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AD 8 Aspettando Foucault, ancora

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AD 8Aspettando Foucault, ancora

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Aspettando Foucault,ancora

Asterios

Marshall Sahlins

Traduzione e cura di Ivano Stenta

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TITOLO ORIGINALE:Waiting for Foucault, Still

© Prickly Paradigm Press, Chicago 2002Traduzione di Ivano Stenta

Prima edizione nella collana AD: marzo 2012

Asterios Editore è un marchio editoriale di©Servizi Editoriali srl

Via Donizetti, 3/a - 34133 Triestetel: 0403403342 - fax: 0406702007

posta: [email protected]

I diritti di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento totale o parziale

con qualsiasi mezzo sono riservati.

ISBN: 978-8895146-46-1

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Indice

Aspettando Foucalut, ancora, 9L’invenzione della tradizione, 10

Sul materialismo, 12Eraclito vs. Erodoto, 12Post-strutturalismo, 13

La cultura giapponese cambia di continuo, 13Etica ed emica, 15

La poetica della cultura, I, 16La poetica della cultura, II, 16

La pseudo-politica dell'interpretazione (Gerald Graff), 17Utilitarismo, 18

Nella caduta di Adamo (Smith), peccammo tutti, 18

La poetica della cultura, III, 20Corsi per i nostri tempi, 23

Rilevanza, 24La polifonia non è cacofonia (per Maurice Bloch), 25

La cultura come pseudo-entità metafisica, 27Consapevolezza della cultura, 30

Orientalismo (dedicato al professor Gellner), 30Come risolvere il problemi del mondo, 31

L'origine della religione, 31La sindrome da ristorante cinese, 32

L'antropologia come critica culturale, 32Aspettando Foucault, 32

L'obbiettività come qualità secondaria, 33

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Ancora sul materialismo, 34Alcune leggi della civiltà, 35

Anti-relativismo, 35Relazioni della società = Simbolicità, 36

Terrorismo postmoderno, 36Capitalismo I, 37Capitalismo II, 37

Capitalismo III – Laissez faire – qui les a laissé?, 38La cospirazione della violenza e della dominazione

occidentali, 38Sviluppo economico, 39Sviluppo economico II, 39

Le discipline del colonialismo, 40Cultura della resistenza, resistenza della cultura, 40

L'indigenizzazione della modernità, 41Che è successo al “tardo capitalismo”?, 41L'uomo, il cacciatore – e l'ex Journal, 41

Il ritorno del superorganico, 42Balene bianche morte: dalla Leviatanologia

alla soggettologia, e vice versa, 44Soggettologia – continua, 51Storia del passato, 51Noooooooia!, 52Doppia identità, 54Conosci te stesso, 54

L'economia politica delle umanità, 55Un impero di tipo particolare, 55

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Aspettando Foucalut, ancora

Ovvero intrattenimento da dopo-cena di Marshall Sa-hlins per la quarta Conferenza Decennale dell’Associa-tion of Social Anthropologists of the Commonwealth,(Associazione degli Antropologi Sociali del Commonwe-alth), tenutasi ad Oxford il 29 Luglio 1993.

Lord Jenkins, Professoressa Strathern, cari colleghi...edaltri colleghi:

La professoressa Strathern mi ha incaricato di fornirviuno “svago da dopo-cena” in trenta minuti o meno, im-magino per fare in modo che non stiate già tutti dor-mendo quando il professor Stocking inizierà la sualezione su Huxley. Non so cosa io abbia fatto per meri-tarmi questo alto onore accademico, né tanto meno comeesserne all’altezza, tranne per il fatto che come molti divoi tengo un quaderno di osservazioni sotterranee, chevariano da appunti di una riga a intere pagine, dei qualiho pensato di offrirvi una selezione di acidi commenti suquello che succede oggigiorno all’interno dell’antropolo-gia, e che probabilmente non dovrebbe succedere. Findall’inizio, però, devo confessare che nel rileggere il mioquaderno mi sono stupito del fatto che Lord Keynes nonabbia raccontato l’intera storia per quanto riguarda il

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10 MARSHALL SAHLINS

lungo periodo. Rispetto all’antropologia, per lo meno,due cose sono certe sul lungo periodo: una è che saremotutti morti, un’altra, però, è che avremo tutti torto. Chia-ramente in una buona carriera di studioso la prima pre-cede la seconda.Un’altra cosa che mi ha colpito, e che mi ha aiutato a

trovare un titolo per il mio intervento, è che questo qua-derno assomiglia molto alla percezione del potere di Mi-chel Foucalut – poli-amorfo e perverso. È quindi in talespirito post-strutturalista che vi offro questo pasticherieper il vostro dessert.

L’invenzione della tradizione

Dato che la Gran Bretagna è la patria dell’“invenzionedella tradizione” non c’è bisogno che spieghi l’espres-sione. Sapete anche che gli antropologi si sono dati moltoda fare per adattare l’espressione all’attuale nostalgia perla cultura presso gli ex popoli coloniali. In tutto il terzo equarto mondo la gente esalta i valori dei loro usi tradi-zionali (così come essi li concepiscono). Purtroppo sututto questo moderno movimento culturale aleggiaun’aria di inautenticità da studiosi. L’etichetta accademica di “invenzione” basta già a sug-

gerire l’idea di pianificazione, e la letteratura antropolo-gica troppo spesso comunica il senso di un passato più omeno contraffatto, pompato per effetti politici, che pro-babilmente deve più alle forze imperialiste che alle fontiindigene. Come possibile antidoto vorrei portare alla vo-stra attenzione un notevole caso di invenzione di tradi-zione, la cui rispettabilità nessuno studioso occidentalesarebbe tentato di negare.

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È successo infatti che nel XV e XVI secolo un gruppo diintellettuali ed artisti indigeni europei si siano trovati eabbiano cominciato ad inventare le loro tradizioni e lorostessi cercando di ridare vita agli insegnamenti di un’an-tica cultura che sostenevano essere una conquista deiloro antenati ma che non comprendevano del tutto, datoche per molti secoli questa cultura era andata perduta ele sue lingue (il latino ed il greco) si erano corrotte oerano state dimenticate.Da secoli, poi, questi stessi europei erano stati convertiti

al cristianesimo, cosa che per altro non impediva loro diauspicare la restaurazione del loro retaggio pagano. Dinuovo si praticavano le virtù classiche, si invocavano ad-dirittura gli dei pagani. Ma nonostante tutto, date le circo-stanze – la grande distanza che separava gli intellettualiacculturati da un passato effettivamente irrecuperabile –,non si trattava di nostalgia. I testi ed i monumenti che co-struivano erano spesso imitazioni o facsimili dei modelliclassici. Hanno ricreato una tradizione consapevole di ca-noni fissi e ridotti all’essenziale. Scrivevano di storia nellostile di Livio, versi in un latino manieristico, tragedie se-condo Seneca e commedie secondo Terenzio. Decoravanole chiese cristiane con le facciate dei templi classici, ed ingenerale seguivano i precetti dell’architettura romana cosìcome erano stati fissati da Vitruvio – senza rendersi contoche tali precetti erano greci. Tutto ciò alla fine è stato chia-mato, nella storia europea, Rinascimento, perché ha datovita alla “civiltà moderna”.Cosa si può dire a tal proposito, se non che certa gente

è storicamente fortunatissima? Quando gli europei in-ventano le loro tradizioni – con i Turchi alle porte – sitratta di una genuina rinascita culturale, dell’inizio di un

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futuro di progresso. Quando sono altri popoli a farlo, èun segno di decadenza culturale, un recupero fittizio, chenon può far altro che portare avanti i simulacri di un pas-sato già morto.D’altra parte la lezione storica potrebbe essere che non

tutto è perduto.(Journal of Modern History, Primavera 1993)

Sul materialismo

Il materialismo dev’essere una forma di idealismo, datoche è sbagliato – anche quello.

Eraclito vs. Erodoto

Una delle argomentazioni usate in questo periodo controla coerenza delle culture e la possibilità di qualsivoglia tipodi etnografia sistematica è che, proprio come un famosofiume della filosofia, le culture cambiano continuamente,con un flusso tale che non ci si può mai immergere duevolte nella stessa. E, tuttavia, se l’identità e la continuitànon fossero simbolicamente imposte alle pratiche sociali,così come ai fiumi, e non solo da parte degli antropologi maanche della gente, non potrebbe esistere alcuna possibilitàdi comprendere, e neppure alcun tipo di salute mentale,per non parlare di una società. Quindi, per parafrasareJohn Barth, la realtà è un bel posto da visitare (filosofica-mente), ma nessuno ci ha mai vissuto.

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Post-strutturalismo

Ecco un racconto popolare americano moderno con lostesso effetto: tre arbitri della serie A di baseball discu-tono di come chiamare ball e strike. “Io li chiamo perquello che sono”, dice il primo. “Io”, fa il secondo, “lichiamo per come li vedo”. “Nah”, dichiara in terzo, che ènel giro da più tempo degli altri, “non sono niente finchénon li chiamo io”.Tecnicamente, stando al Cours de gymnastique géné-rale, la discussione è conosciuta come “carattere arbitra-rio del segno degli arbitri”.*Da cui il detto post-strutturalista “Don’t be Saus-

sure”.**Oggetto: Chicago Tribune, 23 Maggio 1993. Jim Lefeb-

vre, dopo l’incidente di venerdì sera, è il primo managernella storia del Joe Robbie Stadium ad esserne statoespulso. L’arbitro capo Ed Rapuano ha preso la decisionedopo che Lefebvre ha protestato perché aveva chiamatoun terzo strike su Sammy Sosa. “La palla era a terra”, hadetto Lefebvre, “quando mi ha espulso ha detto ‘Non miimporta dov’era il pitch.’ Non gli importa di dov’era ilpitch? Arbitro delle prime serie!”

La cultura giapponese cambia di continuo

Un mio amico giapponese mi ha detto che il famoso san-tuario a Ise è rimasto uguale dal VII secolo, tale e quale

* Gioco di parole involontario (N.d.T.)**gioco di parole intraducibile tra “non essere Saussure” e “non essernetanto sicuro” che in inglese si pronunciano grossomodo uguale (N.d.T.).

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era stato costruito. Logicamente agli occhi di un occiden-tale non sembra così vecchio. Ma stando all’attuale tra-dizione, gli edifici ad Ise sono stati ricostruiti (in luoghisempre diversi) ogni venti anni sempre nello stesso modo– usando gli stessi antichi strumenti e gli stessi materiali– e compiendo in ogni fase del processo i corrispondentiantichi rituali. Logicamente gli strumenti non potrebberoessere esattamente gli stessi, no? Non sono durati per tre-dici secoli. E cosa significa dire che i materiali sono glistessi, se ogni volta si usa legno nuovo? E possono dueperformance rituali mai essere “le stesse”?(In effetti il ciclo di ricostruzioni è stato interrotto, una

volta, per più di 150 anni, e gli edifici e gli attrezzi hannosubito alcuni cambiamenti. Ma non è quella la tradizione,o la percezione, predominante in Giappone. La tradizioneè che non sono cambiati, e la percezione è che sono glistessi.)Un critico d’arte occidentale spiega che gli edifici rico-

struiti non sono “repliche” ma “Ise ri-creata.”Forse qualcosa di simile alla concezione Shinto po-

tremmo trovarla in natura, nella nostra idea della conti-nuità di una foresta: la Foresta Amazzonica potrebbecontinuare ad esistere per secoli o millenni, anche seognuno degli alberi originali fosse sparito e fosse statosostituito molte volte. In ogni caso, è ovvio che l’identitàè una costruzione relativa, basata su una valutazione se-lettiva di similarità e differenze. A Ise, è irrilevante che imateriali siano stati rinnovati – e che quindi, per occhioccidentali, “non siano gli stessi” – fintantoché sono dellostesso tipo e sono stati assemblati sotto l’antico regimetecnico e rituale. Stando a criteri analoghi, quello chechiamiamo Tinturn Abbey non potrebbe chiamarsi così,

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15ASPETTANDO FOUCAULT

nonostante l’età e l’“antichità” delle pietre. Non sarebbela Tinturn Abbey, perché è una rovina.Nella sua Vita di Teseo, Plutarco racconta questa storia

sulla nave su cui l’eroe è ritornato ad Atene dopo aver uc-ciso il Minotauro. La galera a trenta remi su cui Teseo na-vigò con i giovani e ritornò salvo venne conservata dagliateniesi fino al tempo di Demetrio di Falero (317-307a.C.). Ad intervalli di tempo rimuovevano le vecchie assie le sostituivano con altre nuove, così che la nave divenneuna classica illustrazione, per i filosofi, della tanto di-scussa questione della crescita e del cambiamento, conalcuni che sostenevano che stesse rimanendo la stessa, ealtri che fosse diventata un altra imbarcazione.E noi cosa dovremmo farcene dell’osservazione popo-

lare che “la cultura cambia di continuo”?

Etica ed emica

Tutta l’etica e tutti i linguaggi (cosiddetti) di descrizionescientifica obiettiva si basano su una griglia di distinzionisignificative o emiche. Prendete l’alfabeto fonetico inter-nazionale, mediante il quale si possono registrare e ripro-durre “obiettivamente” i suoni significativi di qualsiasilingua. L’alfabeto fonetico è composto da tutte le opposi-zioni fonematiche che si conoscano – da tutte le diffe-renze nei segmenti di suono a cui si sa che corrispondonodifferenze di significato nelle lingue del mondo. Quindi,in linea di principio, la descrizione obiettiva di un qual-siasi linguaggio consiste nel confronto di tale linguaggiocon l’ordine significativo degli altri.Lo stesso vale per l’etnografia. Nessuna buona etnogra-

fia è auto-contenuta. Implicitamente o esplicitamente

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l’etnografia è un atto di confronto – è attraverso il con-fronto che la descrizione etnografica diventa obiettiva.Non nell’ingenuo senso positivista della percezione senzamediazioni – anzi, l’esatto opposto: diventa di compren-sione universale proprio perché incorpora nella perce-zione di qualsiasi società le concezioni di tutte le altre.Ho l’impressione che secondo alcuni tipi di Studi Cultu-rali – Cult Studs, per usare l’espressione di Tom Frank –l’antropologia non è altro che etnografia. Meglio vice-versa: l’etnografia è antropologia, o non è niente.

La poetica della cultura, I

Cercasi antropologi. Nessuna esperienza davvero neces-saria. Guadagni più alti della maggior parte dei poeti.

La poetica della cultura, II

Parlando della cultura come ordine superorganico, nelquale i singoli non contano quasi niente, a A.L. Kroeberpiaceva usare la metafora della barriera corallina: unvasto edificio costruito da piccoli microorganismi, cia-scuno dei quali, facendo semplicemente quello che è nellasua natura di fare, secerne un’impercettibile aggiunta aquesta struttura, la cui scala e la cui organizzazione lo tra-scende di molto.Lo stesso vale nella cultura:

I grandi uomini ci ricordanoChe possiamo rendere sublimi le nostre viteE, nell’andarcene, lasciarci dietro...Un piccolo deposito di limo.Lives of great men all remind us

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We can make our lives sublime,And in passing leave behind us…A small deposit of lime.*

La pseudo-politica dell’interpretazione(Gerald Graff)

In un recente numero del giornale di avanguardia Cultu-ral Anthropology, certo relativismo culturale veniva re-spinto in quanto (cito) “politicamente inaccettabile”.Analogamente, un breve commento su un recente librodi saggi sulla storia polinesiana ci mette in guardia dalfatto che Negara di Geertz, e le opere polinesiane di Sa-hlins, con i loro tentativi di comprendere la storia in ter-mini di cultura e struttura, condizionano gli studi altruicon nozioni “pericolose”: nozioni essenzializzanti che ap-plicano falsamente ad un popolo qualità culturali eterne,o sopravvalutano le ideologie egemoniche trascurando “ilcarattere politicamente fratturato e contestato della cul-tura”. Pericolose? Spero che non sia lontano il giorno incui questo tipo di terrorismo sembrerà palesemente lu-natico. Nel frattempo, comunque, il miglior argomentointellettuale è la superiorità morale e politica. Per saperecosa sono gli altri popoli, è sufficiente tenere un correttoatteggiamento nei confronti del sessismo, del razzismo,e del colonialismo. Come se la loro verità fosse la nostraonestà; o come se i valori culturali di altri tempi ed altriluoghi, gli eventi là organizzati e le persone responsabilidi essi, fossero stati creati apposta per rispondere alle do-mande – qualunque esse siano – che inquietano noi ora.Ma (e parafraso Herder) questi popoli non hanno sofferto

*I primi tre versi sono di Henry Wasdworth (N.d.T.).

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18 MARSHALL SAHLINS

e non sono morti solo per concimare i nostri piccolicampi accademici.E di certo è un crudele fato post-modernista quello che

richiede all’etnografo di celebrare la diversità controege-monica dei discorsi degli altri popoli – la famosa polifoniao eteroglossia – mentre allo stesso tempo lui o lei è co-stretto o costretta a confessare che la sua stessa voce di stu-dioso è l’espressione stereotipica di un sistema di poteretotalizzato. Sembra che l’imperialismo sia l’ultimo dei vec-chi sistemi culturali. La nostra è l’unica cultura che è sfug-gita alla decostruzione con il cambio dell’avanguardia,dato che continua con il suo carattere essenzializzato e mo-nolitico come sistema di dominazione. Gli antropologi,quindi, non possono fare altro che riprodurla. La criticaavanzata diventa quindi l’ultimo rifugio dell’idea che l’in-dividuo è un attrezzo della sua cultura. Il che dimostraanche che coloro che ignorano il loro stesso funzionalismosono destinati a ripeterlo – e la seconda volta è una farsa.

Utilitarismo

Un popolo secondo il quale la vita consiste nella ricercadella felicità dev’essere cronicamente infelice.

Nella caduta di Adamo (Smith), peccammo tutti

La punizione fu il crimine. Disobbedendo a Dio per sod-disfare i suoi desideri, anteponendo l’amore per se stessoa quello per Lui solo, che poteva bastare, l’uomo si con-dannò a diventare lo schiavo di insaziabili desideri cor-porei: una creatura limitata ed ignorante abbandonata in

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19ASPETTANDO FOUCAULT

un mondo ingestibile e meramente materiale, a lavorarecon fatica, soffrire, e morire. Fatto di “spine e cardi”, re-sistente ai nostri sforzi, il mondo, ha detto Agostino, “nonoffre ciò che ha promesso, è bugiardo e inganna.” L’in-ganno consiste nell’impossibilità di placare i nostri desi-deri libidinosi con i beni terreni, con la dominazione econ i piaceri della carne. L’uomo quindi è destinato a “in-seguire una cosa dopo l’altra, e niente rimane per semprecon lui...i suoi bisogni si moltiplicano talmente tanto chenon riesce a trovare l’unica cosa che gli serve, una naturasemplice e costante”Ma Dio fu misericordioso. Ci dette l’economia. Al

tempo di Adam Smith, la miseria umana era stata tra-sformata nella scienza positiva di come gestire le nostreeterne insufficienze: come ottenere la maggior soddisfa-zione possibile con mezzi che sono sempre minori diquanto vorremmo. Si trattava della stessa antropologiagiudaico-cristiana, ma borghesizzata, ed in generale unaprospettiva in qualche modo più incoraggiante sullestesse opportunità di investimento che la sofferenzaumana poteva permettersi. In un famoso saggio che de-lineava tale campo, Lionel Robbins ammetteva esplicita-mente che la genesi dell’economia era l’economia dellaGenesi. “Siamo stati cacciati dal Paradiso”, ha scritto,“non abbiamo né la vita eterna né mezzi per essere sod-disfatti senza limiti”, ma una vita di scarsità, nella qualescegliere una cosa buona significa privarsi di un’altra. Lavera ragione per cui l’economia è cupa è che è la scienzadella condizione post-lapsariana. E l’Uomo Economicoche abita a pagina uno di un (qualsiasi) libro di testo diPrincipi Generali di Economia è Adamo.

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20 MARSHALL SAHLINS

La poetica della cultura, III

Potere, potere dappertutto,ed i segnali si restringonoPotere, potere dappertutto,e nient’altro a cui pensare

L’attuale ossessione Foucaltiana-Gramsciana-Nietzscheanaper il potere è l’ultima incarnazione dell’incurabile funzio-nalismo dell’antropologia. Come i suoi predecessori struttu-ral-funzionalisti ed utilitaristi, l’egemonizzazione èl’egemonizzazione: la dissoluzione di specifiche forme cul-turali in effetti strumentali generici. Un tempo quello che bi-sognava sapere sui rapporti scherzosi prescrittivi – la lorostessa raison d’être – era il loro contributo al mantenimentodell’ordine sociale, anche quando erano le cerimonie tote-miche o i maghi guardiani a organizzare la produzione ali-mentare. Ora, però, il “potere” è il buco nero intellettuale incui vengono risucchiati tutti i tipi di contenuti culturali, doveprima era “solidarietà sociale” o “vantaggio materiale”.Continuiamo sempre questo sciocco baratto con le re-

altà etnografiche, rinunciando a quello che sappiamodi esse per, in cambio, comprenderle. Come ha dettoSartre di certo volgare Marxismo, siamo costretti aprendere il vero contenuto di un pensiero o di un attocome mera apparenza, ed una volta dissolto questo par-ticolare in un universale (in questo caso l’interesse eco-nomico), ci prendiamo la soddisfazione di credere diaver ridotto l’apparenza a verità. Max Weber, nel criti-care alcune spiegazioni utilitaristiche dei fenomeni re-ligiosi, osservava che solo perché un’istituzione puòessere rilevante per quanto riguarda l’economia, non

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21ASPETTANDO FOUCAULT

significa che sia economicamente determinata.Ma sulla scia di Gramsci e Foucault, l’attuale neo-fun-

zionalismo del potere sembra ancora più completo: comese tutto ciò che potrebbe essere rilevante per il poterefosse il potere. È incredibile, quindi, la varietà di cose che gli antropo-

logi riescono a spiegare mediante il potere e la resistenza,l’egemonia e la contro-egemonia. Dico “spiegare” perchél’argomento consiste interamente nel categorizzare laforma culturale in questione in termini di dominio, comese bastasse a giustificarla. Ecco alcuni esempi tratti dalleultime annate di American Ethnologist e Cultural An-thropology (o “acculturata”).

1. Soprannomi a Napoli: “una pratica discorsiva usataper costruire una particolare rappresentazione delmondo sociale [dare dei soprannomi] può diventare unmeccanismo con cui rinforzare l’egemonia dei gruppi do-minanti su scala nazionale rispetto a quelli locali che mi-nacciano la riproduzione del potere sociale” [Buu, nonsai mai cosa c’è dietro ad un soprannome!].2. La poesia lirica beduina: questa è contro-egemonica

[Yeah!]3. La moda femminile a La Paz: contro-egemonica

[Yeah!]4. La categorizzazione sociale degli schiavi dominicani

liberati come “contadini”: egemonica [Buu].5. Il sistema della fiesta nelle Ande durante il periodo

coloniale: egemonico.6. La “spiritualità” artefatta delle donne della classe

media del Bengali, così come viene espressa nella dieta enei vestiti: nazionalismo e patriarcato egemonici.

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7. Alcuni pronomi vietnamiti: egemonici.8. I lamenti funebri degli indiani Warao in Venezuela:

contro-egemonici.9. Le case costruite col fai-da-te dei lavoratori brasi-

liani: un’apparente contro-egemonia che introduceun’egemonia peggiore.10. Gli scatenati giochi scatologici dei disoccupati mes-

sico-americani della working class: “un’interruzione op-positiva dell’alienante egemonia della cultura e dellasocietà dominante.”11. Il buon senso : “il pensiero ed i sentimenti del buon

senso non devono tranquillizzare una popolazione irre-quieta, ma possono incitare ad una ribellione violenta,anche se contenuta.”12. Il concetto di cultura come un intero continuo e

della società come un’entità legata: idee egemoniche chehanno “efficacemente mascherato la miseria umana eplacato le voci del dissenso” (placato? Dateci allora il vo-stro “stanco” ed il vostro “assetato”).

“Un iper-gonfiaggio di significato” sarebbe un altromodo per descrivere il nuovo funzionalismo, che traducel’apparentemente triviale nel fiduciosamente politico conuna retorica che tipicamente è come un dizionario dinomi e concetti alla moda, molti dei quali francesi, unvero La Ruse del postmodernismo. Logicamente l’effetto,più che di amplificare il significato dei soprannomi na-poletani o dei pronomi vietnamiti, è di trivializzare ter-mini come “dominazione”, “resistenza”, “colonizzazione”,addirittura “violenza” e “potere”.Deprivate di riferimenti alla vera politica, queste parole

diventano puri valori, pieni di rumore e furia, che non si-

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23ASPETTANDO FOUCAULT

gnificano niente...tranne a chi parla.

Corsi per i nostri tempi

Un collega dell’Università di Chicago, esperto di culturamateriale, teneva un corso sul “Blues di Chicago”, con lagenerica intestazione “Lo studio intensivo di una cul-tura”, una rubrica generale per i corsi universitari dedi-cati alla presentazione delle recenti ricerche etnografiche.Questa cosa mi ha spinto a pubblicare a mia volta un an-nuncio sulla bacheca del dipartimento, perché pensavoche se il Blues di Chicago era una cultura, allora anche ilfootball del Michigan doveva esserlo – una cultura su cuiin effetti ho svolto approfondite ricerche.

STUDIO INTENSIVO DI UNA CULTURA:IL FOOTBALL NEL MICHIGAN

Antropologia 21215Sabato, 1:30 – 4:30 pm

Crediti extra per il primo dell’anno.Insegnante: Marshall Sahlins

Solo studenti pre-specialistica, limite di 10.

Data l’impossibilità della pura presenza, i materiali peril corso consisteranno in trasmissioni video – considerateperò nella loro testualità. Non si può pretendere una nar-rativa totale o completa sul football, ma solo una consi-derazione di alcune aporie della formazione Power-I –che sarebbe a dire, della soggettività postmoderna. Tragli argomenti selezionati: il trash-talking o i discorsi con-testati, i tight end (uno dei ruoli d’attacco di una squadra

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di Football Americano N.d.T.), le spread position ed altreposizioni del soggetto, il post-Gerry-Fordismo o il sog-getto decentrato, il post-decostruzionismo ed altre cele-brazioni per la vittoria, e l’assistenzialismo del caschetto.Ma non era questa la cosa divertente. La cosa diver-

tente è stato vedere quanti studenti, compresi alcunidella specialistica, l’abbiano preso seriamente, abbianocreduto che esistesse davvero un corso del genere, e miabbiano scritto via email chiedendomi di iscriversi. Unomi ha addirittura chiesto se potevo assumerlo come as-sistente per le lezioni. E alla fine del quadrimestre altrequattro persone mi hanno chiesto com’era andato ilcorso. Impressionante!

Rilevanza

Non so come sia la situazione in Gran Bretagna, ma inAmerica molti studenti della specialistica sono del tuttodisinteressati a quello che succede o è successo altrove oin altri tempi. Dicono che dovremmo studiare solo i pro-blemi attuali, e che comunque qualsiasi altra etnografiaè impossibile, dato che è solo la nostra “costruzione del-l’altro”.Se riusciranno ad imporre questa linea, se questo di-

venterà il principio di base della ricerca antropologica,nel futuro nessuno presterà la minima attenzione al la-voro che si sta compiendo ora. Magari ci hanno azzec-cato.

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La polifonia non è cacofonia (per Maurice Bloch)

Malama Meleisea racconta di aver appreso due storiecompletamente diverse e conflittuali sulla storia di certicapi Samoani dalla bocca dello stesso medesimo matai(colui che detiene il titolo di capo). Messo di fronte a talidiscrepanze il matai ha fatto presente a Meleisea che idue titoli che deteneva riguardavano due villaggi sepa-rati, e che, se Malama ricordava, la prima storia l’avevaraccontata in uno, la seconda nell’altro. Quindi ovvia-mente la prima volta parlava in veste di un capo, la se-conda di quello rivale. E cosa c’era di tanto assurdo?Viene in mente il detto cartesiano sulle idee chiare e di-stinte – intendo Hocartesiano,* ovviamente, da non con-fondersi con le dottrine essenzialiste di Descartes – valea dire quel detto riguardante le Isole Fiji, dove due enun-ciati contraddittori non sono necessariamente un’assur-dità. “Ci appaiono contraddittori”, dice Hocart, “perchénon conosciamo, se non ne abbiamo avuto molta espe-rienza, il punto di vista da cui proviene ciascuno dei due.”Ma difficilmente le litanie post-strutturaliste sul carat-

tere instabile e contestato delle logiche culturali smette-ranno presto di assillarci – litanie sulle percezioni e sui

* Per Hocartesiano, oppure Ho-cartesiano, si intende relativo ad ArthurMaurice Hocart (di qui l’assonanza ingannatrice con Cartesio, o Descar-tes). Hocart (1883-1939) è stato un antropologo inglese noto per i suoistudi, talvolta piuttosto stravaganti e definibili pre-strutturalisti, sullesocietà della Melanesia, della Polinesia e di Ceylon (ora Sri-Lanka). Lasua opera più nota rimane Kings and Councillors: An Essay in theComparative Anatomy of Human Society, pubblicata nel 1936. La ci-tazione qui proposta riguardo alle Fiji è tratta dal suo studio, apparsopostumo nel 1952, The Northern states of Fiji (N.d.T.).

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significati che variano tra uomini e donne, tra capi e per-sone comuni, tra ricchi e poveri, vecchi e giovani, questoe quel villaggio, ieri ed oggi – come se una differenza im-plicasse necessariamente una forma di disordine.Ma ciò nonostante, non tutto, in questo ambito, viene

contestato (il che dimostra tra l’altro che siamo qua perparafrasare Durkheim, non per seppellirlo). Per quantopolifonica o eteroglossa possa essere una monografia,non si troverà una voce giapponese in un testo di etno-grafia sugli indiani Sioux.Per poter contestare le categorie bisogna comunque

avere un sistema di intelligibilità condiviso, che com-prenda le basi, i mezzi, i modi e le questioni del disac-cordo. Le differenze in questione, inoltre, implicano unlivello di relazione, ed ancora di più se sono sovversiveed esprimono quindi i valori posizionali e gli interessi deiparlanti in un dato ordine socio-politico. Come dice Cas-sierer in un altro contesto, “la consapevolezza di una dif-ferenza è la consapevolezza di una connessione”.L’alternativa è supporre che tutto quello che la gente

dice sia arbitrario ed aleatorio dal punto di vista dell’esi-stenza sociale – nel qual caso, è vero, non potrebbe esi-stere qualcosa come la conoscenza antropologica, né se èper questo un’esistenza sociale. Ma se, riguardo ad unparticolare evento o fenomeno, le donne di una comunitàdicono una cosa e gli uomini un’altra, non sarà forse chela differenza tra quello che dicono esprime delle diffe-renze sociali nella costruzione del genere – le loro posi-zioni discordanti riguardo un dato universo sociale e laloro analogamente discordante esperienza di tale uni-verso? Se le cose stanno così allora c’è una maniera non-contraddittoria – oserei dire, una maniera totalizzante –

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per descrivere la discrepanza. C’è del sistematico nelledifferenze, c’è un sistema delle differenze. Bakhtin nonha mai pensato che la presenza di voci di dissenso fossenon-sistematica. Ha detto invece che, combinata con ildiscorso autoritario, una tale eteroglossia produceva unsistema più complesso.

La cultura come pseudo-entità metafisica

Il fatto che gli antropologi non siano in grado di mettersid’accordo su cosa sia la “cultura” ha spinto molti a dellepesanti conclusioni, la più seria delle quali è che il con-cetto di cultura è un artefatto di un preciso periodo sto-rico, logicamente incoerente e “stracolmo, che ci piacciao meno, di bagagli ideologici ed associazioni inconsce le-gate specificamente ad un particolare insieme di circo-stanze storiche” (Cristopher Herbert). Verrebbe dapensare che una cosa del genere andrebbe gettata via ilpiù presto possibile.E non dovremmo fare lo stesso con il denaro?“Denaro” è un concetto del tutto elusivo – ancora più

difficile da comprendere, credo, di “cultura”. Gli econo-misti e gli storici dell’economia non riescono a mettersid’accordo su una definizione di “denaro”. Le differenzetra le loro opinioni in merito al denaro fanno sembrarela collezione di Kroeber-Kluckhorn di definizioni di “cul-tura” un invidiabile consenso. E le cose peggiorano an-cora quando intervistiamo i nativi.In pratica, “denaro” è una nozione capziosa se mai ce

n’è stata una, una categoria contestata senza confini nécontenuti definiti. Ricchi e poveri, vecchi e giovani, clero

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e laici, poeti e scienziati, psicoanalisti e gente sana dimente: tutti hanno talmente tante incompatibili opinionisul fatto se i soldi siano una cosa buona o cattiva, su cosapossano o non possano comprare, se possano o non pos-sano rendere felici, su che rapporto abbiano con l’amore,la politica, la bellezza, la giustizia, l’amicizia, l’animaumana, e via così.Molta gente, per lo più gente senza soldi, dice che i soldi

non possono comprare tutto. In particolare non possonocomprare la felicità: gente che ha 25 milioni, per esempio,non è percettibilmente più felice di gente che ne ha 24; ecomunque i ricchi generalmente non sono felici. Questiultimi hanno però molte consolazioni, come ha notatoPlatone – la principale delle quali è presumibilmente illoro denaro. E nonostante la forza di carattere di cui i ric-chi necessitano per sopravvivere a tutte le loro avversità(Rex Stout), la maggior parte dei filosofi moderni è d’ac-cordo nell’affermare che il denaro è meglio della povertà– “fosse anche solo per ragioni finanziarie”, come speculaWoody Allen. Questa conclusione è stata sostenutaanche, in maniera persuasiva e su controllate basi empi-riche, da Sophie Tucker: “Sono stata ricca e sono statapovera, e ricca è meglio”.Profonde incertezze epistemologiche riguardano, ana-

logamente, la questione che il denaro non può comprarela conoscenza, un discorso reso dolorosamente proble-matico dai costi e dai ricavi delle università private ame-ricane. Secondo un moderno proverbio ebraico, tuttavia,anche se il denaro non vi renderà esperti di fisica, vi aiutaperò ad apprezzare la realtà.La teologia pecuniaria cristiana, tra l’altro, è un altro

incubo di eteroglossia. Le idee espresse nel Nuovo Testa-

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mento sulla relazione tra il male e l’amore per i soldi sonoben note, ma c’è qualcosa di più di un sentore di eresianella popolare espressione che “il desiderio di denaro èla radice del male”. Riguardo l’osservazione di Abe Lin-coln che “Dio deve amare i poveri, altrimenti non neavrebbe creati così tanti”, H.L. Mencken ha risposto che“Deve amare i ricchi, altrimenti non avrebbe spartitotanta grana tra così pochi di loro.”Tutto ciò suggerisce che il denaro sia un prototipo di ca-

tegoria confusa. Continuamente soggetto a discorsi con-flittuali, il concetto di denaro viene costantemente erosonelle sue fondamenta da una politica di interpretazionenella quale le voci di dissenso mettono in discussione lenorme egemoniche. Ne consegue che il significato del de-naro in relazione alle altre cose, il valore Saussuriano dellacategoria, si sposta di continuo. Considerate i grovigli dellecategorie di “denaro” e “sesso”. Quando diciamo che qual-cuno è ben piazzato o ben dotato, di cosa stiamo parlandoesattamente? Queste ambiguità sono state succintamenteriassunte da Zsa Zsa Gabor: “Quello che io intendo con‘ricco’, non lo sono; quello che le altre persone intendonocon ‘ricco’, lo sono.”Ovviamente il concetto di “denaro”, sul quale si basa la

scienza economica, è altamente artificiale, storicamenteparticolare, e profondamente ideologico.Dico “ideologico” perché la promulgazione di questa

funzione, così come quella della dottrina essenzialistadella cultura, ha evidenti effetti di colonizzazione. Èchiaro che la diffusione del concetto di denaro è utile alleambizioni imperialiste del capitalismo occidentale. E tut-tavia, proprio come la nozione totalizzata di “cultura” co-struita dagli antropologi è un fenomeno metafisico, così

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questo “denaro” è un fantasma altrettanto metafisico,profondamente ed incurabilmente equivoco. Il denaro,come la cultura, è una pseudo-entità. Ed uno scemo vienefacilmente separato da entrambi.

Consapevolezza della cultura

La parola “cultura” è diventata di uso comune. Per la ge-nerazione di adesso fa molto del lavoro che un tempo ve-niva assegnato a “psicologia” o ancora “ethos”. Si parlavadella “psicologia di Washington (D.C.)” o dell’”ethos del-l’università” – ora è “la cultura di Washington” e “la cul-tura dell’università”. C’è anche “la cultura della fabbrica disigari”, “la cultura della dipendenza dalle droghe”, “la cul-tura degli incontri di antropologia”, ecc. Per un bel po’ ditempo questo apparente degrado dell’oggetto dell’antro-pologia mi ha preoccupato. Un giorno però ho capito chel’“Economia” era ancora viva come scienza nonostantetutti parlassero di “economia” ed “economie”. Ed analoga-mente la sociologia sopravvive a tutti gli utilizzi della pa-rola “sociale”. E di recente ho visto, nell’ascensore di unhotel, un poster con su scritto: “50 hotel, 22 paesi, una fi-losofia.” E pensate che avremmo dei problemi con “cul-tura”? E la Filosofia? Tutti hanno una loro filosofia. Nonper questo la Filosofia è morta.

Orientalismo (dedicato al professor Gellner)

Nell’antropologia ci sono alcune cose che è meglio nondire.(Gioco di parole intraducibile tra il cognome di Ed-