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Uno sguardo aggiornato sulla situazione geopolitica del mondo, per capire dove sono i conflitti in corso e quali saranno gli scenari futuri. Con foto, illustrazioni, mappe e “schede conflitto” suddivise per continente.
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ATLANTEDELLE GUERREE DEI CONFLITTIDEL MONDOSesta edizione
ATLANTEDELLE GUERRE E DEI CONFLITTIDEL MONDO
Associazione 46° Parallelo
Sesta edizioneDedicata a tutti coloroche sono morti per raccontarcicome vanno le cose
2
ATLANTE DELLE GUERRE E DEI CONFLITTI DEL MONDOSESTA EDIZIONE
Direttore ResponsabileRaffaele Crocco
Capo RedattoreFederica Ramacci
In redazioneBeatrice Taddei SaltiniDaniele Bellesi
Hanno collaboratoPaolo AffatatoMario BocciaManu BraboFabio BucciarelliNicole CorritoreCecilia Dalla NegraAngelo d’Andrea Davide DemichelisDanilo EliaMarina FortiFederico FossiEmanuele GiordanaRuggero GiulianiFlora GraiffDiego Ibarra SánchezRosella IdéoAdel JabbarFlavio LottiEnzo ManginiFederica MiglioRazi MohebiSohelia MohebiEnzo NucciIlaria PedraliAlessandro PiccioliEmanuele ProfumiAlessandro RoccaOrnella SangiovanniPino ScacciaLuciano ScalettariAlessandro TurciGuillem ValleAlessandro VanoliRoberto Zichittella
RedazioneAssociazione 46° ParalleloVia Piazze 34 - [email protected]
www.atlanteguerre.it
Foto di copertina"Un guardiano Dinka controlla la sua mandria al campo di Yirol" il 13/02/2014©Fabio Bucciarelliwww.fabiobucciarelli.com
Testata registrata pressoil Tribunale di Trento n° 1389RSdel 10 luglio 2009
Tutti i diritti di copyright sono riservati
ISSN: 2037-3279ISBN-13: 978-8866810759Finito di stampare nel febbraio 2015Grafiche Garattoni - Rimini
Progetto grafico ed impaginazioneDaniele Bellesi
Progetto grafico della copertinaDaniele Bellesi
Un ringraziamento speciale a:Gabriele Eminente, Direttore Generale Medici Senza Frontiere Italia
Carlotta Sami, Portavoce Unhcr Italia
Riccardo Noury, Portavoce di Amnesty International
Marica Di Pierri, Presidente Cdca
Estela Carlotto, Presidente Abuelas de Plaza de Mayo
Giovanni Scotto, Presidente del corso di laurea Sviluppo economico, cooperazione internazionale, socio-sanitaria e gestione dei conflitti (SECI)
Il progetto, Tentativi di Pace, è stato realizzato con la collaborazione di studenti del SECI e del corso di laureain Scienze Politiche:Nicola Delle FogliePietro FantechiAndrea FrancioniZoe GuerriniRenata Yusupova
3
AlgeriaCiad
Costa d’AvorioLiberia
LibiaMali
NigeriaRepubblica Centrafricana
Repubblica Democratica del CongoSahara Occidentale
SomaliaSudan
Sud Sudan
ColombiaHaiti
AfghanistanCina/Tibet
FilippineIndia
IraqKashmir
KurdistanPakistan
ThailandiaYemen
Israele/PalestinaLibano
Siria
CeceniaCipro
GeorgiaKosovo
Ucraina
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Editoriale Raffaele CroccoSaluti AmministratoriIntroduzione Riccardo NouryIntroduzione Gabriele EminenteIntroduzione Marica Di PierriIntroduzione Francesca ChiavacciIstruzioni per l’uso La RedazioneLa situazione Raffaele CroccoIn cerca della pace/1 Giovanni ScottoIn cerca della pace/2 Flavio LottiInformazione e guerra Pino ScacciaVittime di guerra/1 Razi e Sohelia MohebiVittime di guerra/2 Ruggero GiulianiVittime di guerra/3 Enzo NucciGeografia della guerra Rosella IdéoNon solo guerra Enzo NucciSPECIALE CONFLITTI AMBIENTALIConflitti ambientali/1 CdcaConflitti ambientali/2 CdcaConflitti ambientali/3 CdcaConflitti ambientali/4 CdcaConflitti ambientali/5 CdcaAfricaDiritti umani difficili Amnesty InternationalUn laboratorio per la pace Giovanni ScottoSCHEDE AFRICAInoltre Burkina Faso - Etiopia - Guinea Bissau - UgandaAmericaViolenza e pena di morte Amnesty InternationalUna terra sempre in bilico Giovanni ScottoSCHEDE AMERICAInoltre MessicoAsiaDemocrazia e Diritti Amnesty InternationalTroppo facile distribuire le colpe Giovanni ScottoSCHEDE ASIAInoltre Birmania/Myanmar - Cina/Xinjiang - Corea del Nord/Sud - Iran - KirghizistanMedio OrienteLo scontro Israele-Palestina Amnesty InternationalSembra finito l’ordine post-coloniale Giovanni ScottoSCHEDE MEDIO ORIENTEEuropaRespingimenti Amnesty InternationalLa fragilità dell'Europa Giovanni ScottoSCHEDE EUROPAInoltre Irlanda del Nord - Nagorno Karabakh - Paesi BaschiSPECIALE SVOLTA ISLAMLa vecchia Grande Guerra Adel JabbarSvolta Islam: tutto come prima Ilaria PedraliSvolta Islam: una prospettiva storica Alessandro VanoliSvolta Islam: il glossario Alessandro VanoliLe missioni OnuNazioni Unite - I Caschi Blu Raffaele CroccoVittime di guerra/4 Federico FossiSPECIALE DONNE E GUERRADonne e Guerra/1 Carlotta SamiDonne e Guerra/2 Estela CarlottoDonne e Guerra/3 Nicole CorritoreDonne e Guerra/4 Mario BocciaLa pirateria Alessandro RoccaLe vignette di Kako Flora GraiffNon solo Atlante 46° ParalleloGruppo di lavoroFontiGlossarioRingraziamenti
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Idea e progettoAssociazione 46° ParalleloVia Piazze 34 - Trento
EdizioneAssociazione 46° ParalleloVia Piazze 34 - [email protected]
In collaborazione conEditrice AAM Terra Nuova S.r.l. Via Ponte di Mezzo, 150127 - FirenzeTel. +39 055 3215729 [email protected]
In collaborazione con
Partner
www.ilariaalpi.it
Con il contributo di
Con il patrocinio di
Con il supporto di Con la collaborazione di
Sponsor
© Guillem Valle / MEMO
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
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L’incertezza è se parlare della tragedia di Ebola, gonfiata dall’incapacità internazionale di ca-pire la portata del problema o se affrontare temi più diretti, per quanto riguarda la guerra. Ad esempio, uno Stato Islamico imposto con il terrore; una guerra in Europa, in Ucraina, dagli odo-ri antichi; un massacro che continua nei Territori Palestinesi. Il Pianeta continua ad avere la
febbre e le ragioni che portano a conflitti armati, guerre, scontri, si moltiplicano, esattamente come crescono ingiustizie, differenze sociali, disuguaglianze. Il 2014 si è chiuso con pochi risultati positivi. In estate abbiamo, ad esempio scoperto, che sono 63 i Paesi in via di sviluppo che hanno raggiunto l'obiettivo di debellare la fame cronica e altri sei sono sulla buona strada. Il numero di persone al mondo che rischiano la pelle per mancanza di cibo è quindi sceso a 100milioni di individui. Cifra spaventosa, ma in calo netto e costante. Insomma, una buona cosa, che fa il paio con il rallentare di Ebola nei Paesi africani. Per il resto, c’è poco da stare allegri, meglio dirselo subito. Gli economisti, ad esempio, hanno confermato che il divario fra popolazione ricca e povera continua a crescere, in modo esponenziale. Una cosa, questa, che certamente non fa bene ai rapporti fra esseri umani. Così, dal punto di vista della guerra, il 2014 è degno figlio di quel ’14 che cent’anni prima ha dato la stura al massacro che continua anche oggi. Pensate il caso: nella Prima Guerra Mondiale furono 46 i Paesi coinvolti. Oggi abbiamo 33 Paesi in guerra e una decina sono in pericolo. Contate: le cifre tornano. Per capire come non ci sia respiro, basta fare la cronaca di una giornata qualsiasi. A me è capitato di farlo un po’ prima del 15 agosto 2014. Ve la riporto. “Il consiglio dei ministri degli Esteri dell’U-nione Europea, a Bruxelles, ha accolto con “favore" la decisione di alcuni stati membri di armare i curdi iraqueni che combattono i miliziani dell’Isis, il neo creato califfato musulmano. Intanto, in Iraq, continuano i combattimenti, durissimi, fra i peshmerga curdi e i miliziani islamici. Sul monte Sinjar, la minoranza Yazida resta sotto assedio, trecento i morti accertati. In Ucraina, il Governo di Kiev ha confermato l’incursione di una colonna militare russa sul proprio territorio. L’artiglieria dell'esercito avrebbe distrutto gran parte della colonna di automezzi blindati per il trasporto delle truppe. In Libia gli scontri per il controllo della capitale - Tripoli - continuano da giugno, con le delegazioni straniere in fuga. Intanto, a Gaza tiene a fatica la tregua. Le fazioni radicali israeliane e palestinesi non gradi-scono i tentativi di pace in corso, protestano. In Nigeria i miliziani integralisti islamici di Boko Haram - gli stessi che hanno rapito e mai rilasciato centinaia di studentesse due mesi fa - hanno seque-strato "decine di persone" fra le comunità di pescatori nel Nord-Est”. Tutto questo, ve lo garantisco, in un solo, assolato e pigro, giorno d’agosto. È davvero difficile parlar bene dell’anno che è passato.
Il DirettoreRaffaele Crocco
Giorni pieni d’odio e di ingiustiziaLa disuguaglianza alimenta la guerra
Editoriale
UNHCR/S. Schulman
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Introduzione
NNel 2015 ricorre il ventesimo anniversario del genocidio di Srebrenica, il peggior crimine commesso in Europa dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Migliaia e migliaia di musulmani bosniaci, tutti maschi in età da combattimento, vennero trucidati in un tempo brevissimo, con metodo e sistema, da parte dell’armata dei serbi di Bosnia. I caschi blu
olandesi, abbandonati a sé stessi, lasciarono fare.La sorte di Srebrenica era stata decisa il 24 maggio 1995, in una riunione riservata alle Nazioni Unite coi rappresentanti degli stati membri del Consiglio di sicurezza e dei Paesi che avevano truppe nei Balcani. Quel giorno, il generale Bernard Janvier, comandante delle forze Onu in Bosnia e Croazia, chiese ai diplomatici presenti di lasciare alla loro sorte le “zone protette”.Srebrenica era sotto assedio da due anni. Circondata, fiaccata, venduta, sconfitta.Perché penso a Srebrenica e mi viene in mente Kobane? Kobane sta a Srebrenica perché l’una e l’altra sono il risultato di un fallimento estremo, politico e morale, della comunità internazionale degli stati. Srebrenica poteva e doveva essere salvata due anni prima del genocidio, mentre a Kobane lo Stato islamico neanche avrebbe dovuto arrivarci.Nell’aprile 2012 Amnesty International pubblicò l’ennesimo rapporto sulla Siria, una ricerca sull’ir-ruzione sulla scena del conflitto dei gruppi armati islamisti nella zona di Raqqa. Il rapporto contene-va inquietanti testimonianze sulle conseguenze dell’introduzione della sharia, sulle corti islamiche, sulle sanzioni corporali inflitte ai responsabili di “comportamenti anti-islamici”, sull’asservimento delle donne. Oggi, a oltre due anni di distanza, le rassegne stampa sono piene, per l’ennesima volta, di espres-sioni come “Sin dal 2012, Amnesty International aveva denunciato…”. Quelle frasi dovrebbero essere completate dall’autocritica: “… ma a noi, nel 2012, tutto questo non interessò”. Già, perché all’epoca il nemico era Bashar al-Assad e per sconfiggerlo era necessario finanziare e rafforzare militarmente i suoi oppositori. Il machiavellico Presidente siriano ha lasciato fare. Il suo obiettivo era indirettamente coincidente: lasciar crescere quello che, agli occhi di chi lo considera-va un nemico, si sarebbe rivelato un nemico più grande.Ecco come l’allora Isil (Stato islamico dell’Iraq e del Levante) si è impiantato in Siria per poi farsi metastasi nell’estate 2014 nel Nord dell’Iraq, passando come una ruspa sopra ogni espressione umana che non fosse arabo sunnita. Per poi puntare indietro, verso Kobane, mentre in Iraq le milizie sciite e le forze armate di Baghdad facevano contro-pulizia etnica nei confronti dei civili sunniti. Quando andrà in stampa questo volume, cui anche quest’anno Amnesty International Italia è or-gogliosa di collaborare, la sorte di Kobane sarà stata in parte diversa da quella di Srebrenica. Lo prevedo e, nei momenti in cui non lo prevedo, continuo a sperarlo.
Riccardo NouryPortavoceAmnesty International
Da Srebrenica a KobaneLa vita difficile dei Diritti Umani
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Introduzione
Nelle zone di guerra Medici Senza Frontiere (MSF) non si schiera con nessuna delle parti in conflitto ma offre cure mediche solo sulla base dei bisogni della popolazione. Mantenere la nostra neutralità è essenziale per riuscire a raggiungere le persone che hanno più bisogno di soccorso e sono più esposte al rischio di attacchi. I conflitti, siano internazionali o interni,
hanno conseguenze drammatiche: la paura della violenza o della persecuzione mette in fuga intere comunità, e chi resta spesso non ha accesso alle cure mediche; inoltre i conflitti, oltre a comportare un aumento delle lesioni da trauma, creano grandi problemi anche a chi ha bisogno di cure mediche di routine, come nel caso di complicazioni nelle gravidanze o malattie croniche come il diabete. È il caso dei pazienti, rifugiati siriani, di cui ci prendiamo cura in Libano nel Dar El Zahra Hospital a Tripoli e in altre quattro cliniche nella valle della Bekaa. Ma l’azione di MSF non si limita al soccorso medico: negli anni abbiamo più volte parlato pubblicamente e denunciato gli atti di violenza, la mancanza di accesso alle cure e le crisi dimenticate di cui siamo stati testimoni diretti perché i principi d’imparzialità e neutralità non sono sinonimo di silenzio. Decidere di testimoniare è però sempre una scelta difficile perché in molti casi una denuncia può compromettere la possibilità di continuare a operare nel Paese in questione. Nel 2005, MSF venne espulsa dall’Etiopia per aver pubblicamente denunciato le deporta-zioni forzate di parte della popolazione civile. Nel 2009 è la volta del Sudan, dal quale vengono cacciate due sezioni di MSF accusate dal Governo di agire in connivenza con la Corte Penale Internazionale. Nel 2014 abbiamo inoltre deciso di condannare pubblicamente i bombardamenti contro i civili nella Striscia di Gaza, durante l’operazione militare israeliana “Margine Protettivo”, così come l'attacco sferrato il 28 luglio contro l’ospedale di Al Shifa a Gaza City, dove lavora anche un’équipe chirurgica di MSF. Numerose sono state poi le testimonianze dirette degli operatori umanitari impegnati in Iraq riguardo i pesanti bombardamenti e attacchi aerei nelle zone Settentrionali e Centrali del Paese che in estate hanno colpito ospedali e altre strutture mediche. In Sud Sudan, anche nel 2014 siamo stati testimoni dei continui sfollamenti dei civili a causa delle violenze tra gruppi armati. Ad aprile abbiamo denunciato la Missione delle Nazioni Unite nella capitale, Juba, per le pessime condizioni di accoglienza riservate agli sfollati nel campo di Tomping. Sempre quest’anno abbiamo presentato “L’impatto della guerra”, un documentario multimediale che racconta una giornata del conflitto in corso in Siria dalla prospettiva degli operatori umanitari, dei pazienti e dei rifugiati. Dopo quattro anni, la guerra in Siria ha ucciso più di 150mila persone, ha costretto più di nove milioni di persone ad abbandonare la propria casa, un terzo delle quali ha lasciato il Paese. Per quanto sconcertanti, le cifre non riescono a trasmettere la reale portata del conflitto e l’impatto che esso ha sulle vite degli individui. Durante tutto il 2014 abbiamo continuato a richiamare l’attenzione pubblica sulla violenza sistematica dei gruppi armati in Repubblica Centrafricana ai danni della popolazione civile, sempre più intrappolata nel conflitto. Anche noi di MSF siamo stati vittime di continui attacchi, che hanno messo a serio rischio la nostra capacità di proseguire nel fornire cure salvavita in quel Paese. È un dato di fatto che la dinamica dei conflitti degli anni recenti mette sempre più spesso “sotto tiro” l’azione medico-umanitaria, e le organizzazioni, come MSF, che la portano avanti. Per questo motivo abbiamo avviato un’iniziativa, “Medical Care Under Fire”, che intende documentare la crescente difficoltà a portare il nostro soccorso alle popolazioni che ne hanno bisogno. Denunciare violazioni del diritto umanitario e denunciare attacchi al sistema umanitario: sono due aspetti centrali nella nostra azione di testimonianza. Azione indispensabile per continuare a portare il nostro aiuto, come facciamo dal 1971, a chi ne ha più bisogno, anche nei contesti di guerra.
Gabriele EminenteDirettore GeneraleMedici Senza Frontiere Italia
Azione umanitaria e denunciaMSF e la testimonianza nelle zone di guerra
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Introduzione
Questa sesta edizione dell'Atlante viene pubblicata in un anno cruciale per le politiche am-bientali a livello mondiale. A fine 2015 si terrà infatti a Parigi la 21° Conferenza delle Parti Onu sul Clima, per discutere (e verosimilmente siglare) un accordo internazionale sulla riduzione delle emissioni clima-alteranti che rimpiazzi il protocollo di Kyoto e che aiuti a
contenere l'ormai irreversibile processo di riscaldamento globale entro i 2° medi di temperatura. Si tratta, dopo il vertice di Copenaghen del 2009, del primo momento in cui nuovamente l'attenzio-ne della comunità internazionale, dei media, dei governi, dei movimenti sociali e dei grandi attori economici si concentrerà su un tema che, nonostante i continui allarmi degli scienziati e nonostante incida sempre più pesantemente sulla vita di milioni di persone in tutto il mondo, latita nell'agenda politica globale: il cambiamento climatico.Dopo i buchi nell'acqua dei vertici Onu di Cancun (2010), Durban (2011), Doha (2012), Varsavia (2013) e Lima (2014), contrassegnati da una generalizzata mancanza di volontà politica per l'a-dozione di impegni concreti e da un assordante silenzio mediatico, sulla capitale francese sono concentrate le aspettative per il varo di una strategia globale. Il complesso gioco delle parti tra Paesi industrializzati e nuovi colossi economici, Cina e India in testa, assieme all'indisponibilità ad un nuovo accordo di Paesi come Canada, Russia e Giappone minano il cammino per un protocollo vincolante. Da anni la comunità scientifica avverte che il punto di non ritorno è pericolosamente vicino: entro il 2050 sarà necessario abbattere del 70% le emissioni se si vuole evitare l’apocalisse climatica.Lungi dall'essere un tema di pertinenza scientifica, il cambiamento climatico si traduce in un ver-detto di condanna per una cospicua parte della popolazione mondiale, soprattutto nei Sud del mondo. Migliaia di comunità vedranno inondati o devastati i propri territori, perderanno i mezzi di sussistenza, saranno costretti a migrare. Secondo l'Unep, saranno 50milioni i profughi del clima solo in Africa entro il 2060 a causa della desertificazione galoppante. Allo stesso tempo anche nei paesi industrializzati le condizioni climatiche instabili e l'aumento degli eventi meteorologici estremi mietono ogni anno un numero crescente di vittime, complici i danni prodotti, in termini di dissesto idrogeologico, dalla cementificazione selvaggia e più in generale da una gestione irre-sponsabile del territorio.È chiaro che, così posta, la questione del clima riguarda da vicino il campo della giustizia sociale e del rispetto dei diritti umani fondamentali. Come è chiaro che molteplici sono le connessioni tra emissioni di gas serra, strategie per il controllo delle fonti fossili, interessi delle grandi multinazio-nali petrolifere, conflitti armati, conflittualità sociale sui territori e crescita della povertà. Abbiamo provato a rappresentare tutto questo nell'info-grafica di copertina, dedicata - nell’anno che ci au-guriamo possa essere una chiave di volta per la lotta al riscaldamento globale - proprio a giustizia climatica e conflitti.
Marica Di PierriPresidente Centro di Documentazionesui Conflitti Ambientali
Guerra al pianetaConflitti ambientali e giustizia climatica
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Introduzione
La responsabilità di chi racconta la guerra è grande. Può limitarsi ad agitare irrazionalità, paure, odio. Oppure stimolare il pensiero. Può generare abitudine e assuefazione. Oppure mobilitare le coscienze. E oggi quella responsabilità è forse ancora più grande.L'ecosistema delle comunicazioni in cui tutti sono connessi (e spesso sono soli) consente di
dedicare alla parola “guerra” tante pagine dei giornali, tante immagini delle televisioni, tante foto e video postate sui social network. Oggi raccontare le guerre e i conflitti è possibile come non mai. Ma il rischio rimane sempre lo stesso: non riuscire ad andare oltre scorci parziali, estremamente parziali. Si resta in superficie, si predilige l'aspetto più spettacolare e/o più violento.Eppure le guerre nel mondo, però, non sono solo quelle di cui abbiamo immagini “spettacolari”. Ce ne sono tante altre: sono quelle che una globalizzazione ingiusta e politiche economiche fondate sul predominio dei più forti sui più deboli producono quotidianamente.Le guerre nel mondo, purtroppo, non sono solo quelle di cui gli organismi sovranazionali sembrano occuparsi, ma i tantissimi conflitti che producono centinaia di migliaia di vittime civili e che, a fati-ca, si affacciano sul grande circuito mediatico.Per questo occorrono strumenti di conoscenza approfonditi e accurati per tenere aperta la prospet-tiva sulla visione generale.L’Atlante delle guerre fonda la sua “filosofia di racconto” (anche nella sua impaginazione) su questa considerazione: non ci sono guerre ‘più importanti’ o ‘meno importanti’ oppure 'più giuste' o 'meno giuste'. Le guerre nel mondo sono tutte uguali.Informazione e cultura non si limitano ad agitare, ma si fondano sulla conoscenza e forniscono stru-menti di consapevolezza. Conoscere significa poter scegliere, imparare significa acquisire libertà. Per questo con grande piacere sosteniamo anche quest'anno la nuova edizione dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti, che è come sempre accurata, aggiornata e frutto di un lavoro collettivo im-portante e coraggioso. Lo useremo nella nostra attività quotidiana di associazione che da sempre si è battuta per la pace, per l’affermazione dei diritti umani e della giustizia sociale.Ci sono stati momenti in cui il movimento pacifista ha espresso attraverso grandissime manife-stazioni in tutto il mondo il proprio dissenso; oggi siamo in una fase diversa, più complessa: la ricostruzione di un senso collettivo di responsabilità, ritrovare forme collettive di discussione è più difficile, ma come ARCI continuiamo con ostinazione a farlo, nelle reti di cui facciamo parte, insie-me a tanti e a tante, nelle nostre attività nel territorio, consapevoli che il pacifismo è uno dei nostri tratti identitari. È proprio in momenti come questo che sono utili strumenti per ragionare e discutere e l’Atlante rappresenta uno di questi strumenti, intorno al quale si possono organizzare momenti di dibattito e di iniziativa politica. Continueremo a distribuirlo e consigliarlo ai tanti formatori che credono ancora nella conoscenza come strumento di uguaglianza e libertà per ragionare su come e quanto oggi la guerra rappresenti uno dei mezzi più importanti (forse il più importante) di afferma-zione di un sistema economico ingiusto, fondato sul disprezzo delle vite umane.Ci servirà per continuare a dimostrare che non è attraverso la guerra che si affermano “civiltà” e “democrazia”.
Francesca ChiavacciPresidente ARCI
Un lavoro quotidiano per la paceInformazione e cultura, strumenti di libertà
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Dumont d’Urville (Fr.)
Hallett(U.S.A.)
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2637
Etna3323
Tahat2918
Toubkal4165
1948
Emi Koussi3415
Aïr1944
Ennedi1450
13302042
1893
2259Dj. Ode
2780
30714620
Ras Dashan
4307
Batu
M. Kenya5199
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Kilimangiaro5895
Rungwe2959
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M. Bruce1235
M. Zeil1510
M. Woodroffe1440
M. Kosciusko
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M. McKinley 6194
M. Michelson 2699
M. Logan6050
M. Waddington3994
M.Churchill2819
M. Columbia 3747
M. Robson3954
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4392M. Rainier
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M. Shasta4317
M. Whitney4418
Kinabalu4094
L. Elbert4396
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Monti Neri 2207
Tajumulco 4220
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Roraima2810
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Pico da Neblina
Chimborazo6267
6768Huascarán
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Bandeira
Illimani6402
Ojos del Salado
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Aconcagua6960
Lanín3740
S. Valentin4058
Fitzroy3375
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Sra. Nevada3482
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Elbrus5642
Ararat5123
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Mt. Cook
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Puncak Jaya5029
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3997
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6920
Ulugh Mus Tagh7723
7556Gongga Shan
4023
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Tahan2189
Raja 2278
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3805G. Kerinci
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G. al Akhadar3009
4420Kuh-e Hazaran
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Palmer (U.S.A.)
Arturo Prat(Cile)
Molodeznaja(RUSSIA)
Mawson(Austr.)
Davis(Austr.)
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Wilkes(Austr.)
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Fessil Bluff(Gr. Br.)
Tuscon
San Francisco
Los Angeles
Chicago
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Rio de Janeiro
Shenyang(Mukden)
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Aleppo
Gidda
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HuainanNanjing
Tangshan
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ZiboJinan
Shijiazhuang
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Ho Chi Minh
SurabayaBandung
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Chengdu
Ürümqi(Urumchi)
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Nagpur
KanpurLucknowJaipur
NovosibirskOmsk
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Faisalabad
Ahmadabad
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Ekaterinburg
Celjabinsk
Perm
Kazan
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NiznijNovgorod
Siviglia Málaga
Tangeri
Safi
OranoConstantina
Palermo
Messina
Sfax
Misurata
Tarabulus(Tripoli)
Bengasi
Suez
Medina
El Minya
AsyutQena
Luxor
Assuan
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N o v a j a Z e m l j a
Severnaia Zemlja
Ie. d. Nuova Siberia
I. S. Lorenzo(U.S.A.)
I. S. Matteo(U.S.A.)
I. Vrangel
UmnakIe. AndreanofIe. Rat
Agattu
Attu
Ie. del Commodoro
Karaginski
Ascensione(Gr. Br.)
Caravelas
Sant´ Elena(Gr. Br.)
I. Barrow
I. d. Canguri
Ie. Melville
I. Grande
Ie. FurneauI. del Re
Tasmania
I. Lord Howe(Austr.)
Sc. Elizabetta
I. Fraser
Ie. Chesterfield(Fr.)
I. Nunivak
Ie. ShumaginUnimak
Unalaska
A l e u t i n e
I. Necker
NihoaKauai
Niihau
Oahu
Hawaii
Maui
I. Kodiak
Ie. ReginaCarlotta
I. Vancouver
Kirimati(Kiribati)
Tabuaeran(Kiribati)
I. Starbuck
I. Malden
Scoglio Filippo
Hatutaa
Fatu HivaHiva Oa
Nuku Hiva
I. Caroline(Kiribati)I. Vostok
I. Flint(Kiribati)
Manihiki
I. Nassau
Ie. Suvorov(N.Zel.)
I. Rose(U.S.A.)
I. Palmerston
le. Scilly
I. Maria
Mangaia
Mauke
Rarotonga
Aitutaki
Atiu
Bora Bora
Tubuai
Kaukura
ManihiTakaroa
Tahanea
Anaa
Negonego
Fangatau
Amanu
Puka Puka
Tatakoto
Pukaruha
Pinaki
Hao
Turéia
Morané
Ie. Gloucester
MururoaTubuai
Vanavana
RaivavaeTemoe
Marutéa
I. Ducie(Gr.Br.)
I. Oeno (Gr. Br.)
I. Pitcairn(Gr. Br.)
I. Henderson (Gr. Br.)
Rapa
Marotiri(Fr.)
OrneBank
Sc. Wachusett
Sc. Maria Teresa
I. Sala-y-Gómez(Cile)
I. d. Pasqua(Cile)
I. S. Félix(Cile)
I. S. Ambrosio(Cile)
Ie. Batan
Ie. Babuyan
Luzon
SamarMindoro
Panay
Mindanao
NegrosPalawan
Cedros
Clarión Socorro
I. Coiba
I. dei Pini
Ie. Belcher
I. Southampton
I. ManselI. Coats
Miquelon(Fr.)
St. Pierre(Fr.)
I. Sable
I. Pr.Edoardo
I. Anticosti
I. Resolution
Margarita
Curaçao
I. Marajó
Culpepper
Fernandina
I. Isabela
Juru
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Trindade(Bras.) Martin Vaz
(Bras.)
Tristan daCunha(Gr. Br.)
Gough(Gr. Br.)
I. de Chiloé
Sc. Black(Gr. Br.)
Falkland. Occid.Falkland Orient.
I. Wellington
I. Sta. Inés.
I. Hoste
I. d. Stati
Ie. Chagos(Gr. Br.)
Ie. Laccadive(India)
Urup
Kunasir
Iturup
Hokkaido
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HachijoShikokuKyushu
Fær Øer(Dan.)
Ie. Orcadi
Ie. Ebridi
Ie. Shetland
Corsica
Sardegna
Ie. Baleari
Lofoten
Peloponneso
Crimea
I. Pietro (Norvegia)
Ie. Biscoe
I. AdelaideI. Charcot
I. Alessandro
I. Clarence
I. Joinville
I. J. Ross
Bouvet(Norv.)
Ie. d. Antipodi(N. Zel.)
Ie. Bounty(N. Zel.)
Ie. Chatham(N. Zel.)
Ie. Kermadec(N. Zel.)
I. Raoul
I. Curtis
L´Esperance Rock
Sci. Minerva
Ata
Ono-i-Lau
(Figi)Ie.
Tongatapu
Ie. Ha’apai
NiueIe. Lau
Futuna(Fr.)
Tutuila(U.S.A.)
Ie. SamoaIe. Wallis
(Fr.)Savaii
Fakaofo
Funafuti
Nurakita
Atollo NukufetauIe. Tokelau
(N. Zel.)
Nui
Niutao
I. McKeanI. SydneyIe. d. Fenice
(Kiribati)
I. Canton (U.S.A.)
I. Enderbury
I. Baker
Atollo Onotoa
I. Howland(U.S.A.)
Beru
Ie. Johnston(U.S.A.)
Laysan
Lisianski
Kure
Ie. Midway(U.S.A.)
Atollo Mili
Atollo Maloelap
Atollo Arno
Atollo Utirik
Atollo Ailuk
Atollo Tarawa
Makin
Atollo Ebon
Banaba
Kuria
Atollo Nonounti
Nanumea
Vanua Levu
Ie. Banks
Rotuma(Figi)
Tana Kandavu
Eromanga
Viti LevuEfate
Lifou
I. Norfolk(Austr.)
I. Stewart
I. Campbell(N. Zel.)
Ie. Auckland(N. Zel.)
I. Macquarie(Austr.)
Malekula
Espiritu Santo
Ie. SantaCruz
S. Cristóbal
VanikoroRennell-I.
Sta. IsabelMalaita
Guadalcanal
Ie. Nukumanu
Choiseul
Atollo Ujelang
Atollo Oroluk
Ponape
AtolloKwajalein
Ie. Pingelap
Kosaie
Atollo Bikini
Atollo Eniwetok
Taongi
I. Wake(U.S.A.)
Paramusir
Onekotan
Minami Tori(Giapp.)
Saipan
Pagan
Asuncion
Ie. Hall
Ie. TrukAtolloPuluwat
Pikelot
Ie. Mortlock
Atollo Nukuoro
Atollo Kapingamarangi
Nva.Irlanda
Nva.Britannia
Bougainville(Papua N.G.)
Arcip. Louisiade(Papua N.G.)
Ie.Aru
Arcip. di
Bismarck
Ie. d. Ammiragliato
Japen
Ie. Mapia
Atollo IfalikAtollo
Eauripik
Atollo Ulithi
Ie. Yap FaisAtollo
FaraulepAtollo Ngulu
Guam(U.S.A.)
Agrihan
Parece Vela(Giapp.)
Ie. Kazan(Volcano)(Giapp.)
Ie. Ogasawara(Bonin)(Giapp.)
Amami
Okinawa
Ie. Daito(Giapp.)
Miyako
Ie. Palau
Ie. Sonsorol
Ie. Talaud
Ie. Sangihe Tobi
Morotai
Halmahera
WaigeoIe. Togian
Ie. Sula
Obi
Ceram
Buru
Misoöl
Ie. Kai
Wetar Babar Ie. Tanimbar
Timor
FloresLombok
Sumbawa
Sumba
Bali
Butung
Hainan Dao
Ie. Natuna(Indon.)
Bangka
Belitung
I. Christmas(Austr.)
Ie. Cocos(Austr.)
Nias
Siberut
Ie. Mentawai
Enggano
Simeulue
Masirah
Kingman(U.S.A.)
I. Palmyra(U.S.A.)
Isole Hawaii (U.S.A.)
Tahiti
(N.Zel.)
Arcip.Chonos
Ie. Revilla Gigedo(Mess.)
Anguilla (Gr. Br.)
Basilan
Ie. Lingga
I. Europa(Fr.)
Arcip. d. Bijagos
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Guadalupe(Mess.)
Ie. Bermuda(Gr. Br.)
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C. Darnley
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Str. di Malacca
B. di Lützow-Holm Banchisa di Amery
Str. di Cook
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G. d. Papua
Str. di Torres
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Carpentaria
Golfo di G.Bonaparte
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G i a p p o n e
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SVIZZERA
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MOLDAVIA
ROMANIA
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BOSNIA-
SLOVENIA
CROAZIA
MACEDONIA
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BULGARIA
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GEORGIA
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KIRGHIZISTAN
TAGIKISTAN
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DESH
SRI LANKA
MALDIVE
MYANMAR
THAILANDIA
CAMBOGIA
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ST. VINCENTE GRENADINE
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90
Via dei Monti di Pietralata 16,Roma, www.arci.it
Scale 141,35% !!!
CARTA DEL MONDOPROIEZIONE SECONDO AREE EQUIVALENTI
• PROIEZIONE PETERS •SCALA DELLE SUPERFICI 1 : 635.500.000 MILIONI1CM2 SULLA CARTA = 63.500 KM2 SULLA TERRA
QUESTA PROIEZIONE EQUIVALENTE É BASATA SULLA RETE GEOGRAFICA DECIMALEDI ARNO PETERS. ESSA SPOSTA IL MERIDIANO ZERO SULLA LINEA RETTIFICATADEL CAMBIAMENTO DI DATA - INDICATA CON IL PUNTEGGIO - E SUDDIVIDE LASUPERFICIE TERRESTRE IN 100 RETTANGOLI LONGITUDINALI DI UGUALELARGHEZZA E IN 100 RETTANGOLI LATITUDINALI DI UGUALE ALTEZZA. CON QUESTAPROIEZIONE SI OTTENGONO NELLA FASCIA EQUATORIALE RETTANGOLI VERTICALICHE SI TRASFORMANO, AVVICINANDOSI AI POLI, IN QUADRATI E POI IN RETTANGOLIORIZZONTALI. LE COORDINATE DELLA NUOVA RETE SI TROVANO AI MARGINI DELLACARTA ACCANTO ALLE COORDINATE TRADIZIONALI.
COPYRIGHT BY AKADEMISCHE VERLAGSANSTALT, FL-9490 VADUZ, AEULESTRASSE 56CARTOGRAFIA: FRANZ HUBER, MÜNCHEN
ASIA Afghanistan Cina/Tibet Filippine India
Iraq Kashmir Kurdistan Pakistan
Thailandia Yemen
ELENCO DEI PAESI IN CONFLITTO
134
Come leggerele Mappe
Nella Mappa Onu, qui sopra, troverete solamente indicato lo Jammu and
Kashmir poichè si tratta dell’antico nome dell’intera area contesa da
India, Pakistan e Cina.La Mappa, qui a destra, indica invece la spartizione di fatto dei territori da parte dei suddetti Stati, con diversa denominazione, mai riconosciuta a
livello internazionale.
135
La violenza torna in primo piano in Kashmir, il territorio all'estremo Nord-Ovest del subconti-nente indiano, teatro di una rivolta nazionalista interna e allo stesso tempo conteso tra India e Pakistan.Nei primi mesi del 2014 si sono moltiplicati gli scontri lungo la Linea di Controllo, la frontiera di fatto che separa lo stato di Jammu e Kash-mir, sotto sovranità indiana, dai territori di Azad Kashmir, Gilgit e Baltistan sotto il controllo del Pakistan. Sono ripresi di intensità gli scontri tra truppe indiane e miliziani armati provenienti dal territorio controllato dal Pakistan, secondo un trend ventennale. Nel corso dell'estate però sono avvenuti anche numerosi scontri tra i due eserciti, in violazione del cessate-il-fuoco concordato nel 2003. È la più grave escalation da un decennio, e mentre India e Pakistan si accusano a vicenda di violare gli accordi, la popolazione civile è la prima vit-tima: all'inizio di ottobre nel Kashmir indiano si contavano ormai oltre 1500 sfollati, in fuga dai villaggi prossimi alla frontiera per sottrarsi agli scambi di fuoco.A quanto pare neppure l'inondazione del set-tembre 2014, che ha fatto oltre 500 morti e lasciato un milione di senza tetto, è bastata a sospendere le ostilità: nonostante le buone parole sull'emergenza umanitaria, la tensione resta alta. Il bollettino delle vittime ha ripreso a salire. Se-condo il South Asia Terrorism Portal 181 perso-ne sono rimaste uccise nel 2013 (di cui 20 civili, 61 uomini delle forze di sicurezza indiane e 100 guerriglieri). Nel 2014 si contano 134 morti fino al 26 ottobre (19 civili, 33 delle forze di sicurezza, 82 guerri-glieri). Siamo ancora lontano dal picco di 4500
morti nel 2001, o anche dagli oltre mille del 2006; ma se da allora il numero delle vittime era in calo costante (il 2012, con 117 morti, è stato in assoluto l'anno meno san-guinoso dal 1990), ora la tendenza è invertita.Da un lato, preoccupa l'evidente ri-presa di attività di formazioni come Hizb-ul-Mojaheddin o Lashkar-e Taiba, organizzazioni "jihadiste" che hanno base in Pakistan. Nell'establishment di sicurezza in-diano è convinzione diffusa che il ritiro delle forze della Nato dall'Af-ghanistan entro la fine del 2014 porterà queste organizzazioni a ri-lanciare le loro attività sul 'fronte' del Kashmir. Un video circolato nel giugno 2014 conferma i timori: dirigenti di al-Qa-eda fanno appello ai musulmani del Kashmir a unirsi alla «guerra santa» globale come i 'fratelli' in Siria e in Iraq. Il video promette che «una
Situazione attualee ultimi sviluppi
carovana» di «eroici martiri» dall'Afghanistan arriverà a «liberare il Kashmir». È la prima volta che al-Qaeda si rivolge in parti-colare al Kashmir. D'altra parte, anche il dialogo politico interno è bloccato. In Jammu e Kashmir restano in vigore le leggi d'emergenza che danno poteri speciali alle forze di sicurezza, la Armed Forces Special Power Act (Afspa) e la Public Safety Act (Psa), le maggiori fonti di abuso verso la popolazione civile.Come sempre, vere vittime dello scontro sono le persone disarmate.
Generalità
Nome completo: Azad Jammu e Kashmir
Bandiera
Lingue principali: Kashmiri, Urdu, Hindko, Mirpuri, Pahari, Gojri
Capitale: Muzaffarabad
Popolazione: 4.500.000
Area: 13.297 Kmq
Religioni: Buddista, musulmana, induista, sikh
Moneta: Rupia
Principaliesportazioni:
n.d.
PIL pro capite: n.d.
KASHMIRLa Linea
di ControlloSi chiama Loc, acronimo di Line of Control, "Linea di Controllo". Separa la Regione del Kashmir
sotto sovranità indiana da quella sotto il controllo del Pakistan: era
la linea su cui erano assestati i rispettivi eserciti al momento del
cessate-il-fuoco che nel 1949, con la mediazione dell'Onu, mise fine alla prima guerra tra i due Paesi
da poco indipendenti; è monitorato da una missione Onu. Non è una
frontiera internazionale ricono-sciuta, perché resta oggetto di
rivendicazione. È stata sancita però come confine di fatto nel 1972,
con gli Accordi di Simla (alla fine di una nuova guerra tra Pakistan e India che segnò la nascita del
Bangladesh). La Loc resta permea-bile all'infiltrazione di combattenti armati (dal lato pakistano a quello
indiano), ma per la popolazione civile è una barriera insormontabile che separa villaggi e famiglie. Tra i due lati non funzionano le normali connessioni telefoniche e solo in rarissime occasioni si sono avute
visite e ricongiungimenti familiari.
Generalità
Nome completo: Jammu e Kashmir
Bandiera
Lingue principali: Hindi, Inglese
Capitale: Jammu e Srinagar (rispettivamente capitali invernale ed estiva dello Jammu e Kashmir)
Popolazione: 12.500.000
Area: 222.236 Kmq
Religioni: Musulmana ma nella regione Jammu prevale la hindu e in quella del Ladakh quella buddhista
Moneta: Rupia
Principaliesportazioni:
Frutta, lane di cache-mire, tessuti ricamati, pietre lavorate
PIL pro capite: n.d.
136
Quadro generale
Per cosa si combatteLe parti in causa sono almeno tre: l'India, il Pakistan, e gli abitanti del Kashmir. Per India e Pakistan si tratta di una contesa territoriale: per il Kashmir hanno combattuto due guerre di-chiarate (nel 1948-49 e nel 1965) e una non di-chiarata (nell’estate del 1999), oltre a una lunga "proxy war" condotta da guerriglieri infiltrati dal Pakistan nel territorio sotto controllo indiano (Islamabad dichiara di dare ai musulmani del Kashmir solo "sostegno morale e politico"). Dall'inizio di questo secolo si sono alternati momenti di escalation e di relativa calma. Nel 2002 le due potenze atomiche hanno schierato i rispettivi eserciti in stato di massima allerta; tra il 2005 e il 2008 hanno avviato il ciclo di dialogo più promettente dal 1947. Nel dicembre 2008 l'attacco terroristico a Mumbai, organizzato dal gruppo jihadista Lashkar-e-Taiba (che ha base in Pakistan), ha riportato il gelo: e benché nell’agosto 2011 siano ripresi i contatti bilate-rali, le relazioni restano fredde. L'India diffida del premier pakistano Nawaz Sharif, insediato
nel giugno 2013; il Pakistan guarda con sospet-to il governo insediato a New Delhi nel maggio 2014, guidato dal nazionalista hindu Narendra Modi.Le forze nazionaliste del Kashmir restano di-vise su questioni strategiche fondamentali. Gli indipendentisti rivendicano il referendum per l’autodeterminazione raccomandato da una risoluzione dell’Onu nel 1948: ma per al-cuni "autodeterminazione" significa scegliere tra India e Pakistan; per altri include l'opzione dell’indipendenza, rifiutata sia da New Delhi che da Islamabad. La prima rivendicazione co-mune però è revocare le leggi speciali, mettere fine alla militarizzazione della vita quotidiana e all'impunità delle forze di sicurezza, fare luce su esecuzioni extragiudiziarie, torture, stupri, o la scomparsa di migliaia di persone. Mentre una generazione cresciuta nel conflitto rivendica libertà ma non si aspetta nulla da un dialogo che si trascina da troppi anni: terreno fertile per nuovi cicli di rivolta.
Il conflitto del Kashmir è una delle crisi regionali più prolungate del subcontinente indiano. È un conflitto allo stesso tempo interno (all’India) e tra stati (India e Pakistan): e questo fa del verdeg-giante Kashmir, circondato da ghiacciai himalay-ani là dove si toccano India, Pakistan e Cina, una polveriera con implicazioni regionali. Il Kashmir è una delle eredità irrisolte della Spartizione del 1947, quando dalla vecchia In-dia britannica sono nate due nazioni separate, il Pakistan musulmano e l’India multireligio-sa e secolare benché a maggioranza hindu. Il principato di Jammu e Kashmir (che includeva Jammu, Kashmir e Ladakh e i territori di Gilgit e Baltistan) fantasticò di restare indipendente ma infine optò per l’India, con un atto formale che ne fece uno stato dell’Unione indiana in un quadro di ampia autonomia. La decisione presa dal locale maharaja Hari Singh (hindu) con l’ac-cordo dei notabili nazionalisti guidati da Sheikh
Abdullah (musulmano) fu sgradita ai dirigenti pa-kistani, che rivendicavano il Kashmir. La disputa è sfociata nel 1948 nella prima guerra tra India e Pakistan. La linea di cessate-il-fuoco negoziata nel 1949 con la mediazione delle Nazioni Unite è diventata il confine di fatto ("Linea di Controllo", Loc): a Ovest il settore sotto controllo pakistano (circa un terzo del territorio originario), a Est la parte sotto sovranità indiana (capitali Srinagar e Jammu). Una zona di ghiacciai all’estremo Nord (10% del territorio originario) è stata ceduta dal Pakistan alla Cina nel 1962.Le risoluzioni delle Nazioni unite del 1948 e ‘49 chiesero al Pakistan di ritirare le proprie forze dal territorio occupato e sollecitavano un refe-rendum perché i kashmiri potessero decidere il proprio futuro. Il Pakistan non si ritirò, e l’India se ne fece una scusa per non indire mai il ple-biscito. Il periodo post indipendenza ha visto un crescente attrito tra le classi dirigenti kashmire
Il fronte di guerra più alto del mondoI simboli contano: il primo Ministro indiano Narendra Modi ha cele-brato la festività hindu di Diwali, nell'ottobre 2014, con una visita lampo sul ghiacciaio di Siachen, dove truppe indiane fronteggiano quelle pakistane a 6700 metri di altezza. Il Siachen, tra la catena del Karakorum e il Ladak, alla confluen-za tra India, Pakistan e Cina, è il più alto fronte di guerra al mondo. La posizione inaccessibile (e non stra-tegica) ne aveva fatto una terra di nessuno. Finché nel 1984 l'esercito indiano ha cominciato a trasferirvi uomini e attrezzature con un ponte aereo, e ha costruito postazioni lungo il presumibile tracciato della Linea di Controllo che qui segna il confine di fatto tra India e Pakistan. L'esercito pakistano ha risposto facendo altrettanto. Mantenere truppe e attrezzature a quell'altezza è un costo enorme, di denaro (oltre un miliardo di dollari annuo solo dal lato indiano) e di energia: gran parte delle vittime qui non sono dovute a combattimenti ma a gelo e malattie in quelle temperature tra 40 e 50 gradi sotto zero. In passato molti, sia in India che in Pakistan, hanno proposto di smilitarizzare il Siachen: non serve neppure essere pacifisti, basta una valutazione sui costi e l'importanza strategica. Ma il sospetto reciproco finora lo ha impedito.
137
Disastri naturali
Cosa succede quando un disastro naturale colpisce una delle Regioni a più alta densità di militari nel subcontinente indiano? Ci si potrebbe aspettare che uomini e logistica siano messi a frutto in una emergenza umanitaria. Il caso del Kashmir dice il contrario. Nel settembre 2014 l'estremo Nord Ovest del subcontinente indiano è stata colpito da alluvioni disastrose. Nel Jammu e Kashmir piogge torrenziali hanno fatto straripare il fiume Jelhum, uno dei cinque affluenti dell'Indo che scendono dalla catena himalayana, allagando la capitale estiva Srinagar. L'intera valle del Kashmir è stata devastata da straripamenti e frane, così come i confinanti territori di Azad Kashmir e Gilgit-Baltistan (sotto controllo pakistano); l'alluvione ha colpito anche più a valle, nella Provincia pakistana del Punjab. Il bilancio a tutto settembre era di almeno 564 morti (284 metà nel Kashmir indiano, 280 in Pakistan) e di un milione di senzatetto. Nel Jammu e Kashmir in particolare almeno 180mila abitazioni sono distrutte o danneggiate, e nella sola Srinagar in ottobre almeno 50mila persone affrontavano i primi freddi di stagione in ripari di fortuna, per lo più moschee o templi.
I PROTAGONISTI
e il Governo centrale dell’Unione indiana, che ha via via eroso il regime di autonomia del Jammu & Kashmir.La disaffezione è esplosa nel 1989 in una pro-testa civile che ha coinvolto un ampio schiera-mento sociale e politico, dall’Università ai sinda-cati ai partiti nazionalisti. Alla fine di quell’anno risalgono anche le prime azioni armate contro obiettivi governativi a Srinagar: era l'inizio di una ribellione separatista ha raggiunto nei momenti peggiori l’intensità di una guerra civile.La risposta dello stato centrale indiano è stata dura, e l’escalation inesorabile. Il primo grup-po armato, Jammu & Kashmir Liberation Front (Jklf), è stato presto sbaragliato: erano giovani con idee di lotta di popolo, il loro leader Yasin Malik fu arrestato e nel ‘94 il Jklf ha rinuncia-to alla lotta armata. Altri protagonisti avevano però preso il sopravvento: il Hizb-ul Mojaheddin, braccio armato del partito conservatore (e filopa-kistano) Jamiat Islami, a sua volta scavalcato da altre sigle (Jaish-e Mohammad, Lashkar-e-Taiba
e altre). Erano i primi anni ‘90 e in Kashmir con-fluivano armi e combattenti provenienti dall’Af-ghanistan, formati alla jihad ("guerra santa", in senso politico-militare) contro l'Unione sovietica, e sostenuti dal Isi, il servizio di intelligence mili-tare pakistano. Con loro è arrivato in Kashmir un islam di stampo taleban estraneo alla tradizione sufi locale. È arrivato anche il terrore: attentati contro civili, bombe nei mercati, rappresaglie. Gli hindu del Kashmir, i pandit, sono in gran parte fuggiti. Il Governo centrale ha mandato esercito e corpi paramilitari a contrastare i ribelli, la valle è stata militarizzata. È una guerra largamente manovrata da servizi segreti, ma è la popolazione del Kashmir che ha pagato il prezzo più alto: tra 50 e 80mila persone sono morte dal 1989, in gran parte civili. Senza contare migliaia di desaparecidos e una scia di ingiustizie e abusi che hanno travolto le forze so-ciali, sindacati, forze politiche, gruppi per i diritti umani. Per questo, la pace in Kashmir dipende sia dalle relazioni tra India e Pakistan, sia dalla capacità dell’India di trovare un assetto demo-cratico condiviso con le forze sociali e politiche di questo territorio.
Un progetto del Dalai Lama per gestire i conflitti“Donne in sicurezza, gestione dei conflitti e Pace” (Wiscomp) è un progetto lanciato a Delhi dalla Fondazione per le Responsabilità Universali del Dalai Lama, che intende promuovere la sensibilità di genere e il rafforzamento del ruolo della donna nei settori di pace, sicurezza e affari internazionali, oltre ad occuparsi di gestione dei conflitti e educazione al peacebuilding. Wiscomp interviene per facilitare la costruzione di rapporti pacifici a livello di politiche e di relazioni in aree di conflitto del Sud asiatico, tra India, Pakistan, Nepal e Afghanistan, con una particolare attenzione dedicata al Kashmir. Workshop ed eventi, oltre a fornire uno spazio per l'incontro tra responsabili politici, attivisti per la pace e accademici, incoraggiano giovani e donne ad impegnarsi nella prevenzione dei conflitti e nella costruzione di fiducia fra etnie, religioni e classi sociali. Educare alla pace è di vitale importanza per gestire senza violenza i conflitti e per consentire maggiore consapevolezza ai giovani nell'accettare le differenze.
TENTATIVI DI PACE
175
I I I I I I I I I I I I I I I I I I I I I
II
II
II
II
I
II
II
II
II
II
II
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I I II I II I I I I I I I I I I
I II I
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I
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III
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IIIII
I
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I I I I I I I I I I
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I
I
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II
II
II
II
I
II
II
I
IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
II
I
Dumont d’Urville (Fr.)
Hallett(U.S.A.)
2326
2637
Etna3323
Tahat2918
Toubkal4165
1948
Emi Koussi3415
Aïr1944
Ennedi1450
13302042
1893
2259Dj. Ode
2780
30714620
Ras Dashan
4307
Batu
M. Kenya5199
4095
5110
Kilimangiaro5895
Rungwe2959
3482
2876
1110
1106
M. Bruce1235
M. Zeil1510
M. Woodroffe1440
M. Kosciusko
2230
4205
M. McKinley 6194
M. Michelson 2699
M. Logan6050
M. Waddington3994
M.Churchill2819
M. Columbia 3747
M. Robson3954
3618
4392M. Rainier
3426
M. Shasta4317
M. Whitney4418
Kinabalu4094
L. Elbert4396
5465Popocatépetl
4240
Monti Neri 2207
Tajumulco 4220
3819
2037
5400
Roraima2810
3014
Pico da Neblina
Chimborazo6267
6768Huascarán
6388
2890Pico da
Bandeira
Illimani6402
Ojos del Salado
2797
Aconcagua6960
Lanín3740
S. Valentin4058
Fitzroy3375
2469
2633
2290
3776
Sra. Nevada3482
4808
Elbrus5642
Ararat5123
2596
4190
2260
2300
2562
2797
Mt. Cook
3754
4750
2156
4073
4509
Puncak Jaya5029
2959
3147
2100
3455
22102240
3997
1949
2999
7315
6920
Ulugh Mus Tagh7723
7556Gongga Shan
4023
3143
Tahan2189
Raja 2278
3159
3676
3805G. Kerinci
Leuser3145
1786
2820
3826
4031
Kamen2037
1104
7060
Mt. Everest8850
8167
Nanga Parbat8125
K2 8611
Kongur7719
7439
1559
7495
7690
5143
G. al Akhadar3009
4420Kuh-e Hazaran
1894
5671
6908
M. Hunt2743
Palmer (U.S.A.)
Arturo Prat(Cile)
Molodeznaja(RUSSIA)
Mawson(Austr.)
Davis(Austr.)
Mirny(U.R.S.S.)
Wilkes(Austr.)
Zhongshan(Cina)
Fessil Bluff(Gr. Br.)
Tuscon
San Francisco
Los Angeles
Chicago
New YorkFiladelfia
Rio de Janeiro
Shenyang(Mukden)
HangzhouShanghai
Wenzhou
Tianjin(Tientsin)
Chongqing
Guangzhou(Canton)
Calcutta
Delhi
Karachi
BOMBAY
Casablanca
Alessandria
El- Giza
Abidjan
Ibadan
Lagos
Douala
Dar es Salaam
Citta del Capo
Johannesburg
Perth
Adelaide
Melbourne
Sydney
Brisbane
Vancouver
Seattle
Portland
Sacramento
San Diego
Salt LakeCity
Phoenix
Puebla
Guadalajara
Monterrey
Dallas
Houston
San Antonio
Denver
MinneapolisMilwaukee
Detroit
Kansas City
St. Louis
Indianapolis
New Orleans
Sto.Domingo
Port-au-PrinceSan Juan
Tampa
Miami
Atlanta
Buffalo
Toronto
Cleveland
PittsburghColumbus
Cincinnati
Boston
Baltimore
Norfolk
Montreal
Maracaibo
Cali
BelémGuayaquil
Quito
Fortaleza
Recife
Salvador
Belo Horizonte
São Paulo
Curitiba
Pôrto Alegre
Córdoba
Rosario
BangaloreMadras
Sapporo
YokohamaOsaka
Nagoya
Kyoto
Kobe
DaeguGwangjuBusan
HiroshimaKitakyushu
Fukuoka
ManchesterLiverpool
Birmingham
Lione
Marsiglia
Lisbona
PortoBarcellona
Nápoli
MilanoTorino
Monaco
Amburgo
Izmir
Istanbul
Odessa
San Pietroburgo
Rostov-na-Donu
Doneck
Kharkov
Dnepropetrovsk
Aleppo
Gidda
Harbin
JilinChangchun
Fuxin
Anshan
Fushun
Yingkou
Incheon
Daejeon
Fuzhou
Kaohsiung
Linhai
Nanchang
Hefei
HuainanNanjing
Tangshan
Lüda
Qingdao(Tsingtao)
ZiboJinan
Shijiazhuang
Qiqihar
Taiyuan
Baotou
Huhhot
Zhengzhou
Lanzhou
Xi´an
Wuhan
Changsha
Guijang
Kumming
Haiphong
Ho Chi Minh
SurabayaBandung
Semarang
Medan
Chittagong
Chengdu
Ürümqi(Urumchi)
Hyderabad
Nagpur
KanpurLucknowJaipur
NovosibirskOmsk
Lahore
Faisalabad
Ahmadabad
Poona
Mashhad
Ekaterinburg
Celjabinsk
Perm
Kazan
SamaraUfa
NiznijNovgorod
Siviglia Málaga
Tangeri
Safi
OranoConstantina
Palermo
Messina
Sfax
Misurata
Tarabulus(Tripoli)
Bengasi
Suez
Medina
El Minya
AsyutQena
Luxor
Assuan
Marrakech
Agadir
Las Palmas
Kaolack
Bouaké
Bobo-Dioulasso
Kano Maiduguri
Zaria
Kaduna
Kumasi
OgbomoshoIlorin
Oshogbo
Enugu
Pt. Harcourt
Port Sudan
Omdurman
Wad Medani
Wau
Aden
TaizzHodeida
DiredauaHargeisa
Merca
Chisimaio
Mombasa
Yaoundé
Pointe Noire
KisanganiMbandaka
Matadi
Ilebo
Kananga
Mbuji Mayi
Kamina
Likasi
Lubumbashi
Mwanza
Zanzibar
TangaTabora
KitweNdola
Kabwe
NampulaBlantyre-Limbe
BeiraBulawayo
Port Elizabeth
Buffalo City
Kimberley
BloemfonteinDurban
Mahajanga
Fianarantsoa
Toamasina
Townsville
Geelong
Newcastle
Wollongong
Hobart
Honolulu
Anchorage
Edmonton
Calgary
Tacoma
BoiseEugene
Spokane
Oakland
FresnoSan José
Las Vegas
Reno
SanBernardino
Long Beach
Tijuana
Anaheim
Mexicali
Naga
Legaspi
Batangas
BacolodIloilo
DavaoZamboanga
Kota Kinabalu
Saskatoon
Regina
Pueblo
Albuquerque Amarillo
Lubbock
El PasoCiudad Juárez
Hermosillo
Chihuahua
TorreónCuliacán
Durango
Saltillo
León
Veracruz
Oaxaca
Villahermosa
Acapulco
Morelia Campêche
Tampico
Ciudad Victoria
S. Luis Potosi
Nuevo Laredo
Reynosa Matamoros
Mazatlán
Fort WorthShreveport
WacoBaton Rouge
Beaumont
Corpus Christi
OklahomaCity
Topeka
Omaha
WinnipegThunder
Bay
LansingMadison
St. Paul
Des Moines
Toledo
Evansville
Louisville
Little Rock
Nashville
Memphis
Birmingham
Jackson
Montgomery
TallahasseeMobile
Mérida
Pinar del Rio
Pto. Barrios
S. Pedro Sula
León
Fort-de-France
OrlandoSt. Petersburg
Columbus
Savannah
Jacksonville
Knoxville
Roanoke
Richmond
Raleigh
ProvidenceAlbanyNew Haven
London
Sudbury
Ottawa
Québec
Jonquière
Halifax
St. John’s
Cumaná
Ciudad Guayana
Ciudad Bolívar
Barquisimeto
Valencia
S. Cristóbal
Buenaventura
Ibagué
Manizales
São Luis
Macapá
Bragança
Santarém ParnaibaManaus
PopayánEsmeraldas
Pasto
Iquitos
CuencaMachala
Chiclayo
Trujillo
PiuraImperatriz
Teresina
Sobral
Natal
João PessoaCampinaGrande
Maceió
Aracaju
Juazeiro
Jequié
Pôrto VelhoRio Branco
Chimbote
Cuzco
Pucallpa
Callao
Arequipa
Ica
CuiabáGoiânia
IlhéusVitóriada Conquista
Uberlândia
CampoGrande
Ribeirão Prêto
Santa Cruz
PotosiSucre
Oruro
Cochabamba
Arica
Antofagasta
S. Miguelde Tucumán
Salta
S. Salvadorde Jujuy
CorrientesSantiago
del Estero
Catamarca
Resistencia
Passo Fundo
PosadasFlorianópolis
Santos
Juiz de Fora
Baurú
Blumenau
Londrina
Joinuile
CampinasNiterói
Río Grande
Sta. Maria
Pelotas
Santa Fe Paraná
Uruguaiana
San Juan
ValparaisoViña del Mar
La Serena
Rancagua
Talca
Talcahuano Chillán
MendozaRio Cuarto
La Plata
Bahia Blanca Mar del PlataNeuquén
Puerto Montt
Concepción
Valdivia
Temuco
Comod.Rivadavia
Kandy
Galle
Jaffna
Salem
Madurai
Tiruchirappalli
PondicherryMysore
Mangalore
Cochin
Alleppey
Trivandrum
Juzno-Sakhalinsk
Aomori
Hakodate
Toyana
NiigataSendai
Kochi
Nagasaki
Kagoshima
EdinburgoNewcastleLeeds
Glasgow
Cork
Belfast
Southampton
Le MansDigione
Le Havre
Lorient
Plymouth
Brest
Nantes
Limoges
NizzaAvignoneS.SebastianoGijón
BilbaoValladolidVigo
La Coruña
Bordeaux
La Rochelle
Saragozza
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Valencia
Firenze
Cágliari
Ginevra Venezia
PisaGenova
Francef.Bonn
ColoniaDresda
L’Aia
OsloBergen
Göteborg
Rostock
Trondheim
VästeråsTurku
Tampere
Oulu
Norrköping
Brest
Klaipeda
Gda∑sk
Lód!Pozna∑
Pécs
Lvov
Arad
Miskolc
Brno
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CracoviaLublino
Spaleto
Rijeka
Craiova
Reggio C.
SaloniceoTaranto
Bari
Patrasso
Latakia
Bursa
Adana
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Konya
Constanza
Galati
Varna
Iasi
ZitomirSumy
Gomel
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Mariupol´Kherson
Pskov
SmolenskVitebsk
Orsa
NovgorodVologda
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Arcangelo
SeverodvinskPetrozavodsk
Tambov
Tula
Jaroslavi
Orel
Kursk Voronez
Ivanovo
StavropolKrasnodar
Soci
Sivas
Batumi
Erzurum
Samsun
VanMalatya
Mosul
Gaziantep
Homs
Gerusalemme
Buraydah
La Mecca
Napier
Auckland
Hamilton
Christchurch
Dunedin
Petropavlovsk-Kamcatski
Magadan
Komsomolsk-na-Amure
Jakutsk
Blagovescensk
KhabarovskBei’an
Jiamusi
NakhodkaVladivostok
Mudanjiang
Cheongjin
Heungnam
Mogpe
Naha
Manado
Ambon
Ujung Pandang(Makasar)
Banjarmasin
Balikpapan
Tawau
Taichung
Nanping
Quanzhou
Xiamen
Anqing
Wuki
Yantai
Xuzhau
ChifengZhangjiakou
Hailar
CitaIrkutsk
Ulan Ude
Angarsk
Yinchuan
LuoyangBaoji
Yichang
Wanxian
Yibin
Nanchong
XiangtanHengyang
Ganzhou
Liuzhou
Guilin
Zunyi
Haikou
Wuzhou
Zhanjiang
Nanning
VinhVientiane
An Nhon
Da Nang
Huë
Long Xuyen
Bandar SeriBegawan
Kota Baharu
Kuala Lumpur
Pontianak
Palembang
Telanaipura
KediriJogyakarta
Surakarta
Tanjungkarang
Padang
Pakanbaru
Songkhla
Bandayara Tanjung
Ipoh
ChiangMai
Bassein Moulmein
Prome
Sittwe(Akyab)
Mandale
Shillong
Imphal
Lhasa
Xining
Hami
Jiuquan
Wuwei
Ust Ilimsk
Bratsk
Norilsk
Tomsk Krasnojarsk
Abakan
Acinsk
Belovo
Novokuzneck
Bijsk
Karamay
Turpan(Turfan)
Korla
Patna
Bilaspur
JamshedpurRanchi
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CARTA DEL MONDOPROIEZIONE SECONDO AREE EQUIVALENTI
• PROIEZIONE PETERS •SCALA DELLE SUPERFICI 1 : 635.500.000 MILIONI1CM2 SULLA CARTA = 63.500 KM2 SULLA TERRA
QUESTA PROIEZIONE EQUIVALENTE É BASATA SULLA RETE GEOGRAFICA DECIMALEDI ARNO PETERS. ESSA SPOSTA IL MERIDIANO ZERO SULLA LINEA RETTIFICATADEL CAMBIAMENTO DI DATA - INDICATA CON IL PUNTEGGIO - E SUDDIVIDE LASUPERFICIE TERRESTRE IN 100 RETTANGOLI LONGITUDINALI DI UGUALELARGHEZZA E IN 100 RETTANGOLI LATITUDINALI DI UGUALE ALTEZZA. CON QUESTAPROIEZIONE SI OTTENGONO NELLA FASCIA EQUATORIALE RETTANGOLI VERTICALICHE SI TRASFORMANO, AVVICINANDOSI AI POLI, IN QUADRATI E POI IN RETTANGOLIORIZZONTALI. LE COORDINATE DELLA NUOVA RETE SI TROVANO AI MARGINI DELLACARTA ACCANTO ALLE COORDINATE TRADIZIONALI.
COPYRIGHT BY AKADEMISCHE VERLAGSANSTALT, FL-9490 VADUZ, AEULESTRASSE 56CARTOGRAFIA: FRANZ HUBER, MÜNCHEN
EUROPA Cecenia Cipro Georgia
Kosovo Ucraina
ELENCO DEI PAESI IN CONFLITTO
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È davvero una guerra che pare infinita quella della Cecenia. A vent’anni dalla prima inva-sione russa, cova ancora sotto traccia, proprio mentre il Governo centrale e la Russia - la grande avversaria dei separatisti - proclamano di avere tutto sotto controllo. I fatti del 2014 sembrano raccontare altre storie. Il 4 dicembre, ad esempio, una vera e proprio battaglia ha in-sanguinato Grozny, la capitale. Il bilancio finale è stato di 19 morti, 10 uomini delle forze di sicu-rezza e nove ribelli ceceni e di 28 feriti. Lo scon-tro si è concentrato per qualche ora attorno ad un posto di blocco, poi si è spostato alla “casa della Stampa” e in una scuola. L'attacco è stato rivendicato dal movimento islamista "Emirato del Caucaso" e i miliziani, in un video, hanno detto di obbedire ad un nuovo capo, lo sceicco Ali Abu Mouhammad. L’annuncio sembra con-fermare la morte del capo storico dei miliziani islamici ceceni, Doku Umarov. L’uomo era stato dato più volte per morto, ma nel marzo 2014 la voce è parsa più consistente. Da Londra, l’ex emissario dei separatisti ceceni, Ahmed Zaka-ev, aveva raccontato alla stampa che Umarov era morto a causa di una cancrena, sviluppa-tasi da una piaga diabetica. Si era scatenata - aveva aggiunto - la lotta per la successione e per questo la morte non era stata ufficializzata. L’attacco di fine dicembre 2014, comunque, di-mostra che pur a ranghi ridotti, il separatismo ceceno è sempre pronto a colpire, anche se non sono più i russi gli avversari, ma il Governo che sostengono. Il movimento, per altro, si è sem-pre più islamizzato. Combattenti ceceni sono sicuramente in Siria, arruolati nel sedicente ca-liffato. In ottobre del 2014, sempre a Grozny, 5 poliziotti sono stati uccisi e altri 12 sono rimasti feriti per un attentato kamikaze di chiaro stam-po integralista. L’attentatore si chiamava Apti
Situazione attualee ultimi sviluppi
Mudarov, un diciassettenne della capitale, spa-rito da casa da mesi. Insomma, la tensione re-sta e le reazioni del Governo ceceno continuano ad essere durissime. Poche ore dopo l’attacco di dicembre, il Presidente Ramzan Kadyrov ha annunciato che le famiglie dei membri del grup-po armato sarebbero state espulse dal Paese e le loro case demolite. Di lì a poco, almeno nove case sono state date alle fiamme da sconosciu-ti in cinque città della Cecenia. La cosa è stata denunciata da alcune organizzazioni per i diritti umani: i rappresentanti sono stati minacciati e il Presidente, sui social media, ha scritto che queste organizzazioni stavano aiutando e finan-ziando i terroristi.
Generalità
Nome completo: Repubblica Cecena
Bandiera
Lingue principali: Russo, Ceceno
Capitale: Groznyj
Popolazione: 1.269.000
Area: 15.500 Kmq
Religioni: Musulmana sunnita
Moneta: Rublo, nahar
Principaliesportazioni:
Petrolio
PIL pro capite: n.d.
CECENIA
Politkovskaja,ecco i colpevoli
Alla fine del 2014, la giuria popolare di un Tribunale di Mosca ha dichia-
rato colpevoli cinque uomini per l’omicidio di Anna Politkovskaja, la giornalista russa uccisa il 7 ottobre 2006. Sono i fratelli ceceni Rustam, Ibragim e Dzhabrail Makhmudov, il
loro zio Lom-Ali Gaitukayev e l’ex dirigente della polizia moscovita Serghiei Khadzhikurbanov. Sono
stati considerati colpevoli di avere, a vario titolo, organizzato ed eseguito
il delitto. Gli avvocati della difesa hanno annunciato che presenteranno
ricorso. La decisione è arrivata a 8 anni dall’omicidio e dopo tre processi
burla. Da ricordare che in un pro-cesso stralcio, l’ex poliziotto Dmitri Pavliucenkov era stato condannato
a 11 anni di carcere duro per aver pedinato la vittima, e fornito l’arma
al killer in cambio di 150mila dollari. Politkovskaja lavorava per Novaja Gazeta e aveva spesso attaccato
l’esercito russo e il Presidente Putin per violazione dei diritti umani nella
guerra in Cecenia.
180
Quadro generale
Per cosa si combatteParte dell’impero russo dal 1783, anche se con periodiche ribellioni (Imamato del Caucaso), Cecenia ed Inguscezia furono inglobate nella Repubblica Autonoma Socialista Sovietica Ce-ceno-Inguscia alla nascita dell’Unione Sovietica. Durante la Seconda guerra mondiale, i ceceni insorsero contro i russi sperando di approfittare dell’impegno dell’esercito sovietico su altri fronti per ottenere l’indipendenza, ma una volta che l’Armata Rossa ebbe ricacciato le truppe nemi-che, Stalin ordinò una durissima punizione, ac-cusando i ceceni di aver collaborato con i nazisti (non ci sono però prove storicamente valide a so-stegno dell’accusa). Il 23 febbraio 1944 con l’O-perazione Lentil in una sola notte mezzo milione di cittadini ceceni vennero deportati dal Governo centrale sovietico nella Repubblica sovietica del Kazakhstan. Qui i ceceni vennero isolati e le fa-miglie disperse nel tentativo di “decaucasizzare” i ribelli. Fu loro concesso di ritornare alla loro Regione d’origine solo nel 1957.Dopo il collasso dell’Unione Sovietica in Cecenia nacque un movimento indipendentista che entrò in conflitto con la Russia, non disposta a ricono-scere la secessione della Cecenia. Tra i motivi dell’opposizione russa vi sono anche la produ-zione petrolifera locale e soprattutto il passag-gio sul territorio ceceno di oleodotti e gasdotti. Džokhar Dudaev, il Presidente nazionalista della Repubblica cecena, dichiarò l’indipendenza della nazione dalla Russia nel 1991. Nella sua cam-pagna elettorale presidenziale del 1990 Boris Eltsin aveva promesso di riconoscere le richieste di autonomia amministrativa e fiscale dei go-verni federati, spesso disegnati su base etnica in epoca sovietica e il 31 marzo 1992 la Duma (presieduta da Ruslan Khasbulatov, un ceceno) approvò una legge in tal senso, in base alla qua-le Eltsin e Khasbulatov firmarono il Trattato della Federazione (Russa), che definiva la divisione dei poteri fra i due livelli di Governo, con 86 degli 88 territori interessati. Il Tatarstan firmò nella primavera del 1994, mentre nel caso della Ce-cenia, che rifiutava di ritirare la dichiarazione di indipendenza, nessuna delle due parti tentò se-riamente di trattare.Nel 1994 il Presidente russo Boris Eltsin inviò 40mila soldati nella Repubblica per impedirne la secessione dando avvio alla prima guerra ce-cena. Le truppe russe, mal equipaggiate e poco motivate, subirono sconfitte anche notevoli ad opera dei ribelli ceceni. I russi riuscirono a pren-dere il controllo di Groznyj, la capitale, solo nel febbraio del 1995, e a uccidere Dudaev il 21 apri-le 1996 lanciando intenzionalmente un missile sul luogo in cui si trovava con una operazione gestita dalla intelligence militare centrale.A fine agosto 1996 Eltsin si accordò con i lea-der ceceni per un cessate il fuoco a Chasavjurt, in Daghestan, che portò nel 1997 alla firma di un trattato di pace. Alla fine della prima guer-ra russo-cecena (1991-96) venne eletto come primo Presidente della Cecenia Aslan Maskha-
dov, il comandante delle forze ribelli che firmò con il generale Aleksandr Lebed la tregua con le forze armate russe. Tuttavia una grave crisi economica, le continue azioni terroristiche di Shamil Basayev e la perdurante presenza di si-gnori della guerra, che in varie zone sostituivano completamente l’autorità governativa, ridimen-sionarono fortemente la figura del comandante Maskhadov.Il conflitto tornò a divampare nel 1999, dando inizio alla seconda guerra cecena. Nell’agosto 1999, Shamil Basayev decideva di allargare lo spettro del conflitto al vicino Daghestan. Le trup-pe russe invasero la Cecenia nell’ottobre 1999, radendo al suolo la capitale Groznyj. La maggior parte della Cecenia è attualmente sotto il con-trollo dei militari federali russi. La causa indi-pendentista Cecena ha perso l’interesse presso i media, soprattutto a partire dal 2007, anno al quale risale l’ultimo atto rivendicato dal movi-mento indipendentista.
Va detto che oggi del sogno irredentista ceceno resta ben poco. Sotto il comando dell’auto-pro-clamato nuovo Emiro del Caucaso, Doku Uma-rov, resterebbero infatti - secondo le stime del vice-ministro degli Interni russi, Arkady Edelev - meno di 500 terroristi abbarbicati sulle monta-gne, fra cui una cinquantina di mercenari arabi. La maggioranza di questi combattenti, inoltre, sarebbe spinta a scegliere la guerriglia non da considerazioni ideologiche o da motivi religiosi,
Beslan, stragesenza risposteChiedono giustizia, i famigliari. Nel 2014 è stato celebrato il decennale dalla strage di Beslan, nell’Ossezia del Nord. Tra l’1 e il 3 settembre 2004, 334 persone - tra cui 186 bambini - morirono per un’azione terroristica dei separatisti ceceni. Un gruppo armato fece irruzione nella scuola , sequestrando 1200 persone. I terroristi risposero al tentativo d’ir-ruzione dell’esercito russo facendo esplodere due bombe all’interno dell’edificio, uccidendo più di trecen-to persone e ferendone altre 700. Le domande senza risposta, dicono ora i famigliari, sono ancora troppe.
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Cecenia: ciò che pare e ciò che è Ramzan Kadyrov ci prova: invita personaggi famosi per promuovere il Paese e usa regolarmente Twitter nel tentativo di far apparire la Cecenia come uno Stato tranquillo. Il quadro reale, però, mostra una dilagante corruzione e persistenti violazioni dei diritti umani: tortura, arresti arbitrari e minacce non risparmiano i “criminali” (né i loro avvocati). In un simile contesto, le denunce e il giornalismo investigativo possono contribuire ad una effettiva normalizzazione. A tal proposito Amnesty International continua a riportare le violazioni dei diritti e non manca di rendere omaggio ad Anna Politkovskaya, giornalista della Novoya Gazeta uccisa nel 2006. Oggi è Elena Milashina a sostituirla. Lavora per lo stesso giornale - che continua a mantenere l'indipendenza a fronte delle leggi russe che cercano di smorzare la libertà di stampa dal 2011- ed ha il compito di monitorare la situazione: “vivono ancora sotto un regime totalitario, ma nessuno ne parla o ne scrive. L'informazione è l'unica cosa che possa cambiare la loro situazione”.
Doku Umarov(Kharsenoi, 13 aprile 1964 - 7 settembre 2013)
Nato il 13 aprile 1964 nel villaggio di Kharsenoj, in Cecenia e dato per morto per una cancrena nel 2014, Doku Umarov ha scritto un impressionante elenco di colpi terroristici. In diverse occasioni, attraverso la diffusione di videocassette, ha rivendicato alcuni dei più spettacolari attentati in Russia, come la bomba sul treno Nevskij Ekspress nel 2009, le esplosioni nella metropolitana di Mosca nel 2010, l’attentato all'aeroporto moscovita di Domodedovo nel 2011. Nella struttura armata del separatismo ceceno è entrato nel 1990, all’alba della dissoluzione dell’Unione Sovietica. È diventato presto uno dei “capi militari” più prestigiosi. Tra il 2006-2007, è stato "Presidente” dell’Ičkeria, la Cecenia secessionista, in contrapposizione all’uomo del Cremlino, Ramzan Kadyrov, capo della Cecenia "ufficiale” filo-russa. Nel settembre 2007 è diventato "emiro” del cosiddetto Emirato Caucasico, dichiarato dalla Procura generale della Federazione Russa organizzazione terroristica.
I PROTAGONISTI
quanto piuttosto da motivi personali, per vendi-carsi cioè di un torto subito.Dietro questo mutamento epocale c’è sia la stanchezza - in Cecenia si combatte ormai da 20 anni - che l’eliminazione progressiva di tutti i grandi leader della guerriglia: dal Presidente Dzokhar Dudaev, ucciso nel 1996, al suo suc-cessore Aslan Maskhadov, ucciso nel 2005, fino al comandante Shamil Basayev, ucciso nel 2006. Ma a far suonare la campana a morto per la guerriglia cecena è stata soprattutto l’asce-sa di un clan forte e prestigioso, che ha scelto di abbandonare la lotta armata e si è schierato dalla parte del Cremlino: il clan dei Kadyrov. Già gran Mufti di Grozny, Akhmad Kadyrov viene eletto capo del Governo nel 2000 e diventa Pre-
sidente della Cecenia nell’ottobre 2003, carica che occupa fino al maggio 2004, quando viene ucciso in un attentato allo stadio di Grozny. Al suo posto è subentrato il figlio Ramzan, famoso per i suoi metodi brutali, che viene confermato Presidente nel 2007 e regna tuttora, con pieni poteri. È la milizia dei Kadyrov che viene incaricata, negli ultimi anni, di fare la “guerra sporca”, in nome di una progressiva cecenizzazione del conflitto, perseguita da Mosca con caparbietà: ne consegue un’alternanza di bastone e carota, con ripetute amnistie per i ribelli che scelgono di abbandonare la lotta armata e una spietata caccia all’uomo per stanare gli irriducibili. Se i risultati ci sono, insomma, restano contraddito-ri. Per imporre la sua pace, Ramzan Kadyrov ha ridotto infatti a carta straccia i diritti umani più elementari, come denunciano da anni tutte le organizzazioni internazionali.
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