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8/18/2019 articolo Pomeriggi Colpand corsa running.pdf
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Alessandro Carbonare: “Il mio
clarinetto va di corsa dallaclassica al jazz di Copland”
Il musicista oggi coi Pomeriggi Musicali in un programma misto, si
ricarica con il running: “Faccio 150 km al mese”
di NICOLETTA SGUBEN
04 febbraio 2016
Alessandro Carbonare
"È UN problema se faccio l'intervista mentre
corro?". Il clarinettista Alessandro Carbonare
è un runner. Macina fino a 150 chilometri al
mese e non rinuncia all'allenamento
quotidiano nemmeno a poche ore da una
performance, come quella di stasera ai
Pomeriggi Musicali dove, diretto da
Alessandro Cadario, esegue il Concerto per
clarinetto e orchestra di Aaron Copland,
chicca di un variegato programma che
accanto alla novità di Maurilio Cacciatore,
Meccanica dei riflessi ovvero dell'amore,
pone l'Adagio di Barber e la Sinfonia n. 104 di Haydn.
Corre per aiutare il fiato?
"Macché: molti musicisti del passato fumavano, erano in sovrappeso e suonavano da dio.
Per noi clarinettisti non è tanto importante la quantità o la qualità del fiato, quanto usarlocon la giusta tecnica".
Sarà, ma lei riesce a correre mentre parla, e senza il fiatone.
"Beh, l'allenamento serve anche a questo, ma a me è utile soprattutto perché mi fa stare
meglio di testa. Dopodiché una maratona intera non l'ho mai fatta: richiederebbe uno
sforzo fisico eccessivo".
Lei ama molto il Concerto di Copland: più classico o più jazz?
"Lo adoro, ma non perché facendo parte del mio repertorio lo devo per forza amare:
perché è davvero speciale. Unisce alla perfezione il linguaggio classico americano a
quello jazz senza calcare né l'uno né l'altro. Perciò lo possono eseguire sia i jazzisti puri
che gli interpreti della classica. Io faccio improvvisazioni jazz da molti anni, mi trovo a casa
quando lo suono".
Un'orchestra classica però non le fa le improvvisazioni.
"Deve solo allenarsi un po' di più per "digerire" i ritmi molto complessi del concerto. Per il
resto classificherei come classico l'accompagnamento".
Primo clarinetto dell'orchestra di Santa Cecilia, ma anche ospite di formazioni
internazionali: come fa ad adattarsi a diverse realtà?
"Diverse? Diciamo che sono agli antipodi le orchestre tedesche dei Berliner e della
Filarmonica di Monaco e quelle di Chicago e New York con cui ho lavorato. A 20 anni
andavo e suonavo. A 47 ho l'elasticità per capire cosa devo cambiare con quel direttore,
con quei colleghi e anche in quella specifica sala. E lo faccio al volo".
Il fascino del suo strumento?
"Il repertorio: fra tutti gli strumentisti a fiato noi abbiamo quello più bello perché il clarinetto
è sempre stato amatissimo dai grandi compositori: gli hanno dedicato capolavori. Idem
nella musica jazz, etnica e klezmer (che amo e a volte suono). Solo il barocco mancaall'appello, ma sono stati scoperti dei concerti di Vivaldi per 2 chalumeau, l'antenato del
clarinetto, quindi ci siamo anche lì".
Un aspetto invece ostico?
"Per ora non ne vedo: i suoni che escono dal mio strumento sono ancora quelli che ho
nella testa. Quando questo non accadrà più, spero che qualche amico mi dirà:
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Alessandro, basta. Cosa non così ovvia: molti musicisti non sono più all'altezza, non se ne
accorgono e, peggio, nessuno glielo dice".
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