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“ATTI E PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVIPROF.SSA CARMENCITA GUACCI

ATTI ROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVIvideo.unipegaso.it/LMG-01/DirAmm/Guacci/Atti_I/Atti_I.pdf · 2018. 9. 20. · Università Telematica Pegaso Atti e provvedimenti amministrativi . Attenzione!

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  • ““AATTTTII EE PPRROOVVVVEEDDIIMMEENNTTII AAMMMMIINNIISSTTRRAATTIIVVII””

    PPRROOFF..SSSSAA CCAARRMMEENNCCIITTAA GGUUAACCCCII

  • Università Telematica Pegaso Atti e provvedimenti amministrativi

    Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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    Indice

    1  ATTI E PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI --------------------------------------------------------------------- 3 

    2  ELEMENTI COSTITUTIVI DELL’ATTO AMMINISTRATIVO -------------------------------------------------- 5 

    3  L’IMPUGNAZIONE DEI REGOLAMENTI AMMINISTRATIVI ------------------------------------------------- 7 

    4  ESISTENZA, VALIDITÀ ED EFFICACIA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO. ------------------------------ 11 

    5  GLI ELEMENTI ACCIDENTALI DELL’ATTO AMMINISTRATIVO ------------------------------------------ 15 

    6  LA LEGITTIMITÀ E L’OPPORTUNITÀ DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI --------------------------------- 19 

    7  IL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO ------------------------------------------------------------------------ 21 

    8  LA CLASSIFICAZIONE DEI PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI ---------------------------------------- 23 

    9  I PROVVEDIMENTI AMPLIATIVI ------------------------------------------------------------------------------------- 25 

    10  I TIPI DI AUTORIZZAZIONI --------------------------------------------------------------------------------------------- 26 

  • Università Telematica Pegaso Atti e provvedimenti amministrativi

    Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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    1 Atti e provvedimenti amministrativi L’evoluzione degli ordinamenti occidentali ccdd. "a diritto amministrativo” intercorsa negli

    decenni ha spostato l’attenzione dall’atto alla funzione amministrativa, e quindi al procedimento ed

    al provvedimento che ne costituiscono rispettivamente, la forma giuridica. Sulla nozione di atto

    amministrativo non vi è una unanimità di vedute atteso che manca una sua definizione legislativa.

    Una parte della dottrina dichiara che sono atti amministrativi quelli ai quali si applica il

    regime di diritto amministrativo, vale a dire il regime costituito dai principi generali e dai principi

    più specifici che riguardano l’attività e l’organizzazione amministrativa nonché la tutela

    giurisdizionale.

    La teoria dell’atto amministrativo, inizialmente, venne modellata pressoché unitamente sulla

    teoria del negozio giuridico, distinguendo tra atti amministrativi negoziali, costituenti dichiarazioni

    di volontà volte alla realizzazione di finalità pubbliche e meri atti amministrativi, costituenti

    dichiarazioni di scienza, conoscenza. In altri termini, il criterio discretivo, dunque, veniva

    individuato nell’elemento psichico della volontà.

    Tale orientamento venne, poi criticato, atteso che mentre l’atto amministrativo è sempre

    vincolato nella finalità, il negozio giuridico, per definizione, assegna al soggetto che lo pone in

    essere il pieno dominio dei propri fini

    La questione delle affinità e differenze con il negozio è stata abbandonata quando,

    rafforzandosi le nozioni specifiche del diritto amministrativo, l’opinione prevalente ha ristretto la

    nozione di atto amministrativo a quello che la pubblica amministrazione adotta quando agisce come

    autorità.

    La dottrina più recente ricostruisce la tematica dell’atto amministrativo in base alle due

    tendenze principali cui si ispira la moderna attività amministrativa: a) funzionalizzazione, che si

    concretizza nel provvedimento amministrativo caratterizzato dalla manifestazione di volizione e

    dalla imperatività. Quest’ultima costituisce l’idoneità del provvedimento efficace, anche se invalido

    a produrre unilateralmente la costituzione, modificazione o estinzione di situazioni giuridiche

    indipendentemente dalla volontà dei destinatari. b) Procedimentalizzazione, ovvero uno degli

    schemi principali attraverso cui si esplica l’attività amministrativa. Infatti, solo raramente la

    pubblica amministrazione persegue i suoi fini con l’emanazione di un singolo atto o di atti isolati,

    utilizzando, invece, una serie di atti tra loro concatenati e coordinati, finalizzati all’emanazione di

    un atto finale: il provvedimento, espressione concreta della funzione amministrativa.

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    Proprio sulla scia della procedimentalizzazione dell’attività amministrativa è possibile

    distinguere tra meri atti amministrativi ( o atti strumentali del procedimento es.: proposte, pareri,

    istanze, ecc. che hanno una rilevanza unicamente interna al procedimento stesso) e provvedimento

    (atto finale della serie procedimentale, esprime la volizione della pubblica amministrazione ed è

    generalmente, il solo atto del procedimento ad avere efficacia esterna, e, quindi, ad influire sulle

    situazioni soggettive dei privati).

    In altri termini, secondo tale tesi, sono atti ( o meri atti) amministrativi quelli che precedono

    il provvedimento amministrativo e lo preparano, così come quelli che lo seguono in funzione

    integrativa dell’efficacia (comunicazioni , controlli). Il provvedimento coincide, invece, con la

    decisione, rispetto ad essa gli atti del procedimento hanno una funzione preparatoria, servente o

    ausiliaria.

    Da quanto sopra detto possiamo distinguere il genus dell’atto amministrativo dalla species

    più rilevante del provvedimento.

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    2 Elementi costitutivi dell’atto amministrativo Secondo una consolidata opinione gli elementi costitutivi dell’atto amministrativo sono i

    seguenti: il soggetto, l’oggetto, la forma, il contenuto e la finalità.

    Per soggetto si intende l’autore dell’atto che, almeno di regola, deve essere una pubblica

    amministrazione: non vi è atto amministrativo che non sia emanato da un autorità amministrativa.

    L’oggetto corrisponde al termine passivo dell’atto e cioè al destinatario e /o al bene nei cui

    confronti esso opera.

    La forma è la veste giuridico – formale con cui l’atto, passando attraverso la procedura

    della sua formazione così come predisposta dall’ordinamento, si manifesta.

    Il contenuto rappresenta la parte propriamente precettiva dell’atto, e cioè il suo dispositivo,

    e dunque quel che l’atto realizza nel mondo giuridico.

    Infine, la finalità consiste nell’interesse pubblico specifico fissato da una fonte

    dell’ordinamento che l’atto deve realizzare in concreto.

    Distinzione degli atti amministrativi.

    La dottrina opera varie classificazione dell’atto amministrativo. In relazione alla natura

    dell’attività esercitata si distinguono: a) atti di amministrazione attiva: diretti a soddisfare

    immediatamente gli interessi propri della pubblica amministrazione (tali sono i provvedimenti);

    b) atti di amministrazione consultiva: tendenti a consigliare, illuminare , mediante consigli

    tecnici, giuridici o economici, gli organi di amministrazione attiva (tali sono i pareri); c) atti di

    amministrazione di controllo: diretti a sindacare, sotto il profilo della legittimità o del merito,

    l’operato dell’amministrazione attiva (es: controlli).

    In relazione all’elemento psichico, di cui sono manifestazione di volontà distinguono a)

    atti consistenti in manifestazioni di volontà; b) atti consistenti in manifestazione di conoscenza; c)

    atti consistenti in manifestazione di giudizio; d) atti di natura mista.

    In relazione alla discrezionalità si distinguono: a) atti discrezionali, quando la norma,

    dopo aver determinato l'interesse pubblico che si intende perseguire con l’atto amministrativo,

    lascia all’amministrazione un margine di manovra, rispetto ai modi, o ai tempi, ai mezzi o ai

    contenuti; b), atti vincolati sono gli atti con cui la pubblica amministrazione non ha alcun

    margine di manovra; anzi essa è obbligata ad intervenire nei modi previsti dalla legge, senza alcuna

    valutazione dell'interesse pubblico e di quello dei privati che sono coinvolti dall’atto

    amministrativo.

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    Sotto il profilo degli effetti, l’atto amministrativo può essere ampliativo o restrittivo della

    sfera giuridica altrui; inoltre può ulteriormente distinguersi tra gli atti costitutivi, che creano,

    modificano o estinguono un rapporto giuridico preesistente e gli atti dichiarativi che accertano una

    determinata situazione senza influire su di essa.

    Sotto il profilo dei destinatari, l’atto amministrativo può essere particolare, cioè destinato

    ad un unico soggetto, collettivo, cioè destinato ad una pluralità individuata di soggetti che a loro

    volta possono essere: a) atti plurimi: formalmente unici, ma scindibili in tanti provvedimenti quanti

    sono i destinatari ( si pensi al decreto con cui vengono nominati i vincitori di un concorso). I singoli

    atti sono fra di loro indipendenti e l’annullamento di uno di essi non travolge anche gli altri; b) atti

    collettivi: con essi la pubblica amministrazione manifesta la propria volontà, unitariamente ed

    inscindibilmente, verso un complesso di individui unitariamente considerati ( es. l’ordine di

    scioglimento di un Consiglio comunale) . Dalla natura di atto unitario, consegue che ogni vizio

    inficia l’atto nella sua totalità ( a differenza dell’atto plurimo).

    c) Gli atti generali, sono quelli destinati ad una pluralità non predeterminabile a priori di

    soggetti, ma determinabili in un momento successivo, e cioè al momento della loro esecuzione (ad

    esempio i bandi di concorso).

    Si discute in dottrina se anche i regolamenti siano da ricondurre alla predetta categoria.

    Nella terminologia corrente, anche legislativa, in genere i regolamenti sono definiti atti

    amministrativi generali a contenuto normativo. Alla luce della definizione data, si rileva che i

    caratteri generali dei regolamenti sono: 1) la generalità, intesa come indeterminabilità dei destinatari

    e, quindi, idoneità di ripetizione nell’applicazione della norma, 2) l’astrattezza, intesa come capacità

    di regolare una serie indefinita di casi; 3) l’innovatività, intesa come capacità a concorrere a

    costruire o ad innovare l’ordinamento giuridico, ossia ad immettere nuove norme nel tessuto

    ordinamentale.

    E’ appunto tale ultimo requisito che costituisce il fondamentale elemento di differenziazione

    rispetto agli atti generali definiti atti amministrativi che pur se caratterizzati dalla indeterminabilità

    dei destinatari (quanto meno in via aprioristica), sono sprovvisti però di forza normativa. A tale

    fondamentale elemento differenziatore delle due figure è da aggiungere quello costituito dal fatto

    che mentre gli atti generali sono caratterizzati dalla determinabilità a posteriori dei destinatari, i

    regolamenti, invece, sono connotati dalla indeterminabilità anche a posteriori di tali destinatari, che

    sono, come detto, la generalità dei soggetti cui il regolamento è rivolto.

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    3 L’impugnazione dei regolamenti amministrativi

    In dottrina e giurisprudenza si è posta la questione se il regolamento, essendo atto

    formalmente amministrativo, debba essere impugnato nel termine decadenziale o se debba essere

    impugnato, posta la sua inidoneità a produrre l'immediata incisione della sfera giuridica altrui,

    congiuntamente al relativo provvedimento d'attuazione.

    L’impugnativa, di regola, presuppone un interesse concreto e attuale di chi la propone. Il

    regolamento essendo caratterizzato dall’astrattezza e generalità, di norma esso non sarà in grado di

    incidere direttamente sulle situazioni soggettive dei destinatari, né di far nascere l’interesse alla sua

    impugnazione.

    Invece, il regolamento necessiterà, per la sua applicazione in concreto, di un successivo

    provvedimento di attuazione, per cui sarà quest’ultimo ad incidere sulle situazioni soggettive dei

    destinatari. Di conseguenza, colui che intenda impugnare dovrà procedere alla doppia impugnativa,

    ovvero dovrà impugnare sia il regolamento che il provvedimento di attuazione ad esso relativo,

    poiché è solo con l’adozione dell’atto concreto esecutivo di quello a contenuto generale, che il

    privato potrà conoscere il pregiudizio recato al suo interesse.

    Sotto il profilo del procedimento amministrativo, l’atto amministrativo può essere interno

    al procedimento stesso e finalizzato all'adozione del provvedimento finale e conclusivo del

    procedimento (si pensi ad esempio ad un parere non vincolante); in tal caso l'atto procedimentale

    non è autonomamente impugnabile. Diverso è, invece, il caso dell'atto presupposto che,

    analogamente posto a base di un diverso provvedimento amministrativo, è, tuttavia, di per sé, atto

    conclusivo di un autonomo procedimento amministrativo e, come tale, autonomamente impugnabile

    (si pensi, a titolo esemplificativo, alla dichiarazione di pubblica utilità).

    Sotto il profilo del soggetto che li pone in essere, gli atti amministrativi possono essere

    adottati da un solo organo o da più organi e, in tale ultimo caso, si distingue ulteriormente tra gli atti

    complessi, gli atti di concerto, i contratti e gli atti di intesa.

    Nell'ampia categoria dell'atto amministrativo, assume specifico rilievo quella dei

    provvedimenti amministrativi, degli atti a rilevanza esterna e, di regola, a contenuto tipicamente

    discrezionale, con i quali la pubblica amministrazione, nel realizzare le finalità attribuitele dalla

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    legge, agisce imperativamente sulla sfera giuridica dei destinatari della sua decisione sia in senso

    ampliativo che in senso restrittivo.

    Gli atti paritetici, sono anch’essi manifestazione di volontà, si distinguono dai

    provvedimenti perché non hanno un contenuto imperativo, e cioè non sono in grado di imporre

    modificazioni nella sfera giuridica dei destinatari. In questo caso la pubblica amministrazione, che è

    tenuta tassativamente per legge ad un comportamento nei confronti di altri soggetti in relazione ad

    un dato rapporto di diritto pubblico di natura patrimoniale conserva comunque il potere di far luogo

    essa stessa, in maniera unilaterale, alla definizione del rapporto che si instaura con tali soggetti, e

    quindi alla determinazione dell’entità dei propri obblighi e dei corrispettivi altrui. Tipici esempi di

    atti paritetici sono la determinazione dello stipendio e la determinazione della indennità di

    espropriazione.

    Un’altra importante distinzione è tra atti politici e atti di alta amministrazione.

    In particolare, sono definiti atti politici “quelli in cui si estrinsecano l’attività di direzione

    suprema della cosa pubblica (l’indirizzo politico) e l’attività di coordinamento e di controllo delle

    singole manifestazioni in cui la direzione stessa si estrinseca”.

    In altri termini, gli atti politici sono quegli atti volti alla formulazione ed attuazione delle

    scelte mediante le quali si individuano i fini che lo Stato, in armonia, con le previsioni della

    Costituzione, intende perseguire in un dato momento storico. Ne consegue che la caratteristica

    fondamentale di tali atti è la liberta del fine, la quale consente, fra l’altro, di operarne in via

    immediata la distinzione dalla categoria degli atti amministrativi. Gli atti politici costituiscono un

    numerus clausus, in quanto inammissibili al di fuori delle previsioni esplicitamente o

    implicitamente operate dalla Costituzione a riguardo.

    L’art. 31 del R. D. 26 giugno 1924, n. 1054 ( Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato),

    riprendendo la disposizione di cui all’art. 24 della legge 31 marzo 1889 n. 5992, prevede

    l’inammissibilità del ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale avverso atti e

    provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico. Dunque gli atti politici si

    caratterizzano per la loro insindacabilità. Tale aspetto è strettamente conseguenziale alla loro natura

    di atti liberi nella determinazione degli obiettivi da perseguire. Tuttavia, la fruibilità della predetta

    tutela è limitata legislativamente alle sole ipotesi in cui la lesione lamentata dal ricorrente concerna

    un diritto soggettivo.

    Esclusa la possibilità di esperire i rimedi amministrativi e giurisdizionali utilizzabili per gli

    atti amministrativi, rispetto a tali atti opera, tuttavia, un sistema di controlli e di sanzioni di carattere

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    politico, di competenza del corpo elettorale e del Parlamento, i quali possono, ad esempio, non

    riconfermare gli organi che si siano resi responsabili di una attività ritenuta meritevole di censura,

    ovvero ( con riferimento alle Camere) esprimersi con un voto di sfiducia.

    Il carattere dell’insindacabilità degli atti politici è stato messo in discussione dall’avvento

    del diritto dell’Unione europea e, in particolare dalle conseguenze che la Corte di Giustizia ha

    ritenuto di far discendere dalla mancata attuazione, da parte del singolo Stato membro, delle

    direttive c.d. autoesecutive. A tal proposito, si deve immediatamente sottolineare che l’organo

    giurisdizionale della Comunità ha affermato il principio della responsabilità dello Stato per mancato

    recepimento delle disposizioni emanate a livello europeo, con conseguente obbligo di risarcimento

    del danno scaturente da detto inadempimento ogniqualvolta questo dia luogo alla compromissione

    di posizioni giuridiche riconosciute ai singoli dall’ordinamento sovranazionale. Per tale via la

    Corte configura una vera e propria ipotesi di fatto illecito del legislatore ed è di tutta evidenza che

    l’assunto implica il necessario riconoscimento della sindacabilità dell’operato del legislatore e delle

    sue scelte di fondo, traducendosi in una successiva sgretolazione del principio di insindacabilità

    degli atti politici di matrice legislativa.

    L’esigenza di coniugare la conclusione raggiunta dalla Corte di giustizia ferma nel

    perseguire l’effettiva applicazione del diritto europeo – con la peculiarità, da sempre riconosciuta,

    della libertà dei fini degli atti politici, ha indotto la dottrina a riflessioni che sono, infine, sfociate

    nella considerazione che l’atto normativo interno, laddove sia presente una fonte dell’U.E.

    sovraordinata, deve in verità più propriamente essere considerato alla stregua di un atto meramente

    esecutivo di scelte già compiute della stesso legislatore europeo. Il momento politico di selezione

    degli obiettivi da attuare si sposta in definitiva a livello sovranazionale, con la conseguenza che è

    con riferimento a tale frangente che viene ad emergere il profilo dell’insindacabilità in sede

    giurisdizionale.

    Gli atti di alta amministrazione, invece, costituiscono una species del più ampio genus

    degli atti amministrativi, dei quali recano i caratteri formali e sostanziali. Questi atti rappresentano

    il primo grado di attuazione dell’indirizzo politico nel campo amministrativo, sono atti di suprema

    direzione della pubblica amministrazione, i quali segnano il raccordo tra la funzione di governo, che

    è espressione dello Stato Comunità, e la funzione amministrativa che è espressione dello Stato

    soggetto, e che essi realizzano al più alto livello. L’attività di alta amministrazione attiene alle scelte

    di fondo dell’azione amministrativa discrezionale ed è commessa ai supremi organi di direzione

    della pubblica amministrazione. I predetti atti ineriscono all’attività amministrativa e sono soggetti

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    al regime giuridico proprio degli atti amministrativi. Essi sono perciò sottoposti al sindacato dei

    giudici, non diversamente dagli atti amministrativi; e, diversamente dagli atti politici, non sono

    liberi nelle scelta dei fini, ma sono legati – pur nell’ampia discrezionalità che caratterizza l’alta

    amministrazione – ai fini segnati dalle leggi.

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    4 Esistenza, validità ed efficacia dell’atto amministrativo.

    Le categorie concettuali della esistenza, della validità e dell’efficacia dell’atto

    amministrativo sono riferibili a tutti gli atti giuridici, anche di diritto comune, pur assumendo una

    caratterizzazione peculiare con riferimento agli atti amministrativi.

    La categoria dell’esistenza dell’atto amministrativo concerne la cd. fisionomia giuridica.

    Per identificare in concreto un atto come amministrativo, occorre aver riguardo alla sua morfologia

    giuridica e ai cinque elementi costitutivi dell’atto: soggetto, oggetto, forma, contenuto e finalità.

    In altri termini, affinché possa parlarsi della esistenza di un atto amministrativo è

    indispensabile che esso presenti effettivamente sussistenti tutti i suddetti elementi. La mancanza

    anche di uno solo di essi rende l’atto (seppur esistente come documento) inesistente – e cioè

    radicalmente nullo- in quanto atto amministrativo.

    La categoria della validità concerne la conformità dell’atto al paradigma normativo di

    riferimento, Essa cioè sta ad indicare la necessità che ogni elemento costitutivo sia conforme alle

    prescrizioni per esso stabilite dalle fonti dell’ordinamento.

    La efficacia di un atto amministrativo consiste nella sua attitudine a produrre effetti

    giuridici. L’efficacia si lega all’esistenza dell’atto, e non alla sua validità. Essa, infatti, va tenuta

    separata da quest’ultima, giacché una atto ben può produrre i suoi effetti pur essendo invalido.

    Quando si parla di efficacia giuridica si fa riferimento a due distinti concetti: da un lato, alla

    idoneità dell’atto a produrre gli effetti suoi propri; e, dall’altro all’effettiva capacità di produrli. In

    altri termini, si può parlare di efficacia dell’atto amministrativo in senso lato per intendere entrambi

    i concetti; di esecutività dell’atto per intendere l’astratta idoneità a produrre gli effetti giuridici

    previsti per esso dall’ordinamento; e di efficacia in senso stretto, per intendere la effettiva capacità

    operativa dell’atto.

    Dal punto temporale, l’efficacia è di regola istantanea, ma si dà il caso di fattispecie ad

    efficacia retroattiva o differita, magari sottoposte a condizione sospensive. L’efficacia sospesa

    paralizza gli effetti dell’atto, ma non ne pregiudica la validità, piuttosto continua a presupporla. La

    differenza sostanziale tra inefficacia e invalidità degli atti consiste infatti nella circostanza che

    mentre la prima è il prodotto di taluni aspetti della volontà delle parti ovvero di elementi estrinseci

    al negozio, l’invalidità è invece il portato di vizi intrinseci al negozio stesso.

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    Tipologia dell’efficacia

    Sotto il profilo della differenziazione degli effetti prodotti da un atto, in teoria generale si

    distinguono almeno tre differenti tipi di efficacia: l’efficacia costitutiva, l’efficacia dichiarativa, e

    l’efficacia preclusiva.

    Quando si parla di efficacia costitutiva si ha riguardo agli effetti prodotti dall’atto nel

    costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche soggettive di uno o più destinatari

    determinati. Si pensi al caso della espropriazione: l’adozione del relativo provvedimento comporta,

    contemporaneamente, da un lato, la perdita del diritto di proprietà e la nascita, in corrispondenza,

    del diritto ad ottenere l’indennizzo; e dal lato opposto, l’acquisizione del diritto di proprietà di quel

    dato bene ed il conseguente obbligo di indennizzare il soggetto espropriato.

    Diversamente, quando si parla di efficacia dichiarativa, ci si riferisce a quegli atti per i

    quali l’effetto che determinano concretamente si produce, sì, al momento della loro emanazione, ma

    non è da essi determinato, visto che si limitano a riconoscere un dato, una qualità, che non è l’atto a

    generare. In dottrina se ne distinguono tre ipotesi: a) la figura del rafforzamento, in virtù della quale

    l’effetto dell’atto si sostanzia, non già nel mutamento, bensì nella conferma di una situazione

    giuridica preesistente; b) la figura della specificazione, in virtù della quale l’effetto si sostanzia,

    invece, nella precisazione del contenuto della situazione giuridica ( si pensi, ad esempio, ai

    provvedimento di spesa rispetto al relativo atto di impegno); c) la figura dell’affievolimento, in

    virtù della quale l’effetto, al contrario che nell’ipotesi del rafforzamento, si traduce nella riduzione

    della forza della originaria situazione giuridica ( si pensi, ad esempio, alla cancellazione di un

    immobile demaniale del relativo elenco, conseguente al provvedimento di sclassificazione).

    Infine, l’efficacia preclusiva si ha nei casi in cui, come è tipico degli atti di accertamento,

    l’emanazione dell’atto preclude, appunto ogni eventuale contestazione in ordine ad un fatto della

    cui verità si dubita.

    Ambito spaziale e temporale della efficacia.

    Con riguardo all’ambito, o, se si vuole, ai limiti di applicazione della efficacia, occorre

    distinguere la efficacia spaziale dalla efficacia temporale.

    L’efficacia spaziale ha riguardo alla delimitazione territoriale della efficacia dell’atto. Gli

    atti emanati dagli organi degli enti territoriali nell’esercizio delle proprie competenze, in linea di

    massima, producono effetti limitati al rispettivo ambito territoriale di competenza.

    Vi sono, però, delle eccezioni, in virtù delle quali taluni atti producono effetti nell’ambito

    dell’intero territorio nazionale, quando non anche fuori di esso. Si tratta in particolare di quegli atti

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    concernenti status o capacità (carta d’identità). Ciò si spiega alla luce del fatto che la competenza

    per il rilascio di tali atti è attribuita al soggetto territorialmente competente nel luogo in cui la

    persona ha la residenza. Lo stesso principio, con le stesse eccezioni, vale parimenti per gli atti (ad

    esempio il passaporto o i provvedimenti di polizia) emanati dagli organi dello Stato a competenza

    territoriale limitata (Prefetture, Questure).

    L’efficacia temporale

    L’efficacia temporale dell’atto amministrativo rileva sotto un duplice profilo: quello della

    decorrenza degli effetti e quello della loro durata sino alla eventuale cessazione. E’ peraltro noto

    che possono distinguersi quanto alla durata, atti ad effetto istantaneo (quale l’ordine di demolizione

    di un manufatto abusivo) ed atti ad effetto prolungato nel tempo (quale la concessione d’uso di un

    bene demaniale).

    Sempre sul piano temporale si fa differenza fra atti ad efficacia immediata e atti ad efficacia

    differita (o successiva). Il momento in cui gli effetti si producono coincide, di regola, con il

    momento del perfezionamento dell’atto giuridico.

    Gli atti sottoposti a procedimenti di controllo, infine, essendo oggetto di un successivo

    procedimento volto all’acclaramento della loro legittimità, esplicano la propria efficacia solo

    quando questo procedimento abbia esito positivo. Il controllo opera, in questo caso, come una vera

    e propria condizione sospensiva.

    Alcune osservazioni vanno poste a proposito della possibilità, per il provvedimento

    amministrativo di retroagire. Come è noto, il principio generale circa la irretroattività degli atti

    giuridici (art. 11 disp. prel. c.c.) rinviene, per quanto concerne i provvedimenti una importante

    eccezione.

    L’efficacia retroattiva è infatti ontologicamente esplicata dai provvedimenti di secondo

    grado quali l’annullamento, la convalida, la regolarizzazione.

    Non sono di certo ammessi provvedimenti retroattivi che incidano negativamente sulla sfera

    giuridica dei destinatari e, per costante giurisprudenza, non è consentita la decorrenza anteriore al

    verificarsi dei presupposti di fatto che condizionano l’efficacia di un determinato atto.

    Alla retroattività degli effetti del provvedimento amministrativo si oppongono, peraltro, due

    principi di notevole portata: l’uno si esprime nel brocardo factum infectum fieri nequit ( il fatto

    compiuto si oppone alla sua rimozione); l’altro è costituito dalla buona fede e dal legittimo

    affidamento del destinatario di un precedente provvedimento amministrativo.

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    Può dunque ancora sostenersi che di regola il provvedimento amministrativo non può aver

    efficacia retroattiva, in applicazione del principio di legalità. Al principio fa eccezione il caso in cui

    vi sia il consenso dei destinatari del provvedimento e quello in cui quest’ultimo produca solo effetti

    favorevoli. La ratio della prima ipotesi è di intuitiva evidenza.

    Quella della seconda si fonda sulla considerazione che il principio di irretroattività è posto a

    tutela dei soggetti passivi dell’attività amministrativa, pertanto, non vi è motivo di impedire, che in

    presenza di ragioni d’interesse pubblico – provvedimenti esplichino retroattivamente i propri effetti

    favorevoli.

    In questa prospettiva è legittimata l’adozione di provvedimenti ad efficacia c.d. ora per

    allora, che taluni definiscono retrodatazione per distinguerla dalla retroattività degli atti

    amministrativi: si tratta di atti che avrebbero dovuto essere emanati in un determinato tempo, ma

    che, per diverse ragioni, non lo furono.

    In ottemperanza a decisioni giurisprudenziali o a disposizioni normative sopravvenute o,

    ancora, all’esercizio di poteri di autotutela, l’amministrazione riporta la decorrenza degli effetti di

    un atto al momento in cui essi avrebbero dovuto prodursi, ancorché l’atto stesso sia adottato solo in

    seguito. Dall’effetto ripristinatorio di una situazione illegittimamente definita in precedenza

    scaturisce l’efficacia anticipata nel tempo di questa categoria di atti.

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    5 Gli elementi accidentali dell’atto amministrativo

    Anche nel campo del diritto amministrativo sono contemplati i c.d. elementi accidentali, che

    possono essere apposti ad atti discrezionali regolati da norme non cogenti, solo se ed in quanto non

    alterino il contenuto tipico. Sono elementi accidentali dell’atto: la condizione, termine e modo (od

    onere). Secondo qualche autore, fra gli elementi accidentali rientrerebbero anche le riserve, atti con

    i quali la pubblica amministrazione si riserva appunto di adottare in futuro atti relativi allo stesso

    oggetto dell’atto che emana.

    Il termine indica il momento dal quale l’atto inizia ad avere efficacia (termine iniziale)

    oppure il momento a partire dal quale l’efficacia cessa ( termine finale).

    La condizione è diretta a subordinare al verificarsi di un evento futuro ed incerto l’inizio

    (condizione sospensiva) o la cessazione ( condizione risolutiva) della efficacia dell’atto, ma solo

    nelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione disponga la discrezionalità.

    Il modus, od onere, infine, si considera, di regola, non apponibile agli atti amministrativi,

    giacché viene qualificato come elemento tipico ed esclusivo degli atti di liberalità; si ritiene,

    tuttavia, che possa essere apposto a quelli che pur imponendo un facere ai destinatari, comunque

    determinano un ampliamento della loro sfera giuridica.

    I caratteri

    Gli atti amministrativi sono caratterizzati da autoritatività; esecutività; tipicità e

    nominatività; inoppugnabilità.

    Autoritatività: detta anche autoritarietà, consiste nella capacità dell’atto di determinare i

    suoi effetti tipici nel mondo giuridico in via unilaterale, per il semplice fatto di provenite da una

    autorità amministrativa. a)L’autoritatività può essere considerata la principale prerogativa del

    peculiare regime di cui gode l’atto amministrativo, giacché da essa in qualche modo dipendono le

    altre. Questo carattere non va confuso con l’imperatività che è propria soltanto dei provvedimenti, e

    che, proprio per ciò, mentre la imperatività si accompagna sempre all’autoritatività, non è vero il

    contrario, ben dandosi il caso di atti autoritativi che non siano anche imperativi. b) L’esecutività: il

    carattere della esecutività è la conseguenza diretta della autoritatività e sta ad indicare l’astratta

    idoneità dell’atto, semplicemente in quanto esistente, e proprio perché autoritativo, a produrre gli

    effetti tipici suoi propri. Una volta venuto in vita, vale a dire dotato di tutti i requisiti di esistenza,

    l’atto produce i suoi effetti anche se illegittimo. Proprio perché consiste nella astratta idoneità

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    dell’atto a produrre gli effetti per esso previsti dall’ordinamento, l’esecutività va tenuta distinta

    dalla efficacia giuridica in senso stretto. Tutto questo vuol dire che l’atto, in virtù del carattere della

    esecutività, non necessariamente produce i suoi effetti, giacché la sua efficacia ben potrebbe essere

    postergata nel tempo in ragione di un elemento accidentale apposto all’atto: una condizione, un

    termine, un modo; ovvero perché la disciplina legislativa del relativo procedimento amministrativo,

    disponga la sussistenza della fase eventuale, di cd. “integrazione dell’efficacia”. L’eventuale

    necessità di una ulteriore fase di integrazione dell’efficacia dell’atto non fa venire meno la sua

    esecutività, a meno che la fattispecie normativa non prescriva eccezionalmente che l’atto debba

    essere recettizio. Questo significa che, salvo eccezioni, l’atto amministrativo, purché esistente in

    quanto tale, è, per ciò solo, idoneo a produrre i suoi effetti, anche se questi dovessero essere

    postergati in ragione di una condizione integrativa dell’efficacia.c) tipicità e nominatività. La

    tipicità e la nominatività sono una naturale conseguenza del principio di legalità. Tipicità significa

    che i tipi degli atti amministrativi sono individuati dalla legge, la quale stabilisce, per ciascuno di

    essi, il contenuto e la finalità. In altri termini, non esiste un atto amministrativo che non abbia il suo

    schema giuridico fissato dalla legge. La violazione della tipicità, configura il vizio di eccesso di

    potere, e permette che attraverso questo, si realizzi, da parte del giudice amministrativo il sindacato

    sugli atti più ampio e significativo possibile. Collegata alla tipicità è la nominatività.

    L’ordinamento, per ogni tipo di atto, prevede anche il nomen iuris: a tal proposito si dice che i

    provvedimenti amministrativi costituiscono numerus clausus, e cioè sono soltanto quelli previsti

    dalla legge. In definitiva, la nominatività, più che indicare il tipo di atto, individua il nomen iuris

    che la norma positiva ha, volta per volta, assegnato ad una funzione: questo perché, appunto, essa è

    indissolubilmente collegata alla tipicità. d) Inoppugnabilità: questo carattere consiste in ciò che

    l’atto, una volta decorsi sessanta giorni dalla sua piena conoscenza ( che può avvenire con la

    pubblicazione, la notificazione ecc.) ove non venga impugnato davanti al giudice amministrativo,

    da chi vi abbia interesse, in qualche modo si consolida, diventa, cioè, non più impugnabile, ossia,

    appunto, inoppugnabile.

    L’inoppugnabilità non ha nulla a che vedere con la non impugnabilità: un atto diventa

    inoppugnabile per effetto del trascorrere del tempo; un atto, invece, non è impugnabile per ragioni

    che attengono, in un certo senso, alla sua natura, il che ricorre solo in determinate ipotesi. Il

    principio generale, infatti, è quello della impugnabilità degli atti amministrativi, a sancirlo è la

    stessa Costituzione, dal combinato disposto degli artt. 24 (secondo cui tutti possono agire in

    giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi) e 113 ( secondo cui “Contro gli atti della

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    pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi

    legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa). Tuttavia, gli atti

    amministrativi per essere impugnabili devono aver leso una situazione giuridica soggettiva: un

    diritto soggettivo o un interesse legittimo. Diversamente dalla inoppugnabilità, quindi la non

    impugnabilità non riguarda tutti i provvedimenti amministrativi, essa è propria soltanto di alcune

    categorie di atti, e segnatamente di quelli che, per loro natura, non sono idonei a determinare la

    lesione di una situazione giuridica soggettiva. Pertanto, non sono impugnabili: a) gli atti

    endoprocedimentali, altrimenti detti atti preparatori, b) gli atti meramente esecutivi, e c) gli atti

    meramente confermativi.

    Si definiscono endoprocedimentali o preparatori, tutti gli atti interni ad un procedimento

    amministrativo, (come ad esempio i pareri, le proposte, ecc.) i quali di regola sono manifestazioni

    non di volontà, bensì di conoscenza o di apprezzamento. Tali atti non sono impugnabili atteso che

    non ledono direttamente con la sfera giuridica del destinatario, non sono in grado di determinare la

    lesione di un interesse legittimo o di un diritto soggettivo, l’unico atto idoneo a produrla è di regola

    il provvedimento amministrativo.

    Gli atti preparatori non devono essere confusi con gli atti presupposti, dai quali occorre

    tenerli distinti. Mentre i primi non hanno autonomia funzionale, essendo atti interni ad un

    procedimento, e, dunque, di per sé, non sono idonei a produrre la lesione, gli atti presupposti,

    invece, hanno piena autonomia funzionale, e perciò, avendo autonoma capacità lesiva, sono

    autonomamente impugnabili, sebbene, in concreto, debbano essere impugnati insieme all’atto

    consequenziale.

    Non sono impugnabili anche gli atti meramente confermativi, i quali si devono distinguere

    dagli atti di conferma veri e propri, che costituiscono espressione della cd. autotutela o meglio del

    riesercizio del potere. L’atto di vera e propria conferma costituisce una nuova manifestazione di

    volontà, seppur avente il medesimo contenuto della precedente: si tratta di un provvedimento

    adottato sulla base di un nuovo iter procedimentale, caratterizzato da una nuova fase istruttoria e da

    una rinnovata ponderazione degli interessi in gioco, ed è per questa ragione che è impugnabile.

    Al contrario, l’atto meramente confermativo si ha quando la pubblica amministrazione senza

    aprire un nuovo procedimento, e dunque esperire una nuova istruttoria, si limita a confermare il

    disposto di un precedente provvedimento, sulla base della richiesta in tale senso avanzata da un

    soggetto interessato. Poiché non integra una nuova manifestazione di volontà, l’atto meramente

    confermativo non è impugnabile.

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    Per le stesse ragioni non sono impugnabili gli atti meramente esecutivi, dal momento che il

    contenuto, la manifestazione di volontà che ha prodotto la lesione è nell’atto che viene eseguito, e

    non in quello che gli dà mera esecuzione. Anche in questi casi, si tratta di atti che non esprimono

    una nuova volontà della pubblica amministrazione, privi come sono di alcun contenuto innovativo

    rispetto a quello dell’atto cui danno esecuzione: ove se ne ammettesse la impugnabilità, si finirebbe

    nella sostanza per operare una sorta di arbitraria remissione in termini del soggetto interessato.

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    6 La legittimità e l’opportunità degli atti amministrativi

    Gli atti amministrativi possono essere valutati sotto due profili, quello della loro legittimità e

    quello del merito del loro contenuto. Un atto è legittimo se è conforme alle norme che disciplinano

    il potere esercitato dall’autorità che lo emana. Il vizio di merito si ha quando l’atto sebbene

    conforme alle norme non sia rispondente alle regole di buona amministrazione. La rilevanza dei vizi

    di merito trova la propria ratio giustificatrice nel fatto che l’attività della pubblica amministrazione

    è una attività funzionalizzata, nel senso che essa non solo deve essere conforme alle norme di legge,

    ma deve essere, comunque, protesa alla realizzazione dell’interesse pubblico.

    Per quanto concerne i vizi di legittimità, quelli cioè che segnalano i diversi modi in cui l’atto

    amministrativo non è conforme al suo proprio paradigma normativo, sono l’incompetenza,

    l’eccesso di potere e la violazione di legge. Se l’atto è illegittimo, e cioè non è conforme alla legge,

    può essere annullato dal giudice amministrativo. L’incompetenza: Quanto al vizio di

    incompetenza, occorre distinguere tra incompetenza assoluta (ossia, difetto assoluto di attribuzione

    e/o carenza di potere) e incompetenza relativa ( ossia, difetto di competenza). L’incompetenza

    assoluta si ha quando l’atto viene posto in essere da una autorità amministrativa che appartiene ad

    un plesso organizzatorio diverso da quello al quale la legge ha attribuito il potere. L’incompetenza

    assoluta è causa di inesistenza dell’atto: l’atto è nullo, e perciò non produce effetti giuridici. Si ha,

    invece, incompetenza relativa quando un organo amministrativo invade la sfera di competenza di un

    altro organo appartenente allo stesso settore amministrativo o comunque allo stesso ente. Laddove

    l’atto sia emanato da un organo non dotato dalla legge della relativa competenza, si dice che è

    illegittimo per incompetenza. L’incompetenza relativa, o più semplicemente incompetenza, è vizio

    di legittimità dell’atto amministrativo, il quale, se ne è inficiato, risulta annullabile. L’eccesso di

    potere. Si definisce eccesso di poter il vizio dell’atto amministrativo che inerisce alla finalità. Esso

    si verifica quando l’atto ( a prescindere dal fatto che il poter per emanarlo sia esercitato dal soggetto

    competente) realizza in concreto un fine diverso da quello per la realizzazione del quale il potere è

    stato dalla norma attribuito a quel soggetto della pubblica amministrazione. L’atto è, quindi,

    illegittimo per un vizio della funzione, ciò significa che non viene perseguito l’interesse pubblico

    specifico. La violazione di legge. La mera violazione di legge è il vizio di legittimità che si

    definisce residuale: ciò significa che in esso vanno collocate tutte le ipotesi che non rientrano nelle

    altre due species. Esso si sostanzia in un contrasto fra l’atto e l’ordinamento giuridico,

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    l’incompetenza e l’eccesso di potere sono ben identificati; ogni altra violazione che non rientri nella

    incompetenza e nell’eccesso di potere viene collocata in una categoria residuale.

    Tutti e tre i vizi, però consistono in violazioni di legge, perché sia il soggetto competente, sia

    la finalità da perseguire, sono stabiliti dalla legge. Rispetto all’eccesso di potere, la violazione di

    legge, analogamente alla incompetenza, è di più agevole accertamento, in quanto occorre

    semplicemente rilevare il contrasto tra la norma e l’atto.

    Si pensi principalmente, alla mancata applicazione di una qualunque delle disposizioni

    contenute nella legge sul procedimento amministrativo ( l. n. 241/1990): ad esempio, quella

    concernente l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento ai destinatari dell’atto, la cui

    violazione legittima questi ad impugnarlo dinanzi al giudice amministrativo per ottenere

    l’annullamento.

    Abbiamo visto che l’atto amministrativo può essere viziato non soltanto nella legittimità, ma

    anche nel merito: ciò ricorre quando esso è in contrasto con regole non giuridiche, che attengono

    alla opportunità, alla convenienza, alla equità dell’azione amministrativa.

    I vizi di merito, dunque, costituiscono una violazione del principio di buon andamento della

    amministrazione, in base al quale l’attività della pubblica amministrazione deve svolgersi secondo

    canoni di razionalità ed economicità con riguardo all’uso dei mezzi e al raggiungimento dei fini di

    pubblico interesse che si propone. I vizi di merito sono giuridicamente irrilevanti, a meno che la

    legge non attribuisca al giudice amministrativo una giurisdizione, appunto, di merito.

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    7 Il provvedimento amministrativo All’interno della categoria generale degli atti amministrativi sono possibili numero

    classificazioni: la più importante distinzione è tra meri atti ed atti di volontà: i primi sono atti

    volontari i cui effetti sono preordinati dal legislatore, i secondi sono atti volontari e, nel contempo,

    espressione anche della volontà degli effetti. Il prototipo di tale categoria di atto amministrativo è il

    provvedimento. Il legislatore non ha fornito una definizione di provvedimento amministrativo, tale

    lacuna però è stata colmata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che hanno fornito diverse

    definizioni di provvedimento amministrativo. In linea generale, si definisce provvedimento

    amministrativo quell’atto consistente in una manifestazione di volontà adottata

    dall’amministrazione volta alla cura di un concreto interesse pubblico e diretta a produrre

    unilateralmente effetti giuridici nei rapporti esterni con i destinatari. L’emanazione di un

    provvedimento, di regola, è preceduta dal compimento di una serie di atti e di attività che nel loro

    complesso, prendono il nome di procedimento amministrativo.

    Il provvedimento amministrativo, pertanto, è l’atto amministrativo per eccellenza, infatti,

    l’atto amministrativo, in genere, è lo strumento di cui si avvale la pubblica amministrazione per

    porre in essere la propria attività, in attuazione dei limiti costituzionali di cui all’art. 97 della Cost.

    nonché attraverso il quale si concreta e si formalizza l’attività dell’amministrazione pubblica in

    relazione ad una determinata situazione o realtà, nell’esercizio di una attività amministrativa. Il

    provvedimento, invero, è un atto amministrativo “particolare” giacché consiste in una statuizione

    autoritativa/imperativa, che in quanto tale, è capace di modificare unilateralmente la sfera giuridica

    dei destinatari diversamente da tutti gli altri atti amministrativi.

    Invece, il provvedimento amministrativo, più specificatamente, è dotato di caratteristiche

    peculiari e si presenta come l’unico idoneo ad incidere unilateralmente sulla sfera giuridica dei

    destinatari. Nel novero degli atti amministrativi, dunque, il provvedimento si distingue, non solo per

    essere autoritativo, giacché gli effetti giuridici suoi propri hanno rilevanza esterna (connotato che è

    tipico di tutti gli atti amministrativi, così come lo sono la tipicità e nominatività, nonché la

    esecutività, la inoppugnabilità e la particolate impugnabilità) ma anche e soprattutto perché in esso

    l’autoritatività si accompagna sempre con la imperatività. Quanto agli effetti giuridici propri del

    provvedimento, essi consistono, appunto, nella capacità di costituire, modificare o estinguere una

    situazione giuridica soggettiva, ovvero, per converso, di negare tale costituzione, modificazione od

    estinzione.

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    I Caratteri distintivi dei provvedimenti amministrativi: la imperatività e la

    esecutorietà.

    Il provvedimento amministrativo presenta, oltre ai caratteri che sono propri di tutti gli atti

    amministrativi, e cioè, per un verso, l’autoritatività, la esecutività , la inoppugnabilità, e per un altro

    la tipicità e nominatività, anche quelli della imperatività e, nelle ipotesi tassativamente previste

    dalla legge, della esecutorietà.

    L’imperatività. E’ la capacità del provvedimento amministrativo di modificare

    unilateralmente la sfera giuridica dei suoi destinatari, senza che rilevi in alcun modo la loro volontà:

    i destinatari, perciò pur vedendosi riconosciuta un’ampia sfera di partecipazione al procedimento

    preordinato alla emanazione del provvedimento, non contribuiscono a quest’ultima. In altri termini,

    i destinatari si trovano in una posizione di soggezione rispetto all’esercizio del potere

    amministrativo: non v’è, dunque, negoziazione, giacché il provvedimento si impone unilateralmente

    ai destinatari.

    L’esecutorietà. Il secondo carattere del provvedimento, l’esecutorietà1 è eventuale, perché

    non è proprio di tutti i provvedimenti: esso consiste, evidentemente solo nei casi in cui ricorre, nella

    capacità del provvedimento, espressamente riconosciuta dalla legge di essere portato direttamente e

    coattivamente ad esecuzione, a prescindere dall’intervento del giudice e anche contro la volontà del

    destinatario, al quale non è consentito opporre altro che una mera resistenza passiva.

    Esecutorio è, dunque, il provvedimento che (oltre ad essere esecutivo e, dunque, capace di

    produrre i suoi effetti tipici) ha la capacità di essere materialmente eseguito dalla pubblica

    amministrazione. E’ del tutto evidente che l’esecutorietà del provvedimento consegue, ed è

    strettamente connessa, alla sua esecutività: laddove l’esecutività venga sospesa dal giudice

    amministrativo, invero, il provvedimento perde anche la sua esecutorietà. L’esecutorietà è una

    manifestazione tipica del principio di legalità, di tal che, ai fini di garanzia dei destinatari, i

    provvedimenti esecutori sono numerus clausus.

    Di regola sono esecutori, sempre che, naturalmente, ciò sia previsto dalla legge i

    provvedimenti ablatori ( l’espropriazione, l’occupazione, la requisizione).

    1 La legge n. 241 del 1990, nel disciplinare la esecutorietà all’art. 21 ter, ha chiarito, al primo comma che “Nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazione possono imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l’interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all’esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge”; aggiungendo al secondo comma che “Ai fini dell’esecuzione delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro si applicano le disposizioni per l’esecuzione coattiva dei crediti dello Stato.

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    8 La classificazione dei provvedimenti amministrativi

    Nel novero dei provvedimenti amministrativi è rinvenibile un numero molto elevato di atti.

    Ciò deriva, evidentemente, dalla complessità del quadro ricognitivo delle fattispecie in cui, nella

    realtà legislativa, è configurabile una capacità autoritativa/imperativa della pubblica

    amministrazione. Proprio per ciò i criteri di catalogazione dei provvedimenti possono essere diversi.

    Anche se meramente descrittiva, la sistemazione classificatoria che, per intrinseca logicità ed

    esaustività, appare più convincente è tuttora quella incentrata sul contenuto dei provvedimenti. In

    base ad esse possiamo distinguere i provvedimenti amministrativi in quattro grandi categorie

    ciascuna delle quali va suddivisa, a sua volta, in più sottocategorie, all’interno delle quali sono

    catalogabili le singole species si provvedimenti. Le quattro grandi categorie menzionate si

    individuano a seconda che il provvedimento: a) operi su qualità giuridiche di persone, cose, attività,

    fatti, b) operi nel campo dei diritti e dei doveri, ampliandoli o restringendoli; c) operi su precedenti

    atti amministrativi; d) attenga alla organizzazione della pubblica amministrazione.

    I provvedimenti che operano su qualità giuridiche di persone, cose, attività, fatti ( e

    situazioni) sono quegli atto che operano sugli status, creandoli, modificandoli o estinguendoli.

    Tra i predetti provvedimenti rientrano quelli di conferimento di cittadinanza; assunzione ad

    un impiego; immissione in un istituto; iscrizione nelle liste di leva, nelle liste elettorali, ecc.

    Tra i provvedimenti modificativi di status, invece, vanno catalogati quelli di: promozione di

    impiegati o studenti, nonché alcuni provvedimenti disciplinari e quelli modificativi della

    classificazione di una strada, di un albergo, ecc. Infine, tra quelli estintivi di status vanno inclusi i

    provvedimenti di revoca della cittadinanza, decadenza dalla carica di consigliere comunale, ecc..

    I provvedimenti che operano su precedenti atti amministrativi sono quei provvedimenti

    che a) producono la cessazione o la sospensione dell’efficacia di atti, fra i quali si annoverano

    l’annullamento, la revoca, la rimozione; b) modificano precedenti provvedimenti, nel cui ambito si

    collocano la modifica, la riforma, la rettifica; c) consolidano o integrano precedenti provvedimenti,

    fra i quali vanno inclusi la convalida, la conversione, la conferma; d) decidono controversie

    concernenti atti amministrativi, che consistono nelle decisioni di accoglimento di ricorsi

    amministrativi impugnatori di atti.

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    I provvedimenti che attengono all’organizzazione della Pubblica amministrazione. Si

    tratta di quei provvedimenti che creano, modificano o estinguono enti, uffici, posti, e le loro

    dotazioni, ecc.

    I provvedimenti che operano su diritti e doveri, ampliandoli o restringendoli determinano

    significativi effetti nella sfera giuridica dei destinatari. Tali provvedimenti vanno distinti in due

    sottocategorie: quelli ampliativi e quelli restrittivi.

    I provvedimenti ampliativi così definiti perché accrescono la sfera giuridica dei destinatari,

    possono a loro volta distinguersi in accrescitivi o permissivi, a seconda che a) facciano sorgere

    diritti o estinguere obblighi; ovvero b) rendano possibile l’esercizio di preesistenti diritti. Con i

    primi la pubblica amministrazione si priva di beni o assume obbligazioni a favore di terzi, ovvero

    rinuncia a diritti, conferisce poteri o facoltà ad essa inerenti (le concessioni traslative); conferisce

    diritti creati ex novo inerenti a settori nel suo dominio, ma che essa non può esercitare ex se

    (concessioni costitutive); consente l’esercizio di attività non inerenti a preesistenti diritti né a settori

    nel suo dominio ( le licenze, le dispense). Fra i secondi, invece, rientrano i provvedimenti che

    rimuovono l’ostacolo all’esercizio di un diritto che è già nella sfera giuridica del richiedente (le

    autorizzazioni, le abilitazioni e le approvazioni).

    b) I provvedimenti restrittivi, viceversa, incidono riduttivamente su diritti e si distinguono

    tra di loro a seconda che comprimano diritti o creino obblighi. Fra i primi si collocano tanto i

    provvedimenti che incidono su diritto patrimoniali, siano essi ablativi di beni o diritti reali ( ad es.

    l’espropriazione) ovvero creativi di vincoli o limitazioni alla proprietà ( es. dichiarazione di

    pubblica utilità di un bene), quanto quelli che incidono su diritti non aventi contenuto patrimoniale (

    es: provvedimenti sanzionatori, di sospensione cautelare di un impiego). Nel novero dei secondo,

    rientrano gli ordini e le direttive.

    La dottrina classifica i provvedimenti ablatori a seconda dell’oggetto sul quale incidono: essi

    si distinguono pertanto in provvedimenti ablatori personali, se incidono su libertà, diritti personali o

    anche su comportamenti semplicemente leciti; in ablatori reali, se estinguono o limitano diritti reali;

    e in provvedimenti ablatori obbligatori, se fanno sorgere obbligazioni a carico dei loro destinatari.

    Se il carattere essenziale e comune a tutti i provvedimenti ablatori è l’imposizione di una

    privazione, occorre dire che, a volte, e precipuamente nei provvidenti ablatori reali e obbligatori, la

    privazione è strumentale all’approvazione da parte dell’amministrazione della utilitas sottratta al

    privato.

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    9 I provvedimenti ampliativi

    I provvedimenti ampliativi si caratterizzano per il fatto che allargano la sfera giuridica dei

    destinatari, sia attribuendo loro diritti e facoltà giuridiche, sia rimuovendo gli ostacoli che si

    frappongono all’esercizio di questi. I predetti provvedimenti, di regola, sono subordinati alla

    richiesta da parte del soggetto interessato alla loro emanazione.

    Per quanto concerne questo tipo di provvedimento ampliativo, il più importante è senza

    dubbio l’autorizzazione. Secondo la migliore dottrina, l’autorizzazione può essere definita come

    quel provvedimento mediante il quale la pubblica amministrazione, nell’esercizio di una attività

    discrezionale in funzione preventiva (e normalmente ad istanza dell’interessato), provvede alla

    rimozione di un limite legale posto all’esercizio di un’attività inerente ad un diritto soggettivo o ad

    una potestà pubblica che devono necessariamente preesistere in capo al destinatario. Nel caso

    dell’autorizzazione, insomma, il diritto è già in capo al richiedente, il quale, però, è sprovvisto della

    capacità di esercitarlo fino a che non giunga il provvedimento dell’autorità amministrativa

    competente.

    In altri termini, l’autorizzazione rende effettivamente esercitabile una attività materiale o

    giuridica, che il richiedente, in linea di principio, potrebbe svolgere, ma che la legge subordina alla

    verifica amministrativa dei requisiti da essa stessa stabiliti. Per quanto concerne la sua natura

    giuridica, si tratta di un provvedimento discrezionale che incide su diritti, condizionandone

    l’esercizio, a carattere ampliativo della sfera soggettiva dei privati, ma non costitutivo atteso che

    non crea diritti o poteri nuovi in capo al destinatario, ma legittima solo l’esercizio di diritti o potestà

    già preesistenti nella sfera del soggetto. Sotto il profilo funzionale, le autorizzazioni possono essere

    rilasciate o in funzione di controllo, o in funzione di programmazione dell’attività dei soggetti

    privati.

    Le prime si compongono di un giudizio volto ad assicurare che il concreto contenuto del

    potere materiale oggetto del procedimento sia conforme a regole predeterminate, nel qual caso si

    provvederà all’adozione del provvedimento autorizzatorio, ovvero, in caso di non rispondenza al

    suo diniego. Le seconde costituiscono degli strumenti volti a coordinare l’attività dei privati con

    quanto previsto in piani o programmi

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    10 I tipi di autorizzazioni

    Autorizzazioni espresse e tacite (o implicite o indirette): Espressa è quella autorizzazione

    rilasciata con un provvedimento manifesto ad hoc; l’autorizzazione tacita si ha quando la volontà

    autorizzatoria della pubblica amministrazione sia ricavata dal suo silenzio a seguito dell’istanza

    (silenzio assenso). Modali e non modali: quando la pubblica amministrazione, per ragioni di

    pubblico interesse inserisce nel provvedimento permissivo, prescrizioni limitative o modali; non

    modali: sono quelle autorizzazioni il cui contenuto è predisposto dalla legge e non sono pertanto

    suscettibili di limitazioni. La pubblica amministrazione ha solo la facoltà di emanarle o meno.

    Personali e reali : il provvedimento autorizzativo ha come destinatario un soggetto di diritto. Si

    parla di autorizzazioni personali, quando l’apprezzamento discrezionale della pubblica

    amministrazione concerne requisiti inerenti la persona del soggetto autorizzato; autorizzazioni reali,

    dette anche ob rem, quando l’accertamento verte su requisiti concernenti una res (es. carta di

    circolazione di un autoveicolo). Discrezionali e vincolate. Secondo la dottrina più recente, accanto

    alla figura delle autorizzazioni discrezionali, costitutive in quanto tali di situazioni dinamiche, vi

    sarebbe quella delle autorizzazioni vincolate caratterizzate dall’effetto attributivo di una qualità o

    qualifica giuridica a seguito di un procedimento accertativo. La fonte e gli effetti dell’atto vincolato

    sarebbero da rinvenirsi integralmente nella legge.

    Figure analoghe all’autorizzazione:

    Abilitazione. La dottrina e la giurisprudenza convengono nel ritenere che l’abilitazione è da

    ricondurre allo schema dell’autorizzazione, atteso che anche le abilitazioni sono provvedimenti

    amministrativi che operano su diritti, condizionandone l’esercizio.

    La differenza tra l’autorizzazione e l’abilitazione concerne il diverso tipo di discrezionalità

    cui ricorre la pubblica amministrazione nell’emanarli. Discrezionalità amministrativa nel caso di

    autorizzazioni, discrezionalità tecnica nel caso delle abilitazioni ( es. patente di guida).

    Approvazione

    L’approvazione è un provvedimento permissivo, che consente l’esercizio di determinati

    diritti o facoltà, mediante il quale la pubblica amministrazione rende efficaci ed eseguibili atti

    giuridici già compiuti e perfetti. Differisce dall’autorizzazione in senso tecnico in quanto, mentre

    l’autorizzazione deve necessariamente intervenire prima del compimento dell’attività o dell’atto

    cui si riferisce, gli atti di approvazione, invece, intervengono sempre in un momento successivo;

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    quindi l’autorizzazione condiziona la legittimità dell’atto, l’approvazione ne condizione solo

    l’operatività. Inoltre, l’approvazione costituisce generalmente un atto di controllo e trova larga

    applicazione nei rapporti tra Stato e persone giuridiche pubbliche.

    Nulla osta

    Per nulla osta si intende un atto con cui un’autorità amministrativa dichiara di non aver

    osservazioni da fare in ordine all’adozione di un provvedimento da parte di un’altra autorità.

    Le licenze

    Le licenze costituiscono una delle più discusse categorie di provvedimenti amministrativi

    che operano su diritti e doveri. La dottrina riconduce le licenze alla figura dell’autorizzazione,

    considerandole dei provvedimenti permissivi, in quanto mirando alla rimozione di un limite legale

    che si frappone all’esercizio di una attività inerente ad un diritto soggettivo o ad una potestà

    pubblica, rendendo possibile l’esercizio del diritto soggettivo.

    Registrazione

    La registrazione è un’autorizzazione vincolata, in quanto anch’essa è diretta a rimuovere un

    limite legale che si frappone all’esercizio di un diritto, ciò avviene, però non a seguito di una

    valutazione discrezionale, bensì sulla base di un semplice accertamento della sussistenza delle

    condizioni di legge.

    Dispensa

    La dispensa è quel provvedimento mediante il quale la pubblica amministrazione, sulla base

    di una valutazione discrezionale, consente ad un soggetto di esercitare una data attività o compiere

    un determinato atto in deroga ad un divieto di legge, ovvero esonera il soggetto dall’adempimento

    di un obbligo di legge.

    Le concessioni

    La concessione è il provvedimento amministrativo con cui la pubblica amministrazione

    conferisce ex novo posizioni giuridiche attive al destinatario, ampliandone così la sfera giuridica.

    La concessione, pur presentando elementi di affinità con l’autorizzazione entrambi sono

    provvedimenti ampliativi della sfera soggettiva, se ne differenzia in quanto non si limita a

    rimuovere un limite di una posizione soggettiva preesistente, ma attribuisce o trasferisce posizioni o

    facoltà nuove al privato.

    Le concessioni possono essere traslative o costitutive. Con le prime la pubblica

    amministrazione trasferisce diritti reali o di altro tipo, di cui è titolare (si pensi, ad esempio, alla

    concessione di sfruttamento di una miniera): si tratta, invero, di diritti i quali, pur non dovendo

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    essere necessariamente esercitati dalla pubblica amministrazione, sono comunque da questa

    esercitabili, perciò queste concessioni si dicono traslative, giacchè trasmettono al richiedente un

    diritto, un potere, una facoltà che la pubblica amministrazione sino a quel momento esercitava o

    avrebbe potuto esercitare.

    Con le concessione costitutive, viceversa, la Pubblica amministrazione, conferisce al privato

    diritti e facoltà che non trovano corrispondenza in precedenti diritti o facoltà della pubblica

    amministrazione.

    Le predette concessioni possono essere costitutive: a) di diritti subiettivi: tali concessioni

    fanno sorgere ex novo diritti per il destinatario (es. decreto per il cambiamento di nomi e

    cognomi);b) di diritti all’esercizio di professioni in cui sia limitato il numero degli esercenti.

    Per l’esercizio di professioni basta, di solito, un atto ablativo o un atto di ammissione. In alcuni casi,

    in considerazione del pubblico interesse, l’esercizio di certe professioni è limitato ad un determinato

    numero di esercenti, stabilito in base a criteri determinati. Per l’esercizio di queste ultime è, quindi

    necessario un vero e proprio provvedimento di concessione da parte della pubblica

    amministrazione, come ad esempio le autorizzazioni all’aperture di farmacie e le cd. autorizzazioni

    all’apertura di istituti di credito e dei relativi sportelli.

    Concessioni - contratto

    Il rapporto pubblicistico di concessione traslativa è solitamente doppiato da un atto

    negoziale il cd. capitolato che accede al provvedimento disciplinando, secondo il diritto civile, i

    reciproci diritti e obblighi di concedente e concessionario. In questo caso si parla di concessione

    contratto. Mentre l’atto unilaterale e discrezionale della pubblica amministrazione si configura

    quale unico titolo del rapporto di concessione, la disciplina, invece, di tale rapporto trova il suo fatto

    costitutivo in una attività di tipo negoziale. La principale caratteristica, infatti, di tale tipo di

    concessione risiede nella stretta interdipendenza fra il provvedimento amministrativo e il cd.

    capitolato contratto, per cui qualora uno degli elementi venga meno, l’intera fattispecie è

    insuscettibile di produrre effetti.

    La concessione, per il fatto di essere espressione di un potere amministrativo funzionalizzato

    alla cura di un interesse pubblico specifico, pur attribuendo un diritto in capo al destinatario, può

    essere successivamente revocata, in sede di riesercizio del potere, sulla base proprio di una

    rinnovata valutazione dell’interesse pubblico cui il potere è funzionalizzato, con la conseguenza che

    la disciplina contrattuale che accede al provvedimento seguirà le sorti di questo.

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    Nel genus delle concessioni rientrano anche le erogazioni finanziarie (comprendenti

    sovvenzioni, sussidi, premi ecc), provvedimenti con i quali la pubblica amministrazione sostiene

    l’impegno della società civile nei più svariati settori e per le più diverse attività, dai settori

    produttivi alle iniziative culturali e sportive.

    Diritti e doveri del concessionario

    Con il provvedimento di concessione sorge un rapporto di diritto pubblico tra la pubblica

    amministrazione concedente ed il concessionario, disciplinato dalla legge, in relazione a ciascun

    caso di concessione. I principi generali che regolano tale rapporto sono i seguenti:

    a) Nella concessione di beni, il concessionario acquista:

    1.il diritto all’uso del bene demaniale: è un vero e proprio diritto reale nei confronti

    dei terzi, tutelabile con le azioni civilistiche possessorie

    2.Il cd. diritto di insistenza, e cioè l’interesse legittimo al rinnovo della concessione

    da parte della pubblica amministrazione se non vi ostano ragioni di pubblico interesse, a

    preferenza di altri aspiranti

    3.L’obbligo di pagare la cauzione ed il canone

    4.Il dovere di utilizzare il bene

    5. Il dovere di sottostare ai controlli della pubblica amministrazione.

    b) nella concessione di servizi, il concessionario acquista

    1. il diritto all’esercizio della concessione

    2. il diritto all’esclusiva nella titolarità della concessione e nella gestione del servizio. Si

    tratta di un vero e proprio diritto soggettivo, la cui violazione comporta responsabilità della

    pubblica amministrazione ed è risarcibile

    3.il diritto di conseguire i vantaggi economici derivanti dalla gestione del servizio

    4.il diritto a particolari sovvenzioni da parte dello Stato, se previsto dalla legge;

    5. il cd. diritto di insistenza

    6. l’obbligo di pagare la cauzione e il canone

    7. il dovere di organizzare e far funzionare il servizio assunto

    8. il dovere di sottostare ai controlli della pubblica amministrazione.

    Il concessionario, rispetto ai terzi, è comunque un soggetto investito di una attività di

    interesse pubblico e quindi, sostanzialmente, un soggetto titolare di poteri pubblicistici, tra i quali il

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    potere di autoorganizzazione ed il potere di disciplinare nei confronti dei dipendenti, sebbene i

    rapporti di lavoro con questi ultimi siano di natura privatistica.

    La concessione edilizia/ permesso di costruire.

    L’art. 31 della l. n. 1150/1942 (integrato dalla legge 765 del 1967) imponeva la necessità di

    una apposita licenza, rilasciata dal Sindaco, per chi intendesse, nell’ambito del territorio comunale,

    eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle esistenti ovvero procedere ad

    opere di urbanizzazione del terreno. La dottrina inizialmente sosteneva che tale licenza altro non era

    che un’autorizzazione in senso tecnico, in quanto rimuoveva un limite legale all’esercizio dello ius

    edificandi da parte del proprietario del suolo.

    L’art. 31 della legge urbanistica del 1943 è stato abrogato e sostituito dall’art. 1 della l.

    10/1977 ( cd. legge Bucalossi), in forza del quale l’esecuzione delle opere di trasformazione

    urbanistica ed edilizia del territorio comunale è subordinata a concessione da parte del Sindaco.

    Secondo la prevalente dottrina, l’amministrazione, in tale modo conferirebbe al privato qualcosa

    che esso prima non aveva.

    Questa soluzione è stata criticata da un'altra parte della dottrina, secondo cui, al contrario, la

    concessione di costruire, costituirebbe una innovazione soltanto nominalistica.

    A tal proposito la Corte costituzionale con la sentenza n. 5 del 30.01.1980, ha affermato che

    il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà. Secondo la Corte, è vero che il sistema

    normativo che disciplina l’edificabilità dei suoli demanda alla pubblica autorità ogni

    determinazione sul se, sul come e sul quando edificare, ma la concessione edilizia, non essendo

    attributiva di nuovi diritti, presuppone facoltà preesistenti e adempie all’identica funzione della

    antica licenza edilizia, avendo lo scopi di accertare l’esistenza delle condizioni previste dalla legge

    per l’esercizio del diritto nei limiti in cui l’ordinamento ne riconosce e tutela la sussistenza.

    Ne deriva che è appare difficile individuare la natura giuridica di questo titolo edilizio in

    quanto è atipico come concessione atteso che fa riferimento ad una attività privata, svolta

    utilizzando beni di proprietà privata e non riguardante beni della pubblica amministrazione o servizi

    a questa riservati in via esclusiva. Allo stesso tempo, tale provvedimento edilizio è atipico anche

    come autorizzazione poiché non è rivolto soltanto a rimuovere un limite all’esercizio dello ius

    edificandi, ma altresì ad imporre precisi doveri riferiti all’attività di esecuzione.

    La concessione edilizia, a seguito dell’emanazione del d.p.r n. 380/2001 ( testo unico

    sull’edilizia), è stata sostituita dal permesso di costruire.

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    Con l’entrata in vigore del suddetto testo unico sull’edilizia si è avuto solo una modifica

    terminologica che vale a prendere atto della ritenuta inerenza dello ius edificandi al diritto di

    proprietà e della correlativa improprietà del riferimento all’istituto concessorio.

    I provvedimenti restrittivi della sfera giuridica dei destinatari

    I provvedimenti restrittivi, limitano le facoltà dei destinatari, o comprimendole fino a

    sopprimerle, ovvero imponendo obblighi. Si tratta, in sostanza, di provvedimento ablatori perché i

    poteri che essi realizzano in concreto consistono comunque nella ablazione di un diritto o di una

    facoltà.

    Tali provvedimenti si distinguono a seconda che incidano su diritti, ovvero creino obblighi.

    Provvedimenti che incidono su diritti. A loro volta si distinguono fra quelli che incidono

    su diritti patrimoniali e quelli che incidono su diritti non patrimoniali.

    Tra i provvedimenti che incidono su diritti patrimoniali, si devono differenziare i

    provvedimenti ablativi di beni o diritti reali, da quelli creativi di vincoli o limitazioni alla proprietà.

    I provvedimenti ablativi di beni o diritti reali sono quegli atti con i quali la pubblica

    amministrazione priva il titolare di un determinato diritto reale, estinguendolo o trasferendolo

    coattivamente ad altro soggetto oppure limitandolo. Sono provvedimenti che incidono

    sfavorevolmente su diritti, estinguendoli o comprimendoli. L’espropriazione che è il provvedimento

    ablatorio più importante consiste nel trasferimento definitivo per ragioni di pubblica utilità, del

    diritto di proprietà o di altro diritto reale, da un precedente ad un nuovo titolare.. Espropriato è

    solitamente un soggetto privato, espropriante, invece, è sempre la pubblica amministrazione;

    quest’ultima non può coincidere con il beneficiario dell’espropriazione, essa, agendo, cioè affinchè

    il bene o il diritto espropriato passi da un proprietario ad un altro.

    La procedura per l’espropriazione consta sempre di due sub procedimenti, il primo dei quali

    si conclude con il provvedimento denominato dichiarazione di pubblica utilità, che opera come

    necessario presupposto del sub procedimento che si conclude con il decreto di espropriazione.

    La requisizione: Il provvedimento di requisizione può essere finalizzato tanto a conseguire

    l’uso di beni in appartenenza privata quanto ad acquisirne la proprietà, laddove ricorrano comunque

    ragioni di pubblico interesse. In entrambi i casi è dovuta al destinatario una indennità.

    La requisizioni in proprietà riguarda esclusivamente beni mobili e produce effetti definitivi,

    presentando caratteri simili a quelli della espropriazione e, differenziandosene per il presupposto in

    quanto è prevista solo per ragioni militari.

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    La requisizione in uso, invece, può avere ad oggetto anche beni immobili ed è per

    definizione temporanea, essa è possibile solo per ragioni di necessità ed urgenza nel che consiste la

    diversità dei suoi presupposti rispetto a quelli della espropriazione.

    La requisizione in uso vanno tenute distinte dalle ordinanze di necessità ed urgenza: solo

    queste ultime, infatti, non dovrebbero dar luogo ad indennizzo.

    La confisca