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EMATOLOGIA L’Ematologia studia varie affezioni e come esse modificano diversi parametri del sangue. Si avvale di più metodiche strumentali; prima degli anni ’70 la conta delle cellule del sangue veniva effettuata a vista per mezzo del microscopio ottico su striscio di sangue, mentre in tempi più recenti più raffinate metodiche strumentali hanno permesso di automatizzare il processo in un esame detto EMOGAMMA Il campione di sangue viene messo in una macchina ove diversi canali di aspirazione sottopongono porzioni di questo a diversi procedimenti, esaminando: l’EMOGLOBINA , di cui è valutata la CONCENTRAZIONE tramite LISI DEGLI ERITROCITI e misurazione della DENSITA’ OTTICA DEL PIGMENTO Hb con uno spettrofotometro. I valori normali sono 14-18 g/dl nell’uomo adulto, 11-15 g/dl nella donna adulta prima della menopausa. il N° di GLOBULI ROSSI (contati con luce laser) l’EMATOCRITO ovvero il rapporto tra i volumi della COMPONENTE CORPUSCOLATA e del SANGUE. Il range della normalità è 40-45% (per l’Harrison: 4-53% nell’uomo, 34-46% nella donna) Da questi tre valori sono dedotti tre parametri clinicamente rilevanti: - il M ean C ell V olume (volume corpuscolare medio) dato da Volume dei Globuli Rossi/ N° dei Globuli Rossi (per l’Harrison: Ematocrito x 10/ Conta dei Globuli Rossi x 10^6), normalmente tra 82 e 98 femptolitri - la M ean C ell H emoglobin (emoglobina corpuscolare media) data da Emoglobina / N° dei Globuli Rossi (secondo l’Harrison: Emoglobina x 10/ Conta dei Globuli Rossi x 10^6), normalmente tra 27 e 33 picogrammi - la M ean C ell H emoglobin C oncentration (concentrazione dell’emoglobina corpuscolare media) data da MCH/MCV, normalmente tra 31 e 35% Sono parametri importanti perché inquadrano le anemie come microcitiche (ad es.: talassemie, anemie croniche, deficienza di ferro), normocitiche (ad es. emorragie, anemie croniche, nefropatie, deficienza di ferro, folato o vit. b12 in fase precoce, epatopatia cronica, mielodisplasie) e macrocitiche (ad es. deficienza di folato o vit. b12, mielodisplasie) o ipocromiche, normocromiche o ipercromiche. E’ tuttavia importante tenere a mente che si tratta di medie matematiche e in quanto tali suscettibili di errori : se un paziente con anemia microcitica, ad esempio, sarà trasfuso, poiché i globuli rossi conservati a basse temperature “invecchiano” e aumentano di 1

APPUNTI ematologia

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EMATOLOGIAL’Ematologia studia varie affezioni e come esse modificano diversi parametri del sangue. Si avvale di più metodiche strumentali; prima degli anni ’70 la conta delle cellule del sangue veniva effettuata a vista per mezzo del microscopio ottico su striscio di sangue, mentre in tempi più recenti più raffinate metodiche strumentali hanno permesso di automatizzare il processo in un esame detto

EMOGAMMA

Il campione di sangue viene messo in una macchina ove diversi canali di aspirazione sottopongono porzioni di questo a diversi procedimenti,

esaminando:

l’EMOGLOBINA, di cui è valutata la CONCENTRAZIONE tramite LISI DEGLI ERITROCITI e misurazione della DENSITA’ OTTICA DEL PIGMENTO Hb con uno spettrofotometro. I valori normali sono 14-18 g/dl nell’uomo adulto, 11-15 g/dl nella donna adulta prima della menopausa.

il N° di GLOBULI ROSSI (contati con luce laser)

l’EMATOCRITO ovvero il rapporto tra i volumi della COMPONENTE CORPUSCOLATA e del SANGUE.Il range della normalità è 40-45% (per l’Harrison: 4-53% nell’uomo, 34-46% nella donna)

Da questi tre valori sono dedotti tre parametri clinicamente rilevanti:

- il M ean C ell V olume (volume corpuscolare medio) dato da Volume dei Globuli Rossi/ N° dei Globuli Rossi (per l’Harrison: Ematocrito x 10/ Conta dei Globuli Rossi x 10^6), normalmente tra 82 e 98 femptolitri

- la M ean C ell H emoglobin (emoglobina corpuscolare media) data da Emoglobina / N° dei Globuli Rossi (secondo l’Harrison: Emoglobina x 10/ Conta dei Globuli Rossi x 10^6), normalmente tra 27 e 33 picogrammi- la M ean C ell H emoglobin C oncentration (concentrazione dell’emoglobina corpuscolare media) data da MCH/MCV, normalmente tra 31 e 35%

Sono parametri importanti perché inquadrano le anemie come microcitiche (ad es.: talassemie, anemie croniche, deficienza di ferro), normocitiche (ad es. emorragie, anemie croniche, nefropatie, deficienza di ferro, folato o vit. b12 in fase precoce, epatopatia cronica, mielodisplasie) e macrocitiche (ad es. deficienza di folato o vit. b12, mielodisplasie) o ipocromiche, normocromiche o ipercromiche.

E’ tuttavia importante tenere a mente che si tratta di medie matematiche e in quanto tali suscettibili di errori:

se un paziente con anemia microcitica, ad esempio, sarà trasfuso, poiché i globuli rossi conservati a basse temperature “invecchiano” e aumentano di

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dimensione, gli strumenti registreranno un’anemia normocitica misurando due popolazioni di eritrociti diverse (alcune attrezzature particolarmente sofisticate misurano con una luce laser il volume dei singoli eritrociti e mostrano all’analista la distribuzione dei volumi che sarà normalmente una gaussiana ma seguirà un andamento bimodale in un caso come il precedente).

Altri errori potranno essere commessi se si dimenticherà che si tratta di parametri relativi e non assoluti. L’Emoglobina è ad esempio misurata in g/dl, e pertanto in un paziente

- disidratato vedrò aumentare questo valore senza che sia alterata la quantità assoluta dell’Hb, o viceversa mi troverò di fronte a un’anemia apparente durante la

- gravidanza in cui aumenta la volemia. Al contrario, un’emorragia non comporterà da principio variazioni dell’emocromo perché la perdita riguarda sangue intero; il parametro dell’Hb scenderà dopo alcune ore con la messa in atto dei meccanismi fisiologici per il ripristino della volemia.

L’esame al microscopio ottico non è praticabile come routine nel normale contesto ospedaliero, ma permette di valutare alcune caratteristiche dell’aspetto degli eritrociti che gli strumenti non prendono in considerazione, come

- l’alone centrale, che scompare nella sferocitosi e aumenta nell’anemia ipocromica

- altre alterazioni della forma (elissocitosi, piropoichilocitosi o “a pera” [sarà “a fiamma”?], stomatocitosi o “a bocca”, echinocitosi o “a riccio”, acantocitosi o “a foglia d’acanto”, codocitosi o “a campana” nei talassemici, dacriocitosi o “a lacrima” nella mielofibrosi idiopatica, falciformi nell’anemia falciforme)- schistociti eventualmente presenti(corpuscoli dati dalla frammentazione del globulorosso, che essendo plastico non esplode. Dovuti un tempo alla dialisi)- inclusioni presenti (come frammenti di nucleo o ribosomi) o di punteggiature (come nell’intossicazione da piombo).

il N° di GLOBULI BIANCHI, normalmente tra 4.300 e 10.800/mm3. Grazie alle moderne tecniche di citofluorimetria è possibile anche la conta differenziale delle diverse popolazioni leucocitarie, che gli strumenti misurano in percentuale; normalmente

GRANULOCITI - NEUTROFILI: 66-70% (per l’Harrison 45-74%)(valori fluttuanti, aumentano in tutti i processi flogistici)- EOSINOFILI: 2-3% (per l’Harrison 0-7%)(aumentano in corso di parassitosi, di gravi fenomeni allergici, in alcuni casi di morbo di Hodgkin, in rare sindromi eosinofile idiopatiche)- BASOFILI: 0-2%

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(aumentano solo nel contesto di sindromi mieloproliferative, mai isolatamente)LINFOCITI: 20% (per l’Harrison 16-45%)(diminuiscono per AIDS o in alcune malattie congenite, aumentano per processi neoplastici, specialmente a carico dei linfociti B)MONOCITI: 5-10%(aumentano in corso di vari processi flogistici, o per neoplasie)

I valori percentuali non devono trarre in inganno, e sono da correlare alla conta dei leucociti; ad esempio un riscontro di 70% linfociti e 20% di neutrofili, significherà neutropenia in quadro di leucopenia e linfocitosi in un quadro di leucocitosi.

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Il N° di PIASTRINE, valutato nei sistemi automatizzati registrando il numero di corpuscoli inferiori ai 3 micron. Il N° di Piastrine normalmente oscilla tra 200.000 e 400.000/mm3. Si parla di piastrinopenia per valori inferiori alle 100.000, ma la soglia emorragica è valutata intorno alle 30.000 e la trasfusione è indicata sotto le 20.000. Per valori inferiori a 10.000 la sindrome emorragica (con estrema facilità di sanguinamento, ad esempio gengivale dopo pulizia dei denti, e porpora) è inevitabile.Sopra le 400.000 piastrine/mm3 avremo trombocitosi, che dà segni di sé sopra le 600.000. Avremo trombocitosi importanti (con valori superiori al milione) in processi flogistici e dopo splenectomia, ma si tratterà di fenomeni transitori; preoccupano soprattutto aumenti sine causa e step by step, (ad esempio: 50.000 piastrine in pù ad ogni prelievo) tipici delle malattie mieloproliferative croniche.

ErroriIl sistema è suscettibile di errori (PSEUDOPIASTRINOPENIA) in quanto in alcuni casi l’EDTA, il chelante del calcio usato normalmente per decoagulare i campioni di sangue, può causare aggregazione piastrinica. Gli aggregati così formati avranno dimensioni di 20-30 micron e non saranno ovviamente contati dagli strumenti, dando alla conta delle piastrine valori inferiori alle 10.000/mm3, non compatibili con un paziente sano. Starà all’acume del medico o all’attenzione del laboratorista (che può sottoporre il campione di sangue a un esame microscopico riscontrando facilmente la presenza di aggregati) individuare l’errore e ripetere l’esame utilizzando come decoagulante CPT o Sodio Citrato o prelevando il sangue al paziente direttamente nel laboratorio.

Un parametro importante che NON è disponibile nei risultati della strumentazione automatizzata è quello dei RETICOLOCITI.E’ un nome vecchio usato per indicare globuli rossi con alcuni granuli ad apparenza reticolare, dati da residui di nucleo e di Golgi. Trattasi di PROERITROCITI, in cui normalmente questi granuli precipitano in prossimità della membrana e vengono eliminati dai macrofagi che “mangiano” una porzione dell’eritrocita (pitting).

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Possono essere contati SOLO con l’esame microscopico, e vengono normalmente misurati in millesimi: i valori fisiologici sono di 2-10 reticolociti ogni 1000 eritrociti.

− Il loro aumento determina un AUMENTO dell’ERITROPOIESI (emolisi e emorragie, aumento della PERDITA di eritrociti, con conseguente aumento del turnover),− la loro diminuzione una DIMINUZIONE dell'ERITROPOIESI(riduzione della PROLIFERAZIONE), e sono dunque un parametro utile a inquadrare un caso di anemia: Questa RIDUZIONE della PROLIFERAZIONE sarà più o meno selettiva a seconda della sede del blocco nell’emopoiesi.

Alcune malattie colpiranno l’emopoiesi nel suo complesso causando oltre ad anemia leucopenia, come le ANEMIE APLASTICHE (caratterizzate da conservazione del MCV), più correttamente per il suddetto motivo dette aplasie midollari o le MIELODISPLASIE (in cui il MCV tende a salire);

altre malattie colpiranno selettivamente la linea eritroide, comel’APLASIA SELETTIVA della SERIE ROSSA (Pure Red Cell Aplasy) che è una malattia acquisita, oforme congenite come le ANEMIE DISERITROPOIETICHE IDIOPATICHE CONGENITE, ol’INSUFFICIENZA RENALE CRONICA che comporta una riduzione dell’EPO, l’ormone che stimola la differenziazione delle BfU-E in globuli rossi dando un’anemia normocromica e normocitica, oalcune PORFIRIE causate da una ridotta eritropoiesi oALTERAZIONI dell’EMOGLOBINA, in primis le talassemie.

Le anemie da alterazione del DNA, costituite dai DEFICIT di FOLATI o di VITAMINA B12, colpiranno tutte le linee cellulari caratterizzate da una replicazione attiva, ovvero globuli rossi ma anche piastrine, neutrofili e monociti.

Avremo invece AUMENTO della PERDITA nelle anemie EMORRAGICHEo EMOLITICHE, distinte a loro volta tra emolisi perALTERAZIONE ESTRINSECA,− il cui prototipo è l’ANEMIA EMOLITICA AUTOIMMUNE, ma che può essere dovuta anche da− AGENTI CHIMICI come metalli pesanti quali piombo, tallio, rame, quest’ultimo responsabile del morbo di Winsow caratterizzato da cirrosi epatica e da anemia emolitica talora fulminante,− AGENTI FISICI, in primis ustioni,− AGENTI MECCANICI come nel caso di protesi valvolari (specialmente della valvola aortica, poiché a livello di mitrale la pressione è più bassa e il rischio minore) o aortiche imperfette o danneggiate, che possono essere responsabili di lievi anemie, o grandi angiomi che coinvolgano grossi vasi (ad esempio angiomi congeniti che causano sindromi emolitiche dopo la pubertà), ma anche emoglobinuria da marcia (in soldati e maratoneti) o sindromi simili nei lottatori di karate e nei suonatori di tamburo giapponesi, e

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− AGENTI INFETTIVI: l’emolisi è possibile in corso di infezione da meningococco o da altri batteri, ma è caratteristica della malaria (dove l’anemia è aggravata dalla splenomegalia e da altri fattori) ALTERAZIONE INTRINSECA di:

− MEMBRANA (sferocitosi e affini…),− degli ENZIMI, che nell’eritrocita sono quelli implicati nel ciclo della glicolisi anaerobia e dello shunt dei pentosi (il prototipo è il FAVISMO, ovvero deficiti della G6P-deidrogenasi), − dell’EMOGLOBINA (essendo in questo caso l’emolisi causata dalla precipitazione di Hb instabili, come nel caso dell’ANEMIA FALCIFORME).

Un caso particolare la cui patogenesi non è chiara è l’ANEMIA da FLOGOSI CRONICA o da INVASIONE NEOPLASTICA MIDOLLARE (ad esempio nel caso di micrometastasi di melanoma o di carcinoma polmonare che non giustificherebbero di per sé una significativa riduzione dell’emopoiesi). Probabilmente, è dovuta da un’alterazione dei livelli di citochine che determina una depressione dell’eritropoiesi.Queste forme sono caratterizzate da una riduzione della sideremia associata ad un aumento dei livelli ematici di ferritina.

L’ematologia si avvale infine di due esami a carico del midollo osseo:lo STRISCIO MIDOLLARE, che analizza la citologia, con la possibilità di tipizzare gli elementi cellulari tramite citofluorimetriae la BIOPSIA OSSEA che analizza l’istologia del midollo, ma che ha importanti limiti dati dai procedimenti a cui deve essere sottoposto il campione (ovvero decalcificazione). Può tuttavia essere utile per studiare la struttura in generale (il rapporto ad esempio tra tessuto emopoietico e adiposo, o tra linea rossa e linea bianca), che è caratterizzata da “isole eritroblastiche” e sparse cellule progenitrici della linea mieloide megacariocitaria, o per riscontrare la presenza di infiltrati di varia natura.

LE APLASIE MIDOLLARI

Dette anche, impropriamente (come abbiamo visto), ANEMIE APLASTICHE, sono condizioni in cui il tessuto emopoietico è sostituito da tessuto adiposo.Tale aplasia può essere congenita o acquista, o anche distinta a seconda dell’Eziopatogenesi in

IDIOPATICA,- costituzionale (cioè appunto congenita)- acquisita (come nel 90% di tutte le aplasie midollari!)

SECONDARIADa- agenti fisici, come RADIAZIONI (che comportano un’aplasia dose-correlata che per esposizioni di 10 gray, corrispondenti a 1000 RAD, determina una mortalità del 100%)

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- agenti chimici, come il benzene o alcuni FARMACI; nonostante siano numerose le segnalazioni di aplasie farmaco-indotte, la correlazione è effettivamente documentata per pochi casi (in molti altri, sono proprio i sintomi di un’aplasia per lo più idiopatica a causare la prescrizione del farmaco incriminato). Se i chemioterapici antitumorali hanno intuitivamente un’azione citotossica sul midollo osseo, altri farmaci (ad es. la clorochina o alcuni FANS o anticonvulsivanti) sporadicamente su soggetti predisposti possono causare un’aplasia. L’esempio più rilevante è quello del CLORAMFENICOLO, un antimalarico un cui metabolita, analogo dell’uridina, ha un effetto citostatico e induce in tutti i pazienti una lieve anemia e leucopenia e in rari casi documentati appunto l’aplasia midollare (nonostante l’infrequenza del fenomeno è stato per questo motivo ritirato dal commercio)- agenti infettivi, nella fattispecie VIRUS. Vi sono difatti segnalazioni di aplasie in corso di EPATITE B, e inoltre è stata riconosciuta una Acute Hepatitis Associated Aplastic Anemy, che si caratterizza appunto come un’epatite che causa un aumento delle transaminasi e tende a regredire; quando il fenomeno infettivo (dovuto probabilmente a un virus non ancora identificato) è in fase di guarigione insorge una pancitopenia potenzialmente letale ma reversibile- patologie metaboliche. Sono stati molte le affezioni sospettate di una correlazione, ma l’unica associazione rilevante è con la PANCREATITE ACUTA, nel corso della quale si trovano in circolo proteasi, amilasi, lipasi, che in soggetti predisposti (5% delle pancreatiti acute) hanno un’azione lesiva sul midollo osseo. La condizione di questi pazienti, che vengono seguiti analizzando l’emocromo oltre alle amilasi, è relativamente benigna e reversibile- patologie ematologiche, come l’emoglobinuria parossistica notturna.

Abbiamo detto che il 90% delle anemie aplastiche è per idiopatica e acquisita. Diverse ipotesi sono state prese in considerazione per spiegarne l’eziopatogenesi. La malattia insorge quando le cellule staminali del tessuto emopoietico sono ridotte al 10%; poiché il loro numero si riduce normalmente con il processo dell’invecchiamento, per cui si è supposto che la predisposizione a questa malattia fosse dovuta a un BASSO NUMERO di CELLULE STAMINALI ab initio.La prevalenza nelle donne e il picco di incidenza tra 25 e 30 anni, nonché la risposta della malattia al cortisone e ad altri immunosoppressori, rendono però assai più attendibile l’ipotesi dell’EZIOLOGIA AUTOIMMUNE. Poiché non sono mai stati identificati nei soggetti malati anticorpi anti-cellule staminali, si suppone che sia interessata nella patogenesi la risposta cellulo-mediata.SintomiIl paziente lamenta da principio i sintomi dell’anemia, a cui si possono associare quelli della piastrinopenia (petecchie, porpora, ematomi spontanei) e della neutropenia (infezioni opportuniste), e l’E.O. non è dirimente identificando appunto solo il pallore cutaneo e mucosale (ed eventualmente, oviamente, i segni della sindrome emorragica o delle patologie infettive).DiagnosiPiù utile l’emocromo, caratterizzato da:anemia normocromica e normocitica,riduzione molto importante dei reticolociti (fin quasi alla totale reticolocitopenia)leucopenia con spiccata neutropenia (granulociti anche inferiori ai 100/ mm3)severa piastrinopenia.Il laboratorio inoltre riscontra:

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aumento della sideremiae della ferritina,e incremento enorme dei livelli di EPO (anche 500 volte più alti del normale), di cui non solo la secrezione è stimolata, ma è anche la captazione a essere notevolmente ridotta dalla distruzione del tessuto bersaglio.A partire da questi sospetti,si fa DIAGNOSI con la BIOPSIA OSSEA (l’aspirato prende in considerazione solo la componente cellulare),che consiste nel prelievo di una “carota” di tessuto osseo, generalmente a livello di spina iliaca post. Al microscopio si osserva la sostituzione del midollo da parte di tessuto adiposo all’interno di cui sopravvivono hot spots di tessuto emopoietico.L’aplasia è tale quando la cellularità nel midollo osseo è inferiore al 30% (altrimenti si tratta di ipoplasia). Si parla di ANEMIA APLASTICA SEVERA di fronte a un’aplasia in cui siano rispettati almeno due dei seguenti criteri:- neutrofili al di sotto dei 500/mm3- piastrine sotto le 20000- reticolociti sotto il 40000 (non mi convince, vorrebbe dire 10 millesimi!)La biopsia ossea è dirimente, se non per possibile diagnosi differenziale con la MIELODISPLASIA IPOPLASICA, che però in genere insorge in età avanzata e presenta un quadro di macrocitosi. Inoltre, la RMN può evidenziare la sostituzione del tessuto emopoietico nella spina dorsale che è caratteristico dell’aplasia midollare e non della mielodisplasia.

Esistono infine due rare sindromi ereditarie responsabili della malattia:

l’ANEMIA di FANCONIè dovuta a mutazioni dei geni responsabili di un set di proteine (FANCA, C, E, G, F) probabilmente impiegate nella riparazione del DNA (forse sono ubiquitina ligasi) e da un punto di vista biomolecolare è caratterizzata da rotture cromosomiche multiple.Oltre all’anemia aplastica e alla conseguente pancitopenia connatale, il fenotipo presenta variazioni del pigmento, bassa statura, anomalie dell’arto superiore (assenza del radio e del pollice), sordità, malformazioni cardiache e renali, ipogonadismo…E’ più frequente nei paesi anglosassoni, in Olanda e in Sud Africa

la SINDROME di ESTREN-DAMESCHEK condivide il quadro ematologico ma non il fenotipo. E’ tipica della popolazione boera sudafricana (probabilmente fenomeno “del fondatore”).

La scelta TERAPIAè condizionata dalla SEVERITA’ e dall’ETA’ del paziente.

Per un’APLASIA MODERATA (che dunque non rientri nei parametri precedentemente citati dell’aplasia severa), l’indicazione è seguire il paziente fino

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a che i sintomi non lo rendano “farmaco-dipendente”, nel senso di necessitare di ripetute trasfusioni e di antibiotici. La terapia elettiva in questo caso è l’immunosoppressione; i migliori risultati sono ottenuti con l’Anti Thymocite Globuline, anticorpi equini anti-timociti che bloccano lo sviluppo dei linfociti T, e con mAb anti-CD3. Il 50% circa degli individui risponde bene a questa terapia, con aumento della sopravvivenza, ma alta incidenza di ricadute. Alternative terapeutiche sotto studio sono gli androgeni, alcune combinazioni di fattori di crescita, la splenectomia. Nei soggetti più giovani, è consigliabile il trapianto di midollo.

Il trapianto è invece la prima scelta nell’APLASIA SEVERA, quanto meno nei bambini e nei giovani adulti. La tipizzazione dell’HLA e la ricerca di un donatore dev’essere tempestiva, perché ogni trasfusione aumenta le problematiche di graft versus host conseguenti il trapianto. Per i soggetti non trasfusi che abbiano un fratello donatore istocompatibile, la sopravvivenza a 10 anni è dell’80% (con una curva a plateau: la massima mortalità è nei primi 3 anni, chi superi questa prima fase ha bassi rischi e non va incontro a ricadute della malattia). Nei soggetti adulti con aplasia severa è comunque indicata la terapia immunosoppressiva, lasciando il trapianto come possibilità solo per i non responders (secondo l’Harrison: perché è più probabile una reazione graft versus host cronica, Pozzato fa discorso sul numero di staminali che non ho capito). Il trapianto non è mai indicato per pazienti di età superiore a 45 anni.

PURE RED CELL APLASIA

E’ come dice il nome un’aplasia selettiva della linea rossa. Può essere classificata comeACUTA, ad eziologia virale: il microorganismo implicato è il PARVOVIRUS B19 (ora ribattezzato ERITROVIRUS), responsabile della 6° malattia dell’infanzia e a diffusione ubiquitaria (l’80% della popolazione è immunizzato). In una piccola percentuale dei soggetti che entrano in contatto con questo virus, con maggiore probabilità se l’infezione avviene nell’età adulta, esso (che manifesta un tropismo per gli eritroblasti ed ha un sito di legame per la glicoforina) attacca le cellule della linea eritroide causando nel giro di pochi giorni un’anemia (con livelli di Hb anche inferiori ai 9 g/dl), reversibile (anche se a recupero lento negli adulti). E’ probabile che il tratto talassemico, la sferocitosi o la elissocitosi, la sideropenia e altre condizioni predispongano alla PRCA da eritrovirus in quanto aumentano il numero di eritroblasti e dunque la sensibilità al virus.oCRONICA, a sua volta distinguibile in-CONGENITA, nella forma di SINDROME di DIAMOND-BLACKFAN (eritroblastopenia associata a nanismo acondroplasico)e-ACQUISITA.Le eritroblastopenie acquisite croniche possono a loro volta essere distinte inASSOCIATE a TIMOMA (50% dei casi): la rilevanza di questa associazione comporta l’indicazione a una TC del mediastino dopo diagnosi di PRCA, in quanto il timoma spesso non è clinicamente evidente. Il timoma è inoltre correlato alla miastenia gravis e ad altre malattie autoimmuni; e

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NON ASSOCIATE a TIMOMA (un altro 50% dei casi). La PRCA acquisita cronica è correlata, oltre al timoma, a diverse affezioni ematologiche, infettive, neoplastiche…

La diagnosi si avvale di ASPIRATO MIDOLLARE e BIOPSIA OSSEA, che mostrano una massiccia riduzione del tessuto eritroide senza alterazioni alla cellularità né sostituzione adiposa.

La TERAPIA consiste nella TIMECTOMIA nei casi associati a timoma; tale intervento è risultato inutile nei casi non associati, che si trattano con TERAPIA STEROIDEA a basso dosaggio (2,5 g/die) che può controllare l’eritroblastopenia per molti anni.

Le MIELODISPLASIE

sono alterazioni clonali dell’emopoiesi, con una o più di una cellula staminale che mostra mutazioni che determinano RIDUZIONE o ALTERATA CRESCITA della rispettiva linea cellulare.Caratteristica di queste malattie sono le ANOMALIE MORFOLOGICHE e FUNZIONALI delle cellule che possono essere riconosciute al microscopio.Il termine generico di mielodisplasie comprende numerosi quadri con diverse caratteristiche morfologiche e soprattutto diversa prognosi, pertanto distinti da diverse classificazioni.

La classificazione FAB (French-American-British) risale al 1982 si basa sulla presenza di blasti in circolo e nel midollo, si avvale di metodiche strumentali a disposizione di tutti o quasi (dunque di esami microscopici con comuni colorazioni) e distingue:Refractory Anemia: valori parafisiologici con <1% di blasti in circolo e <5% nel midollo,Refractory Anemia with Ring Sideroblasts: valori della RA con riscontro di “sideroblasti ad anello” (si tratta probabilmente di una malattia mitocondriale che nulla ha a che fare con le mielodisplasie),Refractory Anemia with Excess Blasts: <5% di blasti in circolo e 5-20% nel midollo,RAEB in Transformation: >5% di blasti in circolo e 20-30% nel midollo. Ha poca differenza in termini di prognosi con la leucemia acuta mieloide o AML (Acute Myeloid Leukemia), definita con una presenza di blasti in circolo superiore al 30% della cellularità.La leucemia mielomonocitica cronica è definita da uno qualsiasi dei quadri precedenti con una monocitemia superiore ai 1000/mm3.

Da quando è stata proposta questa classificazione, è stata approfondita la conoscenza biomolecolare della base genetica delle mielodisplasie. Sono state identificate numerose MUTAZIONI CROMOSOMICHE implicate nell’eziopatogenesi, con diversa rilevanza anche nel determinare la prognosi e la terapia, tra cui la DELEZIONE del BRACCIO CORTO del CROMOSOMA 5 (genotipo 5q-). Questa mutazione, quando isolata, è associata a una buona prognosi in termini di

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RIDOTTA TENDENZA all’EVOLUZIONE in AML eMIGLIORATA RISPOSTA alla TERAPIA con GF vari;al contrario, quanto più complesso è il cariotipo (con accumulo di diverse anomalie citogenetiche) tanto peggiore è la prognosi.Da queste osservazioni è stato messo a punto l’International Prognostic Scoring System for Myelodisplastic Syndromes.Lo score è più FAVOREVOLE per assenza di anomalie cromosomiche, o 5q-, 20q- o Y- isolati,SFAVOREVOLE per tutte le altre anomalie citogenetiche,e TANTO PEGGIORE quanto sono SEVERE le varie CITOPENIE.

Nel 1999 infine è stata presentata dall’OMS una classificazione che distingue:RA (con o senza sideroblasti ad anello)RAEB5q- syndrome

La sindrome mielodisplasica colpisce, con rare eccezioni, pazienti anziani o molto anziani. Si presenta nell’85% dei casi come ANEMIA MACROCITICA, nei restanti come ANEMIA NORMOCITICA (un quadro di anemia microcitica NON è compatibile con una mielodisplasia), associata a LEUCOPENIA con NEUTROPENIA (non marcata come per un’anemia aplastica: granulociti a 500-1000, raramente inferiori, rara insorgenza di infezioni opportuniste) ePIASTRINOPENIA (piastrine in genere sotto le 100.000, ma raramente piastrinopenia severa e sindrome emorragica).A seconda delle linee più colpite, il quadro clinico varierà. Inoltre l’interessamento dei globuli rossi potrà produrre dei cloni talassemici o falciformi. Spesso la malattia sarà silente per molti anni, e la diagnosi sarà fatta casualmente individuando la leucopenia e l’anemia macrocitica in esami di routine; i sintomi dell’anemia possono inoltre essere disconosciuti in un soggetto anziano.I quadri più avanzati hanno invece elevata mortalità perANEMIA non CONTROLLATAEVOLUZIONE in AMLEFFETTI COLLATERALI delle RIPETUTE TRASFUSIONI.

Su sospetto di mielodisplasia si procede all’esame microscopico dello striscio di sangue, dell’aspirato midollare e della biopsia ossea, che possono evidenziare diverse anomalie tra cui:

ERITROBLASTI vacuolizzati, irregolari, con “mitosi asimmetrica” (cioè due nuclei di dimensioni diverse),NEUTROFILI con nucleo conglobato ad anello,GRANULAZIONI in fasi maturative che non le prevedono, a dimostrare un ASINCRONIA MATURATIVA (cioè un citoplasma più maturo del nucleo),CELLULE INCLASSIFICABILI (comunque sempre presenti a un certo livello nel midollo);in quadri più evoluti e altamente indifferenziati ancheCELLULE SINCIZIALI,CELLULE CIRCOLANTI in MITOSI…

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La biopsia mostra nel 90% dei casi un’iperplasia: associata a una pancitopenia è patognomonica per la sindrome mielodisplastica, ma in alcuni casi si riscontra ipoplasia. Inoltre, potrà mostrare dei cluster di anomalie (Acute Leukemia I… P… [Pozzato non si ricordava, ergo non sarà importante…]), che costituiscono un indice prognostico negativo.

La maggior parte delle sindromi mielodisplastiche sono IDIOPATICHE, ed è stato ipotizzato per spiegare l’accumulo di anomalie il coinvolgimento di diversi fattori, come farmaci, tossici ambientali, radiazioni ionizzanti, o più semplicemente l’invecchiamento.Una minoranza di mielodisplasie sono SECONDARIE alla CHEMIOTERAPIA ANTITUMORALE. Si sviluppano con un tempo di latenza generalmente compreso tra 5 e 10 anni e sono uno dei motivi che spingono a prudenza nel dosaggio delle terapie antiblastiche del paziente giovane con linfoma o leucemia.

La TERAPIA della mielodisplasia non ha molte risorse. Nei pazienti molto anziani spesso si ricorre alla sola terapia di supporto, che consiste in trasfusioni ripetute. E’ questa una condizione che presenta molti rischi per il paziente nei termini di:RISCHIO di TRASMISSIONE di AGENTI INFETTIVISOVRACCARICO MARZIALE (con tossicità epatica, gonadica, ipofisaria, pancreatica. Dev’essere accompagnata da terapia ferrochelante)IMMUNIZZAZIONE (con riduzione progressiva dell’emivita delle emazie trasfuse: cominciano a contare anche i sistemi antigenici minori)IPERSTIMOLAZIONE IMMUNITARIA fino a “exhaustion” e IMMUNODEPRESSIONE (per quanto si tenti di purificare le trasfusioni da piastrine e leucociti cioè dalle linee cellulari che esprimono HLA II, l’80-85% dei politrasfusi muore di infezioni opportuniste).Nei pazienti più giovani (di età cioè inferiore ai 50 anni) l’indicazione è il TRAPIANTO quando possibile. Per pazienti più anziani o pazienti a cui non si trovi un donatore compatibile, la scelta del trattamento è influenzata dallo scoring della sindrome e dunque segue la distinzione traMALATTIA ad ALTO RISCHIO che si tratta con chemioterapia d’induzione (acitidina). Quest’opzione non è percorribile nei pazienti più anziani, in cui il numero delle cellule staminali è fisiologicamente molto ridotto; eMALATTIA a BASO RISCHIO per cui l’indicazione è l’EPO (associata a G-CSF se il paziente presenta una neutropenia importante). Intuitivamente l’EPO non funzionerebbe quando, come in questo caso, i livelli di EPO sono elevatissimi, ma l’anemia risponde a dosaggi sovramassimali (40.000 unità/settimana contro le usuali 4.000), probabilmente perché il midollo nelle mielodisplasie sviluppa una resistenza a questo ormone.In quella minoranza (circa il 10%) di mielodisplasie che mostrano ipoplasia e non iperplasia, e anche per i pazienti mielodisplastici HLAII DR5 positivi, si è dimostrata utile una terapia immunosoppressiva con ATG (anticorpi anti-timociti), cortisone o ciclosporina. E’ probabile che l’eziologia di queste forme abbia una base autoimmune. Sempre in questi casi può essere utilizzato il TALIDOMIDE, che oltre ai noti effetti sedativi (e teratogeni), come si scoprì negli anni ’70-’80, ha un’azione sul sistema immune mediata dall’antagonismo per TNF e TGF vari. Oltre alla controindicazione assoluta per la gravidanza, tuttavia, questo farmaco ha importante effetti collaterali come la sedazione, la ritenzione idrica e la neuropatia periferica.

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Le ANEMIE DISERITROPOIETICHE CONGENITE (o CDA)

Trattasi di rare malattie monogeniche caratterizzate da un’anemia congenita in genere piuttosto modesta: la diagnosi viene fatta spesso dopo la pubertà, riscontrando iperbilirubinemia o un aumento della ferritina, e soprattutto MACROCITOSI.Sono state identificate tre CDA: CDA I, II e III.Ad oggi, non è stato possibile individuare il difetto genetico responsabile di queste sindromi, che tuttavia sono trasmesse con modalità mendeliana e più precisamente:CDA I e II (la più comune): ARCDA III (la più rara): ADLe caratteristiche laboratoristiche delle CDA sono:GLOBULI ROSSI che si LISANO ACIDIFICANDO il SIEROERITROBLASTI nel MIDOLLO OSSEO con DUE NUCLEI (simmetrici e rotondi, non come nelle mielodisplasie) UNITI da PONTI di CROMATINAAGGLUTINAZIONE con anti-I e anti-i.Inoltre, al microscopio elettronico, nella CDA II ERITROCITI in circolo con DOPPIA MEMBRANA, e nella CDA III si riscontrano nel midollo anche eritroblasti polinucleati.Come abbiamo detto, nei soggetti affetti l’emolisi si esprime con un aumento del ferro e della bilirubina, e inoltre eventualmente con splenomegalia ed epatomegalia.

ANEMIA da ALTERATA SINTESI del DNA

Tra le cause di alterata sintomi, le più importanti sono la carenza di VITAMINA B12 o di FOLATI.

La VITAMINA B12è una molecola complessa, suscettibile al calore, implicata (come vedremo) nella sintesi del DNA, che la maggior parte dei mammiferi non è in grado di sintetizzare dovendo pertanto assumerla con la dieta. I ruminanti però utilizzano quella prodotta dalla loro flora batterica, per questo motivo la nostra principale fonte di vitamina B12 è LA CARNE.Il fabbisogno giornaliero è di 1 mg, ma il nostro organismo ha elevata capacità di deposito di scorte per questa vitamina, per cui assumendone 1 g ed eliminandola poi dalla dieta, i segni della carenza si manifesteranno dopo 1000 giorni.

La vitamina B12 è assorbita con un complesso sistema che ne preserva l’integrità nell’apparato digerente. A livello di stomaco sono secreti il FATTORE R e il FATTORE INTRINSEFO (IF). In ambiente acido, la vitamina si lega (con legame non covalente) all’FR, dissociandosi poi nel duodeno (dove il pH diviene alcalino) per legarsi covalentemente con l’IF. La mucosa intestinale (ma NON in maniera ubiquitaria: a massime concentrazione a livello di valvola ileocecale, molto meno in altri distretti, con un gradiente crescente dall’alto verso il basso) esprime un recettore per il complesso IF-B12 che viene endocitato; nel circolo portale, degli

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enzimi distruggono l’IF, mentre la vitamina si lega alla TCII (trans-cubulamina) e, nel fegato, anche alla TCI; queste due proteine veicolano la vitamina B12 ai tessuti.

La vitamina B12 catalizza la metilazione dell’omocisteina in metionina che a sua volta trasforma il metil-tetraidrofolato in tetraidrofolato (THF). Il THF a sua volta viene trasformato in diidrofolato (DHF) nella reazione che trasforma l’URIDINA in TIMIDINA. Pertanto, vitamina B12 e folati svolgono un ruolo essenziale nella sintesi del DNA ma non intervengono nell’anabolismo dell’RNA. Sono dunque colpite le cellule in attiva replicazione e in primis l’emopoiesi: le cellule si dividono in ritardo e pertanto aumentano di volume, da cui il termine di ANEMIA MEGALOBLASTICA.Se come vedremo da un punto di vista eziologico e clinico il deficit di folati e quello di vitamina B12 sono condizioni differenti, da un punto di vista EMATOLOGICO il quadro è sovrapponibile.

CAUSE di DEFICIT della VITAMINA B12 sono…RIDOTTO APPORTO: evenienza rara nel mondo occidentale. Si trova nelle carni non surgelate, nelle uova, e nel lievito, per tanto in condizioni socio-economiche accettabile il rischio può riguardare i vegani, fenilchetonurici con dieta non ben integrata, o pazienti in nutrizione parenterale non adeguata.RIDOTTO ASSORBIMENTO:- GASTRECTOMIA (un tempo comune chirurgia demolitiva nella terapia dell’ulcera, ora resezione totale in trattamento di adenocarcinoma)- ANEMIA PERNICIOSA, ovvero produzione di anticorpi anti-cellule parietali che producono IF- RIDOTTA SECREZIONE ACIDA (acloridria, ad esempio da farmaci anti-ulcera: ma Pozzato non cita questa evenienza, se mi ricordo bene non era d’accordo)- AUMENTO della SECREZIONE ACIDA, ad esempio da adenomi benigni pancreatici che secernono gastrina (ovverossia: sindrome di Zollinger-Ellison), in cui oltre a una diatesi all’ulcera duodenale il pH della secrezione gastrica non riesce più ad essere tamponato e la vitamina B12 non si dissocia dal fattore R. Discorso simile per- RIDUZIONE della SECREZIONE PANCREATICA (ad esempio in corso di pancreatite cronica), in quanto la riduzione nella secrezione del bicarbonato ugualmente renderà difettivo il tamponamento del pH- MORBO di CROHN che colpisce costantemente l’ileo terminale dove come abbiamo detto è massima la concentrazione dei recettori per il complesso IF-B12- CELIACHIA- SINDROME dell’ANSA CIECA, ovvero la condizione per cui in soggetti con grave neuropatia diabetica, o in polioperati, un ansa si dilata senza svuotarsi permettendo la proliferazione di batteri che competono per la vitamina B12- INFESTAZIONE per il medesimo principio di competizione per la vitamina B12, in particolare per infestazione da diphyllobothrium latum (fish tapeworm) presente nel pesce crudo (questa me la ricordo di sicuro).Giusto per completezza, l’Harrison cita pure: rari difetti congeniti di IF o di TC, sindromi genetiche da malassorbimento selettivo della vitamina B12 (morbo di Imerslund-Grasbeck: mi raccomando, da imparare a memoria!), e e inoltre l’uso di alcuni farmaci come colchicina, neomicina o acido p-aminosalicilico.

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Il QUADRO EMATOLOGICO è quello di un’ANEMIA MACROCITICA che si instaura lentamente nel tempo con graduale (e CONSENSUALE) aumento dell’MCV e riduzione dell’Hb, nonché LEUCOPENIA anch’essa correlata alla macrocitosi (pure i bianchi sono macrocitici, anche se questo dato non è ovviamente mostrato dal normale emocromo) e all’anemia. Riscontrare una severa anemia con un MCV poco modificato, o un’anemia macrocitica senza leucopenia, significa ESCLUDERE dalle diagnosi il deficit di vitamina B12 (o per lo meno, escluderlo come unico motivo dell’anemia).Saranno associati RETICOLOCITOPENIA, aumento della SIDEREMIA e della FERRITINEMIA, delle LDH e della BILIRUBINEMIA (per l’aumentata mortalità degli eritroblasti a livello del midollo. La coesistenza di pallore e subittero daranno il caratteristico “colore a cera vecchia”).Altri tessuti ad alta replicazione saranno colpiti, oltre a quello emopoietico: la mucosa dell’intestino tenue e dello stomaco, difatti, si appiattirano.Rispetto ad altre cause di anemia megaloblastica, il deficit di vitamina B12 comporta caratteristici danni neurologici, mediati dalla deplezione di metionina, coinvolta in modalità non ancora chiare nel mantenimento degli sfingolipidi di membrana di SNP e SNC.La SINTOMATOLOGIA NEUROLOGICA insorge lentamente dall’inizio della carenza, e causa una demielinizzazione completa dei cordoni posteriori (colpiti in maniera selettiva dal deficit) in circa 30 anni. Il sintomo più precoce è l’IPOPALLESTESIA (cioè ridotta sensibilità vibratoria), che può evolvere (anche se ciò in occidente non accade più) fino ad ATASSIA SENSITIVA e PARALISI.

Per la DIAGNOSI è risolutiva la biopsia midollare, che mostra iperplasia con eritroblasti estremamente ingranditi con totale asincronia nucleo-citoplasma (il primo è composto da cromatina sottile, sfrangiata, il secondo è francamente basofilo).

Prendendo in considerazione isolatamente l’ANEMIA PERNICIOSA: quest’ultima è una patologia autoimmune che ha maggior incidenza nell’età anziana, nel sesso femminile e nei paesi nordici. E’ dovuta a un aggressione da parte di macrofagi e linfociti T citotossici della mucosa gastrica che causa flogosi e atrofia (la mucosa appare sottile e fragile).Nel 90% dei casi sono presenti anticorpi anti-cellule parietali (diretti verso le H+ATPasi e le K+ATPasi), nel 60% anticorpi anti-IF. E’ quasi costante il riscontro di anticorpi anti-tireoperossidasi e anti-tireoglobulina, ed è molto frequente l’associazione con tiroidite di Hashimoto (e con altre malattie autoimmuni come il morbo di Basedow, la vitiligine, l’ipoparatiroidismo e l’ipocorticosurrenalismo idiopatici). La CLINICA è costituita dal quadro del deficit di vitamina B12, si possono inoltre notare macroglossia e cheilite angolare.La biopsia fatta con EGDS mostra, all’immunofluorescenza, il deposito di anticorpi sulle cellule parietali.

La TERAPIA è la somministrazione continuativa di vitamina B12, naturalmente IM (all’inzio una fiala al giorno, poi ogni settimana e via via più di rado; il trattamento deve durare molto a lungo però se ci sono sintomi neurologici); non è possibile con i farmaci a nostra disposizione far regredire il fenomeno autoimmunitario. Nelle condizioni di deficit di assunzione con la dieta (sempre più rare), è sufficiente somministrare la vitamina per os. La risposta dei sintomi

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(eccezion fatta per quelli neurologici) e dei segni di laboratorio è molto rapida: nel giro di 2-3 giorni tornano alla normalità i livelli di LDH, di bilirubina e dei reticolociti, e l’emoglobina si ripristina dopo 5-6 giorni.

I FOLATI sono molecole presenti quasi ubiquitariamente negli alimenti (sono contenuti nelle cellule dove ad essi vengono legate catene di poliglutammato per impedire loro di superare la membrana cellulare), ma sono piuttosto labili, tendono ad essere distrutti da cottura e conservazione e pertanto si trovano in maggiore quantità nei cibi freschi (frutta, verdura…).Il fabbisogno è di pochi mg/die, ma, a differenza della vitamina B12, il nostro organismo non è in grado di accumularne scorte e dunque se se ne interrompe l’assunzione i segni della carenza compaiono dopo poche settimane.Il deficit di folati colpisce anch’esso la sintesi del DNA, agendo sulla stessa via metabolica ma ad un altro livello rispetto al deficit della vitamina B12, e dunque- colpendo le cellule in attiva replicazione (come quest’ultimo) ma- non causando una deplezione di metionina (e dunque senza dare conseguenze neurologiche), ma un ACCUMULO di OMOCISTEINE, che comporta un aumento dell’incidenza di fenomeni tromboembolici a livello arterioso e venoso.Quest’ultimo evento può essere influenzato dai polimorfismi della metiltetraidrofolatoreduttasi (che trasforma l’omocisteina in metionina): il 40% della popolazione è portatore in eterozigosi di una forma ipofunzionante dell’enzima, e il 10% in omozigosi (da non confondere con la mutazione dell’omocisteinuria familiare, che in omozigosi comporta morte in giovane età). Tali soggetti saranno più predisposti a sviluppare eventi trombotici in risposta a una carenza alimentare di folati; in ogni caso, l’opinione corrente è oggi che, sopra i 50 anni, è meglio assumere un eccesso di folati con la dieta.

Il deficit di folati è un problema- negli anziani malnutriti- quando c’è malassorbimento, cioè nelle forme molto gravi di Crohn (perché, a differenza della vitamina B12, sono assorbiti abbastanza uniformemente in tutto il tenue) e nei celiaci- nelle situazioni di iperconsumo di folati, cioè GRAVIDANZA, CELIACHIA (per proliferazione delle cellule intestinali), nelle ANEMIE EMOLITICHE CRONICHE, in MALATTIE DERMATOLOGICHE (ad esempio forme gravi di pemfigo o psoriasi).

Su sospetto clinico, la DIAGNOSI si può effettuare dosando i folati nel sangue.

La somministrazione TERAPEUTICA di folati può essere fatta tranquillamente per os, anche nei soggetti con malassorbimento, in quanto se dati in formulazione pura (cioè non associati agli alimenti) la biodisponibilità è soddisfacente. Visto che l’organismo non è in grado di accumularli, la somministrazione dev’essere effettuata settimanalmente per tutta la durata della terapia.

Le TALASSEMIE

Le talassemie sono malattie monogeniche caratterizzate da un’ALTERAZIONE QUANTITATIVA della sintesi delle catene dell’emoglobina. Il nome (da thalassa,

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mare) indica la maggiore incidenza di queste condizioni nel bacino mediterraneo; in realtà, sono più frequenti in tutte le aree malariche.L’emoglobina è costituita da quattro catene, sintetizzate in coppia dal cromosoma 11 e dal cromosoma 16. Questi due cromosomi hanno delle regioni costituite dai geni che, in disposizione cronologica, codificano per le diverse catene utilizzate nel corso dell’embriogenesi (insieme ad alcuni “pseudogeni”, simili ad altri geni ma non attivi, indicati con la lettera “psi”).

Nel cromosoma 16 la sequenza è: ZETA, PSI-ZETA, PSI-ALFA2, PSI-ALFA1, ALFA2, ALFA1.Nel cromosoma 11: EPSILON, G-GAMMA, A-GAMMA, PSI-BETA, DELTA, BETA

In corrispondenza, l’emoglobina che si riscontra nel corso dell’ontogenesi è- nell’embrione: Hb Gower 1 (2 catene zeta e 2 epsilon), Hb Portland (2 zeta e 2 gamma), Hb Gower 2 (2 alfa e 2 epsilon)- nel feto: HbF (2 alfa e 2 gamma)- nell’adulto: per il 95% HbA1 (2 alfa e 2 beta), per il 5% HbA2 (2 alfa e 2 delta).Il motivo per cui nell’embrione e nel feto l’emoglobina è diverso è che l’ossigenazione del sangue avviene nella placenta e non nel polmone, per cui sono diversi i requisiti di affinità per l’O2.Dopo il parto si attivano il gene beta e, in misura minore, il gene delta, e si disattiva il gene gamma; i geni epsilon e zeta si disattivano già nelle prime settimane della gravidanza; il gene alfa è attivo durante e dopo la gestazione.

Come abbiamo detto, le talassemie corrispondono a un deficit quantitativo, che può riflettere un difetto- del gene promotore- della trascrizione- dello splicing- della traduzioneo un’instabilità post-traduzionale.Le mutazioni responsabili sono svariate, con diversa incidenza nelle diverse etnie: è dunque evidente che donano un vantaggio biologico. Tale vantaggio è stato riconosciuto in una modesta resistenza alla MALARIA, e forse ha la sua componente più importante da un punto di vista evoluzionistico in una riduzione della probabilità di malaria cerebrale nel bambino.La talassemia potrà interessare la catena alfa o la catena beta, e pertanto avremo ALFA-TALASSEMIA o BETA-TALASSEMIA (o la più rara TALASSEMIA DELTA-BETA).

Le BETA-TALASSEMIE sono le più diffuse nel bacino mediterraneo, nel medio oriente e nell’asia centrale. Possono essere dovute ad alterazione omozigote o eterozigote del gene per la catena beta nel cromosoma 11; queste alterazioni inoltre potranno causare la totale soppressione della sintesi della catena, o un deficit parziale; dunque distingueremoBETA-TALASSEMIA MAJOR (o MORBO di COOLEY) con - genotipo: B0 B0- fenotipo: 95% di HbF e 5% di HbA2 (la percentuale di HbA2 può crescere per aumentata sintesi delle catene delta, ma mai di molto)

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BETA-TALASSEMIA INTERMEDIA con- genotipo: B0 B+ o B+ B + - fenotipo: variabile da un 25% di HbA1, 70% di HbF e 5% di HbA2 a 70% di HbA1, 25% di HbF e 5% di HbA2BETA-TALASSEMIA MINIMA (o tratto talassemico)- genotipo: B+ B+- fenotipo: 90-95% HbA1, 5% di HbA2, 1-5% di HbFE’ evidente che la severità del quadro clinico dipenderà dal genotipo; se la talassemia intermedia permetterà una normale sopravvivenza (con problemi come splenomegalia e modesta anemia), e il tratto talassemico porrà esclusivamente un problema di diagnosi e genetic counseling, il morbo di Cooley è una condizione severa che comporta gravi problemi fin dalla nascita.

La PATOGENESI è mediata ovviamente dalla ridotta sintesi di catene beta che comporta- ridotta produzione di HbA (rimane solo la piccola quota di HbA2)- presenza in circolo di HbF, che ha un elevata affinità per l’02 e non lo cede ai tessuti- l’accumulo di catene alfa libere (per la minore affinità con le catene gamma che non con le catene beta) che danneggiano gli eritroblasti, che possono morire o formare eritrociti maggiormente suscettibili alla fagocitosi a livello splenico.L’IPOSSIA TISSUTALE che ne consegue, la diseritropoiesi e l’emolisi causano un aumento della secrezione di EPO da parte del rene e dunque l’iperplasia del midollo, fino, nel bambino non adeguatamente trattato, a deformazioni scheletriche multiple dovute all’abnorme emopoiesi, come:- anomalie della teca cranica (reperto radiologico del “cranio a spazzola” dovute alla formazione di trabecole ossee)- anomalie dei seni paranasali (ma l’emopoiesi può interessare virtualmente qualsiasi osso, comprese le mani)- ipertrofia delle vertebreInoltre l’eritropoiesi ectopica coinvolge anche milza e fegato, con possibile insufficienza epatica e ipersplenismo che riduce ulteriormente ridurre l’emivita degli eritrociti.Oggi non si vedono quadri così drammatici; tuttavia, anche nel bambino che riceva adeguata trasfusione si può vedere splenomegalia e progenismo per ipertrofia del mascellare.Parallelamente, la diseritropoiesi e l’emolisi, oltre a stimolare la sintesi di EPO, causano un aumento della sideremia e della ferritina che possono portare ad emocromatosi secondaria con tutte le possibili conseguenze (cirrosi, scompenso cardiaco aggravato dall’ipossia cronica, diabete mellito, ipogonadismo).

Da un punto di vista EMATOLOGICO, la malattia si manifesta come un’anemia ipocromica assai microcitica (MCV a 50, 55 femptolitri). L’esame microscopico può riscontrare globuli rossi a bersaglio, a campana, stomatociti, eritroblasti in circolo (condizione quasi esclusiva di talassemia e mielofibrosi idiopatca), e la presenza di inclusi negli eritrociti.

Il bambino alla nascita è perfettamente sano (perché le catene beta prima non sono sintetizzate comunque), ma nel giro di pochi mesi si può riscontrare un

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difetto della crescita, ittero e splenomegalia; la DIAGNOSI è confermata con l’emocromo (ma oggi è quasi sempre genetica e prenatale)

La TERAPIA trasfusionale una volta tendeva a portare l’Hb a valori accettabili (12 g/dl), attendere che scendesse sotto gli 8 ed effettuare nuovamente una trasfusione. Questa pratica però era controproducente perché permetteva la persistenza dello stimolo all’iperplasia midollare: per cui ora si opta per un regime trasfusionale intensivo e continuo (con l’eritrocitoaferesi si possono selezionare gil eritrociti più giovani che dunque sopravvivono di più) che impedisca all’Hb di scendere sotto gli 11, associato a terapia con chelanti del ferro. Oltre ad essere estremamente impegnativo, questo regime non è compatibile con condizioni generali accettabili e porta la sopravvivenza dei pazienti al massimo a 30 anni.Attualmente il golden standard è costituito da- diagnosi il più precoce possibile- trattamento trasfusionale ottimale fino a 4-5 anni- raggiunta un’età sufficiente trapianto di midollo (prima i farmaci citotossici che si devono associare causerebbero gravi deficit della crescita).Tuttavia sono evidenti i disagi di questo trattamento, e inoltre il trapianto è un intervento invasivo che ha una mortalità che si avvicina al 10%. La migliore terapia è dunque la prevenzione con genetic counseling, che ha quasi azzerato la nascita di bambini con morbo di Cooley: attualmente nei centri specializzati del nostro paese una buona parte dei pazienti in cura sono stranieri.

Questa problematica mostra come sia importante la DIAGNOSI- della talassemia intermedia: si sospetta su lieve anemia, ipersideremia e iperbilirubinemia, e si conferma con elettroforesi dell’emoglobina che mostra la percentuale di HbA1 e HbA2- del tratto talassemico: diagnosi ardua, in quanto l’HbF può essere praticamente non dosabile e gli unici dati di laboratorio sono una lieve microcitosi e un modesto aumento della ferritina. Il sospetto può sorgere somministrando ferro e notando che non aumenta l’MCV.

Le ALFA-TALASSEMIE sono molto diffuse nel sud-est asiatico (la mutazione di un singolo gene riguarda il 50% degli abitanti di Laos, Cambogia e Birmania). Il genotipo è più complesso rispetto alle beta-talassemie perché la catena alfa dell’emoglobina è codificata da due geni: alfa1 e alfa2.Dunque distinguiamo- soggetto omozigote per la delezione di entrambi i geni, destinato a morte intrauterina per idrope fetale (poiché la catena alfa entra anche nella composizione dell’HbF!)- un solo gene colpito: soggetto completamente asintomatico- tratto alfa-talassemico per due geni colpiti- talassemia intermedia: corrisponde a un genotipo con tre geni colpiti. E’ anche detta malattia dell’HbH, in quanto caratterizzata dalla formazione di tetrametri di catene beta (chiamati appunto emoglobina H) che precipitano all’interno degli eritrociti causandone la distruzione. Rispetto alla beta-talassemia, prevale l’aspetto emolitico ed è più spesso presente ittero.

Un terzo caso di talassemia è costituito dalla (rara) TALASSEMIA DELTA-BETA in cui un errato crossing over unisce i geni della catena delta e della catena beta,

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formando un emoglobina detta Hb Lepore. Da un punto di vista CLINICO si tratta di una modesta anemia microcitica.

Il METABOLISMO del FERRO

Il ferro è contenuto nel nostro organismo in quantità di circa 4 g, di cui due terzi nell’eme dell’emoglobina, 1 g nel fegato e nel sistema del reticolo endotelio come scorta, e una quota minore nella mioglobina e in diversi enzimi.Ogni giorno assumiamo e perdiamo circa 0,5 mg di ferro. Il bilancio tende ad essere positivo, nei paesi occidentali, per i maschi; le donne prima della menopausa invece perdono ogni ciclo anche 50-80 mg di ferro per cui tendono ad avere un bilancio in negativo.Sono diversi gli alimenti che lo contengono, ma con diversa biodisponibilità: la più importante fonte è la carne, mentre quello di frutta secca e spinaci (che ne sono ricchi) è assorbito solo al 5%. Alcuni alimenti ne favoriscono l’assorbimento (come gli agrumi), altri lo inibiscono (come gli ossalati della cicoria o di altre verdure, e i tannati presenti nel tè). L’assorbimento è inoltre aumentato dalla secrezione gastrica, ma non l’inibizione di quest’ultima con i farmaci anti-acidi non provoca problemi clinicamente rilevanti.L’assorbimento avviene nel seguente modo:1) viene trasformato dalla ferrico deidrogenasi da Fe3+ a Fe2+2) entra nelle cellule tramite la DMT1; all’interno della cellula si lega alla FERRITINA3) tramite la FERROPORTINA viene trasportato nel sangue portale ove l’efestina lo ritrasforma in Fe3+La regolazione del metabolismo avviene a livello di ferroportina, che è un sistema di trasporto attivo inibito dall’eccesso di ferro; in questo modo, l’enterocita continua ad accumulare ferro (perché il canale DMT1 è prettamente gradiente-dipendente) ma questo non è assorbito dall’organismo, e in ultima analisi è eliminato nelle feci con la desquamazione della mucosa intestinale. In caso di carenza, il ferro è rapidamente assorbito e con le feci si eliminano cellule quasi completamente prive di ferro. Normalmente, lo stato del ferro è in una condizione intermedia e ne eliminiamo con le feci ogni giorno 0,5 mg.Nel sangue portale il Fe3+ si lega alla TRANSFERRINA (che è una proteina plasmatica sintetizzata nel fegato) ed entra nelle cellule dopo che il complesso Fe3+-transferrina si è legato a un apposito recettore. Nelle cellule il ferro è in parte utilizzato nei mitocondri, in parte accumulato nella ferritina che costituisce un guscio proteico in grado di contenerne fino a 4500 atomi. La sintesi di ferritina, che avviene in tutte le cellule, aumenta in funzione della sideremia (e anche in corso di flogosi per effetto del TNF). Questo sistema di regolazione si basa su un meccanismo post-trascrizionale: l’RNA della ferritina viene prodotto in maniera indipendente al ferro, ma ha un’ansa che si lega a proteine legate al ferro detta Iron Responding Element, aumentando la sintesi proteica (una rara mutazione a carico dell’IRE provoca una malattia caratterizzata da un aumento di ferritina con normale sideremia e transferrina desaturata). Al contempo, le stesse proteine legate al ferro con meccanismo simile ma effetti opposti inibiscono la sintesi di transferrina a partire dall’mRNA.Recentemente si è scoperta una proteina, l’epcidina, che costituisce il principale regolatore dell’omeostasi mediando la modulazione della ferroportina, dell’efestina

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e della liberazione di ferro da parte dei macrofagi; la mutazione di tale proteina può causare una forma di emocromatosi.

Visto che la ferritina (nonché la piccola quota che finisce in circolo) aumenta in funzione della sideremia, normalmente ciò che si dosa in laboratorio è la FERRITINEMIA, non il ferro stesso, perché richiederebbe un processo più complesso (bisognerebbe separare lo ione ferro dalle proteine, e inoltre l’eventuale emolisi del campione aumenterebbe il parametro).

Le principali cause di CARENZA di FERRO sono:- ridotta assunzione- mancato assorbimento: a parte rari casi di mutazioni alla DMT1 ciò accade tipicamente nella celiachia, che può dare un’anemia sideropenica con scarsa risposta alla somministrazione di ferro- aumentata perdita, per emorragia cronica. Quando questa avviene a livello del tratto respiratorio, o genitourinario è difficile anemizzarsi perché ci si rivolge prontamente al medico, mentre è evento comune per sanguinamento gastrointestinale.Bisogna ricordare che, anche se la maggior parte del ferro è legato all’emoglobina, esso è contenuto anche nei citocromi presenti in tutte le cellule e in altri enzimi, per cui la sideropenia non si riflette solo con un’anemia ma anche con un’astenia sproporzionata ai livelli di Hb, che può essere associata a difficoltà di concentrazione, insonnia, nervosismo. E’ emblematico di ciò l’esempio dei pazienti policitemici che sono salassati e dunque cronicamente sideropenici; nonostante l’Hb a 14, 14 g/dl lamentano astenia.

L’eccesso di ferro è responsabile di danni cronici all’organismo che definiscono una malattia detta EMOCROMATOSI.

In base all’EZIOLOGIA, essa può essere distinta in:- PRIMITIVA, che è una malattia monogenica assai frequente- SECONDARIA, legata ad anemia emolitica cronica, aumento di assunzione e soprattutto trasfusioni ripetute.Prima di identificare il gene dell’emocromatosi ereditaria si era notata un’associazione con aplotipi HLA, che rifletteva la vicinanza del gene interessato alla corrispondente regione. Difatti si trattava del gene HFE, conosciuto precedentemente come Hla-H: l’80% dei malati di emocromatosi mostrano una mutazione omozigote dovuta alla sostituzione di una cisteina con una tirosina (detta mutazione C282Y), il restante 20% una diversa mutazione sempre omozigote a carico dell’HFE (sostituzione di un istidina con un aspartato) o mutazioni più rare (in eterozigosi).Più precisamente, queste mutazioni riguardano l’emocromatosi di tipo I, che è molto comune, e si manifesta nell’adulto. Diverse mutazioni, legate ad altri geni, colpiscono poche famiglie nel mondo e causano emocromatosi a insorgenza infantile, come la mutazione del recettore della ferritina, o della emogiuvenilina, dell’epcidina, della ferroportina (in quest’ultima condizione il ferro si accumula nei macrofagi epatici).L’HFE è una proteina HLA-simile che probabilmente regola la produzione di epcidina (i cui livelli sono ridotti negli affetti) e che agisce legata alla beta2-microglobulina (difatti i ratti knock-out per la microglobulina sviluppano

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emocromatosi). La mutazione più comune (C282Y) causa una totale perdita di funzione e in omozigosi comporta quasi sempre la malattia, mentre la mutazione asphys causa un deficit parziale; i portatori sviluppano la malattia solo se assumono grandi quantità di ferro (esempio classico: gli australiani gran mangiatori di carne e di birra contenuta in barili di ferro). La mutazione C282Y è molto diffusa, con una prevalenza che ha un gradiente tra le popolazioni anglosassoni e il sud e l’est del mondo. In alcune regioni dell’inghilterra orientale il 2,9% della popolazione è omozigote, in genere nel Regno Unito la percentuale di eterozigoti è del 6% (del 9% in Australia), mentre in Asia gli eterozigoti sono solo lo 0,3%; si è ipotizzato che la mutazione fosse molto rappresentata nelle popolazioni celtiche.L’estrema diffusione della mutazione dimostra che ha un vantaggio biologico; è evidente che quando l’età media era di 50 anni e la disponibilità di carne scarsa, un eccesso di ferro era vantaggioso (specie per le donne incinte) e le alterazioni a lungo termine di scarsa rilevanza evoluzionistica.

Il QUADRO CLINICO dell’emocromatosi è difatti legato ai danni cronici da accumulo del ferro a livello di- FEGATO, maggiormente interessato per effetto di primo passaggio, dove causa cirrosi e aumento del rischio di carcinoma, e il reperto anatomopatologico caratteristico di colorazione nera. Si tratta di un problema rilevante nel paziente con emocromatosi, ma è un danno reversibile- PANCREAS, dove causa una lieve (e spesso asintomatica) carenza endocrina ma una più rilevante insufficienza endocrina che si esplica come diabete- CUORE (danno irreversibile)- GONADI con impotentia coeundi e generandi- CUTE il cui colorito è brunastro e nei casi più avanzati verdastro (forse anche per danno all’ipofisi e alterazioni dell’ormone melanotropo). Per questo motivo la malattia era un tempo detta “diabete bronzino” - meno frequentemente ARTICOLAZIONI

La TERAPIA dev’essere preventiva, e intervenire in primis sulle abitudini alimentari, riducendo l’uso di carne e aumentando l’assunzione di sostanze che riducono l’assorbimento del ferro (tipo il tè); in seconda battuta, bisogna praticare SALASSI fino a portare la ferritina almeno sotto le 100 U/ml (e preferibilmente sotto le 50), almeno tre volte all’anno stando attenti a non causare una deplezione di proteine. Il sangue così prelevato può essere utilizzato nelle trasfusioni (ma non può essere dato a epatopatico, cardiopatico o persona affetta da anemia emolitica cronica). Se il salasso non è praticabile si possono utilizzare, con efficacia molto minore, farmaci chelanti del ferro.

Le ANEMIE EMOLITICHE

Le anemie emolitiche possono essere distinte, a seconda dell’eziologia, in - emolisi da cause estrinseche- emolisi da cause intrinseche: queste ultime possono essere l’alterazione CONGENITA a carico di membrana, enzimi o emoglobina, o un’alterazione ACQUISITA (è il caso dell’emoglobinuria parossistica notturna)

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ANEMIE EMOLITICHE da ALTERAZIONI della MEMBRANA

La membrana degli eritrociti è una struttura importante, stabilizzata da un complesso sistema proteico e non esclusivamente dalla tensione osmotica, che permette ai globuli rossi di contrarsi e rilasciarsi. Le proteine di questo sistema sono state studiate eliminando il contenuto degli eritrociti e praticando un’elettroforesi; la prima ad essere riconosciuta è stata chiamata SPECTRINA, perché appunto presente in queste ghost cell. La spectrina (che è una fibra composta da dimeri alfa e beta) costituisce una rete ancorata alla membrana tramite anchirina, elementi contrattili (actina e miosina) e proteine chiamate (a seconda della migrazione in elettroforesi) proteina della banda 3, proteina della banda 4,2, proteina della banda 4,1.

Varie alterazioni genetiche di questo sistema causano SFEROCITOSI EREDITARIA.La PATOGENESI della sferocitosi è dovuta al fatto che il deficit delle proteine che stabilizzano la membrana causa la perdita di vescicole di lipidi e la riduzione della superficie dell’eritrocita che per mantenere il volume cambia la forma da lente biconcava a sfera.Nelle nostre regioni, la mutazione è a carico- dell’ankirina (60%)- della spectrina (15%)- della pallidina (6%)- della banda 3 (20%)Si tratta di malattie per lo più trasmesse con modalità AD (per dominanza negativa), abbastanza frequenti (nel complesso hanno una prevalenza di 1/2500) ma sostanzialmente benigne e spesso asintomatiche. Solo una piccola percentuale dei portatori ha effettivamente un’anemia; generalmente la diagnosi si fonda su un subittero. Le manifestazioni cliniche più rilevanti sono la maggiore incidenza di eritropenie da parvovirus B19 e, nei pazienti anziani, l’insorgenza di ulcere pretibiali.Una condizione clinica più importante (che comunque richiede infrequentemente trasfusioni) è la combinazione di due diverse mutazioni, che si manifesta con aumento importante dei reticolociti, cospicua splenomegalia, aumento della bilirubinemia indiretta (tipicamente dopo la pubertà perché la bilirubina compete a livello epatico con gli ormoni sessuali. Questo fenomeno va in dd con la sindrome di Gilbert).

Per la DIAGNOSI, l’esame microscopico non è molto affidabile e, d’altra parte, lo studio dei geni e delle proteine è costoso e molto complicato. Il metodo più efficace ed economico è tuttora il TEST delle RESISTENZE OSMOTICHE ERITROCITARIE che sfrutta il seguente principio: lo sferocita non è in grado di rispondere a una soluzione ipotonica come fa l’eritrocita sano, cioè gonfiandosi, perché è già espanso al massimo.Pertanto, si usano delle provette con soluzioni via via più ipertoniche (da 0,1% a 0,7% di NaCl), e si valuta l’emolisi con uno spettrofotometro (che misura l’assorbimento dell’Hb libera).La validità del test può essere inficiata dalla coesistenza di macrocitosi o microcitosi, che rispettivamente riducono e aumentano la resistenza all’ipotonia.

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La TERAPIA consiste, nella maggior parte dei casi, semplicemente nella somministrazione di folati e vitamina B12; raramente bisogna intervenire sul sovraccarico marziale. In quella piccola quota di soggetti che richiedono una trasfusione, può essere indicata una splenectomia. ANEMIE EMOLITICHE da ALTERAZIONI degli ENZIMI

Gli eritrociti non contengono mitocondri e ricavano l’energia (necessaria ad esempio al funzionamento dei trasportatori attivi di membrana) dalla GLICOLISI (via di Embden-Meyerhof). Difetti genetici di questo sistema biochimico (che nel 95% riguardano la piruvato chinasi), piuttosto rari, sono responsabili di “anemie emolitiche congenite non sferocitiche” che si caratterizzano con modeste iperbilirubinemia e ipersideremia.

Il DEFICIT di G6PD (o FAVISMO)

L’alterazione congenita di gran lunga più diffusa al metabolismo del globulo rosso è il DEFICIT di GLUCOSIO 6-FOSFATO DEIDROGENASI. Questo enzima è la chiave dello SHUNT degli ESOSI MONOFOSFATI (Pozzato parla di shunt dei pentosi indifferentemente parlando del metabolismo energetico degli eritrociti e del metabolismo del glutatione, ma secondo me prende un granchio in quanto i pentosi non c’entrano assolutamente niente), trasformando il glucosio 6-fosfato in 6-fosfogluconato con riduzione di un NADP+ in NADPH; l’NADPH è utilizzato come substrato dalla glutatione reduttasi. Il glutatione ridotto difende i globuli rossi dagli agenti ossidanti proteggendo i gruppi sulfidrilici dell’emoglobina e la membrana.

Il deficit di G6PD ha un’elevata prevalenza nel Mediterraneo (e specialmente in Sardegna, dov’è riportata la massima incidenza mondiale), tra gli ebrei sefarditi e nell’Africa Subsahariana. La distribuzione della mutazione rispecchia il vantaggio biologico che ne ha determinato la diffusione, cioè la RESISTENZA alla MALARIA (gli studi epidemiologici in Sardegna dimostrano ad esempio che il favismo è più diffuso nelle comunità a livello del mare che non in quelle sui monti), essendo gli eritrociti affetti un ambiente difettivo per i merozoiti del plasmodium.Il gene che codifica per il G6PD è situato sul cromosoma X e pertanto il suo deficit si trasmette con modalità X-LINKED RECESSIVA. Le mutazioni possono essere grossolanamente distinte in due varianti:- VARIANTE AFRICANA, in cui l’alterazione dell’enzima consiste nell’accorciamento dell’emivita e l’emolisi è pertanto meno severa- VARIANTE MEDITERRANEA, in cui il G6PD ha perso quasi totalmente la sua funzione, e che per questo è associata a crisi emolitiche più gravi.

In condizioni basali i globuli rossi non sono sottoposti a uno stress ossidativo rilevante. La carenza di glutatione ridotto dà segno di sé quando viene introdotto un agente ossidante esogeno di origine alimentare (ovvero la DIVICINA contenuta nelle FAVE) o farmacologia; è quest’ultimo il caso di- DOXORUBICINA (un antiblastico spesso utilizzato nella terapia dei linfomi)- ACIDO NALIDIXICO (disinfettante delle vie urinarie)- NITROFURANTOINA (usato nel trattamento delle cistiti)- SULFAMETOSSAZOLO (aka BACTRIM)

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- PRIMACHINA (che è un farmaco antimalarico)- NAFTALINA (contenuta in alcuni shampoo anti-pidocchio)- BLU di METILENE (che era utilizzato come mezzo di contrasto)- VITAMINA K in forma idrosolubileE’ oggetto di dibattito la sicurezza dell’uso di - ASPIRINA (ma sicuramente ai bassi dosaggi utilizzati ad esempio nella profilassi degli eventi trombo-embolici non rappresenta un rischio) - TACHIPIRINA (in quanto l’uso cronico può causare deplezione del glutatione).L’esposizione dei globuli rossi a questi composti causa (dopo alcune ore) una CRISI EMOLITICA che è proporzionale alle dosi assunte e che potrà coinvolgere tutti gli eritrociti nel favismo mediterraneo, mentre risparmierà gli eritrociti più giovani nella variante africana. La crisi emolitica, specialmente nel primo caso, potrà essere severa (l’emoglobina può arrivare anche a 2 g/dl) ed essere associata ad IRA per la precipitazione dell’emoglobina nei tubuli renali; si figura dunque una condizione potenzialmente mortale, specie nel soggetto anziano.

La DIAGNOSI si avvale del DOSAGGIO del G6PD (ottenuto facilmente con la misurazione della trasformazione di NADP+ in NADPH da parte di globuli rossi lisati).

La TERAPIA FONDAMENTALE è la PROFILASSI (in Sardegna supportata da screening alla nascita). Il TRATTAMENTO della CRISI ACUTA consiste in trasfusione, idratazione, somministrazione di plasma expander e di glutatione ridotto (TATIONIL) che non può ovviamente far regredire l’emolisi ma che protegge i globuli rossi superstiti che potrebbero essere esposti ad agenti ossidanti non ancora assorbiti.

L’ANEMIA FALCIFORME (anemia emolitica da alterazione dell’emoglobina)

L’anemia falciforme è una malattia monogenica legata a un’ALTERAZIONE QUALITATIVA dell’EMOGLOBINA. La mutazione responsabile è nel 90% la sostituzione di un glutammato con una valina in posizione 6 della catena beta, ed è diffusa nelle regioni più meridionali del bacino mediterraneo e nell’Africa sub-sahariana (ma non negli stati più meridionali); ha difatti maggior prevalenza nelle regioni malariche, in quanto anch’essa come la talassemia e il favismo determina una resistenza al plasmodium (e in particolar modo alle forme di malaria infantili fulminanti) e calde, per motivi che vedremo. Negli Stati Uniti, un afroamericano su 250 è portatore della mutazione.

L’emoglobina mutata è detta HbS ed è caratterizzata dalla tendenza ad aggregare in filamenti che polimerizzano reversibilmente; questi polimeri possono poi gelificare e infine cristallizzarsi irreversibilmente causando l’alterazione del globulo rosso e la perdita di deformabilità. La formazione di cristalli regolari comporterà la formazione di eritrociti con il caratteristico ASPETTO a FALCE, ma è anche possibile una cristallizzazione irregolare responsabile di echinocitosi o di altre alterazioni. L’aggregazione dell’HbS non è tuttavia costante, ma dipende dalla conformazione della proteina (e quindi dall’esposizione della valina) che a sua volta dipende dal grado di ossigenazione; in parole povere, l’EMOGLOBINA OSSIGENATA non si AGGREGA, l’EMOGLOBINA DEOSSIGENATA sì.

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L’HbS polimerizza sempre nelle venule post-capillari, ma in condizioni normali prima che possa cristallizzare causando alterazioni irreversibili gli eritrociti arrivano al polmone e l’emoglobina si ossigena nuovamente disaggregandosi. La cristallizzazione (et ergo la falcemizzazione) ha tempo di avvenire quando il circolo va incontro a STASI. Le cellule così alterate perdono elasticità, occludono il vaso e peggiorano la stasi determinando così un ulteriore aumento della falcemizzazione; questo circolo vizioso, unito alla trombosi che può derivare dalla stasi e che è inoltre favorita dall’esposizione di antigeni anomali da parte della cellula falciforme, determina l’ischemia ed eventualmente la necrosi di un distretto.La falcemizzazione avviene dunque:- nei distretti dove il flusso è particolarmente lento (MILZA, TESSUTO EMOPOIETICO)- nelle condizioni che rallentano il flusso, in primis il FREDDO che determina vasocostrizione (così si spiega la particolare distribuzione geografica)- nelle condizioni che riducono l’ossigenazione, come l’ALTA QUOTA o l’ACIDOSI (per effetto Bohr).Esistono mutazioni più rare diverse dalla classica 6 GluVal responsabili di cristallizzazione pressoché istantanea e dunque di falcemizzazione molto più frequente.

Il QUADRO CLINICO è determinato prevalentemente dagli eventi ischemici e trombotici, e non dall’anemia emolitica che in genere è modesta (nell’omozigote l’emoglobina si attesta in genere attorno agli 8-9 g/dl). Intuibilmente, la severità delle manifestazioni varierà se il paziente è OMOZIGOTE o ETEROZIGOTE.Nell’OMOZIGOTE tutte le catene beta sono alterate e pertanto nei globuli rossi avremo un 95% di HbS e un 5% di HbA2 (i cui livelli aumentano modestamente nel tempo, per cui la sintomatologia è generalmente più severa nel bambino).Fin dall’infanzia assisteremo a- RIPETUTI MICROINFARTI SPLENICI che portano a vaste aree di calcificazione fino ad una sostanziale autosplenectomia che avviene nel corso dei primi 36 mesi ed è responsabile di suscettibilità a infezioni streptococciche e di piastrinosi (che causa trombofilia e dunque aggrava le condizioni)- INFARTI alle DITA delle MANI e dei PIEDI (per esposizione al freddo)- CRISI EPATICA ISCHEMICA per occlusione delle sinusoidi- CRISI DOLOROSE su base ischemica alle OSSA EMOPOIETICHE, che nel bambino possono danneggiare la cartilagine di accrescimento causando difetto e asimmetria nello sviluppo somatico; inoltre le lesioni ossee tendono a suppurare e a sviluppare osteomielite da salmonella o e. coli- NECROSI PAPILLARE (quadro variabile che può essere caratterizzato da dolore, febbre, ematuria, fino all’IRA) o TROMBOSI INTERSIZIALE a livello del rene (motivate dalla riduzione del pH nella midollare)- SINDROME TORACICA ACUTA caratterizzata da dolore toracico, tachipnea, febbre, tosse (è un indice prognostico negativo).Numerosi fattori concomitanti possono contribuire a ridurre l’ossigenazione (broncopatie, insufficienza respiratoria) o a rallentare il flusso (aterosclerosi, flebiti) aggravando il quadro clinico e (nel caso di aterosclerosi) aumentando la predisposizione a ictus e infarto del miocardio.

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Per l’ETEROZIGOTE si parla di TRATTO FALCEMICO. E’ una condizione sostanzialmente asintomatica; le manifestazioni più frequenti sono ematuria indolente o isostenuria dovute a un coinvolgimento renale.

Una terza condizione di un certo rilievo (data la distribuzione geografica di queste condizioni) è la coesistenza di BETA-TALASSEMIA INTERMEDIA e ANEMIA FALCIFORME. La talassemia è PROTETTIVA nei confronti della crisi falcemica in quanto riduce la concentrazione dell’HbS: nel sangue di un omozigote per la mutazione 6gluval avremo 5-7% di HbA2, 20-25% di HbF e 70% di HbS.

La DIAGNOSI è sospettata per un’anemia emolitica associata a crisi dolorose (ed eventualmente all’aspetto morfologico caratteristico degli eritrociti all’esame microscopico) e confermata dall’ELETTROFORESI che riconosce la presenza di aggregati.

La TERAPIA della CRISI ACUTA consiste nel coprire il paziente, idratarlo con fisiologica riscaldata e aumentarne l’ossigenazione. Nel TRATTAMENTO a LUNGO TERMINE sono compresi:- TRASFUSIONI quando necessario- TRAPIANTO di MIDOLLO se possibile- DILUIZIONE dell’EMOGLOBINA per ridurne la probabilità di aggregazione tramite IDROSSIUREA, farmaco citostatico (dato a pazienti con trombocitosi primitiva) che si scoprì aumentare il MCV. Il trattamento con idrossiurea riduce la frequenza delle crisi, l’anemia e l’ospedalizzazione dei soggetti colpiti, ma ha importanti effetti collaterali, quali la piastrinopenia e la leucopenia e a lungo termine l’aumento dell’incidenza di leucemia mieloide acuta e di altre neoplasie (è difatti un farmaco alchilante e come tale altera il DNA delle cellule).

L’EMOGLOBINURIA PAROSSISTICA NOTTURNA

E’ una malattia caratterizzata dall’insorgenza di CRISI EMOLITICHE legate a un’anomalia dei globuli rossi, che avvengono per motivi non del tutto chiari (concorre probabilmente l’abbassamento del pH ma non spiega del tutto il fenomeno) di notte.La prima manifestazione è dunque il riscontro di un’alterazione del colore delle urine (che possono essere rosse o brunastre) la mattina.E’ una malattia rara (0,5 casi per 100.000 abitanti/anno), diffusa maggiormente nell’Europa del Nord, la cui incidenza aumenta con l’età.

La malattia venne identificata all’inizio del secolo scorso, ma la comprensione della PATOGENESI è recente. La prima ipotesi si basava sul riscontro di deficit di funzione della Na+/K+ ATPasi negli eritrociti dei pazienti affetti, che però non spiegava la sintomatologia in quanto questo enzima è ipofunzionante anche in diverse condizioni che non prevedono emolisi.Con l’evoluzione della tecnica del mAb, si vide che nei pazienti con EPN gli eritrociti non esprimevano sulla membrana il CD55, o DAF (Decay Acceleratine Factor), un enzima proteolitico che inattiva le proteine del complemento. Si ipotizzò dunque che il deficit genetico di questo sistema di protezione rendesse i globuli rossi maggiormente suscettibili alla lisi da parte del sistema del complemento.

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Successivamente si scoprì però non solo che il gene per il CD55 nelle cellule malate non presentava mutazioni ed era normalmente tradotto, ma anche che gli eritrociti non esprimevano altri antigeni, tra cui il CD59 o MIRL (Membrane Inhibitor of Reactive Lysis, anch’esso protettivo nei confronti del complemento) il cui gene corrispondente era a sua volta inalterato.La risoluzione del problema arrivò con l’identificazione di un sistema di ancoraggio, basato sul fosfatidilinositolo, che permette l’espressione sulla membrana del CD55, del CD59 e di altre proteine deficitarie negli eritrociti malati, ma che non interagisce con altri antigeni di membrana che sono normalmente espressi nell’EPN. La malattia era causata dalla MUTAZIONE CLONALE (a carico dunque di una cellula somatica, non germinale) del gene PIG che codifica per uno degli enzimi responsabili della sintesi di questo sistema di ancoraggio. Trattandosi di una malattia clonale, nonostante il gene PIG sia contenuto nel cromosoma X l’incidenza è uguale nei due sessi (perché nelle donne un cromosoma X è inattivato dalla lyonizzazione). La mutazione interessa una CELLULA STAMINALE del midollo osseo, ma l’alterazione dà segno di sé solo negli ERITROCITI dove difettano sistemi che potrebbero compensare la perdita del PIG.La mutazione è in realtà molto diffusa: nei soggetti sopra i 50 anni si riscontrano cloni portatori nel 20% dei casi; è evidente che la malattia richiede un fattore concomitante per svilupparsi, e nello specifico un fattore che SELEZIONI il CLONE MALATO. L’osservazione di MIDOLLO IPOPLASTICO (anziché iperplastico come normalmente si nota nelle anemie emolitiche) fece pensare che questo fattore concomitante sia l’ANEMIA APLASTICA, che è una malattia autoimmune nei confronti di cui sono relativamente resistenti gli eritrociti malati, privi di antigeni che possono essere bersaglio della reazione immunitaria, per cui in questi pazienti l’anemia aplastica non dà segno di sé, il midollo è colonizzato da cloni PIG- e insorge EPN.Un’altra condizione che seleziona il clone malato e favorisce lo sviluppo di EPN è il trattamento antiblastico con mAb rivolti verso antigeni la cui espressione è dipendente dal sistema PIG.

Un QUADRO CLINICO rilevante può insorgere anche dopo anni dalla presentazione con crisi isolate; all’inizio è caratterizzato da anemia normocromica e normocitica modesta, lieve aumento della bilirubinemia indiretta e aumento anche rilevante (in prossimità delle crisi) dell’LDH, ma la progressione è maligna. Il ripetersi delle crisi porta a sideropenia (con anemia microcitica che può causare confusione al momento della diagnosi) e ad un’anemizzazione più importante. Da un punto di vista clinico il problema più rilevante è la localizzazione dell’emolisi, che è INTRAVASCOLARE: questo determina liberazione di ATP che agisce come potente agente aggregante nei confronti delle piastrine, e che comporta in molti casi (ma non sempre) un aumento del rischio di eventi tromboembolici (ad esempio ictus, trombosi della vena porta, sindrome di Budd-Chiari).

La DIAGNOSI utilizza il citofluorimetro e si basa sull’espressione di CD55 e CD59. La metodica tradizionale è il TEST di HAM, che è altamente specifico ma molto scarsamente sensibile; si basa sull’emolisi degli eritrociti dopo l’attivazione del complemento ma è quasi sempre negativo nei soggetti con malattia nelle prime fasi, che si presentano dal medico dopo una crisi emolitica che ha selezionato i cloni sani.

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L’unica TERAPIA risolutiva sarebbe l’allotrapianto, che generalmente non è praticabile data l’età avanzata dei soggetti in questione. In alcuni pazienti si ottiene una moderata risposta trattando la presunta anemia aplastica (ad esempio con ciclosporina o mAb anti-timociti); più efficace è il trattamento con mAb anti-C3 attivato, che però migliora la sintomatologia ma non contrasta la selezione del clone malato.

Le NEOPLASIE EMATOLOGICHEsi distinguono in- MIELOPROLIFERATIVE- LINFOPROLIFERATIVEa loro volta classificate in ACUTE, SUBACUTE e CRONICHE.Da un punto di vista patogenetico, le caratteristiche acute o croniche dipendono dallo stadio di maturazione delle cellule colpite dalla mutazione (tanto più precoce, tanto più acuta la malattia).Lo stadio di maturazione colpito differenzierà il quadro ematologico caratterizzando diversi pattern antigenici delle cellule neoplastiche; da un punto di vista clinico, le malattie acute avranno un esordio più evidente e drammatico, ma una migliore risposta alla terapia, e le malattie croniche un esordio subdolo con una fase prodromica anche asintomatica che può durare diversi anni.

Le MALATTIE MIELOPROLIFERATIVE CRONICHE sono:1) POLICITEMIA VERA2) TROMBOCITEMIA PRIMITIVA3) LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA4) MIELOFIBROSI IDIOPATICA

Sono legate a una mutazione del progenitore mieloide comune da cui derivano:GMP (progenitore di monociti e granulociti)MEP (da cui originano megacariociti e piastrine).

La POLICITEMIA VERAè una condizione relativamente comune (8-10 casi per 100.000 abitanti/anno) caratterizzata da un AUMENTO PRIMITIVO degli ERITROCITI, ovvero da un aumento dei globuli rossi che non ha una giustificazione fisiologica o parafisiologica quale potrebbe essere1) aumento della secrezione di EPO per ipossia (vita in alta quota, broncopatia cronica, shunt arterovenoso, rare emoglobinopatie caratterizzate da un Hb eccessivamente avida nel legame con l’O2)2) ipersecrezione anomala in corso di neoplasia renale (evenienza molto rara)

La DD tra policitemia vera e secondaria è estremamente facile, in quanto queste due condizioni sono differenziate dai livelli di EPO la cui secrezione è depressa nelle forme primitive; i casi dubbi costituiscono le POLICITEMIE SPURIE, tipiche di soggetti con polipatologia (ad esempio obesi, ipertesi, fumatori, in terapia con vari farmaci) in cui all’esordio non è facile distinguere l’origine dell’aumento degli eritrociti.Da un punto di vista CLINICO, il paziente si presenta pletorico, con il volto roseo o rosso, gli occhi iniettati di sangue e le mani “laccate” (cioè con il palmo omogeneamente arrossate, non cioè come nell’eritema palmare dell’epatopatico),

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dispnoico, splenomegalico, generalmente iperteso. L’evoluzione è lentamente progressiva, il problema più rilevante nei pazienti non adeguatamente trattati è costituito dai FENOMENI TROMBOEMBOLICI (causata anche da una modesta piastrinosi associata); in assenza di una diagnosi precoce (che oggi è la regola) la malattia esordiva spesso con un ICTUS o una CORONAROPATIA. La malattia insorge generalmente intorno ai 50 anni nell’uomo, più tardivamente nella donna (a causa del ciclo mestruale).Un sintomo costante, che può essere precoce e peggiorare la qualità della vita dei pazienti, è il PRURITO in assenza di lesioni cutanee, stimolato dal contatto con l’acqua calda. La sua patogenesi è forse dovuta a un eccesso di mastociti.La storia della malattia può essere divisa in- una I FASE in cui si richiedono salassi frequenti (per 5-10 anni)- una II FASE, cosiddetta spenta, in cui i ripetuti salassi hanno causato cronica sideropenia e che richiede meno salassi (per 3-5 anni)- una III FASE caratterizzata dall’evoluzione verso la MIELOFIBROSI (condizione comune delle malattie mieloproliferative croniche, che analizzeremo meglio parlando della forma idiopatica) e in ultima battuta verso l’exitus; in questa fase il paziente presenta importante splenomegalia, anemia, piastrinopenia, rilevante aumento della LDH e della fosfatasi alcalina (per colonizzazione del fegato da parte del tessuto emopoietico) e può trarre un transitorio miglioramento dalla somministrazione di ferro.

La DIAGNOSI non dispone di nessun marker genetico, e si basa sulla valutazione della MASSA ERITROCITARIA, che è un esame complesso; ai fini pratici è sufficiente l’EMATOCRITO che peraltro è strettamente correlato con la morbilità. Si considera patologico per valori superiori al 50% nella donna e al 55% nell’uomo; la diagnosi richiede il riscontro di questi valori confermato da almeno due prelievi a distanza di alcune settimane, con bassi livelli sierici di EPO. La biopsia midollare mostra un midollo iperplastico con conservazione dei rapporti tra le diverse linee cellulari, ma non è una metodica di utilizzo comune nell’iter diagnostico di questa affezione.

Le condizioni borderline (ad esempio un ematocrito tra i 50 e i 55 nell’uomo) vanno tenute sotto controllo, per valori francamente patologici la TERAPIA è costituita da SALASSI ripetuti (a distanza di una settimana) con il fine di portare l’ematocrito sotto il 45% (è preferibile mantenere basso questo parametro a causa dell’associata piastrinosi).Il salasso esplica il suo ruolo terapeutico anche comportando SIDEROPENIA, che deprime l’attività dell’eritrone e riduce il MCV (contribuendo dunque alla riduzione dell’ematocrito); al contempo questo effetto è alla base degli effetti collaterali del trattamento, in quanto anche in assenza di anemia la carenza di ferro causa astenia e deterioramento delle condizioni generali.La piastrinosi può essere trattata con farmaci citostatici alchilanti (idrossiurea o busulfano) che possono causare anche un lieve miglioramento del prurito. Non è ancora confermato l’effetto benefico della terapia antiaggregante (cadioaspirin).Il prurito era trattato negli anni ’40 con fosforo 32, efficace ma estremamente cancerogeno; ora si ottiene un miglioramento somministrando SSRI.

La TROMBOCITEMIA PRIMITIVA

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è una malattia neoplastica caratterizzata come dice il nome da un aumento primitivo delle piastrine (sopra le 600.000 per mm3) in assenza delle cause di trombocitemia secondaria quali- flogosi cronica- sideropenia- splenectomiaEra considerata non come un’entità noseologica a sé stante, ma come una variante della leucemia mieloide cronica, prima che si identificasse per quest’ultima un marker genetico; la trombocitemia primitiva non è invece associata a nessun marker e pertanto la sua DIAGNOSI si basa solo sul parametro della piastrinemia e su un’accurata anamnesi che escluda l’infiammazione cronica o altri fattori che possano giustificarne l’aumento.Può insorgere in soggetti più giovani rispetto alla policitemia vera, senza distinzioni di incidenza tra i due sessi.

Fisiologicamente, la proliferazione delle piastrine è regolata dalla TROMBOPOIETINA (sintetizzata dal fegato) attraverso un sistema piuttosto semplice: le piastrine legano questo ormone riducendone i livelli sierici in proporzione al loro numero.La trombocitemia primitiva come le altre condizioni mieloproliferative è dovuta a un’alterazione clonale di una cellula staminale, e pertanto comporta un aumento oltre che delle piastrine dei leucociti e (in maniera modesta) degli eritrociti. Il midollo è iperplastico con uno spiccato aumento della componente dei MEGACARIOCITI, che inoltre si mostrano aumentati di dimensioni e raggruppati a cluster (mentre normalmente sono isolati).

Il QUADRO CLINICO è dominato dai fenomeni TROMBOEMBOLICI, che un tempo molto spesso (e talora anche oggi) costituivano l’esordio della malattia.Senza un trattamento adeguato, la trombocitemia primitiva è una condizione estremamente severa per i valori elevatissimi che possono raggiungere le piastrine (anche più di 2 milioni); peraltro questo parametro è l’unico marcatamente alterato (il laboratorio può dare poche altre informazioni, come un lieve aumento delle LDH).Come le altre malattie mieloproliferative croniche, anche questa tende a evolvere verso la mielofibrosi; in una piccola percentuale si sviluppa una leucemia mieloide acuta, che però è forse dovuta esclusivamente al trattamento con farmaci alchilanti.

La TERAPIA è soggetta al discrimine dell’età e dei fattori di rischio. Nei pazienti giovani non a rischio è sufficiente la terapia antiaggregante, che però va messa in pratica con cautela verificandone la tollerabilità, in quanto le piastrine del trombocitemico sono di per sé malfunzionanti e il trattamento può scatenare una sindrome emorragica.Nei soggetti anziani o a rischio è indicata la terapia con farmaci alchilanti per abbassare drasticamente il numero di piastrine (preferibilmente sotto le 150.000 per mm3); allo stesso scopo può essere utilizzato l’INTERFERONE, che non ha azione mutagena ma che è mal tollerato dai soggetti anziani (come vedremo più nel dettaglio parlando del trattamento della leucemia mieloide cronica), o l’ANAGRELIDE che agisce selettivamente sui megacariociti (bloccando l’azione

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della trombopoietina) ma che è tachicardizzante e aritmogeno e pertanto controindicato nei pazienti cardiopatici.

La LEUCEMIA MIELOIDE CRONICAnon è molto frequente (con incidenza di 2,5 casi per 100.000 abitanti/anno), non ha una particolare distribuzione geografica o etnica, né differenze tra i sessi; la sua incidenza aumenta per l’esposizioni a radiazioni ionizzanti (come dimostrano i modelli sperimentali di Hiroshima e di Cernobil) ma non è modificata da agenti tossici chimici, ed è massima intorno ai 50-55 anni.

La base genetica della sua PATOGENESI è oggi ben conosciuta; la sua comprensione ebbe inizio negli anni ’70 quando si identificò nei cloni malati il CROMOSOMA PHILADELPHIA, che difettava di una porzione del braccio corto del cromosoma 22. Lo sviluppo delle tecniche del bandeggio dimostrò che non si trattava di una semplice delezione, ma di una traslocazione bilanciata con il CROMOSOMA 9, di cui un piccolo frammento si sostituiva con il braccio corto del 22. Le più moderne indagini molecolari rivelarono che la malattia era causata dalla formazione di un gene chimerico dovuta all’unione del cromosoma 22 e del frammento di cromosoma 9; questo gene venne chiamato BCR-ABL, in quanto composto dal gene ABL del cromosoma 9 (che si rompe sempre nello stesso punto) e dalla regione BCR (Breakpoint Cluster Region) del cromosoma 22 (in cui la rottura può avvenire a diversi livelli).Mentre le tecniche citogenetiche dimostravano la presenza del cromosoma philadelphia solo in un 80% delle LMC, pressoché il 100% dei cloni malati sono positivi per il gene BCR-ABL, che codifica per una TIROSINCHINASI ANOMALA (di cui esistono diverse forme con diverso peso molecolare, a seconda di dove avviene la rottura nella BCR) e in quanto tale indipendente dai sistemi di controllo che stimola la replicazione cellulare. Nella patogenesi della LMC la traslocazione avviene a livello della cellula staminale mieloide, ma le alterazioni coinvolgono (per motivi non noti) solo neutrofili, eosinofili, basofili, piastrine e non i globuli rossi. Di per sé, la presenza del gene BCR-ABL non causa la LMC, ma solo una proliferazione dei cloni malati (che progressivamente si sostituiscono ai cloni sani), controllata almeno in parte dai fattori fisiologici (come l’inibizione da contatto). Tuttavia, l’altissimo livello di replicazione unito alla stessa perdita di funzione del gene ABL, che causa instabilità genomica, rendono inevitabile l’ACCUMULO di MUTAZIONI che determinano una progressiva perdita di controllo della replicazione con la formazione di cloni sempre più indifferenziati che, in media dopo 5 anni dal momento della diagnosi, vengono a costituire un quadro ematologico sovrapponibile alla LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA.

Un tempo, al momento della diagnosi il QUADRO CLINICO era caratterizzato da splenomegalia, febbre, astenia; oggi la diagnosi viene fatta nella stragrande maggioranza dei casi su soggetti asintomatici per riscontro casuale di progressiva leucocitosi con neutrofilia (neutrofili all’80-85%). L’esordio può essere costituito da splenomegalia ingravescente, e in alcuni casi da un episodio gottoso. La storia della malattia può essere distinta in- una FASE CRONICA (di circa 3 anni) in cui il paziente è sostanzialmente sano; si presenta una progressiva leucocitosi (che può arrivare a valori di 80.000 bianchi per mm3), una modesta piastrinosi; negli stadi più avanzati si possono trovare in circolo alcuni mielociti.

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- una FASE INSTABILE in cui il paziente risponde meno alla terapia tradizionale e lamenta dolori alla milza; il valore delle piastrine può fluttuare e in circolo appaiono oltre ai mielociti metamielociti e alcuni blasti. La presenza di cellule immature in circolo riflette la perdita dell’inibizione da contatto e in genere l’anaplasia dei cloni malati.- una FASE BLASTICA caratterizzata da piastrinopenia e da una quasi totalità dei bianchi circolanti costituiti da blasti. In questa fase, il paziente è trasfusione-dipendente, totalmente resistente alla chemioterapia e destinato nel giro di poco tempo all’exitus.In rari casi il quadro clinico può essere dominato da fenomeni tromboembolici.

Per la DIAGNOSI, quando la leucocitosi sia importante, spesso è sufficiente il quadro ematologico, ma per il fine di un soddisfacente trattamento è essenziale il riconoscimento precoce della malattia (quando per intenderci i bianchi siano a 12.000 e non ci siano mielociti in circolo), possibile grazie alle tecniche di diagnostica molecolare (PCR e affini).

La TERAPIA era un tempo costituita dai farmaci alchilanti (idrossiurea e busulfano) che riducevano il numero di globuli bianchi e di piastrine, ma non miglioravano la sopravvivenza perché non erano in grado di far regredire né di rallentare l’accumulo di mutazioni, e dunque non ritardavano l’insorgenza della crisi blastica. La terapia alchilante in sostanza migliora la prognosi solo dei soggetti in cui la piastrinosi sia clinicamente evidente.L’allotrapianto di midollo sarebbe una terapia risolutiva se attuato in fase cronica ma (a parte il fatto che sarebbe un intervento con mortalità al 20% attuato su soggetti che in sostanza stanno bene) non è generalmente praticabile nei pazienti di LMC che generalmente sono di età superiore ai 45 anni.Negli anni ’90 furono introdotti gli INTERFERONI (conosciuti precedentemente come agenti antivirali) che hanno un’azione antiproliferativa nella fase cronica, che prolungano. L’effetto è tanto più benefico quanto l’intervento è precoce (in uno stadio molto precoce è teoricamente possibile eliminare il clone philadelphia +) ma in media aumenta la sopravvivenza di un solo anno, e inoltre solo il 30-40% dei pazienti risponde e di questi almeno una metà (in particolare gli anziani) mal tollera i dosaggi (che sono molto elevati rispetto a quelli della terapia antivirale) presentando astenia, calo ponderale, febbre e fenomeni autoimmuni come mucosità, tiroiditi, eritemi cutanei.La terapia fu rivoluzionata nel 2002 dall’introduzione del GLIVEC che agisce selettivamente sulla tirosinchinasi anomala sintetizzata a partire dal gene BCR-ABL. E’ molto efficace, ha ridotti effetti collaterali (come ritenzione idrica e formazione di borse sotto gli occhi), e per quanto non si possa ancora sapere di quanto aumenti la sopravvivenza (e se si sviluppino cloni resistenti) si pensa addirittura che in alcuni casi possa causare una guarigione definitiva per scomparsa delle cellule philadelphia +. In alcuni rari casi il gene BCR-ABL presenta mutazioni che rendono la tirosinchinasi resistente al glivec. Il principale problema di questo farmaco è il suo ELEVATO COSTO (1600 euro per 20 giorni di trattamento).Un’altra indicazione del glivec è per le EOSINOFILIE PRIMARIE MALIGNE, anch’esse causate da un gene chimerico (evidentemente il glivec non è totalmente specifico nella sua azione) caratterizzate da rash cutanei, edemi e un effetto

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isotropo negativo che causa lo sviluppo di SCC; forse inibisce anche la crescita di ateromi.

La MIELOFIBROSI IDIOPATICAè una malattia mieloproliferativa cronica caratterizzata da un quadro clinico dominato da un’IMPORTANTE MIELOFIBROSI.E’ una condizione rara (0,5-1 caso per 100.000 abitanti/anno), la cui incidenza aumenta con l’età, della quale non è nota l’eziologia né fattori predisponenti.

E’ oggi noto che la malattia origina da un’alterazione clonale a carico della linea mieloide, ma un tempo la si riteneva una patologia primitiva dei fibroblasti in quanto la PATOGENESI è mediata dall’attività di quest’ultimo nel senso della loro proliferazione e dell’aumento di SINTESI del COLLAGENE di tipo III.La comprensione fu raggiunta quando si dimostrò che i fibroblasti proliferanti nel midollo appartenevano a popolazioni policlonali mentre le cellule mieloidi erano monoclonali; queste ultime, e in particolare i megacariociti, i quali non sono semplicemente progenitori delle piastrine ma cellule che svolgono un ruolo complesso sintetizzando BFGF e soprattutto VEGF; la loro proliferazione nella mielofibrosi idiomatica pertanto è la principale causa dell’aumento della proliferazione e dell’attività dei fibroblasti, e inoltre di una spiccata neoangiogenesi.Per questo motivo, come abbiamo accennato, la mielofibrosi può essere una conseguenza di tutte le malattie mieloproliferative (inevitabilmente nella trombocitemia primitiva e nella policitemia vera, eccezionalmente nella leucemia mieloide cronica). Non essendo ancora noti i meccanismi genetici fini della mielofibrosi idiopatica e della trombocitemia, non è chiaro cosa differenzi queste due condizioni e perché nell’una la proliferazione mieloide e in particolare dei megacariociti porti primitivamente a fibrosi e nella prima a piastrinosi e solo secondariamente ad aumento della componente di collagene del midollo osseo.Cosa succede nel midollo? Il tessuto fibroso sostituisce quello emopoietico, e i sinusoidi a causa della promozione dell’angiogenesi si CAPILLARIZZANO rendendo difficile l’uscita delle emazie in circolo (per questo motivo gli eritrociti si deformano prendendo la conformazione “a goccia”, diventando cioè dacriociti o “tear drop cell” che dir si voglia). Questi fattori contribuiscono all’insorgenza di PANCITOPENIA.A questo problema si associa la COLONIZZAZIONE di- FEGATO, con epatomegalia e scompaginamento dell’architettura globulare in un quadro sovrapponibile alla cirrosi (con conseguente insufficienza epatica e ipertensione portale) ma caratterizzato dalla normalità o addirittura riduzione dei livelli di transaminasi in circolo (per perdita di contatto tra epatociti e circolo sanguigno) - MILZA, con importante splenomegalia; spesso quest’ultima è presente all’esordio, e in fase terminale giunge a occupare l’intero addome (si tratta delle peggiori splenomegalie che si riscontrino nella medicina occidentale).

Da un punto di vista CLINICO, all’esordio la malattia si presenta con anemia normocromica e normocitica e moderata piastrinopenia, ma evolve verso progressiva

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- INSUFFICIENZA del MIDOLLO e conseguente pancitopenia (da cui anemia, rischio di infezioni opportuniste, sindrome emorragica) peggiorata dalla splenomegalia- INSUFFICIENZA EPATICA che causa cachessia (peggiorata dall’anoressia dovuta alla compressione dello stomaco da parte della milza), edemi nonché deplezione dei fattori della coagulazione (che peggiora la sindrome emorragica da piastrinopenia) - IPERTENSIONE PORTALE che causa varici esofagee prone al sanguinamento a causa della sindrome emorragica e dall’aumento di volume addominale;di conseguenza, il paziente è trasfusione-dipendente; la sopravvivenza è scarsa (3 anni in media dalla diagnosi). In alcuni (rari) casi il paziente evolve verso la leucemia mieloide acuta.In alcuni casi, l’esordio della malattia è legato alla abnorme produzione di citochine da parte del midollo che nelle prime fasi è iperplasico, associata ad affezioni autoimmuni come eritema nodoso e pioderma gangrenoso (che può essere il sintomo iatrodromico - adoro questa parola).

Non esistendo un marker genetico della mielofibrosi idiopatica, la DIAGNOSI si basa sugli esami ematologici e su biopsia ossea e aspirato midollare.All’esordio si riscontra anemia normocromica e normocitica, modesta piastrinopenia, lieve leucocitosi; è importante l’esame microscopico per riconoscere lo STRISCIO LEUCOERITROBLASTICO, caratterizzato dalla presenza di eritroblasti in circolo (la mielofibrosi idiopatica è pressochè l’unica condizione in cui ci sia questo riscontro all’esordio di malattia). Il laboratorio mostra un importante aumento delle LDH, degli indici di colestasi (con transaminasi normali o ridotte), incostante iperuricemia.Per fare diagnosi è comunque essenziale la BIOPSIA OSSEA (si tenta anche l’aspirato midollare che però spesso non è possibile a causa della fibrosi; un fenomeno simile si riscontra solo nella tricoleucemia o hairy cell leaukaemia), che permette inoltre di effettuare la stadiazione.

STADIO I: midollo iperplasico, riduzione del tessuto adiposo, bande di collagene visibili con colorazioni specificheSTADIO II: midollo iperplasico, scomparsa del tessuto adiposo, tralci di tessuto connettivo visibili anche all’ematossilina-eosinaSTADIO III: midollo ipoplasico, grossi tralci di connettivoSTADIO IV: midollo ipoplasico, ossificazione dei tralci di connettivo (osteosclerosi): a questo stadio anche la biopsia può essere difficilmente praticabile.

La TERAPIA tradizionale è poco efficace, e consiste in- presidio dell’ipertensione portale e dell’insufficienza epatica- trattamento delle eventuali malattie autoimmuni (con corticosteroidi)- somministrazione di farmaci alchilanti, come l’idrossiurea (il cui nome commerciale è oncocarbide a quanto pare), a bassi dosaggi nelle prime fasi della malattia per ridurre il numero di megacariociti e rallentare l’evoluzione della fibrosi.Il trapianto, al di là dall’età non giovane dei pazienti, è complesso a causa della fibrosi e della grande massa neoplastica costituita dalla milza (difficilmente penetrabile per intero dai chemioterapici); una possibilità è costituita

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dall’attuazione di una splenectomia prima dell’intervento. Al di là di questa opzione, la splenectomia NON è un indicazione terapeutica della mielofibrosi (anche se talora è inevitabile a causa della predisposizione alla rottura) perché causa un aumento rapidamente progressivo della metaplasma epatica.Negli ultimi anni si sta sperimentando il trattamento di questa malattia con la TALIDOMIDE (o con analoghi meno neurotossici), che in alcuni soggetti ha un’ottima risposta. Il razionale di questa terapia è l’azione antagonista del suddetto farmaco nei confronti di TNF e soprattutto di VEGF.

Le MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE

Il MIELOMA è una neoplasia a carico delle PLASMACELLULE. Insorge quasi esclusivamente nei soggetti anziani (sopra i settant’anni) e dunque l’aumento dell’età media della popolazione italiana e occidentale in generale ha causato un apparente aumento dell’incidenza di questa malattia.Il mieloma è caratterizzato dal mantenimento, per lo meno nelle fasi iniziali, della differenziazione e delle caratteristiche cellulari dei cloni neoplastici e nella fattispecie della PRODUZIONE di ANTICORPI. Le immunoglobuline che verranno prodotte saranno MONOCLONALI e in questa monoclonalità è insito l’elemento patognomonico del mieloma in quanto l’elettroforesi mostrerà una curva gamma non solo alta (per l’aumento totale delle IgG, che sono gli anticorpi sintetizzati dalla maggior parte dei mielomi) ma anche estremamente appuntita (in quanto l’aumento riguarda un solo clone e non uno spettro più vasto). Gli anticorpi in circolo saranno dunque solo kappa o solo lambda, solo IgG, solo IgA o solo IgE; la probabilità che abbiano le une o le altre caratteristiche dipende dalla frequenza fisiologica delle diverse linee cellulari, per cui1) la stragrande maggioranza dei mielomi sintetizza IgG (più frequentemente) e IgA (rarissimi mielomi IgE o IgD; le neoplasie che sintetizzano IgM non riguardano plasmacellule propriamente dette ma cellule più immature dette linfoplasmocitoidi e non sono classificate come mielosa ma come malattia di Waldenstrom, che ha un comportamento biologico diverso – ad esempio non comprende quasi mai lesioni osteolitiche)2) il rapporto tra mielomi kappa e mielosa lambda riflette le proporzioni fisiologiche di 2 o 3:1Tuttavia, la produzione di anticorpi da parte delle cellule neoplastiche non è perfetta, e risulta in un eccesso di catene leggere di cui analizzeremo meglio le conseguenze.Le plasmacellule neoplastiche non producono solo immunoglobuline, ma anche citochine, tra cui IL6 che è un fattore di proliferazione e tramite cui la malattia si autopotenzia.

L’EZIOLOGIA di questa malattia è ignota. La supposizione che una stimolazione antigenica cronica e persistente (come ad esempio accade per l’osteomielite o la bronchiettasia) predisponesse al mieloma non è mai stata dimostrata, e inoltre non si è associata la neoplasia all’esposizione a nessun agente chimico o fisico.L’unica sicurezza è che all’eziopatogenesi concorre la DEGENERAZIONE dell’INVECCHIAMENTO del sistema autoimmune: ciò che accade inevitabilmente è che, se nel giovane c’è un minore titolo anticorpale che a un’elettroforesi raffinata (esclusiva delle gammaglobuline) mostra uno spettro quasi continuo (a dimostrazione di una risposta policlonale molto efficiente) nell’anziano vediamo

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un maggior titolo con bande oligoclonali sempre più ristrette. Si stima che la proliferazione di un singolo clone, favorita dall’invecchiamento, richieda 30-35 anni per manifestarsi clinicamente. Per questi motivi, il mieloma è raro nella maturità ed eccezionale prima dei 40 anni.La storia del mieloma comprende il passaggio per uno stadio di GAMMOPATIA MONOCLONALE BENIGNA. Cosa distingue questa condizione dal mieloma? Non esistendo dati biologici certi su cui basarsi, per stabilire una diagnosi bisogna appoggiarsi a PARAMETRI QUANTITATIVI, che ovviamente lasciano spazio a casi borderline e che ci danno poche informazioni sull’evoluzione della malattia: alcuni casi di gammopatia monoclonale benigna possono andare incontro a una rapida progressione verso il mieloma, viceversa in altri casi livelli relativamente alti di anticorpi rimangono costanti.Si stima che la gammopatia evolva in mieloma nel 2,5% dei casi/anno.Come abbiamo detto la DIAGNOSI come prima cosa si basa sull’elettroforesi e sulla curva di precipitazione delle gammaglobuline.La biopsia o l’aspirato vedono un INFILTRATO MIDOLLARE di PLASMACELLULE importante (fino all’80% della cellularità, quando normalmente sono sotto il 5%). Le plasmacellule possono avere una morfologia normale (cioè forma ovale con asse del nucleo perpendicolare all’asse del citoplasma, cromatina granulare “a ruota di carro”, golgi evidente, qualche vacuolo secretivo) o aspetti anomali (cellule binucleate con abnorme golgi e numerosi vacuoli secretivi, particolarmente voluminosi nelle cellule di Mott) o addirittura anaplastici (cellule sinciziali ad esempio). Man mano che la malattia evolve aumentano le anomalie per perdita del controllo sulla replicazione e conseguente accumulo di alterazioni cromosomiche, tra cui si può citare la perdita del cromosoma 13 che è un evento frequente nonché associato a una prognosi infausta.

La PATOGENESI del mieloma è mediata da quattro fattori principali:1) produzione di componente monoclonale, che non è solo indice di malattia ma anche fattore patogenetico2) attivazione degli osteoclasti (con conseguente lesioni osteolitiche in tutte le ossa)3) infiltrazione midollare4) (più raramente) infiltrazione extramidollare

In che modo la produzione di COMPONENTE MONOCLONALE media il danno?- per il sistema di regolazione a feedback negativo si deprime il livello delle Ig normali evolvendo verso la agammaglobulinemia- perché l’accumulo della componente monoclonale può aumentare la viscosità ematica e in alcuni casi interferire con i fattori della coagulazione- perché nel mieloma viene prodotto un eccesso di catene leggere (in rapporto 3 a 1 con le pesanti) e pertanto queste, filtrate nel glomerulo, quando superano la capacità di assorbimento del tubulo danneggiano le cellule epiteliali, e causano ostruzione tramite gelificazione e successivamente cristallizzazione; l’aumento della creatininemia è un riscontro costante nell’evoluzione di un mieloma, che può essere reversibile con la terapia.- perché l’eccesso di catene leggere causa invariabilmente amiloidosi secondaria; non è tuttavia costante lo svilupparsi di complicazioni (come neuropatia periferica o danno cardiaco e renale)

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- in una piccola percentuale di casi, l’iperproduzione di immunoglobuline monoclonali è responsabile di crioglobulinemia secondaria.

L’ATTIVAZIONE degli OSTEOCLASTI spiega l’insorgenza di osteoporosi, lesioni osteolitiche e fratture patologiche nei pazienti con mieloma. Difatti le lesioni non sono compatibili con il modello consueto di metastasi ossea, che comporta una reazione periostale (cioè un processo flogistico che tende a tamponare la massa tumorale e di fatto riduce il rischio di frattura). Nel mieloma, le cellule neoplastiche non mediano direttamente il danno, ma attivano la normale popolazione policlonale degli osteoclasti, esprimendo (sulla superficie e in forma solubile) il fattore di stimolazione RANKL (cioè RANK ligando), che come dice il nome va a legarsi al recettore RANK sulla membrana degli osteoclasti (normalmente la regolazione dell’attività osteolitica, a carico delle cellule stremali ossee, è in equilibrio tra fattori di attivazione e di inibizione, come l’osteoprotegina. L’osso non è una struttura statica, è bensì in continuo movimento per adattare le trabecole ossee alle linee di forza gravitaria).L’iperattivazione degli osteoclasti comporta:- ipercalcemia, responsabile in primis di ARITMIE CARDIACHE, nonché di nefrocalcinosi, di poliuria per inibizione dell’ADH (questo può causare disidratazione e peggiorare le condizioni del rene), di danno al SNC (con stato confusionale fino al coma)- osteoporosi (questo riscontro, in un paziente maschio di 60 anni costituisce un forte sospetto di mieloma)- lesioni osteolitiche: sono il problema più grave per questi pazienti (e possono costituire l’esordio della malattia), in quanto estremamente dolorose, mutilanti, compromettenti la funzionalità dell’organismo. Avvengono più frequentemente dove è più rappresentata l’emopoiesi, cioè a livello di BACINO, VERTEBRE (dove possono causare schiacciamento e compressione spinale con intuibili conseguenze), COSTE, CRANIO, DIAFISI delle OSSA LUNGHE.

L’INFILTRAZIONE del MIDOLLO comporta ANEMIA, GRANULOCITOPENIA, PIASTRINOPENIA, ma con diversa rilevanza clinica e in tempi diversi. L’anemia difatti è PRECOCE, può essere importante ed è in realtà sostanzialmente indipendente dal grado di infiltrazione. Probabilmente in qualche modo la proliferazione neoplastica ha un’azione selettiva sull’eritropoiesi. La granulocitopenia e la piastrinopenia si sviluppano in fasi più avanzate e in misura minore.

L’INFILTRAZIONE EXTRAMIDOLLARE è meno comune, e può comportare- sindromi spinali per proliferazione all’interno del midollo spinale (con sintomatologia prima dolorosa e in seguito potenzialmente paretica)- sindromi radicolari- (raramente) invasione pleurica (a partire dalle coste)

Oltre alla forma classica il mieloma si può presentare anche in alcune varianti, cioè il mieloma micromolecolare, la malattia di Waldenstrom, il plasmocitoma solitario e il plasmocitoma non secernente.

Il MIELOMA MICROMOLECOLARE è caratterizzato da una proliferazione monoclonale di plasmacellule che sintetizzano soltanto catene leggere: vi saranno

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comunque ipercalcemia e lesioni osteolitiche (e il danno renale potrà essere accentuato) ma la diagnosi sarà indaginosa in quanto l’elettroforesi non mostrerà il quadro caratteristico (inoltre le catene leggere sono rapidamente eliminate con le urine). Per questi motivi, non è infrequente l’esordio con frattura patologica o IRA.

La MALATTIA di WALDENSTROM come abbiamo detto è conseguente alla proliferazione di linfoplasmocitoidi che secernono IgM; da un punto clinico è una malattia molto diversa dal mieloma, in quanto non vi saranno lesioni osteolitiche né osteoporosi, ipercalcemia e proteine di Bence-Jones; i problemi più rilevanti saranno dovuti all’infiltrazione di milza e fegato e allo sviluppo di un’iperviscosità ematica.

Il PLASMOCITOMA SOLITARIO è una condizione che rientra nella DD dei tumori ossei, in quanto si tratta di una lesione ossea isolata che alla biopsia dimostra essere costituita da plasmacellule. La terapia consiste nella resezione chirurgica e nell’irradiazione, con sequele importanti solo se il plasmocitoma è localizzato a una vertebra.

Il PLASMOCITOMA non SECERNENTE è un mieloma costituito da plasmacellule che non sono in grado di produrre immunoglobuline. Per questo motivo vi saranno lesioni ossee ma non danno renale.

La TERAPIA del mieloma è problematica, in quanto le plasmacellule neoplastiche sono in fase G0 e pertanto poco sensibile ai chemioterapici tradizionali; fino a poco tempo fa la terapia più efficace era quella, risalente agli anni ’50, che associava un alchilante a un cortisonico per os.L’autotrapianto ha una scarsa efficacia; l’allotrapianto è spesso controindicato per l’età dei pazienti e inoltre presenta gravi problematiche di graft vs. host (lesioni cutanee diffuse, pleuriti, peritoniti, colite… l’unico vantaggio è la distruzione delle cellule neoplastiche superstiti).Di recente, tre farmaci hanno migliorato la prognosi e la qualità della vita dei pazienti con questa malatti:- i DIFOSFONATI, che nascono come terapia per l’osteoporosi, inattivano selettivamente gli osteoclasti. Un precoce utilizzo di questi farmaci, a dosaggi molto più elevati rispetto all’uso consueto (tali che sono in grado non solo di inattivare gli osteoclasti ma di indurne l’apoptosi) può prevenire con notevole efficacia le lesioni ossee- la TALIDOMIDE riesce a ridurre la componente monoclonale agendo a diversi livelli, cioè contrastando l’azione di citochine (in primis la IL6) e alterando il microambiente midollare (rendendo dunque meno favorevole l’infiltrazione da parte delle plasmacellule)- il DELCATE infine inibisce dei proteasomi che metabolizzano un fattore di crescita delle plasmacellule.

La LEUCEMIA LINFATICA CRONICA è nelle nostre regioni la più frequente malattia neoplastica ematologica (costituisce da sola il 30% del totale).La sua EZIOLOGIA non è conosciuta, non esistendo fattori di rischio noti (come radiazioni ionizzanti o agenti chimici); ha però una distribuzione geografica particolare in quanto la sua incidenza segue un gradiente tra nord e sud, essendo

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massima in Danimarca (10 casi per 100.000 abitanti/anno). La minima incidenza osservata si ha in Giappone, dove praticamente questa malattia non esiste.

Si definisce come un ACCUMULO di LINFOCITI B MATURI MORFOLOGICAMENTE NORMALI e IMMUNOLOGICAMENTE INCOMPETENTI. Il termine “accumulo” sta a indicare che la patogenesi non riguarda tanto un eccesso di proliferazione quanto un difetto dei meccanismi di apoptosi dato da un difetto genetico che coinvolge questo sistema.Come si è detto, la morfologia dei linfociti neoplastici è normale, e anche l’IMMUNOFENOTIPO è scarsamente alterato (vengono normalmente espressi CD19 e CD23), se non per l’espressione di CD5, e per l’espressione solo a bassa densità di CD20 e delle immunoglobuline di superficie. Occasionalmente è espresso il CD38 che è un marker dei linfoplasmocitoidi.Le anomalie cromosomiche di questi cloni erano un tempo misconosciute, poiché le tradizionali tecniche citogenetiche avevano difficoltà ad indagare il cariotipo di cellule che non vanno in mitosi. Lo sviluppo di metodiche come la FISH (Fluorescence In Situ Hybridation) hanno invece permesso di riconoscere varie aberrazioni, come la delezione del braccio lungo del cromosoma 17 (che è associata a una cattiva prognosi), e poi 17q-, 12q-, 12q+, 13q- (la più frequente). Solo il 20% delle cellule mostra un cariotipo normale.

La LLC si sviluppa lentamente ed è pertanto una malattia dell’anziano (la sua insorgenza è un evento rarissimo prima dei 50 anni); da un punto di vista della CLINICA l’esordio è in genere costituito dal riscontro casuale di LINFOCITOSI ISOLATA in soggetto ASINTOMATICO; l’evoluzione è lenta, relativamente benigna (tanto che il 30-45% dei pazienti muore per causa non legata alla LCC) e caratterizzata da splenomegalia, epatomegalia, linfoadenopatia, anemia, piastrinopenia.I problemi più rilevanti sono costituiti dalle alterazioni a carico del sistema immunitario, nella fattispecie- depressione della produzione di Ig (che possono scendere sotto i 500mg/dl) e dell’attività CD4+; la soppressione dell’immunità cellulo-mediata causa, oltre all’insorgenza di infezioni opportunistiche, l’aumento dell’incidenza di tumori (quali cancro del colon, del polmone, del pancreas), anche quando la malattia ha una presentazione clinica benigna- comparsa di “cloni nascosti” cioè linfociti B autoreattivi (policlonali, dunque non legati direttamente alla proliferazione neoplastica) responsabili di anemia emolitica (soprattutto) e piastrinopenia (in misura minore) autoimmuni. Per questo motivo dopo diagnosi di LCC si richiede generalmente il test di Coombs.Per questi motivi possiamo dire che la LCC è una malattia benigna (in quanto la linfocitosi, anche con valori superiori ai 100.000, non è un di per sé un problema clinicamente rilevante) ma che deve essere seguita con attenzione in ambito internistico. Solo in una piccola percentuale di pazienti richiede una chemioterapia.

Alla DIAGNOSI si può arrivare per diverse vie; il sospetto si ha per linfocitosi isolata, poi possono essere presi in considerazione l’immunofenotipo, la riduzione delle immunoglobuline, la presenza all’esame microscopico dello striscio di sangue delle ombre di Gumprekt (costituite da linfociti rotti in cui il materiale citoplasmatico si fonde con quello nucleare). La biopsia midollare dà informazioni

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che possono avere un peso nella prognosi, in quanto può mostrare diversi pattern infiltrativi:- pattern nodulare (prognosi benigna)- pattern interstiziale (prognosi benigna)- pattern misto (prognosi intermedia)- pattern di infiltrazione massiva, con scomparsa del tessuto adiposo (prognosi sfavorevole).

La STADIAZIONE di questa malattia è un problema tutt’altro che speculativo e di ordine pratico, in quanto è essenziale per determinare l’opportunità della chemioterapia. L’importanza di ciò è dimostrata da un trial in cui 1000 pazienti con una LLC a uno stadio iniziale furono divisi in due gruppi, uno trattato con farmaci alchilanti, l’altro non trattato. Ciò che si vide è che i pazienti del primo gruppo erano evoluti in misura minore verso stadi più avanzati rispetto al secondo gruppo, ma AVEVANO una MINORE SOPRAVVIVENZA (a causa di tumori conseguenti alla terapia, a carico specialmente di cute e intestino)! Dunque era più il danno che il beneficio.I criteri di stadiazione più usati sono quello di Rai e quello di Binet.

RAI:0: solo linfocitosiI: linfocitosi e linfoadenopatiaII: linfocitosi e splenomegalia o epatomegaliaIII: linfocitosi e anemia (Hb < 11g/dl)IV: linfocitosi e piastrinopenia(successivamente si raggruppò il gruppo 0 nella categoria LOW RISK, I e II per INTERMEDIATE RISK e III e IV come HIGH RISK)

BINET:A: solo linfocitosiB: linfocitosi e linfoadenopatia che coinvolga almeno 3 stazioni linfonodaliC: anemia (Hb < 10,5g/dl).

Queste stadiazioni utilizzano esclusivamente parametri clinici o legati ai più elementari test ematochimici, con il rischio di lasciare intrattate leucemie clinicamente benigne ma destinate a una progressione rapida e maligna. Per questo motivo nel ’95 vennero introdotti marker biologici come parametri prognostici sfavorevoli, quali:- alterazioni cromosomiche- pattern di infiltrazione midollare massiva- espressione di CD38 e ZAP-70- tempo di raddoppiamento dei linfociti inferiore a un anno.La LCC ha una forma classica e alcune varianti, qualila VARIANTE PROLINFOCITICA che è una condizione intermedia tra una LCC e una leucemia linfoblastica acuta, caratterizzata da - importante epatosplenomegalia, - assenza di coinvolgimento linfonodale, - morfologia anomala dei linfociti (aumentato citoplasma, evidente nucleolo),- ridotto tempo di raddoppiamento- l’espressione dell’antigene FMC7 (patognomonica)

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E’ una malattia maligna, che era sempre mortale prima dell’introduzione del campat (vedi sotto).

l’EVOLUZIONE VERSO il LINFOMA AGGRESSIVO (o sindrome di Richter), in cui insorgono in paziente con LCC (e con linfociti neoplastici caratteristici della LCC per morfologia e immunofenotipo) sudorazioni notturne, calo ponderale, grosse tumefazioni linfonodali.

La CHEMIOTERAPIA CLASSICA comprendeva cloranbucile (che è un farmaco alchilante, nome commerciale: Leukeran) e cortisolo; era in grado di rallentare l’evoluzione della malattia ma non di guarirla (perché era impotente sulle cellule non in mitosi; i farmaci alchilanti difatti sono detti ciclospecifici).La terapia è stata rivoluzionata dalla FLUDABARINA, farmaco sviluppato per le leucemie dei linfociti T, che agisce molto bene anche sulle cellule in fase G0 e può portare a guarigione. La tossicità nei confronti delle cellule T costituisce un grave effetto collaterale, in quanto comporta un’immunodepressione quasi sovrapponibile all’AIDS.Attualmente il golden standard è costituito dall’associazione di fludarabina e ciclofosfamide.E’ stato recentemente introdotto nella terapia il CAMPAT, ovvero una preparazione di mAb anti-CD52.L’immunosoppressione (legata semplicemente alla malattia o associata alla terapia) è trattata con profilassi antimicotica, antibatterica e antivirale cronica nonché con la somministrazione di Ig endovena.

Il LINFOMA di HODGKIN

Come entità noseologica, il linfoma di Hodgkin (o morbo di H.) è stato identificato alla fine dell’ottocento dal dottor Hodgkin che riscontrò un aspetto granulomatoso nei reperti autoptici di giovani deceduti con un quadro clinico caratterizzato da linfoadenopatia e splenomegalia, brillantemente distinto da quello della TBC.In seguitò si riconobbero nei tessuti coinvolti le cellule neoplastiche (accompagnate da una vasta proliferazione policlonale reattiva di linfociti T e di altri leucociti), ovvero le cellule di Reed-Sternberg, elementi voluminosi e binucleati (a specchio).

Il linfoma di H. ha, rispetto ad altre neoplasie ematologiche, una caratteristica EPIDEMIOLOGIA: la malattia (che ha un’incidenza di 3-5 casi per 100.000 abitanti/anno) ha due picchi, uno tra il 17 e i 25 anni e uno dopo i 45-50 anni (mentre i linfomi non Hodgkin hanno un modesto picco in età pediatrica e aumentano di incidenza negli anziani); un gradiente tra nord (dove è maggiore l’incidenza) e sud; una predilezione per i ceti medio-alti e per i quartieri residenziali dei sobborghi (in contrapposizione alle aree ad alta densità abitativa); l’occasionale evenienza di microepidemie (ad esempio in comunità come scuole o caserme).

Su queste basi si ipotizzò che l’EZIOLOGIA potesse essere infettiva; i primi sospetti furono indirizzati verso i micobatteri (immaginando che un granuloma infettivo benigno potesse trasformarsi in un granuloma neoplastico).

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Si scoprì in seguito una (pur modesta) correlazione tra l’insorgenza di linfoma di H. e la MONONUCLEOSI INFETTIVA; questa associazione statistica acquistò maggior peso quando le tecniche citologiche permisero di riconoscere nelle cellule di Reed-Sternberg dei LINFOCITI B ampiamente anaplastici.Difatti il virus di EBV, responsabile della mononucleosi infettiva, si lega ai recettori CD21 dei linfociti B e sintetizza delle proteine che sono in grado di immortalizzare questa cellula. Si suppone dunque che in soggetti predisposti questa immortalizzazione possa porre le basi per una successiva trasformazione maligna.Questo spiegherebbe le anomalie epidemiologiche:- picco di insorgenza intorno ai 20 anni (perché in età pediatrica l’EBV dà tipicamente un quadro clinico acuto senza sequele)- andamento occasionalmente microepidemico- predilezione per ambienti socialmente elevati (dove l’esposizione a EBV è più probabilmente tardiva)E’ dunque ora opinione corrente che l’EBV sia quantomeno il primum movens della malattia.

L’ANATOMIA PATOLOGICA distingue quattro sottotipi istologici (su sospetto di linfoma il linfonodo dev’essere BIOPSIATO e non aspirato; l’agoaspirato ha valore solo per sospetto di metastasi), nei quali è costante il riscontro delle cellule di Reed-Sternberg ma varia il contesto linfonodale; i sottotipi sono:- PREDOMINANZA LINFOCITARIA: presenti poche cellule di Reed-Sternberg e molti linfociti policlonali reattivi- SCLEROSI NODULARE: numero maggiore di cellule di Reed-Sternberg, permane un’importante proliferazione reattiva dei linfociti, ma associata a tralci di connettivo. I linfomi di H. giovanili si manifestano spesso con questo quadro.- CELLULARITA’ MISTA: aumenta ulteriormente rispetto al precedente sottotipo il numero di cellule di Reed-Sternberg ma caratteristicamente l’infiltrato comprende, oltre a linfociti, monociti e basofili. E’ un reperto che entra in d.d. con un granuloma infiammatorio.- DEPLEZIONE LINFOCITARIA: ridotta risposta infiammatoria, grande numero di cellule di Reed-Sternberg; è un quadro tipico dell’età avanzata.La differenziazione di questi sottotipi è importante perché è correlata con la PROGNOSI e in quanto, forse, i differenti istotipi corrispondono all’evoluzione della malattia (non lo si sa con certezza perché la malattia non è seguita con ripetute biopsie).In ordine decrescente di benignità: predominanza linfocitaria (in cui è molto rara la sintomatologia sistemica), sclerosi nodulare, cellularità mista (che è generalmente associata a importante sintomatologia sistemica), deplezione linfocitaria (che costituisce il fallimento della risposta immunitaria alla neoplasia).

La CLINICA è dominata nelle fasi iniziali dall’interessamento linfonodale, le cui localizzazioni più frequenti sono:- LATEROCERVICALE (70%)- MEDIASTINICA (50-60%)- ASCELLARE (30-35%)- INGUINALE (30-35%)- POLMONARE ILARE (15-35%)

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Nel 30% dei casi è coinvolta la milza; nel 10-15% sedi extranodali come polmoni, ossa o fegato (ma in teoria ogni localizzazione, compresa quella cerebrale, è possibile).La diffusione del coinvolgimento linfonodale segue le vie linfatiche ed è pertanto prevedibile (ad esempio: da localizzazione linfatica, a lomboartica inf, a lomboaortica sup, a sottodiaframmatica, a mediastinica…); i linfonodi interessati sono generalmente di grandi dimensioni, indolenti, di consistenza duro-fibrosa o duro-lignea, con alterata struttura (non più reniforme ma spesso rotonda), tendono a conglomerarsi in pacchetti e ad infiltrare i tessuti circostanti (dunque perdendo la caratteristica mobilità).In termini generali, ciò che fa maggiormente sospettare la natura neoplastica di una tumefazione linfonodale è la localizzazione atipica (sopraclaveare o ascellare ad esempio; i linfonodi cervicali o inguinali sono molto più spesso ingrossati per una risposta infiammatoria) e l’assenza di dolorabilità. Un mezzo che da pochi anni aiuta questa valutazione è l’ecografia linfonodale che dà informazioni sulla forma e sulla struttura dell’ilo e che è molto sensibile nel distinguere tumefazioni benigne o maligne.Non sempre all’esordio della malattia è presente la SINTOMATOLOGIA SISTEMICA, caratterizzata da:- astenia- febbre (o febbricola) serotina persistente- sudorazione notturna (anche in assenza di febbre; è un sintomo abbastanza tipico dei linfomi in genere)- prurito- dolorabilità dei linfonodi dopo assunzione di alcool (è un sintomo incostante, presente solo in un 20-30% dei casi, ma quasi patognomonico per il linfoma di H.)- aumento della VES, della PCR ed eosinofilia

Ottenuta su queste basi la DIAGNOSI, risulta un problema di rilievo la STADIAZIONE della malattia. Trova ancora utilizzo la classificazione Ann Arbor (del 1976) che distingue 4 stadi:I: tumefazione di una singola stazione linfonodaleII: 2 o più tumefazioni linfonodali ma poste dalla stessa parte del diaframmaIII: 2 o più tumefazioni linfonodali su entrambi i lati del diaframmaIV: presenza di una localizzazione extranodalea cui si possono applicareA: assenza di sintomi sistemici (ad esempio: stadio IIA per un paziente con tre tumefazioni linfonodali interessate ma senza astenia, febbre ecc.)B: presenza di sintomi sistemiciX: presenza di bulky disease, cioè di una massa mediastinica superiore ai 10 cm.L’incrociarsi di tutti questi fattori però porta alla creazione di numerosissime sottocategorie che rendono difficili (data la scarsa frequenza della malattia) le analisi statistiche necessarie per regolamentare la MODULAZIONE della TERAPIA (che può andare da una semplice resezione chirurgica + irradiazione a cicli pesanti di chemioterapia); per questo motivo si tendono a raggruppare diverse categorie secondo i criteri Ann Arbor in tre classi: ALTO RISCHIO, MEDIO RISCHIO, BASSO RISCHIO.

I LINFOMI NON HODGKIN

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Nel complesso, i linfomi non Hodgkin hanno un’incidenza di 20 casi su 100.000 abitanti/anno; tale incidenza ha mostrato (per ragioni sconosciute) un graduale aumento tra gli anni ’50 e gli anni ’90 per decrescere lievemente nell’ultimo decennio (forse a causa del maggior controllo dell’infezione da HIV).Non è stata dimostrata alcuna correlazione tra i linfomi non Hodgkin e l’esposizione a radiazioni ionizzanti o agenti chimici, eccezion fatta forse per alcuni pesticidi (oggi in disuso).La loro frequenza in condizioni di immunodepressione, acquisita (terapie immunosoppressive, AIDS) o congenita (come l’agammaglobulinemia comune variabile, la sindrome da atassia teleangectasia, l’immunodeficienza x-linked).Esiste inoltre, con rilevanza variabile nelle diverse forme, il coinvolgimento di agenti infettivi. In corso di HIV aumenta l’incidenza di linfomi maligni EBV+ (Burkitt?). L’HCV ha una prevalenza del 18% (è del 3% nella popolazione generale) nei pazienti con linfoma. Tale correlazione può essere spiegata dal fatto che l’HCV infetta il fegato legandosi al recettore CD81 espresso dagli epatociti; la stessa proteina è presente nella membrana dei linfociti B dove ha funzione di attivazione. Inoltre, l’HCV può causare una traslocazione 14-18, responsabile di soppressione dell’inibizione. Anche la crioglobulinemia mista che si osserva in corso di epatite C può essere legata ad una proliferazione oligo o monoclonale dei linfociti B.L’infezione da helicobacter pylori è associata al linfoma MALT gastrico.L’HTLV è responsabile in Giappone, con una certa frequenza, di leucemia linfatica a cellule T.

A titolo di curiosità, la classificazione dei linfomi come spiegata nel corso di anatomia patologica:LINFOMI INDOLENTI- forme disseminate: leucemia linfatica cronica, linfoma linfoplasmocitico, linfoma della zona marginale, linfoma a cellule capelluta, mieloma multiplo, leucemia linfatica a cellule T- forme linfonodali: linfoma follicolare, linfoma a cellule mantellari- forme extranodali: linfoma MALT, micosi fungoideLINFOMI AGGRESSIVI- linfoma diffuso a grandi cellule B- linfomi anaplastici a grandi celluleLINFOMI ad ALTA AGGRESSIVITA’- linfoma di Burkitt- leucemia linfoblastica acuta B- leucemia linfoblastica acuta T

Le MALATTIE dell’EMOSTASIpossono essere distinte in- disordini dell’endotelio e delle piastrine- disordini della coagulazione

DISORDINI dell’ENDOTELIO e DELLE PIASTRINE:

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Esaminando la questione in maniera MOLTO schematica:

TROMBOCITOSI per TROMBOCITEMIA PRIMITIVA (e in seconda battuta per altre sindromi mieloproliferative croniche) o per TROMBOCITOSI REATTIVA (pazienti con infiammazione sistemica cronica, tumori, emorragia cronica, lieve sideropenia).

TROMBOCITOPENIA per- riduzione della produzione a livello midollare: aplasia midollare, mielofibrosi (idiopatica o secondaria), terapia antiblastica (è una riduzione selettiva solo nel caso della ipoplasia amegacariocitica congenita e nella trombocitopenia associata ad assenza del radio)- ipersplenismo- aumentata distruzione: accade per alterazioni dell’endotelio come per applicazione di protesi, o in corso di vasculiti, sindrome uremica emolitica, porpora trombocitopenica trombotica, coagulazione intravascolare disseminata, o per una reazione immunitaria ai danni delle piastrine stesse come in corso di alcune infezioni o per la porpora idiopatica trombocitopenica (una malattia cronica autoimmune).

DISORDINI FUNZIONALI delle PIASTRINE:- MALATTIA di VON WILLEBRAND: è la più comune malattia emorragica ereditaria (con modalità AD il tipo I e II, ), con una prevalenza di 1/100-500. Il fattore di Von Willebrand, la cui quantità (malattia di vW di tipo I, la più comune) o funzionalità (malattia di vW di tipo II) è alterata in questo disordine, facilita l’adesione delle piastrine a recettori del subendotelio (esposti in condizioni di aumentato shear stress) e agisce come carrier del fattore VIII della coagulazione (o fattore antiemofilico). I pazienti con malattia di vW in forma più lieve hanno facilità di emorragia in seguito a traumi, forme più severe comprendono episodi spontanei di epistassi, emorragia gastrointestinale, orale o genitourinaria. Il fenotipo più severo è quello della malattia di vW di tipo III che compare nei figli di due pazienti con malattia di vW di tipo I lieve (e pertanto spesso non diagnosticata); questa condizione è dunque trasmessa con modalità AR.- MALATTIA di VON WILLEBRAND ACQUISITA: è una rara condizione legata ad autoanticorpi che inibiscono la funzione del fattore di vW o dalla proliferazione neoplastica di linee linfoidi che assorbano il suddetto fattor.- UREMIA: non si sa bene come questa condizione causi un disordine funzionale delle piastrine; probabilmente l’effetto è mediato da un eccesso di produzione di prostacicline, dalla ritenzione di acido fenolico e dal disturbo dell’interazione piastrina-fattore di vW.- SINDROME di BERNARD-SOULIER: ovvero difetto del recettore delle piastrine per il fattore di vW, cioè la GP Ib/IX. E’ una malattia AR che comporta ricorrenti episodi di emorragie spontanee o provocate anche severe.- MALATTIA di GLANZMANN (o TROMBOASTENIA): difetto di GP IIb/IIIa, che è il recettore della membrana piastrinica per il fibrinogeno che permette l’aggregazione. E’ una malattia a trasmissione AR con fenotipo sovrapponibile alla sindrome di Bernard-Soulier.- DISORDINI del RILASCIO delle PIASTRINE: oltre a una serie di malattie genetiche rare, la principale causa di emorragia legata a una depressione della secrezione piastrinica è l’uso di FANS che inibiscono la COX et ergo la produzione

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di trombossani. In genere l’effetto è semplicemente una aumentata e più precoce insorgenza di lividi dopo un trauma, o aumentata emorragia in corso di procedure invasive. L’azione dei FANS può avere conseguenze più gravi nei pazienti con emofilia o malattia di vW.

MALATTIE dell’ENDOTELIO:- PORPORA TROMBOTICA TROMBOCITOPENICA- SINDROME UREMICO-EMOLITICA- PORPORA di HENOCH-SCHONLEIN- MALATTIE METABOLICHE e INFIAMMATORIE quali ipersensibilità a penicillina o sulfonamidi, rickettsiosi, iperglobulinemia benigna, malattia di Waldenstrom o mieloma, crioglobulinemia, scorbuto (deficit di vitamina C), malattia di Marfan o di Ehler-Danlos.

DISORDINI della COAGULAZIONE

Caratteristicamente, i pazienti con difetto congenito della coagulazione del plasma hanno emorragie a livello di muscoli, articolazioni e cavità del corpo alcune ore-giorni dopo un insulto meccanico. Per la maggior parte, questi difetti sono legati a un’alterazione genetica a carico di una delle proteine della cascata della coaulazione, prevalentemente il fattore VIII e IX (codificati nel cromosoma X).

L’EMOFILIA A è una malattia recessiva X-linked legata a un deficit o a una disfunzione del fattore VIII (che regola l’attivazione del fattore X scatenata dalla via intrinseca della coagulazione). Riguarda 1 su 10.000 maschi nati. Perché ci siano sintomi, la percentuale di fattore VIII funzionante in circolo dev’essere inferiore al 5%; se è inferiore all’1% si parla di emofilia severa.Nei pazienti con emoilia A si potrà avere emorragia in tutti tessuti molli, e più frequentemente nelle articolazioni (dunque si avrà emartrosi) che sostengono il maggiore peso (anca, caviglia, ginocchio); non trattate, queste emorragie possono durare per diversi giorni. I bambini con emofilia severa sono in genere diagnosticati subito dopo la nascita (spesso sviluppano un esteso ematoma al capo, o un’emorragia severa dopo la circoncisione), mentre quelli con un fenotipo moderato andranno incontro ai primi disturbi quando imparano a camminare o ad andare a gattoni. Le complicanze più temibili sono l’emorragia orofaringea (che può richiedere l’intubazione del paziente per mantenere pervia la via aerea) e l’emorragia all’interno del SNC.

L’EMOFILIA B è una malattia X-linked recessiva (1 caso ogni 100.000 nati maschi) legata a un deficit o alla perdita di funzione del fattore IX (che attiva il fattore X in sinergia con il fattore VIII) ha un quadro clinico sovrapponibile a quello dell’emofilia A ma dev’essere distinta dall’emofilia B perché richiede un diverso trattamento.

DIAGNOSI dell’EMOFILIA: il sospetto clinico deve indirizzare a conta delle piastrine, tempo di sanguinamento, PT (tempo di protrombina) e PTT (tempo di tromboplastina parziale o di Quick); i pazienti con emofilia avranno tipicamente il PTT allungato e tutti gli altri parametri normali. In ogni caso, chiunque abbia una storia di emofilia e il PTT allungato deve sottoporsi all’esame specifico dei fattori VIII e IX.

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Eistono poi rari deficit di altri fattori della coagulazione: deficit del fattore XI (malattia AR più difusa tra gli ebrei ashkenaziti: può causare menorragia, e i più colti tra di voi coglieranno il riferimento evangelico), o anche del fattore V, VII, X e II (protrombina), questi ultimi AR e rarissimi.

Il DEFICIT di VITAMINA K: la vitamina K è una vitamina liposolubile, assorbita con la dieta (e accumulata nel fegato) ma anche sintetizzata dalla flora intestinale. E’ trasformata nella forma attiva dai microsomi epatici e agisce come cofattore della carbossilazione dei residui di glutammato delle proteine del complesso della protrombina.Si ha deficit per:- ridotta assunzione con la dieta- ridotto assorbimento- difettivo accumulo (per malattia epatocellulare)La causa più frequente di deficit di vitamina K nella pratica clinica riguarda soggetti con scarsa assunzione con la dieta, ricoverati per interventi alle vie biliari (con drenaggio della bile) e sotto antibiotici ad ampio spettro.Tipicamente, i pazienti con deficit della vitamina K avranno all’inizio prolungato PT e normale PTT perché si ridurranno i livelli dei fattori con il minor tempo di emivita (cioè VII e proteina C); per deficit prolungati tuttavia si allungherà anche il PTT per decremento dei livelli di fattore II, I, IX e X.

La D ISSEMINATED I NTRAVASCULAR C OAGULATION è associata a “obstetric catastrophes” (?), neoplasie maligne, traumi massivi e sepsi batterica. Ha un quadro compreso in uno spettro che va da una condizione ad elevata mortalità a un disturbo subclinico. Generalmente, i pazienti hanno estese emorragie a livello di cute e mucose; meno frequentemente acrocianosi, trombosi, lesioni pregangrenose a dita, genitali e naso (in queste aree l’irrorazione è più facilmente soppressa per microtrombi e vasospasmi). Il laboratorio può riscontrare piastrinopenia, schistociti, prolungati PT, PTT e tempo di trombina, elevati D-dimeri e altri prodotti di degradazione della fibrina.

MALATTIA EMORRAGICA in CORSO di EPATOPATIA: è legata a- fattori anatomici: varici, ipersplenismo (e secondaria trombocitopenia), gastrite- insufficienza epatica: ridotta sintesi di fibrinogeno, protrombina, fattori V, VII, I, X e XI, ridotto metabolismo e accumulo di vitamina K- ridotta clearance del tPA (tissue Plasminogen Activator) che causa fibrinolisi sistemica- ridotta clearance dei fattori della coagulazione attivati che causa CID- complicazioni della terapia: diluizione delle piastrine e dei fattori della coagulazione per trasfusione intensiva, somministrazione di eparina.

DISTURBI TROMBOFILICI CONGENITI: ovvero- DEFICIT di ANTITROMBINA (1 soggetto su 2000 ha un lieve deficit eterozigotico)- DEFICIT della PROTEINA C, che si lega alla trombomodulina sulla membrana endoteliale ed è convertito nella forma attiva dalla trombina, o della

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proteina S, che insieme alla proteina C proteolizzano il attore V attivato e il fattore VIII attivato, e inoltre stimolano la fibrinolisi.- MUTAZIONE LEIDEN del FATTORE V: causa resistenza del fattore V alla proteina C. La prevalenza dell’eterozigosi per questa mutazione è del 3% nella popolazione totale, ma è molto scarsa o assente negli afroamericani e nei nativi americani. L’eterozigosi causa un aumento della probabilità di eventi tromboembolici venosi di 7 volte, l’omozigosi di 20 volte. Il fattore Leiden è responsabile del 25% delle trombosi venose profonde e dell’embolia polmonare.

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