Appunti di economia del lavoro

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  • 7/30/2019 Appunti di economia del lavoro

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    Emiliano Brancaccio

    APPUNTI DIECONOMIA DEL LAVORO

    QUINTA VERSIONE

    Febbraio 2012

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    Indice

    1. INTRODUZIONE2. IMPERFEZIONI, ASIMMETRIE E ISTERESI

    SUL MERCATO DEL LAVORO

    3. MATERIALI DI DISCUSSIONE

    N.B. Alcune parti di questi appunti rappresentano elaborazioni di studenti tratti

    da sbobinamenti di lezioni. E possibile dunque che esse contengano errori e

    imprecisioni.

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    I

    INTRODUZIONE

    1.1Leconomia del lavoroLa branca della economia politica definita economia del lavoro si soffermaprincipalmente sui seguenti due interrogativi: nelle attuali economie capitalistiche,

    cosa determina il livello di occupazione dei lavoratori, e quindi anche il livello delreddito prodotto? e cosa determina il livello dei salari dei lavoratori, e pi ingenerale la distribuzione del reddito prodotto?

    Si tratta evidentemente di due questioni di estremo rilievo, che investono anchetemi di natura non strettamente economica. La disoccupazione e i bassi salaripossono infatti rappresentare non soltanto dei sintomi di inefficienza del sistemaeconomico, ma anche e soprattutto delle cause di profondo disagio sociale. Nonsuscita meraviglia, del resto, che alla disoccupazione di massa sia in generecorrelata la diffusione di varie fenomenologie attinenti ai processi diemarginazione sociale e al deterioramento delle condizioni di salute psico-fisica.

    Come vedremo, al pari di tutte le altre branche delleconomia politica ancheleconomia del lavoro viene affrontata in modi estremamente diversi dalle variescuole di pensiero economico.

    Vi in primo luogo la visione neoclassica. Tra gli esponenti contemporanei diquesto filone c Edward Prescott, vincitore del Nobel 2004 per lEconomia,teorico di punta del cosiddetto equilibrio continuo del mercato e antagonistairriducibile del pensiero keynesiano. C poi la posizione detta del mainstream,ossia del filone di pensiero attualmente dominante. Tra gli esponenti di punta

    dello stesso vi Olivier Blanchard. Lattuale mainstream rappresenta unosviluppo della cosiddetta sintesi neoclassica, vale a dire di quella corrente diricerca che ha tentato di inglobare alcune intuizioni di Keynes nelle tipichestrutture analitiche neoclassiche.

    Al di l tuttavia delle differenze, tutti gli esponenti che si ricollegano pi o menodirettamente alla tradizione neoclassica sembrano accomunati dalla idea che ilmercato del lavoro rappresenti un punto di osservazione privilegiato dal quale possibile trarre una analisi generale del funzionamento di tutto il sistemaeconomico. Come vedremo, sotto questo aspetto Prescott e Blanchard sisomigliano. Esaminando il solo mercato del lavoro, infatti, essi riescono a

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    rispondere sia alla domanda relativa ai livelli di occupazione, sia alla domandainerente ai salari. Essi in tal senso ritengono che dal mercato del lavoro si deriviun equilibrio frutto delle scelte effettuate dai lavoratori e dalle imprese; scelte che

    vengono considerate il frutto di decisioni razionali e quindi ottime, dato ilvincolo delle risorse disponibili e delle istituzioni esistenti. Per questo motivo,tutti i neoclassici in genere attribuiscono lappellativo di equilibrio naturaleallequilibrio sul mercato del lavoro e su tutti gli altri mercati.

    Diversa, come vedremo, la posizione degli esponenti delle scuole di pensierocritico. Gli economisti critici negano di fatto lesistenza del cosiddetto equilibrionaturale. Essi ritengono che in economia non vi sia nulla di ottimale o dinaturale, poich ogni fenomeno il prodotto di una lotta, di uno scontro tragruppi aventi interessi contrastanti tra loro. Ed ancora, gli economisti critici nonritengono che il mercato del lavoro fornisca un punto di osservazione ideale per

    analizzare il sistema economico. Anzi, essi ritengono che una eccessiva attenzionerivolta al mercato del lavoro possa condurre a interpretazioni parziali e fuorviantidella realt. Per esempio, se si pretende di determinare il livello di occupazionepartendo dal mercato del lavoro, si rischia di non tener conto del fatto cheloccupazione dipende molto dallesistenza o meno di una domanda di mercisufficiente ad assorbire la produzione.

    1.2 Il programma di studio

    Questi appunti vanno affiancati ai volumi Anti-Blanchard e La crisi delpensiero unico, e a vario altro materiale contenuto nel sitowww.emilianobrancaccio.it, che durante il corso verr ripreso e commentato pivolte.

    Il secondo capitolo dedicato ad alcune varianti aggiornate dellanalisineoclassica del mercato del lavoro, come i modelli di Lidbeck e Snower e imodelli di Shapiro e Stiglitz. Questi modelli cercano di affrontare alcune questionirecenti, come il rapporto tra lavoratori insiders e outsiders sul mercato del lavoro,lesistenza di asimmetrie di informazione tra imprese e lavoratori e i fenomeni di

    isteresi della disoccupazione. Il terzo capitolo dedicato ad alcuni dibattiti recentiin tema di mercato del lavoro.

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    W/P

    u

    )1(

    A

    P

    W

    un un

    II

    IMPERFEZIONI, ASIMMETRIE E ISTERESISUL MERCATO DEL LAVORO

    Uno degli aspetti su cui gli economisti neoclassici si sono soffermati negli ultimianni il tasso di disoccupazione naturale. Essi sono giunti alla conclusione che unnon significa necessariamente piena occupazione, ovvero non detto che incorrispondenza di un tutti quelli che vorrebbero lavorare a W/P = A/(1+) trovinoeffettivamente un impiego.

    I disoccupati involontaridovrebbero spingere in direzionedi una riduzione delle richiestesalariali, il che dovrebbepermettere di ridurre un fino adun: sindacati e lavoratoridovrebbero appoggiare unamoderazione salariale.

    Gli economisti neoclassici definiscono questo meccanismo Underbidding(concorrenza al ribasso dei salari operato dai disoccupati). Tra questi i pimoderati, cio non ultra-liberisti1, come Blanchard ammettono chelUnderbidding non funziona e quindi un rimane a livelli alti, corrispondenti adisoccupazione non solo volontaria ma anche involontaria. Questi economistiammettono dunque lesistenza di una certa disoccupazione involontaria incorrispondenza dellequilibrio naturale, il che a ben vedere rappresenta una

    novit.Essi tuttavia offrono una spiegazione decisamente diversa rispetto a keynesiani,sraffiani e marxisti e sostanzialmente coerente con il modello dominante. Laspiegazione tipica che gli economisti neoclassici danno dellinefficaciadellUnderbidding questa: esistono imperfezioni e asimmetrie di mercato cherendono impossibile o inutile la riduzione dei salari in presenza di disoccupazione.Infatti, possibile dimostrare che anche se i disoccupati si offrono a livelli disalario pi bassi, sono le imprese che preferiscono evitare di accettare la proposta

    1 Kydland, Prescott

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    di ridurre i salari; detta cos la cosa potrebbe sembrare paradossale, ma vienegiustificata in vari modi (noi ne osserveremo di seguito due).

    1. MODELLO INSIDERS-OUTSIDERS DI LINDBECK E SNOWER (1986)

    Lidea di fondo che il mercato del lavoro si divide essenzialmente in duecategorie di soggetti: gli insiders (sindacalizzati e qualificati) e gli outsiders (nonsindacalizzati, poco qualificati e spesso disoccupati di lunga durata). SecondoLindbeck e Snower gli outsiders, sebbene disoccupati, non sono in grado di farsiassumere dalle imprese anche offrendosi a salari inferiori rispetto a quelli degli

    insiders. La ragione che nonostante le richieste degli insiders siano maggiori, leimprese non trovano conveniente sostituirli a causa di:- alti costi di licenziamento (F) costi previsti per legge (diritti di indennit),

    costo relativo al fatto che spesso licenziando un insider gli altri insiderscominciano a boicottare limpresa;

    - alti costi di inserimento degli outsiders (H) trattandosi di soggetti nonqualificati sono necessari corsi di formazione e via dicendo.

    A causa di questi due aspetti, ed assumendo che Wo sia il salario richiesto daglioutsiders, chiaro che gli insiders potranno tranquillamente chiedere un salariopari a Wi = Wo + F + H senza il rischio di essere licenziati. Pertanto se Wo = PF(u, z), Wi = P F(u, z, Wo+F+H), da cui:

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    W/P

    uun

    Insiders

    Outsiders

    La differenza tra le due curve data

    proprio da (H+F), il che genera un tassodi disoccupazione pari ad un e di fronteal quale gli outsiders non possono farnulla.

    Lunico rimedio per questo tipo di situazione consiste nel ridurre H ed F, ad

    esempio Lindbeck e Snower sono stati fautori delleliminazione dei costi dilicenziamento (vedi dibattito sullArticolo 18).

    1. MODELLO DEI SALARI DI EFFICIENZADI SHAPIRO E STIGLITZ: La disoccupazionecome meccanismo per disciplinare i lavoratori (1984)

    Anche questo modello stabilisce che sebbene i disoccupati si offrano a salari pibassi rispetto agli occupati, alle imprese non conviene sostituire gli uni con glialtri poich si ritiene che esiste una relazione tra livello del salario e livellodellimpegno lavorativo:

    se W, limpegno lavorativo.

    Lidea di fondo cio che solo se W abbastanza alto da soddisfare e gratificare ilavoratori questi ultimi si impegnano invece che imboscarsi. Limpostazione ditipo essenzialmente matematico:

    V = utilit dei lavoratori;W = salario (assumendo P=1 abbiamo che W rappresenta i salari reali);e = sforzo lavorativo;

    Supponiamo che e possa essere pari a 0 o 1. Per e = 1 il lavoratore siimpegna e conserva sempre il posto di lavoro; per e = 0 il lavoratore siimbosca e quindi rischia di essere scoperto e licenziato.

    q = probabilit del lavoratore di essere scoperto;W= sussidio per i disoccupati;

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    a = probabilit per i disoccupati di trovare un nuovo impiego (ovviamente adipende dal tasso di disoccupazione);Vu = utilit del lavoratore disoccupato;

    Ve = utilit del lavoratore occupato;seV = utilit di chi si imbosca;n

    eV = utilit di chi si impegna.

    In primo luogo abbiamo lutilit dei lavoratori che si imboscano:

    1. eVVqWVu

    s

    e

    s

    e )(

    dove )(u

    s

    eVV la perdita di utilit che si subisce se si viene scoperti ed e = 0

    perch il lavoratore che si imbosca non compie alcuno sforzo. Dunque possiamoscrivere:

    q

    qVWV

    qVWqVV

    qVqVWV

    us

    e

    u

    s

    e

    s

    e

    u

    s

    e

    s

    e

    1

    .

    Passiamo ora al calcolo della utilit di chi non si imbosca, che data dal salariomeno lo sforzo:

    eWVne

    I lavoratori si impegnano solo se sen

    e VV , per cui:

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    *1

    11

    11

    11

    11

    111

    Weq

    qVW

    eVq

    qW

    q

    q

    eVq

    qW

    q

    eVq

    q

    q

    WW

    eVq

    q

    q

    WW

    q

    qVWeW

    u

    u

    u

    u

    u

    u

    questultimo il salario minimo al di sotto del quale limpresa non pu maiscendere se vuole che i lavoratori si impegnino. Anche in questo caso le impresesono vincolate, ragion per cui lunderbidding non funziona.

    Dopo aver osservato il caso della singola impresa determiniamo lequilibrio delmercato: si ha equilibrio quando le imprese offrono un livello di W tale da esserecerte che n

    eeVV , cio che i lavoratori non si imboschino. Resta allora da

    determinare uV per ottenere un valore certo di W*.

    )(ueu

    VVaWV

    ma poich in equilibrio nee

    VV e eWVne

    abbiamo

    a

    eWaWVeWaWVa

    aVeWaWVVeWaWV

    uu

    uuuu

    1

    )()()1(

    )()(

    da cui:

    *1

    ...

    1

    1

    )(

    Weq

    aqWW

    eq

    q

    a

    eWaWW

    Questo il salario di equilibrio del mercato. Le imprese non scendono mai sottotale livello per evitare che i lavoratori non si impegnino.

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    Ovviamente quale che sia la pressione dei disoccupati per ridurre i salari ed essereassunti le imprese non potranno accettare le loro proposte.

    Si noti inoltre che se la disoccupazione si riduce, la probabilit a di trovare unnuovo lavoro aumenta, e quindi aumenta il salario W* necessario a garantirelimpegno dei lavoratori. La equazione W* assume dunque un ruolo analogo alruolo ricoperto dalla curva del salario richiesto dai lavoratori nel modello diBlanchard. Anche la curva W* risulta infatti decrescente rispetto al tasso didisoccupazione.

    Come fare allora per fare abbassare la curva W* in modo da ridurre ladisoccupaizone? Come fare cio per far funzionare lunderbidding? La soluzione ridurre i sussidi di disoccupazione, oppure aumentare il monitoraggio. Infatti, seil sussidio di disoccupazione si riduce, o se aumenta la probabilit q di esserscoperti, la curva W* trasla in basso, e quindi la disoccupazione di equilibrioaumenta. Ci rende evidenti ancora una volta le differenze tra le impostazioniappena analizzate e quelle keynesiane, sraffiane e marxiste.

    2. ISTERESI E MODELLO INSIDERS OUTSIDERSIl modello insiders-outsiders stato talvolta impiegato quale spiegazione teoricadel fenomeno della isteresi del tasso di disoccupazione. Lespressione isteresiindica quelle circostanze in cui il valore assunto da una variabile dipende daivalori assunti in passato. Ad esempio si parla di isteresi quando, a seguito di unacrisi o di una politica restrittiva, il tasso di disoccupazione improvvisamente

    un u

    W*

    A/(1 + )

    W/P

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    aumenta e poi torna molto lentamente verso il suo livello naturale, o addiritturanon vi torna pi.

    Numerosi sono i modelli di stampo neoclassico che cercano di spiegare ilfenomeno della isteresi. Il pi celebre forse il modello di Blanchard e Summers(1986), che si basa sulla ipotesi di una divisione del mercato del lavoro trainsiders e outsiders. Lidea di fondo del modello che dopo uno shock ladisoccupazione persiste poich i lavoratori fuoriusciti dal processo produttivodiventano rapidamente degli outsiders, cio risultano incapaci di modificare ilsalario reale chiesto dai lavoratori. Di conseguenza, nonostante la maggiordisoccupazione non si attiva un processo di riduzione dei salari e dei prezzi, equindi non si verifica una ripresa della domanda e della produzione.

    Esaminiamo in dettaglio il modello di isteresi. Al solo scopo di semplificare

    lanalisi, assumiamo che la produttivit del lavoro A = 1 e che il markup = 0.Supponiamo inoltre che la domanda aggregata e la produzione Y dipendano solodalla quantit reale di moneta (tralasciamo quindi la spesa pubblica, le tasse, ecc.).Rispetto al modello standard di Blanchard del capitolo 3, ci ritroviamo quindi condelle equazioni pi elementari:

    PMY

    WP

    NY

    /

    Sempre al fine di semplificare lanalisi, esprimiamo tali equazioni in terminilogaritmici. Lo scopo di tramutare i rapporti in differenze. Si ricordi infatti che illogaritmo naturale di un rapporto pari alla differenza dei logaritmi. Ad esempio:ln (X/Y) = ln X ln Y. Ed esprimendo i logaritmi con le variabili minuscole siottiene: x y. Quindi scriviamo:

    pmy

    wp

    ny

    )3

    )2

    )1

    Lequilibrio sul mercato dei beni corrisponde ovviamente allequilibrio traproduzione e domanda. Eguagliamo quindi la (1) e la (3):

    wmn )4

    Lequazione descrive una relazione tipica del modello di Blanchard. Se i salarimonetari aumentano, allora i prezzi aumentano, la quantit reale di moneta siriduce, lofferta di titoli aumenta, il prezzo dei titoli si riduce, il tasso dinteresseaumenta, gli investimenti si riducono, e quindi la domanda, la produzione eloccupazione si riducono.

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    A questo punto occorre chiedersi. Come si determinano i salari? Possiamodescrivere, a questo proposito, due situazioni limite: una in cui i lavoratorioutsiders possono fare underbidding e quindi riescono a fissare un salario tale da

    garantire anche il loro impiego; e laltra in cui gli insiders hanno un potereassoluto sulla determinazione dei salari, e quindi stabiliranno solo il livellosalariale che garantisce la loro occupazione. Nel primo caso, il salario sar taleche loccupazione attesa sia pari al livello di piena occupazione n*:

    *nne

    Nel secondo caso invece il salario sar tale da garantire solo loccupazione deilavoratori insiders gi occupati nel precedente periodo, per cui:

    1 nne

    Ma perch i lavoratori fissano il salario in base alla occupazione attesa ne e nonalla occupazione effettiva n? Il motivo semplice. Loccupazione effettivadipende non solo dal salario ma anche dalla quantit di moneta (equazione 4). Nelmomento in cui fissano il salario, i lavoratori non possono conoscere con certezzala quantit di moneta decisa dalle autorit. Essi possono determinare il salario soloin base ad una aspettativa su m e quindi anche su n.

    Ovviamente i casi appena descritti sono estremi. Blanchard e Summers precisanoche gli outsiders non sono mai completamente in grado di fissare il salario, cos

    come gli insiders non hanno mai un potere assoluto su di esso. Pi probabileallora che si verifichi una situazione intermedia, per cui il salario contrattato dailavoratori sar tale da determinare una occupazione attesa neche dipender sia dalnumero degli insiders n-1 che dal numero atteso degli outsiders (n* - n

    e):

    )( *1ee nnnn

    Dove un indice della forza contrattuale degli insiders: pi basso , pi gliinsiders sono forti, meno contano gli outsiders nella determinazione del salario equindi anche delloccupazione attesa ne. Risolvendo per ne otteniamo:

    *1

    *1

    11

    1

    )1(

    nnn

    nnn

    e

    e

    Introduciamo ora il termine , corrispondente a =1/(1+), per cui si ha pure che

    (1-)=/(1+). Ovviamente rappresenta una quota, ed quindi sempre compresotra 0 e 1. Se gli insiders non hanno potere allora molto alto e quindi tende a

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    0. Viceversa, se gli insiders hanno molto potere allora tende a zero e quindi tende a 1. Possiamo dunque riscrivere lequazione della occupazione attesa neiseguenti termini:

    *1 )1()5 nnn

    e

    Si noti che se =0 gli insiders non hanno potere, e quindi gli outsiders riuscirannoa far scendere il salario a sufficienza per garantire una occupazione attesa pari alla

    piena occupazione. Se invece =1 gli insiders hanno un potere assoluto e quindi

    imporranno un salario tale da determinare soltanto il loro reimpiego, cio la stessaoccupazione del periodo precedente.

    A questo punto, sapendo che loccupazione attesa dai lavoratori dipende dallaquantit di moneta che i lavoratori si attendono meno il salario contrattato dailavoratori:

    wmn ee

    sostituendo la (5) nella (6) e risolvendo per w otteniamo il salario di equilibriogenerale:

    *1 )1()7 nnmw

    e

    A questo punto, andando a sostituire la (7) nella (4), possiamo determinareloccupazione effettiva n di equilibrio:

    )()1()8 *1emmnnn

    Lequazione chiarisce che lesistenza o meno di isteresi dipende dalla forza degliinsiders, e dalla loro capacit di impedire lunderbidding degli outsiders. Ingenerale, ovviamente, lo scontro tra insiders e outsiders dar dei risultati

    intermedi, in cui compreso tra zero e uno. Tuttavia i casi estremi aiutano achiarire gli aspetti salienti del modello. Se gli insiders non hanno alcun potereallora = 0. In tal caso:

    )(* emmnn

    Loccupazione effettiva si discosta dalla occupazione di pieno impiego a seguitodi mutamenti inattesi nelle decisioni di politica monetaria. Quando tuttavia loshock di politica monetaria sia stato assorbito, e la quantit di moneta attesa tornaa coincidere con la moneta effettiva, allora loccupazione torna istantaneamente allivello di pieno impiego. In questo caso non c nessuna isteresi.

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    Invece, se gli insiders hanno pieno potere e gli outsiders non riesconominimamente ad influire sul salario allora = 1 e quindi:

    )(1emmnn

    Listeresi in tal caso assoluta. Al di l di eventuali shock di politica monetaria,loccupazione dipende solo dalla sua storia passata. Lo stesso concetto diequilibrio, e in particolare di equilibrio naturale, in questa circostanza perdecompletamente di significato. Non c pi infatti un livello della occupazioneverso il quale il sistema economico tende naturalmente a tornare. E benetuttavia chiarire che in questo modello la scomparsa di un equilibrio naturale dovuta al fatto che il potere sindacale degli insiders impedisce il correttofunzionamento del mercato, cio impedisce che il salario si riduca quando cdisoccupazione. Il modello di Blanchard e Summers prescrive dunque che, perevitare listeresi, occorre ridimensionare il potere degli insiders in modo dapermettere agli outsiders disoccupati di esercitare una pressione al ribasso suisalari. Questo modello stato largamente adoperato per cercare di fornire unaspiegazione della persistente disoccupazione europea degli anni 80 e 90. Ilmodello suggeriva che la disoccupazione sarebbe rientrata, e che leconomiasarebbe tornata a convergere verso il pieno impiego, solo se la forza dei sindacatieuropei fosse stata ridimensionata.

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    III

    MATERIALI DI DISCUSSIONE

    DIBATTITO TRA BRANCACCIO, GIAVAZZI E

    ICHINO SULLA PRECARIETA DEL LAVORO

    Il dibattito si svilupp sulle colonne del quotidiano Liberazione, nei giorni 1, 4, 6,

    8 settembre 2007. I tre interventi di Emiliano Brancaccio sono riportati nel libro

    La crisi del pensiero unico (Franco Angeli, Milano 2010, 2 ed. con ristampa

    2012; rispettivamente alle pagine 74, 78 e 81). Qui di seguito sono riportati gli

    interventi di Pietro Ichino (4 settembre) e di Francesco Giavazzi (6 settembre).

    Liberazione, 4 settembre 2007

    A CHI GIOVA LA FLESSIBILITA?DUELLO SUI DATI

    Pietro Ichino

    Caro Direttore, rispondo allarticolo di Emiliano Brancaccio su precariet eoccupazione, pubblicato sabato da Liberazione Il prof invoca i dati? Bene,eccoli , e approfitto delloccasione per rispondere anche allultimo articolo diAlfonso Gianni sullo stesso tema: articoli importanti entrambi, anzitutto perchspostano il dibattito dalle bandiere e dai simboli (Legge Biagi s o no, articolo 18s o no) ai fatti veri, quindi ai dati di cui disponiamo e alle cose concrete che sipossono fare per cambiare incisivamente in meglio le condizioni di lavoro inItalia.

    A Emiliano Brancaccio rispondo soltanto questo: non ho mai sostenuto chela rigidit della protezione del lavoro abbia prodotto in Italia un aumento delladisoccupazione (sfido chiunque a trovare una sola riga in cui io abbia mai scrittoquesto). Ho sostenuto, invece, che la rigidit peggiora la qualit della

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    disoccupazione, aumentando in essa la percentuale dei disoccupati permanenti, eproduce la divisione degli occupati in due categorie: gli iper-protetti da una partee i paria, i sottoprotetti, dallaltra. Questo effetto evidentissimo nel settore

    pubblico, dove il contrasto tra la condizione di lavoro (o non lavoro)dellimpiegato di ruolo e quella del precario evidentissimo e grida vendetta. Mail contrasto anche se meno clamoroso evidente anche nel settore privato, egi da molto tempo prima delle leggi Treu e Biagi: il fenomeno dei co.co.co. chesvolgono lavoro sostanzialmente subordinato, o quello delle aziendine ecooperative appaltatrici che forniscono lavoro ultra-flessibile e sottopagato(altro che lo staff leasing!) ben conosciuto e tollerato nel nostro Paese dadecenni. Non da oggi, e neppure soltanto da dieci anni, che lo Statuto deiLavoratori nella sua interezza si applica a meno di met dei lavoratorisostanzialmente dipendenti nelle aziende private. Gli altri, pi della met, portanotutto il peso della flessibilit di cui il sistema ha bisogno.

    Proprio a questo dualismo del nostro tessuto produttivo ho dedicato unlibro quando ancora del precariato non si occupava nessuno, n a destra n asinistra (Il lavoro e il mercato, 1996). Alfonso Gianni sa bene, poich ne abbiamodiscusso insieme tante volte in questi anni, che proprio per combattere questodualismo, questo vero e proprio regime di apartheid, sono stato il primo, in quellibro, a elaborare lidea che ora costituisce il cardine della riforma contenuta neldisegno di legge redatto da Nanni Alleva e presentato da numerosi parlamentari disinistra: lidea, cio, di riferire il diritto del lavoro con tutte le sue protezioni nonal lavoratore subordinato in quanto tale, ma al lavoratore economicamentedipendente, intendendosi per tale quello che trae continuativamente la maggiorparte del proprio reddito da un unico committente, essendo irrilevante la naturaautonoma, subordinata o cooperativa del lavoro svolto.

    Il punto che ci divide solo questo: io ritenevo allora e ritengo tuttora chenon si pu superare davvero lapartheid estendendo a tutto il lavoroeconomicamente dipendente il diritto del lavoro cos come esso si applica ogginelle grandi aziende o tanto meno nelle amministrazioni pubbliche. Non realistico: leffetto sarebbe un enorme aumento del lavoro nero, cio della formadi apartheidpi grave di tutte. Se si vuole eliminare il dualismo occorre estenderea tutti i lavoratori - in ugual misura, a parit di anzianit di servizio le protezionie la flessibilit di cui il sistema ha bisogno.Discutiamo, dunque, di quale sia il livello di protezione (soprattutto in materia di

    licenziamento per motivi economici od organizzativi) che realistico estendere atutti i lavoratori in posizione di sostanziale dipendenza economica; stabilito questolivello, imponiamolo per tutti i rapporti di lavoro che si costituiranno da quelmomento in poi, in modo da garantire un graduale ma rapido superamento deldualismo, senza ridurre le protezioni esistenti. Una cosa certa: quale sia il livellogiusto non una questione ideologica, ma una questione eminentementepragmatica, da risolvere anche questa ragionando sui dati di cui disponiamo.

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    Liberazione, 6 settembre 2007

    AMICI DI LIBERAZIONE, APPOGGIATE ALMENOLE LIBERALIZZAZIONI

    di Francesco Giavazzi

    Gentile Direttore, non mi pare risponda al vero laffermazione di EmilianoBrancaccio (Liberazione, 4 settembre) secondo il quale Pietro Ichino,diversamente da me, riterrebbe infondata lipotesi che una maggior flessibilit delmercato del lavoro ridurrebbe la disoccupazione. Pietro Ichino ha scritto (sullastessa pagina del suo giornale) che esiste qualche studio economico seriosecondo il quale la rigidit della protezione del lavoro nel contesto europeo-occidentale attuale causa di un aumento del tasso di disoccupazione. Questistudi (per citarne uno recente e che offre, nellintroduzione, una rassegnaesauriente di questa letteratura empirica, si pu leggere The employment effectsof product market liberalization when product and labor markets interact diGiuseppe Fiori e Fabio Schiantarelli del Boston College e Giuseppe Nicoletti eStefano Scarpetta dellOcse) sottolineano tuttavia che il livello di occupazione e iltasso di disoccupazione dipendono dalle condizioni di concorrenza sia nel mercatodel lavoro sia in quello dei beni e servizi. La scarsa concorrenza nel mercato dei

    beni e dei servizi nuoce alloccupazione quanto la scarsa flessibilit e concorrenzanel mercato del lavoro. Ma laspetto pi interessante di questi studi levidenzasugli effetti dellinterazione tra le condizioni di concorrenza nei due mercati: leanalisi empiriche mostrano che introdurre pi concorrenza nel mercato dei beni edei servizi migliora loccupazione tanto pi quanto pi inflessibile il mercato dellavoro. E per questo motivo che io penso che le liberalizzazioni siano tantoimportanti oggi in Italia. Certo, la concorrenza nei mercati di beni e servizi nonelimina lesigenza di liberalizzare anche il mercato del lavoro, ma sarebbe un granpasso avanti se il suo giornale facesse propri questi risultati ed appoggiasse glisforzi del ministro Bersani per eliminare posizioni di rendita e monopolio neimercati dei servizi. Forse a questo alludeva Alfonso Gianni quando scriveva

    (sempre su Liberazione, il 29 agosto): Ma s, in fondo ha ragione PieroSansonetti, nel dire che leditoriale di Francesco Giavazzi sul Corriere della Seradi domenica scorsa non era male.

    Francesco Giavazzi

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    DIBATTITO TRA BOMBASSEI,BRANCACCIO, REALFONZO E SUPPA

    SULLE MORTI BIANCHE

    Il dibattito si svilupp sulle colonne del quotidiano Liberazione, nei giorni 1

    maggio 2007, e poi 6 e 12 gennaio 2008. I tre interventi di Emiliano Brancaccio

    di cui due scritti in collaborazione con Riccardo Realfonzo e Domenico Suppa -

    sono riportati nel libro La crisi del pensiero unico (Franco Angeli, Milano, 2 ed.,

    2010; rispettivamente alle pagine 69, 83 e 86). Qui di seguito riportato

    lintervento di Alberto Bombassei (del 12 gennaio 2008).

    Liberazione, 12 gennaio 2008

    SULLA SICUREZZA SIAMO SEMPRE IN PRIMA LINEA

    di Alberto Bombassei (vicepresidente di Confindustria)

    Gentile Direttore, ho letto larticolo pubblicato dal Suo giornale domenica 6gennaio con il titolo Bombassei rettifichi quelle cifre sulle morti bianche. Le

    vittime in Italia sono pi che in Germania, a firma di Emiliano Brancaccio eDomenico Suppa dellUniversit del Sannio. Non nascondo un certo disagio neldover registrare limpegno di scienza e conoscenza profuso dai due professoriuniversitari per contestare una mia affermazione con la quale non intendevocertamente giustificare o minimizzare la tragicit degli infortuni mortali sullavoro. Ci che mi colpisce lacribia con la quale si elaborano dati ed indici perconcludere che non vero che ci sono meno incidenti mortali in Italia che inGermania. Trovo il tutto inutilmente cinico e fuorviante. Anzi, dir di pi, lotrovo un inutile spreco di risorse, intellettuali e materiali, se deve servire perarrivare addirittura a misurare il rapporto fra valore aggiunto e morti sul lavoro alsolo scopo di poter poi affermare che in Italia la produzione di merci a mezzo

    di vittime. Mi sento di invitare i due professori universitari ad indirizzare megliola loro ansia di ricerca accademica. E non certo per dimostrare miei eventualierrori e soprattutto non su materie come queste dove i dati statistici non servonoper dire chi pi bravo ma per capire come e dove c necessit di migliorare,perfezionare, adottare le misure pi adeguate per evitare, ridurre e contenere irischi per chi lavora. La mia affermazione, per di pi nellambito di una intervistaben pi ampia ed articolata, non n una clamorosa svista n tanto meno unavera e propria provocazione politica. Non ho certo bisogno di spiegare a dueprofessori di materie economiche che presupposto per qualsiasi confronto ilriconoscimento della attendibilit dei dati e questa non pu che derivare dalcondiviso riconoscimento della attendibilit delle fonti statistiche. Oggi lunica

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    fonte di dati statistici comparati sugli infortuni professionali in ambito europeo lEurostat ed , quindi, ai dati di Eurostat che dobbiamo necessariamente fareriferimento. Ogni altra fonte/elaborazione priva dei cennati requisiti di

    riconosciuta e condivisa attendibilit - tanto pi se riferita a fattori non consideratidalle fonti ufficiali - rischia di risultare fuorviante e di prestarsi a facilistrumentalizzazioni. Secondo Eurostat, nel confronto tra i tassi di incidenzastandardizzati del complesso degli infortuni mortali e non (per 100.000 occupati),lItalia risulta, nel 2004 (ultimo dato disponibile), al di sotto delle medie europee(sia UE 12 che UE 15) e di Paesi come Spagna, Francia e Germania. Lindicecomparato degli infortuni mortali sul lavoro rilevato da Eurostat, in rapporto a100.000 occupati, al netto sia degli infortuni cosidetti in itinere, occorsi al di fuoridellorario di lavoro lungo il tragitto casa/lavoro, sia degli incidenti occorsi inorario di lavoro sulle strade e a bordo di qualsiasi mezzo di trasporto. Il complessodi questi infortuni, imputabili al rischio strada, rappresenta in Italia circa il 50%

    del totale degli infortuni mortali (fonte Inail). In questi termini, nel 2004 lItaliarisulta perfettamente in linea con la media UE 15 (indice 2,5) ed al di sotto diquella registrata nellEuro-zona (UE 12: indice 2,8). Sulla base di questi dati plausibile ritenere che, nel complesso, e non certo in termini ragionieristici, lasituazione dellItalia sia sostanzialmente non dissimile da quella della Germania,presentando, in particolare, entrambi i Paesi indici di mortalit sul lavoro pari oinferiori alle medie europee. utile richiamare, peraltro, unulteriore indicazionedi Eurostat sulla evoluzione comparata dei tassi di incidenza (sempre su 100.000occupati) degli infortuni mortali sul lavoro dal 1998 al 2004: in Italia si registrato il risultato in assoluto migliore (meno 50%) rispetto alle medie europee(meno 25%) e ai dati relativi a Paesi come Germania (pari allo 0%), Spagna(meno 40%), Francia (meno 32%) e Inghilterra (meno 10%). Questultimainformazione - avvalorata dai dati Inail sul tendenziale calo in Italia dei casimortali in valore assoluto (da 1462 nel 1998 a 1302 nel 2006), oggettivamenteindicativa di un impegno delle aziende che non mai mancato in questi anni. Ilche, ovviamente, non esclude, ma anzi conferma che alla sicurezza nei luoghi dilavoro occorre dedicare un'attenzione continua attraverso innovazioni emiglioramenti sempre possibili in aggiunta alle molte cose che le imprese aderentia Confindustria gi fanno. So per certo che non sar riuscito a convincere i dueprofessori dellUniversit del Sannio circa il senso della mia affermazione, masono altrettanto certo che lobiettivo di garantire la massima sicurezza potr essere

    raggiunto se al nostro impegno si affiancher un disegno condiviso fra Istituzioni,imprese e sindacati, senza inutili contrapposizioni e lo ripeto, improprie e cinichestrumentalizzazioni. Il lavoro non sicuro rappresenta una minaccia allaconvivenza civile. E per questo che come Confindustria abbiamo semprecondiviso la lotta al lavoro nero e alleconomia sommersa dove si registra granparte degli incidenti sul lavoro e dove il mancato rispetto delle norme di sicurezzaviene usato come elemento di concorrenza sleale. Gli associati a Confindustriasono convinti che la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, cos comeil riconoscimento di tutti i diritti che sono loro attribuiti da leggi e contratti,misurino il grado di civilt di un Paese. Come ho avuto occasione di precisarenellintervista, ci riconosciamo da sempre in questi principi che da oltre quindici

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    anni sono alla base del nostro Codice Etico. E pensiamo che sicurezza, qualit ecompetitivit siano strettamente saldati tra loro. per questo che il PresidenteLuca di Montezemolo ha gi comunicato a tutto il sistema associativo che

    intendiamo proporre a Governo e sindacati unazione forte e comune basatasoprattutto sulla prevenzione e centrata su tre linee di intervento. La prima quella della formazione. necessario creare una nuova cultura del lavoro e dellasicurezza a partire dalla scuola. E occorre un piano straordinario di formazionecontinua rivolta a tutti i lavoratori per far crescere la cultura della sicurezza conparticolare attenzione per i soggetti meno preparati come i giovani al primoimpiego o i lavoratori stranieri. Il piano di formazione deve vedere anche ilcoinvolgimento dei datori di lavoro, specie se titolari di piccole aziende, ai qualidovr essere destinata una specifica attivit di supporto. La seconda linea diintervento la consulenza alle imprese ed ai lavoratori, utilizzando una parte delleingenti risorse che le aziende versano allInail. Il terzo elemento la

    collaborazione fra pubblico e privato. Serve una vera collaborazione traassociazioni imprenditoriali, sindacati, istituzioni locali per individuare insiemeforme e strumenti che aiutino imprese e lavoratori per una pi efficaceapplicazione delle norme sulla sicurezza. E occorre unificare i vari soggettipubblici che si occupano a vario titolo di sicurezza sul lavoro per evitareduplicazioni e sprechi e ci si possa concentrare sulle cose da fare. Sono queste leprime iniziative che proporremo quando, nelle prossime settimane, partir quelconfronto con Governo e sindacati che abbiamo chiesto e sollecitato nei giorniscorsi. Vogliamo fare del 2008 lanno della sicurezza: senza manifestazioniretoriche, senza convegni ma concentrandoci su attivit, innovazioni e risultati,come nella cultura degli imprenditori italiani. Nel ringraziare per lattenzione elospitalit, porgo i migliori saluti

    Alberto Bombassei(Vice Presidente di Confindustria per le Relazioni Industriali e gli Affari Sociali)

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    BRANCACCIO, BOLDRIN E MANASSESULLA VICENDA FIAT

    Negli ultimi tre anni la FIAT si resa protagonista di una serie di iniziative di

    estrema rilevanza per il futuro del gruppo, dallaccordo con Chrysler alla

    indizione di un referendum tra i lavoratori degli stabilimenti italiani allo scopo di

    modificare il quadro delle relazioni industriali e di incrementare i ritmi

    produttivi. Un primo intervento sul tema, dal titolo Dietro laccordo Fiat-

    Chrysler, riportato nel libro La crisi del pensiero unico (2 ed., Franco Angeli,

    p. 106). Qui di seguito riportiamo alcuni stralci di una discussione tra Emiliano

    Brancaccio e Michele Boldrin dedicata anche alla Fiat, una intervista a Emiliano

    Brancaccio sul caso Fiat e un articolo di Paolo Manasse che esamina la vicenda

    Fiat alla luce del modello di Shapiro e Stiglitz.

    MICROMEGA 8/2010

    CONTROVERSIA SU MARCHIONNEChi ha ragione tra la Fiom e Marchionne? Un confronto a tutto campo e

    senza esclusione di colpi fra due economisti uniti dallantitremontismo ma

    divisi su molte questioni di fondo. Una rappresentazione plastica delle diverseopposizioni che si contrappongono alla destra italiana.

    MICHELE BOLDRIN / EMILIANO BRANCACCIO

    MicroMega: Lo scorso 22 agosto sul Fatto Quotidiano Michele Boldrin scrivevache sul caso Fiat occorre riflettere in termini concreti e non ideologicamentepopulisti come invece gli sciacalli della politica, da un lato e dallaltro, sembranovoler fare. Sia a Melfi che a Pomigliano, si leggeva in quellarticolo intitolatoMa io dico che Marchionne fa bene, essa non ricatta nessuno: offre invece ai

    suoi dipendenti loccasione per un rapporto di collaborazione basato su criteri altrida quelli che hanno (s)governato le relazioni industriali italiane dal primodopoguerra ad oggi. Solo da tale nuova collaborazione pu venire linnovazionecontinua che costituisce la conditio sine qua non per prosperare. Rara eccezionenella storia secolare e peraltro poco encomiabile di questa impresa, il discorso Fiat oggi un discorso di progresso e di crescita.Sono tesi certamente molto distanti non solo da quelle della Fiom ma anche daquelle sostenute da larga parte della sinistra italiana. Professore, pu precisaremeglio in che modo secondo lei la strategia messa in atto dalla Fiat purappresentare un discorso di progresso e di crescita?Michele Boldrin: Mi pare che la Fiat per la prima volta da molto tempo aquesta parte stia cercando di comportarsi come unimpresa. Per impresa intendo

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    unimpresa privata multinazionale che ha come punto di riferimento il mercato incui opera, quello degli autoveicoli, a livello mondiale. La Fiat ha messo in campoun piano imprenditoriale coerente. Io non sono uno specialista del settore e credo

    che per dare un giudizio serio e dettagliato su un piano del genere ci voglianocompetenze tecniche molto specifiche. Quindi mi astengo dallo scendere neldettaglio: non posso sapere se questo un piano perfetto, se ce ne era unomigliore, se facendo ci che dice di voler fare Fiat produrr valore aggiunto,ricchezza, occupazione eccetera. Quello che posso vedere che Fiat ha messo sultavolo un progetto imprenditoriale chiaro, trasparente, per il quale disposta adassumersi dei rischi. Questo ci che unimpresa dovrebbe fare.Per attuare il proprio piano Fiat non sta chiedendo sussidi (non in Italia, almeno,dove era pessima abitudine di Fiat e di tante imprese private farlo, con lacomplicit del mondo politico-sindacale). Sta alle altre parti accettare o nonaccettare lofferta contrattuale che Fiat propone. Non obbligatorio accettarla: lasi pu trovare inadeguata, inappropriata, perfino scandalosa. una questione di

    punti di vista: c un aspetto di conflittualit in ogni tipo di relazione contrattualee ce n uno, ovviamente, anche qui. E c anche un problema di collaborazione,di complementarit. Si tratta di scegliere quale premiare. Fiat ha assunto unatteggiamento trasparente su entrambi questi aspetti.Il dibattito ideologico che si scatenato in Italia sulla Costituzione, lo schiavismoeccetera, lo trovo francamente fuori luogo. Peggio: i temi concreti su cui tantosi discute in Italia e che sarebbero alla radice di questo nuovo schiavismo sonodati acquisiti nel resto del mondo e, in particolare, nellindustria automobilisticaoccidentale, ossia fra i concorrenti Fiat. Da questo io deduco che si stanno dandoalla Fiat lezioni che, se dovessero essere accettate, la renderebbero mondialmentenon competitiva e quindi destinata al fallimento. Se si vogliono dare consigli alla

    Fiat su come fare meglio il proprio lavoro, sarebbe appropriato insegnare alla Fiatcome essere pi innovatrice, pi competitiva e quindi pi forte sul mercatomondiale, perch solo cos potrebbe creare occupazione addizionale ad alto valoreaggiunto. Se qualcuno sa migliorare il piano industriale della Fiat, beh, si facciaavanti e lo dimostri! Io questo non lo so fare, quindi taccio. Se altri lo sanno fare,che parlino.Marchionne in Italia diventato per alcuni il simbolo del bene, per altri il simbolodel male. Per me non il simbolo di niente: uno che fa il manager. E lo fa conuna prospettiva chiaramente internazionale, come giusto che sia. Limpresaautomobilistica non pu operare entro langusta prospettiva di un mercatonazionale, domestico. Se lo fa muore. Di nuovo: se io fossi un tecnico del settoreauto forse potrei avere delle competenze per poter dire a Marchionne: No, ti

    sbagli, quel tipo di motore l non adatto a questa vettura per questa o quellaragione, non deve essere costruito in Polonia per questa o quella ragione. Ma nonho queste competenze. Come non credo che le abbia la stragrande maggioranza ditutti coloro che hanno sollevato questa campagna anti-Marchionne e neanchequelli che hanno sollevato laltra, forse meno rumorosa ma altrettanto reale, pro-Marchionne.Ho chiesto a molti esperti del settore automobilistico che ne pensino e la risposta uniforme: ragionevole, anche se forse non coraggioso abbastanza, dovrebbeconcentrare di pi la produzione, ma ha vincoli politici. Sono quindi perplesso difronte alla natura tutta ideologica del dibattito italiano, un dibattito che sembracompletamente disinteressarsi di ci che unimpresa deve fare: produrre le propriemerci, vendere il proprio prodotto, generare occupazione e fare profitti.

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    Emiliano Brancaccio: Sostengo da tempo che la controversia su Marchionnebuono/Marchionne cattivo esprime un modo naf di affrontare la questione chepurtroppo molto diffuso nella sinistra italiana. Tuttavia, fatta questa premessa,

    credo che una documentata riflessione su Marchionne e sulla Fiat si possa equindi si debba senzaltro fare.A questo scopo, ricordo innanzitutto alcuni fatti. Per lo stabilimento diPomigliano Marchionne aveva stilato una proposta di accordo fondata su 18 turnisettimanali incluso il sabato notte, sul controllo biomeccanico di ogni singologesto delloperaio (il cosiddetto sistema Ergo-Uas), sulla riduzione drasticadelle pause e su una pesante restrizione del diritto di sciopero (definita fra laltroincostituzionale da autorevoli giuslavoristi). Ora, questa proposta di accordo stata contestata dalla Fiom Cgil, mentre stata salutata con entusiasmo dalla Cisl,dalla Uil, da diversi esponenti del governo Berlusconi e anche da svariatieconomisti che per comodit di sintesi potremmo definire di ispirazioneliberista.

    Al grido di 10, 100, 1000 Pomigliano, i sostenitori di questo accordo lo hannoaddirittura presentato come un modello di riferimento da estendere a tutto ilsistema nazionale di relazioni industriali.Tuttavia nel momento in cui laccordo stato sottoposto a referendum aziendale,quasi il 40 per cento degli operai dello stabilimento di Pomigliano lo haconsiderato inaccettabile, indegno e ha votato contro. Qualcuno, prima dellaconsultazione, aveva dichiarato che a respingere laccordo sarebbe stato solo unpiccolo drappello ideologico presente fra gli operai. Ebbene, oggi sappiamo cheil cosiddetto drappello ha sfiorato il 40 per cento. Quanto alla presuntaideologia, va ricordato che parliamo di lavoratori che hanno votato nella pienaconsapevolezza del fatto che stanno rischiando il posto di lavoro, tra laltro in una

    realt territoriale nella quale reimpiegarsi molto difficile.Sappiamo che questo risultato ha rappresentato una sconfitta per Marchionne. Ilmotivo che egli avrebbe avuto bisogno di un plebiscito per garantirsi la pienaapplicazione di un accordo che esige molto dai comportamenti di ogni singolooperaio.Ma allora, una volta che il plebiscito non c stato, era lecito attendersi un passoindietro da parte della Fiat, un tentativo di ricucitura. Cos per non stato.Anzi, da quel momento Marchionne ha alzato il tiro, andato in tv, ha iniziato aesternare e ha calcato talmente la mano da risultare a un certo punto anche pocoattendibile.Faccio un esempio tratto dalla famigerata intervista concessa a Fabio Fazio. Inquelloccasione lamministratore delegato di Fiat ha dichiarato che in termini di

    efficienza del mercato del lavoro lItalia si collocherebbe al 118 posto su 139paesi: non soltanto dietro la Francia, che 60a, la Germania, che 79 a, o laSpagna, che 115 a; ma anche dietro paesi come il Senegal e il MozambicoLa classifica in questione stata redatta dal World Economic Forum, una notaassociazione di manager e di banchieri che si riunisce ogni anno a Davos, inSvizzera. Ecco, diciamo che i media italiani se la sono bevuta acriticamente.Bisognerebbe infatti sapere che questa classifica non riflette dati oggettivi. Essarappresenta la mera risultante di una serie di interviste, peraltro limitate a uncampione di soli imprenditori e dirigenti dazienda. In sostanza ad ogniimprenditore intervistato si chiede di dare un voto allefficienza del mercato dellavoro del suo paese.

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    Ora, andrebbe tenuto presente che in ambito scientifico questo metodo dirilevazione viene considerato a dir poco rozzo. Ma soprattutto si tratta di unmetodo che non trova giustificazioni, visto che esistono misure alternative pi

    robuste. Sono anni che le universit e le istituzioni internazionali compiono sforzienormi per determinare indicatori il pi possibile oggettivi. Uno di questiindicatori lEmployment Protection Legislation (Epl). Si tratta di un indicecalcolato dallOcse che misura il grado di protezione normativa e contrattuale deilavoratori e implicitamente definisce anche il grado di flessibilit del mercato dellavoro. un indice complicato, per molti versi impreciso, che richiede continuecorrezioni, ma almeno si basa su unanalisi oggettiva delle norme e dei contratti, enon dipende dal fatto che gli imprenditori intervistati il giorno dellintervista sisiano magari svegliati con la luna storta o di buon umore.Se dunque guardiamo alle classifiche basate sullEpl, noi scopriamo una realtben diversa da quella dipinta da Marchionne. In primo luogo lItalia non si collocaaffatto in coda bens in una posizione intermedia tra le nazioni esaminate: stando

    ai dati 2008, in Europa essa rientra tra gli otto paesi pi flessibili, con un livellogenerale di protezione dei lavoratori che inferiore a quello che per esempio siregistra non solo in Grecia ma anche in Germania, in Francia, in Spagna, inBelgio, persino in Polonia. Inoltre va ricordato che nellarco del decennio in cuisono stati approvati sia il pacchetto Treu che la legge Biagi, lItalia ha realizzatoun vero e proprio record, cio ha fatto registrare la pi pesante caduta dellindicedi protezione dei lavoratori tra tutti i paesi oggetto delle stime Ocse: tutti!Diciamo allora che se Marchionne avesse preso lEpl come riferimento, magariavrebbe offerto un quadro meno suggestivo da un punto di vista mediatico emeno conforme ai suoi interessi ma certamente pi credibile, pi aderente allareale esperienza quotidiana dei lavoratori Fiat cos come di milioni di lavoratori

    italiani.Boldrin: Siamo finiti, come temevo, a dare i voti politici a Marchionne. Checchne dica in apertura di intervento, il mio interlocutore si cimenta poi con il temaMarchionne cattivo vs Marchionne buono, gli d un voto basso e gli spiega cosafare sul piano politico, non industriale. Specificatamente dovrebbe ricuciremodificando lintero piano industriale Fiat perch a una certa percentuale dilavoratori attuali di Pomigliano quella proposta non piace. Su questultimo puntoritorno fra un attimo, ma noto immediatamente lincongruenza: qual il criteriosecondo cui Brancaccio d a Marchionne un voto negativo? un criterio politico-ideologico.Brancaccio ha tirato in ballo la questione degli indici per spiegare a Marchionneche avrebbe dovuto citarne un altro nelle sue dichiarazioni. Io vorrei suggerire un

    indice nuovo e brutalmente obiettivo: quante aziende automobilistiche investonoin Italia? Nessuna, a parte Fiat. Che sia per caso?Fiat produce allestero pi della met della sua produzione totale. quindiunimpresa multinazionale. Questo pu piacerci o meno, ma un fatto. Solamentein Argentina e Brasile produce pi macchine e autoveicoli industriali di quanti neproduca in Italia. Ora, in Italia Marchionne valuta le condizioni necessarie perstare sul mercato, per essere profittevole e offre un contratto che assolutamentestandard nel settore automobilistico mondiale. Non niente di particolare: quello che ad esempio si utilizza nelle fabbriche di Detroit da parecchi anni, dovenon ha provocato la morte di nessuno. Ad avviso di alcuni le condizioni poste daMarchionne sono ispirate a una qualche sua cattiveria antipopolare. Se cosfosse Marchionne starebbe lasciando delle opportunit di profitto sul terreno.

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    Evidentemente in Italia date le attuali condizioni contrattuali, sindacali elegislative investire per costruire impianti automobilistici gestiti secondo i criteriche la Fiom richiede profittevole, ma Marchionne non lo capisce e non lo fa

    perch si intestardito nel suo desiderio di peggiorare le condizioni di vita deilavoratori.C da aspettarsi, allora, che lo far Volkswagen, che lo faranno Renault, Ford,General Motors, Toyota, Honda eccetera. Il mondo pieno di impreseautomobilistiche: vedo che si stanno distribuendo nel mondo per produrre veicolil dove trovano delle condizioni appropriate che permettano loro di stare sulmercato. Se Brancaccio e la Fiom hanno ragione, mi attendo lo sbarco in Italia diuna o pi di queste imprese nei prossimi mesi. Al momento non vedo una fila diimprese come Honda, Toyota eccetera, che dicano: Prendiamo noi Pomigliano!Veniamo noi a investire in Italia secondo le direttive degli esperti della FiomCgil!.Io, come indice della situazione, uso questi fatti, osservabili da tutti. Sul resto,

    sugli indici citati da Brancaccio, si pu discutere, ma mi pare una discussione inperfetto stile italiano che non porta da nessuna parte, non arriva alla sostanza. Ela sostanza la seguente: esiste una maniera di produrre macchine nel mondo che la stessa dal Polo Sud al Polo Nord: ci che Marchionne e la Fiat stannocercando di fare a Pomigliano, a Termini, a Mirafiori mantenersi su quei livelli.Il fine quello di riuscire a stare sul mercato, a non fallire, a non andare achiedere sussidi pubblici, come hanno fatto fino a poco tempo fa.Una parte del mondo politico e sindacale italiano tanto a destra quanto a sinistra non riesce a capire questi concetti elementari e chiede alla Fiat di utilizzaremetodi di produzione diversi, con dietro limplicita offerta di tornare a foraggiarlaattraverso sussidi che gravano su tutti i contribuenti.

    Questa la vera questione sul terreno. La Fiat, in virt di un suo disegnostrategico, dice di no. E se fossi un contribuente italiano anche io direi senzatentennamenti di preferire una Fiat non sussidiata.Brancaccio: Rilevo innanzitutto che Boldrin non se la sente di esprimere unavalutazione sul confronto tra il rozzo indicatore del World Economic Forum citatoda Marchionne e lindice generale di protezione dei lavoratori calcolato dallOcse.Francamente mi pare un modo un po curioso di interpretare il celebre motto diWittgenstein: Su ci di cui non si pu parlare, si deve tacere, che pure Boldrinmette in bella mostra sul suo sito web. Ad ogni modo, io ho riportato dei dati.Lascio ad altri il compito di fare discorsi ideologici o di formulare giudizimorali su Sergio Marchionne.Del resto, quando Marchionne dice che gli conviene produrre negli Stati Uniti o in

    Brasile o in Polonia o in Serbia dice il vero. Per questo va preso sul serio quandominaccia di delocalizzare la produzione. In questo modo, del tuttoindipendentemente dalle intenzioni, egli svolge un ruolo nel dumping salariale edei diritti che da tempo imperversa a livello mondiale. Questo dumping con lacrisi si ulteriormente inasprito e guarda caso colpisce soprattutto i paesi come ilnostro, caratterizzati da un minore grado di organizzazione interna dei capitali.Ma quando Marchionne calca la mano sul diritto di sciopero, sulle tre pause dadieci minuti piuttosto che sulle due da venti eccetera, a me pare si comporti damanager di unazienda che da tempo si considera in piena crisi nella competizioneeuropea, e che di conseguenza tende a intervenire solo sul costo del lavoro. Eglicio si comporta da manager che probabilmente accentua lo scontro con ilavoratori anche per evitare di discutere delle inefficienze storiche della Fiat sul

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    versante delle economie di scala, dei costi intermedi, della logistica, della capacitdi competere nella fascia rilevante del mercato europeo.Il comportamento di Marchionne dunque sintomatico di una crisi strutturale del

    gruppo, che si trascina da molto tempo. Per questo non si tratta banalmente didare i voti a Marchionne.Piuttosto, il problema reale che si pone di ordine politico, un problema chechiama in causa il governo. Si tratta di aver ben presente che di fronte a unaminaccia di delocalizzazione, sono molte le opzioni di cui la politica economicapu disporre. Il governo pu decidere di non fare niente, o pu venire incontroalla richiesta delle imprese di abbattere le tutele dei lavoratori, oppure pu daredei sussidi alle aziende, o pu ridurre il grado di apertura dei mercati limitando siale possibilit di delocalizzazione sia le importazioni dallestero, oppure ancorapu attivare un programma di investimenti infrastrutturali intorno alle aziende e allimite pu anche nazionalizzare. Pu infine intervenire con un mix di alcune traqueste opzioni. Insomma, la storia e lesperienza corrente di tanti paesi ci

    insegnano che le possibilit di intervento sono numerose.Nel caso in questione noi sappiamo che il governo Berlusconi ha espressamentedeciso di non fare niente, con la sola eccezione del pieno sostegno allaccordo suPomigliano e del contributo continuo che sta dando per abbattere le tutelenormative e contrattuali dei lavoratori. Per quello che ho letto, e per quello che stosentendo adesso dal mio interlocutore, gli economisti liberisti sonoperfettamente daccordo con la posizione del governo Berlusconi.A me invece questa linea non convince affatto. Mi piacerebbe quindi sapere comesi comporterebbero le forze dellopposizione se si trovassero ad avereresponsabilit di governo, perch ad oggi la loro linea non mi sembra chiara.Eppure la situazione grave. Dopo aver perso linformatica, la chimica,

    lelettronica di consumo, lelettromeccanica, praticamente anche laeronauticacivile, noi qui stiamo davvero rischiando di perdere il settore automobilistico.Beninteso, possiamo anche metterci lanima in pace e lasciar fare alle famigerateforze spontanee del mercato. Ma questa non mi sembra la soluzione pibrillante, ammesso che realmente ci interessi il futuro produttivo e non delnostro paese.Quanto alle politiche che ho elencato, alcune di esse potrebbero costituireunalternativa realistica alla totale latitanza del nostro governo. Nel dibattito dabasso impero che imperversa nel nostro paese se ne discute poco, mabisognerebbe tener presente che negli ultimi due anni sono state adottate ben 332nuove misure protezionistiche a livello mondiale, delle quali 60 da parte dellaRussia, 23 da parte degli Stati Uniti, 20 da parte della Cina, 13 da parte della

    Corea del Sud, 12 da parte del Brasile e dellIndia (dati della CommissioneEuropea). Si tratta di barriere doganali, vincoli agli investimenti allestero eallexport, stimoli ai consumi e alle produzioni nazionali. Aggiungo che il settoreautomobilistico stato fortemente interessato da queste iniziative, con 42 misurecomplessive. Ebbene, considerato per esempio che in Corea del Sud linteraUnione Europea riesce a vendere non pi di 30 mila vetture allanno, forsesarebbe il caso di farci un pensiero.Agli incalliti liberoscambisti che amano frequentare gli ambienti della sinistravorrei anche ricordare che Paul Samuelson e Paul Krugman entrambi premiNobel ed esperti in particolar modo di economia internazionale hanno sempretenuto a precisare che i famigerati teoremi a favore del libero scambio perdonorilevanza in situazioni di disoccupazione. Questo significa che persino nellambito

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    Queste persone non che possano essere trattenute sul suolo nazionale da unaqualche misura protezionistica. Io, francamente, non conosco nemmeno lastruttura dirigenziale e tecnica della Fiat, non so da chi sia composta; probabile

    che ci sia dentro gente di tutte le nazionalit: indiani, polacchi, cinesi, inglesieccetera. Non che si possono mettere le idee che queste teste partoriscono in unbarattolo e impedire che se ne vadano in giro. Dietro il discorso di Brancaccio cuna visione primitiva di come funziona leconomia mondiale e di come funzionaunimpresa automobilistica. una visione antiquata, ottocentesca, tutta fondatasulla centralit del capitale fisico.A me questa strada del protezionismo che suggerisce Brancaccio pare unopzionesuicida. Ma del resto lItalia ha praticato politiche economiche suicide permoltissimi anni, dunque non mi sorprende di sentirle anche in questa sede, difronte a una situazione di grave crisi. La nostra produttivit al palo, la nostraindustria manifatturiera e dei servizi in generale fa sempre pi fatica a restarecompetitiva sul mercato mondiale, e cosa si propone? La nazionalizzazione delle

    imprese e la chiusura del commercio internazionale. Non so nemmeno comecommentare simili affermazioniBrancaccio: Boldrin dice che quel che conta nelle produzioni ad alto valoreaggiunto e quindi anche nel settore automobilistico essenzialmente il know-how. Risulta anche a me che in genere le cose stiano cos. Se per guardiamo alpiano di Marchionne, scopriamo che esso si concentra in larga misura su questioniun po diverse, come i dieci minuti di pausa dei lavoratori o le operazioni bio-meccaniche che il singolo operaio deve effettuare per reggere il ritmo della catenasulla quale si muovono le scocche, o il diritto di sciopero eccetera. Questoevidentemente dovrebbe darci qualche indizio su ci che Marchionne ritieneimportante per le determinanti dei costi e dellefficienza aziendale.

    Quanto al discorso sul protezionismo, Boldrin vive negli Stati Uniti e pu darsiche non sia al corrente del dibattito, ma quei dati e quellelenco sono tratti da unrapporto della Commissione Europea di cui si sta ampiamente discutendo. LaCommissione Europea ha rilevato che dagli Stati Uniti alla Cina, passando per laCorea del Sud, svariati paesi hanno adottato misure di carattere protezionisticofinalizzate a vincolare gli investimenti allestero, incentivare i consumi interni etutelare le produzioni nazionali. Si tratta ormai di cose allordine del giorno inlarga parte del mondo ed etichettarle come chiacchiere o residui di unideologiaarcaica o provinciale mi sembra un esercizio retorico inutile. Che ci piaccia o no,questi sono i nodi e le questioni che dominano la discussione di politicaeconomica internazionale.Boldrin: Punto primo: mi pare francamente riduttivo anzi, direi poco onesto

    intellettualmente dire che per Marchionne tutto il problema risiede nei 10 minutidi pausa degli operai e in cose di questo genere. Che tutta la sua attenzione concentrata l. Questa ovviamente la parte che interessa la Fiom, ed infatti ciattorno a cui hanno costruito la loro battaglia (secondo me con pocalungimiranza). Dire che il piano Marchionne si riduce alla soppressione di 10minuti di pausa a Pomigliano una cosa ridicola.Punto secondo: certo che di protezionismo si discute a livello mondiale. Ma se nediscute con molta preoccupazione, come di un pericolo al quale stiamo andandoincontro. Non certo per sostenere che queste misure protezionistiche possanorappresentare una reale soluzione alla crisi globale!Brancaccio: Rilevo un vizio logico nellargomentazione di Boldrin. Se davvero come lui sostiene le pause, i 10 minuti, il sistema Uas eccetera sono cose che la

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    Fiat e Marchionne reputano del tutto secondarie, allora lo stesso Boldrin cidovrebbe spiegare per quale motivo il confronto con il sindacato andato in stallogi a partire dallesame di quei punti.

    Quanto al protezionismo, i dati e il dibattito internazionale al quale facevoriferimento dimostrano che della questione si pu e si deve discutere. Il nostroprovincialismo rappresentato proprio dal nostro silenzio. Boldrin dice che se nediscute con preoccupazione? Io ho il sospetto che tra poco se ne discuter conrassegnazione: la rassegnazione di chi si limita a subire quello che fanno gli altrisenza fare nulla.

    []

    www.lavoce.info 12.01.2011

    SALARI E OCCUPAZIONE,LE CONSEGUENZE DI MIRAFIORI

    di Paolo Manasse

    Il dibattito sul piano Fiat si finora concentrato sugli aspetti di democraziasindacale e ha ignorato gli effetti macroeconomici. Cosa accadrebbe aoccupazione e salario reale se l'accordo venisse esteso all'intero sistema direlazioni industriali dell'economia? Bisogna distinguere tra un prima e un dopo gliinvestimenti. Nel breve termine, il salario reale tender a ridursi e l'occupazionead aumentare. Nel medio periodo, una volta effettuati gli investimenti, anche isalari dovrebbero aumentare insieme all'occupazione.Nei prossimi giorni ilavoratori di Mirafiori saranno chiamati ad approvare o a rifiutare con unreferendum il nuovo contratto di lavoro siglato da Fiat e da varie rappresentanzesindacali, ma respinto dalla Fiom. Il dibattito sullo scambio tra nuovo contratto dilavoro e nuovi investimenti si per lo pi concentrato sugli aspetti di democraziasindacale. Un sistema di relazioni industriali di buon senso vorrebbe che anegoziare i contratti fossero rappresentanti eletti dai lavoratori, e non che la firmadi un contratto, da parte di sindacati non si sa quanto rappresentativi in azienda,conferisse loro la rappresentanza dei lavoratori a cui si applica il contratto.Sullargomento ha scritto in maniera convincente Tito Boeri sulla Repubblica del29 dicembre. In breve, le preoccupazioni dellazienda torinese si possono spiegarecon quello che gli economisti chiamano il problema di hold up nelle negoziazioni.Prima di aver effettuato gli investimenti, il potere negoziale della Fiat moltoalto, perch pu credibilmente minacciare di trasferire la produzione allestero sele sue richieste non sono accolte; ma dopo aver realizzato gli investimenti, la

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    APPENDICE

    Il modello di Shapiro e Stiglitz (1984) ben si presta a rispondere alla nostra

    domanda. Il modello, illustrato nel grafico sottostante, consiste in due curve. Lacurva inclinata negativamente (Ld) rappresenta la domanda di lavoro delleimprese, e mette in relazione il numero di lavoratori assunti (NL, sulle ascisse) e ilsalario reale (w, sulle ordinate): tanto pi il salario alto, tanto meno lavoratori leimprese desiderano impiegare. La seconda curva (NSC, No Shirking Condition),inclinata positivamente, descrive la condizione che induce i lavoratori aimpegnarsi sul lavoro, aumentandone la produttivit, piuttosto che cercare diimboscarsi. Se loccupazione bassa (e la disoccupazione alta) sar difficiletrovare lavoro se si viene licenziati, e dunque baster un salario relativamentebasso a convincere il lavoratore a essere produttivo. Al contrario, se loccupazione elevata, lo spauracchio del licenziamento funziona meno, perch sar comunque

    facile trovare un lavoro alternativo: sar allora necessario un salario pi elevatoper convincere il lavoratore a impegnarsi sul lavoro. Per tali ragioni la curva NSC inclinata positivamente.

    Nel modello, il salario e loccupazione vengono determinati quando entrambe ledue relazioni sono contemporaneamente soddisfatte, nel punto di intersezione Q.Il primo effetto del nuovo contratto di rendere pi facile scovare il lavoratoreassenteista, per il quale il rischio del licenziamento aumenta: dunque sufficienteun salario pi basso per convincere i lavoratori ad essere produttivi senza rischiare

    il licenziamento: la curva NSC si sposta verso il basso. Risultato: si indebolisce laposizione contrattuale dei lavoratori e il salario reale si riduce. Ci rende piconveniente allimpresa assumere nuovi lavoratori. Dunque, loccupazione crescee i salari reali si riducono. In un secondo tempo, gli investimenti della Fiatrendono pi produttivo il lavoro, permettendo allimpresa di pagare un salariomaggiore a parit di occupati: la domanda di lavoro aumenta, la curva Ld si spostaverso lalto. Questo effetto produce un nuovo aumento delloccupazione e portaora anche a un aumento del salario.

    (1) C. Shapiro, J. Stiglitz, Equilibrium Unemployment as a Worker DisciplineDevice,American Economic Review, 1984.

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    ALESINA E PEROTTI, GIAVAZZI ESPAVENTA, WYPLOSZ, BRANCACCIO

    SULLA CRISI EUROPEA

    La crisi economica mondiale ha avuto un pesante impatto sulla Unione monetaria

    europea. Diversi economisti ritengono che alcuni paesi possano a un certo punto

    abbandonare la moneta unica e che la zona euro possa anche deflagrare. Sono

    quindi state pubblicate varie proposte per rafforzare la tenuta della Unione.

    Nellarticolo La Grecia, campanello dallarme per lEuropa (La crisi del

    pensiero unico, 2 ed., p. 129) c una prima riflessione sul tema. Qui di seguito

    sono riportati i successivi interventi di Alesina e Perotti, Giavazzi e Spaventa,

    Wyplosz. Si veda infine il paper di E. Brancaccio Crisi della unit europea e

    standard retributivo (Diritti Lavori Mercati 2/2011).

    RICETTE SBAGLIATE: PI SPESA IN GERMANIAdi Alberto Alesina e Roberto Perotti 18.06.2010

    Sono in molti ad accusare la Germania per la sua politica fiscale prudente, che

    finirebbe per aggravare la crisi. La cui soluzione sarebbe invece in un'espansione

    della spesa pubblica tedesca. Ma si tratta di una ricetta sbagliata, frutto di un

    keynesianismo datato. E' un'illusione credere che un 5 per cento sul Pil di deficit

    di bilancio in Germania basti per risolvere i problemi di crescita dell'Europa.

    Che dipendono piuttosto dalle rigidit sul lato dell'offerta, soprattutto nei paesi

    oggi pi in difficolt.

    In Europa trova molti consensi la seguente spiegazione dei mali europei. Dopo lo

    shock della riunificazione, la Germania ha cercato di rafforzare la suacompetitivit in vari modi. La ricetta si rivelata di grande successo,trasformando il malato dEuropa in una economia fortemente competitiva. Mada questa politica sarebbe conseguito uno squilibrio con il resto dEuropa perchil surplus di parte corrente della Germania trova il suo rovescio, tra laltro, neideficit di parte corrente dei paesi dellEuropa meridionale e in particolare diSpagna, Portogallo e Grecia.

    La situazione non ha suscitato particolari preoccupazioni (o almeno non erano inmolti a lamentarsene) fino alla crisi finanziaria. Ora per la recessione e i

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    pacchetti di stimolo hanno fatto crescere disavanzi e debiti pubblici in tuttaEuropa, e in particolare nella parte pi vulnerabile dellEurozona, lEuropa delSud. Di conseguenza praticamente tutti concordano sul fatto che i paesi del Sud

    Europa (e lIrlanda) non abbiano altra alternativa che ladozione di una forteausterit fiscale, qualunque ne sia il costo.Ma ci significa che nella situazione attuale questi stessi paesi sono colpiti da dueshock negativi sulla domanda - la politica deflazionistica della Germania - e laloro stessa austerit fiscale.

    Secondo lopinione in voga, questo impone alla Germania una doppiaresponsabilit: dovrebbe ridurre il suo vantaggio competitivo e stimolare iconsumi in quanto lunica possibile fonte di domanda in Europa.Nel brevissimo periodo, entrambi gli obiettivi possono (e debbono) essere

    raggiunti, secondo lopinione comune, attraverso lunico strumento che i politicitedeschi hanno a disposizione: una politica fiscale espansiva, forse accompagnatada una dose di inflazione.

    UN PUNTO DI VISTA SBAGLIATO

    Si tratta di un punto di vista sostenuto da molti economisti e commentatori inEuropa. anche il punto di vista ufficioso dellamministrazione americanaespresso nella lettera privata inviata dal segretario al Tesoro ai colleghi del G20nellultimo vertice.

    Noi invece riteniamo che diagnosi e cura proposta siano sbagliate. Ovviamente,la bilancia dei pagamenti correnti a livello mondiale sempre in pareggio, quindiil surplus tedesco deve apparire altrove come deficit. Ma colpa della Germaniase diventata pi competitiva? Ed ragionevole chiedere alla Germania disopportare il peso di un paese come la Spagna che ha fondato la sua crescitaeconomica degli ultimi quindici anni sulledilizia, il settore per definizione non-competitivo? Oppure quello di un paese come la Grecia, che fissa let dellapensione a 53 anni, falsifica i bilanci e cos via? Inoltre, la politica fiscale tedescanon stata particolarmente restrittiva, i suoi miglioramenti di competitivitderivano da altri fattori, come le riforme del mercato del lavoro, certo limitate e

    timide, ma pur sempre riforme.ANCHE LA CURA SBAGLIATA E INATTUABILE

    A livello normativo, se in questo momento i mercati temono soprattutto il debitopubblico, non si capisce perch quegli stessi mercati dovrebbero accogliere confavore un incremento nellofferta di debito da parte del paese che vedono comelultimo baluardo della disciplina fiscale e monetaria, quando in questo momentoquello che pi temono proprio il debito pubblico. Il pericolo maggiore e piimmediato oggi sono i timori dei mercati legati alleccesso di debito in Europa:come un aumento del debito tedesco possa aiutare a mitigare queste paure, non ci chiaro.

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    Tanto pi che leffetto immediato di un aumento dellofferta di debito sarebbesolo indirettamente e parzialmente compensato dalla crescita di altri paesi: una

    espansione fiscale di dimensioni realistiche in Germania non potrebbe comunquerisollevare lEuropa dalla sua crisi e stimolare significativamente la crescita.Affermare una simile ipotesi significa credere in moltiplicatori della spesapubblica di dimensioni irragionevolmente ampie.La teoria, e in parte levidenza empirica, confermano invece lidea che ilmoltiplicatore sia piccolo se non addirittura negativo, anche se ammettiamo che suquesto punto c molta incertezza. Ma moltiplicatori fiscali keynesiani di ampiedimensioni, come quelli cos popolari negli anni Sessanta, oggi sono difficili dadifendere sia sul piano teorico che su quello empirico. E se questo vero per imoltiplicatori interni, quelli internazionali sono ancora pi piccoli.

    LA CURA POLITICAMENTE IMPROPONIBIBILELidea che la Germania debba farsi carico dellEuropa e internalizzare tutte leesternalit positive che ne possono derivare (assumendo che ne esistano) unasfida al realismo politico. Chiedere a un governo di far propri gli interessi di unpiccolo e lontano paese significa cacciarsi in un vicolo cieco politico,specialmente in tempi di crisi finanziaria.

    Chi sostiene questa sorta di altruismo ammanta spesso i suoi argomenti nel velodel cos facendo, la Germania rafforzerebbe il suo interesse di lungo periodo.

    Forse, ma non per niente chiaro perch linteresse di lungo periodo dellaGermania debba comprendere il salvataggio della Grecia o della Spagna. E anchese cos fosse, ci richiederebbe una lungimiranza che nessun governo eletto ingenere ha, che sia tedesco o di un altro paese. Sentire i leader dell Europameridionale che accusano i leader tedeschi di miopia un po paradossale!Il vincolo alla crescita dellEuropa non la politica fiscale della Germania. Sonole rigidit sul lato dellofferta che imbrigliano le economie nazionali europee, e inparticolare quelle dei paesi dellEuropa del Sud. Fossilizzarsi sul lato delladomanda semplicemente sbagliato una sorta di keynesianismo datato edeccessivamente semplificato. Forse, le riforme sul lato dellofferta sonoimpossibili, ma non prendiamoci in giro illudendoci che un deficit di bilancio

    tedesco del 5 per cento invece che del 3 per cento sul Pil sia sufficiente perportare lEuropa fuori da una situazione difficile.

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    DOVE LA COMMISSIONE SBAGLIA

    di Francesco Giavazzi e Luigi Spaventa 18.10.2010

    Ormai anche la Commissione europea riconosce che la sola disciplina fiscale non

    sufficiente a garantire la stabilit dell'euro. Ma la soluzione che propone per

    combattere le fragilit della zona euro solo un vuoto e inutile esercizio. A

    preoccupare dovrebbe esere invece l'espansione non controllata del credito.

    Tanto pi che l'Unione si data due istituzioni che possono ben svolgere un ruolo

    di controllo su questa materia: il Consiglio europeo per il rischio sistemico e la

    nuova autorit di vigilanza bancaria.

    Debiti e deficit occupano da sempre il centro della scena nel dibattito di politicaeconomica in Europa, con la implicita assunzione che la disciplina fiscale sia lacondizione fondamentale per la stabilit dell'Unione.

    I PECCATI NON SANZIONATI

    Ma il pasticcio del bilancio greco stato solo la causa occasionale della crisirecente: le sue radici profonde non sono di natura fiscale. Irlanda e Spagna, con iloro bassi deficit (addirittura con surplus in alcuni anni) e livelli di debitopubblico ben al di sotto del 60 per cento, venivano considerate esemplari per la

    loro virt fiscale. I loro peccati passavano inosservati perch erano di naturadiversa.

    In entrambi i paesi una straordinaria espansione del credito alimentava crescentisquilibri esterni e interni. Il rapporto del debito privato interno sul Pil raddoppiavanegli otto anni fino al 2008; il debito delle famiglie in rapporto al redditodisponibile saliva di 50 punti in Spagna e di 90 punti in Irlanda in soli sei anni. Ilcredito, sostenuto da banche nazionali che raccoglievano fondi nella zona euro ein particolare in Germania, finanziava un boom dell'edilizia residenziale e uneccesso di offerta sul mercato immobiliare. Poich l'euro stato determinante in

    questa insostenibile evoluzione, il crollo dei due paesi ha messo in dubbio lasolidit e persino la sopravvivenza della moneta unica.

    La Commissione europea, che, in nome della convergenza, non aveva ravvisatoalcun motivo di preoccupazione nelle modalit di crescita in quei paesi, riconosceora che la disciplina di bilancio non basta affatto a garantire la stabilit dell'euro.Due proposte di regolamento, pubblicate il 29 settembre (insieme a quelle suideficit eccessivi), si occupano della prevenzione e correzione degli squilibrimacroeconomici e stabiliscono una procedura per squilibrio eccessivo.Riteniamo che la Commissione si sia impegnata in un esercizio vuoto e inutile. (1)

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    UN ESERCIZIO VUOTO E INUTILE

    I regolamenti proposti prevedono una tabella (scoreboard) composta da un

    insieme di indicatori macroeconomici e macrofinanziari volti a identificare glisquilibri che gravano sull'economia di uno Stato membro o dell'Unione. Ilraggiungimento di livelli di allarme dovrebbe dar luogo a una successione diesami e di raccomandazioni che potrebbero concludersi con l'apertura di unaprocedura per squilibrio eccessivo. Uno Stato che rifiutasse di adeguarsi alleindicazioni del Consiglio potrebbe essere sanzionato con una multa dello 0,1 percento del Pil. Questa complicata procedura si espone a tre obiezioni di base.Primo, non vengono specificati gli indicatori da prendere in considerazione:misure delle posizioni esterne, competitivit di prezzo o di costo, debito delsettore pubblico e privato sono citati nella presentazione solo a titolo di esempio.Identificare le condizioni che giustificano l'apertura di una procedura per

    squilibrio eccessivo diventa cos, e non potrebbe essere altrimenti, un'operazionefortemente discrezionale. In conseguenza si aprirebbe la possibilit di negoziatisenza fine, che prolungherebbero ancora il gi lento processo di interazione traCommissione e Consiglio.

    Secondo, diversamente da quanto accade con i deficit pubblici, talvolta difficileconcepire azioni correttive di cui si possa imporre lesecuzione. Quale rapidorimedio si pu mai suggerire quando la causa dello squilibrio esterno un calo dicompetitivit dovuto ad andamenti insoddisfacenti della produttivit (l'evoluzionedella produttivit totale dei fattori stata piatta in Spagna e in declino in Italia)?

    Terzo, l'approccio della Commissione non utilizzabile in fase di prevenzione:pu entrare in azione solo quando gli squilibri sono gi abbastanza grandi erichiede molto tempo per avere effetti.

    LA CHIAVE NEL CREDITO

    A parte deficit e debito, gli squilibri di cui dovrebbero preoccuparsi i governantisono quelli legati a un'espansione non controllata del credito. Tenere il creditosotto controllo l'unica azione efficace di prevenzione: negli anni Settanta i limitiall'espansione del credito interno erano utilizzati dall'Fmi come importante criteriodi condizionalit. Questo non tuttavia un compito della Commissione e non

    neanche compito della Bce, la cui gestione monetaria non pu essere ritagliata suiproblemi di un singolo paese.

    La buona notizia che abbiamo ora due candidati credibili a svolgere questoruolo: il Consiglio europeo per il rischio sistemico e la nuova autorit divigilanza bancaria (operativa dal 1 gennaio) sono potenzialmente in grado didisciplinare, direttamente o indirettamente, quelle regole e prassi nazionali chehanno permesso gli eccessi e di conseguenza portato alla crisi alcuni paesi,mettendo a rischio la stabilit dell'intera unione. Il Consiglio europeo per il rischiosistemico e l'autorit europea di vigilanza segnano un importante passo avanti

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    istituzionale per l'Unione: offrono un'opportunit che non dovrebbe esseresprecata.

    Happy 2011?Charles Wyplosz5 January 2011

    Is the worst of Europes crisis behind us? Or yet to come? This column looks at2011 and argues that the Eurozone crisis offers a unique chance to correct the

    dreadful mismanagement of the past year.

    2010 was a dreadful year for Europe. Yet no one expected it to be quite sodreadful. Exactly one year ago, there were good reasons to be worried aboutGreece and what a Greek sovereign debt crisis would mean for the Eurozone.Indeed, contagion to other Eurozone countries in difficult fiscal situations was adistinct possibility. So, where was the surprise? The real surprise has been thewoeful mismanagement of the crisis. The Eurozone architecture is a shambles.

    The many plans that have been mooted, in fact pre-announced but not carefullyworked out, have collapsed one after another, and the end is not in sight. Theunthinkable breakup of the euro is no longer contemplated just by those whonever believed that it could work, it is becoming a credible scenario though itmust be said not the most likely one. The Commission has been sidelined.Recovery is on hold.

    In a way, the European debt crisis is just bringing to the fore well-identifiedcracks in the Eurozone construction. These cracks were hidden by policymakers.We knew all along that fiscal discipline was left in the careless hands of nationalgovernments, that banking regulation and supervision was delegated to national

    authorities more interested in promoting national champions than in completingthe Single Market, and that crisis management would be masterminded not by theCommission but by national governments with poor analytical support. Wethought that, at least, the staunchly independent ECB would remain a beacon ofcareful and precise thinking, only to discover that monetary policy dominance the ability of a central bank to reject responsibility for enforcing the budgetconstraint is extraordinarily fragile1.

    What about 2011, then? The pessimists consider that the dominos will fall oneafter the other because the absence of a responsible European government is afatal flaw. The optimists still look forward to a change of direction that will

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    correct for past mistakes, those in the design of the Eurozone and thoseaccumulated over 2010. With every day that passes it is harder to remain in theoptimist camp. As always the situation is made worse because economists

    disagree on everything, from diagnosis to policy recommendations, leavingpanicked policymakers with the firm view that economics is largely useless andthat anything can be done if it makes good political sense. Here is a partial list ofclouded but vital economic and political issues.

    Who should enforce fiscal discipline in the Eurozone?

    The Treaty gives two mutually incompatible answers: member states aresovereign in fiscal matters; and the Stability and Growth Pact imposes limits onnational fiscal policies. We know from the experience of federal states that sub-

    federal units cannot enjoy full sovereignty. This is the deep reason for theexistence of the Pact and the intuition behind calls for a toughening of itsoperation. The creation of the 440 billion European Financial Stability Fund, andthe moral hazard implied by its rescue operations, is a federalist step that pushesus in this direction. Yet, no matter how tough the pact can be made, at the end ofthe day it clashes with national sovereignty. Either we will have the collective willto roll back national sovereignty, or current plans will founder.

    Those who defend the tough-Pact option note that, already, Greece and Irelandhave experienced such a roll-back. They are right, but the conditions imposedupon Greece and Ireland are part of a standard IMF programme, even if the

    programmes have been jointly mooted with the Commission. In addition, it is onething to impose on national sovereignty exceptionally in the midst of a crisis; it issomething else to do so routinely as part of on-going surveillance.

    Even though most people think that it is more reasonable to paper over theTreatys cracks, the crisis has shown that it is very costly, and possibly lethal.There are two clean options; explicitly limit sovereignty whenever fiscaldiscipline is in jeopardy or recognise that fiscal discipline can only be achieved atthe national level. The first option clearly requires a new treaty; it is the approachunder consideration but defining precisely how this is to be done will prove to bevery tricky and ratification by all member states is far from guaranteed. The

    second approach requires that each Eurozone member country adopts formalprocedures or rules that are known to deliver fiscal discipline, the most obviousbeing a German-style balanced-budget rule2. Whether this can be achievedvoluntarily without a new treaty is an open question, but there should be littleobjection to such a rule that relies purely on domestic agreements.

    How should a sovereign debt restructuring be handled?

    The crisis has also brought home the fact that sovereign debt defaults cannot beruled out, even in todays Europe. When the discipline problem is solved, in oneof two ways suggested above, the issue will be moot, but this is bound to takesome time and we have to go through 2011 better equipped than in 2010.

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    Again, the question here is the same: Should any debt restructuring be left to thediscretion of each country? Or should there be a collective constraint because it isa matter of common concern, to paraphrase the Treaty? In fact, here too, weface a contradiction between two logics of the Treaty: collective interest andnational sovereignty.

    There are two valid arguments for making debt restructuring a collective issue: anexternality and conditionality. The externality arises if one countrys restructuringraises alarm in the markets and adversely affects other Eurozone membercountries. This argument must be made more precise, however. What exactlywould be the channel(s) of contagion? No one believes, it seems, that a debtrestructuring of California would trigger contagion within the US dollar area, sothis is not a common currency effect. Several assumptions can be entertained, allof which rest on multiple equilibria. It could be that markets expect somecollective support from other countries, leading them to seek a clarification. Inthis case, the first best response is to offer such clarification ex ante. It could bethat markets fear that some Eurozone banks would suffer large losses, whichcould be socialised thus weakening the corresponding governments. Here the firstbest response is to strengthen the exposed banks through adequate recapitalisationand, failing that, to design bank resolution processes that would protect thedepositors with limited costs to taxpayers. Alternatively, it could be that marketspanic as they realise that Eurozone sovereign debts are riskier than hithertobelieved. This is not really convincing when we look at the spreads, which canonly correspond to default risk. At any rate, the first best solution is for all

    countries to come up with credible debt stabilisation plans, precisely thealternative envisioned in the previous section.

    The other argument, conditionality, is the basis of current bail-in discussions: ifand when a country needs to be supported by Eurozone taxpayers, it would makesense that creditors also be asked to chip in. In the future, therefore, any bail-outoperation financed by the successor to the European Financial Stability Fundwould involve an obligation to restructure the debt. This is a powerful argument,so powerful in fact that it is surprising that it is not being applied to current andforthcom