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    di BRUNO BAUDISSONE 

    Alessandro Carbonare: “Il mio

    clarinetto va di corsa dallaclassica al jazz di Copland”

     Il musicista oggi coi Pomeriggi Musicali in un programma misto, si 

    ricarica con il running: “Faccio 150 km al mese” 

    di NICOLETTA SGUBEN

    04 febbraio 2016

     Alessandro Carbonare

    "È UN problema se faccio l'intervista mentre

    corro?". Il clarinettista Alessandro Carbonare

    è un runner. Macina fino a 150 chilometri al

    mese e non rinuncia all'allenamento

    quotidiano nemmeno a poche ore da una

    performance, come quella di stasera ai

    Pomeriggi Musicali dove, diretto da

     Alessandro Cadario, esegue il Concerto per 

    clarinetto e orchestra di Aaron Copland,

    chicca di un variegato programma che

    accanto alla novità di Maurilio Cacciatore,

    Meccanica dei riflessi ovvero dell'amore,

    pone l'Adagio di Barber e la Sinfonia n. 104 di Haydn.

    Corre per aiutare il fiato?

    "Macché: molti musicisti del passato fumavano, erano in sovrappeso e suonavano da dio.

    Per noi clarinettisti non è tanto importante la quantità o la qualità del fiato, quanto usarlocon la giusta tecnica".

    Sarà, ma lei riesce a correre mentre parla, e senza il fiatone.

    "Beh, l'allenamento serve anche a questo, ma a me è utile soprattutto perché mi fa stare

    meglio di testa. Dopodiché una maratona intera non l'ho mai fatta: richiederebbe uno

    sforzo fisico eccessivo".

    Lei ama molto il Concerto di Copland: più classico o più jazz?

    "Lo adoro, ma non perché facendo parte del mio repertorio lo devo per forza amare:

    perché è davvero speciale. Unisce alla perfezione il linguaggio classico americano a

    quello jazz senza calcare né l'uno né l'altro. Perciò lo possono eseguire sia i jazzisti puri

    che gli interpreti della classica. Io faccio improvvisazioni jazz da molti anni, mi trovo a casa

    quando lo suono".

    Un'orchestra classica però non le fa le improvvisazioni.

    "Deve solo allenarsi un po' di più per "digerire" i ritmi molto complessi del concerto. Per il

    resto classificherei come classico l'accompagnamento".

    Primo clarinetto dell'orchestra di Santa Cecilia, ma anche ospite di formazioni

    internazionali: come fa ad adattarsi a diverse realtà?

    "Diverse? Diciamo che sono agli antipodi le orchestre tedesche dei Berliner e della

    Filarmonica di Monaco e quelle di Chicago e New York con cui ho lavorato. A 20 anni

    andavo e suonavo. A 47 ho l'elasticità per capire cosa devo cambiare con quel direttore,

    con quei colleghi e anche in quella specifica sala. E lo faccio al volo".

    Il fascino del suo strumento?

    "Il repertorio: fra tutti gli strumentisti a fiato noi abbiamo quello più bello perché il clarinetto

    è sempre stato amatissimo dai grandi compositori: gli hanno dedicato capolavori. Idem

    nella musica jazz, etnica e klezmer (che amo e a volte suono). Solo il barocco mancaall'appello, ma sono stati scoperti dei concerti di Vivaldi per 2 chalumeau, l'antenato del

    clarinetto, quindi ci siamo anche lì".

    Un aspetto invece ostico?

    "Per ora non ne vedo: i suoni che escono dal mio strumento sono ancora quelli che ho

    nella testa. Quando questo non accadrà più, spero che qualche amico mi dirà:

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     Alessandro, basta. Cosa non così ovvia: molti musicisti non sono più all'altezza, non se ne

    accorgono e, peggio, nessuno glielo dice".

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