionale veneto, che sui pro-cessi di lunga durata delle sue aziende ha saputo costruire la sua espansione.

La Girolamo Luxardo S.p.A. è l’erede diretta della ditta fondata a Zara nel 1821, sulle coste dalmate ora integrate nella repubblica di Croazia, dal ligure Girolamo Luxardo, lì approdato nel 1817 allo scopo di allargare il suo giro d’affari di mercante impegnato, come era tipico all’epoca, su vari fronti, in particolare nel commercio all’ingrosso di cordami e funi per le navi nonché del corallo. E proprio il corallo l’aveva portato nella città dalmata, rinomato centro di intermediazione di quel prodotto. Fatalità volle che egli lì fosse attratto da un business che lo fece

Ultimi lavori nellarealizzazione dellostabilimento Luxar-do a Torreglia: lacostruzione del fuma-iolo.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA306

presto deviare dal suo originario interesse: si trattava della “fabbricazione” del ro-solio, un distillato che – prodotto un po’ ovunque, ma non sempre industrialmente – trovava vasto smercio sia nell’impero asburgico cui ora la città apparteneva, sia nei vari stati italiani. Con la perspicacia tipica dei mercanti veri, Luxardo intuì nella situazione di decadenza in cui versavano le piccole distillerie della zona, e nella loro limitata produzione a fronte di un mercato potenzialmente in ascesa, la possibilità di proficuamente inserirsi nel settore, convinto che la rete di relazioni mercantili che egli si era costruito nel tempo lo avrebbe aiutato nella intrapresa. A suo parere, il rosolio zaratino, che presentava alcune caratteristiche distintive rispetto ad altre aree di produzione, avrebbe potuto – se elevato nella sua qualità – sparigliare vantaggiosamente quel particolare mercato. Idea business, quindi, e strategia innovativa furono perciò alle basi del successo del giovane ligure che da mercante si andò così facendo imprenditore.

Pur senza inizialmente abbandonare gli altri commerci, Luxardo si gettò a ca-pofitto nella nuova avventura, trasferendo presto tutta la famiglia a Zara. L’essere tuttavia uno straniero doveva parergli una difficoltà nell’avvio dei suoi affari in città, se egli pensò – data la sua persistente attività mercantile – di rafforzare il suo status sollecitando, per il tramite del Console sardo a Trieste, la nomina a vice-con-sole del regno sabaudo a Zara. Richiesta insolita, e tuttavia dall’esito positivo stante l’attenzione che il governo dei Savoia andava in quel momento dedicando a una politica di penetrazione commerciale nei più importanti (o promettenti) scali del Mediterraneo. Cosicché nel febbraio del 1823 Luxardo fu a Trieste a prestare giura-mento nelle mani del rappresentante il governo del suo paese. Con benefici effetti sulla sua attività di imprenditore: straniero sì, ma di rango. Cosa che gli fu utile – dopo il perfezionamento delle tecniche di produzione del rosolio, o se vogliamo dopo la loro industrializzazione, giacché di questo si trattò – a ottenere nel 1833 dalle autorità asburgiche la privativa in esclusiva per 15 anni della fabbricazione di tale liquore. Fu l’abbrivio di una crescita che, grazie anche alla diversificazione dal rosolio al maraschino dapprima, e poi ad altri liquori, rese presto la Luxardo la principale attività manifatturiera della zona, coinvolgendo un indotto rapidamente crescente, soprattutto nella coltivazione e raccolta delle ciliege marasche.

Lo smercio dei suoi prodotti spaziava già negli anni Trenta dall’Austria, Vienna soprattutto, alle principali città del Lombardo-Veneto, ma con partite collocate fre-quentemente anche in piazze lontane: Rio de Janeiro, Lisbona, Londra, Odessa e Costantinopoli. Nella penisola, peraltro, la rete commerciale della Luxardo aveva raggiunto anche altri stati, da quello sabaudo al Regno delle due Sicilie: una pre-senza, quest’ultima, che era valsa a Girolamo la nomina a vice-console anche di quello stato. E ciò fu di fatto la consacrazione del ruolo da lui raggiunto in città, risultando il maggior esponente economico della comunità italica.

La strada non fu, tuttavia, solo in discesa, e non mancarono momenti di difficol-tà, tipici di una impresa che faticava a star dietro al progressivo incremento della domanda. È probabile che queste crisi di crescita abbiano avuto anche a che fare, come del resto accadde all’epoca a molte imprese, con la insoddisfacente rappre-sentazione che la contabilità a partita doppia di origine mercantile riusciva a dare

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 307

dell’andamento dell’attività, impedendo così tem-pestivi aggiustamenti al conto economico.

Negli anni Cinquanta l’azienda si presentava tuttavia ormai una realtà consolidata e florida, e nel decennio successivo cominciò a conseguire importanti riconoscimenti nelle esposizioni che si succedevano un po’ ovunque nelle principa-li capitali europee, e alle quali i Luxardo non mancavano mai avendo intuito il positivo impatto commerciale che i diplomi in quelle occasioni ri-cevuti avevano sul mercato. Fu del resto quello il periodo in cui l’azienda zaratina iniziò a sostene-re la penetrazione dei propri prodotti con affiches pubblicitarie graficamente efficaci.

Da quel momento si dipanò una lunga vicenda aziendale di successo, che – dopo i tragici eventi seguiti alla seconda guerra mondiale (e descritti con fine tratto di scrittore da Nicolò Luxardo De Franchi, discendente di Girolamo, in I Luxardo del Maraschino, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 2004) – fortunosamente approdò alle pendici dei Colli Euganei, in quel di Torreglia.

Nel novembre del 1943 un bombardamento angloamericano disastrò il grande stabilimento che i Luxardo avevano nei pressi del porto della città. L’attività dovette essere perciò interrotta, e solo si aspettava la fine del conflitto per poterla, ancorché faticosamente, riprendere. L’avanzata titina non faceva però presagire nulla di buono, e la famiglia riparò precauzionalmente in Italia, in attesa di tempi migliori. Che non ci furono. L’occupazione titina di Zara, e la confisca dei beni degli italiani resero impossibile il ritorno.

Gli ultimi discendenti dell’antico mercante ligure, Giorgio e il giovanissimo e promettente ni-pote Nicolò, non si persero d’animo, e presero la decisione di far rivivere la loro azienda in patria, dapprima avviando nella primavera 1946 la pro-duzione di liquori presso una distilleria di terzi, a Fiumicello d’Aquileia in Friuli, poi cercando un sito idoneo a ospitare la nuova fabbrica. La scelta cadde su Torreglia, anche per la disponibilità di un moderno stabilimento progettato a uso distil-leria dalla padovana Pezziol, ma mai ultimato, e

Due fra i prodotti più rap-presentativi della Luxardo: Sangue Morlacco (liquore di marasca) e Maraschino.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA308

che i Luxardo rilevarono.Individuato il sito, il passo successivo fu di reperire la materia prima da uti-

lizzare per il principale dei prodotti Luxardo, il maraschino. Era in realtà arduo pensare di trovare in Italia ciliege simili alla marasca dalmata, data la tipicità del frutto di quelle terre, talché alla fine si fecero arrivare dall’isola dalmata di Brazza le “marze” di marasca; dalle quali un docente della Facoltà di Agraria di Firenze riuscì a ricavare, innestandole con le amarene del pescarese, un frutto in grado di maturare rapidamente, e soprattutto adatto alla raccolta meccanizzata e alla tra-sformazione industriale (succhi, surgelati, sciroppi e distillati). Nasceva così la “ma-rasca Luxardo”, il cui acclimatamento nei terreni calcarei della zona settentrionale e meridionale dei Colli Euganei consentì alla “Privilegiata Fabbrica Maraschino Excelsior Girolamo Luxardo” di ricostituire quella prossimità tra luogo di approv-vigionamento della materia prima e stabilimento di produzione che a Zara aveva per l’azienda rappresentato un naturale vantaggio competitivo.

Questa ritrovata caratteristica venne peraltro rafforzata dalla scelta di iniziare l’acclimatamento direttamente, tanto che ancor oggi la Luxardo coltiva circa 20.000 piante in marascheti industriali di proprietà, probabilmente esempio uni-co in tale settore di integrazione verticale a monte. Tale coltivazione – una volta dimostratasi economicamente vantaggiosa – fu poi intrapresa da altri operatori, generalmente fornitori dell’azienda.

La Luxardo è attualmente leader riconosciuta nel comparto dei liquori dolci, rappresentando una delle pochissime marche presenti in quasi tutti i mercati mondiali. Alcuni suoi liquori vengono peraltro prodotti su licenza in Giappone, ov-viamente secondo le consolidate specifiche della casa madre. La produzione della quale si articola su tre linee (liquori, grappe e distillati, prodotti per pasticceria), anche se la sua notorietà internazionale è soprattutto affidata al maraschino; una particolarità, quella di essere identificata con un prodotto, che non è infrequente nelle ditte liquoristiche, e che peraltro ha costituito per l’azienda padovana positi-vo elemento di traino per il collocamento delle sue altre produzioni.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 309

mG (miniGears) S.p.A.Padovaazienda meccanica attiva negli ingranaggi di piccole dimensioni

Raramente la dismissione di una produzione non più ritenuta strategica dal-l’impresa che l’aveva in capo, perché ormai posizionatasi in business più vantag-giosi, ha come risultato l’avvio di un nuova avventura (e di un nuovo) successo imprenditoriale. Da questo punto di vista, quanto è accaduto alla mG (miniGears) S.p.A. rappresenta un caso di studio di un qualche interesse.

Costituita nel 1976 a Busa di Vigonza proprio per rilevare dalla MPM-Meccanica Padana Monteverde di Padova il reparto da questa fino ad allora adibito alla fab-bricazione di piccoli ingranaggi conici spirali per elettroutensili, mini Gears è di-venuta nel volgere di pochi decenni leader mondiale di settore, esportando l’85% del proprio prodotto. Dai sei dipendenti iniziali, oggi l’azienda occupa (tra lo stabilimento padovano, i due successivamente realizzati negli Stati Uniti e in Cina, e la filiale commerciale in Gran Bretagna) circa 500 persone. Il fatturato 2004 ha superato i 62 milioni di €, in gran parte rivolto ai principali produttori internazio-nali di elettroutensili (Bosch, Black & Decker, Makita, Hitachi), con tuttavia profit-tevoli diversificazioni verso il comparto delle attrezzature per il giardinaggio (Stihl, Husqvarna), degli autoveicoli (Maserati, Iveco), dei cicli e motocicli (Minarelli, Aprilia), delle trasmissioni (ZF Marine) e dei carrelli elevatori (BT, Raymond).

Conviene comunque meglio richiamare le origini dell’impresa, dato che anche

Esterno della sede mG (miniGears).

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA310

da esse emerge l’originalità del caso. Essa fu infatti creata da Vincenzo de’ Stefani, che della MPM era all’epoca Direttore Generale nonché azionista di riferimento, la cui intuizione imprenditoriale lo portò a pensare che quel business – residuale in MPM – poteva, se adeguatamente valorizzato, trovare un autonomo posiziona-mento sul mercato. MPM non poteva farlo, dato che il suo core business era ormai vocato alle trasmissioni ferroviarie e marine e agli ingranaggi di grandi dimensioni. Talché la scelta fu tra la dismissione o il rilancio con una autonoma e distinta ragio-

Fasi di lavorazione degli ingra-naggi di precisione.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 311

ne societaria; la scelta fu quest’ultima. Dopo l’acquisizione nel 1981 di una quota MPM da parte della tedesca ZF Zahnräder Fabrik (Friedrichshafen), il più grande impianto mondiale di trasmissioni, e poi nel 1986 della totalità del capitale, de’ Stefani riversò le risorse finanziarie da tale cessione ricavate a sostegno dell’espan-sione di miniGears.

Va peraltro ricordato che la MPM, trasferita a Caselle di Selvazzano, e mutata la sua denominazione in ZF Padova, divenne la capogruppo del settore marino del gruppo tedesco, settore che, come accennato, è tra i clienti di miniGears.

Nel 1979 all’azienda di Vigonza venne affiancata una nuova società, miniTools s.r.l., destinata a produrre i piccoli utensili che prima dovevano essere importati dagli Stati Uniti, nonché macchine utensili, attrezzature, automazioni e trasforma-zioni di dentatrici da meccaniche a CNC con un processo di retrofitting che costituì un importante vantaggio competitivo per miniGears.

Nel 1985 sia miniGears sia miniTools si trasferirono nella ZIP, la zona industria-le di Padova: la prima in un moderno stabilimento di 3.800 m2, la seconda in un altro di 2.000 m2. Nello stesso anno venne costituita miniService s.r.l. destinata a gestire le attività del gruppo non direttamente produttive (amministrazione, per-sonale e acquisti).

Nel 1986 venne poi creata Metaltemper s.r.l., destinata a sviluppare la c.d. sinte-rizzazione. La sinterizzazione è un processo che pressa in un forno portato a 1200 grandi centigradi granuli microscopici di polvere metallica. Essi, per diffusione atomica, si saldano l’uno all’altro, dando vita a un materiale compatto meno resi-stente dell’acciaio, ma tuttavia in grado di resistere alle sollecitazioni prodotte dai piccoli ingranaggi nei quali le componenti con esso prodotte vengono inserite. A parità di resistenza meccanica, l’ingranaggio con parti in sinterizzato ha un costo di produzione da un quinto a un decimo del costo in acciaio pieno. L’introduzione di questo processo richiese tre anni di ricerche e di forti investimenti, ma costituì per miniGears un passo importantissimo nel suo sviluppo, rendendola la sola azienda al mondo in possesso sia della tecnologia tradizionale sia della sinterizzazione. Fu questo secondo vantaggio competitivo a favorire, grazie ai prezzi concorrenziali che essa poteva così praticare alla clientela la forte espansione internazionale del-l’azienda padovana,

Nel 1995 miniTools, Metaltemper e miniService vennero incorporate in mini-Gears, un po’ per esigenze di semplificazione amministrativa, ma anche perché le prime due, che inizialmente vendevano pure a produttori terzi, vedevano ormai la loro produzione totalmente assorbita dalla casa madre.

Grazie agli impianti produttivi americano e cinese, miniGears andò presto con-figurandosi come una vera e propria multinazionale “tascabile”. Un dato può dare un’idea della velocità della crescita, ed è riferito al numero di ingranaggi prodotti, che passarono dai circa 5 milioni del 1993 ai 36 milioni realizzati nel 2003.

Vantaggi competitivi, una efficiente struttura organizzativa e commerciale, nonché le varie certificazioni di qualità conseguite (ISO 9002 nel 1994, ISO 9001 nel 2002, ISO 14001 e ISO/TS 16949 nel 2003) rendono oggi la società padovana l’impresa leader mondiale in questa tipologia di produzioni micromeccaniche.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA312

Necsy S.r.l.Mirano (Venezia), già sita come ICT System Necsy S.p.A. in Padovaazienda attiva nella realizzazione e gestione di reti di telecomunicazione

Padova è stata, dal punto di vista della elettronica e della informatica, uno dei siti d’eccellenza nel nostro paese, come già si è sottolineato a proposito del terreno di cultura che consentì la nascita della Cerved.

La Necsy S.r.l., di cui in questa scheda si tratta, è l’esito ultimo di una vicenda aziendale iniziata nel 1975 a Padova con la costituzione della sua progenitrice, la Necsy S.p.A. Per questa origine padovana, pur essendo Necsy S.r.l. localizzata a Mirano, nel veneziano, abbiamo inteso inserirla ugualmente nell’Appendice essendo che la storia della Necsy è a pieno titolo parte del periodo recente della industrializzazione provinciale.

Necsy S.p.A. traeva del resto in parte origine dal fervore tecnico e tecnologico che accompagnò la stagione richiamata in apertura, anche se il suo impegno fu subi-to vocato ad applicazioni per il mercato. Essa è stata infatti una delle prime imprese in Italia a progettare e a gestire reti di telecomunicazione aziendali, e più tardi Call Center che consentissero ai grandi operatori economici (in particolare alle Utilities) di far fronte agli ingenti flussi di comunicazione con i clienti o gli utenti finali.

La sede attuale del-la Necsy.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 313

Questa mission aziendale si sviluppò nella consapevolezza delle priorità intrinse-che all’attività degli operatori di telecomunicazioni, vale a dire la qualità del servi-zio e l’efficienza nell’esercizio e manutenzione delle reti.

Con il maturare della propria presenza sul mercato, la Necsy si focalizzò su quattro principali famiglie di prodotti: Sistemi e strumenti di test e di misura delle prestazioni e della qualità del servizio per reti di telecomunicazioni fisse; Sistemi e strumenti di test e di misura delle prestazioni e della qualità del servizio per reti radiomobili; Sistemi per l’identificazione e la soppressione di frodi telefoniche; Sistemi per Call Center.

Già dai primi anni di attività, l’azienda si era andata affermando come leader nel mercato italiano, per poi approdare a una discreta presenza sui mercati inter-nazionali. Necsy ha sempre individuato nella qualità il punto di arrivo dell’intero processo, tanto che fu una delle prime aziende italiane ad ottenere, già nel 1993, la certificazione ISO 9001. La sua attività di ricerca, condotta anche in collaborazione con prestigiosi centri e laboratori esterni, e impiegando personale di elevata quali-fica, consentì a Necsy di rispondere con tempismo e soluzioni all’avanguardia alle esigenze di chi opera nel mondo delle telecomunicazioni, settore caratterizzato da estrema turbolenza e rapide evoluzioni tecnologiche.

Turbolenza e rapide evoluzioni tecnologiche, unite a una rapida crescita dimen-sionale non supportata da adeguata capitalizzazione, furono tuttavia i fattori che costrinsero gli imprenditori privati che l’avevano costituita a passare la mano. Fu così che Necsy entrò nel gruppo pubblico STET, essendo successivamente integrata nella Italtel. In seguito al processo di privatizzazione del settore delle telecomuni-cazioni, Necsy nel 2001 fu acquisita dal gruppo Tecnosistemi, nel cui ambito nel 2003 assunse la denominazione di ICT Systems, pur mantenendovi incorporato il marchio Necsy per la sua notorietà in questo particolare segmento dell’informatica applicata.

Le veloci modificazioni dei mercati di riferimento misero, tuttavia, in crescenti difficoltà l’impresa padovana, con perdita di importanti segmenti commerciali e conseguente drastica contrazione dell’occupazione, scesa a fine 2004 a 20 addetti per un fatturato di soli 0,7 mln di €.

Nei tornanti dei vari passaggi proprietari era tuttavia maturata la messa a punto di quello che costituiva, al momento della sua messa in liquidazione, il maggior asset della Necsy, il c.d. sistema Phoenix: un server evoluto dotato di una sofisticata tecnologia per la realizzazione di un Call Center “aperto”, o se vogliamo interattivo.

È stato questo prodotto a spingere la Alceo S.r.l. di Venezia a rilevare le attività dell’azienda padovana, costituendo nei primi mesi del 2005 la Necsy S.r.l. che ha iniziato la sua attività con 7 addetti, destinati a crescere man mano che essa andrà a regime.

Il Phoenix è di un sistema di comunicazione, basato su standard di mercato sia hardware che software, che consente di racchiudere in un unico sistema tutto ciò che il tradizionale approccio propone come complessa integrazione di piattafor-me proprietarie con funzioni specifiche. La particolare architettura del sistema la rende adatta a qualunque tipo di Call Center, indipendentemente dalle dimensioni.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA314

Basato su Windows, esso integra in un unico “ambiente” tutti gli strumenti di comu-nicazione utilizzabili dal cliente: dai mezzi di comunicazione più tradizionali (te-lefono, fax) a quelli tecnologicamente più avanzati (Internet, e-mail, IP Telephony); tali mezzi risultano perciò un unicum con il sistema informativo aziendale. Grazie a ciò, e in questo sta la particolarità del sistema “made in Padova”, il concetto di “chiamata” si evolve in quello di “contatto”, e il tradizionale Call Center diventa un Web Contact Center.

L’azienda veneziana che controlla Necsy S.r.l., e che ha ormai 20 anni di espe-rienza informatica, è del resto attiva proprio nel campo dell’integrazione tra telefo-nia e computer, con oltre 300 sistemi installati.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 315

O.R.V. Manufacturing S.p.A.Carmignano di Brentaazienda attiva nella produzione di ovatte, tessuti non tessuti e feltri porosi

La caratteristica di questa azienda, sorta nel 1949 a Grantorto come O.R.V.-Ovattificio Resinatura Valpadana, è che da essa si sono diramate nel tempo molte-plici attività, in parte collaterali al business da essa sviluppata, in parte molto diverse. Alcune sono localizzate nel padovano, altre nel vicentino, ma non mancano pre-senze nel salernitano e nel trentino, oltre a poco meno di una decina in Romania (Timisoara) e in Polonia (Bielsko Biala, Swidnica). Esse ora integrano il Gruppo I.M.P.-Industrie Maurizio Peruzzo, dal nome dell’imprenditore che diede vita a O.R.V. e che controlla questo complesso di imprese.

O.R.V. Manufacturing S.p.A. è la ragione sociale nella quale, nel 2003, sono state trasferite le attività in capo a O.R.V.-Ovattificio Resinatura Valpadana S.p.A., la quale per sua parte ha dal marzo 2005 incorporato il controllo di una serie di partecipazioni originate da IMP-Industrie Maurizio Peruzzo (dal quale è comun-que a sua volta controllata), tra cui – come si legge in una visura della Camera di Commercio padovana – quelle relative a aziende che erogano consulenza ammini-strativa, contabile, elaborazione, gestione, calcolo e servizi di archiviazione dati di informatici a favore delle società controllate e collegate.

Tornando comunque alla O.R.V. Manufacturing S.p.A., si tratta di una real-tà importante nel contesto provinciale, con un fatturato 2003 classificato dalla Camera di Commercio (anche se per motivi di coerenza statistica attribuito ancora a O.R.V.-Ovattificio Resinatura Valpadana S.p.A.) nella fascia tra i 50 e i 150 mln di €, e con una occupazione a fine 2001 di 605 addetti, suddivisi nei siti produttivi padovani di Grantorto, Carmignano di Brenta e Fontaniva e in quello milanese di Misinto. Si tratta, in quanto a numero di personale occupato, di un dato rilevante per la provincia, secondo solo a quello della Carraro S.p.A. che nello stabilimento di Campodarsego registrava alla stessa data 739 addetti. Pur non avendo potuto recuperare il dato ufficiale del fatturato, per i motivi che in parte abbiamo spiegato nelle conclusioni, è presumibile che – dato il livello occupazionale, e scontando il contenuto valore aggiunto della tipologia “paratessile” della produzione – esso si collocasse a metà della fascia di ampiezza alla O.R.V. indicato per il 2003 dalla classifica camerale.

Le aree di business in cui la prima iniziativa imprenditoriale realizzata da Maurizio Peruzzo andò, nel tempo, posizionandosi, spaziano – e si tratta per tutte della produzione di articoli tecnici in senso lato – dall’abbigliamento all’arreda-mento, dai supporti per spalmatura a quelli per membrane bituminose, dalla filtrazione agli isolanti termoacustici, dai materiali per la insonorizzazione degli autoveicoli a quella degli elettrodomestici, fino alle attività di engineering mirate a progettare con il cliente le soluzioni più idonee agli specifiche esigenze del prodot-to finale da questi realizzato. Il tutto è realizzato con tecnologie d’avanguardia, che hanno innovato processi relativamente semplici quali la idrointerlacciatura, la ter-

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA316

molegatura, la resinatura, la agugliatura, la cardatura, la adesivizzazione. In questo ultimo processo, la O.R.V. ha in particolare conseguito posizioni di eccellenza.

Ai fini della comprensione della operatività di una “multinazionale tascabile” quale indubbiamente è I.M.P.-Industrie Maurizio Peruzzo, ancorché non se ne co-noscano le effettive dimensioni, salvo quando detto per la capogruppo “di fatto”, vale a dire quella qui censita, può essere utile vedere l’articolazione operativa per data di costituzione e area di business delle singole imprese derivate dalla ricordata O.R.V. Elencandole ne risulta: Sanitaria Valpadana S.p.A., 1968, Meleto di Sarego (Vicenza), tintoria e nobilitazione di tessuti spalmati per calzature per arredamento, calzature, pelletteria, abbigliamento, outdoor; Valpadana Sud S.p.A., 1971, Bellizzi (Salerno), ovatte e feltri porosi per abbigliamento, arredamento, insonorizzanti auto e elettrodomestici; Precompressi Valsugana S.p.A., 1986, Fontaniva e Grigno (Trento), edifici prefabbricati in cemento armato (vibrato e precompresso) e travi da ponte; Tessilbrenta S.r.l., 1987, Pove del Grappa (Vicenza), tessuti non tessuti per usi geotessili, sanitari, arredamento, abbigliamento, supporti per membrane bi-tuminose; Immobiliare Generale Veneta S.r.l., 1987, Fontaniva, azienda immobilia-

Macchinari per la lavorazione delle fibre alla ORV Manufacturing.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 317

re; S.C. Euroconstruc SA, 1991, Timisoara (Romania), edilizia civile e prefabbricati industriali, estrazione inerti, ponti e strade; Ferro Valsugana S.r.l., 1991, Grigno (Trento), armature in ferro per cemento armato; I.M.P. Romania Industrial CO Srl, 1994, Timisoara (Romania), ovatte per abbigliamento, arredamento e isolanti termoacustici; Monlandys Srl, 1997, Timisoara (Romania), azienda immobiliare; I.M.P. Comfort SP. ZO. O., 1999, Swidnica (Polonia) ovatte per abbigliamento, arredamento, filtrazione, insonorizzazione auto; S.C. Europrefabbricate Srl, 2000, Timisoara (Romania), edifici industriali, commerciali, civili anche pluripiano in calcestruzzo prefabbricato; S.C. Eurologistica Srl, 2000, Timisoara (Romania), parco mezzi mobili specifici per il settore edilizio; S.C. Europroducts Srl, 2000, Timisoara (Romania), inerti, malte e calcestruzzi per edilizia; I.M.P. Polovat SP. ZO. O., 2001, Bielsko Biala (Polonia), scaglie di PET per riciclo e trasformazione di bottiglie di plastica; Valplastic S.p.A., 2001, Carmignano di Brenta, scaglie di PET per riciclo e trasformazione di bottiglie di plastica.

Può destare perplessità il ricorso a un tal numero di società operative, che non è certo sinonimo di semplificazione amministrativa; è comunque probabile, in assenza di ulteriori informazioni, che ciò dipenda dai diversi regimi fiscali, e dalla necessità – nel caso delle imprese attive a Timisoara – di una immediata visibilità delle singole aree di business. È comunque di rilievo l’articolazione merceologica delle diversificazioni da questo gruppo attuate, che se da un lato integrano una sorta di conglomerata, dall’altro sono indubbiamente riconducibili a una vivacità imprenditoriale non comune, che è in parte cartina di tornasole della propensione delle imprese dell’area a posizionarsi sui mercati emergenti.

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Pandolfo Alluminio S.p.A.Sarmeola di Rubanoazienda attiva nel settore dei profili speciali in alluminio estruso

Come non poche volte è accaduto nella industrializzazione padovana, anche l’impresa descritta in questa scheda deriva da una precedente attività di interme-diazione grossista operante nel medesimo settore merceologico in cui poi essa ha avviato la sua attività produttiva.

Pandolfo Alluminio S.p.A. (fatturato 2004 di circa 87 mln di €, una occupazio-ne di 410 addetti e una buona presenza sui mercati internazionali) nacque infatti nell’immediato dopoguerra come ditta individuale a opera di Vittorio Pandolfo, che costruì presto una buona rete di relazioni commerciali in tutto il territorio nazionale. In quel periodo cominciava del resto un crescente interesse degli opera-tori a un utilizzo dei profili di alluminio in sostituzione di quelli in acciaio.

Questa tendenza si accrebbe nel tempo, tanto che nel 1969 il forte sviluppo conosciuto dal settore grazie alla versatilità di utilizzo dell’alluminio convinse Pandolfo a mutare la natura della sua attività, entrando nella lavorazione di questo metallo.

L’azienda venne trasformata in società azionaria, e si realizzò uno stabilimento produttivo a Lentiai (Belluno) dotandolo di una pressa per l’estrusione dell’allu-minio con una potenza di 1.600 tonnellate. Quella che appariva una sfida, e tale era addentrarsi dalla commercializzazione alla produzione, si rilevò vincente.

Lo sviluppo degli anni Settanta fu impetuoso, trainato dall’edilizia e dai mezzi di trasporto. L’azienda si trovò a dover affrontare non solo la crescita della doman-

Pandolfo Alluminio, esterni.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 319

da, ma anche a rapidamente affinare quei processi qualitativi e di differenziazione produttiva che costituirono ben presto un vantaggio competitivo sul mercato. La capacità produttiva venne incrementata con una nuova pressa da 2.000 tonnellate, indispensabile a rispondere alla richiesta che proveniva dall’edilizia, un comparto che Pandolfo peraltro affrontò acquisendo la licenza in esclusiva dei sistemi per serramenti della tedesca Schüco, leader mondiale di settore.

Dopo il rafforzamento impiantistico, nella seconda metà degli anni Settanta venne costruita la sede centrale di Sarmeola, dove vennero concentrati tutti i ser-vizi, dalla progettazione all’assistenza commerciale, un settore centrale in questa particolare tipologia merceologica.

Venne inoltre avviato un ulteriore incremento della capacità produttive. Con l’obiettivo di fornire un prodotto meglio rifinito a una clientela che richiedeva sem-pre maggiore personalizzazione e qualità, vennero aperti i reparti di ossidazione anodica e di verniciatura dei profili, mentre in un secondo momento venne costitui-ta a Feltre, sempre nel bellunese, la LTS Alluminio S.p.A. – interamente controllata da Pandolfo Alluminio – per tutti i tipi di lavorazione e trattamenti delle superfici. Il dimensionamento dell’impianto non fu tuttavia mirato alla sola lavorazione dei prodotti Pandolfo, ma anche a acquisire commesse da altri produttori considerata la elevata specializzazione di quella struttura. Ciò portò Pandolfo Alluminio a essere una delle più importanti realtà del comparto.

Nel corso degli anni Novanta, venne creata una struttura integrata di servizio al mercato, con il potenziamento dell’apparato tecnico, dei laboratori di test e di controllo qualità, integrando le funzioni aziendali e investendo in sofisticati sistemi informatici. Oggi, l’azienda ha una capacità produttiva di 32.000 tonnellate annue su una superficie di oltre 110.000 mq, e i suoi prodotti – progettati in sinergia con la clientela – trovano applicazione nell’industria dei trasporti, meccanica, elettrica, elettronica, nell’edilizia, nell’industria del freddo e nell’arredamento domestico.

Alcuni prodotti in allumi-nio.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA320

Roncato S.p.A. (Valigeria)Campodarsegoazienda attiva nella produzione di valigie e affini

Quella della Roncato S.p.A. – parimenti a quanto è accaduto in altre attività artigianali sorte nel corso degli anni Cinquanta – è la storia dell’evoluzione di un prodotto tradizionale, e sostanzialmente “povero”, in un bene via via innovato sia nel design sia nei contenuti tecnici e merceologici. Dove all’innovazione tecnica si sono accompagnati mutamenti nel modo in cui questo bene veniva usualmente realizzato, assicurando per tal via al produttore non solo economie di costo ma anche il successo sul mercato.

Il prodotto in questione, o meglio i prodotti, sono i bauli e le valigie che la Valigeria Roncato S.p.A., il nome corrente della ditta fondata da Antonio Roncato, iniziò a realizzare a metà di quel decennio a Campodarsego. Presto abbandonati i bauli, l’azienda si focalizzò dapprima sulle valigie in fibra, affiancandovi più tardi le valigette “24 ore”, che per un qualche periodo divennero il prodotto di punta del-l’azienda. Fu questa diversificazione di prodotto, sul finire degli anni Sessanta, che favorì il consolidamento e poi una rapida crescita della Roncato, consentendole di raggiungere posizioni di rilievo nel comparto di appartenenza.

Il processo evolutivo di questa attività artigiana passò infatti attraverso la scelta, innovativa per un settore frammentato come quello della valigeria, della “indu-strializzazione” e standardizzazione del prodotto: che alla Roncato fu realizzata con l’introduzione di una vera e propria catena di montaggio adibita all’assemblaggio di componenti prodotte separatamente. Questa scelta rappresentò un momento strategico nella sviluppo aziendale: tanto che i progressivi investimenti in Ricerca & Sviluppo, e nella formazione del personale, accanto all’introduzione di sistemi di automazione, consentirono all’impresa padovana di imporsi come il maggiore produttore mondiale di valigette “24 ore”.

Tale risultato spinse l’impresa a puntare a un affinamento continuo del design, mettendolo in stretta relazione con il contenuto tecnologico del prodotto e con la individuazione di nuovi materiali atti a meglio esprimerne le forme estetiche. In par-ticolare, ricorrendo alla tecnica del polipropilene iniettato, Roncato fu in grado di avviare la produzione di valigie “rigide”: una tipologia realizzata interamente nello stabilimento di Campodarsego, che ha consentito all’azienda – grazie ad moderno reparto di stampaggio, via via irrobustito – di aumentare i volumi di prodotto rag-giungendo posizioni di leadership europea anche in questo segmento di mercato.

Elemento di forza della Roncato è stato in sostanza quello di aver scelto la strada di proporre prodotti innovativi nella linea, ma al tempo stesso “tradizionali” nella cura dei dettagli, facendo così convivere l’industrializzazione del prodotto con una atten-zione quasi “artigianale” alla qualità. Nella quale è andata giuocando un ruolo non secondario l’individuazione dei materiali più idonei a esaltare le forme e gli stili.

Il binomio innovazione/tradizione è ben rappresentato anche dal mix merceo-logico del migliaio di articoli suddivisi in tre grandi linee di prodotti: “rigidi”, “mor-bidi” e in pelle. La produzione avviene per la metà nello stabilimento padovano

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 321

(prevalentemente gli articoli “rigidi”), mentre l’altra metà è realizzata all’estero, presso laboratori specializzati nella realizzazione di pelletteria e valigeria morbida. I prodotti rigidi, tutti realizzati con il polipropilene iniettato, sono quelli più “tec-nologici” dell’azienda, e spaziano dalle valigie di varie dimensione, dotate di rotelle che ne agevolano il trasporto, ai trolley, ai beauty case, alle valigette “24 ore”, resi gradevoli nelle loro linee moderne da un raffinato uso del colore. Gli articoli mor-bidi (ancora valigie e trolley, ma anche borse, borsoni, cartelle portadocumenti, porta notebook, zainetti, sacche per lo sport ecc.) sono caratterizzati invece da linee e colori più convenzionali. La pelle è invece usata, con rifiniture classiche e ricer-cate, per realizzare cartelle multitasca, portafogli, portamonete, cinture. Al tutto si è andata nel tempo affiancando la produzione e/o commercializzazione dei più disparati accessori per il viaggio.

Questo vasta gamma merceologica consente a Valigeria Roncato di presidiare tutti i canali distributivi. Al dettaglio essa opera attraverso negozi specializzati di valigeria e pelletteria e, con una offerta specifica, anche presso gli specialisti del settore ufficio e cartoleria. Nella Grande Distribuzione l’azienda è invece presente con una linea di prodotti rigidi e morbidi (Totomoto) caratterizzati da un particolare rapporto qualità/prezzo.

Con 96 dipendenti diretti, e con un fatturato 2004 di 36,1 mln di €, si è pro-gressivamente ben insediata nei mercati esteri. Essa oggi esporta in una cinquan-tina di paesi quasi il 50% della sua produzione, e in Europa dispone di due filiali commerciali (in Spagna e in Polonia) per meglio sostenere la sua penetrazione in tali mercati emergenti. Non dimenticando tuttavia il consolidamento del mercato domestico, per il quale – al fine di rafforzare l’immagine del marchio – l’azienda di Campodarsego ha recentemente optato per una strategia di negozi (o corner) Roncato nelle principali città italiane, mirata a fidelizzare la clientela finale. Industrializzazione di un prodotto antico, e nuove frontiere di commercializzazio-ne, sono in definitiva le due chiavi di lettura di questo successo imprenditoriale.

Uno degli stabilimenti di Valigeria Roncato S.p.A.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA322

Sàfilo S.p.A.Padovaazienda attiva nella fabbricazione di occhiali da vista, da sole e sportivi, con particolare

attenzione al settore moda

La Sàfilo, il cui acronimo sta per Società Azionaria Fabbrica Italiana Lavorazione Occhiali, venne costituita il 17 marzo 1934 a Belluno, dopo che Guglielmo Tabacchi – il fondatore – aveva rilevato a Pieve di Cadore un complesso produttivo di occhiali e di lenti da vista e da sole da poco fallito.

Tale impianto costituiva, operando dalla fine degli anni Settanta dell’Ottocento secolo scorso, la più antica fabbrica italiana in tale settore. Si trattava della ditta Ulisse Cargnel & C., ultima trasformazione sociale del laboratorio avviato dal cado-rino Angelo Frescura nel 1878.

La storia di tale originaria attività si intreccia con la straordinaria espansione di questa tipologia di produzione manifatturiera, e in particolare del distretto del-l’occhialeria del cadorino, che – a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso – si impose come il principale sito produttivo a livello internazionale.

Furono sostanzialmente due i fattori che determinarono l’esplosione di un pro-dotto tipicamente legato alla correzione ottica della vista: da un lato il diffondersi dell’uso di occhiali a lenti più o meno scure per la protezione degli occhi dal sole nelle attività del tempo libero, e dall’altro il fattore moda. Ciò portò a una rapida evoluzione delle montature, non più destinate a durare fino alla loro rottura, bensì a seguire l’evoluzione del costume nonché della tecnica e della tecnologia.

Si verificò così che un prodotto a sostanziale domanda anelastica, perché legata a difetti congeniti della vista o al suo indebolimento conseguente all’invecchia-mento delle persone, divenne un bene di consumo sensibile al mutare del gusto, e quindi soggetto a rapida sostituzione.

La Sàfilo fu tra le prime a cogliere questa mutazione del consumo, e ad adeguar-visi proponendo collezioni sempre più innovative. Lo testimonia la costituzione di filiali di commercializzazione, in parte destinate a seguire i mercati stranieri.

Negli anni Sessanta la crescente domanda, interna come internazionale, spinse l’azienda a realizzare un nuovo insediamento produttivo a S. Maria di Sala, nel veneziano. Tale delocalizzazione rispetto al polo cadorino rispose a due esigenze convergenti: da un lato essa ovviava ai problemi logistici che la movimentazione delle materie prime e del prodotto finito poneva a stabilimenti situati in un’area montana, dall’altro consentiva all’azienda di usufruire degli incentivi nazionali (ma soprattutto locali) resi possibili dalla legge 29 luglio 1957, n. 635, in materia di aree depresse e dalle sue successive modificazioni.

Dopo un primo trasferimento della sede operativa a S. Maria di Sala (1969), nel 1977 essa venne stabilita a Padova dove fu subito integrata da un razionale magaz-zino per l’accentramento e lo smistamento del prodotto finito.

Il mercato di smercio superava ormai abbondantemente i confini nazionali, e da tempo si era indirizzato ai paesi dove più sensibile era stato il mutamento del consumo prima ricordato. La rapida crescita dell’export aveva posto all’azienda

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 323

il problema di reperire per i vari mercati affidabili distributori esclusivi, come fu – nel 1962 – il caso della statunitense Starline Optical Corp., Delaware. Tale stra-tegia distributiva mutò parzialmente proprio con il 1977, quando l’azienda – per meglio presidiare i mercati in cui si era estesa – cominciò a creare proprie società commerciali in vari paesi europei.

La ricerca di economie di scala portò nel 1980 l’azienda ad acquisire la Friulplastica S.r.l. di Udine, in grado di garantire – in una logica di verticalizzazio-ne produttiva – buona parte del fabbisogno di minuterie metalliche e plastiche e di componenti per occhiali, precedentemente soddisfatto da produttori di paesi a valuta forte, Svizzera e Germania prevalentemente.

L’opportunità di rafforzare la propria presenza nel paese in cui la domanda pre-sentava in quel momento maggiori ritmi di crescita, gli Stati Uniti, spinse nel 1983 la Sàfilo ad acquisire il 50% (quota in seguito salita a circa l’89%) della Starline Optical Corp., alla quale dal 1973 era stata concessa la produzione su licenza di una vasta tipologia di modelli.

Alla produzione classica è stata nel tempo affiancata quella realizzata con il con-corso di stilisti noti nel campo dell’abbigliamento, e quindi utilizzando le griffes da questi concesse in licenza. Che sono Smith, Carrera, Blue Bay, Oxydo, Gucci, Polo Ralph Lauren, Christian Dior, Diesel, Valentino, Oliver, Max Mara, Pierre Cardin, Burberry, Yves Saint Laurent, Bottega Veneta, Stella McCarteney, Boucheron, Alexander McQueen, mentre per il mercato americano hanno assunto crescente importanza Fossil, Nine West, Kate Spade, Saks Fifth Avenue, Liz Claiborne, J.Lo by Jennifer Lopez.

Quotata in borsa nel 1987, oggi la Sàfilo S.p.A. appare una multinazionale in

La sede in Zona Industriale di Padova.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA324

grado di controllare quote crescenti nel settore di competenza, e testimonia della vitalità di una tipologia produttiva apparentemente marginale nella variegata com-posizione della manifattura regionale.

L’assorbimento dell’austriaca Carrera Optyl, con i suoi stabilimenti di Traun (Austria) e Ormoz (Slovenia) consentì all’azienda cadorina-padovana di comple-tare la gamma produttiva nel segmento dell’occhialeria sportiva (soprattutto da sci), nonché di arricchire il know-how tecnologico nella produzione di montature di plastica di alta qualità. Sempre nel comparto degli occhiali sportivi e da sci, va inol-tre menzionata la successiva acquisizione dell’americana Smith Sport Optics Inc., leader negli Stati Uniti con il 50% di quota di mercato, che consentì di rafforzare la posizione della Sàfilo in quel paese, dove essa realizza il 48% delle proprie vendite.

Attualmente il gruppo, guidato da Vittorio Tabacchi, e con una crescente re-sponsabilità aziendale dei suoi due figli, Massimiliano e Samantha Tabacchi (la terza generazione imprenditoriale), occupa nelle varie società italiane e estere oltre 6.500 persone.

Con un fatturato consolidato 2004 di poco più 939 mld di €, per un 15% rea-lizzato in Italia e per il resto sul mercato globale, Sàfilo opera attraverso propri sta-bilimenti produttivi, cinque dei quali localizzati nel Nord Italia, ed è presente con la propria rete distributiva in oltre 120 paesi. Nel settore sportivo è presente con delle collezioni dedicate – Carrera e Smith – e per alcune discipline ha sviluppato accordi e contratti di sponsorizzazione con atleti e squadre di grande notorietà. Una forma di pubblicità indiretta, comunque utile al sostegno del marchio.

L’operazione di as-semblaggio (catena elasta).

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 325

SAIACE S.p.A.Monseliceazienda attiva nel comparto alimentare e in particolare nelle confetture

Tra i primi quattro produttori nazionali di confetture, SAIACE S.p.A. rappre-senta (con un fatturato 2004 di circa 20 mln di €, una quota del 17% di mercato italiano e un organico di 50 addetti cui si aggiungono ogni anno 250 “stagionali”) un caso interessante di acquisizione straniera nel territorio provinciale.

Nata nel 1941 per produrre cotognata in porzioni monodose per l’esercito, la Società Azionaria Industrie Alimentari Colli Euganei (questo il significato del-l’acronimo sociale) proseguì la produzione di confetture anche successivamente alle commesse militare, presto affermandosi come produttore di qualità con il marchio “Colli Euganei”, il territorio dal quale proveniva la frutta necessaria alla sua produzione. Nel mercato civile essa non riuscì, tuttavia, se non episodicamente a uscire dal suo irradiamento regionale, anche perché la sua natura di azienda mo-noprodotto non le consentiva di competere efficacemente con imprese che pote-vano contare su un mix produttivo più articolato, in grado quindi di garantire non solo maggiori ricavi ma anche una positiva e costante visibilità del marchio. Tanto che SAIACE patì nella sua lunga storia ripetute crisi, peraltro sempre superate in virtù della qualità del prodotto e della risposta del bacino di riferimento commer-ciale. Nel 1990, in una delle turbolenze che investirono l’azienda, anche dal punto

Alcuni prodotti della SAIACE a marchio “Colli Euganei”.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA326

di vista dell’assetto proprietario, essa passò di mano essendo rilevata dal gruppo francese Andros, una delle realtà industriali europee più importanti nel mondo della trasformazione della frutta.

L’approccio manageriale avviato dalla casa madre favorì un rapido recupero di mercato, supportato dal fatto che la strategia espansiva d’oltralpe aveva affidato all’azienda monselicense il ruolo di filiale italiana del gruppo, e quindi di distribu-tore per l’Italia di tutti i prodotti del gruppo, tra i quali spiccava il marchio “Bonne Maman”, confettura leader a livello mondiale, e il marchio “Andros”, sinonimo di produzione di prodotti freschi a base di frutta. Ciò consentì a SAIACE di stabil-mente superare la dimensione regionale, e di ricavare interessanti segmenti del mercato nazionale in un positivo rapporto con la grande distribuzione organizzata, che – interessata ai marchi francesi – finì per veicolare anche le confetture dei Colli Euganei. Dapprima per l’abilità commerciale della nuova gestione aziendale nel promuovere congiuntamente prodotto domestico e prodotti Andros, e poi per il positivo riscontro che le confetture di Monselice incontrarono presso i consu-matori. Ciò fu alla base degli esiti in termini di quota di mercato nazionale dianzi ricordata.

Oggi SAIACE dispone in Monselice di uno stabilimento di 50.000 mq, di cui il 60% coperti, dove trasforma circa 12 mila tonnellate di frutta all’anno sia nella versione di confettura che in quella di frutta sciroppata. Dalla produzione tradizio-nale, l’azienda è andata via via interessandosi all’utilizzo di frutta da coltivazione biologica, con il comparto Bio – ovviamente quello di maggior ricavo percentuale – attestato sul 6% della produzione complessiva.

L’attività aziendale è ora equamente ripartita tra produzione diretta (confet-ture, mostarda, frutta sciroppata commercializzate sia con l’ormai storico mar-chio “Colli Euganei”, sia con i marchi delle più importanti catene della grande distribuzione) e distribuzione dei prodotti della controllante (confetture, biscotti e dessert alla crema della linea “Bonne Maman”, e spremute e dessert di frutta della linea “Andros”). L’impegno di filiale distributrice ha peraltro implicato un raf-forzamento della struttura commerciale dell’azienda monselicense, storicamente debole nel rapporto con i mercati vasti. Il rapporto con la casa francese ha peraltro comportato anche una crescente distribuzione della produzione monselicense nei mercati in cui Andros è insediata (quasi il 29% nel 2003); una scelta, questa, del-l’Amministratore delegato e direttore generale Stefano Giubertoni, mirata da un lato a consolidare la presenza del marchio “Bonne Maman” sul mercato italiano, e dall’altro a efficacemente integrare la produzione di Monselice nelle linee distribu-tive internazionali della casa francese. Il che sta modificando la natura di SAIACE, in una trasformazione di ruolo da storico competitor regionale, e nazionale oggi, a potenziale player del settore in Europa.

APPENDICE - I CASI AZIENDALI 327

SIT La Precisa S.p.A.Padova

azienda attiva nello sviluppo, produzione e commercializzazione di sistemi di controllo della combustione degli apparecchi a gas

Tra i leader mondiali nei sistemi di controllo della combustione del gas, SIT La Precisa S.p.A. origina dalla S.I.T. (Società Italiana Tecnomeccanica), costituita nel 1953 dai fratelli Pierluigi e Giancarlo de’ Stefani, è oggi parte di SIT Group. La sua ragione sociale deriva dalla incorporazione in essa de La Precisa, una delle imprese storiche della metalmeccanica padovana.

La S.I.T. fu subito vocata allo studio dei problemi legati alla combustione del metano, e alla produzione di apparecchiature di controllo e di sicurezza per la stes-sa. Il metano era allora in Italia una fonte di energia in rapida espansione grazie ai giacimenti dell’ENI nella valle del Po, e alla crescente attività distributiva della SNAM da questa controllata. L’azienda padovana, pur giovanissima ma dotata di solide competenze nel ramo, entrò presto a collaborare con il CIG-Comitato Ita-liano Gas, organismo dedicato allo studio dei problemi scientifici e tecnici relativi all’efficienza degli apparecchi a gas e alla elaborazione delle relative specifiche di sicurezza. Una esperienza che si consolidò, stante anche l’attività che la S.I.T. andava svolgendo nel medesimo settore in Australia, in Olanda, in Francia e in In-

SIT La Precisa, esterni.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DIFFUSA328

ghilterra, e poi in Iran e in Corea dove l’industria degli apparecchi a gas muoveva i primi passi. Come dire che, nella provincia euganea, fu una delle anticipatrici di quell’apertura all’estero che costituisce ormai un tratto saliente dell’attuale strut-tura produttiva del territorio.

Oggi SIT La Precisa S.p.A. (386 dipendenti al 2001, e classificata per il 2003 dalla Camera di Commercio nella fascia di fatturato dai 100 ai 150 mln di €.) si posiziona tra i leader mondiali nello sviluppo, produzione e commercializzazione di sistemi di controllo della combustione per apparecchi a gas destinati ad abita-zioni, comunità e automobili, e produce annualmente più di 8 milioni di pezzi tra controlli meccanici ed elettronici, oltre a sensori e bruciatori per il riscaldamento domestico e impianti per l’alimentazione a gas di autoveicoli.

I sistemi di sicurezza, controllo e regolazione SIT equipaggiano una vasta gamma di applicazioni: caldaie murali e a terra, generatori d’aria calda, radiatori, stufe, caminetti, asciugatrici, scaldabagni istantanei e ad accumulo, impianti di cottura sia per la grande ristorazione che domestici, riscaldatori per piscine e da esterno, impianti di riscaldamento per camper, nonché autovetture alimentate a GPL/metano.

I clienti SIT sono i principali costruttori mondiali di questi apparecchi. Tra i principali conviene ricordare per il riscaldamento Baxi, Biasi, Bosch-Buderus, B/S/H/, Carrier, De Dietrich, De Longhi, Electrolux, Fagor, Hotpoint, Immergas, Miele, MTS, Riello, Vaillant, Viessman, Wolf, mentre per l’autotrazione i nomi di

La fase del controllo qualità.

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riferimento sono Citroën, Fiat, Ford, Kia, Volkswagen.L’attività di SIT è efficacemente integrata dal complesso di imprese controllate

da SIT Group, il quale rappresenta un esempio significativo, e raro, di una impresa che – pur a controllo familiare – ha saputo dotarsi di un assetto manageriale, con le responsabilità gestionali a esso connesse. Il gruppo (fatturato 2004 di 204,3 mln di €, di cui poco meno di un terzo in Italia e il resto equamente ripartito tra Europa e resto del mondo) dispone di un ramificato insediamento internazionale, grazie al quale ha una posizione di leadership sia su singole tipologie di prodotto (ad esempio nei controlli per caldaie e stufe termostatiche, così come nel mercato degli ODS, i piloti analizzatori di atmosfera, e nei dispositivi di sicurezza per il controllo del-l’ossigeno) sia su prodotti rapportati a specifiche aree geografiche (si veda il caso dell’Australia, dove da anni SIT equipaggia con i suoi sistemi di controllo l’80% degli scaldabagni ad accumulo).

Metà dei 1.574 addetti del gruppo è occupata nelle succursali distribuite in 21 paesi (Europa, Americhe, Asia e Australia), la gran parte nei siti produttivi situati in Olanda, Gran Bretagna, Messico, Argentina e Cina..

Con 110 brevetti internazionali, SIT Group rappresenta una delle più signifi-cative realtà tecnologiche della provincia euganea, ed è ora proiettato con i suoi centri di ricerca sulle frontiere dell’idrogeno come fonte di energia.

Per completezza, è utile in questa seda ricordare che SIT Group è a sua volta controllato da Findesit Technologies (bilancio consolidato 2004 di oltre 220 mln di €, realizzato con circa 1.600 addetti complessivi) che comprende anche la prima impresa costituita nel 1949 dai de’ Stefani, la Viterie Venete S.p.A., attiva ancor oggi nella distribuzione di viterie, bullonerie e fasteners.

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Velo (Cav. Nico) & F.lli S.p.A.Fontanivaazienda operante nell’edilizia prefabbricata

La vicenda di questa azienda si dipana a partire dal 1943, in piena emergenza di guerra, quando Nico Velo, allora diciassettenne, iniziò a Fontaniva con i fratelli Emilio e Nazzareno a costruire piccoli manufatti, tra i quali singolari cucine econo-miche in cemento, deriva inevitabile della penuria di ferro del momento. L’attività si svolgeva utilizzando – quasi anticipando quello che sarà usuale nell’avvio di tante piccole imprese nel dopoguerra – locali di fortuna, in questo caso una vecchia stalla e il portico.

La crescita della Cav. Nico Velo e F.lli S.p.A., questa la denominazione attuale dell’impresa, fu in gran parte favorita dall’intuizione che il comparto della pro-duzione di elementi prefabbricati per l’edilizia, ancora poco sviluppato in Italia, aveva grandi opportunità di espansione grazie alla forte domanda di costruzioni innescata dalla ricostruzione postbellica. I prefabbricati velocizzavano il ciclo del-

Stabilimenti dell Nico Velo & F.lli S.p.A. a Fontaniva.

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l’edilizia, e le potenzialità di standardizzazione dei manufatti rendevano la nicchia di mercato scelta dai fratelli Velo particolarmente profittevole.

La produzione industrializzata, questa volta esercitata in un’area di 8.000 mq, fu all’inizio indirizzata a componenti relativamente semplici, adatte ad alimentare il mercato delle case di abitazione dell’Alta padovana: solai in latero-cemento, scale e davanzali in graniglia di marmo.

Dalle competenze acquisite nell’utilizzo di cemento e graniglia emersero presto diversificazioni di prodotto: fu il caso della produzione di cisterne, cilindriche e quadrangolari, che trovarono largo uso sia per lo stoccaggio del vino o di altri liqui-di (ad esempio come serbatoi d’acqua), sia come serbatoi per la nafta, il carburante principe di quegli anni per gli impianti di riscaldamento che andavano diffonden-

Passerella pedonale ad arco a Ponte S. Nicolò, sul Roncajette.

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dosi. E proprio dalla collaborazione con uno dei più importati produttori di tali im-pianti, Pilade Riello, nacque uno speciale serbatoio con pozzetto incorporato, poi brevettato. Questa tipologia produttiva, che poi cominciò a essere utilizzata anche nella depurazione delle acque, divenne per un certo periodo prevalente alla Velo. Semplice da realizzare, essa trovava largo smercio non solo nel padovano ma presto in vaste parti d’Italia, e costituì in sostanza l’abbrivio della espansione aziendale. Anche se oggi essa è marginale nel mix produttivo, la produzione di cisterne e ser-batoi continua a essere realizzata, trovando sbocco non solo sul mercato interno, ma anche all’estero, particolarmente in Francia.

Un’altra diversificazione emerse nella seconda metà degli anni Sessanta, con la produzione di bungalow prefabbricati, collocati a migliaia nei villaggi turistici che andavano crescendo in Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Romagna. A questa si aggiunsero nuove tipologie di prefabbricazione leggera, come le recinzioni per le Ferrovie dello Stato o le garitte per l’Esercito.

Le innovazioni tecnologiche nel campo della precompressione del cemento armato rappresentarono, tra la fine degli anni Sessanta e l’avvio della nuova deca-de, un salto di qualità per l’azienda, determinandone in pratica la specializzazione naturale. Oggi la Nico Velo produce grandi manufatti precompressi, dai pilastri alle travi, dai pannelli di tamponamento ai solai autoportanti, dalle più diverse coperture per impianti industriali alle passerelle ciclopedonali. Di queste, una è stata realizzata anche nel padovano, per il superamento del Roncajette a Ponte S. Nicolò.

Grazie a queste famiglie di prodotti, l’azienda di Fontaniva (fatturato di 21 mln di € nel 2004, e 126 addetti operanti in 4 siti produttivi) ha presto conseguito un buon insediamento commerciale sia in Italia che in svariati paesi esteri, e il suo gra-duale spostamento da tipologie elementari a tipologie complesse e ingegnerizzate rispecchia una generale tendenza dell’evoluzione dell’industria padovana negli ultimi decenni.