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a tutto in questo numero AR CO Leonid Kogan. Un violinista dell’Est Convegno Musica e Neuroscienze Musica e cervello tra mito e scienza Dieci anni senza Franco Gulli XIII Concorso Triennale Internazionale degli Strumenti ad Arco La quotazione degli strumenti Organo ufficiale di ESTA Italia numero 9 - anno V prezzo di copertina 8 Tariffa regime libero: Poste Italiane spa - sped. in a. p. 70% DCB (Cremona C.L.R.) ISBN 88-8359-162-4 9

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in questo numero

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Leonid Kogan. Un violinista dell’Est

Convegno Musica e Neuroscienze

Musica e cervello tra mito e scienza

Dieci anni senza Franco Gulli

XIII Concorso Triennale Internazionaledegli Strumenti ad Arco

La quotazione degli strumenti

9

Organo ufficiale di ESTA Italianumero 9 - anno Vprezzo di copertina 8 €

Tariffa regime libero: Poste Italiane spa - sped. in a. p. 70% DCB (Cremona C.L.R.)

ISBN 88-8359-162-4

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AudizioniMuseoal

DOMENICA 16 SETTEMBRE 2012Cecilia Ziano

violino Antonio StradivariIl Cremonese 1715

DOMENICA 14 OTTOBRE 2012Francesca Dego

violino Antonio StradivariBavarian 1720

DOMENICA 11 NOVEMBRE 2012Laura Marzadori

violino Antonio StradivariVesuvius 1727

DOMENICA 9 DICEMBRE 2012Lucia Luque

violino Antonio StradivariHellier 1679

faciebat

Museo Civico “Ala Ponzone” - Sala San Domenico - via Ugolani Dati, 4 Cremona

informazioni: Bookshop Museo tel. 0372 803622 - [email protected]: Bookshop Museo e Libreria Cremonabooks

L’AUDIZIONE E’ RISERVATA AI VISITATORI DEL MUSEO AL COSTO AGGIUNTIVO DI 3 EURO

LE AUDIZIONI SI TERRANNO IN SALA SAN DOMENICO (ORE 11,00)

Antonio Stradivari

organizzato da sponsor

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Tel. +39 0372 31743 - Fax +39 0372 537269www.cremonabooks.com - [email protected]

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Organo ufficiale di ESTA Italia

numero 9 - anno V

direttore responsabileGiovanni Battista Magnoli

assistente e coordinatrice editorialePaola Carlomagno

comitato di redazioneMarco AndriottiBarbara BertoldiFausto CacciatoriAlberto CampagnanoPaola CarlomagnoEnnio FrancescatoBruno GiurannaSatu JalasLuca Sanzò

editore e redazione CREMONABOOKSCremona, Largo Boccaccino, 12/14tel. 0372 31743 - fax 0372 [email protected]

grafica, impaginazione, raccolta pubblicitariaFORMAT - Cremona, via A. Rodano, 21tel. 0372 800243 - fax 0372 [email protected] - www.formatcr.it

stampa: Monotipia Cremonese - CR

Presidente di ESTA InternationalBruno Giuranna

Comitato Direttivo ESTA ItaliaMassimo Quarta presidenteSatu Jalas vice-presidenteEnnio Francescato segretarioMarco AndriottiBarbara BertoldiAlberto CampagnanoGiuseppe MiglioliLuca SanzòUrsula Schaa

Soci OnorariClaudio AbbadoSalvatore Accardo Piero FarulliRenato Zanettovich

iscritto al registro stampa periodica

al n. 441 in data 21.4.2008

in questo numero

Leonid Kogan. Un violinista dell’Est (seconda parte)

Suonare uno strumento fin da piccoliSi può, anche in conservatorio

Convegno Musica e Neuroscienze

Musica e cervello fra mito e scienza

Dall’america con passione Mimi Zweig

Improvvisare con gli archi

Concerto sulla Nave Italia

Dieci anni senza Franco Gulli

Ricordo di Franco Gulli

Playday di Roma

XIII Concorso Triennale Internazionale degli Strumentiad Arco “Antonio Stradivari”

La viola d’amore nella bottega di Stradivari

Le quotazioni degli strumenti ad arco:le ultime aste

In copertina un momento del Playday di Roma

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Gli anni SettantaNell’estate 1970 Kogan è nella giuria delIV Concorso Internazionale Cajkovskijdi Mosca insieme a David Ojstrakh; tra icomponenti della giuria della sezione“violoncello” compare il compositore ita-liano Virgilio Mortari (1902-1993). Ko-gan stringe amicizia con lui, portandolil’anno successivo a collaborare insieme. Il23 ottobre 1970 al concerto d’inaugu-razione della stagione di musica da cameraall’Accademia di Santa Cecilia a Roma,suona con Naúm Walter al pianoforte; inprogramma la Sonata n. 1 di Brahms, laSonata n. 3 BWV 1005 di Bach, la Sona-ta di Franck, Tzigane di Ravel. Dopo po-chi giorni, il 28 ottobre, suona con il di-rettore Michael Gielen e l’Orchestra del-l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia,in programma il Concerto in re maggioreper violino, archi e basso continuo RV124, op. 12 n. 3 di Vivaldi e il Concerton. 1 di Šostakovic. Tra il 2 e il 5 dicembre1970 è a Parigi al Théâtre des Champs-Elysées, con l’Orchestre de Paris diretta daSerge Baudo, in programma il Concerto n.1 di Šostakovic.Nel 1971 Kogan è premiato con l’ordinedella “Bandiera Rossa del Lavoro”. Nelgennaio-febbraio 1971 è in tournèe negliStati Uniti. Il 7 e 9 gennaio è alla Seve-rance Hall di Cleveland con un sostituto diSzell (deceduto pochi mesi prima) a capode The Cleveland Orchestra per il Con-

certo di Beethoven; il 15 febbraio suonaalla Carnegie Hall di New York due com-posizioni di Mozart, l’Adagio K6 261 e ilConcerto K6 216 con Erich Leinsdorf e laThe Cleveland Orchestra1. Ma la tournéedel febbraio 1971 negli Stati Uniti si in-terseca a risvolti politici. Nel tentativo di

sensibilizzare l’opinione pubblica controle persecuzioni causate dai regimi totalita-ri dell’Est, a metà di un recital di Kogan al-la Carnegie Hall sono lanciati da un palcovolantini di protesta e un lacrimogeno. Ilviolinista è costretto a interrompere im-mediatamente il concerto, e solo dopo al-

Paolo Cecchinelli

Leonid KoganUn violinista dell’Est(seconda parte)

Leonid Kogan

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cune ore riesce a portarlo a termine. Ilfatto, com’è noto, non era nuovo, ed è ca-pitato negli stessi anni anche ad altri artistidell’Unione Sovietica in tournée negli Sta-ti Uniti, come Ojstrakh e Richter.Il 12 e il 13 dicembre 1971 è ancora aRoma con Fernando Previtali e l’Orches-tra dell’Accademia Nazionale di Santa Ce-cilia. Il programma prevede due brani perviolino. La serata è aperta dalla prima ese-cuzione del Concerto per violino con accom-pagnamento d’orchestra2 di Mortari scrittoper Kogan tra il 1970 e il 1971. La com-posizione, articolata in sette brevi tempi(un Poema, tre Capricci, una Cadenza, unIntermezzo lirico e un Allegro vivo), saràesclusa ben presto dal repertorio di Ko-gan. Il secondo brano in programma è ilConcerto di Beethoven.3

Qualcosa di simile avviene nel 1972 chesegna un’ideale vicinanza tra Kogan e laFrancia musicale; André Jolivet (1905-1974) scrive per Kogan il suo Concerto pourviolon et orchestre4 diviso in tre tempi. Purcon la dedica sull’autografo,5 “Pour LeonidKogan”, il violinista russo rimane delusodalla composizione, non coglie il valoredel Concerto e rinuncia alla prima esecu-zione parigina presso il Théâtre desChamps-Élysées (27 febbraio 1973) che èaffidata al solista Luben Yordanoff, all’epo-ca primo violino dell’Orchestre de Parise al direttore Zdenek Maçal.6Yordanoff, tral’altro, è stato concorrente di Kogan alConcours “Reine Élisabeth” arrivando trai finalisti all’ottavo posto.Nell’aprile del 1972 è in Italia per unalunga tournée con pianoforte che copremolte città tra cui Siena, Perugia, Roma,Firenze, L’Aquila. La collaborazione conMannino continua; si ritrovano a Milanoassieme all’Orchestra Sinfonica di Milanodella RAI il 28 aprile 1972 nell’esecuzionedel Concerto di Brahms.

Petrushansky suona il 7 dicembre tresonate di Beethoven (3, 9, 10), con Man-nino alla direzione si esibisce il 9 e il 10dicembre in tre brani, la Sinfonia Concer-tante K6 364 di Mozart (Dino Asciolla al-la viola), il Concerto per violino e orche-stra op. 62 (1970) di Mannino8 e il Con-certo di Beethoven. In mezzo a una tour-née e l’altra, Kogan nel giugno del 1974 ègiurato alla quinta edizione del ConcorsoInternazionale Cajkovskij, che si svolge aMosca. Tra il 22 e il 25 gennaio 1975 è aParigi con Yuri Temirkanov e l’Orchestrede Paris per il Concerto di Beethoven.Nel 1975 è protagonista del documentarioViolinist Leonid Kogan, a cura del gruppoartistico Ekpan, prodotto da G. Myachin,con la regia di G. Dionina, e con la con-sulenza, la sceneggiatura e i testi di Vladi-mir Grigoriev. Dopo aver scritto nel 1958-59 il Concerto n. 1, nel 1974 Khrennikovscrive ancora per Kogan il breve Concer-to n. 2 in do maggiore op. 23;9 come ilprecedente, è nei convenzionali tre tempi(Allegro con fuoco, Moderato, Allegromoderato con fuoco). Kogan tiene la pri-ma esecuzione il 24 febbraio 1975 a Ya-roslavl con V. Barssov e l’Orchestra Sinfo-nica di Yaroslavl; esiste una registrazionepubblica datata 1 maggio 1977 con Svet-lanov e l’Orchestra Sinfonica dell’Acca-demia di Stato (cd Brillant), che precede laregistrazione ufficiale in studio del 1978su Melodiya. La tournée del 1975 negli Stati Uniti pre-vede anche una serie di concerti a Chi-cago; il 6, 7, e 8 marzo si esibisce con laChicago Symphony Orchestra diretta Sil-vio Varviso nel Concerto in do minore diVivaldi e nel Concerto n. 2 di Prokof ’ev.Come già anticipato, nell’estate del 1976Kogan è membro della giuria del Con-cours “Reine Élisabeth” a Bruxelles insie-me a Franco Gulli, Yehudi Menuhin e Zi-

All’inizio degli anni Settanta, in un climadi distensione politica tra Est e Ovest, na-sce un progetto discografico della Euro-disc che prevede la registrazione delle SeiSonate per violino e clavicembalo BWV1014-1019 di Bach. Il progetto, che affianca il russo Kogan coltedesco Karl Richter al clavicembalo, haluogo nello Studio III della BayerischenRundfunks di Monaco tra il gennaio e ilmaggio del 1972. È un progetto veramen-te importante per un violinista che amala musica ma non le integrali. Kogan, dopoalcune registrazioni di singole sonate, af-fiancato al pianoforte da Vladimir Yampol-ski e Grigori Ginzburg, opta per la regi-strazione integrale delle Sonate. AncheRichter non era alla sua prima esperienzacon questa raccolta perché aveva già col-laborato con Wolfgang Schneiderhan e dalvivo con Yehudi Menuhin. È un’esecuzio-ne indirizzata ai valori profondamentepoetici ed espressivi più che alla stretta os-servanza dei criteri rigidamente filologicipropugnati dai fautori intransigenti dellaprassi esecutiva. In quel periodo era in cor-so di realizzazione un documentario tele-visivo su Richter; è possibile quindi ve-dere i due strumentisti in sala di registra-zione provare il quarto movimento (Pre-sto) dalla Sonata n. 2. Kogan commissiona ad un allievo di Šo-stakovic, Revol Samuilovich Bunin (1924-1976), una composizione con orchestrache prenderà il titolo di ConcertanteSymphony in sol minore op. 43 (1972); de-dicata a Kogan, il violinista dà la primaesecuzione con Alexander Lazarev e l’Or-chestra Sinfonica di Stato dell’URSS il 7ottobre 1975 alla sala grande del Conser-vatorio di Mosca.7

La “coppia” di concerti romani del dicem-bre 1973 all’Accademia nazionale di San-ta Cecilia è così articolata: con Boris

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no Francescatti. La sera del 20 maggio, nel “Concert d’-hommage à David Oistrakh”, si esibiscecon altri due violinisti della giuria (Igor’Ojstrakh e Berl Senofsky); l’Orchestre dela Radio Télévision Belge è diretta da Re-né Defossez.Il progetto da parte di Šostakovic dellacomposizione di un terzo concerto perviolino da destinare a Kogan, non si è con-cretizzato per la scomparsa nel 1975 delcompositore; ma Kogan non si è dimenti-cato di lui; il 25 settembre 1976, ad un an-no dalla scomparsa di Šostakovic, eseguea Mosca il suo Concerto n. 1 con EvgenijSvetlanov e l’Orchestra Sinfonica di Statodell’URSS. La televisione russa riprendel’esecuzione.10

I contatti con l’Occidente permettono aKogan di collaborare con sempre piùartisti; la tournée statunitense del 1976,per esempio, prevede concerti il 29, 30 ot-tobre e 2 novembre con Boulez e la NewYork Philharmonic nel Concerto n. 2 diProkof ’ev; il 5 e 6 novembre due concer-ti a Cincinnati con Thomas Schippers ela Cincinnati Symphony Orchestra; la set-timana successiva è alla Fischer Hall diNew York ancora con Boulez e la NewYork Philharmonic per il Violinkonzert diBerg. Nel frattempo Kogan ha iniziato adesibirsi in pubblico con sua figlia Nina pi-anista; Dopo i primi concerti in UnioneSovietica, il 19 novembre 1976 si esibis-cono a Roma nell’ambito della stagioneda camera dell’Accademia di Santa Cecil-ia. In programma la Sonata n. 1 in si mi-nore BWV 1014 di Bach, la Sonata n. 3 diBrahms, la Sonata n. 2 di Prokof ’ev e Tzi-

gane di Ravel. Dopo pochi giorni il 21 e22 novembre, sempre a Roma insieme aldirettore Cal Stewart Kellogg, Kogansuona con l’Orchestra dell’AccademiaNazionale di Santa Cecilia, il Concerto n.1 di Šostakovic.Il regista Bernhard F. Bock completa trail 1977 e il 1978 il documentario televisi-vo Der Geiger Leonid Kogan. Prodotto inGermania dalla Videoscope Fernzefilm diAmburgo, il documentario è trasmessodalla Zdf.11 È conosciuto anche con il ti-tolo di Portrait Leonid Kogan. Il violinistaè coinvolto in interviste, prove ed esibi-zioni pubbliche parziali dei Concerti diBrahms e di Beethoven, la Sarabanda dallaPartita n. 2 di Bach, lo Scherzo dalla Sona-ta n. 10 di Beethoven con la figlia Nina. Ilterzo movimento dal Concerto K6 216 diMozart e i movimenti estremi del Con-certo n. 1 di Bruch, sono eseguiti con Al-do Ceccato sia in prova sia in esecuzionealla sala Musikhalle di Amburgo. Il docu-mentario prevede una sessione di registra-zione in studio presso la Melodiya di En-tr’acte da Raimonda di Glazunov con Svet-lanov. Si intravede anche Kogan nella suaclasse al Conservatorio di Mosca mentre

illustra al suo allievo Oleg Sukin il primomovimento del Concerto di Brahms. Ilvideo, trasmesso da alcune televisioni eu-ropee, ed evento raro anche in Italia con ilsemplice titolo Leonid Kogan, non è maistato commercializzato.12

La tournée del 1977 prevede il 13 no-vembre un recital alla Avery Fischer Halldi New York con sua figlia Nina; in pro-gramma musiche di Bach, Schubert,Brahms, la Sonata di Franck e Vardar Rap-sodia Bulgara per violino e pianoforte op.16 (1922) di Pancho Vladigerov (1899-1978) che i due interpreti incideranno li-ve l’anno dopo nella sala grande del Con-servatorio di Mosca.Nel giugno 1978 è presidente della giuriadella sezione “violino” del VI ConcorsoInternazionale Cajkovskij di Mosca; ilvincitore, Ilya Grubert, è un allievo diKogan. Il festival di Salisburgo invita Leonid e Ni-na Kogan per un recital che si tiene l’8agosto; il programma prevede la Sonata n.1 di Beethoven, la Sonata n. 3 di Brahms,la Sonata di Franck e Tzigane di Ravel; ilrecital è registrato dalla radio austriaca e adistanza di circa 30 anni è pubblicato sucd Orfeo. Leonid e Nina Kogan si esibis-cono per l’Accademia nazionale di SantaCecilia il 3 novembre. Il programma è così composto: la SonataD 574 op. 162 di Schubert, lo Scherzo op.postuma di Brahms, la Ciaccona dalla Partitan. 2 di Bach, la Sonata n. 9 di Beethoven.Sempre a Roma, Leif Segerstam a capodell’Orchestra dell’Accademia di SantaCecilia accompagna Kogan il 5 e il 6 no-vembre nel Concerto di Brahms.Nel 1978 Edison Vasilyevich Denisov(1929-1996) completa e dedica a Kogan labreve Sonata per violino solo articolata intre movimenti (Risoluto, Lento, Presto).13

Come in altri casi precedenti, Kogan, pres-

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Leonid Kogan e Elizabeth Gilels

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sato dai molti impegni concertistici, de-clina l’invito e rinuncia alla prima esecu-zione che avviene ad Amburgo il 19 otto-bre 1978 col violinista Yoshiko Nakari. Il violinista prende parte ad un altro do-cumentario-concerto curato dai registiDennis M. Hedllund e I. Prefaransky, Leo-nid Kogan: Interpretations che dovrebbe es-sere datato intorno al 1979-80.14 È pro-dotto in URSS da Gosteleradio e com-mercializzato in occidente su videocasset-ta nel 1986 da Kultur video-CommandPerformance B.V. di Rotterdam. È narratonella versione russa dallo stesso Kogan;l’audio è doppiato nella versione ingleseda un allievo di Heifetz, il violinista ErickFriedman. Seguendo l’ordine dei braniproposti, realizzati integralmente e tutti instudio, Kogan, prima di suonarli, li intro-duce uno alla volta con poche parole: Me-lodia op. 42 n. 3 per violino e orchestra diCajkovskij, Valse-Scherzo op. 34 per violinoe orchestra di Cajkovskij Entr’acte da Ray-monda per violino e pianoforte op. 57 diGlazunov, Scherzo per violino e pianoforteop. postuma di Brahms, Liebesfreud per vio-lino e pianoforte di Kreisler, Nel cor piùnon mi sento per violino solo di Paganini, eCarmen-Fantasy per violino e orchestra diBizet-Waxman. Nei tre brani con piano-forte, Kogan è accompagnato da sua figliaNina. Nei tre brani orchestrali è accom-pagnato da una “invisibile” orchestra rap-presentata in video da tre soli violinisti,della quale ovviamente giunge l’audio.15

La sua ultima apparizione a New York ri-sale al 1979, il 4 febbraio si esibisce consua figlia Nina in un recital alla CarnegieHall dedicato ad alcune sonate di Beetho-ven.

Gli Anni Ottanta e l’epilogo Nell’agosto del 1980 Kogan insegna pres-so l’Accademia Musicale Chigiana di Sie-na. Non si tratta di un caso isolato perchéKogan condusse l’attività di insegnantenon solo al Conservatorio di Mosca maanche in masterclass al Curtis Institute diFiladelfia, ai corsi musicali estivi di Okidnell’ex Jugoslavia, all’Académie Internatio-nale d’Eté di Nizza (1968-70), ed altre cit-tà. Tra gli allievi ufficiali si possono ricor-dare oltre al figlio Pavel, Oleg Sukin, ValeryGradow, Sergei Stadler, Viktoria Mullova,Ilya Grubert, Oleg Kagan, Alexandre Brus-silovsky (che fu suo assistente), AndreïKorsakov, V. Zhuk, Ilya Kaler e SergeyKravchenko. L‘attività didattica di Koganlo vede impegnato anche con violinististranieri che studiano con lui al Conser-vatorio di Mosca: Yoko Sato e MayumiFujikawa.Una singolare dedica a Kogan arriva daDenisov; si tratta della Partita per violino eorchestra da camera (1981). Il composito-

re russo ri-orchestra a modo suo, uno deicavalli di battaglia di Kogan, la celebre Par-tita n. 2 in re minore per violino soloBWV 1004 di Bach. L’intento di Denisovè quello di stravolgere stilisticamente il ca-polavoro bachiano con un arrangiamentopersonale caratterizzato da timbri e sono-rità taglienti, che proietta la composizionenel Novecento. La presenza del clavicem-balo concertante interagisce con la partedel violino che è radicalmente deformatarispetto alla lezione bachiana. La prima esecuzione di Kogan con la di-rezione del figlio Pavel e i Soloists En-semble avviene il 23 marzo 1981 alla salagrande del Conservatorio di Mosca. Laprima registrazione, su lp Russian Disc, èaffidata a Kogan.Nell’agosto del 1981 è nuovamente in Ita-lia presso l’Accademia Musicale Chigianadi Siena; tra il 3 e il 14 agosto tiene unamasterclass “parallela” a quella di Gulli.Nelle ultime apparizioni del 1981 in Italia(Alessandria, Firenze, Milano, Genova, e

Leonid Kogan

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altre città) tutte con la figlia Nina, presen-ta tre programmi da camera distinti. Il re-cital di Firenze è ricordato da LeonardoPinzauti:

Piccolo, timido, con un sorriso malinconico sullelabbra, anche quando era acclamato trionfal-mente, Leonid Kogan era uno dei grandi mitidel concertismo internazionale di questo dopo-guerra […] la sua fedeltà alla patria sovietica ealle grandi tradizioni della scuola violinisticarussa si colorava di tanto in tanto anche un po’di ironia, che lo immunizzava dall’apparire“un professore” ma piuttosto un piccolo, distin-to, signore che sapeva maneggiare stupenda-mente il suo violino, e con inimitabile natura-lezza. Ancora recentemente - a Firenze nel no-vembre del 1981 - le sue mani continuavano adessere una meraviglia tecnica, sia per la bellezzadel suono e per la varietà dei colpi d’arco. Ec’era in lui una personalissima affettuosità dieloquio, anche quando affrontava le pagine piùvirtuosistiche o “datate” dall’uso dei salotti bor-ghesi di un tempo, alle quali imprimeva il fasci-no di una castissima tristezza. Per cui potevanon aver convinto in una Sonata di Beetho-ven, ma bastava che offrisse un “fuori program-ma” di Kreisler per dare l’impressione di poterrigenerare anche le pagine più occasionali. Nétuttavia si può dimenticare, ricordando i suoianni migliori, l’incisività e la fantasia con cui af-frontava anche il grande repertorio, da Mozart aPaganini, da Brahms a Prokof’ev.16

Il 16 novembre Kogan si presenta nella sa-la Verdi del Conservatorio di Milano conun programma a tema: “Romanticismo ePost-Romanticismo”, spaziando da Schu-bert e Cajkovskij a Saint-Saëns e Sarasate.Ad Alessandria pochi giorni dopo affron-

ta la Sonata n. 1 e lo Scherzo op. postumadi Brahms, la Ciaccona dalla Partita n. 2 diBach, la Sonata n. 2 di Grieg, Tzigane diRavel, due bis: un raro Rode e un celebreKreisler. Chi vi scrive ha avuto la fortunadi ascoltarlo e vederlo a Genova il 23 no-vembre 1981 imbracciare il violino Guar-neri del Gesù di Paganini nel “vecchio”teatro Margherita gremito di pubblico. Ilprogramma costruito con cura da Koganera modellato sull’evoluzione del reperto-rio violinistico, la Sonata K6 380 di Mozarte la Sonata n. 1 di Brahms, per poi spo-starsi nella seconda parte della serata nelrepertorio tardo-romantico, la Sérénade mé-lancolique di Cajkovskij e Havanaise di Saint-Saëns. La scelta di chiudere il programmacon un brano di grande impatto, Tziganedi Ravel, rimarrà un ricordo indelebile,soprattutto per la decisione delle stessoKogan di ridurre al minimo ogni gestoplateale fine a se stesso. Kogan era “grande”anche nei “piccoli” gesti - i vezzi d’artista -in particolare quando prima di affrontareRavel a memoria, sposta lontano da sé ilpesante leggio. La presenza genovese diKogan è legata anche ad un altro avveni-mento.

Il regista russo Leonid Menaker gira tra il1981-82 il film Niccolò Paganini con la par-tecipazione di Kogan. Sceneggiato dallostesso regista con la collaborazione di OlegStukalov, e coprodotto dall’URSS e dallaBulgaria, del film è prevista una doppiaversione, una più breve per le sale cine-matografiche e una più lunga per la tele-visione articolata in quattro puntate delladurata complessiva di 256 minuti. La par-te introduttiva girata a Genova nel 1981è impostata in forma di documentario,con Kogan ripreso mentre osserva e suonail Guarneri del Gesù di Paganini. Dopopoche inquadrature, però, il regista prendeatto della distruzione della casa natale diPaganini (la cinepresa non può far altroche puntarsi sulla lapide commemorativa«salvata» dalle ruspe e a ritrarre i luoghistorici ampiamente contaminati dalle ar-chitetture successive. Poi il regista decide dialternare parti dedicate alla narrazione fil-mica - sono presenti attori russi che im-personano i personaggi principali della vi-ta di Paganini - con parti musicali doveKogan impersona se stesso mentre suona ilviolino in frammenti di numerosi brani diPaganini: Nel cor più non mi sento, il Capric-cio n. 24 per violino solo, La Campanellaper violino e pianoforte, il Centone perviolino e chitarra, i tre movimenti delConcerto n. 1 per violino e orchestra. Neibrani concertati, Kogan è il protagonistaassoluto, accompagnato sempre da unainesistente chitarra e da un’invisibile or-chestra. Il film è una delle ultime appari-zioni di Kogan in video. Il film è stato unsuccesso da parte di pubblico e di criticanell’URSS dell’epoca. Igor’ Ojstrakh siesprime in questi termini:

L’ultimo lavoro cinematografico di Kogan fu ilfilm «Niccolò Paganini». Dopo averlo visto intelevisione, lo incontrai e, esprimendogli il mio

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Leonid Kogan con Emil Gilels

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entusiasmo, gli dissi che la rilettura che aveva da-ta di Paganini era l’immagine più completa erealistica del suo grande predecessore. Con laconsueta modestia, mi sorrise e disse con ama-rezza: “il nascituro cammina carponi, non riescea volare”. Solo Leonid Kogan avrebbe potutodar vita sullo schermo a un grande Nicolò Pa-ganini, nell’immagine di quel musicista genialeche egli fu realmente.17

Il film è una ricostruzione, intelligente-mente sostenuta da un racconto a forti ac-centuazioni romantiche, fitto di annota-zioni calligrafiche, ma sempre tese a ricer-care il clima di leggenda e di demoniachemenzogne, in cui si muove la figura di Pa-ganini. Nel maggio del 1984, nell’ambitodi un gemellaggio tra Genova e Odessa,è stata donata una copia del film televisivoda parte del Comitato statale dell’URSS.Nella sala del Vecchio Consiglio di PalazzoTursi (Municipio di Genova) è stataproiettata una ampia parte del film; la ma-nifestazione è stata preceduta dal salutodelle autorità, il sindaco dell’epoca e la de-legazione composta dal Console Generaledell’URSS e dall’addetto culturale pressol’ambasciata sovietica. Questi ultimi hannoricordato che in URSS Paganini è cono-sciuto, e molti milioni di spettatori han-no visto il film dedicato alla sua vita tor-mentata ed avventurosa, grazie anche al-l’impareggiabile bravura di Kogan. Sotto-lineando l’alto impegno storico ed espres-sivo nella realizzazione filmica, ne esce unPaganini incredibile, umano e diabolico,concreto ed inafferrabile, amabile e dete-stabile. Le autorità sovietiche, nel donare lapellicola, hanno rivolto un appello alle te-

certo a Mosca, il 3 marzo a Leningrado;proseguono le riprese del film su Paganini;a marzo Kogan tiene concerti a Parigi, adaprile a Cracovia e a Saratov (sul Volga);dopo aver messo in repertorio per la primavolta Le Quattro Stagioni di Vivaldi le suo-na il 2 maggio con Edmond de Stoutz el’Orchestra da camera di Zurigo, ma laraccolta, secondo Kogan, non è ancoramatura per la registrazione su disco. Laprogettata incisione non avrà mai luogo.Dopo aver continuato le riprese del film suPaganini, Kogan intraprende una serie diconcerti alla “Primavera di Praga”, e in al-tre città della Cecoslovacchia, il 30 maggio

levisioni italiane perché mandi in ondaquesto filmato, anche per la presenza cari-smatica di Kogan che è scomparso quandoil film era in fase di montaggio.18

Il 25 marzo 1981 registra per la Melodiyail Concerto di Beethoven col figlio Pavel acapo della Orchestra Sinfonica Accademi-ca di Stato dell’URSS. Si tratta dell’ulti-ma registrazione con orchestra. L’ultimo anno di vita di Kogan è partico-larmente ricco di impegni; è lo stesso Ko-gan a lamentarsi che non ha tempo perriposare. Come riporta Grigoriev,19 a gen-naio e febbraio effettua diversi concerti inSpagna e Belgio, il 25 febbraio un con-

Leonid Kogan

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suona di nuovo in Russia a Smolenks. Nelfrattempo alcuni suoi allievi iniziano a vin-cere prestigiosi concorsi internazionali. È ilcaso della giovane Viktoria Mullova che,dopo la prima formazione e gli studi allaScuola Centrale di Mosca, è stata dal 1978sino al diploma allieva di Kogan. Ancorastudentessa vince il Concorso “Sibelius”di Helsinki (1980); la violinista è sinteticanel riconoscere merito al suo grande mae-stro:

Leonid Kogan è stato il mio maestro e a luidevo molto. Agli inizi della carriera, avere allespalle, anche solo idealmente, una simile pre-senza, può aiutare molto. Poi progressivamentesi diventa più liberi, più indipendenti, e l’espe-rienza degli anni giovanili viene superata.20

Nel giugno-luglio 1982 Kogan è presi-dente della giuria del VII Concorso Inter-nazionale Cajkovskij di Mosca. In quel-l’occasione partecipa la Mullova che vinceil primo premio ex equo con un altro rus-so, Sergei Stadler. Parte di quella rassegna èripresa dalla televisione sovietica e da unatelevisione privata statunitense. In luglio eagosto Kogan intraprende l’ultima tour-née in Italia, nello stesso periodo ritorna adinsegnare presso l’Accademia Chigiana diSiena. A metà agosto effettua dieci con-certi in 15 giorni in Jugoslavia. All’inizio disettembre suona in Grecia, a metà settem-bre una serie di concerti a Mosca. Alcunefonti riportano21 che nel 1982 Kogan ènominato “membro onorario” dell’Acca-demia Nazionale di “Santa Cecilia” a Ro-ma, ma, fatti gli opportuni controlli, non cisono riscontri. A Genova nel settembre-ottobre 1982 è nominato “membro d’o-nore” della giuria del Concorso Interna-

zionale “Premio Paganini”; quell’anno so-no presenti anche Accardo e Menuhin,ma non viene assegnato il primo premio;sono due mesi musicalmente intensi perGenova che chiude le celebrazioni per ilbicentenario della nascita di Paganini. MaKogan riparte subito dopo per un’altratournée in Francia e in Italia con la figliaNina al pianoforte: Nizza, Parigi e 14 cit-tà italiane sino a Bari, si susseguono senzasosta. In programma musiche per violinosolo di Bach e con pianoforte di Tartini,Grieg e Paganini.22 Secondo diverse fonti,Kogan e la figlia Nina registrano nell’ot-tobre 1982 per la Melodiya la Sonata n. 3di Brahms, è l’ultima incisione in studio. Il7 dicembre tiene l’ultima lezione al Con-servatorio di Mosca. L’attività concertisti-ca per l’Europa è frenetica come sempre,da una tournée all’altra. Le ultime appari-zioni pubbliche di Kogan avvengono aVienna tra l’11 e il 15 dicembre 1982:quattro esecuzioni del Concerto di Bee-thoven. Una delle opere più amate da Ko-

gan, il Concerto in re maggiore - sempreeseguito con le cadenze di Joseph Joachim- è stata anche l’ultima ad essere eseguita: il15 dicembre 1982. Kogan è prematuramente scomparso perun attacco di cuore, in un treno, alla sta-zione ferroviaria di Mytishchi (nordest diMosca) al termine di uno dei suoi inter-minabili e lunghi tour europei; dopo esse-re appena rientrato a Mosca, il 17 dicem-bre 1982 si stava recando a Jaroslavl perun concerto di beneficenza diretto dal fi-glio Pavel; in quell’occasione avrebbe do-vuto suonare il Concerto n. 2 di Bach, ilConcerto n. 1 di Šostakovic, Havanaise diSaint-Saëns il Poeme di Chausson, e Figarodi Castelnuovo-Tedesco23. Aveva solo 58anni. Poche testate giornalistiche italiane,dedicano spazio alla triste notizia.24

Con la scomparsa di Kogan il violinismo so-vietico ha perduto il rappresentante più autore-vole dopo David Ojstrakh. Il futuro di questaprestigiosa scuola strumentale, è oggi è riparata

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Leonid Kogan

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fuori dai confini nazionali Ma come per Igor’Ojstrakh, anche Pavel Kogan non sembra esse-re stato in grado di rinnovare i fasti paterni.Nessuno dei solisti usciti dalla scuola sovieticapare capace di avvicinarsi a quelle lezioni ese-cutive ormai storiche.25

L’amicizia con Mannino doveva portare ilcompositore italiano a scrivere per lui unnuovo concerto per violino da eseguirenell’ambito del Festival di Mosca del 1984.Opera purtroppo non realizzata.26 A di-stanza di un anno, Mannino ha scritto laMissa pro defunctis“Alla memoria di LeonidKogan” per soli, coro e orchestra op. 23327

che è rappresentata in prima assoluta a Mo-sca il 23 maggio 1984 nel secondo Festivalinternazionale di arte contemporanea. Sucommissione di Krzysztof Penderecki, ilcompositore russo Viktor Ekimovsky (n.1947) ha scritto nel 1984 Stanzas per dueviolini To Leonid Kogan’s Memory, che è sta-to eseguito al III festival di musica da ca-mera di Lusławice in Polonia da due allie-vi di Kogan. Cosi Hans Fazzari descrivegli ultimi incontri con Kogan:

L’ultimo Kogan che io mi ricordi, era un uomoprovato, in tutti i sensi, scavato, malinconico, for-se deluso, apparentemente vittimista. […] Lamorte in treno sembrò non uscire dalla cornice diuna sorda e grigia (naturalmente muta) malin-conia. Kogan era stato il prototipo dell’artistanon libero. L’ipotesi di scegliere l’Occidente,ventilata in sordina, non ebbe seguito. La mor-te (e quel tipo di morte) cancellarono in fretta unargomento di conversazione: i misteri di unNon-Eroe. Forse Kogan non aveva colto, in ex-tremis, l’occasione vincente. Forse tragicamenteconscio, o forse rassegnato (o non del tutto): il suocaso si riaprirà forse un giorno.28

Nel preparare il suo saggio su Kogan,completato e pubblicato nel 1987,29 Gri-

goriev ha recuperato molto materiale d’ar-chivio sotto forma di ricordi, lettere e in-terviste; inoltre ha invitato diversi artisti emusicologi a lasciare una testimonianzascritta sulla vita e sull’arte del violinista.Tra i trenta artisti che hanno lasciato uncontributo si possono segnalare Khrenni-kov, Karen e Aram Khacaturjan, Vajnberg,Denisov, Svetlanov, Igor’ Ojstrakh, i duepianisti suoi collaboratori Abrám Maká-rov, Samuel Alumian, e i figli Pavel e NinaKogan. Non mancano contributi di artistioccidentali come Mannino, Gulli e Ac-cardo. Ne esce un ritratto a “tutto tondo”che marca quanta ammirazione e rispetto- quasi una sorta di devozione - c’era neisuoi confronti. È sembrato utile chiuderequesto ritratto su Kogan con una testimo-nianza contenuta in questo libro, quelladell’amico e collega Accardo:

In gioventù l’arte di Leonid Kogan la ricordavocome un mito. Mi ricordo il primo disco in vinilecon registrato lui che suona. La registrazioneera il Primo Concerto di Paganini. L’esibizionedi Kogan mi impressionava molto, non soltantoper la sua maestria tecnica, ma principalmenteper la sua musicalità. L’interpretazione del Con-

certo di Paganini suonato da Kogan per me erauna grande lezione. Dopo averlo sentito chesuonava ho provato a capire più in profondità ilmodo di comporre di Paganini. Finché non hoconosciuto le registrazioni di Leonid Kogan,pensavo che non si poteva suonare meglio ilviolino di come facesse Heifetz, soprattutto nel-la Carmen di Bizet, ma dopo che ho sentito ivinili sovietici di Kogan compresa la Carmen diBizet ho cambiato la mia opinione. Nel corso dilunghi anni non riuscivo a incontrare Kogannonostante lo desiderassi tanto. Ed ecco che l’hovisto e sentito a Roma. Suonava il Concertodi Brahms. Non dimenticherò mai questo con-certo. Una nuova occasione ha fatto si che io eKogan ci avvicinassimo per un periodo lungodi tempo. Entrambi eravamo membri della giu-ria del concorso internazionale Nicolò Paganinia Genova nel 1973. Ci siamo trovati insiemedieci giorni di seguito. Sono stati dei bei diecigiorni. Quest’uomo grande musicista era me-ravigliosamente semplice e modesto. Lui nonsottolineava mai che era più bravo degli altri. Eradi una fantastica umanità. I suoi rapporti con igiovani erano molto caldi. Lui trattava i suoialunni come se fossero i suoi ragazzi. Un suoalunno ha partecipato al concorso. Io ho visto

Leonid Kogan e famiglia, 1958

Viktoria Mullova e Leonid Kogan (Mosca 1982)

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con quale cura Kogan lo assisteva mentre si pre-parava ogni giorno, gli dava i consigli e comeera felice quando lo hanno premiato. Poi mihanno detto come Kogan nel corso di due anniha insegnato in Italia nella Accademia Chigia-na, di quali magnifici rapporti si sono instaura-ti tra lui e i suoi allievi, mi hanno raccontato del-la sua severità e serietà. Però in tutto era moltosaggio e giusto. Con Kogan abbiamo molto par-lato di musica e ovviamente di violino. Un gior-no ascoltando le sue registrazioni cercavo di im-maginarmi questa figura di violinista attraversoil suo suonare, e solo ora ho percepito sul seriotutta la profondità di quest’uomo. Le sue azio-ni e la sua purezza del suo animo lo facevanodifferenziare sullo sfondo di tutti gli altri artisti.Io penso che il musicista sia prima di tutto uma-no, e se questa persona non è moralmente sopra

Leonid Kogan, edit. by Samuel e Sada Apple-baum inThe Way They Play, book 2, Neptune,City NJ, Paganiniana Publications Inc., 1974,pp. 55-72. JAMES CREIGHTON, Leonid Borisovich Kogan, inDiscopaedia of the violin 1889-1971, Toronto,University of Toronto Press, 1974, pp. 379-387.LEONID KOGAN, Begegnungen, in VIKTOR JU-SEFOWITSCH, David Oistrach gesprächen mit IgorOistrach, trad. ted. di Juri Elperin, Stuttgart,Deutsche Verlags-Anstalt, 1977, pp. 203-207.BORIS SCHWARZ, Leonid Kogan, in Great Mastersof the Violin, London, Robert Hale, 1983, pp.468-472. LUIGI BELLINGARDI, In Memoriam Leonid Boris-sovic Kogan, «Nuova Rivista Musicale Italiana»,XVII/1 (gennaio-marzo 1983), pp. 174-175.La scomparsa di Leonid Kogan, «Musica Viva»,VII/2 (Febbraio 1983), p. 28.ALBERTO CANTÙ, Leonid Kogan, «Musica»,VII/28 (Marzo 1983), pp. 66-67.[VLADIMIR GRIGORIEV (ed.), Leonid Kogan, Me-moirs, Letters, Articles, and Interviews, Moscow, So-vetski Kompozitor, 1987]; N.B.: il saggio nonesiste nella versione inglese; all’interno del sag-gio di Vladimir Grigoriev è contenuta l’inter-vista di L. Grigoriev e J. Platiev a Leonid Kogandatata 1968 (pp. 187-193), che qui si cita intrad. ital.: L. GRIGORIEV - J. PLATIEV, Conversa-zione con Leonid Kogan, «Vita dei Musicisti», n. 14(1968) [trad. ital. di Rita de Cillis e Riccardod’Auria, «Musica», XX/97 (aprile-maggio1996), pp. 70-73].UMBERTO MASINI, Leonid Kogan, recital, «Musi-ca», XI/47 (dicembre 1987), pp. 37-38.ALBRECHT ROESELER, Große Geiger unseres Jahr-hunderts, München, R. Piper GmbH & Co,19872, 1996, pp. 231-234.FRANCO MANNINO, Genii, Vip e gente comune,Editore Bompiani, Milano 1987.NATHAN MILSTEIN - SOLOMON VOLKOV, FromRussia to the West: The Musical Memoirs & Remi-niscences of Nathan Milstein, New York, Lime-light Edition, 1991 [trad. ital. di Annamaria Gal-lo, Dalla Russia all’Occidente. Memorie musicali e al-tri ricordi di Nathan Milstein, Milano, Nuove Edi-zioni, 1997, pp. 262-263]. FERDINANDO DE CARLI, Viktoria Mullova, Il ri-

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Leonid Kogan e David Ojstrakh

le altre persone non può essere un grande musi-cista. Kogan era magnifico in tutti e due gliaspetti, sia come musicista, sia come persona.Questo violinista ha lasciato un’impronta si-gnificativa nell’arte che non si può cancellare.La sua scomparsa è un vuoto che non si può ri-empire nella musica. Io credo che il ricordo diLeonid Kogan, un uomo straordinario, rimarràper sempre tra noi, così come la sua arte, che è ri-masta impressa in molte registrazioni.30

BibliografiaJOSEPH SZIGETI, With Strings Attached: Reminis-cences and Reflections by Joseph Szigeti, London,Cassell & Co. LTD, 1949, p. 226.JOACHIMW. HARTNACK, Leonid Kogan, in GroßeGeiger unserer Zeit, München, Rütten & Loe-ning Verlag GmbH, 1967, pp. 267-273.

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Accardo, al direttore Alberto Zedda e al-l’Orchestra Sinfonica della RAI di Milano.Pavel Kogan curò per la Melodiya la primaincisione.

9 Moskva, Sovetskij Kompozitor, 1977.10 Il video è commercializzato negli anni suc-

cessivi dalla giapponese Dreamlife (DLVC-1150 DVD).

11 Cfr. https://www.spiegel.de/spiegel/print/d-40607055.html

12 Cfr. AMOH, Chronology, in Leonid KoganDiscography, p. 12.

13 EDISON DENISOV, Sonate für Violine solo,Hamburg, Sikorski, 1978 [Sik 2259]; Mosk-va, Sovetskij kompozitor, 1980.

14 Leonid Kogan, Command Performance B.V.CP1131, 1986.

15 Cfr. AMOH, Filmography, in Leonid KoganDiscography, p. 73; cfr. anche UMBERTO MA-SINI, Leonid Kogan, recital, «Musica», XI/47(dicembre 1987), pp. 37-38.

16 Leonardo Pinzauti cit. in LUIGI BELLINGARDI,In Memoriam Leonid Borissovic Kogan,«Nuova Rivista Musicale Italiana», XVII/1(gennaio-marzo 1983), pp. 174-175.

17 Igor’ Ojstrakh in Leonid Kogan, edit. by Gri-goriev, pp. 43-47; [trad. ital. di Rita de Cil-lis e Riccardo d’Auria, «Musica», XX/97(aprile-maggio 1996), pp. 73-74: 74].

18 Della copia del film si sono perse le traccein qualche archivio del Comune di Genova;chi vi scrive ha tentato inutilmente neglianni successivi di recuperare e visionare lacopia, che naturalmente non è mai statatrasmessa dalle televisioni italiane. Un rin-graziamento a Tatjana Berford per aver rin-tracciato (e reso disponibile questo film)nell’archivio del violinista e direttore Ser-gej Stadler. Diversi frammenti di questo filmsi possono consultare su internet.

19 Vladimir Grigoriev in Leonid Kogan, edit.by Grigoriev, pp. 65-71 [trad. ital. di Rita deCillis e Riccardo d’Auria, «Musica», XX/97(aprile-maggio 1996), pp. 76-77: 77].

20 Viktoria Mullova in FERDINANDO DE CARLI,Viktoria Mullova il rigore di una grande vio-linista [intervista], «Musica», XVI/76 (otto-bre-novembre 1992), pp. 26-28: 27.

21 Cfr. AMOH, Chronology, in Leonid KoganDiscography, p. 12.

22 Cfr. ALBERTO CANTÙ, Leonid Kogan, «Musi-ca», VII/28 (Marzo 1983), pp. 66-67: 66;CANTÙ, Ritratto di Kogan, «Musica»,XXV/141 (Novembre 2002), pp. 50-52.

23 HENRY ROTH, Leonid Kogan, in Violin Virtu-osos, p. 211.

24 Leonid Kogan, «Corriere della Sera», CVII,

20 dicembre 1982; MICHELANGELO ZURLETTI,Un mito, ma sotto il segno della modestia,«La Repubblica», VII, 19 dicembre 1982.

25 La scomparsa di Leonid Kogan, «MusicaViva», VII/2 (Febbraio 1983), p. 28.

26 A.M. BONISCONTI, La musica alla radio,«Nuova Rivista Musicale Italiana», XIX/3(luglio-settembre 1985) p. 557.

27 Roma, Boccaccini & Spada editori, 1983[numero di catalogo 1113].

28 HANS FAZZARI, So long, Nathan, in NATHAN

MILSTEIN-SOLOMON VOLKOV, Dalla Russia al-l’Occidente. Memorie musicali e altri ricor-di di Nathan Milstein, Milano, Nuove Edi-zioni, 1997, pp. 329-360: 355-356.

29 Cfr. nota 1 della prima parte in «A tutto ar-co» n. 8.

30 Salvatore Accardo in Leonid Kogan, edit.by Grigoriev, pp. 74-75 [trad. ital. di Arte-mio Lukin e Philippe Borer; un ringrazia-mento a Salvatore Accardo per l’autorizza-zione a ripubblicarla].

gore di una grande violinista [intervista], «Musica»,XVI/76 (ottobre-novembre 1992), pp. 26-28. RICCARDO D’AURIA, Leonid Kogan in disco,«Musica», XX/97 (aprile-maggio 1996), pp.78-82. HENRY ROTH, Leonid Kogan, in Violin Virtu-osos, From Paganini to the 21st Century, Los An-geles, California Classics Books, 1997, pp. 210-218.KENZO AMOH, Leonid Kogan Discography,Tokyo, Yoshida Printing Company, 1997.JEAN-MICHEL MOLKHOU, Russian champion[discografia di Leonid Kogan], «The Strad»,CX/1315 (november 1999), pp. 1244-1256.BORIS SCHWARTZ-MARGARET CAMPBELL, Ko-gan, Leonid (Borisovich), in The New Grove Dic-tionary of Music and Musicians, second edition,edited by Stanley Sadie, London, MacmillanPublishers Limited, 2001, Volume 13, p. 738.ALBERTO CANTÙ, Ritratto di Kogan, «Musica»,XXV/141 (Novembre 2002), pp. 50-52.A Tribute, by Roland Herrera in http://www.users.globalnet.co.uk/~leonid/kogan_trib-ute.htm

1 Cfr. FRED KIRBY, Kogan Is Lyrically Brillant,«Billboard», LXXXIII/9 (27 february 1971),pp. 35-38.

2 Milano, Carisch, 1971.3 ID., Notizie, «Rassegna musicale Curci»,

XXV/25-26 (1972), p. 50.4 Paris, Èditions Musicales Transatlantiques,

1973 [E.M.T. 1248].5 Bibliothèque nationale de France.6 Cfr. AMOH, First performances in Leonid Ko-

gan Discography, p. 16; Amoh apparente-mente confonde le informazioni sulle com-posizioni di Mortari e Jolivet; in realtà unrefuso di stampa, rende poco comprensibi-le il significato del testo.

7 AMOH, Leonid Kogan Discography, p. 14,29. Questa esecuzione è attribuita anchea Kirill Kondrašin, ma secondo le fonti con-sultate da Amoh la prima esecuzione è si-curamente affidata a Lazarev; quell’esecu-zione è stata registrata ed è diventata primaun lp (Russian Disc, vol. 29) e poi un cd(The Classical Russia Revelation).

8 Milano, Sonzogno, 1970. Leonid Kogan noninciderà mai questo Concerto; la prima ese-cuzione del 14 maggio 1971 è affidata ad

PAOLO CECCHINELLIDiplomato in violino e laureato in architettura,ha conseguito il titolo di Dottore di Ricercapresso la Facoltà di Architettura di Genova. È docente di violino nelle scuole medie ad in-dirizzo musicale e collabora alla didattica pres-so il D.S.A. (Dipartimento di Scienze dell’Ar-chitettura). Come architetto ha lavorato per ilComune di Genova e per il comitato organiz-zativo del Concorso Internazionale di violino“Premio Paganini”, curando una mostra NicolòPaganini 1782-1840, Documenti e Testimo-nianze che è stata allestita in Italia ed all’e-stero. Ha pubblicato articoli su riviste specia-lizzate, è coautore di diversi saggi in ambitointerdisciplinare e ha collaborato agli ultimi nu-meri dei «Quaderni del Civico Istituto di StudiPaganiniani». Nel 2007 ha curato diverse lem-mi per l’Enciclopedia dell’Architettura in quat-tro volumi (Federico Motta editore). Dal 2009 èdocente di violino presso i corsi estivi di stru-mento a Cervo (Imperia).

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Con immenso piacere mi accingo a scrivere questoarticolo in merito a una realtà particolarmente viva-ce nella quale mi trovo ad operare: il Conservatoriodi Ferrara. In particolare il mio obiettivo è porre l’at-tenzione su un progetto denominato “Laboratori di-dattico-musicali Amici per l’Archetto”, che fa partedell’offerta didattica strumentale destinata a bambinidi fascia elementare, proposta dal Conservatorio “G.Frescobaldi”.È mio interesse da un lato chiarire la struttura odier-na dei laboratori, al fine di far emergere le caratteri-stiche salienti sulle quali si poggia il progetto; dal-l’altro porre sotto la lente di ingrandimento il mo-dus operandi dei docenti. Nel 2003, grazie alla volontà di Luca Bellentani edell’allora Direttore Tunioli che hanno accolto il pro-getto di Marco Andriotti ed Erica Mazzacua, sonostati attivati i laboratori “Amici per l’Archetto”; que-sto progetto nasce per dare l’opportunità ai bambini,di età compresa tra i sei ed i dieci anni, di entrare incontatto con l’universo musicale attraverso l’utilizzodi uno strumento ad arco: violino o violoncello.Nonostante il cambiamento del nucleo originariodi insegnanti (oltre a Marco Andriotti ed Erica Maz-zacua per il violino era presente anche Alice Gabbianiper il violoncello), è rimasta costante in questi annil’attenzione verso le lezioni collettive che vengonoaffiancate dalle lezioni individuali. Durante le diverse direzioni, prima il maestro Tu-nioli poi il maestro Fabbri ed ora il maestro Biagini,l’interesse dei laboratori è sempre stato quello di for-nire ai bambini una dimensione ideale entro la qua-le possano trovare gioia nello stare insieme; praticareun’attività strumentale collettiva li aiuta a svilupparequelle motivazioni intrinseche necessarie affinché infuturo possano conservare il gusto di essere stati par-tecipanti attivi di un’esperienza che andrà al di là diun’eventuale direzione professionale e attraverso laquale possano crescere avendo condiviso emozioni,successi, insuccessi, difficoltà, gioie, sorrisi.Il fatto che sia un’istituzione come il Conservatorioad offrire questo servizio alla cittadinanza, segna unpasso importante nella diffusione di una cultura mu-sicale nel territorio; per questo ringrazio la Direzio-

Suonare uno strumento fin da piccoli.Si può, anche in Conservatorio

ne nella persona del maestro Biagini che, insieme almaestro Galassi e agli altri colleghi, continua a so-stenere i nostri sforzi.Attualmente sono presenti due classi di violino diretteda Ursula Schaa e da Giampiero Montalti ed unaclasse di violoncello diretta da me medesimo. Lastruttura dei laboratori è così suddivisa: ogni allievousufruisce ogni settimana di una lezione individuale,una lezione di gruppo ed una lezione di orchestra.I vantaggi del doppio incontro settimanale sono evi-denti: durante la lezione individuale l’insegnante ha lapossibilità di seguire con attenzione ogni singoloaspetto della crescita dell’allievo sia per quanto ri-guarda le difficoltà tecniche che di volta in volta pos-sono presentarsi, proponendo così soluzioni ad hoc, siaper ciò che concerne le difficoltà emotive; è infattidurante la lezione individuale, all’interno del rap-porto “uno a uno”, che spesso emergono problema-tiche legate alla sfera personale del bambino. È quiche l’insegnante svolge uno dei suoi compiti più de-licati, quello di parlare, consigliare, stimolare e cerca-re di comprendere gli stati d’animo che a volte sonola ragione di un “blocco” o di un insuccesso tecnico. Riuscire a fondere due momenti così significativi ecomplementari permette a questo percorso di av-viamento strumentale di svolgere in primis una fun-zione educativa, avvalendosi, oltre alla lezione indi-viduale, di un’attività collettiva che ha la funzionedi sviluppare le singole individualità, mettendole inrelazione tra loro, ponendo in primo piano aspetticome la socializzazione, la comunicazione, il rispettodell’altro; permette inoltre di fare condividere ai bam-bini l’esperienza cameristica, all’interno della quale ilgruppo rappresenta il mezzo implicito per l’amplia-mento di abilità tecniche e musicali dei singoli al-lievi ed esplicito per le motivazioni intrinseche cheoffre. Una delle caratteristiche principali dei laboratori èdunque l’attenzione verso la musica d’insieme; que-sto interesse ha portato alla formazione di due or-chestre e di quattro gruppi da camera (trii o quar-tetti). Ogni allievo ha perciò due incontri settimana-li dei quali il primo è dedicato alla lezione indivi-duale, che varia tra 20 e 45 minuti, mentre nel se-

Lorenzo Lucerni

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condo, che si svolge il sabato, ognuno ha sia un grup-po da camera sia un’orchestra di riferimento a se-conda dell’età e del livello.Per quanto riguarda le metodologie utilizzate è im-portante precisare che ogni docente è libero nel se-guire le proprie inclinazioni che derivano dalla plu-riennale esperienza personale. Ciò che è fondamen-tale mettere in risalto è che i laboratori “Amici perl’Archetto” nascono con l’idea che sia sempre pre-sente e costante un rapporto tra gli insegnanti taleper cui venga favorito l’interscambio di esperienzedidattiche al fine di migliorare l’offerta alle famiglie.La totale disponibilità degli insegnanti ad interagiretra loro permette, pur nella libertà di applicare me-todologie anche differenti, di avere una visione co-mune sull’offerta didattica e sulle finalità del corso.Avere la possibilità di lavorare in équipe con docentiesperti come Ursula Schaa e giovani competenti co-me Giampiero Montalti è per me un privilegio cheporta ad un continuo scambio di opinioni e fa parteintegrante di un aggiornamento quotidiano, affin-ché il lavoro coi bambini risulti sempre più efficace,tanto da un punto di vista educativo che formativoche sociale. Questo lavoro risulta tanto più efficace inquanto inserito in un ambiente culturalmente vivoed attento alle problematiche che di volta in volta sipossono riscontrare come quello del Conservatoriodi Ferrara, ed è possibile anche grazie alla supervi-sione di Luca Bellentani al quale va il mio più pro-fondo ringraziamento per i continui stimoli al mi-glioramento dell’attività didattica.Due eventi renderanno il prossimo anno scolasticodavvero molto interessante e stimolante, tanto per ibambini quanto per i docenti. Da un lato inizieràuna collaborazione con Gail Barnes, professore as-sociato del dipartimento archi dell’Università delSouth Carolina, che porterà la sua pluriennale espe-rienza ad interagire attivamente con il nostro pro-getto, dall’altro avremo l’onore di ospitare all’internodel Conservatorio di Ferrara il corso di ritmica Dal-croze, dedicato alla fascia 3-5 anni, grazie alla dispo-nibilità offerta da Louisa Di Segni-Jaffè.Questa è la sinergia della quale si nutrono i Labora-tori “Amici per l’Archetto” ed in questa occasione è

importante sottolineare come l’interesse per l’edu-cazione strumentale dei più piccoli sia in aumento ecome crescano le possibilità per diffondere una cul-tura musicale “dal basso” anche all’interno di unConservatorio.A questo proposito voglio indirizzare la riflessionefinale, scevra da ogni polemica, sulla necessità di un’u-nitarietà di intenti per quanto riguarda progetti dieducazione strumentale. Su tutto il territorio nazio-nale sono presenti numerosissimi progetti (portatiavanti sia da Istituzioni che da associazioni) che han-no il merito di inserirsi positivamente nelle rispetti-ve realtà territoriali ma con il limite stesso del con-testo nel quale si svolgono. Manca cioè un coordi-namento almeno a livello regionale, se non addirit-tura comunale: è necessario un forte modello istitu-zionale di riferimento. Avere questo tipo di modello,aperto al dialogo ed al confronto, permetterebbe disfruttare appieno quell’autonomia tanto declamata:autonomia di prendere il meglio dalle realtà positiveche ci circondano (nazionali e internazionali) edadattarlo al contingente. Riunire all’interno di un’u-nica Istituzione, come a Ferrara, diversi specialisti(ogni fascia d’età richiede competenze specifiche daparte dei docenti) che operino, in collaborazione traloro, su un percorso educativo che dalla scuola ma-terna porti all’alta formazione, può diventare un pos-sibile ed auspicabile modello di riferimento al qualeadattare in autonomia le diverse esperienze didattichedi cui il territorio circostante ha necessità. Un ringraziamento va espresso anche a tutto il per-sonale di segreteria, che cura con attenzione l’aspet-to amministrativo ed al personale non docente, che sioccupa della logistica con grande professionalità, cor-dialità ed affetto.

LORENZO LUCERNI violoncellista e docente, assieme ad Ursula Schaa e Giam-piero Montalti, del corso “Amici per l’Archetto” presso ilConservatorio “G. Frescobaldi” di Ferrara. Si è specializzatonella didattica per gruppi di strumenti ad arco laurean-dosi con docenti quali Enzo Porta, Luca Bellentani e AnnaModesti con la tesi “Imparare a suonare... insieme. Ragionistoriche e didattiche della lezione di gruppo”. Per con-tatti: [email protected]

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Lo scorso 5 e 6 dicembre 2011 si è svoltoa Roma, nella prestigiosa Sala Accademicadel Conservatorio S. Cecilia, il ConvegnoInternazionale di studi dal titolo “Musica eneuroscienze. Ascolto, Memoria, Medita-zione, Performance” organizzato dal Di-partimento di Didattica della Musica e del-lo Strumento e realizzato dal ComitatoScientifico, composto da Carla Conti, Ro-sa Rodriguez, Angela Chiofalo, PresidenteRoberto Giuliani. I numerosi relatori provenivano da settoriprofessionali molto diversi e con i loro in-teressanti contributi hanno messo in luce lepiù recenti ricerche delle neuroscienze sul-la musica. Le neuroscienze costituisconoun settore scientifico che analizza il fun-zionamento del cervello umano attraversoun approccio multidisciplinare e rappre-sentano un ambito di ricerca nuovo e inpiena espansione, variegato e complesso,di notevole interesse per chi si occupa dimusica sia dal punto di vista teorico chepratico. Nei due giorni del Convegno di Roma ilrapporto tra musica e neuroscienze è statoaffrontato da prospettive molto diverse:medici e ricercatori hanno illustrato le piùavanzate indagini scientifiche sui mecca-nismi percettivi della musica a partire dal-la nascita, i recenti studi sull’individuazionedi aree cerebrali altamente specializzate re-lative a specifiche funzioni di percezionemusicale e i loro meccanismi di interazio-ne. È stato interessante poter conoscere gliultimi aggiornamenti della ricerca sull’ori-gine ed evoluzione dei meccanismi cheregolano la memoria, sulle potenzialità in-nate e oggettive della mente e le sue capa-cità di adattamento a nuovi compiti. Anchein campo pedagogico si è valutato l’im-

portante contributo che le neuroscienzepossono dare all’evoluzione metodologi-ca della didattica musicale: basandosi su ri-cerche empiriche svolte in classe, docentidi Conservatorio hanno analizzato aspettidell’apprendimento come memoria, coor-dinazione, bimanualità. Nell’ambito psica-nalitico numerosi sono stati i riferimentiagli aspetti neurologici, socio-culturali efilosofici inerenti alla relazione dell’uomocon la musica. Si è anche definita la musi-ca “un mezzo privilegiato per elevare lepotenzialità spirituali della mente e per pe-netrare in universi interiori ancora pocoesplorati”, sottolineando aspetti difficil-mente catalogabili dai tradizionali metodidi ricerca scientifica. “Voglio iniziare dalla fine”: così esordiscein apertura del Convegno Grègoire deKalbermatten, diplomatico ONU e fon-datore di numerosi centri Sahaja Yoga, as-sociazione culturale e umanitaria che hacontribuito all’organizzazione, dopo il sa-luto ai presenti del Direttore del Conser-vatorio Edda Silvestri e la breve introdu-zione di Franco Mirenzi del Dipartimentodi Didattica. Secondo il prof. de Kalber-matten l’energia vitale di ciascun indivi-duo, se adeguatamente convogliata, porta araggiungere uno stato di elevazione spiri-tuale che schiude nuovi orizzonti: si trattadi una “gioiosa consapevolezza”, esperien-za al tempo stesso fisica, psichica e spiri-tuale, condizione che ciascun individuopuò raggiungere se apre la propria mentealla meditazione spontanea. In questo pro-cesso la musica rappresenta un elementofondamentale per consentire alla mente disuperare i confini del pensiero razionale eavere un diretto contatto con il nostro Sépiù profondo. Prosegue su questa stradaIvano Hammarberg Ferri, medico onco-logo, ricercatore e membro del SYRomaoffrendo ai presenti l’occasione di speri-

mentare un “assaggio” di tecnica di medi-tazione con l’ausilio della musica. Dopouna sintetica introduzione teorico-filosoficapropone al pubblico in sala l’ascolto di trebrevi brani musicali e raccomanda di farloliberamente, con la mente sgombra da ognicondizionamento culturale e razionale, nel-l’intento risvegliare una “risonanza inte-riore” che lasci intuire gli ampi orizzontidelle potenzialità meditative risvegliate dal-la musica. “La musica è uno stimolo che non è lega-to alla sopravvivenza, ma provoca emozio-ni”, afferma Daria Riva, neurologa e neu-ropsichiatra infantile Direttore dell’UnitàOperativa di Neurologia presso la Fonda-zione Istituto “Carlo Besta” di Milano.Un’operazione complessa come la perce-zione musicale attiva nella corteccia cere-brale un network di aree specifiche tra lo-ro coordinate. La funzione del cervello spe-cializzata nella decodifica musicale sembraessere innata (recenti ricerche dimostranola presenza di attività di processamento del-la musica già a poche ore dalla nascita) euniversale (è sempre presente, indipenden-temente da ogni lingua e cultura). Inoltre lafunzione di decodifica musicale attiva leregioni temporo-parietali del cervello eper questo motivo avrebbe un ruolo fon-damentale nell’apprendimento del lin-guaggio. Secondo un’affascinante ipotesidi Darwin in uno stadio evolutivo inter-medio dell’umanità sarebbe esistito un lin-guaggio prosodico precedente alla parola. È comunque certo che fin dai tempi piùremoti esistono prove dell’uso di un lin-guaggio non verbale come la musica. An-drea Frova, fisico presso l’Università La Sa-pienza di Roma, intraprende un affasci-nante percorso storico dalla nascita dellamusica fino alle armonie dei nostri giornialla ricerca dei fondamenti fisiologici nel-la percezione degli intervalli diatonici. Dal-

Convegno Musica e Neuroscienze

Silvia Pulcioni

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la scoperta di antichissimi flauti (risalentia 35.000 anni fa e in grado di eseguire sca-le diatoniche!) ricostruisce la struttura del-le prime scale musicali usate dall’uomo,indaga sulla nascita del concetto di con-sonanza e dissonanza, si chiede se l’orec-chio abbia davvero maggiore compatibi-lità fisica con gli accordi consonanti. Oggile neuroscienze hanno definitivamente di-mostrato che le aree cerebrali impegnatenella percezione delle consonanze sonodifferenti da quelle per le dissonanze e chei segnali neurali a esse riferiti si differen-ziano morfologicamente. “Come la mente modifica il cervello”:Massimo Piccirilli, neurologo e psichiatra,titolare della cattedra di Psichiatria, Psico-logia Clinica e Psicologia Medica pressol’Università di Perugia, focalizza l’atten-zione sulla relazione che lega processimentali, funzionamento cerebrale ed espe-rienza musicale. É affascinante valutare ifondamenti biologici dello stupefacentepotere che la musica ha di suscitare emo-zioni. Oggi, grazie all’esame della risonan-za magnetica funzionale (fMRI) si possonoregistrare eventi cerebrali in condizioni dinormalità e correlarli ai corrispondentiprocessi mentali, compresi pensieri edemozioni. Considerando la grande plasti-cità del cervello umano nel riorganizzare lesue funzioni in base agli stimoli provenientidall’ambiente, il training musicale può es-sere considerato un prezioso strumento te-rapeutico per stimolare il recupero nei ca-si di deficit e patologie. Analizzare i fonda-menti biologici della percezione musicaleporta anche a comprendere aspetti fonda-mentali della natura umana: si scopre cheinnato e acquisito, natura e cultura non so-no contrapposti ma complementari. Nel corso del suo intervento anche PietroPietrini, biologo molecolare presso l’Uni-versità di Pisa, illustra interessanti ricerche

che mettono a confronto le modificazionichimiche relative a diversi stati emotivi ri-levate nel cervello di soggetti sottoposti al-l’ascolto dello stesso brano musicale. Luisa Lopez, consulente scientifico del pro-getto Neuroscienze e Musica della Fon-dazione Mariani di Milano, analizza da unpunto di vista strettamente neurofisiopa-tologico il meccanismo legato alla perfor-mance musicale. La dinamica che lega sti-moli esterni, aree corticali e movimentomuscolare è estremamente complessa: adifferenza di altre specializzazioni moto-rie, l’attività cerebrale del musicista è tra-sversale a tutti i sistemi della fisiologia uma-na: coinvolge il controllo motorio, la ge-stione del feedback uditivo e visivo, le ca-pacità di decodifica dello spartito, l’atten-zione, la memoria, la respirazione, il con-trollo neurovegetativo e infine anche leemozioni, queste ultime strettamente col-legate alla motivazione individuale. Si è os-servato che se il training musicale iniziaprecocemente la qualità delle prestazionirisulta migliore da un punto di vista mo-torio, mentre i progressi che riguardanol’aspetto cognitivo e la memoria uditivasono analoghi rispetto a chi inizia più tar-di. L’apprendimento musicale non si limi-ta solo all’aspetto motorio ma richiedel’acquisizione di varie specializzazioni perpoter distinguere caratteristiche del suonocome altezza, timbro e tempo. Per la per-cezione delle altezze esiste nel cervello unamappatura delle frequenze che permettela finezza uditiva necessaria alla decodificasia dei suoni musicali che linguistici. L’areaspecializzata per il timbro è collocata inuna zona diversa dalla corteccia primariauditiva e sembra funzionare separatamenterispetto a essa. Per la percezione timbrica èrichiesta la capacità di distinguere sia lospettro di frequenza (armonici) che i tem-pi di attacco delle onde sonore, proprio

come avviene nella percezione dei suonidel linguaggio. Il ritmo per il cervello èun “raggruppamento percettivo” e attivale stesse aree del timbro. Per la lettura del-lo spartito occorre una doppia decodifica:spaziale (decodifica altezza delle note sulpentagramma) e temporale (decodifica fi-gure musicali di diversa durata). La primaattiva una pianificazione motoria, la se-conda una pianificazione organizzata insequenza temporale. Occorre considerareche il musicista non fa mai una letturaesclusivamente lineare dello spartito, maper dare un senso compiuto all’esecuzionecontrolla continuamente ciò che viene pri-ma e dopo. Con l’esercizio questo com-plesso meccanismo acquisisce automatismitali da consentire di utilizzare sempre me-no il sistema di attenzione cosciente perdedicare sempre più risorse all’aspetto in-terpretativo. Con un livello di specializza-zione così elevato il cervello del musicistasviluppa competenze percettive che siestendono ben oltre l’esecuzione musicale.Inaspettata, vivace e caustica la dissertazio-ne di Sergio Della Sala, medico e ricerca-tore dell’Università di Edimburgo, che pro-voca il pubblico con una domanda: fino ache punto è utile per un musicista cono-scere fin nei minimi dettagli i meccanismiche regolano la sua attività esecutiva? Ècorretto gestire dati scientifici senza averecompetenze specifiche della disciplina acui sono riferiti? La provocazione è lan-ciata, il quesito rimane aperto. Le neuroscienze sono un autorevole rife-rimento per la sperimentazione didattica:tre docenti di Conservatorio illustrano al-cuni aspetti della loro attività di ricercaempirica sui loro studenti. Angela Chio-falo, docente di pianoforte presso il Con-servatorio di Rovigo, sperimenta un me-todo per formare un orecchio polifonico esviluppare una solida memoria musicale

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sfruttando l’abilità “bimanuale” indispen-sabile ai pianisti. Questo studio di tipo em-pirico potrebbe essere integrato da test conrisonanza magnetica funzionale (fMRI)per analizzare come interagiscono le di-verse aree cerebrali nell’apprendimento ditali abilità. Carla Conti, docente di MusicaCorale e Direzione di Coro e membro delComitato Scientifico, fa notare che la ge-stualità di un direttore di coro è determi-nante per la qualità dell’esecuzione; spessoinvece accade che questo ruolo scomparedietro l’attività del gruppo, concepito comerealtà emotiva collettiva. Attraverso la ri-cerca neuroscientifica si potrebbe appro-fondire l’analisi delle dinamiche del lin-guaggio non verbale delle tecniche diret-toriali per individuare e mettere a puntostrategie comunicative sempre più efficaci.Matilde Bufano, docente presso il Conser-vatorio di Milano e formatrice, presso lostesso Istituto nel master di I livello “Mu-sica e dislessia”, parla di un problema diapprendimento che gli studi delle neuro-scienze hanno ampiamente contribuito achiarire: la dislessia. Descrivendo con af-fetto e passione il faticoso lavoro compiu-to dagli studenti dislessici nella sua classe diConservatorio di Milano evidenzia l’e-norme sforzo con cui essi riescono a com-pletare gli studi musicali, ma dovrebberoessere adeguatamente supportati all’internodei Conservatori dai professori con com-petenze specifiche.Con l’intervento “Narciso all’opera. mito,psicoanalisi, modernità” Milena Cappa-bianca, neuropsichiatra infantile, analizzadal punto di vista psicologico il narcisismoda sempre indissolubilmente legato allaperformance musicale, aspetto tipico delbisogno autoreferenziale insito nella natu-ra umana fin dalla prima infanzia. Nel mi-to classico Narciso, abituato a non consi-derare nulla e nessuno oltre se stesso, è

condannato all’isolamento. Invece il mu-sicista, attraverso l’esibizione in pubblico, siriconosce e si mette in relazione con glialtri: proprio la performance gli consentedi attivare quello scambio emozionale in-dispensabile per instaurare un’efficace co-municazione interpersonale. In questo mo-do l’istinto narcisistico primario, infantile efragile per natura, evolve e trova un equili-brio. L’atto della performance può ancherappresentare una concreta risposta allepressanti richieste fatte all’individuo dallasocietà moderna, sempre più patologica-mente narcisistica.Da anni molto attiva nel campo della ri-cerca e divulgazione della didattica musi-cale, Franca Ferrari esamina alcuni aspettidell’insegnamento alla luce dei recenti pro-gressi nella ricerca scientifica. Citando leteorie pedagogiche di François Delalan-de, Franca Ferrari afferma che è compitodell’insegnante allestire ambienti di ap-prendimento e percorsi di sviluppo comead esempio suggerire all’allievo, per lo stes-so brano, diverse modalità esecutive. Ri-corda che sono ormai numerosi i lavoriscientifici che dimostrano che la musicaattiva diverse aree cerebrali e che esistononel cervello diversi e separati domini co-gnitivi. Ci sono inoltre evidenze di come lapratica musicale modifichi il funziona-mento del cervello e di come si attivinoaree neurologiche diverse in base alla mo-dalità dell’attività musicale praticata (suo-nare e/o cantare, da soli e/o insieme). Tut-to ciò conferisce solide basi scientifiche alconcetto del “capire la musica” già da tem-po teorizzato e messo in pratica da nume-rosi operatori che hanno avvertito l’esi-genza di creare intorno alla materia musi-cale diversi ambienti di apprendimento,appositamente costruiti per favorire la di-namica azione-reazione-interazione, quindil’attivazione di diverse rappresentazioni

mentali. È dunque compito dell’insegnan-te offrire più percorsi di apprendimentoper lo stesso argomento.Entrambe le giornate si sono concluse conmomenti musicali. Un breve e interessan-te concerto monografico è stato offertodall’Ambasciata di Finlandia, l’InstitutumRomanum Finlandiae e Musicaimmagi-ne, in occasione del 94° anniversario del-l’indipendenza della Finlandia. Due musi-cisti finlandesi hanno eseguito composi-zioni di Jean Sibelius: la violinista Satu Jalas,nipote del musicista e ormai italiana d’a-dozione, che suona sullo strumento dona-tole dal nonno; il pianista Folke Grasbeck,concertista e musicologo che ha incisol’integrale delle musiche per pianoforte diSibelius. A conclusione del Convegno duegiovani interpreti, Giordano Franchetti alviolino e Francesca Leonardi al pianoforte,hanno offerto al pubblico una bella inter-pretazione della Sonata n.5 in fa maggiore“La Primavera” di Beethoven.Il Convegno di Roma sulla musica e leneuroscienze ha rappresentato per musi-cisti, ricercatori e insegnanti una preziosaopportunità di conoscere più approfondi-tamente la complessità della mente umana,le sue potenzialità e i nuovi strumenti adisposizione della ricerca. La vastità delleproblematiche trattate, la varietà dei setto-ri specialistici coinvolti, l’importanza de-gli argomenti emersa dai numerosi inter-venti ha fatto sì che alcuni di essi, soprat-tutto i più articolati e profondi nelle ar-gomentazioni, abbiano inevitabilmente ri-sentito del limite di durata e della sintesiespositiva indispensabile per rispettare itempi previsti dal programma. In ogni ca-so l’augurio è che Istituzioni come i Con-servatori ospitino sempre più frequente-mente nelle loro sedi eventi culturali di al-to livello come questo.

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“Quando ascolto musica, non temo pericoli, sono invulne-rabile, non vedo nemici, sono in rapporto con i primi tem-pi e con gli ultimi” (Thoreau, Journal 1857).

Introduzione“La musica è la signora che placa il dolore, mitiga l’ira, fre-na l’imprudenza, attenua il desiderio, guarisce il dispiace-re, allevia la miseria della povertà, disperde la debolezza elenisce le pene d’amore” (Pontus de Tyrad, Solitaire Secondou Prose de la musique, 1555).

In queste parole bellissime e rivelatrici è racchiuso ilmistero della musica che aiuta a vivere, che può gua-rire, e che può diventare persino maestra di vita eguida suprema nel momento in cui “mitiga l’ira efrena l’imprudenza”.Solo negli ultimi 20 anni l’esplorazione del rappor-to musica-cervello è diventato materia di studio e diapprofondita ricerca, in continua evoluzione grazie al

supporto delle sofisticate tecniche elettrofisiologi-che e dell’imaging diagnostico (Risonanza Magne-tica Funzionale e Tomografia ad emissione di posi-troni in primis). Oggi le neuroscienze guardano alla musica con in-teresse crescente, finalizzato alla comprensione diquanto si è sempre solo intuito, in assenza cioè diuna ricerca dedicata e con risultati non validati. L’approccio interdisciplinare appare indispensabilenel momento in cui mito e scienza devono di ne-cessità trovare un comune filo conduttore, soprat-tutto nell’epoca in cui sempre più stretta appare lacorrelazione fra soma e psiche.Tamino e Pamina, affrontando l’impervio e oscurocammino iniziatico, esclamano: “Grazie alla potenzadella Musica andremo con gioia attraverso le tenebredella morte”.Pure ancora oggi la musicoterapia stenta ad affer-marsi come accettata terapia di supporto, mentreNovalis (Enciclopedia) tanto tempo fa asseriva: “Ogni

Musica e cervellofra mito e scienza

Antonio Montinaro

Fig. 1. A: J.S.Bach:Fuga in Do dal I librodel Clavicembalo bentemperato (Ed.Curci,Milano). B: Schema

della cortecciacerebrale a 6 strati (da

Crosby et al:Correlative Anatomy of

the Nervous System.Macmillan, 1962)

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malattia ha una soluzione musicale. Maggiore è iltalento musicale del medico, tanto più breve e com-pleta è la soluzione”.

La musica e il cervello Musica e cervello: la loro somiglianza è impressio-nante: l’osservazione di uno spartito bachiano ri-manda immediatamente alla citoarchitettonica dellacorteccia cerebrale, dove l’ordinamento di migliaia dimilioni di neuroni risponde ad esigenze che non sifa difficoltà a definire musicali (Fig.1-2).È di fatto un percorso musicale quello che tramuta ilpensiero in azione, gesto, linguaggio: proviamo apensare al corpo dell’atleta nel salto con l’asta, alle di-ta del pianista che infiammano la tastiera con pro-gressioni vertiginose di terze, agli arti dell’organistache agisce contemporaneamente su tastiera e peda-liera, alle mani del chirurgo che al microscopio af-frontano le fragili strutture nervose encefaliche; magli esempi potrebbero moltiplicarsi all’infinito. La genesi e la programmazione precisa di ogni gestorisiedono nel cervello: fornito sia dei centri cortica-li che generano il movimento (centri di elaborazio-ne del comando e centri di partenza degli stimolimotori) sia dei centri sottocorticali che modulano ilmovimento stesso e gli conferiscono il suo carattereinconfondibile, geneticamente determinato. La melodia e l’armonia di qualsiasi attività motoriasomatica - la musica del corpo - sono perciò riprodu-zione fedele della melodia e dell’armonia dei pen-tagrammi cerebrali: la musica del cervello.1

Ma c’è di più: come la musica per esistere ha biso-gno di un interprete, così il cervello isolato e priva-to delle sue connessioni di fatto non esiste. Deveper essere nel mondo rapportarsi da una parte al-l’ambiente circostante, dall’altra riuscire ad essere in-terprete di se stesso. Deve cioè riuscire a leggere divolta in volta e con precisione assoluta le migliaiadi pentagrammi dove sono segnati i suoi ritmi, lesue melodie, le sue affascinanti realizzazioni armo-niche. Che gli derivano chissà da dove, segni e si-gnificanti di un ritmo primordiale, perduto ai sensi,ma immanente nel complesso genico che sottende lavita e tutte le espressioni dell’umana esistenza.2

Verso il ritmo il cervello ha una particolare affinità.Non c’é alcun significato in un ritmo senza mes-saggio e l’impatto su chi ascolta dipende dal mes-saggio trasmesso dal ritmo oppure attribuito ad essodallo stesso ascoltatore. Alcuni ritmi rinvigoriscono,altri possono diminuire e persino arrestare la nor-male attività di veglia cerebrale, cullando l’ascoltato-re fino a farlo addormentare. J.S.Bach, com’è noto,scrisse le Variazioni Goldberg (1742) per il giovaneclavicembalista prodigio Johann Gottlieb Goldberg,che con la loro esecuzione aveva il compito di alle-viare le notti del conte Keyserling, affetto da inson-nia irriducibile. La vita finisce quando la musica del cuore si inter-rompe privando i fragilissimi neuroni degli indi-spensabili fattori nutritivi (ossigeno e glucosio inprimis) che consentono di avviare e mantenere atti-vi i processi di scambio fisico-chimico che regolanoi rapporti inter-neuronali e i sistemi di collegamen-to nell’ambito di tutto il Sistema Nervoso Centrale.È in realtà la musica del cervello che si arresta, in-terrompendo definitivamente il suo legame, tantovitale e tangibile quanto misterioso e lontano, con ilritmo dell’universo.Ad un breve cenno del direttore d’orchestra i pen-tagrammi diventano vita. Si rinnova il miracolo. Ècome la verga di Mosè, che dalla roccia fa sgorgared’improvviso l’acqua salvifica. C’è un prima e undopo. Ma cosa succede in quel preciso momento?Quale parte del Cervello accoglie ed elabora i fiumiininterrotti di note che provengono simultanea-mente dagli strumenti? Che cosa in realtà esse pro-vocano e perché riescono a suscitare una reazioneemotiva spesso di grandissima portata? E perché ta-lora non sono in grado di evocare alcunché? E cosasuccede infine dopo l’accordo finale, quando la mu-sica tace?Se guardiamo al sistema nervoso come ad una gran-de orchestra capace di esprimere la più completagamma di ritmi e melodie e le più complesse com-binazioni armoniche, risulta più agevole pensare co-me una qualsiasi lesione possa tradursi in un’altera-zione dei sistemi ritmici che tengono sincronizzatoil cervello, dove i neuroni possono attivarsi al mo-

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mento sbagliato o instaurare connessioni errate onon attivarsi affatto.3

Poiché la musica diffonde fin negli angoli più re-moti del cervello e del corpo e può far riemergerequanto appartiene al mondo dell’inconscio, la musicaesterna può contribuire a rimettere in tono la musicaneurologica. La musica conserva questo potere ma-gico perché indissolubilmente collegata al “bagnodi suoni primordiali nella vita endouterina” (Gri-maldi, 1993) e quindi “preesistente alla separazio-ne” (Maiello,1993).4 Essa è dunque rievocazione diuna simbiosi mitica; nostalgia oggettivata di un mon-do perduto ai sensi, ma ricostruito dolorosamentenel sogno, il sogno impossibile di una velleitariareinfetazione, rifugio in un antro profondo che l’on-da marina protegge dal frastuono della violenza edelle passioni del mondo.5

Fisiologia della ricezione musicale La percezione della musica si realizza su tre livelli: ilprimo si identifica con la percezione elementaredello stimolo uditivo musicale; il secondo corri-sponde all’analisi strutturale della musica, sia ele-mentare (altezza, intensità, ritmo, durata, timbro) cheelaborata (frase, tempi, temi); il terzo è l’identifica-zione dell’opera che si ascolta.6 Per ognuna di que-ste funzioni esistono centri corticali differenti.Le onde cerebrali possono essere modificate sia dal-la musica sia da suoni autogenerati. Il normale statodi consapevolezza consiste di onde beta, che vibrano

fra i 14 e i 20 hertz. Si producono onde beta quan-do ci concentriamo su attività quotidiane, o quandoproviamo forti emozioni negative. La consapevo-lezza profonda e la calma sono caratterizzate da on-de alfa, che si attestano fra 8 e 13 hertz. Periodi dimassima creatività, meditazione e sonno sono ca-ratterizzate da onde theta, da 4 a 8 hertz, ed il sonnoprofondo, la meditazione e la perdita di coscienzaproducono onde delta, da 0,5 a 3 hertz. Più lente so-no le onde cerebrali più ci sentiamo rilassati e sod-disfatti. Le onde cerebrali possono essere modificatesia dalla musica sia da suoni autogenerati. La musicapuò spostare la consapevolezza dalla gamma beta aquella alfa, aumentando l’attenzione ed il benessere.Le ricerche anatomiche e fisiologiche da tempohanno identificato un centro di proiezione acusticaprimaria localizzato nelle aree 41 e 42 dei lobi tem-porali, che corrispondono alle circonvoluzioni tra-sverse di Heschl. L’adiacente area 22 rappresenta laproiezione uditiva secondaria. È stata dimostrataun’organizzazione tonotopica all’interno di questearee. Gli stimoli uditivi sono proiettati dai corpi ge-nicolati mediali alle aree corticali relative attraverso leradiazioni uditive che attraversano la capsula interna.Le aree primarie e secondarie sono a loro volta col-legate con quasi tutto l’encefalo, con connessionibidirezionali che realizzano complessi circuiti di as-sociazione e feed-back.7

Le nuove tecniche di neuroimmagine (Tomografia aEmissione di Positroni, PET; Risonanza Magnetica

Fig. 2. A: J.S.Bach:Preludio in Do dal Ilibro del Clavicembaloben temperato(Ed.Curci, Milano). B:Schema della cortecciacerebellare (da Crosbyet al. op.citata)

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funzionale, fMR) permettono di visualizzare quellearee cerebrali che si attivano in risposta agli stimolimusicali e di seguire infine le modalità con cui le di-verse regioni cerebrali danno la percezione dellamusica ed evocano le emozioni.8

Le attuali sofisticate tecniche elettroencefalografi-che (Potenziali Evocati, Elettroencefalografia quan-titativa, l’event related desyncronization, ERD) e ma-gnetoencefalografiche sono più limitate della PETsul piano della risoluzione spaziale, ma presentano incompenso un’eccellente risoluzione temporale, ciòche le rende particolarmente adatte allo studio del-la percezione uditiva, per le sue caratteristiche in-trinsecamente temporali e sequenziali.Utilizzando l’EEG quantitativa Auzou et al. hannodimostrato che l’ascolto passivo di suoni musicaliprovoca delle modificazioni elettrofisiologiche nelleregioni temporali con prevalenza destra e che taleprevalenza veniva accentuata con coinvolgimentoanche del lobo frontale nella discriminazione del-l’altezza e del timbro.9

Con la Magnetoencefalografia Pantev et al. hannodimostrato che l’organizzazione tonotopica dellacorteccia uditiva viene modificata dall’esperienzamusicale, tanto più quanto questa è precoce, e che lalocalizzazione delle risposte della corteccia uditiva asuoni puri o complessi è identica nei non musicisti,mentre si differenzia nettamente nei musicisti. Lariposta della corteccia uditiva dei musicisti è ancorapiù ampia quando essi presentano l’orecchio assolu-to.10

La Tomografia ad Emissione di Positroni (PET) ef-fettuata su persone sane durante l’ascolto di pezzimusicali ha evidenziato che in ascoltatori inespertil’ascolto della musica attiva la parte destra del cer-vello, quella più intuitiva, mentre nei musicisti si at-tiva la parte più razionale, cioè quella sinistra. Inoltreattraverso il coinvolgimento di aree tipicamente de-putate a funzioni diverse, l’emisfero destro “creativo”coglie il timbro e la melodia, il sinistro “logico” ana-lizza il ritmo e l’altezza dei suoni, interagendo conl’area del linguaggio che sembra capace di ricono-scere anche la “sintassi” musicale.11

Lo studio neuropsicologico di pazienti epilettici sot-

toposti a cortectomia temporale monolaterale tera-peutica ha contribuito notevolmente alla conoscen-za della localizzazione delle funzioni musicali: unacortectomia temporale destra altera sia la percezionedelle melodie che la percezione degli intervalli, men-tre la stessa lesione a sinistra altera solo l’analisi degliintervalli. Lo stato attuale delle conoscenze ci consente quin-di di dire che l’emisfero dominante identifica il rit-mo, gli intervalli, le altezze e che la percezione deltimbro ha sede invece nella regione temporo-pa-rietale destra, e così pure l’aspetto emozionale e edo-nistico della musica. Si è cercato di capire se il training musicale sia ca-pace di modificare l’organizzazione delle aree sot-tocorticali sensoriali, in maniera confrontabile alprocessamento del linguaggio. Si è rilevato che neimusicisti, le risposte elettrofisiologiche del troncoencefalico allo stimolo uditivo sono più ampie, han-no minor latenza rispetto ai non musicisti e chequeste risposte sono correlate anche al numero dianni di training, ed inoltre che queste modifiche siestendono anche alle aree deputate al processamen-to del linguaggio, fornendo ai musicisti un effettivovantaggio nella elaborazione delle informazioni re-lative ai toni e agli intervalli.12 Questo risultato nonsolo implica un ruolo comune sottocorticale per ilprocessamento del linguaggio e della musica solita-mente attribuito unicamente alla corteccia, ma aiu-ta anche a spiegare il motivo neurofisiologico percui i musicisti mostrano una maggiore abilità nel-l’apprendimento della lingua.13

In uno studio recente sono stati utilizzati due speci-fici ERP (event-related brain potential), ERAN(early right anterior negativity) e N5, per studiare neibambini il processamento cerebrale delle strutturesintattiche della musica e del linguaggio. Poiché si ri-tiene che nel cervello queste due funzioni siano al-meno in parte sovrapposte, gli Autori si aspettavanodi riscontrare difficoltà nel processamento della sin-tassi musicale nei bambini con difficoltà linguisti-che. I risultati hanno confermato le attese. Nei bam-bini con difficoltà di sintassi linguistica non eranoevocati dallo stimolo musicale né ERAN né N5, al

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contrario di quanto invece accadeva nel gruppo dicontrollo. Questi risultati suggeriscono una strettainter-relazione tra il sistema di processamento dellamusica e del linguaggio e pongono le basi per unapossibile utilità dell insegnamento musicale nei bam-bini con difficoltà del linguaggio.14

Gran parte delle ricerche attuali è rivolta allo studiodi tutti quegli aspetti della funzione musicale per iquali non è stato ancora identificato il substrato ana-tomo-fisiologico.15 La memoria musicale o il co-siddetto talento musicale ad esempio sono collegabiliin qualche modo alla dominanza emisferica o ad unparticolare sviluppo funzionale di alcune aree cere-brali? Forse nelle persone dotate di talento o musi-calmente preparate si stabiliscono più facilmente epiù velocemente rispetto ad altre persone degli spe-ciali circuiti neuronali e la stessa dominanza emi-sferica può mutare nel tempo in funzione della spe-cializzazione musicale.16

È stato condotto uno studio per indagare i correla-ti neurali della memoria musicale utilizzando lafMRI evento-correlata. Per evitare che i dati fosserofalsati dall’esperienza del soggetto, si è utilizzato co-me stimolo un brano completamente nuovo. I datisuggeriscono che nel ricordo del brano musicale siacoinvolta l’area destra dell’ippocampo, le regionitemporali bilateralmente, il giro frontale inferioresinistro e il precuneo sinistro. Inoltre, l’attività del-l’area destra dell’ippocampo risultava correlata con lapercentuale di successo nel richiamare alla memoriail brano musicale dimostrando che quest’area esercitaun ruolo importante nella memoria musicale.17

È stato dimostrato che per meglio adattarsi a unastimolazione sensoriale costante, i neuroni del siste-ma uditivo si “sintonizzano” su alcune caratteristicheacustiche dello stimolo uditivo. Uno studio recenteha indagato se nei musicisti questa particolare pro-grammazione dei neuroni acustici possa essere in-fluenzata dalla propria esperienza musicale. A questoscopo due gruppi di musicisti esperti, suddivisi inviolinisti e flautisti, sono stati sottoposti all ascoltoselettivo di alcune Partite per violino solo e per flau-to solo di Bach, mentre veniva registrato il loro flus-so ematico cerebrale attraverso la fMRI. Le imma-

gini hanno mostrato un esteso network neuronaleche sottintende la propria area di esperienza musicalee che implica una maggiore sensibilità alla sintassimusicale, al timbro, e alle interazioni suono-movi-mento (giro precentrale) quando la musica vienesuonata con il proprio strumento. Questi risultatidimostrano che l’esperienza musicale personale è ingrado di modulare la plasticità neuronale e che l’a-dattamento dei neuroni uditivi si estende ben al di làdelle strutture acustiche e di comunicazione.18

Le aree cerebrali in cui si processano i toni e le fre-quenze sono fondamentali per la comprensione dellinguaggio, la percezione della musica e la discrimi-nazione spaziale delle sorgenti di suoni contempo-ranei. Uno studio ha cercato di individuare questearee utilizzando un test basato su stimoli in cui iltono (periodicità) e la frequenza venivano dissociati,e conclude che la rappresentazione neurale dei tonisembra essere localizzata al margine laterale dellacorteccia uditiva primaria in una regione cherisponde alle basse frequenze, coerentemente conquanto suggerito da recenti studi di neuroimaging eche si estende anche alla corteccia uditiva non pri-maria.19

La fMRI (associata alla VAS, visual analogue score) conmisurazione del BOLD (the blood oxygenation leveldependent signal contrast) è stata usata per indagare icircuiti neurali coinvolti nella percezione di sensa-zioni di gioia o tristezza durante l’ascolto di musicaclassica. Secondo lo studio il processamento delleemozioni in risposta alla musica, oltre che nelle areetemporali mediali tradizionalmente chiamate in cau-sa, avverrebbe in un network che integra lo striatoventrale e dorsale, zone coinvolte nel movimento, enel cingolato anteriore, zona importante nel foca-lizzare l’attenzione.20

È un problema ancora aperto se le emozioni e icontenuti percettivi cui si riferiscono vengano pro-cessati da aree differenti o se le regioni cerebrali chemediano le emozioni siano anche coinvolte nel pro-cessamento dei contenuti ad esse associati. Con lafMRI è stato dimostrato che quando la musica èassociata ad un film che mostra azioni reali si ri-scontra una maggiore attivazione dell’amigdala, del-

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l’ippocampo e delle aree laterali prefrontali, un’atti-vazione differenziale che non si raggiunge invecequando l’emozione è provocata solo dalla musica.Se ne conclude che l’amigdala, il centro delle emo-zioni umane, è maggiormente stimolata quando leemozioni sono evocate anche da contenuti che siriferiscono al mondo reale.21

Ma la sensibilità musicale può considerarsi innata? Inparte certamente lo è: il ricorso a Mozart apparenaturale quando si affronta un simile argomento.Ma si potrebbero citare altri celebri esempi di pre-cocità musicale: la famiglia Bach, Haendel, Men-delssohn, Schubert. Le ricerche attuali d’altronde supportano l’ipotesidi un’origine congenita per le abilità musicali e perla capacità di modificarle in risposta agli stimoli am-bientali. Ed è noto che alcuni sono in grado di espri-mere le loro emozioni più agevolmente attraverso lamusica che attraverso i simboli verbali. Ciò è possibile anche senza il feedback sensorialeche è una conditio sine qua non nelle altre forme arti-stiche. Difficile immaginare un pittore cieco, mentreun compositore può comporre opere di grandecomplessità anche dopo che l’organo dell’udito siastato inattivo per anni. L’udito interno può quindiessere sufficiente alla creazione musicale (Beetho-ven, Smetana, Fauré). Mi piace ricordare l’episodio,che ha il sapore dell’aneddoto, ma è storia vera, diBeethoven che, affiancando il direttore Umlauff nel-la prima esecuzione della Nona Sinfonia, traduce

in gesti la lettura della partitura senza essere in gradodi udire nulla, e che viene invitato dalla giovane so-prano Unger a girarsi verso il pubblico viennese intripudio che sventolava bianchi fazzoletti perchél’Autore vedesse l’entusiasmo non potendo percepirlo acu-sticamente.Finora solo sporadicamente la percezione e la per-formance musicale erano state affrontate sotto il pro-filo genetico. Un recentissimo studio finlandese hapubblicato i risultati di uno studio sul substrato ge-netico della percezione musicale. 234 individui ap-partenenti a 15 gruppi familiari finlandesi sono sta-ti reclutati e sottoposti a due test specifici per definirele loro attitudini musicali: il test finlandese KMT(Karma Music test), per valutare la capacità di strut-turare le informazioni uditive, e i Seashore pitch and ti-me discrimination subtests (SP and ST respectively) usa-ti internazionalmente, per valutare la capacità di dis-criminazione dei toni e dei tempi. Gli Autori hanno poi eseguito un’analisi sull’interogenoma utilizzando 100 marcatori per verificare l’e-reditabilità di questi tratti. È stata rilevata una per-centuale del 42% per il KMT, del 21% per il ST,del 58% per il SP e del 48% per i test combinati. L’a-nalisi di linkage rivela inoltre un possibile contri-buto alla predisposizione genetica per le attitudinimusicali di numerosi geni, tra i quali una porzionedel genoma precedentemente associato alla dislessia,il DYX6, quando si usa una combinazione di musi-ca e testo.22

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Fig.3. J.B.C. Corot,Orfeo conduce Euridice

fuori dall’Oltretomba(1861). Museum of

Fine Arts, Texas.

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Patologia della ricezione musicale Gli individui affetti da amusia congenita sono ca-ratterizzati da un’alterata percezione e produzionedella musica.23 È stata descritta per la prima voltanel 1752 da J. Ph. Rameau che raccontò delle diffi-coltà incontrate nell’insegnamento del canto ad ungiovane incapace di riconoscere l’unisono, l’ottava el’altezza dei suoni. È una condizione più frequente diquanto si ritenga dal momento che non è facile in-dividuarne la presenza. Lo stesso amusico spesso nonsa di esserlo. Studi quantitativi sull’amusia sono stati condotti dallinguista inglese Tennis Butler Fry nel 1948 e nel1980 (la seconda volta insieme con il genetista cecoHans Calmus), arrivando alla conclusione che gliamusici rappresentano circa il 5% della popolazio-ne.24 Studi su gruppi familiari suggeriscono che ildisturbo sia ereditario e associato con differenzestrutturali nella corteccia fronto-temporale.25

I disturbi della ricezione musicale sono stati spessoassimilati ai disturbi della sfera del linguaggio (afasia),dal momento che frequentemente coesistono. Magià nel 1922 Henschen asserì, constatando l’esisten-za di molti casi di amusia senza afasia e viceversa,che il substrato cerebrale del linguaggio e della mu-sica dovesse essere differente. E l’amusia non ac-compagna necessariamente l’afasia: è noto il caso diShebalin, compositore e direttore di conservatorio,che ha continuato a comporre e supervisionare illavoro dei suoi allievi nonostante la presenza di ungrave disturbo del linguaggio.26 La sua Quinta Sin-fonia, composta subito dopo l’ictus, venne ritenutada D. Šostakovic “la creazione di un grande mae-stro”. Nello stesso modo sono stati riportati casi dipianisti, organisti e direttori d’orchestra che hannocontinuato la loro carriera pur in presenza di un’a-fasia di Wernicke conseguente ad una lesione ische-mica temporale sinistra che aveva determinato un’a-lessia verbale e lasciato integra la lettura musicale.In uno studio condotto su un gruppo di amusici(voxel-based morphometry, VBM) si era osservato cheessi presentavano una ridotta quantità di sostanzabianca a livello del giro inferiore frontale destro ri-spetto ai controlli e una maggiore presenza di ma-

teria grigia. Una seconda ricerca ha approfondito irisultati precedenti, ottenuti attraverso la misura del-lo spessore della materia grigia in tale area. Nei sog-getti affetti da amusia congenita gli Autori hannorilevato un ispessimento significativo della materiagrigia a livello della corteccia nel giro frontale infe-riore destro, suggerendo che la presenza di questamalformazione corticale, dovuta forse ad un altera-to pattern di migrazione neurale, potrebbe esserealla base del difetto caratteristico di questo tipo diamusia, compromettendo il normale sviluppo dellavia fronto-temporale.27

Musiche inesistenti di ogni genere vengono avvertitenel corso delle allucinazioni musicali. Sono state de-scritte soprattutto in persone anziane con impor-tante deficit dell’udito. La PET ha dimostrato che nelcorso delle allucinazioni vengono attivate le stessearee cerebrali che si attivano quando si ascolta musicacon l’eccezione della corteccia uditiva primaria. Inassenza quindi di uno stimolo acustico reale si atti-vano unicamente le aree uditive secondarie. Non èchiara la causa della loro comparsa. Probabilmente sitratta di impulsi caotici autogenerati che vengonointerpretati come suoni e poi elaborati dalle areeassociative che gestiscono la memoria musicale ot-tenendone melodie familiari a forte contenuto emo-tivo.28

Per quanto riguarda l’epilessia musicogena si è cer-cato recentemente di localizzarne i correlati neura-li conducendo uno studio su una donna colpita da

Fig. 4. Max Slevogt:Szene aus MozartsZauberflöte (1920)

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frequenti crisi musicogene. Ella è stata sottoposta aFDG-PET (fluorodeoxyglucose positron emission tomo-graphy) e SISCOM (SPECT con sottrazione ictale co-re-gistrata con RM). Ella presentava crisi comiziali parzialicomplesse consistenti in palpitazioni e senso di ma-lessere, occhi sbarrati e automatismi oroalimentari.L’EEG ictale mostra onde theta originate dal lobotemporale destro; la SISCOM mostra iperperfusioneictale a livello della porzione destra dell’insula,dell amigdala, e della testa dell ippocampo e del lo-bo temporale destro; la FDG-PET mostra ipometa-bolismo interictale nella stessa regione cerebrale. Ilquadro suggerisce un attivazione anomala delle strut-ture temporali-limbiche collegate alla risposta emo-zionale alla musica.29

Bibliografia

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3 CAMPBELL D., L’Effetto Mozart, Milano: Baldini & Ca-staldi, 1999.

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5 MONTINARO A., Musica, Cervello, Neurochirurgia, Attidel 12° Congresso della Società Italiana di Neuro-Oncologia. Rivista Medica 13 Suppl 2: 13-22, 2007.

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9 AUZOU P., EUSTACHE F., ETÉVENON P., PLATEL H.,RIOUX P., LAMBERT J., LECHAVALIER B., ZARIFIAN

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10 PANTEV C., HOKE M., LUTKENHONER B., LEHNERTZ

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Fig.5 H. van RijnRembrandt: Davide

suona la cetra per Saul(1658). Galleria realedel Mauritshuis, L’Aia

ANTONIO MONTINARONeurochirurgo e Musicologo. Direttore della Neurochirurgiadell’Ospedale di Lecce dal 1999 al 2011. Autore di 60pubblicazioni scientifiche e di alcuni lavori sul rapportomusica-cervello fra cui: “The Musical Brain: Mith andScience” (World Neurosurg.2010, 73, 5). In corso di pub-blicazione: “Neuroscienze fra Musica e Diritto”. E’ vice-presidente dell’Ass.Amici della Lirica “T.Schipa” di Lecce.

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11 HALPERN A. R., ZATORRE J. R., When that tune runsthrough your head. A PET investigation of auditory im-agery for familiar melodies, in «Cerebral Cortex» 9, pp.697-704, 1999; KOELSCH S., SIEBEL W., Towards a neu-ral basis of music perception, in «Trends Cogn. Sci.» 9(12),pp. 578-584, 2005; SATOH M., TAKEDA K., NAGATA

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16 WALWORTH D. D., The use of music therapy within theSCERTS model for children with Autism Spectrum Disor-der, in «J. Music Ther.» 44(1), pp. 2-22, 2007; WATAN-ABE T., YAGISHITA S., KIKYO H., Memory of music: Rolesof right hippocampus and left inferior frontal gyrus, in «Neu-roimage» 39: 483-491, 2008.

17 WACHI M., KOYAMA M., UTSUYAMA M., BITTMAN

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18 MATSUYAMA K., OHSAWA I., OGAWA T., Do childrenwith tuberous sclerosis complex have superior musical skill? -A unique tendency of musical responsiveness in childrenwith TSC, in «Med. Sci. Monit.» 13(4), pp. CR156-CR164, 2007.

19 ELDAR E., GANOR O., ADMON R., BLEICH A.,HENDLER T., Feeling the real world: limbic response to

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20 MANDELL J., SCHULZE K., SCHLAUG G., Congenitalamusia: an auditory-motor feedback disorder?, in «Restor.Neurol. Neurosci.» 25, pp. 323-334, 2007.

21 ELDAR E., GANOR O., ADMON R., BLEICH A.,HENDLER T., Feeling the real world: limbic response tomusic depends on related content, in «Cereb. Cortex» 17,pp. 2828- 2840, 2007.

22 PULLI K., KARMA K., NORIO R., SISTONEN P.,GÖRING H. H., JÄRVELÄ I. E., Genome wide linkagescan for loci of musical aptitude in Finnish families: evi-dence for a major locus at 4q22, in «J. Med. Genet.» 45(7),pp. 451-456, 2008.

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24 JENTSCHKE S., KOELSCH S., SALLAT S., FRIEDERICI A.D., Children with specific language impairment also showimpairment of music-syntactic processing, in «J. Cogn. Neu-rosci.» 20(11), pp. 1940-1951, 2008.

25 KALMUS H., FRY D. B., On tune deafness (dysmelodia):frequency, development, genetics and musical background, in«Ann. Hum. Genet.» 43(4), pp. 369-382, 1980; STEW-ART L., Fractionating the musical mind: insights from con-genital amusia, in «Curr. Opin. Neurobiol.» 18(2), pp.127-130, 2008.

26 LURIA A. R., TSVETKOVA L. S., FUTER D. S., Aphasia ina composer, in «J. Neurol. Sci.» 2, pp. 288-292, 1965.

27 ASHBURNER J., FRISTON K. J., Voxel-based morphometrythe methods, in «Neuroimage» 11, pp. 805-821, 2000;HYDE K. L., LERCH J. P., ZATORRE R. J., GRIFFITHST.D., EVANS A. C., PERETZ I., Cortical thickness in con-genital amusia when less is better than more, in «J Neu-rosc.v 27, pp. 13028-13032, 2007

28 GRIFFITHS T. D., Musical hallucinosis in acquired deaf-ness: phenomenology and brain substrate, in «Brain» 123,pp. 2065-2076, 2000; STEWART L., Fractionating themusical mind: insights from congenital amusia, in «CurrOpin Neurobiol.» 18(2), pp. 127-130, 2008.

29 CHO J. W,. SEO D. W., JOO E. Y., TAE W. S., LEE J.,HONG S. B., Neural correlates of musicogenic epilepsy: SIS-COM and FDG-PET, in «Epilepsy Res.» 77, pp. 169-173, 2007.

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Nel precedente numero di questa rivistaun interessante articolo riferiva sul 39°Congresso Esta svoltosi quest’estate inSvezia, riportando con ammirazione delworkshop tenuto in tale occasione dallaprof.ssa Mimi Zweig, docente pionieradi una didattica violinistica estremamen-te moderna ed efficace.Innanzitutto, chi è Mimi Zweig? Laprof.ssa Zweig è una docente di violino eviola presso la prestigiosa “Jacob Schoolof Music” dell’Università dell’Indiana,una delle più importanti realtà musicalidegli Stati Uniti. Nella medesima sedeessa è anche direttrice della scuola preac-cademica per strumenti ad arco, da leifondata, e aperta a bambini dai cinqueanni in su. E’ in questa realtà che MimiZweig ha potuto elaborare e sviluppare iprincipi della sua didattica, frutto di più diquaranta anni di lavoro.L’inverno appena trascorso anche unbuon numero di docenti italiani ha avutol’opportunità di approfondire la cono-scenza del suo lavoro, grazie ad un semi-nario di due giorni dal titolo “Preparareviolinisti con successo” che si è svolto il 3e 4 dicembre 2011 a Firenze. Il semina-rio, patrocinato da ESTA-Italia, si è svol-to grazie alla visione lungimirante delCentro Musica e Arte, ente organizzatoredi diversi corsi di formazione e aggior-namento accreditati dal MIUR.Durante le due giornate, la prof.ssa Zweigha esposto in maniera sintetica ma effica-ce la sua metodologia di lavoro, partendodal suo approccio filosofico all’insegna-mento.

La “filosofia Zweig” presta molta atten-zione alla qualità dell’ambiente di ap-prendimento: nel suo lavoro tutto deveconcorrere a creare confidenza e sicurez-za nell’allievo. L’errore dev’essere vistonon in quanto tale, ma come un’oppor-tunità per apprendere. Secondo la sua de-finizione, l’errore è un’“informazioneneutra” che ci aiuterà a stabilire comemodificare le nostre azioni. Un altroobiettivo costante del suo lavoro è cer-care di ridurre l’ansia nell’allievo, consa-pevole che questa, in un musicista, si tra-duce quasi sempre con l’irrigidimentodella postura e il conseguente peggiora-mento della qualità del suonare.Dal punto di vista metodologico invece, ilsuo lavoro è il frutto della sintesi dei prin-cipi di “libertà di movimento” del didat-ta americano Paul Rolland, integrati almateriale ideato da Suzuki. Numerosi al-tri maestri hanno contribuito e ispiratoil suo lavoro, fra i quali Joseph Gingolde Janos Starker.

La Zweig ha messo a punto un efficaceprogramma di lavoro, estremamente det-tagliato e analitico, che abbraccia dalla“lezione 0” fino agli studi di Kreutzer.Al passo con i tempi, la Zweig ha sceltouna formula moderna ed efficace ancheper trasmettere il suo lavoro: anziché scri-vere un libro o un manuale ha optato perun sito web a pagamento (stringpeda-gogy.com) estremamente curato e riccodi video e informazioni.Il seminario riprendeva idealmente lastruttura del sito, permettendo però aipartecipanti di intervenire con domandee delucidazioni e anche di mettere in pra-tica gli insegnamenti, strumenti alla mano,secondo la formula della lezione simula-ta, sotto la supervisione della sig.ra Zweig.Vediamo ora di addentrarci nello specifi-co del suo metodo. La prima parte delsuo lavoro è denominata “Volume 1” epresta molta attenzione a tutti i dettaglidel cosiddetto “set up” dell’allievo, ovve-ro la preparazione del violino, dell’arco, la

Dall’America con passioneMimi Zweig

Anna Nardelli

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preparazione e la postura dell’allievo pri-ma di imbracciare lo strumento, l’impo-stazione del violino e dell’arco (separa-tamente e insieme), il tutto attraversoesercizi che permettano all’allievo dimantenere un approccio rilassato. Que-sto lavoro, al quale si aggiungono alcunipiccoli primi brani, è la fase da lei deno-minata “Pre-twinkle” e può richiedereun certo numero di lezioni, prima di pro-cedere al lavoro sul primo libro di Suzu-ki, che inizia con il brano Twinkle Twinkleper l’appunto.Nella seconda parte del volume 1, laZweig procede svolgendo un’eccellenteanalisi dei primi due volumi del metodoSuzuki, proponendo così un manuale dilavoro per l’insegnante fruibile anche dachi non fosse un insegnante di tale me-todologia, ma volesse utilizzarne il reper-torio.Il cosiddetto “Volume 2”, porta il signifi-cativo titolo di “Costruire delle basi soli-de”. In esso la prof.ssa Zweig illustra lesue scelte riguardo al repertorio da inte-grare durante e dopo il completamento

del secondo volume del maestro giappo-nese, e altresì procede nell’esplorazionedella tecnica superiore: colpi d’arco, vi-brato, cambi di posizione.Durante il corso un momento particola-re è stato riservato all’organizzazione del-lo studio delle scale. La scala, ritenuta es-senziale nella costruzione del bagagliotecnico dell’allievo, diviene una costantedel percorso di formazione, una routineche si espande e ingloba le competenzeacquisite senza soluzione di continuità,dalla prima embrionale scala di sol mag-giore a un’ottava, fino alla mèta di quelloche lei definisce un unico “viaggio versola scala a 3 ottave legate”.A integrazione del corso, Mimi Zweig siè resa inoltre disponibile ad ascoltare al-cune lezioni di giovani e giovanissimi al-lievi del “Centro Musica e Arte”, per-mettendo cosi ai partecipanti di vederlalavorare “sul campo”. Tale occasione si èrivelata preziosa perché ha offerto deglispunti di lavoro riconducibili ai principida lei affrontati nel suo metodo.Le due giornate sono state intense e ap-

paganti, grazie ad un’instancabile MimiZweig che ci ha condotto nel suo mondoin maniera semplice e appassionante. Ciauguriamo di rivederla presto in Italia,cara prof.ssa Zweig!

ANNA NARDELLIDiplomatasi in violino presso il Conservatorio“Monteverdi” di Bolzano sotto la guida di Car-lo Lazari, ha seguito numerosi corsi di perfe-zionamento ed è stato inoltre membro dell’Or-chestra Giovanile Italiana e dell’Accademia del-la Scala a Milano. Parallelamente all’attività dimusicista ha insegnato in diversi istituti musi-cali della sua città d’origine, Trento. Da alcunianni vive a Venezia, dove si dedica all’insegna-mento con particolare interesse per la fasciad’età della scuola primaria. Perseguendo questoscopo ha seguito diversi corsi e workshops conKato Havas, Sheila Nelson e Geza Szilvay, pres-so l’East Helsinki School of Music.

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Improvvisare con gli archilaboratorio di improvvisazione musicale per piccola orchestra

Paola Zannoni IntroduzioneÈ sicuramente una sfida quella di motivare dei ra-gazzi tra i 15 e 20 anni di qualsiasi ambito si tratti(dalla scuola al lavoro…), figuratevi studiare stru-menti ad arco in una scuola musicale!Questo infatti è stato il punto di partenza del la-boratorio sull’improvvisazione che ho svolto loscorso anno a Trento per la Scuola “I Minipolifo-nici”.Il direttore Stefano Chicco e Barbara Bertoldi, in-segnante di violoncello, si pongono questo pro-blema oserei dire costantemente e offrono agli stu-denti dei loro corsi progetti interessanti. Lo scorsoanno, conoscendo il mio interesse e il mio per-corso sull’improvvisazione e sulla didattica, mi han-no sottoposto una proposta stimolante. Nella loroscuola infatti vi è un lavoro molto costruttivo sul-l’orchestra dei giovani, per lo più composta da ar-chi, e si è deciso di pianificare una serie di incon-tri sull’improvvisazione. Abbiamo studiato insie-me un percorso impegnativo: 8 incontri di un’orae mezza l’uno, alla fine del quale produrre unospettacolo musicale per bambini. Lo spettacolo eraprevisto per febbraio, al termine di una rassegnadi teatro musicale per i piccoli svolta tutti gli anninella Sala Filarmonica di Trento.Laboratorio double-faceEcco un lavoro a due facce, a due obiettivi: 1. Acquisire strategie per l’improvvisazione collet-tiva e i primi rudimenti, che comprendono: la let-

tura di alcuni accordi, le strutture del blues di al-cuni brani pop e rock. 2. Sul canovaccio di una storiella inserire i branisperimentati creando azioni sceniche con i ragaz-zi dell’orchestra.Il relatore e il piano organizzativoA questo punto devo chiarire che la mia esperien-za didattica si fonda principalmente sulla costanteattenzione alle “motivazioni” nello studio dellamusica, con un’attenzione particolare agli stru-menti musicali. Il laboratorio di produzioni tea-trali è alla base di tale principio. Quindi ho semprelavorato - principalmente con bambini - ad unaacquisizione globale dei linguaggi in cui inserire lamusica (fiabe musicate, musiche drammatizzate,improvvisazioni sulla rumoristica, body percus-sion, installazioni sonore e altro ancora).Non c’erano grosse difficoltà nel concepire il pro-getto, ma era ardua la tempistica rispetto ai conte-nuti. Alla fine si trattava di fare delle scelte detta-gliate e di scandire nei tempi stabiliti un buon pia-no operativo.La scaletta organizzativa è partita dal punto n. 2del laboratorio: lo spettacolo finale doveva essereinserito urgentemente (come sempre succede) nelcartellone degli spettacoli ed era necessario antici-pare una traccia di un’ipotetica fiaba da rappre-sentare. Ho scritto quindi “un’idea di storia” (daampliare in un secondo tempo) che fosse funzio-nale all’inserimento di brani musicali ed effetti so-nori emersi dal laboratorio.Il canovaccio della fiaba sul cartellone“La storia delle note che non ci sono”Il personaggio principale, Paolino, deve fare i con-ti con le difficoltà dei primi suoni sul violino e, co-me sempre nelle favole, interviene la magia.In un sogno una fata violoncellista lo introduce al-l’improvvisazione. Paolino supererà i suoi problemisulla lettura delle note e con il suo maestro crea unnuovo metodo musicale: per suonare anche le noteche ci sono nella nostra fantasia, quelle non scritte!Gli otto incontriMi sembra utile chiarire le modalità ed i tempi dellavoro fornendo la sequenza degli 8 incontri che

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conducono allo spettacolo finale. Descriverò in mo-do succinto una sorta di diario di bordo, accompa-gnato da osservazioni sui risultati e sulle reazionidei ragazzi.Le modalità e le strategie che hanno determi-nato la scansione ed i contenuti degli incontri:- obiettivo n. 1: avvicinare i ragazzi all’improvvisa-zione, cercando di coltivare un atteggiamento rilas-sato e creativo nel suonare musica, togliendo la let-tura musicale (leggii vietati!), provando a rilassareuna serie di tensioni e rigidità, suonando alcuni trat-ti a memoria ed altri “ad orecchio”; - obiettivo n. 2 (spettacolo): prende forma solo ver-so la fase finale del laboratorio dopo aver assimilatoi brani ed identificato tecniche ed effetti musicaliin cui il gruppo dimostra disinvoltura. Facendo levasu una finalità semplice e “raggiungibile” come lospettacolo per bambini, ho contato di ottenere unamaggiore consapevolezza e partecipazione.L’orchestra a disposizione era costituita da ragazzidai 15 ai 20 anni con il seguente organico strumen-tale: 2 flauti, 1 oboe, 2 clarinetti, 1 fagotto, 8 violini,1 viola, 5 violoncelli, 2 contrabbassi.

1° incontroGiochi, espedienti e tecniche di improvvisazionecollettiva: uso percussivo e ritmico degli strumenticon strutture semplici (ABA), dialoghi musicali, dia-loghi timbrici, musiche “a programma”, gesti suono,improvvisazioni atonali.Osservazioni: i ragazzi, in particolare gli strumenti adarco, dimostrano un blocco ed una paura quasi fisi-ca alla richiesta di improvvisare liberamente, di crea-re brevi melodie, di percuotere lo strumento: aven-do previsto scambi di idee e di proposte, si è trattatodi un inizio piuttosto sconcertante!

2° incontroApproccio al blues (sigle e scale pentatoniche), im-provvisare inizialmente senza lo strumento, solo conla voce ad “orecchio” su una base blues già registra-ta per poter cogliere in modo istintivo i cambi diaccordo e far emergere senza barriere la propriaistintività; acquisizione della struttura di un blues ri-

dotto ad una forma più semplice (otto battute, treaccordi e tre scale corrispondenti).Osservazioni: l’interesse in una consegna più det-tagliata e meno “libera” cresce notevolmente; i ra-gazzi se pur poco reattivi capiscono che il blues èuna struttura semplice ed è già assimilato nella lorocompetenza di base… già lo sanno!Nelle improvvisazioni canore, infatti, tutti creanodelle frasi più che accettabili. Con lo strumento, pe-rò il blocco continua. Anche se spiego e dimostroche si può suonare un’ottima improvvisazione conuna sola nota, la paura e la timidezza bloccano qual-siasi idea creativa. Questa volta non si può parlaredi problemi tecnici (ho chiesto una nota!). Comespesso succede il confronto con gli altri, la scarsaabitudine nello sperimentare liberamente insieme, ela paura della critica paralizza la mobilità fisica dichi suona (in special modo gli archi). Ma le ecce-zioni ci sono comunque: un paio di ragazzi conesperienza di “band” si lanciano tranquillamente neisoli. Questo dà un po’ di coraggio al gruppo ed ioprogetto con più convinzione il prossimo incontro.

3° incontroPropongo un brano ben definito: un arrangiamentodi un blues adattato all’orchestra che poi suoneremoallo spettacolo: gli archi eseguono sulle armonie delblues, i background (una sorta di accompagnamen-to percussivo di sostegno ai temi e ai soli), i temiprincipali li eseguono i fiati. Il tutto però è appreso amemoria come avevo programmato sin dall’inizio(leggii vietati!).Osservazioni: anche qui chiedo di provare primacon la voce e poi con lo strumento (per poter pro-durre il ritmo in swing) e la differenza è sorpren-dente. Negli archi (che sono sempre lenti e pocoreattivi) noto sempre una difficoltà a trasferire l’ef-fetto ritmico (che invece nella voce e nei movi-menti percussivi tutti esprimono senza problemi).Comunque alla fine avviene. L’effetto del back losi ottiene ed è un buon risultato!

4° incontroVisto i tempi ed i risultati, decido un lavoro molto

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semplice: impariamo, sempre ad orecchio, una me-lodia con relativi accordi. Come nel blues l’obietti-vo è di imparare una struttura musicale in modocompleto e consapevole: conoscere struttura, accor-di e melodia per poi poterci anche improvvisare so-pra senza problemi. La scelta è la prima parte dellaNinna Nanna di Brahms. Nella spettacolo la NinnaNanna sarà ambientata nel bosco, per cui chiedo diprodurre con gli strumenti rumori e suoni della na-tura (dagli uccellini al vento alla pioggia). Alla finel’orchestra dovrà disporsi in modo da evocare uncarillon muovendosi nel ritmo del tre quarti.Osservazioni: la ricerca dei suoni e la disposizionescenica dell’orchestra motiva e rende molto più par-tecipi i ragazzi, i quali eseguono il brano senza pro-blemi. Chiedo poi all’oboe e al flauto di improvvi-sare liberamente sui due accordi per terminare ilbrano. Lo fanno, inconsciamente, in modo impec-cabile!

5° incontroIl prossimo brano in programma è un tango: il mi-tico Libertango. Scrivo un arrangiamento semplifi-cato ma efficace. Come sempre l’apprendimento èad orecchio. Si inizia dalla ritmica (contrabbassi, vio-loncelli, bassi) per poi sovrapporre i violini. Il branosarà usato per rappresentare il “traffico” nella nostrastoria, per cui inseriamo dei cluster ed altri effettiche evochino il frastuono della strada.Osservazioni: ho subito un risultato molto buono. Ilbrano è straconosciuto e la ritmica del tango vieneeseguita con competenza. La richiesta degli effettiviene accolta con entusiasmo. I ragazzi finalmente miregalano delle idee.

6° incontroRock! Propongo un classico di Jimi Hendrix: “FoxyLady”. Anche in questo caso esemplifico la struttu-ra suddividendola in: 1) un ostinato ritmico formato su due accordi, datoai celli e ai bassi; 2) le voci più acute (violini e fiati) imparano a me-moria alcune brevi frasi; 3) il brano termina con improvvisazioni libere dei

violini sull’ostinato incessante dei bassi.Osservazioni: molte difficoltà nell’imparare le brevifrasi rock: per i violinisti è un terreno sconosciuto el’immediatezza che io penso sia naturale per dei ra-gazzi giovani che ascoltano il rock… non esiste! Miè sempre d’aiuto il solito violinista che improvvisacon disinvoltura ed ha un buon effetto sui compa-gni. Il gruppo lentamente migliora!

Il primo obiettivo più o meno è stato raggiunto. Iragazzi hanno accostato, seppur superficialmente, al-cuni generi musicali ad orecchio, senza spartiti ehanno sperimentato diverse tecniche di improvvi-sazione.È il momento quindi del secondo obiettivo, cheaffronto in questo modo: propongo al gruppo uncopione per lo spettacolo per poi allestirlo in soli 2incontri (7° e 8° incontri) più le tre ore pattuiteper le prove sul palco: circa sei ore di lavoro in tutto.Progettazione dello spettacoloGrazie ad una ventennale esperienza di spettacolimusicali per bambini mi propongo nel ruolo di vo-ce recitante della fiaba, per cui: scrivo il testo, scrivoi movimenti scenici dell’orchestra e il copione e ilpromemoria dei vari brani, con parti musicali scrit-te da imparare a memoria.Nel copione prevedo un’interazione del pubblico: ifruitori per l’appunto sono dei bambini piccoli dai 5ai 10 e l’attenzione potrebbe crearmi dei problemi.Inserisco quindi delle canzoncine semplici che ilpubblico può cantare e decido di richiamare l’at-tenzione in vari momenti.

Ovviamente tutto questo non è sufficiente. Il lavoroduro, come sempre nel teatro musicale, è quello diripetere i brani affiancandoli ai movimenti scenici.In questo caso le strategie che uso sono semplici:suoni effetto durante la narrazione, pochi movi-menti del corpo mimici nelle esecuzioni. Il risultatoè un copione che verrà eseguito dettagliatamente: gliorchestrali lo ricevono per posta elettronica e lo im-parano a memoria.Qui sotto riporto un estratto di una scena e di unarrangiamento.

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Seconda scena“Ed arrivò il tempo di andare a scuola. Paolino do-vette andare in città. Non era mai stato in città.” Mentre il narratore inizia la seconda scena parlandocon i bambini della città e dei suoi suoni… l’or-chestra si dispone come in un “gioco per bambi-ni”. Intorno al fagotto i violini si muovono comedelle macchine attorno ad una rotonda… (senzasuonare).

“Paolino andò in una scuola in cui al pomeriggio fa-cevano musica, si iscrisse a violino (un po’ lo suona-va; già, con le galline). Arrivò, suonò la campanella(dlen, dlen: triangolo) e durante la ricreazione nelgiardino della scuola udì tutti i suoni.Il narratore descrive i suoni del traffico uno alla vol-ta: Macchine, Clacson, Sirene e poi l’orchestra suo-na i suoni del traffico in modo confuso, fino a che:il “contrabbasso percussione” inizia a scandire il rit-mo del tango; l’orchestra segue il basso, sovrapponendo altri ritmima con i rumori del traffico (senza note reali);dopo un pò il contrabbasso suona l’ostinato del Li-bertango.

“La cosa buffa fu che (siccome era abituato a suo-nare con i rumori che sentiva) tirò fuori il violino esuonò questo motivo sui ritmi del traffico…”ConclusioniIl lavoro è andato molto bene, i ragazzi sono staticoncentratissimi ed il pubblico dei bambini con ge-nitori attenti e collaborativi. Ho ricevuto un caldoapplauso dall’orchestra nel fuori scena. Il segnalequindi è stato molto positivo. Gli adolescenti construmenti ad arco in quel cumulo di lezioni piene diinput, alla fine si sono lasciati coinvolgere ed hannomosso i loro primi passi nell’improvvisazione, rico-noscendo ed apprezzando la validità e la complessi-tà del lavoro. Ovviamente da parte mia c’era l’in-soddisfazione di non aver lasciato il tempo di sedi-mentare, di renderli più consapevoli, ma come spes-so succede, il budget non è alto e gli incontri sonosolo otto!Forse, come avviene nella fiaba di Paolino, gli inse-

gnanti di strumenti ad arco si renderanno conto del-l’importanza di accostare l’improvvisazione all’ap-prendimento musicale; e di quanto questo contri-buisca a far crescere nei musicisti dilettanti o pro-fessionisti un atteggiamento più naturale e menorigido nel suonare. Speriamo quindi che i laborato-ri come questo possano realmente proliferare o di-ventare permanenti… insomma che la favola si rea-lizzi!

PAOLA ZANNONI Si diploma in flauto dolce, in violoncello ed in jazz prati-cando un percorso musicale molto personale. Interessataall’interazione tra i vari linguaggi dell’arte, pratica unaserie di esperienze come musicista, conduttrice e didattanei vari ambiti: nella musica colta, nel jazz/improvvisa-zione, nel teatro e nell’arte visiva. Per molti anni si dedicaalla musica antica, suonando sia il flauto dolce che il vio-loncello e allestendo spettacoli di musica e danza con cuipartecipa ad importanti festival internazionali di musica ba-rocca e rinascimentale. Parallelamente lavora come inse-gnante, organizzatrice e formatrice per la didattica infan-tile in varie città e province del Nord Italia organizzandospettacoli, opere musicali e laboratori nelle scuole e ma-ster-class per conservatori, scuole di musica e altre isti-tuzioni musicali. Lo scorso aprile ha tenuto una master-class per la Hochschule di Mannheim in violoncello jazz.Dallo scorso anno insegna propedeutica presso il Conser-vatorio di Mantova.

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Insegno violino alle Medie ad indirizzomusicale dell’Istituto comprensivo “DanteAlighieri” di Venezia dall’anno scolastico2007 – 2008; in questa scuola dal 2005esiste una sezione di indirizzo musicale;dal 2008 le sezioni sono diventate due consei strumenti: violino, pianoforte, chitarra,clarinetto, flauto traverso e violoncello.Il Dirigente Scolastico Prof. Roberto Sin-tini ha sempre creduto molto nella musica,sia dal punto di vista educativo, sia dalpunto di vista estetico.Il Preside ha accolto con molta gioia e or-goglio il costituirsi di un’orchestra, cheogni anno ha aumentato il numero di stu-denti partecipanti, fino a raggiungere ilnumero di 54 allievi coinvolti l’anno scor-so!L’orchestra è composta da studenti di pri-ma, seconda e terza Media.Il compito dei docenti è stato quello diriuscire ad arrangiare e riarrangiare i branicalibrandoli sulle capacità tecnico-stru-mentali individuali degli studenti, così co-me il far capire quale fosse la loro respon-sabilità all’interno dell’orchestra: questi so-no stati gli obiettivi raggiunti al terminedell’anno.All’inizio era il caos, tanti ragazzi “armati”di tanti strumenti, disordinati anche nelladisposizione fisica: i violini che si scontra-vano con l’arco, i clarinetti che si nascon-devano dietro le parti, nessuno che guar-dava il Direttore, tutti che suonavano con-temporaneamente mentre i prof. tentavanodi accordare chitarre e violini, insommanessuna disciplina, l’anarchia più totale!Si è dovuto costruire un modo di stare inorchestra, per far questo abbiamo insegna-to una disciplina che permettesse loro disuonare insieme seguendo lo spartito, ri-

spettando ritmo e armonia, seguendo ildirettore nei suoi gesti. Hanno imparatoa leggere un “senso” nell’insieme delle par-ti, hanno imparato ad ascoltare suonando.All’inizio l’accordatura avveniva su richie-sta dell’insegnante, quasi fosse una sua fis-sazione, poi un po’ per volta accordare èdiventato un gesto richiesto dagli studen-ti che per primi l’hanno riconosciuto co-me un elemento fondamentale per suo-nare insieme.Andare a tempo seguendo spartito e diret-tore è stato più lungo e complicato, è statauna conquista giornaliera sia durante la le-zione individuale con il proprio insegnan-te, sia durante le prove d’insieme; il mes-saggio era sempre quello di ricercare unsenso nel gesto fisico che si compiva nelsuonare il proprio strumento.Per i violini per esempio, seguire le arcatescritte ha rappresentato un bel problema, lafisicità di un’arcata in giù rispetto a unain su è per me evidente, ma non lo è per iragazzi, e riuscire a fargli sentire la diffe-renza non è cosa così scontata.Abbiamo cominciato a realizzare lavori in

collaborazione con altre attività della scuo-la (teatro), e l’anno scorso abbiamo pro-posto un medley di sei brani di West SideStory di L. Bernstein (I feel pretty, Maria,Tonight, One hand One heart, Somewhere,America).L’organico utilizzato è stato Clarinetti in Sib, Violini, Chitarre e Pianoforte.Nell’arrangiare questo medley ho sì cer-cato di soddisfare le esigenze musicali delcompositore, ma ho anche tentato di dis-tribuire i temi alle 4 “voci” cercando dicreare una timbrica adeguata al significatodel testo poetico.A questo proposito ai ragazzi è stato fattovedere il musical su DVD e anche alcunipezzi delle prove con Bernstein che dirige.Si è cercato di costruire il terreno stori-co-musicale e sociale per far sì che potes-sero interpretare il pathos, attraverso il pro-prio strumento e l’insieme orchestrale.La musica di West Side Story è molto com-plicata per il ritmo, gli accenti spostati, lostile classico-jazz. Abbiamo deciso di svi-luppare I feel pretty su tutte e quattro levoci e la difficoltà è stata quella di riuscire

Concerto sulla Nave Italia

Paola Fasolo

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a lavorare sui respiri e sulle dinamiche; co-me direttore ho trovato utile e funzionaleesagerare la suddivisione in tre in alcunipunti, così da attirare l’attenzione su di mee renderli capaci di trattenere l’arco al tal-lone nel caso dei violini, mentre nel casodel pianista nel distaccare lo sguardo dallatastiera per sentirsi più “insieme”.Maria è stata realizzata per clarinetti e chi-tarre proprio per sottolineare lo stato emo-tivo del personaggio (Tony) attraverso untimbro più caldo e possibilità espressivemaggiori dello strumento; la direzione èstata un po’ più ai margini proprio per la-sciare che i ragazzi si ascoltassero cercandodi andare insieme non solo nel tempo maanche nell’intenzione.Ho dato Tonight ai violini, con il loro suo-no brillante, suoni tenuti e vibrati, accom-pagnati dalle chitarre e pianoforte, per evi-denziare i sogni dei due giovani.Finalmente è arrivato il momento dellechitarre con One hand, One heart, prelu-dio della canzone successiva Somewhere incui lo scambio tra violini, clarinetti è uncrescendo che porta al momento conclu-sivo di America, con un inserimento dibacchette che segnano una ritmica por-toricana su un testo, in cui le vedute delledonne portoricane sono diverse da quelledegli uomini portoricani, i sogni che gliimmigrati avevano nell’America di queltempo, sogni che spesso nascondevanograndi problemi di integrazione sociale.Abbiamo avuto nel corso dell’anno sco-lastico 5 occasioni pubbliche in cui suo-nare questo lavoro e altri brani, la più en-tusiasmante delle occasioni è stata quellarealizzata sul Veliero più grande d’Europa,di proprietà della Fondazione Tender toNave Italia ONLUS, armato a brigantinoe dotato di un equipaggio militare messo adisposizione dalla Marina.Credo sia meglio raccontare dall’inizio. A

settembre dell’anno scolastico 2010/2011abbiamo avuto l’occasione di conoscere ilProfessore Paolo Cornaglia Ferraris, in se-guito a un corso di aggiornamento che hatenuto nel nostro Istituto sulla Sindromedi Asperger. Paolo Cornaglia Ferraris è unmedico pediatra che svolge le funzioni diDirettore Scientifico della Fondazione Ten-der to Nave Italia (www.naveitalia.org),coordinando la squadra di educatori cheutilizzando una metodologia originale,conducono progetti educativi e riabilitati-vi a bordo del veliero Nave Italia dedicataalla qualità di vita delle persone con disagiofisico, psichico, familiare o sociale.La Fondazione Tender To Nave Italia ON-LUS mette a disposizione Nave Italia atutti gli operatori non profit, della scuola edella sanità pubblica. “Dal 2007 navighia-mo con chi crede nella cultura del mare edella navigazione quali strumenti formati-vi, riabilitativi e di integrazione sociale,capaci di migliorare autostima e qualità divita delle persone coinvolte. Desideriamoraccogliere progetti e idee di chi, comevoi, promuove azioni inclusive verso i pro-pri assistiti e le loro famiglie.”Pur non presentando alcun progetto a Na-ve Italia, il Professore Cornaglia Ferrarisci ha invitato a suonare sul veliero il gior-no della festa del Redentore, il 16 Luglio2011.Il brigantino è rimasto attraccato in Rivadelle Zattere a Venezia per assistere allospettacolo pirotecnico del Redentore, e inquell’occasione abbiamo eseguito alcunibrani preparati durante l’anno, tra i quali ilmedley di West Side story, la Marcia degliesiliati in Siberia di G. Donizetti, The littlenegro di C. Debussy.È stata un’esperienza incredibile per i ra-gazzi, per i genitori e per noi docenti!Il 13 e 14 luglio sono state fissate le provea scuola, una scuola semideserta, popolata

solo dal personale di segreteria e dal per-sonale ATA. Le classi erano vestite da lucie suoni diversi, suoni estivi, poco cono-sciuti in quei luoghi, le finestre aperte nel-la speranza di un “refolo” d’aria!I ragazzi con i loro strumenti sono arriva-ti puntualissimi alle 9.00, abbronzati e ri-posati, e contenti di ritrovarsi inaspettata-mente con i loro compagni e a scuola inuna veste un po’ diversa.Insieme ai genitori e ai colleghi abbiamopianificato il trasporto di alcuni strumentie l’impianto di amplificazione (suonandoall’aperto sul ponte di una nave si è resoindispensabile). Il fatto che ci fosse unacooperazione a 360° ha messo ancora piùin risalto l’evento musicale e la straordi-narietà del luogo (una Nave!), li ha fattisentire importanti. Questa situazione hamaggiormente responsabilizzato i ragazzi,fino a farli essere splendidi nella loro se-rietà! Sono stati bravissimi!Abbiamo cominciato con la Marcia degliesiliati in Siberia, pezzo preparato in occa-sione del 150° dell’Unità di Italia, un bra-no ritmico e con molte parti di insieme,così da poter sciogliere le tensioni iniziali.Il pianoforte a 4 mani raddoppiava clari-netti e violini, che erano a loro volta divi-si a due voci, spesso in terza.È seguito il pezzo di Debussy The little ne-gro, pezzo pianistico che ho realizzato per 3violini, un clarinetto, una chitarra; qui illavoro è stato sul cromatismo nei diversistrumenti e sulla ritmica, messi a disposi-zione di un senso musicale.Si è continuato con l’esecuzione di unTrio di W. A. Mozart eseguito da un triodi clarinetti e un Preludio per chitarra diJ.S.Bach (trascritto da una Suite per vio-loncello).In chiusura abbiamo eseguito il medleydi West Side Story.

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Perché quando Franco Gulli attaccava laSonata KV 378 per violino e pianofortedi Mozart ti si bloccava il respiro per unafrazione di secondo?Perché questo accadeva anche col temainiziale della Sonata op. 105 di Schumann,col Duo in la maggiore di Schubert, con “lascala più bella della storia della musica”nel Concerto op. 61 di Beethoven, con lastupenda melodia iniziale del Concerto diBrahms?Ogni volta, che fosse durante un suo con-certo pubblico o quando faceva un esem-pio pratico per l’allievo nelle sue nume-rose masterclass, quando il suo arco met-teva in vibrazione le corde, era uno shockemotivo e a qualcuno gli occhi si inumi-divano. Questo succedeva spesso anche acoloro che di musica erano digiuni.Analizzare il perché di questa emozioneforse è possibile: si può dire, per fare unesempio, che il modo di suonare la quarti-na della seconda battuta di quella Sonatadi Mozart veniva reso sensibile ed espres-sivo da un impercettibile “allungamento”della nota che la precede. Oppure che iltema del Concerto di Beethoven, oltre cheper la sua bellezza intrinseca, era reso daGulli particolarmente struggente nel pas-sare dal modo maggiore al minore. Maqueste analisi razionali in musica spiega-no poco.Era la sua anima, cosciente ed inconsciainsieme, che rendeva vivo, vibrante, ele-gante e limpido come acqua sorgiva il suoinimitabile stile interpretativo.Era il suo amore per la voce umana nelcanto: la sua ineguagliabile voce di otti-mo tenore che, applicata allo strumento,lo faceva comunicativo, emozionante e

commovente per chi aveva la fortuna diascoltarlo. La sua voce è sempre stata quel-la di un uomo buono e partecipe della vi-ta altrui. Anche molto ironico, senza maiprendersi sul serio. Ciò rendeva facili irapporti interpersonali e spesso anche di-vertenti. Prendeva in giro le mie posizio-ni politiche, che erano quelle di un giova-

ne comunista. A volte quando mi incon-trava alzava il pugno e si metteva a cantare“le bombe, le bombe all’Orsini… morte aFranz viva Oberdàn”. Mi veniva da sorri-dere e gli obiettavo che quella era una vec-chia canzone risorgimentale tipica degli

Dieci anni senzaFranco Gulli

Alberto Campagnano

Franco Gulli negli anni ’60

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irredentisti triestini e che non c’entravanulla col comunismo, ma lui, da buon mit-teleuropeo, identificava i rivoluzionari conquelli che se la prendevano con l’Impera-tore d’Austria.Poi aggiungeva che gli unici comunistiche conosceva erano il sottoscritto e Ru-bens Tedeschi, critico de l’Unità e che co-munque era convinto che in caso di vit-toria del comunismo proprio noi due sa-remmo stati impiccati per primi. Ancheperché, diceva, il mio naso tradiva la miaorigine ebraica e alla prima occasionequalcuno me l’avrebbe fatta pagare. Co-munque, ogni volta che la politica inter-nazionale esprimeva qualche fatto tragicoo contraddittorio, Franco aveva voglia diconfrontarsi con me: una volta per la guer-ra in Israele e un’altra volta per l’invasionedi Praga da parte del Patto di Varsavia. In-somma dovevo stare attento a non direovvietà propagandistiche e ad essere mestesso con le mie angosce e le mie rabbie.Era un continuo stimolo ad essere veroproprio perché lui era vero e privo di pre-giudizi ideologici.Ma non c’erano solo i discorsi seri ed im-pegnativi: quando viaggiavamo insiemecon la sua Giulia Alfa Romeo, ci si diver-tiva uscendo dal tracciato più breve perammirare paesaggi nuovi e diversi. Ci sifermava a prendere il caffé sulla Chianti-giana, scoprendo che era una vera porche-ria perché fatto in casa con la moka. Da al-lora il “caffé di casa”, come l’aveva defi-nito la padrona del locale, è stato un mot-to divenuto storico fra noi come simbolodi bevanda disgustosa.Ho ritrovato un’antica intervista fattagliin due riprese per una rivista americana. Laprima inizia nel suo studio dell’Universitàdell’Indiana, la seconda nel New Jersey,nella elegante casa in riva al mare del dot-tor Herbert Axelrod.

L’intervistatore esordisce dicendo che Gul-li ha un modo di esprimersi e di gestico-lare inconfondibilmente italiano; che par-la fluentemente l’inglese con leggero ac-cento, con voce raffinata e musicale, cheè un uomo di profonda sincerità d’intenti,intenso di carattere, coinvolgente: un gen-tiluomo di corte del vecchio mondo, to-talmente privo d’affettazione sia nella per-sona che nella sua arte.Leggendola con attenzione mi sembravadi sentire ancora la sua voce: Franco Gul-li racconta molti particolari della sua vitaartistica e di studio, a cominciare dalla pri-ma infanzia quando suo padre, violinistaed ex allievo a Praga di Ševcik, lo facevastudiare non più di un’ora al giorno. Ma è un racconto molto ampio: pratica-mente tutta la sua vita artistica e il suopensiero musicale su ogni particolare, dal-la tecnica di studio ai principi etici del-l’interprete. Un’intervista che andrebbetradotta e pubblicata anche da noi. Il suoracconto di quando, durante il periodobellico e l’occupazione tedesca che inter-ruppe la continuità della sua giovanile car-riera, si divertiva a volte a suonare con lostile “Gypsy”, mi ha ricordato una sua im-pareggiabile esecuzione della Tzigane diRavel, a Trieste, con la direzione di Clau-dio Abbado.Pochi anni fa ho parlato di questo ricordoad Abbado e lui mi ha chiarito che quellafoto dove scherzosamente insegna a Fran-co come tenere la bacchetta - foto pub-blicata sul quaderno ESTA del dicembre2004 - è stata fatta nel camerino del Teatrodi Trieste proprio dopo quel concerto.Non ho mai ascoltato nessun grande vio-linista interpretare la Tzigane in modo co-sì sapientemente e ironicamente zingare-sco: Ravel ne sarebbe rimasto entusiasta.Trieste gli parlava anche con la voce deisuoi zingari.

Rileggendo tutti gli articoli scritti diecianni or sono, quando il 20 novembre ciabbandonò, articoli di giornali italiani eriviste americane ed inglesi, per non diredel nostro fascicolo ESTA, mi sono resoconto di quante coincidenze si trovano tragli episodi citati dagli autori e i miei ri-cordi, benché non ci fosse stato nessuncontatto tra noi. Ma uno di quegli aned-doti mi pare unico. E’ quello raccontatodal violinista Iorio a proposito di un’ese-cuzione del Concerto di Mendelssohn aRoma, con la direzione di Petrassi, chenon era molto incisivo in quel ruolo. Iorioracconta che l’orchestra, poco dopo l’ini-zio, andò a gambe all’aria e fu necessariofermarsi. Gulli, da grande gentiluomo, simise immediatamente ad accordare il vio-lino come se il problema fosse sorto nelsuo strumento. Ogni musicista seppe inrealtà ciò che era accaduto. Io mi doman-do quale violinista al mondo si sarebbecomportato così!Nel 1972 Gingold, già insegnante di vio-

Franco Gulli

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lino nell’Università dell’Indiana, ascoltòun concerto di Franco per radio e subitogli telefonò per proporgli la cattedra nellastessa scuola di musica.In Italia non esisteva nulla del genere eGulli desiderava un posto d’insegnamentoche gli consentisse anche una stabile tran-quillità economica. Inoltre la scuola di mu-sica di quell’ateneo era, ed è, una delle piùprestigiose ed efficienti al mondo. Me lodisse con molta soddisfazione e non pote-vo certo frustrarlo mostrandogli il mio rin-crescimento.In realtà ci rimasi piuttosto male: se ne an-dava per sempre un punto di riferimentofondamentale per me. Abitavamo non mol-to distanti a Milano e Franco, già dopo icorsi di Siena, mi aveva invitato a ricorrereai suoi consigli ogni qualvolta ne avessiavuto bisogno. Ho ancora il rimorso pernon averne mai approfittato se non quandomi ero preparato per vincere il concorsodi violino di spalla. Una soddisfazione chegli devo, avendo trascorso nella sua cucinadi via Sidoli un lungo pomeriggio per per-fezionare l’intero programma.Se ne andava la sua musica e la sua pre-senza affettuosa. Inoltre mi diede un enor-me dispiacere la fine di quel Trio Italianod’Archi che avevo imparato ad apprezzarefin dai suoi inizi, alla fine degli anni ’50,quando ebbi occasione di ascoltarlo al Tea-tro Nuovo di piazza San Babila per la pri-ma volta. Ero ancora studente in Conser-vatorio e finalmente, dopo anni infernali aiquali avevo resistito pressocché come au-todidatta, era arrivato un insegnante co-me Bruno Giuranna, allora ventiquattren-ne. Con lui cominciò l’inizio della mia ri-salita morale e musicale. Sempre Giuranna,nella primavera del ’64, al mio rientro dalConservatorio di Mosca, mi consigliò dipreparare l’audizione per l’AccademiaChigiana dove Franco Gulli avrebbe co-

minciato la sua attività d’insegnante.Bruno Giuranna, Giacinto Caramia eFranco Gulli avevano formato il migliortrio d’archi al mondo e anche ora, dopotanti anni, quando ascolto le loro perfor-mance, la mia convinzione si conferma.Avevo ascoltato tutti i trii di Beethoven,Reger, Petrassi, Ghedini (Trio d’archi piùl’orchestra della RAI diretta da Celibida-che), oltre che l’interpretazione di quelcapolavoro che è il Divertimento KV 563 diMozart che tuttora mi fa compagnia du-rante i viaggi in auto.Non credo che questa mia convinzionesia condizionata dall’amicizia: ho ascoltatodiversi ensemble del genere, anche quandopassai due anni di “stage” al Conservatoriodi Mosca dove un Trio d’archi era forma-to da Leonid Kogan, Rudolf Barsaj eMstislav Rostropovic che, insieme a DavidOjstrakh, erano fra i miti della mia gio-ventù. Bene: il Trio Italiano d’Archi eradecisamente più interessante ed emotiva-mente più coinvolgente.Ma non sono solo: nel marzo del 2002,sulla rivista “The Strad”, Tully Potterscrive: “…and the three players made the

most beautiful string trio of the time, per-fect in balance and intonation and with aburnished, bronze, Italianate tone. Amongtheir specialities, besides Mozart andBeethoven, was Goffredo Petrassi’s 1959Trio…”1

Gulli si trasferì a Bloomington ma man-tenne un rapporto annuale con l’Italia pertournée di concerti soprattutto col Duo,ma anche come solista.Nel 1981 ci venne l’idea di invitarlo aReggio Emilia per una masterclass orga-nizzata nel nostro Istituto Musicale, conl’entusiastica adesione del direttore, Ar-mando Gentilucci, e la concreta parteci-pazione dell’allora Sindaco Renzo Bonaz-zi, che già aveva consentito e sostenuto leiniziative di “Musica-Realtà”, il leggenda-rio festival di musica contemporanea cherealizzava i concerti nei teatri, nelle scuo-le, nelle fabbriche e nei luoghi di cura.Franco Gulli ed Enrica Cavallo iniziaronoil loro insegnamento sul repertorio perDuo concludendo ogni volta i corsi conconcerti molto interessanti.Nel ’97 mi impegnai, con un’orchestra diallievi ed ex allievi diretta da me, per or-ganizzare un concerto che festeggiasse ilcinquantenario del Duo Gulli-Cavallo.Il programma prevedeva l’esecuzione diun concerto per violino e di uno per pia-noforte di Mozart nella prima parte e delDoppio concerto di Mendelssohn per violino,pianoforte e orchestra d’archi nella secon-da parte. Franco ed Enrica si dissero d’ac-cordo. Ma vennero a conoscenza, non ri-cordo come, dei problemi economici so-pravvenuti all’ultimo momento e Francomi scrisse una lettera che trascrivo in par-te perché, una volta di più, rende manife-sto il carattere dell’amico:“Carissimo Alberto, Enrica ed io ti augu-riamo di cuore che i tuoi progetti possanorealizzarsi. E a questo proposito vorremmo

Franco Gulli negli anni ’90

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collaborare… saremmo lieti di suonare iprogettati Mozart e Mendelssohn rinun-ciando al nostro onorario e venendo aReggio dietro rimborso delle sole spese.Sii certo che non si tratta di ‘magnanimità’,ma soltanto del desiderio di far musica in-sieme. Tuo Franco.”Ci ritrovammo così anche come amici divecchia data e ogni giorno, dopo il corsopedagogico, pranzavamo insieme noi due,approfittando dell’assenza di Enrica che sitratteneva in camera a pasteggiare seguen-do una sua dieta. Ma ci furono anchepranzi ufficiali con le autorità e pranzi acasa della mia compagna, Danila, cheFranco definì come persona “radiosa”, ren-dendomi contento.Scriverne non è facile ma mi aiuta a sen-tirmi ancora in sua compagnia e non vor-rei staccarmi da questi fogli.L’ultima volta ci incontrammo nel feb-braio del 2001, a Trieste in casa della sorellaGiuliana e di suo marito Nino. In realtàavremmo dovuto ascoltare dei concertiche doveva eseguire con Giuliano Carmi-gnola e l’ensemble d’archi diretto da Ma-rio Brunello; invece mi aveva comunicatodi aver restituito lo Stradivari alla famigliadi Peterlongo che glielo affidava. Ci rima-si male: non lo consideravo così vecchioda dover rinunciare alla sua musica! Midisse di essere stanco. Credo piuttosto chefosse iniziata per lui una depressione pe-sante. Giuliana mi chiese di convincerlo aritornare in Italia. Anche questa richiestami demoralizzò e mi fece pensare ad unachina discendente della sua vita. Comun-que ci provai, ma a Franco vennero quegliocchi gelidi che apparivano assai raramen-te, solo quando qualcuno cercava di forza-re la sua volontà. Cambiai subito discorsoperché ne capii l’inutilità.Facemmo invece una gita tutti quanti:Franco ed Enrica, Giuliana e Nino, Da-

nila ed io, al santuario di Monrupino sulCarso e da quell’altura ci mostrò, verso laSlovenia, il paese d’origine della sua fami-glia, Stanjel, quando il loro nome era an-cora Gulich.Dopo quel mese non tornò più in Italia.Ci sentimmo ancora una volta telefonica-mente, credo in agosto, e mi disse tran-quillamente che la sua vita si svolgeva pre-valentemente a letto. Ignorando la gravitàdella sua malattia, cercai di convincerlo afare delle passeggiate, andando all’universitàa piedi invece che in macchina. Lui midiede ragione, ma capii che era solo unmodo per cambiare discorso. Ci salutam-mo con calore.In ottobre Donatella, sua figlia, mi telefonòdicendo che Franco era stato operato, chedurante l’operazione il cuore s’era arresta-to per sette minuti e che era in coma irre-versibile.Partii con lei e Giuliana per Blooming-ton con qualche illusione nell’animo ma,raggiunto l’ospedale, cercai inutilmente difarmi riconoscere da lui: i suoi occhi sem-bravano guardare ma senza che ne seguis-se alcuna reazione.Restai a Bloomington per una settimana,ogni giorno recandomi in ospedale, mal’unica consolazione e difesa contro il do-lore era stare in compagnia dei suoi amici,familiari, colleghi e constatare come i suoi

allievi lo amassero: un’allieva coreana pas-sava le notti accanto a lui pregando.Dovetti poi tornare in Italia all’insegna-mento in Conservatorio e il 20 novem-bre Franco morì.Il febbraio successivo lo ricordammo aBloomington, nell’aula magna dell’Uni-versità dell’Indiana.

1 Traduzione “…e i tre musicisti riuscirono aesprimere il più bel suono di trio d’archidel tempo, con perfetto equilibrio e intona-zione con suono caldo, intenso, tipicamen-te italiano. Fra i loro pezzi di repertorio, ol-tre i trii di Mozart e Beethoven ci fu il Triod’archi (1959) di Goffredo Petrassi.

Franco Gulli con la moglie Enrica Cavallo

ALBERTO CAMPAGNANOViolinista e direttore d’orchestra, già primo vio-lino all’Orchestra dei Pomeriggi Musicali e do-cente di violino all'Istituto Musicale Pareggiato“Peri” di Reggio Emilia, è membro del ComitatoDirettivo di ESTA-Italia. Dopo la scomparsa diFranco Gulli (nel 2002), l’Indiana Universitygli ha affidato il compito di ricordarlo nellaCommemorazione ufficiale.

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Mi fa molto piacere e mi onora ricordare FrancoGulli. Sono passati 10 anni dalla sua scomparsa e nel frat-tempo la mia vita è molto cambiata.Ora, oltre a continuare la mia attività concertistica,insegno, in Italia e in Spagna, e, in questa mia chia-miamola “metamorfosi”, Franco Gulli è stato perme ancor più un continuo riferimento come vio-linista e musicista. Da quando insegno mi sono re-sa ancora più conto del privilegio assoluto che hoavuto a conoscerlo, a suonare per lui per tanti anni,a ricevere direttamente i suoi consigli, ad aver po-tuto ascoltare il suo suono,così penetrante e raffi-nato, un suono d’altri tempi, unico, inconfondibile,indimenticabile.Devo dire che mi sono sentita “orfana” quando èscomparso, smarrita, senza più un riferimento. Mapoi una notte, a Lipsia, nel 2002, prima di un con-corso internazionale importante, mi è apparso insogno e mi ha fatto capire che c’era. “Io sono qui”,mi disse. Non so se fu per questo sogno che il con-corso andò molto bene ma so per certo che miresi conto che effettivamente non sarei mai statasola, che lui c’era.E infatti quante volte ancora mi ha aiutata indi-rettamente nella mia vita professionale. Le sue re-gistrazioni, le parti con le sue arcate e diteggiature,le correzioni sulla posizione, le osservazioni mu-sicali… trasmetto tutto quello che posso di FrancoGulli ai miei studenti. È importante passare il te-stimone, ognuno come può, con grande rispetto.Quando faccio gli esempi e tento di spiegare suo-nando qualcosa ad uno studente, la sua immaginementre faceva con me la stessa cosa è così viva,come fosse ieri. Quante volte gli studenti mi di-cono: “Ah, grazie, così è molto più facile…” ed io,con lo sguardo all’insù penso: “grazie, Franco!”. Lui diceva sempre che per i problemi “tecnici”nonera affatto efficace e che se era questo che vole-vamo dovevamo rivolgerci altrove. Ma ho semprepensato che si sbagliasse. Era tecnica applicata albrano musicale che veniva eseguito a lezione. Suo-nava sempre a lezione. Parlava della distribuzionedell’arco, del punto di contatto, dell’orizzontalità

degli accordi, della velocità dell’arco in funzionedell’espressività. Le sue diteggiature erano così ef-ficaci a risolvere passaggi scoperti e rapidi. Si scu-sava sorridendo del fatto che non usava quasi mail’allungamento del quarto dito preferendo un’e-stensione all’indietro del primo dito perché dicevadi avere un mignolo corto. Spiegava come rag-giungeva la sua “stellare” velocità nei passaggi discale (come per es. nel Concerto n.1 di Prokofiev) ecome studiarle, concentrandosi solo su qualchecambio di posizione dove appoggiarsi, “dimenti-cando” quelli intermedi. Perfino quelle che lui de-finiva “le mie manie” sull’omogeneità erano tecni-ca. Diceva: “i pianisti dedicano una vita a cercarel’omogeneità nel suono e allora facciamolo anchenoi evitando di cambiare corda e quindi timbroper una nota in una quartina legata..”. E poi anco-ra, quando ci si presentava in duo, era tecnica ca-meristica quella che ci insegnava assieme guidan-doci con la sua musicalità (che bello quando ci di-

Gisella Curtolo

Ricordo di Franco Gulli

Franco Gulli negli anni ’60

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rigeva!) e ci faceva capire quanto fosse importanteil rispetto reciproco che gli strumentisti dovevanoavere l’uno verso l’altro. Il violinista doveva stareun passo indietro rispetto alla tastiera del piano-forte, per avere sempre sotto occhio le mani delpianista,doveva evitare protagonismi inutili e gestiesagerati e nocivi per l’insieme e doveva soprat-tutto conoscere la parte del pianoforte come lapropria per poter dialogare assieme. E poi comeaveva saputo “rinnovarsi” negli anni anche nellostile della musica classica e barocca. Non dimenti-chiamoci che Gulli era nato nel 1926. Penso alleSonate e partite di Bach, per esempio, rilette e rivistesotto un aspetto filologico, un suo, come diceva,“compromesso” col violino ed arco moderni. Pen-so all’emozione di quando nel ’94 a Bloomingtonmi regalò il lavoro di revisione su Bach,che pa-zientemente e con estrema serietà aveva fatto. Eraancora una bozza ma per me era un vero e propriotesoro. Penso ai Concerti di Mozart, alla sua atten-zione per le articolazioni, per il testo, per la parti-tura orchestrale, e alle sue cadenze pubblicate, e

che ormai sono diffuse e adottate dai più grandisolisti in tutto il mondo.Era un signore. Più gente c’era a lezione e più cosebelle e positive sapeva tirar fuori dalla tua esecu-zione. Quando rimaneva solo con te allora diventavapiù diretto ma sempre col massimo rispetto perchiunque avesse di fronte, anche nei casi più dispe-rati. Era la musica a fare da protagonista, sempre ecomunque.“Che bella musica!”, diceva spesso.Sono tante le cose che si potrebbero scrivere suun uomo come Franco Gulli ma forse l’ unica co-sa, che davvero vorrei ribadire per concludere, èl’immensa gratitudine che io personalmente ho eche so che hanno tanti violinisti che l’hanno co-nosciuto, che l’hanno ascoltato e apprezzato.Grazie infinite Franco! Sei sempre con noi!Dieci anni fa conclusi il mio ricordo di FrancoGulli con un “grazie, Franco”. Oggi posso soloconcludere con un “grazie infinite, Franco, per es-sere stato tra noi”. È un suono che affascina!

Franco Gulli e Bruno Giuranna

Franco Gulli a 17 anni

GISELLA CURTOLOAllieva di Franco Gulli dal ’90 al ’99 nei corsi estivi inItalia ed in Svizzera, ed a Bloomington, Indiana (USA), èattualmente concertino dei primi violini nell’Orchestra delTeatro “La Fenice” di Venezia.

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Domenica 22 aprile 2012, nell’Aula Magna dellaFacoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degliStudi Roma Tre, un pubblico numeroso ha accol-to con calore e partecipazione i giovani musicistidel concerto finale del Playday di Roma giuntoormai alla quarta edizione.Simone Genuini (direttore della Juniorchestra del-l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia), AdrianoAncarani, Chiara Pontecorvo e Silvia Pulcioni so-no un’equipe ormai affiatata e sempre più deter-minata nel proporre agli studenti questa coinvol-gente esperienza che nel corso degli anni ha regi-strato un livello di gradimento sempre maggiore. Grazie al sostegno del Rettore dell’Università Ro-ma Tre Guido Fabiani, che ha concesso l’uso diuna struttura così elegante ed attrezzata, i ragazzihanno potuto trascorrere una giornata intensa edemozionante in spazi adeguati alle loro esigenze.Al concerto finale hanno partecipato, oltre all’or-chestra del Playday, tre ensemble formati da giova-ni studenti. Il folto pubblico presente alla manife-stazione ha potuto apprezzare l’ottimo livello ese-cutivo di tutti i gruppi protagonisti di questa edi-zione. L’orchestra giovanile dell’Istituto Pareggiato“G. Braga” di Teramo e l’orchestra “Papillon” diRoma, dirette da Simone Genuini, hanno eseguitomusiche di Haendel, Milhaud, Joplin, Bach, Gersh-win, Šostakovic e Monteverdi; l’orchestra da ca-

mera della Scuola di musica “Sylvestro Ganassi” diRoma ha eseguito una Suite per archi e cembalo diRameau, concertata e diretta da Chiara Pontecor-vo e Adriano Ancarani. Gran finale con la grandeorchestra del Playday (104 elementi): Simone Ge-nuini ha diretto con la consueta maestria la Horn-pipe dalla Suite “Water music” di Haendel, l’irlan-dese Drowsy Maggie e il tema dal film Mission Im-possible, trasmettendo ad esecutori e pubblico un’e-nergia coinvolgente, provocando l’entusiasmo ge-nerale.Il Playday è stato un intenso momento d’incon-tro e confronto tra studenti di età e livelli diffe-renti. Esso stimola una salutare comunicazione traDocenti di Conservatorio, SMIM e Associazioniprivate, con il risultato di creare relazioni di colla-borazione tra ambienti educativi che spesso si co-noscono poco. Il lavoro congiunto degli organiz-zatori degli eventi di ESTA-Italia a Roma, espo-nenti di queste diverse categorie, ne è un signifi-cativo esempio.

Silvia Pulcioni

Playday di Roma

SILVIA PULCIONIE’ diplomata in violino al Conservatorio “F. Morlacchi” diPerugia ed è titolare della cattedra di Violino alla scuolamedia a Indirizzo Musicale “G. G. Belli” di Roma. Da an-ni alterna l’attività concertistica cameristica e sinfonicaall’insegnamento e alla ricerca sulla didattica violinistica ela musica d’insieme. In veste di socia ESTA Italia è re-sponsabile dell’organizzazione del Playday di Roma.

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Il sottoscritto,

titolo: c M° c Prof. /(ssa) c Dott. /(ssa) c Sig./(ra)

cognome: nome:

nato a: il:

residente a: provincia di: C.A.P.:

in via/piazza: n.

telefono: fax:

e-mail: @

eventuale altro indirizzo a cui inviare la posta ESTA:

via: n. Città o località: C.A.P.:

strumento: cViolino c Viola c Violoncello c Contrabbasso c Altro (specificare )

professione (barrare una o più categorie): c Concertista c Direttore c Insegnante

c Formatore di insegnanti c Compositore c Ricercatore/Musicologo

c Studente c Altro (specificare)

presso:

(è possibile allegare il proprio Curriculum Vitae)

se studente (per gli allievi di insegnanti privati, fornire i dati sul docente di seguito richiesti, è facoltativo),

allievo della classe del Prof.

CHIEDE di iscriversi a codesta Associazione in qualità di (barrare la voce che interessa):

c Socio Studente Euro 25,00 c Socio Ordinario Euro 35,00

c Socio Sostenitore contributo annuo superiore a Euro 50,00

La quota associativa può essere versata a mezzo Bollettino Postale sul C/C N. 92466960 intestato a: ESTA-Italia, c/o Camera diCommercio di Cremona, Piazza Stradivari 5, 26100 – Cremona, oppure tramite Bonifico Bancario sul C/C n. 000000180098intestato a ESTA-Italia presso la BANCA CREMONESE DI CREDITO COOPERATIVO, via Roma 14, 26100 Cremona,ABI: 8454, CAB: 11403, CIN: E, CODICE PAESE: IT, IBAN: IT43E0845411403 000000180098, BIC: ICRA IT MMC M0, con causale: “Quota associativa annuale 20 ”

TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI (Legge 675/96)I dati personali sono ad uso esclusivo del Consiglio Direttivo e servono alla compilazione dell’elenco dei Soci, di cui va inviata an-nualmente copia all’ESTA Centrale. Vi preghiamo di compilare il quadro sottostante, qualora ESTA-ITALIA decidesse di rendere dis-ponibile, ai soli Soci, l’elenco.

c Consento, oppure c Non consento, ad ESTA ITALIA di disporre dei miei dati personali, nominativo, indirizzo completo, e-mail,

telefono, fax, scuola presso la quale insegno (per i docenti interessati), sopra indicati, per la pubblicazione nell’elenco dei Soci ESTA.

Data: Firma:Per i minorenni va indicato il nome e la firma di uno dei genitori o di chi ne fa le veci:

Inviare questa pagina per posta elettronica oppure per posta ordinaria a: ESTA-Italia, c/o Camera di Commercio di Cremona, Piazza Stradivari 5, 26100 Cremona - [email protected]

European String Teachers’ AssociationEnte riconosciuto dal Consiglio d’Europa

E.S.T.A. – ITALIA

SCHEDA PERSONALE D’ISCRIZIONE(Scrivere in stampatello)

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XIII Concorso TriennaleInternazionale degli Strumentiad Arco “Antonio Stradivari”A Cremona, dal 19 settembre al 14 ottobre, si dis-puta il Concorso Triennale Internazionale degliStrumenti ad Arco “Antonio Stradivari”, non a tor-to considerato l’Olimpiade della Liuteria. La rasse-gna, promossa dalla Fondazione Stradivari e giun-ta alla tredicesima edizione, è, infatti, occasione diconfronto privilegiata per costruttori e musicistidi tutto il mondo: nel 2009 i partecipanti sono sta-ti ben 334, in rappresentanza di 35 Paesi. Ma già ilprossimo autunno questi record potrebbero esserebattuti.Il regolamento ricalca, aggiornandoli, gli schemidi una gara estranea a tentazioni commerciali siaper conservare un’identità forte e significativa siaper riuscire a gratificare nel miglior modo possibi-le l’abilità dei concorrenti. Occorre rispettare un rigoroso disciplinare: sonoammessi, solo gli strumenti nuovi, realizzati dopo il2009 e coerenti alla tradizionale liuteria classica. Non sono accettati esemplari antichizzati o co-struiti modelli particolari. Peraltro proprio muovendo nel solco della gran-de tradizione della scuola cremonese i grandi Mae-stri del passato hanno creato i propri capolavori,connotandoli magnificamente ognuno con unostile personale ed inconfondibile.Nondimeno proprio le caratteristiche di creativitàrispetto a tecnica e iconografia consolidate, la va-rietà delle soluzioni proposte, soprattutto nelle se-zioni viola e violoncello, l’inesausta tensione di ri-cerca di molti costruttori finiscono, dunque, perrappresentare ogni volta un vasto ed interessantis-simo panorama delle migliori professionalità liu-tarie internazionali e testimoniano la ricchezza diun patrimonio culturale offerto all’attenzione degliesperti ed alla considerazione del pubblico.Confermando una formula perfezionata durantele precedenti edizioni, qualità artigianale e resaacustica sono armonicamente ponderate, così daporre a confronto e mettere degnamente in risaltoquanto di meglio nel mondo esprime la liuteriacontemporanea. Proprio a questo fine è stata formata una Giuriad’eccezione, coordinata da Paolo Salvelli, presi-

Alessandro Bardelli dente della Fondazione Walter Stauffer, e compostadai musicisti Julius Berger, Ludwig Müller, FrancoPetracchi, Vera Tsu, Akiko Yatani e dai liutai GreggAlf, Peter Beare, Jean-Jacques Rampal, Luca Sber-nini e Alessandro Voltini.Il Concorso Triennale 2012, inoltre, coincide feli-cemente con l’apertura del nuovo Museo del Vio-lino, un polo di attrazione unico, capace di rac-contare in maniera approfondita ed emozionantesia la storia degli archi – e dei loro costruttori – siacome ancora oggi violini, viole, violoncelli e con-trabbassi nascano dalle mani di esperti artigianiche, quotidianamente, perpetuano la grande tradi-zione cremonese arricchendola di nuovi stimoli econtenuti.Grazie a spazi appositamente attrezzati, in un con-testo di suggestiva bellezza, il Museo sarà la baselogistica della competizione, sede delle prove acu-stiche e dell’esposizione degli strumenti in gara: illavoro dei liutai di oggi sarà mostrato a diretto con-fronto con quello di Amati, Stradivari, Guarneristimolando un confronto culturale di sicuro inte-resse. I vincitori, invece, saranno premiati, giovedì27 settembre, nel corso della serata di gala al TeatroPonchielli, dove gli interpreti in Giuria si esibiran-no suonando gli esemplari migliori. Nella stessa occasione debutterà in prima esecu-zione assoluta, un quintetto appositamente com-posto da Alessandro Solbiati, una delle voci più au-torevoli del panorama musicale contemporaneo.Ed ancora il calendario del Concorso sarà scanditoda eventi musicali, incontri in tema di liuteria edal salone internazionale “Mondomusica”.Ancor più ricco rispetto alle precedenti edizioniil montepremi. Gli esemplari premiati con medaglia d’oro sarannoacquistati - con un contributo di 15.000 Euro perviolino e viola e 23.000 per violoncello e con-trabbasso - ed entreranno nella collezione perma-nente di liuteria contemporanea dalla FondazioneStradivari all’interno del nuovo Museo del Violino,come a sottolineare che a Cremona, 500 anni do-po la nascita del violino, l’arte della Liuteria è, og-gi, più viva che mai.

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Il rinnovato allestimento del Museo Stradivariano diCremona, è ospitato negli ambienti appositamenterestaurati al piano nobile di palazzo Affaitati Ma-gio, sede del Museo Civico e della Biblioteca Sta-tale. Il percorso espositivo si snoda in una doppia se-quenza di stanze finemente decorate e tra loro co-municanti, alle quali un tempo si arrivava passandoper la grande sala di rappresentanza direttamenteaccessibile dall’imponente scalone. Oggi invece, at-traversando prima la pinacoteca e passando poi peril susseguirsi di stanze, ove sono esposti numerosistrumenti di liuteria antica e moderna, si giungealla grande sala di rappresentanza, denominata salaManfredini, nella quale sono conservati i cimeli diAntonio Stradivari. La decorazione pittorica a gri-saglia, realizzata da Giovanni Manfredini negli anni’80 del Settecento, ricopre per intero le pareti e lavolta creando un effetto d’insieme di grande im-patto visivo e la luce soffusa proveniente dal grande

La Viola d’amore nella bottega di Stradivari(terza parte)

lampadario di Murano, conferisce all’ambienteun’atmosfera solenne ed austera. Allineate sul pa-vimento originale in cotto e numerate in doppioordine lungo le due pareti maggiori della sala, lecompatte e solide teche custodiscono i reperti comemoderni reliquiari. Nella teca n. 8 sono esposti una serie di reperti chenel corso del tempo gli studiosi sono arrivati a col-locare fra quelli riconducibili alla viola d’amore,anche se, per certi aspetti, lasciano ancora spazio adifferenti interpretazioni sul loro proprio uso. Sitratta di dieci disegni e modelli, ordinati per nu-mero di catalogo e suddivisi in due gruppi di diffe-renti tipologie. Simone Fernando Sacconi così lidescrive nel suo celebre libro I segreti di Stradivari:Catt. 364-367«Modelli per la costruzione di piccole viole sopra-no da braccioAvevano sei corde e caratteristiche da violino, conpunte, fondo piatto, gobba e manico con volutaterminante a scudo. Ad una di queste viole a fondopiatto Villaume [sic] ha fatto il fondo bombato esostituito la voluta a scudo con un riccio dei fratel-li Antonio e Gerolamo Amati. Le ff sono molto di-stanziate perché avevano 6 corde invece di 4. Nes-suno di questi strumenti si conserva allo stato ori-ginale, essendo stati tutti trasformati per ricavarneviolini.»Catt. 368-373«Modelli e disegni per la costruzione di piccoleviole soprano da braccioCome le precedenti, ma senza punte, con gobba efondo piatto o senza gobba e fondo bombato. An-che questi strumenti sono stati tutti trasformati».1

Una descrizione analoga si può trovare in entrambele edizioni del nuovo catalogo del Museo Stradiva-riano,2 così come in diversi altri scritti di tipo di-vulgativo o in studi specialistici. Il liutaio che osserva i quattro modelli cartacei ri-producenti le forme interne per la costruzione delcorpo delle viole [catt. 364, 365, 368, 369], si rendesubito conto di trovarsi di fronte degli strumentiche, salvo per la loro lunghezza, sono comparabili alviolino per larghezza e proporzioni. Tre di questi

Marcello Ive

Sala Manfredini (Cremona, Museo Stradivariano)

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hanno una lunghezza pari a 372mm, tale da giusti-ficare la definizione di «piccole viole soprano dabraccio», ma questa lunghezza è dovuta sostanzial-mente al fatto che i tre modelli hanno spalle spio-venti realizzate mediante l’uso di un tassello supe-riore allungato, cioè ben più alto del normale, piùlargo e sagomato nello stile della viola da gamba odella “classica” viola d’amore. Questa conformazio-ne del tassello lascia supporre che il manico, anzichéinchiodato, potesse essere unito al corpo dello stru-mento tramite un incastro a coda di rondine, cosìcome suggerisce il confronto con altri modelli peril tassello superiore di viola d’amore, o di viola dagamba, presenti nella collezione Fiorini [catt. 329,330]. Un tassello e un incastro così strutturati, capacidi migliore tenuta alla trazione, sarebbero stati par-ticolarmente adatti per strumenti incordati con cin-que o sei corde e, nel caso fossero viole d’amore, al-trettante di risonanza.Nella sua descrizione delle viole dotate di punte[catt. 364, 365], Sacconi le assimila, anche se nonla nomina direttamente, alla viola Kux-Castelbarcooggi conservata presso la Royal Academy of Musicdi Londra.3 In realtà questa viola ha le dimensioni diun tradizionale contralto stradivariano e non puòessere stata costruita sulla base di questi piccoli mo-delli.4 Tuttavia, il principio costruttivo appare evi-dentemente lo stesso: realizzare uno strumento do-tato di punte e bordi sporgenti dal contorno dellefasce come negli esemplari della famiglia del violi-no, ma con spalle spioventi nello stile della viola dagamba realizzate modificando per intero la strut-tura del tassello superiore. Purtroppo, questa parti-colarità costruttiva ha favorito il lavoro di coloroche nell’Ottocento, per rendere commerciabili glistrumenti, li hanno alterati nelle loro caratteristi-

che originali ricavandone con relativa facilità nor-mali violini, oppure come per la Kux-Castelbarcoviole, o nel caso di strumenti di tipo basso, violon-celli.5 David Rattray, nella sua descrizione di questostrumento, illustra nel dettaglio le modifiche cheha subito ad opera di Jean Baptiste Vuillaume; rife-risce inoltre che grazie alle tracce lasciate sulla tavoladal ponticello originale, è stato possibile rilevare lalarghezza dei piedini che era di 54mm, corrispon-denti alla distanza fra gli occhi superiori delle effe.6

Un ponticello di questa larghezza risulta adeguatoper uno strumento incordato con sei corde, ma nonpotrebbe essere idoneo alle dimensioni delle duepiccole viole del Museo Stradivariano che si dimo-strano più compatibili con un’incordatura di cinquecorde. A questo proposito, si potrebbe considerareadatto un modello in legno per ponticello esistentenella collezione7 [cat. 142] e contrassegnato dallascritta: «Pe la viola ha .iù»,8 collocato nella teca n. 3 eattualmente catalogato, insieme ad altri quattro mo-delli in carta, come ponticello da violino. Sacconi locataloga come ponticello da violino «da servire an-che per viola d’amore», ma la scritta «Pe la viola…»,la sua forma provvista di apertura triangolare cen-trale analoga a quella del ponticello cat. 351 e lesue dimensioni, fanno pensare piuttosto che si trat-ti di un ponticello destinato in modo specifico adun piccolo strumento a cinque corde dotato di al-trettante corde di risonanza, come potrebbero esse-re stati i modelli cat. 364 e 365. John Henry van der Meer, analizzando le caratteri-stiche dei modelli in questione e comparandolecon quelle esemplari di altre tipologie di strumen-ti ad arco coevi, arriva alla conclusione che «fosseroviole a cinque corde, talvolta chiamate violini pom-posi».9 Stewart Pollens, nel volume The violin forms of

Catt. 329-330, modelliin legno per il tassello

superiore di viola dagamba (Cremona,

Museo Stradivariano)

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Cat. 142, modello inlegno per ponticello daviola d’amore(Cremona, MuseoStradivariano)

Antonio Stradivari edito nel 1992, facendo evidenteriferimento allo scritto di Van der Meer, concludeche «la presenza di punte e spalle spioventi indicache questi modelli potevano essere usati per co-struire viole d’amore o violini pomposi»,10 mentre nelpiù recente Stradivari edito nel 2010, modifica lasua ipotesi dicendo che «potevano essere usati percostruire viole d’amore o forse viole da gamba so-prano».11 Indipendentemente dalla loro vera natura,questi strumenti sono molto simili nello stile al mo-dello cartaceo per la forma di viola da gamba pre-sente nella collezione fiorini [cat. 259] e alla corri-spondente forma in legno attribuita a Stradivari og-gi conservata presso il Musée de la Musique di Pa-rigi; più in generale, c’è analogia con le viole dagamba dei liutai cremonesi che, a partire dagli Ama-ti, hanno tradizionalmente prodotto questi stru-menti usando come linee guida i canoni estetico-costruttivi tipici della famiglia del violino, ottenen-do eccellenti risultati estetici e di grandissima ori-ginalità stilistica.12

Il reperto cat. 364 è quello meglio definito nei det-tagli fra i due modelli per le forme delle viole do-tate di punte, dal confronto diretto col reperto cat.365, l’impressione che si ricava è quella di una sa-

goma in cartoncino che rappresenta la versione piùavanzata, o definitiva, di uno studio preparatorioper la forma interna. Il modello cat. 365 è strettonelle sue misure e ciò lo rende simile a diverse for-me per violino presenti nella collezione; rispetto alcat. 364 le sue proporzioni sono un poco differen-ti, soprattutto nella posizione delle punte superioriche sono spostate verso il basso e rendono le CCpiù corte, dando al contorno un aspetto meno ar-monioso. Il cartoncino è tagliato in modo menocurato; porta tracciati ad inchiostro solo i due tassellicorrispondenti alle punte e alcuni tratti del con-torno della forma; a punta metallica sono indicatidue brevi archi di cerchio sulle punte, una linea

Catt. 259-265,modello in carta performa di viola dagamba con modelliniin legno per i tasselli eper il vertice deltassello superiore (Cremona, MuseoStradivariano)

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che sebbene sia alquanto obliqua si può interpreta-re come la posizione della piega del fondo e pocopiù in alto, solo a destra, un tratto curvo che sembraindicare la dimensione del tassello superiore, op-pure la sua sagoma interna. In senso trasversale al-l’asse del modello sono presenti alcune vistose pie-gature del cartoncino.A paragone, il cat. 364 mostra una distribuzionedei volumi e delle misure precisa e in buona partecorrispondente a quella del violino, con la diffe-renza essenziale, comune però ad entrambi i mo-delli, che al centro del lobo superiore il tassello“fuoriesce” dal contorno tipico del violino di circadue centimetri dando forma alle spalle spioventi.Raffrontando il profilo con quello delle forme in le-gno per violino emerge subito evidente che le lar-ghezze sono aumentate e il modello risulta legger-mente allungato nel lobo inferiore, mentre le CC, lespalle e la parte alta del lobo inferiore rispecchianole misure e le proporzioni normali riscontrabili indiverse forme. Da un confronto diretto con la piùnota delle forme, la forma G che ha le dimensionimaggiori, l’impressione che si ricava è quella di unmodello per violino allargato uniformemente nellemisure del corpo di circa un centimetro, allungatodi circa cinque millimetri nel lobo inferiore con la

parziale ricostruzione di solo un piccolo tratto delcontorno, infine, portato alla lunghezza voluta di372mm costruendo un nuovo tassello superiorenello stile già descritto. L’insieme di queste modifi-che sembra funzionale e necessario a creare unostrumento maggiorato nelle dimensioni che sia con-sono all’incordatura composta da cinque corde. Il cartoncino presenta numerose piegature e sullasuperficie, tracciate a punta metallica, sono visibili: lamezzeria; la dimensione del tassello superiore rap-presentato per intero e poco più sotto, solo nellametà destra, un’altra misura del tassello; la posizionedella piega del fondo; le quattro linee parallele eortogonali alla mezzeria che determinano l’am-piezza dei tasselli per le punte. Nella metà destrasono evidenziati ad inchiostro: il tassello superio-re, quello inferiore e quelli delle punte; nel loboinferiore sono visibili due aperture di compasso chedefiniscono l’altezza maggiore delle fasce; sulla pie-ga del fondo è presente un’apertura di compasso,forse una prima traccia per l’altezza delle fasce allagobba che poi non è stata completata. Data l’altez-za delle fasce e l’indicazione della piega, il fondodello strumento era verosimilmente piatto, anchese non si può escludere l’idea di un fondo bomba-to e nel contempo piegato, specie nell’interpreta-zione del modello come viola soprano da gamba.13

Non ci sono elementi che possano darci indicazio-ni sul piazzamento delle effe né sulla loro forma,ma viste le analogie con la viola Kux-Castelbarco, èmolto probabile che fossero nello stile del violino. I modelli catt. 368 e 369 rappresentano invece leviole senza punte, ossia due forme per strumenticon la cassa sagomata come quella di una piccolachitarra barocca. Il cat. 369 che ha le dimensionidi un piccolo violino, simile a quello che oggi sidefinisce violino mezzo, non ha spalle spioventi e ilsuo profilo ricorda proprio quello di una chitarra, idue tasselli sono ritagliati nel contorno e per formae proporzioni sono paragonabili a quelli dei normaliviolini, dunque il manico poteva essere facilmentefissato con chiodi metallici.Il cat. 368 invece è lungo 372mm, ha spalle spio-venti nello stile della viola da gamba e la sua lar-

Cat. 365, modello dipiccola viola da braccio

dotata di punte(Cremona, Museo

Stradivariano)

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1684 da Pietro Zenatto e un tempo faceva partedella Collezione Correr di Venezia. Ha fondo piat-to piegato nel lobo superiore, tavola con effe taglia-te nello stile del violino, un cavigliere che porta seipiroli e si conclude con una voluta a scudo. Nellacollezione di Bruxelles esiste anche una viola dagamba tenore, sempre di Zenatto, con le stesse ca-ratteristiche formali, fatta eccezione per il caviglie-re che si chiude con un riccio.16

Questo modello privo di punte, con un contornopiù teso verso lo stile della chitarra barocca cheverso la tipica forma “a otto”,17 ha sempre avutoun certo fascino particolare, basta fare una veloce ri-cerca nel Web, per rendersi conto che anche attual-mente molti liutai ne sono stati attratti e lo hannoriprodotto realizzando strumenti nuovi sulla basedei disegni stradivariani. Secondo alcuni, questa for-ma ricorda gli strumenti detti “violino-chitarra”ideati da François Chanot nel 1818, e in effetti èassai probabile che all’epoca Chanot conoscesse giàmolto bene le due “viole d’amore” di Stradivari informa di chitarra, forse ancora nel loro aspetto ori-ginale, e che proprio queste siano state la fonte ispi-ratrice dei suoi esperimenti innovativi.18 Forse sa-rebbe azzardato e a qualcuno potrebbe sembrare

Cat. 364, modello dipiccola viola da bracciodotata di punte(Cremona, MuseoStradivariano)

Cat. 369, modello perpiccolo violino in formadi chitarra (Cremona,Museo Stradivariano)

ghezza al centro è tale da far pensare ad un uso a seicorde. Andrew Dipper, nel contesto di un suo studiosu questo tipo di strumento che interpreta comeviola d’amore a dieci corde, sei reali e quattro dirisonanza, mette in evidenza, così come già altristudiosi, la somiglianza di questo specifico modellocon le antiche viole da gamba di scuola brescia-na.14 In effetti la forma della cassa “a otto” è ricor-rente nell’opera di diversi autori attivi in area bre-sciana, ma non solo, in musei e collezioni; così comenell’iconografia pittorica sono documentati stru-menti di questo tipo realizzati da autori di variaprovenienza. Un pregevole esempio iconografico èpresente anche a Cremona. Chi conosce o fre-quenta la chiesa di Sant’Abbondio sa che il bellissi-mo ciclo di affreschi della volta fu ideato e in buo-na parte realizzato dall’artista bolognese OrazioSammachini negli anni settanta del Cinquecento,dopo la sua morte, avvenuta all’età di quarantacin-que anni nel 1577, Giovan Battista Trotti portò atermine il lavoro rispettando l’impianto decorativoprevisto dal Sammachini e riuscendo a mantenereun effetto d’insieme di grande omogeneità stilistica.A sinistra del presbiterio, nella lunetta sotto la primacampata, sono affrescate per mano del Sammachinile figure di due angeli musicanti disposti negli spa-zi a lato del lucernario tondo. L’angelo di destra èelegantemente rappresentato in scorcio e rivolgen-do lo sguardo verso chi osserva tiene nella manodestra un arco, mentre con la sinistra regge un bassodi viola da gamba descritta nei minimi dettagli, dalcontorno privo di punte e con effe nello stile delviolino.15 Dunque all’epoca di Stradivari lo stile diquesti strumenti era certamente ben noto e speri-mentato anche a Cremona; nella bottega del gran-de liutaio cremonese questa “eredità culturale” fu ri-elaborata per creare disegni e modelli con linee sti-listiche nuove, ma sempre saldamente legate ad unatradizione artigianale ormai consolidata nel tem-po. Una viola da gamba soprano, dalla forma assai similea quella del reperto cat. 368, è conservata presso ilMusée instrumental du Conservatoire Royale deMusique di Bruxelles, fu costruita a Treviso nel

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irriverente cercare collegamenti diretti fra l’operadi Stradivari, Chanot e Man Ray, ma certo non sipuò fare a meno di notare una certa “affinità stili-stica” fra il modello “in forma di chitarra” e il fa-moso Violon d’Ingres, il celeberrimo ritratto di AlicePrin detta Kiki de Montparnasse, modella e com-pagna di Man Ray. Questa fotografia scattata a Parigi nel 1924 potreb-be apparire fuori contesto, in realtà è legata in cer-to qual modo alla viola d’amore. Chiara Catanesecosì riassume una delle possibili interpretazioni delsuo significato: «Man Ray ha ripreso per l’indovi-nato titolo un detto molto in voga nella Parigi del-l’epoca: “le violon d’Ingres”19 era un espressioneche veniva utilizzata per indicare un hobby. Adesempio avrei potuto dire che collezionare franco-

bolli o leggere è un mio “violon d’Ingres”. ManRay voleva usare un po’ d’ironia, e dichiarare conquest’opera il suo hobby per la fotografia; sembrainfatti che spesso parlasse della fotografia in questitermini. Niente male la sua carriera, per essere soloun hobby! Ma ci sono anche un’allusione e un pia-no di lettura più sottili: il violon d’Ingres in que-stione potrebbe essere la sua Kiki (allargando ideal-mente il campo alla figura della donna), e dunquel’amore, l’erotismo. Lo strumento che si cela dietrole effe potrebbe essere proprio la cosiddetta violad’amore, ma anche questo è un particolare secon-dario: gli archi si fanno tutti notare per la loro ele-ganza ed estetica […]».20

È noto che oggi esistono due “viole d’amore” diStradivari riconducibili al modello privo di puntedel Museo Stradivariano, entrambe vennero bru-talmente trasformate in violini: il già citato violinoChanot-Chardon, datato 171821 che venne usato co-me strumento da concerto dal violinista Joshua Belled ora è suonato dalla violinista Simone Lamsma, eil violino databile 1726 della collezione apparte-nente alla J&A Beare di Londra. Nel primo catalo-go della mostra Capolavori di Antonio Stradivari, alle-stita a Cremona in occasione delle Celebrazionistradivariane del 1987, Charles Beare descrive bre-vemente lo strumento riassumendone la storia22 eindicando, ad esempio di quello che poteva essere ilsuo aspetto originario, la viola d’amore a dodicicorde di Lorenzo Storioni costruita nel 1786 e og-gi conservata presso il Musée de la Musique di Pa-rigi, anch’essa presente nella mostra stradivarianacome termine di paragone.Il reperto messo in relazione con i suddetti stru-menti che Sacconi definisce: «modello in carta per lacostruzione della forma in legno della viola congobba della lunghezza di cm 37,2 blocchi compre-

Cat. 368, modello perpiccola viola in forma

di chitarra e spallespioventi (Cremona,

Museo Stradivariano)

Man Ray, Le violond’Ingres, Parigi, 1924

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si» [cat. 368], si presenta oggi come una sagoma incartoncino ben disteso, ma sono comunque evi-denti le tracce di alcune piegature, una longitudinaleche corrisponde alla mezzeria del modello e tretrasversali: una in corrispondenza della larghezzamassima superiore del corpo dello strumento, al-l’altezza di quella che poteva essere la posizionedella piega del fondo, un’altra a livello della lar-ghezza minima, ossia poco al di sopra dell’occhiosuperiore delle effe, e due con andamento irregola-re, fra la larghezza massima inferiore e il tassello difondo. Nei modelli della collezione Fiorini, le pie-ghe possono essere dovute ad esigenze tecniche, adesempio per evidenziare le mezzerie o particolaripunti di riferimento, oppure, più semplicemente, sitratta di piegature dei fogli necessarie per riporlinegli involti cartacei che li custodivano.23

La piegatura superiore di questo modello, data laposizione in cui è collocata, è sempre stata inter-pretata dagli studiosi come indicazione della piegadel fondo, anche se, osservando la carta a luce ra-dente, non si distingue la tipica incisione rettilinea apunta metallica che abitualmente caratterizza que-sto dettaglio negli altri modelli della collezione, masi possono osservare solo i segni di ripetute piega-ture irregolari ravvicinate fra loro. Gli strumentisuperstiti sono entrambi dotati di fondo bombato econsiderando le altezze previste per le fasce, ripor-tate sul foglio cat. 370, è possibile che la viola sia sta-ta progettata con fondo bombato, ma che fosse pre-vista anche la possibilità di realizzarla alternativa-mente con fondo piatto e piegato nel lobo supe-

riore, così come indica la piegatura presente sul car-toncino. Ad inchiostro sono tracciate la dimensionedel tassello di testa e alcuni tratti del contorno,mentre il tassello di fondo è ritagliato nella forma.Sono ben visibili a luce radente alcune tracciature apunta metallica e compasso, utili principalmenteper il piazzamento delle effe nello stile del violi-no:24 due linee fra loro parallele e ortogonali allamezzeria della forma per collocare l’occhio infe-riore che è indicato da un cerchio a compasso; treaperture di compasso per definire la posizione del-l’occhio superiore in relazione a quello inferioreed al contorno della forma; due cerchi concentricia compasso ad indicare la dimensione dell’occhiosuperiore; infine, nella metà destra, una sottile linearetta tracciata obliqua sotto la posizione del tassellodi testa. Ulteriori studi sul piazzamento delle effe di questaviola si trovano sul reperto cat. 370, un foglio di

Catt. 602-631, involticartacei per i repertistradivariani (Cremona,Museo Stradivariano)

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carta di forma irregolare che porta sul recto unoschema incompleto dello strumento. Il contornosenza punte è tratteggiato ad inchiostro in modoparziale e con segni veloci, quasi un abbozzo; lamezzeria del modello è tracciata solo con puntametallica mentre le incisioni a compasso e le altre apunta metallica sono rinforzate da tratteggi a penna.Gli occhi inferiori sono posizionati con l’aiuto diun’unica linea di riferimento trasversale e quelli su-periori sono distanziati con due aperture di com-passo, ma su queste sono piazzati ad altezze diverse;ne consegue che la effe di destra è più lunga ed haun allineamento più verticale, mentre quella di si-nistra risulta più corta, più inclinata e il suo occhiosuperiore è più vicino alla mezzeria del modello. Èpossibile che l’intento fosse quello di indicare duepiazzamenti alternativi per effe di diversa lunghezza,inclinazione e distanza fra gli occhi superiori, infunzione dell’uso di ponticelli differenti per lar-ghezza. In basso a destra sono tracciate tre aperturedi compasso evidenziate con punti e tratti ad in-chiostro che indicano le due altezze delle fasce, fraqueste la scritta: «Altes de cor» che non è autografa diStradivari.25 Il fatto che le altezze siano solo due, didimensioni contenute e tracciate in modo analo-go a quello usato abitualmente nella bottega per

indicare le misure delle fasce in violini, viole e vio-loncelli, sembra avvalorare l’ipotesi che la viola fos-se dotata di fondo bombato. Sul verso del foglio c’è un disegno tratteggiato adinchiostro e punta metallica relativo ad una violad’amore simile per tipologia a quella del 1727 [cat.344], ma di misure maggiori, con un contorno de-finito in modo più approssimativo e stilisticamentemeno pregevole. Sacconi così lo descrive: «Sul retrodello stesso foglio è tracciato a penna uno schizzoautografo per viola d’amore con blocco superiore,altezza delle fasce e filettatura […]»,26 tre sono le al-tezze delle fasce e considerando le loro misure, sipuò dedurre che il fondo dello strumento fossepiatto e piegato. Nell’attuale allestimento espositivoquesto lato del reperto non è visibile, tuttavia, iltracciato del disegno che vi è impresso traspare at-traverso la carta, andando ad intersecarsi con quellodella viola senza punte presente sul recto e creandocosì una curiosa sovrapposizione di immagini checonfonde le curvature dei due strumenti. Presso ilmuseo non sono disponibili fotografie del verso delfoglio cat. 370 e fino a poco tempo fa, l’unica de-scrizione dettagliata esistente era quella fornita daSacconi che riporta anche le misure essenziali. Og-gi però, è possibile consultare un preciso rilievografico realizzato nel dicembre 2007 dall’architettoFlavio Smerieri nell’ambito del Progetto “Repertistradivariani”.27

Presso il Musée de la Musique di Parigi, è conser-vata una forma proveniente dalla bottega di Stradi-vari che Stewart Pollens mette in relazione con ilreperto cat. 368 del Museo Stradivariano, eviden-ziando le analogie e le differenze fra i contorni delmodello cartaceo e del manufatto ligneo. Si tratta,come dimostrano le tracce caratteristiche rimastevisibili sulle superfici, di una forma originariamen-te concepita per una piccola chitarra che venne poimodificata per realizzare la viola d’amore senza pun-te.28 È possibile che si tratti proprio della formausata per costruire i due strumenti sopravvissuti cheoggi hanno caratteristiche da violino, ma le trasfor-mazioni subite dalle due “viole d’amore“ sono sta-te talmente radicali da rendere difficile la compara-

Cat. 370, foglio dicarta con schema per ilpiazzamento delle effe

per la viola cat. 368(Cremona, Museo

Stradivariano)

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zione con la forma e una ricostruzione esatta diquello che poteva essere il loro aspetto originario. Aquesto scopo sarebbero utili attente ricerche, rile-vazioni e studi comparativi specifici.I due corredi di modelli per le «piccole viole» com-prendono anche quelli specifici per la costruzionedei manici [catt. 371, 372] che pur avendo lun-ghezze un poco diverse, sono identici nello stile deldisegno e come nel caso delle viole da gamba, odegli strumenti a pizzico, sono caratterizzati da vo-lute terminanti in forma di scudo. Nei due model-li, ricavati da cartoncini “a mano” più pesanti deglialtri e dalla superficie molto corrugata, le linee diandamento dei contorni sono a tratti poco rego-lari e specie nelle volute si potrebbero dire solo“indicative”, ma osservando ciò che resta dei cavi-glieri originali sopravvissuti alle trasformazioni ot-tocentesche, si coglie perfettamente l’elegantissimomovimento di curve e controcurve che caratterizzaquesto tipo di voluta, tanto diversa dal normale ric-cio, ma altrettanto efficace ed armoniosa. Entrambii caviglieri sono disegnati con un andamento “acollo di cigno” simile a quello dei modelli desti-nati alle mandole e ai mandolini [catt. 403-409],ma a differenza di questi, la curvatura della cassadei piroli risulta più rettilinea nella parte bassa epiù rovesciata all’indietro nella parte alta, dandol’impressione di una brusca piegatura. Questa cheall’apparenza potrebbe anche sembrare una carenzastilistica, si rivela invece un vantaggio nell’uso delmodello come cavigliere per viola d’amore, infatti ilpassaggio delle corde di risonanza nella parte po-steriore è agevolato e non c’è contatto delle cordecon i piroli posti nella parte bassa. Subito oltre lacassa dei piroli, la voluta si avvolge su sé stessa gi-rando rapidamente intorno ad un foro circolarecreato dalla sagoma stessa dello scudo, che avendo asua volta la parte frontale incurvata, nella sua rota-zione chiude il cerchio andando ad appoggiare l’af-fusolata estremità inferiore al di sopra della cassadei piroli.Esistono due tipi di scudo [catt. 366, 373] che pos-sono essere collegati ai modelli per i caviglieri, sul-la base delle misure e dei raffronti con la “viola”

del 1726 della collezione Beare e con la testa diviola d’amore conservata presso il Musée de la Mu-sique di Parigi, che Charles Beare ha identificatocome quella originale della viola Kux-Castelbarco.29

Lo scudo cat. 373 risulta compatibile con buonaapprossimazione col cavigliere cat. 371, in quanto lesue misure collimano abbastanza bene con quelleindicate a compasso sul piede del manico, inoltreil suo stile con orlo superiore piatto è analogo aquello dello scudo che chiude il cavigliere dellaviola del 1726 che con questi modelli è stata messain relazione.30 Sul verso del reperto è presente par-te di una scrittura che, pur essendo coeva, non èautografa di Stradivari,31 l’impressione è quella cheper realizzare il modello sia stato usato il rovescio diun foglio di carta che già portava uno scritto. L’altro scudo [cat. 366], pur mostrando caratteristi-che estetiche analoghe a quello presente sul cavi-gliere di Parigi, ha misure non corrispondenti aquelle tracciate a compasso sul modello del cavi-gliere cat. 372. John Henry van der Meer lo mettein relazione con il modello per violino piccolo informa di chitarra cat. 36932 anche se, a dire il vero,uno scudo di queste dimensioni sembra davverotroppo grande per il cavigliere di un piccolo violi-no, mentre nonostante tutto, per le sue proporzionipotrebbe adattarsi al cavigliere cat. 372. È tuttaviapossibile che questo scudo, in realtà, sia stato creatoper un altro strumento. I manici sono di lunghezzetra loro simili, comparabili a quella che è la dimen-sione di un manico barocco da violino e la lorocurvatura è indicativa dell’uso senza legacci, quindi

Cat. 373, modello discudo per voluta(Cremona, MuseoStradivariano)

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dovevano servire per uno strumento “da braccio”.Di questi due modelli sono state date letture diffe-renti: Van der Meer associa il cat. 372 alla viola sen-za punte cat. 368 che definisce viola d’amore a seicorde priva di corde di risonanza, mentre per il cat.371, che ritiene progettato per sole cinque corde,ipotizza un uso con i modelli cat. 364 e 365 per lacostruzione di violini pomposi.33 Charles Beare, comegià si è visto, in occasione della mostra stradivarianadel 1987 propose un’interpretazione del cat. 371come cavigliere per viola d’amore a dodici corde,mettendolo in relazione con la “viola d’amore” del1726 e con quella analoga di Storioni. Stewart Pol-lens, nel suo recente volume Stradivari, mette indubbio la possibilità che il cat. 371 sia un modellodestinato ad uno strumento provvisto di cinquecorde reali e cinque di risonanza, adducendo co-me motivazioni l’eccessiva prossimità di dieci pi-roli in un cavigliere di dimensioni molto ridotte e ilfatto che strumenti come il quinton d’amour com-parirono solo dalla metà del diciottesimo secolo.La sua ipotesi è quella che un sesto foro possa na-scondersi sotto una vistosa riparazione del modellocollocata in prossimità del capotasto, quindi si trat-terebbe di uno strumento a sei corde, ma nel caso incui i piroli fossero davvero soltanto cinque, a suoavviso si potrebbe trattare di un cavigliere usato perprodurre quintoni con i modelli di cassa catt. 364 e365. Riguardo al cat. 372 così si esprime: «Questomodello per manico dotato di sei corde può esserestato usato con i modelli MS n. 364, 365 o 368,per costruire viole d’amore (alcune viole d’amore

erano costruite senza corde di risonanza), o violeda gamba soprano».34

Quando si parla genericamente di viola d’amore,nella maggior parte dei casi si fa riferimento allasua tipologia più nota, ossia uno strumento para-gonabile ad una piccola viola con sette corde realied altrettante di risonanza, ma in realtà questo stru-mento può avere caratteristiche estetiche, struttura-li e musicali estremamente variabili. La denomina-zione con la quale viene citata nei testi che trattanol’argomento può essere fonte di confusione, non èraro che lo stesso strumento venga definito con no-mi diversi, tanto che a volte, per capire bene a cosaci si riferisce realmente, è necessaria un’attenta ana-lisi delle partiture musicali specifiche. In certi casipoi, le modifiche subite dagli strumenti nel corsodel tempo sono tali da rendere più complicata laloro corretta classificazione. Sappiamo dunque cheper viola d’amore si può intendere uno strumentodotato di un numero di corde reali fra quattro esette, senza uniformità morfologica e provvisto, omeno, di corde di risonanza in numero variabile.35

A cavallo fra Seicento e Settecento esistevano stru-menti a cinque corde di piccolo formato “ibridi” fraviolino e viola, prevalentemente senza, ma anchecon corde di risonanza e per questo assimilabili al-la viola d’amore. Nelle fonti storiche, nella lettera-tura specifica e musicale sono documentati e com-paiono come: violino a cinque corde, violino d’amore,violon d’amour, quinton d’amour e a complicare ul-teriormente, violetta d’amore, violetta a cinque corde, osemplicemente violetta che di per sé può andar be-ne per vari tipi di archi. Questo causa molto spessoequivoci e controverse interpretazioni e gli studio-si raramente sono concordi, in qualche caso l’anali-si delle partiture può essere d’aiuto per fare chia-rezza, ma più spesso i dubbi rimangono.36

Il modello cat. 371 è il più piccolo per dimensionie si presenta come la vista del lato sinistro di uncavigliere completo di manico e voluta; vi sonotracciate cinque aperture di compasso evidenziate adinchiostro a indicare la posizione dei piroli, dispostitra loro equidistanti a partire dalla corda più grave;a queste aperture sono alternati cinque fori che si

Cat. 366, modello discudo per voluta

(Cremona, MuseoStradivariano)

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sono tracciate e rinforzate ad inchiostro le tipicheaperture di compasso che nelle abitudini della bot-tega venivano usate per indicare le dimensioni del-le teste, in questo caso specifico della voluta a scudo.Sono inoltre segnate le misure del tallone e quellache si può leggere come la dimensione della coda dirondine per l’incastro del manico, nonché la scrittaManicho Giusto che fa di questo reperto l’unico, fraquelli riconducibili agli strumenti di risonanza, adessere contrassegnato da un’annotazione autografa diStradivari. Per le sue caratteristiche strutturali, pur essendo re-lativamente contenuto nella lunghezza, il repertocat. 371 rientra pienamente nella tipologia dei ca-viglieri concepiti per strumenti di risonanza. Laprima cosa che sorprende in una viola d’amore èproprio la vistosa lunghezza della cassa dei piroli,ma spesso questa caratteristica la rende meno ma-neggevole creando disagio per il musicista che ladeve suonare. Di qui la necessità di ridurre il piùpossibile le misure dei piroli e di ravvicinarli in ca-viglieri contenuti nelle dimensioni. Sono docu-mentati numerosi strumenti antichi che dimostranogli sforzi fatti dai liutai di tutte le epoche per dise-gnare caviglieri adatti a risolvere questo problema,ma si può dire che Stradivari, meglio di altri, conquesti due modelli dimostri di aver trovato ottimesoluzioni, in special modo nel doppio cavigliereconservato a Parigi. Le moderne ricostruzioni con-fermano che con l’uso di piroli proporzionati, èpossibile utilizzare il modello cat. 371 per un’in-cordatura collegata a dieci piroli senza particolaridifficoltà, inoltre, il passaggio delle corde di riso-nanza nel retro della cassa dei piroli risulta ottimale.Il numero di corde reali può variare da quattro a seiin base al modello di cassa al quale si fa riferimento,ma se come pare più probabile, questo modello erausato per le «piccole viole» dotate di punte [catt.364, 365], è possibile ipotizzare un’incordatura diquattro corde reali più sei di risonanza, o cinquereali e cinque di risonanza.37 L’uso di corde di ri-sonanza è documentato in Italia dal 1718, anno nelquale, per la prima volta, viene descritto in un testodi Giovanni Pietro Pinaroli dal titolo Polyanthea

Cat. 371, AntonioStradivari, modello peril cavigliere conmanico e voluta(Cremona, MuseoStradivariano)

possono facilmente interpretare come altrettanti pi-roli da collocare idealmente sul lato opposto delcavigliere, quello degli acuti. La mezzeria, sulla qua-le sono indicati i piccoli fori di centratura dei diecipiroli, è segnata con una sottile linea guida incisa apunta metallica che si estende da sotto la voluta fi-no al pirolo più basso. A circa quattro millimetri didistanza dal profilo e parallela al piano del manico, èincisa a punta metallica una linea retta che si esten-de dal tallone fino alla fronte della cassa dei piroli.Fra la metà superiore del manico e il primo dei pi-roli è presente una riparazione che consiste in unrinforzo cartaceo incollato solo sul lato visibile,mentre per quanto è possibile vedere, sul retro nonsono presenti rinforzi e sullo spessore del cartonci-no originale non sono evidenti segni di fratture. Ilrinforzo è composto da due diversi strati sovrap-posti, uno più spesso e uno di sottile carta biancasulla quale, in seguito alla riparazione, è stata trac-ciata ad inchiostro una linea retta che definisce laposizione del capotasto e nel contempo la lineadella ganascia. Sarebbe molto interessante poter sa-pere se la riparazione fu fatta all’epoca di Stradiva-ri o in tempi più recenti e se davvero, come sugge-risce Pollens, il rinforzo nasconde la traccia di un se-sto pirolo o qualche altro dettaglio; certamente, nel-le attuali condizioni, lo spazio compreso fra il piro-lo più basso e la linea della ganascia è insufficienteper accogliere un altro pirolo, perché questo ver-rebbe a trovarsi troppo a ridosso del capotasto. Perchiarire la questione, sarebbe necessario esaminaredirettamente il reperto e forse sottoporlo a indagi-ni diagnostiche specifiche, utili per stabilire se l’in-chiostro usato sulla riparazione è compatibile conquello originale e se esistono fratture, fori o trac-ciature sottostanti al rinforzo. Sul cartoncino sonopresenti tre vistosi fori che sembrano derivare dalfissaggio del modello su di un supporto per ripro-durne il contorno, quello centrale è posto propriosulla linea della ganascia che si trova sulla ripara-zione, dunque sembra chiaro che il modello cosìcome oggi lo si vede fu utilizzato, o nella costru-zione, o per replicarlo. Nell’immediata vicinanzadella riparazione, nell’area del piede del manico,

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technica,38 ma è possibile che gli strumenti dotati diqueste corde fossero già diffusi da tempo in Italia,quindi anche a Cremona nella bottega di Stradiva-ri. Il catalogo Mosconi-Torresani mette in relazionequesto cavigliere con la tastiera originale cat. 346che fa parte del corredo della viola d’amore del1727 [cat. 344]. In occasione delle CelebrazioniStradivariane del 1987, fu esposta con altri reperticollegati alla “viola d’amore” del 1726 (collezioneBeare) come possibile tastiera originale, in realtà,questa tastiera in nessun modo può aver portatol’incordatura di sei corde reali che viene ipotizzataper la viola del 1726, perché le sue misure sonoquelle tipiche di una tastiera da violino, lo dimostrachiaramente il confronto con l’altra tastiera originale[cat. 129] e con gli altri modelli di tastiera presentinella collezione Fiorini. Nell’attuale esposizione è impossibile vedere bene lasua struttura, ma si tratta di un bellissimo e tipicoesempio di accessorio per strumento di risonanza, laclassica tastiera barocca composta da un “anima” inlegno di salice rinforzata lateralmente da due “spon-de” di acero leggermente marezzato, rivestita sullasuperficie curva da un sottile strato di lastronaturad’ebano e con il lato inferiore scavato per il pas-saggio delle corde di risonanza. L’incavo inferiore èpiatto nell’area del manico e gradualmente diventacurvo verso l’estremità della tastiera, i rinforzi la-terali in acero costituiscono i sottili piani che nor-malmente in questi esemplari consentono l’incol-laggio della tastiera al piano del manico. Lo statodi conservazione è ottimo e permette di leggeretutti i minimi dettagli della lavorazione. Dall’esa-me dei modelli per tastiere presenti nella collezione,

appare chiaro che nella bottega c’era la tendenza aprodurle con una larghezza al capotasto abbastanzaampia, ne consegue che la spaziatura delle cordedoveva essere larga in proporzione, mantenendoanche un comodo spazio per la diteggiatura sotto ilcantino e la corda più grave. Si può quindi dedurreche la tastiera cat. 346 sia stata creata su misura peruno strumento di risonanza a quattro corde realinel formato del violino, anche se è pur vero, cheavvicinando le corde fra loro e sacrificando di mol-to lo spazio per la diteggiatura sotto le due esterne,una tastiera di queste misure si potrebbe anche adat-tare a un’incordatura di cinque corde, compatibilecon le «piccole viole» che col violino hanno buonaanalogia. Questa però sembra una soluzione “di ri-piego”, in contrasto con lo stile di lavoro di unabottega nella quale ogni parte dello strumento eraopportunamente calcolata in funzione del suo pro-prio uso, inoltre una spaziatura delle corde ristrettarenderebbe disagevole l’esecuzione musicale. La ta-stiera potrebbe essere nata per uno strumento comequello citato da Filippo Bonanni nel testo dal ti-tolo Gabinetto armonico pieno d’istromenti sonori (Ro-ma, 1722), che descrive la «Viola d’amore» e il «Vio-lon d’amour» sostanzialmente come se fossero lostesso strumento, dotato di quattro «corde d’inte-stini» e «altrettante di metallo» che «formano unsuono assai dolce, e accrescono l’armonia delle al-tre».Anche l’altro modello di cavigliere [cat. 372] si pre-senta come una vista del lato sinistro e sembra me-glio conservato, o forse sarebbe più corretto diremeno usato; porta piccole tracce d’inchiostro lungoil contorno e vi sono indicate la linea della ganascia,quella della coda di rondine e le aperture di com-

Cat. 346, tastieraoriginale per piccolo

strumento di risonanza(Cremona, Museo

Stradivariano)

Cat. 130, modello inlegno per tastiera di

violino (Cremona,Museo Stradivariano)

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passo corrispondenti alle dimensioni della voluta ascudo. Osservando il cartoncino in luce radente, sipuò notare una traccia a punta metallica che correparallela lungo tutta la linea frontale della cassa deipiroli, da sotto la voluta fino al foro del pirolo cor-rispondente alla corda più grave. Si tratta di un ri-ferimento, una linea guida utile a piazzare i sei pic-coli fori per la centratura dei piroli in base alla cur-va anteriore del cavigliere, equidistanti fra loro eforati poco più di due millimetri al di sotto della li-nea stessa.39 Da notare il fatto che nella collezioneFiorini, i modelli catt. 371 e 372 sono i soli riferitiai caviglieri a portare impresse delle linee di riferi-mento a punta metallica, compasso e inchiostro,per la centratura dei fori per i piroli. Come già si èdetto, il modello è stato interpretato come testa peruna viola a sei corde: viola d’amore senza corde dirisonanza o viola da gamba soprano, ma pur essen-do queste interpretazioni possibili, la lunghezza del-la cassa dei piroli sembra davvero eccessiva per unuso specifico a sole sei corde, considerando il fattoche è maggiore di più di un centimetro rispetto aquella del cat. 371 che ne porta ben dieci. Facendoun raffronto con la testa di viola ritenuta un’operaoriginale di Stradivari e conservata a Parigi, si pos-sono rilevare buone analogie con questo modellocartaceo del Museo Stradivariano per stile e di-mensioni.40 La testa proviene dalla bottega di J.B.Vuillaume, al quale si attribuisce la conversione del-la viola d’amore originale in quella che oggi co-nosciamo come viola Kux-Castelbarco, e della suastruttura originaria rimane solo il cavigliere vero eproprio sezionato all’altezza del collo del manico, dasotto il capotasto alla voluta. L’aspetto è quello diuno manufatto nuovo da poco uscito dalla bottegad’origine, la vernice di colore intenso è pressochéintegra così come gli smussi anneriti ad inchiostroche testimoniano perfettamente come fosse da nuo-vo l’effetto di questa particolare tecnica di decora-zione, tipica di Stradivari e di altri liutai cremonesicoevi. Le linee e le forme “a collo di cigno” sonodefinite con grande slancio e sicurezza, però la ca-ratteristica più ingegnosa e notevole è il doppio ca-vigliere riunito nella stessa cassa dei piroli che forse,

come rileva Andrew Dipper, è paragonabile allo sti-le del baryton,41 ma in questo caso assume delle fat-tezze totalmente nuove ed originali. Stradivari inquesto cavigliere coniuga al meglio estetica, robu-stezza e funzionalità d’uso, infatti la cassa dei piroli èridotta in lunghezza rispetto a quella della tradi-zionale viola d’amore e meccanicamente si dimostraben più resistente del normale. Le due pareti ester-ne accolgono i dodici piroli, sei per lato, che vannoad inserirsi con le loro estremità in una parete cen-trale supplementare che porta dodici fori molto vi-cini fra loro, ne consegue che le pareti esterne, aven-do solo sei fori, risultano estremamente robuste eresistenti alla costante pressione esercitata dai piro-li che, soprattutto in questi particolari strumenti, alungo andare possono provocare rotture dovute al-la debolezza strutturale derivante dall’eccessiva vi-cinanza fra i fori. Un ulteriore elemento di stabilitàè dato dal dorso compatto che lascia chiuso il fon-do della cassa dei piroli, impedendo però la con-sueta uscita posteriore delle corde di risonanza. Nelmodello cat. 371 la disposizione dei fori per i piro-li, così come oggi la vediamo, sembra pensata daStradivari proprio per consentire un facile passaggioposteriore delle corde di risonanza, particolare chesembra trovare conferma nel fatto che la viola del1726 ha un cavigliere aperto su fronte e dorso; percontro, nel modello cat. 372 appare evidente checiò non sarebbe possibile per mancanza di uno spa-zio adeguato fra il pirolo più basso e il capotasto. Ilconfronto diretto fra il modello cartaceo e la testa diParigi, evidenzia una stretta analogia nella disposi-zione dei fori per i piroli sul lato sinistro del cavi-gliere, confermando la corrispondenza stilistica eformale esistente fra i reperti, nonché il fatto che inquesto particolarissimo cavigliere, era previsto che lecorde di risonanza fossero alloggiate insieme a quel-le reali nella stessa cassa dei piroli, di qui e tutte an-teriormente, le une passavano sotto la tastiera, le al-tre sopra il capotasto. È questo un sistema che siritrova in diversi esemplari antichi e moderni diviola d’amore e che, in certi casi, si rivela proble-matico per l’incordatura e l’accordatura dello stru-mento, data la sovrapposizione di molte corde nel-

Cat. 372, modello dicavigliere con manico evoluta (Cremona,Museo Stradivariano)

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la stessa sede. Nell’idea progettuale di Stradivariquesto è l’unico dettaglio che potrebbe rivelarsifonte di difficoltà pratiche, alle quali peraltro è pos-sibile porre adeguato rimedio.Le “trasformazioni” ottocentesche hanno procura-to sicuramente grandi profitti economici a chi leha attuate, ma ci hanno tolto un patrimonio storicoinestimabile; poter disporre ancora oggi di uno stru-mento integro fatto da Antonio Stradivari su questomodello, sarebbe davvero interessantissimo e avreb-be un valore documentale unico, che purtropponessuna ricostruzione ideale o virtuale potrà mairestituirci in modo del tutto convincente. L’ultimo reperto mancante è il disegno cat. 367 delquale si è già parlato nella prima parte di questa ri-cerca, si tratta di un autografo di Stradivari ripro-ducente la forma di un manico con tallone che perle sue caratteristiche non risulta compatibile conle caratteristiche degli strumenti di risonanza, macon buona probabilità è riconducibile ad uno stru-mento “da gamba”. Sacconi lo definisce: «Disegnosu foglietto di carta […] del piede di un manico[…]», anche l’espressione generica «di un manico»sembra sottintendere l’incerta relazione fra questoreperto e i tre precedenti raccolti nel corredo delle«piccole viole da braccio» dotate di punte.

In conclusione di questo scritto che è un estratto dauna più ampia ricerca ancora in corso sulla violad’amore nella bottega di Stradivari, non si può farea meno di constatare che i dubbi e le domandesenza risposta sono ancora molti; in aggiunta, si raf-forza la consapevolezza del fatto che per molteplicicause certi interrogativi resteranno sempre irrisolti.Certo è che il lavoro da svolgere sarebbe ancoramolto, ma per proseguire la ricerca con risultaticoncreti, in molti casi bisognerebbe poter accederedirettamente ai reperti oppure a rilievi e docu-mentazioni che attualmente non sono disponibilipresso il Museo. Le carte e gli oggetti appartenuti aStradivari sono a Cremona dal 1930 e da allora,non è mai stata avviata una campagna di studi scien-tifici completi sui reperti oggi conservati presso ilMuseo Stradivariano; dunque si può dire che ancora

oggi la collezione Fiorini rimane, nonostante tutto,poco conosciuta e studiata. Con l’occasione del-l’ormai prossimo trasferimento della collezione nel-la sua nuova sede che sarà ospitata presso il Museodel Violino, ora in fase di realizzazione, sarebbe au-spicabile l’avvio di un progetto di studi scientificiche possano portare ad una conoscenza il più pos-sibile completa di questo patrimonio storico dav-vero unico nel suo genere. Questo permetterebbefinalmente al Museo di mettere a disposizione deglistudiosi e dei liutai i risultati certi di un lavoro distudio sistematico (dati tecnici, fotografie, rilievigrafici, materiale documentale, risultati di indaginidiagnostiche e interventi di restauro), ossia tuttequelle informazioni attendibili che sono utili e ne-cessarie a supportare qualsiasi lavoro serio di ricer-ca specifica.

1 SIMONE FERNANDO SACCONI, I segreti di Stradivari, Cre-mona, Libreria del Convegno, 1972

2 Il Museo Stradivariano di Cremona, a cura di AndreaMosconi e Carlo Torresani, Milano, Electa, 1987.Il Museo Stradivariano di Cremona, a cura di AndreaMosconi e Carlo Torresani, Cremona, Cremonabooks,2001.

3 Si veda in merito DAVID RATTRAY, Masterpieces of ItalianViolin Making - Important stringed instruments fromthe Collection at the Royal Academy of Music, BalafonBooks, London, 2000

4 David Rattray, nella scheda tecnica dello strumentopubblicata nel catalogo della collezione della RoyalAcademy, sottolinea le affinità esistenti fra la violaKux-Castelbarco e la Archinto, anch’essa presso laRoyal Academy, accreditando l’ipotesi che siano stateentrambe costruite sul tipico modello del contraltostradivariano, la prima come viola d’amore a sei cordereali e sei di risonanza, la seconda come viola con-tralto.

5 È fotograficamente documentato nel volume AntonioStradivari in Japan, edito nel 1984 con fotografie di

MARCELLO IVELiutaio in Cremona, si dedica alla costruzione e ripara-zione di strumenti ad arco in stile moderno e barocco.Nella sua attività rivolge un’attenzione particolare alle vio-le d’amore che da sempre sono oggetto delle sue ricer-che e motivo costante di studio.

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Shinichi Yokoyama, un bellissimo violoncello di Anto-nio Stradivari databile attorno al 1690 che con tuttaprobabilità in origine era una viola da gamba con fon-do piatto piegato nel lobo superiore, nel XIX secolofu ridotto alle attuali dimensioni e in seguito gli Hill so-stituirono il fondo piatto, anch’esso documentato nel-le immagini, con uno nuovo bombato. Un altro stru-mento di Stradivari che si ritiene essere stato origi-nariamente una viola da gamba è il Visconti, datato1684, appartenuto a Mistislav Rostropovich; gli Hill neparlano nel loro libro su Stradivari e dall’esame dellatecnica con la quale lo strumento fu ridimensionato, gliesperti tendono ad accreditare questa ipotesi comeattendibile.

6 DAVID RATTRAY, One of a kind, in The Strad, January1997.

7 Sacconi lo definisce: «Modello di ponticello di A. Stra-divari in legno di acero per violino, da servire anche perviola d’amore, con scritta autografa di Stradivari Pe laviola da liù. Altezza al centro mm32, larghezza alla ba-se mm41.» - I segreti di Stradivari, p. 202.

8 Si veda Il Museo Stradivariano di Cremona, a cura diAndrea Mosconi e Carlo Torresani, Milano, Electa,1987, p. 46.

9 JOHN HENRY VAN DER MEER, Gli strumenti straordinari diAntonio Stradivari, «Liuteria musica cultura», X(1990).

10 STEWART POLLENS, The Violin Forms of Antonio Stradi-vari, London, Biddulph, 1992, p. 18.

11 STEWART POLLENS, Stradivari, Cambridge, CambridgeUniversity Press, 2010, p. 163.

12 Sono documentati alcuni strumenti di liuteria anticacremonese, originariamente concepiti come viole dagamba, che presentano fra loro caratteristiche analo-ghe e corrispondenti agli stilemi tipici della prassi co-struttiva degli strumenti della famiglia del violino:basso di viola dei fratelli Amati del 1611, AshmoleanMuseum, Oxford; tenore di viola dei fratelli Amati del1611, Collezione di Stato di Strumenti Musicali, Mo-sca; basso di viola dei fratelli Amati del1597, Smith-sonian Institution Collections, USA; basso di viola diGiuseppe Guarneri “filius Andreae” del 1702, colle-zione privata; basso di viola o violoncello piccolo acinque corde dei fratelli Amati fra il 1600 e il 1610,“Amaryllis Fleming”, Royal Academy of Music, Londra.

13 È noto che le antiche viole da gamba cremonesi po-tevano avere fondo bombato e, nel contempo, piegatonel lobo superiore. Esempi celebri sono quelle dei fra-telli Amati risalenti al 1611.

14 ANDREW DIPPER, Andrew Dipper and his Copy of a Stra-divarius Viola d’amore, in «Viola d’amore Society ofAmerica» – Newsletter, November 2009, Vol.33, No.2.

15 Del Sammachini esistono almeno altre due raffigura-zioni di viole da gamba con caratteristiche simili: undisegno preparatorio a sanguigna raffigurante un gio-vane suonatore di viola e un dettaglio inserito nel con-

testo di un dipinto rappresentante la Vergine col Bam-bino e i Santi Maddalena e Petronio che rappresentaun angelo musicante con viola.

16 Per maggiori precisazioni si veda: ADOLF HEINRICH KÖ-NIG, Die viola da gamba, Frankfurt/M.: Bochinsky,1985.

17 Il percorso evolutivo della famiglia delle antiche violeha comportato continue, progressive modifiche delcontorno della cassa degli strumenti; la cosiddettaforma “a otto” rappresenta un passaggio di questaevoluzione ed è tuttora ben riconoscibile seppure “na-scosta” sotto l’ormai familiare profilo degli strumentida braccio. A partire dagli Amati che hanno delineatocurvature morbide e tondeggianti, “a otto”, dalle qua-li le punte sporgono elegantemente creando il con-torno classico dello strumento, passando per le inno-vazioni stilistiche e strutturali di Stradivari, fino agiungere alle ardite variazioni di Guarneri del Gesù, èpossibile cogliere una costante, graduale trasforma-zione dei modelli. Soprattutto in certi strumenti diGuarneri, risalenti agli anni trenta della sua produ-zione, come il Kemp, il Baltic o il D’Egville solo per ci-tarne alcuni, la linea del contorno sembra tesa versoun modello “in forma di chitarra” dal quale le punteescono con grande energia, dando una nuova formaslanciata alle CC dello strumento e di conseguenza, in-ducendo una nuova distribuzione delle bombature.Così, pur senza mai abbandonare i canoni classicidelle proporzioni, l’effetto estetico d’insieme risultadi grande forza e modernità.

18 Stewart Pollens, nel suo recente volume dal titoloStradivari, riferisce che una di queste viole d’amore, laChanot-Chardon, compare per la prima volta nel 1850,già trasformata in violino, negli inventari della dittaChanot-Chardon di Parigi.

19 L’espressione “violon d’Ingres”, usata in Francia per in-dicare un hobby coltivato parallelamente alle abitualiattività professionali, nacque come allusione alla pas-sione del celebre pittore Jean Auguste Dominique In-gres per il violino.

20 CHIARA CATANESE, Focus sull’opera Le violon d’Ingres diMan Ray, www.fotografia.bloglive.it

21 ERRATA CORRIGE:Nella seconda parte di questo scritto, pubblicata nel n°7 di A TUTTO ARCO, si segnala un errore di trascri-zione di una data nella nota di chiusura n° 4: laddovesi fa riferimento alla: «“viola d’amore” trasformata inviolino ex Chanot-Chardon, datata 1681», si leggacorrettamente «datata 1718».

22 CHARLES BEARE, Capolavori di Antonio Stradivari, Ar-noldo Mondadori Editore, Milano, 1987 Si riporta qui il testo originale:«Alcuni disegni per viola d’amore sono presentati nel-la collezione del Museo Stradivariano di Cremona, magli strumenti che vi si riferiscono sono tutti scompar-si oppure trasformati, per la maggior parte in modobarbaro, in qualcos’altro. In questo caso una viola

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d’amore senza punte, con sei corde più sei di riso-nanza, fu mutilata nel XIX secolo per divenire unaspecie di violino grottesco. Furono aggiunte punte se-condo lo stile di Stradivari e le fasce originali furono ri-tagliate e ripiegate, per adattarsi ai nuovi tasselli del-le punte, mentre la cassa dei piroli fu tagliata a metàper tenere solo quattro piroli. Quella che sembra esserela tastiera originale si trova ora al Museo Stradivarianodi Cremona ed è presente in questa mostra insieme aidisegni per questo strumento. Le ff, la voluta termi-nante a scudo che sormonta la cassa dei piroli e la ver-nice rimangono a testimoniare che questo fu una vol-ta un bello seppure inusuale strumento. Fortunata-mente il Museo del Conservatorio di Parigi possiedeuna viola d’amore non alterata, costruita con i disegnioriginali di Stradivari, da Lorenzo Storioni di Cremona,nel 1786. Acconsentendo a mostrarla accanto allaviola d’amore di Stradivari, nonostante necessiti direstauro, il museo ha gentilmente offerto ai visitatori diquesta mostra la possibilità di fare un confronto tra idue strumenti ed immaginare l’aspetto originale dellaviola d’amore di Stradivari.Questo strumento fu acquistato da Rembert Wurlit-zer, a Parigi, tanti anni fa ed ora appartiene alla J.And A. Beare».

23 Questi involti [catt. 602-631] sono esposti nella tecan° 14 ripiegati su se stessi come se contenessero an-cora i reperti e ad essi sono collegati grazie a tuttauna serie di scritte e sigle descrittive di riferimento, al-cune delle quali sono evidentemente composte dacalligrafie diverse da quella di Stradivari. Purtroppo larecente indagine paleografica curata dal Prof. MarcoD’Agostino non ha preso in esame questo corredo,dunque non possiamo sapere quali e quante delle an-notazioni sono di mano di Stradivari o di altri chehanno avuto accesso alle carte stradivariane nel corsodel tempo.

24 Si segnala a questo proposito, un interessante studiodi Tom King e Andrew Dipper, pubblicato nella news-letter: «Journal of The Violin Society of America», Vo-lume XX, N° 3, nel quale si analizza il metodo geo-metrico di piazzamento delle effe negli strumenti clas-sici cremonesi, con particolare riferimento a quelli diAntonio Stradivari tra i quali figura anche la viola d’a-more senza punte.

25 MARCO D’AGOSTINO, La scrittura di Antonio Stradivari, p.25.

26 Si veda: SF SACCONI, I segreti di Stradivari, p.226.27 Nell’ambito del primo corso di formazione per Tecnico

Superiore di Liuteria Barocca, svoltosi presso l’IPIALLdi Cremona fra il 2007 ed il 2008, l’Architetto FlavioSmerieri, coordinatore del progetto, curò personal-mente la realizzazione dei rilievi fotografici e grafici diuna parte dei reperti stradivariani. Il frutto di questoaccurato lavoro, depositato in copia presso il Museo,consiste in una serie di disegni quotati che restituiscefinalmente un’immagine affidabile dei reperti; pur-

troppo, anche a causa della prematura scomparsa del-l’architetto Smerieri, il Progetto “Reperti stradivariani”non ha potuto proseguire estendendo i rilievi all’inte-ra collezione Fiorini.

28 S.POLLENS, The Violin Forms of Antonio Stradivari.29 D. RATTRAY, Masterpieces of Italian Violin Making- Im-

portant stringed instruments from the Collection atthe Royal Academy of Music, p.92.

30 Si veda CHARLES BEARE con la collaborazione di BruceCarlson, Antonio Stradivari, L’esposizione di Cremonadel 1987, Londra 1994, pp.252-257.

31 M. D’AGOSTINO, La scrittura di Antonio Stradivari, p.25.32 J.H. VAN DER MEER, Gli strumenti straordinari di Anto-

nio Stradivari, pp.13-14.33 J.H. VAN DER MEER, Gli strumenti straordinari di Anto-

nio Stradivari, pp.11-12.34 S. POLLENS, Stradivari, pp.163-165.35 Per un approfondimento in merito: MARIANNE RÔNEZ,

Aperçus sur la viole d’amour en Allemagne du Sudvers 1700, in Amour et Sympathie. Actes du collo-que sur les instruments à cordes sympathiques, Li-moges, 28/29 Novembre 1992, Limoges, EnsambleBaroque de Limoges, 1995.

36 Si segnala in proposito un interessante e completosaggio di MARIANNE RÔNEZ dal titolo What is a Violino aCinque Corde? A History, and Music for this instru-ment, «Viola d’amore Society of America» – Newslet-ter, June 2005, Vol. 29 No 1; Newsletter, May 2006,Vol. 30, No. 1

37 Come già si è detto il numero di corde di risonanza po-teva essere diverso da quello delle corde reali e ce lodimostrano numerosi esempi di strumenti storici.

38 PATRIZIO BARBIERI, Cembalaro, organaro, chitarraro efabbricatore di corde armoniche nella Polyanthea tech-nica di Pinaroli,(1718-1732), in «Recercare», I,1989.

39 Nel cavigliere cat. 371 i piroli sono invece piazzatisulla mezzeria.

40 Bisogna tenere presente che i reperti cartacei stradi-variani non sono da considerare dei veri e propri mo-delli, osservandoli si ha l’impressione che siano inbuona parte degli studi preparatori di base, dei ca-novacci utili per la costruzione, ma non vincolanti inmodo assoluto, delle linee guida da seguire con lapossibilità di adattamenti in corso d’opera. A questi se-guivano dei precisi modelli in lamina di legno, oggiin gran parte perduti, che servivano per la tracciaturasu legno e come riscontro durante le lavorazioni. Dun-que non c’è sempre concordanza assoluta fra le “for-me” che rappresentano i modelli cartacei e le particorrispondenti che possiamo vedere in “tutto tondo”negli strumenti finiti arrivati fino a noi.

41 ANDREW DIPPER, Andrew Dipper and his Copy of a Stra-divarius Viola d’amore, p. 11.

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L’inverno appena trascorso, lungo e freddo, non harallentato il mercato degli strumenti ad arco. Inquesti mesi vi sono state molte aste e molte con-trattazioni importanti, tanto che per brevità di spa-zio sarò costretto a citare le sole principali, trala-sciandone molte altre. Nello stesso periodo abbia-mo assistito anche al tracollo di molti governi edeconomie mondiali che hanno imposto ai loro cit-tadini ristrettezze per poter risanare i bilanci pub-blici. Ristrettezze che certamente avranno conse-guenze, più o meno gravi, su tutto il mondo musi-cale, italiano ed internazionale. Per capire a fondo l’impatto che avrà questa nuovasituazione sul settore, sarà necessario attendere an-cora qualche mese. Sicuramente i grandi commer-cianti, se scaltri, avranno varie possibilità, diversifi-cando i loro mercati e puntando sulle realtà emer-genti che non sono state toccate dalla crisi, come laCina, la Russia, l’India, il Brasile, gli Emirati arabiod altre ancora. I commercianti minori, legati mag-giormente alle varie realtà locali, sicuramenteavranno davanti a loro tempi più oscuri. Ritornando comunque al mercato invernale, nonancora toccato dalla recessione attuale, inizio la ras-segna con la tornata di aste londinesi dello scorsoautunno. La prima a presentarsi, il 3 ottobre, è sta-ta la casa Brompton’s che come sempre apriva ibattenti all’interno della Royal Institution. Nel set-tore degli archi si è distinta un’importante opera daviolino di François Xavier Tourte, costruita a Pari-gi nel 1820c. L’esemplare pesava 60 grammi ed eraaccompagnato da un certificato di P. Childs. Avevail bottone ed il nasetto ancora originali, quest’ulti-mo montato in tartaruga ed oro, ma al momentomontava una copia del nasetto costruita da Seifert,perché troppo danneggiato l’originale. È stato ag-giudicato per £102,000 (diritti d’asta compresi epari, al cambio del giorno, a circa €120.000). Tra gli strumenti invece è emerso un magnificovioloncello di Nicola Gagliano, costruito a Napo-li nel 1774, in cui si vedeva chiaramente l’aiutodel figlio Ferdinando. L’esemplare ritornava sulmercato dopo più di 30 anni e si presentava incondizioni quasi perfette. Garantito da un certifi-

Claudio Amighetti

Le aste internazionali degli strumenti ad arco

Le quotazioni degli strumenti

Violino di GiovanniBattista Guadagnini,Torino 1783 Maazel

(Tarisio)

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cato di H. Weisshaar, il violoncello è stato battutoper £480,000 (€560.000, record dell’autore). Sem-pre nella medesima seduta è rimasto invenduto unimportante violino di Francesco Ruggeri, costrui-to a Cremona nel 1694 ed accompagnato da uncertificato di W.E. Hill. Il materiale e la lavorazioneerano di alta qualità e si poteva vedere l’interventodi Vincenzo, uno dei suoi figli più talentuosi. Il 4 ottobre, si è presentata la casa Sotheby’s. Tragli archi segnalo due opere molto interessanti e,per certi curiosi aspetti, molto similari. I due esem-plari da violino, presentati in immediata successio-ne, erano stati costruiti rispettivamente da NicolasMaire e da Joseph Henry. Entrambi sono due im-portanti nomi dell’archetteria francese ed entram-bi sono stati lavoranti nella bottega di Jean BaptisteVuillame a Parigi, oltretutto proprio nel medesi-mo periodo, intorno al 1845-50c., dunque con sti-li di lavoro similari. Entrambi gli archi erano mon-tati in ebano ed argento, entrambi avevano il na-setto originale, non così il bottone, entrambi eranostati costruiti intorno al 1860c. e (coincidenza cu-riosa e rara) entrambi avevano il medesimo peso:59,5 grammi. Gli estensori del catalogo hanno vo-luto differenziarli nella valutazione, quotando ilMaire £8,000-12,000 e l’Henry £18,000-25,000.In battuta gli archi si sono di nuovo accomunati,piazzandosi entrambi a £30,000 (€35.000, recordper Joseph Henry). Tra gli strumenti si è distinto unviolino di Giovanni Battista Rogeri, costruito aBrescia nel 1705c. Con una falsa etichetta di Ni-colò Amati, suo maestro, ed una stima di£140,000-180,000, l’opera è arrivata alla cifra di£337,250 (€390.000, record dell’autore). Un altro violino di Giovanni Battista Rogeri, co-struito sempre a Brescia, ma nel 1690c., è stato pre-sentato il giorno seguente dalla casa Bonhams.Causa i molti restauri subiti, ha raggiunto solo£169,250 (€195.000). È stato anche l’unico lottodi un certo rilievo dell’intera vendita. A New York, il 10 novembre successivo, si è pre-sentata la casa Tarisio con un bellissimo catalogo, ilpiù interessante e completo del periodo, in parti-colare nel settore degli strumenti. Inizio con un

Violino di GiovanniBattista Guadagnini,

Torino 1783 “Maazel”(Tarisio)

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violoncello di Giovanni Tononi, costruito a Bolo-gna nel 1680c. Con una cassa molto grande (773mm), aveva le tipiche misure delle opere del XVIIsecolo destinate in particolar modo al basso conti-nuo, con sonorità gravi e profonde ed ampiezzedi suono notevoli. Accompagnato da un certificatodi W.E. Hill, l’esemplare è stato pagato $251,200(€185.000, record dell’autore). Un altro violoncello interessante era l’Huxham,strumento di Giovanni Battista Guadagnini, co-struito a Torino nel 1783. Questo esemplare, alcontrario del precedente, aveva una cassa piutto-sto piccola (709 mm, nella standarizzazione mo-derna si definirebbe un 7/8) che lo rendeva peròmolto maneggevole e facile da suonare. L’operaera garantita da certificati di Silvestre & Mauco-tel, Rud. Würlitzer, W. Lewis e W. Moennig; in bat-tuta ha totalizzato $800,000 (€590.000). Tra i violini segnalo uno strumento di Antonio &Gerolamo Amati, costruito a Cremona all’iniziodel XVII secolo, ma con una testa probabilmente discuola cremonese della fine dello stesso secolo. Ac-compagnata da certificati di Hamma, M. Möller eP. Vidoudez, tutti che garantivano anche la testacome originale, l’opera, quotata sul catalogo per$200,000-300,000, è stata aggiudicata per $447,200(€330.000). Infine è stato presentato il Maazel, unviolino di Giovanni Battista Guadagnini, costruito(probabilmente su una forma originale di Stradivariprestatagli dal conte Cozio) a Torino nello stessoanno del violoncello Huxham. Di proprietà di Lo-rin Maazel per ben 66 anni, questo strumento èstato utilizzato per le numerose registrazione ed iconcerti tenuti dal Maestro durante la sua lungacarriera da violinista. «I first played this violin whenI was 15» ha dichiarato Maazel in una intervista,«and it has been my close companion ever since»(Ho suonato la prima volta questo violino a 15anni e da allora è stato sempre il mio compagno). IlMaestro si è deciso alla vendita del suo compagno,per devolvere l’intero ricavato al Castleton Festival,da lui stesso fondato. Lo strumento è stato battutoper $1,080,000 (€790.000, record dell’autore). Nel settore degli archi, vi sono state molte opere

Violino di AntonioStradivari, Cremona1705c. “Baron von derLeyes” (Tarisio)

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interessanti, ma una su tutte da segnalare. Un esem-plare da violino di François Xavier Tourte, monta-to in ebano ed argento, con un peso di 59 grammi.Il nasetto ed il bottone non originali avevano sug-gerito una certa cautela all’esperto della casa d’aste,valutandolo $10,000-15,000. In battuta si è piazzatoa $51,000 (€37.000). Nel mese di marzo si è svolta la tornata primaveriledelle case inglesi. In questo periodo i segni dellacrisi globale e delle conseguenti ristrettezze si sta-vano già facendo sentire, ma le viewings erano in-credibilmente affollate, con molti aspiranti com-pratori da ogni parte del globo, in particolare ov-viamente asiatici. Come sempre, la prima a pre-sentarsi è stata Brompton’s, il 5 marzo. Tra gli archiè emersa un’opera da violino di Dominique Pec-catte, montata in ebano ed argento e con un pesodi 60 grammi. Nonostante il nasetto ed il bottonenon originali, ma comunque contemporanei allabacchetta e successivamente adattati a questa (lostile del nasetto poteva far pensare al lavoro di J.Henry), l’esemplare, che era quotato £18,000-25,000, è arrivato a £31,200 (€37.000). Tra gli strumenti si è distinto il Bower, ulteriore edimportante violino di Giovanni Battista Rogeridel 1692. Garantita da un certificato di W.E. Hill,l’opera era in uno stato di conservazione eccezio-nale e mostrava evidenti le caratteristiche di questo

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Violino di AntonioStradivari, Cremona

1705c. Baron von derLeyes (Tarisio)

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autore, in particolare nei fori armonici, stretti e si-nuosi. Da una stima iniziale di £120,000-160,000,l’esemplare ha raggiunto £228,000 (€270.000). Seguendo la rituale sequenza, il 6 marzo ha apertoi battenti la casa Sotheby’s, con un catalogo esiguo(124 lotti). Il settore degli archi era alquanto scarso,senza pezzi di grande interesse, mentre buono eraquello degli strumenti, in particolare dei violini.Tra questi segnalo un’opera di Jean Baptiste Vuil-laume, costruita a Parigi nel 1845, copia molto benriuscita del Cannone di Paganini. Con una valuta-zione di £80,000-120,000, l’esemplare è stato pa-gato £133,250 (€160.000). Altro lotto di interesse,è stato un violino di Nicolò Amati, costruito aCremona nel 1682 (due anni prima della morte).Accompagnato dai certificati di W.E. Hill e di Mo-rel & Gradoux-Matt, lo strumento aveva subitomolti restauri nel corso degli anni; nonostante ciò,ha totalizzato £301,250 (€360.000). Il giorno seguente si è presentata la casa Bonhams.Tra gli archi è stata presentata un’opera da violino,timbrata VUILLAUME Á PARIS, che veniva da-tata dagli esperti intorno al 1850c., ma senza alcu-na attribuzione ad autori o botteghe e quotata sulcatalogo per soli £3,000-4,000. Era un modelloSelf-rehairing, ideato da Vuillaume proprio in queglianni per permettere ai musicisti di cambiarsi dasoli i crini (modello che ebbe scarso successo), pre-sentava danni al nasetto ed era molto consumatodall’uso. Mostrava però anche alcune caratteristicheche potevano ricondurlo alla lavorazione di D. Pec-catte. In molti hanno creduto a queste tracce, tan-to da essere aggiudicato per £28,750 (€34.000).Tra gli strumenti segnalo invece un violino pro-babilmente di Domenico Montagnana, costruitointorno al 1740, molto consumato e restaurato, ga-rantito da un esame dendrocronologico che neconfermava la datazione. Da una stima di £80,000-120,000, l’opera è stata battuta per £193,250(€230.000). Balzati nuovamente sull’altra sponda dell’Atlanti-co, per la tornata primaverile americana, il 26 apri-le abbiano ritrovato nuovamente la casa Tarisio. Tragli archi è emersa un’opera da violoncello di Pier-

Arco da violino diFrançois Xavier Tourte,Parigi 1820-25c.(Christie’s)

re Simon, montata in ebano ed argento e del pesodi 78,5 grammi. Accompagnato dai certificati di I.Salchow e di G. Français, l’esemplare era presentatocon una valutazione degli esperti di $15,000-22,000. In battuta si è piazzato a $54,000 (€41.000). Tra gli strumenti sono emersi due violini cremonesieccezionali. Il primo era il Bryant, un’opera di Lo-renzo Storioni, costruita nel 1792 e garantita dalcertificato di W. Lewis. Da una quotazione di$280,000-350,000, l’esemplare è arrivato a$413,600 (€310.000, record dell’autore). Il secondo era il Baron von der Leyes, un pregevoleviolino di Antonio Stradivari, costruito a Cremonanel 1705c., già conosciuto come Klaveness. Presen-tato con un certificato di Remb. Würlitzer e giàpubblicato sui libri di E. Doring, How many Strad?(1945), e di H. Goodkind, Violin iconography of Stra-divari (1972), lo strumento ritornava sul mercatodopo essere stato per più di 40 anni in mani priva-te. L’opera era molto restaurata per l’intenso usofattone, ma presentava intatta la bellezza scultorea efascinosa degli esemplari del periodo d’oro di Stra-divari. Il violino ha raggiunto la cifra di $2,592,000(€1.950.000). Lo stesso giorno si è presentata anche la casa Chri-stie’s di New York, con un esiguo catalogo (solo109 lotti), ma con una scelta di archi veramentebuona. Il più interessante era un’opera da violino di

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CLAUDIO AMIGHETTIDa più di 30 anni insegna restauro e stilistica presso laScuola Internazionale di Liuteria a Cremona. Ha scrittolibri (ben 12 volumi solo sulle quotazioni degli strumentiad arco), è perito per le valutazioni di varie orchestre ita-liane e ha svolto lavori di catalogazione per molte collezionidi strumenti. Ha fatto parte di comitati per l’organizza-zione di mostre di liuteria e ha tenuto conferenze e semi-nari in molte parti del mondo.

François Xavier Tourte, costruita a Parigi intornoagli anni 1820-25 e montato in tartaruga ed oro,con una meravigliosa bacchetta ottagonale (è unaesplicita provocazione per tutti i musicisti che cre-dono siano da preferire gli archi rotondi). Già pub-blicato sul volume di Etienne Vatelot, Les archetsfrançais (1977), e garantito nella sua completa ori-ginalità da un certificato di P. Childs, l’esemplareaveva un peso di 55 grammi. In battuta è stato pa-gato $182,500 (€140.000). Un arco da violoncello di Eugène Sartory, costruitoa Parigi nel 1897c. e montato in avorio ed argento,aveva un peso di 77 grammi (con la leggera fascia-tura originale). L’opera era stata costruita per l’E-sposizione del 1897 e, da una stima iniziale di$15,000-25,000, è arrivata a $79,300 (€60.000,record dell’autore). Un esemplare da violino diPierre Simon, costruito a Parigi nel 1850c. e mon-tato in tartaruga ed argento, aveva bellissime de-corazioni floreali in argento ai lati del nasetto. Conun peso insolitamente alto, 66 grammi, era accom-pagnato da un certificato di P. Childs. Da una va-lutazione di $20,000-30,000, l’arco ha raggiunto$56,250 (€43.000). L’aiuto di Pierre Simon si poteva vedere anche suun’altra opera da violino di Jean Baptiste Vuillaume,del 1849c., montata in avorio ed oro, con il naset-to completamente cesellato in bassorilievo con mo-tivi floreali e la siluette di Paganini. Questo esem-plare fu il regalo di nozze che Vuillaume fece a suogenero, il violinista Jean Delphin Alard. Portanteancora la leggera fasciatura originale che ne limi-tava il peso (56,5 grammi), l’arco aveva anche icertificati di R.&M. Millant e di K. Warren. Dauna quotazione sul catalogo di $70,000-120,000,l’opera è stata pagata $134,500 (€100.000, recorddell’autore). Tra gli strumenti segnalo solo un vio-lino di Pietro I Guarneri, costruito a Mantova nel1690c., che mostrava caratteristiche che lo acco-munavano ai primi lavori di suo fratello Giuseppefilius Andreæ, in particolare la testa. Garantita da uncertificato di A. Woywood e da un esame dendro-cronologico, l’opera ha totalizzato $302,500(€230.000).

Sarà interessante ora vedere come reagirà il mercatoalle ristrettezze imposte dai governi, soprattuttoeuropei. I prossimi appuntamenti in programmasono fissati per il 5, 6 e 7 giugno a Vichy (Francia)con la casa Laurent, dove vi saranno, tra le tantecose, un violino di Andrea Guarneri, Cremona1670-80c. (€55.000-60.000), un violino di Anni-bale Fagnola, Torino 1923 (€45.000-50.000) e duearchi da violino di Dominique Peccatte (€40.000-45.000 ciascuno). Il 25 giugno a Londra ritorneràTarisio che presenterà il Folinari, un violino di Giu-seppe Guarneri del Gesù, Cremona 1725c. (è soloil secondo strumento di questo autore passato nel-le aste degli ultimi dieci anni), sul quale vi sonopareri discordanti. Nel 1725 Giuseppe non era aCremona, perché sparisce dagli stati d’anime nel1723 per riapparire nel 1728 in occasione del suomatrimonio con Katarina Rota; ma a dividere gliesperti non sono certo problemi anagrafici, quantostilistici. Qualcuno sostiene che il Folinari è unadelle opere giovanili di Giuseppe, databile tra il1720 ed il 1723, quando era apprendista nella bot-tega del padre; altri invece che la data 1725c. possaessere veritiera, ma lo strumento debba essere at-tribuito alla mano del padre, Giuseppe filius An-drea. Vedremo che posizione prenderanno i com-merciati. L’ultimo appuntamento, prima dell’estateè fissato il 27 giugno a Londra con la casa Bromp-ton’s che presenterà una viola di Pietro GiovanniMantegazza, Milano 1772 (£80,000-120,000). Do-po questa vendita vi sarà la pausa estiva, quantomai necessaria in questo momento, per dare tempoai commercianti di capire come affrontare la re-cessione internazionale, trovare nuove strategie enuove rotte.

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AudizioniMuseoal

DOMENICA 16 SETTEMBRE 2012Cecilia Ziano

violino Antonio StradivariIl Cremonese 1715

DOMENICA 14 OTTOBRE 2012Francesca Dego

violino Antonio StradivariBavarian 1720

DOMENICA 11 NOVEMBRE 2012Laura Marzadori

violino Antonio StradivariVesuvius 1727

DOMENICA 9 DICEMBRE 2012Lucia Luque

violino Antonio StradivariHellier 1679

faciebat

Museo Civico “Ala Ponzone” - Sala San Domenico - via Ugolani Dati, 4 Cremona

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Antonio Stradivari

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Leonid Kogan. Un violinista dell’Est

Convegno Musica e Neuroscienze

Musica e cervello tra mito e scienza

Dieci anni senza Franco Gulli

XIII Concorso Triennale Internazionaledegli Strumenti ad Arco

La quotazione degli strumenti

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Organo ufficiale di ESTA Italianumero 9 - anno Vprezzo di copertina 8 €

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ISBN 88-8359-162-4

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