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AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO Società Italiana degli Avvocati Amministrativisti Direzione del Corso: Prof. Avv. Filippo Lubrano Coordinamento e Segreteria del Corso: Avv. Benedetta Lubrano – Avv. Enrico Lubrano CORSO DI AGGIORNAMENTO SULLA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 23 gennaio 2008 Risarcimento danno interessi legittimi MATERIALI A CURA DEL CONSIGLIERE ROBERTO CHIEPPA Via Flaminia 79 00196 ROMA – Tel. 06 3202562 – 06 3223249 - Fax 06 3214981 [email protected] - [email protected] - www.siaaitalia.it – www.studiolubrano.it

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO Società Italiana … · 1. Natura della responsabilità della P.a.: le varie tesi a confronto. La responsabilità della pubblica amministrazione per

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AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

Società Italiana degli Avvocati Amministrativisti

Direzione del Corso: Prof. Avv. Filippo Lubrano Coordinamento e Segreteria del Corso: Avv. Benedetta Lubrano – Avv. Enrico Lubrano

CORSO DI AGGIORNAMENTO SULLA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

23 gennaio 2008

Risarcimento danno interessi legittimi

MATERIALI A CURA DEL CONSIGLIERE ROBERTO CHIEPPA

Via Flaminia 79 00196 ROMA – Tel. 06 3202562 – 06 3223249 - Fax 06 3214981 [email protected] - [email protected] - www.siaaitalia.it – www.studiolubrano.it

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LA NATURA DELLA RESPONSABILITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E I REQUISITI OGGETTIVI E SOGGETTIVI DELL’ILLECITO.

di Roberto Chieppa

tratto da R. Chieppa – V. Lopilato, Studi di diritto amministrativo, Milano, 2007.

SOMMARIO: 1. Natura della responsabilità della P.a.: le varie tesi a confronto. 2. Esame critico delle

varie tesi sulla natura della responsabilità della p.a.: la responsabilità extracontrattuale resta il modello prevalente. 3. I requisiti dell'illecito: l’elemento oggettivo. 4. L’elemento oggettivo nel danno da ritardo. 5. La colpa della P.a.. 6. Conclusioni.

1. Natura della responsabilità della P.a.: le varie tesi a confronto. La responsabilità della pubblica amministrazione per i danni arrecati nell’esercizio

della propria attività amministrativa assuma connotati molto diversi a seconda delle differenti tipologie di fattispecie.1

Il moltiplicarsi delle fattispecie di responsabilità della P.a. rende arduo il tentativo di individuare un’unica categoria di responsabilità idonea a ricomprendere tutte le fattispecie; alcune delle tesi della dottrina e della giurisprudenza relative alla questione della natura della responsabilità della P.a. hanno avuto il difetto di ricercare la soluzione in astratto, prescindendo dalla diversità delle singole fattispecie.

Tuttavia, quella della natura della responsabilità della P.a. non è una questione di carattere squisitamente teorico e ciò impone quanto meno la ricerca di un modello prevalente di responsabilità della P.a..

Infatti, dall’accertamento della natura, contrattuale o extracontrattuale, della responsabilità della P.a. derivano una serie di conseguenze in tema di prescrizione (5 anni per quella extracontrattuale e 10 anni per la responsabilità contrattuale), onere della prova (nella responsabilità extracontrattuale l’onere della prova spetta al danneggiato, salvo l’utilizzo di presunzioni), calcolo di rivalutazione monetaria ed interessi legali (nella responsabilità extracontrattuale, gli interessi non decorrono dalla data della domanda, ma da quella del fatto illecito e possono concorrere con la rivalutazione monetaria e vanno computati sulle somme via via rivalutate), prevedibilità del danno (l’illecito extracontrattuale obbliga al risarcimento di ogni danno conseguente, seppur con i limiti derivanti dall’applicazione dei criteri della causalità giuridica e non dei soli danni prevedibili come avviene in caso di inadempimento contrattuale non doloso ai sensi dell’art. 1225 c.c..), costituzione in mora (per l’illecito extracontrattuale, la costituzione in mora non è necessaria, ai sensi dell’art. 1219, comma 2, n. 1) c.c.).

Tra le tesi più innovative sulla questione della natura della responsabilità della P.a., vi è la teoria della responsabilità da contatto amministrativo qualificato. Responsabilità

contrattuale da contatto amministrativo qualificato

Tale tesi parte dal presupposto che l'amministrazione non si trova rispetto al privato, leso nel suo interesse legittimo, nella posizione del "passante" o del chiunque", tipica della tutela aquiliana, poiché a seguito del contatto che si instaura tra l'amministrazione

1 Vedi il capitolo precedente.

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e il privato nel corso del procedimento amministrativo sorge se non un vero e proprio rapporto obbligatorio, un rapporto di fatto senza obbligo primario di prestazione.2

La dottrina civilistica ha creato tale categoria di obbligazioni per colmare quella "zona grigia a metà strada tra contratto e torto", caratterizzata da situazioni in cui nella realtà emerge la presenza di obblighi specifici, ben diversi dai doveri generici del neminem laedere, tuttavia non riconducibili ad autonomi contratti.

Con riferimento alla P.a., la tesi valorizza il fatto che l'atto lesivo della sfera giuridica del privato viene adottato all'esito di un procedimento amministrativo, in cui, a seguito della comunicazione di avvio, o dell'istanza del privato o comunque della sua partecipazione al procedimento, vi è già stato un contatto tra questi e la P.a., che viene così ricostruito in termini di rapporto giuridico.

L'obbligazione risarcitoria non viene però ricollegata alla lesione di tale rapporto né viene riferita all'utilità finale, cui il privato tende, ma, al contrario, ne prescinde, scaturendo dalla violazione di quei particolari obblighi procedimentali, il cui rispetto è funzionale alla garanzia dell'affidamento del privato sulla legittimità dell'azione amministrativa.

Da tale impostazione discendono due ordini di conseguenze: a) l'inquadramento della responsabilità della P.a. per attività provvedimentale

all'interno della responsabilità contrattuale, con le connesse implicazioni in tema di prescrizione (decennale) e soprattutto onere della prova e colpa;

b) la tutela risarcitoria viene svincolata dal giudizio sulla spettanza del bene della vita o della sua probabilità di conseguirlo, incentrandosi invece sugli obblighi procedimentali, in cui il contatto qualificato si sostanzia.

La tesi è stata recepita da parte della giurisprudenza, che ha affermato che la responsabilità della p.a. per ingiusta lesione di interessi legittimi presenta profili sui generis che ne consentono, in taluni casi, l‘accostamento alla responsabilità per inadempimento contrattuale 3 e che il contatto che si stabilisce fra il privato e l’Amministrazione dà vita ad una relazione giuridica di tipo relativo, nel cui ambito, il diritto al risarcimento del danno ingiusto, derivante dall’adozione di provvedimenti illegittimi presenta una fisionomia sui generis, non riducibile al modello aquiliano

2 Cfr. C. CASTRONOVO, Responsabilità civile della pubblica amministrazione, in Jus, 1998, 653 ss.; ID., Le sezioni Unite tra nuovo e vecchio diritto pubblico dall’interesse legittimo alle obbligazioni senza prestazione, in Europa e dir. prov., 1999, 1241; ID., L’obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto e torto, in Scritti in onore di L. Mengoni, Milano, 1997, 177 ss.; M. PROTTO, Responsabilità della p.a. per lesione di interessi legittimi: alla ricerca del bene perduto, in Urb. app., 2000, 1005; ID., La responsabilità dell’amministrazione per la lesione di (meri) interessi legittimi: aspettando la Consulta, in Resp. civ. prev., 1998, 969 ss.; ID. La natura della responsabilità della P.a. per lesione di interessi legittimi, in www.lexfor.it 2003; D. VAIANO, Pretesa di provvedimento e processo amministrativo, Milano, 2002, 270; S. GIACCHETTI, La responsabilità patrimoniale dell’ amministrazione nel quadro del superamento della dialettica diritti soggettivi interessi legittimi, in Cons. Stato, 2000, II, 2037; L. MONTESANO, i giudizi sulla responsabilità per danni e sulle illegittimità della pubblica amministrazione, in Dir. proc. amm., 2001, 592 ss.. Si osserva che il primo sostenitore della tesi (CASTRONOVO, cit.) ha espressamente giustificato la sua posizione con l’esigenza di uscire dalle secche che fino ad allora (era il 1998) avevano impedito la risarcibilità degli interessi legittimi, in quanto il riconoscimento della natura contrattuale della responsabilità avrebbe significato saltare a piè pari il nodo dell’ingiustizia del danno. 3 Cons. Stato, V, 8 luglio 2002 n. 3796.

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dell’articolo 2043 del codice civile, in quanto, al contrario, caratterizzata da alcuni tratti della responsabilità precontrattuale e di quella per inadempimento delle obbligazioni 4.

In altra decisione, il Consiglio di Stato, pur non recependo appieno la tesi della natura contrattuale della responsabilità della p.a per lesione di interessi legittimi, ha tratto spunto dalla tesi per optare per un regime dell’onere della prova in ordine all’elemento dell’imputabilità del fatto dannoso secondo criteri corrispondenti a quelli (contrattuali) dell’art. 1218 c.c. 5.

Anche la Cassazione ha affermato che l’inadempimento delle regole di svolgimento dell’azione amministrativa integra una responsabilità che è molto più vicina alla responsabilità contrattuale, anche se l’inquadramento degli obblighi procedimentali nello schema contrattuale, come vere e proprie prestazioni da adempiere secondo il principio di correttezza e buona fede (art. 1174 e 1175 c.c.), è proponibile solo dopo l’entrata in vigore della legge 241/90; nel caso di specie, in cui i fatti di causa erano antecedenti a tale data, la Cassazione ha ritenuto la natura extracontrattuale della responsabilità della P.a. 6.

Altro indirizzo interpretativo individua la responsabilità precontrattuale quale modello prevalente di responsabilità dell’amministrazione, riprendendo l'idea di un accostamento tra la responsabilità precontrattuale e il dovere dell'amministrazione di comportarsi secondo buona fede nel valutare le pretese del privato 7.

La responsabilità della P.a. viene configurata come responsabilità (precontrattuale) per inadempimento degli obblighi di correttezza 8. L’azione amministrativa, che è l’esercizio della potestà, e l’azione del privato, che è l’esercizio dell’interesse legittimo, vanno riguardati alla stregua dei comportamenti precontrattuali, che sono governati, oltre che dalle regole giuridiche interne all’azione pubblica (le regole della discrezionalità), anche dalle regole proprie della responsabilità precontrattuale, adattate, però, alla specificità dell’azione pubblica 9.

Natura precontrattuale della responsabilità della P.a.

La giurisprudenza ha quindi iniziato ad applicare lo schema della responsabilità precontrattuale della P.a., anche oltre ai casi tradizionali di trattativa privata 10, estendendolo a quelle fattispecie in cui viene in rilievo la attività, conseguente all'aggiudicazione, inerente il perfezionamento e l'operatività del contratto.

Ad esempio, è stato affermato che contrasta con il principio di cui all’art. 1337 cod. civ. (secondo il quale la pubblica amministrazione, al pari dei soggetti privati, è tenuta a comportarsi con correttezza nelle relazioni con i terzi nella fase prenegoziale), il comportamento di una amministrazione che, pur essendosi accorta che mancavano i fondi necessari per la realizzazione dell’opera, non abbia disposto il rinvio della gara indetta per il loro affidamento ed abbia rilevato la mancanza di fondi per la realizzazione dell’opera solo in sede di diniego di approvazione degli atti di una gara

4 Cons. Stato, VI, 20 gennaio 2003 n. 204. 5 Cons. Stato, V, 6 agosto 2001 n. 4239. 6 Cass. civ., ,I 10 gennaio 2003 n. 157. 7 M.S. GIANNINI, Intervento in Atti del convegno nazionale sull'ammissibilità del risarcimento del danno patrimoniale derivante da lesione di interesse legittimo, Milano 1965, 511. 8 R. GAROFOLI-G. RACCA-M. DE PALMA, I, Responsabilità della pubblica amministrazione e risarcimento del danno innanzi al giudice amministrativo, Milano, 2003, 171. 9 G.P. CIRILLO, Il danno da illegittimità dell’azione amministrativa e il giudizio risarcitorio, Padova, 2001, 168. 10 Cass. civ., Sez. un., 18 ottobre 1993 n. 10296.

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d’appalto. Tale comportamento determina il configurarsi, a carico dell’amministrazione, della responsabilità di cui all’art. 1337 cod. civ. nei riguardi di una impresa che abbia partecipato alla gara, facendo incolpevole affidamento sulla regolarità della gara stessa 11.

È stato anche evidenziato il rischio che le difficoltà di inquadramento della responsabilità della P.a. possano indurre l'interprete nella tentazione di scegliere una strada autonoma, costruendo un tertium genus di responsabilità speciale della P.a. ad immagine e modello delle peculiarità della P.a., concludendo con l’auspicio che il giudice amministrativo non ricostruisca la specialità della responsabilità della P.a. con regole domestiche 12.

La terza via: una responsabilità speciale della P.a.

In una isolata decisione, anche il Consiglio di Stato ha mostrato di aderire alla tesi di una responsabilità speciale, affermando che nel diritto pubblico e per il caso di lesione arrecata all’interesse legittimo, si è in presenza di una peculiare figura di illecito, qualificato dall’illegittimo esercizio del potere autoritativo - il che preclude che possa essere senz’altro trasposta la summa divisio tra la responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale, storicamente affermatasi nel diritto privato.13

E’ stato già detto che la responsabilità della pubblica amministrazione per attività provvedimentale è stata ricondotta, con la nota sentenza della Corte di Cassazione, n. 500/1999, nel sistema della responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 c.c., clausola generale con la quale si sanziona con un obbligo risarcitorio la violazione del principio del neminem laedere.

La tesi tradizionale della natura extra – contrattuale della responsabilità della P.a.

E’ questa la tradizionale tesi, cui ha aderito parte della giurisprudenza e della dottrina. 2. Esame critico delle varie tesi sulla natura della responsabilità della p.a.: la

responsabilità extracontrattuale resta il modello prevalente. La tesi della responsabilità (contrattuale) da contatto amministrativo qualificato

sembra essere mossa soprattutto dall'esigenza di risolvere, in senso favorevole al danneggiato, i problemi della colpa della P.a. e dell'onere di provarla e della difficoltà di accertamento della spettanza del bene della vita in tutte le ipotesi di attività caratterizzata da margini di discrezionalità amministrativa.

Tuttavia, il riferimento al contatto tra cittadino ed amministrazione costituisce una novità solo sotto il profilo terminologico, in quanto non fa altro che definire in modo diverso gli obblighi derivanti dal giusto procedimento amministrativo, che la

Critica della tesi della responsabilità da contatto amministrativo qualificato

11 Cons. Stato, IV, 19 marzo 2003 n. 1457; in senso contrario, Cons. Stato, V, 18 novembre 2002 n. 6389, che ha affermato l’estraneità dei parametri della buona fede e della correttezza rispetto al controllo di legalità dell’azione amministrativa, trattandosi di canoni dettati dal legislatore per la risoluzione di conflitti intersoggettivi di natura privatistica esclusivi dell'autonomia privata. 12 F.D. BUSNELLI, Dopo la sentenza n. 500/SU. La responsabilità civile oltre il «muro» degli interessi legittimi, in Riv. dir. viv., 2000, I, 352. 13 Cons. Stato, VI, 14 marzo 2005 n. 1047, in Urb. e app., 2005, 1060, con nota di L. GAROFALO, Verso un modello autonomo di responsabilità amministrativa. Si sono espressi in favore di una sorta di responsabilità peculiare della p.a.: A. ZITO, Il danno da illegittimo esercizio della funzione amministrativa. Riflessioni sulla tutela dell’interesse legittimo. Napoli 2003, 172 ss.; L. GAROFALO, La responsabilità dell’amministrazione: per l’autonomia degli schemi ricostruttivi in Dir. amm. 2005, 1 ss.; E. FOLLIERI, Il modello di responsabilità per lesione di interessi legittimi nella giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo: la responsabilità amministrativa di diritto pubblico, in www.giustamm.it; L. MARUOTTI, La struttura dell’illecito amministrativo lesivo dell’interesse legittimo e la distinzione tra l’illecito commissivo e quello omissivo, in www.giustizia-amministrativa.it.

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giurisprudenza aveva individuato ben prima della codificazione avvenuta con la legge n. 241 del 1990.

Ciò che nella tesi è innovativo, ma discutibile, è il tentativo di far sorgere, quasi in via automatica, una pretesa risarcitoria in capo al privato per la mera violazione di regole procedimentali, prescindendo dalla sorte del provvedimento conclusivo del procedimento e quindi dalla spettanza dell'utilità, che il privato tende a conservare o a conseguire.

Si rischierebbe in tal modo di aprire la strada alla tutela risarcitoria, prescindendo non solo dall'elemento della colpa, ma dallo stesso danno con un automatismo che finisce per dare maggiore importanza alle pretese partecipative, piuttosto che agli interessi sostanziali.

Non si vuole negare la possibilità che il privato subisca un danno, non collegato al c.d. bene della vita, ma si nega che tale danno possa essere riconosciuto in via automatica, o quasi, senza una rigorosa valutazione del danno stesso e del suo rapporto di causalità con la regola procedimentale violata.

Peraltro, un generalizzato riconoscimento della tutela risarcitoria, fondato sulla mera violazione delle regole procedimentali, incapperebbe nell'impasse costituita dalla difficoltà di quantificare il danno conseguente alla violazione delle norme procedimentali, con il rischio che il ricorso a criteri equitativi possa condurre ad un tipo di tutela più vicina alla logica dell'indennizzo che a quella del risarcimento; i benefici riguardo l'an della pretesa risarcitoria si diluirebbero nel riconoscimento del quantum livellato verso il basso.

La limitazione della tutela all'inadempimento dell'obbligo di protezione pone in secondo piano la spettanza del bene della vita, mentre proprio quest'ultima costituisce nella maggior parte dei casi l'oggetto della domanda risarcitoria, come rimarcato in una recente decisione del Consiglio di Stato, in cui si afferma che molto spesso la pretesa risarcitoria, non ha ad oggetto il mero pregiudizio derivante dalla violazione dell’obbligo di comportamento imposto all’amministrazione, a prescindere quindi dalla soddisfazione dell’interesse finale, ma, al contrario, proprio il pregiudizio connesso alla preclusione frapposta dall’Amministrazione alla realizzazione del bene finale. In ipotesi siffatte, al Giudice non è consentito eludere la domanda: in questi casi quello che la parte chiede è il risarcimento del danno per la mancata attribuzione del bene della vita richiesto e non per la mera violazione dell'obbligo procedimentale e, pertanto, l'esame della domanda non potrà prescindere dall'accertamento della spettanza del bene della vita in assenza della illegittimità riscontrata (in alcuni casi tale accertamento potrà avvenire contestualmente alla pronuncia di annullamento ed in altri invece solo a seguito del riesercizio del potere amministrativo).14

Inoltre, come verrà meglio dimostrato in seguito, il problema dell'accertamento dell'elemento soggettivo della responsabilità e del relativo onere della prova può essere risolto senza fare ricorso alla categoria della responsabilità contrattuale, tenuto conto che anche su questo punto la dottrina civilistica ha contribuito a ridurre le differenze tra i due tipi di responsabilità, soprattutto per le obbligazioni di fare in cui la diligenza è criterio di determinazione della prestazione dovuta con conseguente onere a carico dell'attore di provare oltre all'inadempimento anche l'omessa diligenza.

14 Cons. Stato, VI, 15 aprile 2003, n. 1945.

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In definitiva, l'attenzione al contatto amministrativo qualificato ha avuto, e sta avendo, sicuramente il pregio di evidenziare fattispecie di responsabilità della P.a. non direttamente collegate all'accertamento della spettanza del bene della vita, ma non convince appieno nella parte in cui la tutela risarcitoria viene fatta discendere in via automatica, o quasi, dalla violazione e delle regole procedimentali e viene inquadrata all'interno della responsabilità contrattuale.

Nell'ambito del procedimento, amministrazione e cittadino vengono spesso in contatto fra loro, ma da questo contatto (eventuale) non sembra nascere un vero e proprio rapporto obbligatorio, il cui inadempimento costituisce fonte di responsabilità contrattuale.

La giurisprudenza ha evidenziato che, assonanze fonetiche a parte, il contatto non è di per sé un contratto: sicché, fino alla conclusione dell’accordo di cui all’art. 1321 cod. civ., il rapporto intersoggettivo resta regolato dalla clausola generale di cui all’art. 2043 cod. civ. (e seguenti, per quei particolari casi di “contatti sociali” che, in ragione dell’oggettiva pericolosità o per altre considerazioni, il legislatore ha ritenuto meritevoli di specifica disciplina normativa, anche in deroga all’onere della prova dell’elemento soggettivo; e salvo applicazione, nei congrui casi, di ulteriori regole di specie, quali quelle degli artt. 1337 e 1338 cod. civ.) e non, invece, dal principio di responsabilità contrattuale ex art. 1218.15

In molti casi la relazione tra privato e P.a. si manifesta solo ex post dopo l'adozione del provvedimento, il cui carattere unilaterale e discrezionale mal si concilia con un'obbligazione contrattuale e determina, e non segue, il definitivo assetto di interessi.

Inoltre, il fondamento di una responsabilità contrattuale, che sorgerebbe a seguito del contatto e consisterebbe nella violazione degli obblighi procedimentali, previsti dalla legge n. 241/90, risulta di difficile compatibilità con quei casi, in cui l'amministrazione ha violato l'obbligo procedimentale impedendo il contatto con il cittadino (ad es., violazione dell'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento o di dare la prevista pubblicità ad una iniziativa della P.a., che poteva vedere come beneficiario il privato), con la conseguenza che è arduo ipotizzare una responsabilità contrattuale per l'inadempimento di un obbligo, che consisterebbe nella mancata instaurazione del contatto.

Anche l’accostamento con la responsabilità precontrattuale può contribuire a far emergere la necessità di assicurare una tutela risarcitoria in alcune fattispecie, in cui il cittadino non è direttamente leso da un provvedimento illegittimo adottato dall'amministrazione, ma dal comportamento della P.a., che aveva dapprima generato, e poi violato, un affidamento, senza però perdere di vista la differenza che intercorre tra la realtà delle trattative che preludono al contratto ed i rapporti che si svolgono nell’istruttoria procedimentale, dove l’interesse non è quello a non essere coinvolti in trattative infruttuose, ma è il più rilevante interesse a conseguire un determinato bene della vita.

Critica della tesi della responsabilità precontrattuale come modello prevalente di responsabilità della P.a.

E’ stato anche rilevato che se alle origini della responsabilità precontrattuale di diritto privato vi è la convinzione che la fase delle trattative non possa essere del tutto libera e che possano sorgere dei vincoli per le parti anche prima della conclusione del contratto in modo che la violazione del precetto di buona fede oggettiva nella conduzione delle trattative (art. 1338 c.c.) genera responsabilità, nonostante il soggetto

15 Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 18 aprile 2006, n. 153.

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abbia agito avvalendosi della regola di libertà nella negoziazione, parallelamente, anche prima dell'emanazione del provvedimento l'azione amministrativa non è del tutto libera ed esente da vincoli, dovendo piuttosto muoversi nel quadro del procedimento e rispettare tutte le norme che ne condizionano lo sviluppo. Sicché, se è prevista una responsabilità precontrattuale per le tenui regole che ispirano le trattative contrattuali, a maggior ragione è configurabile una responsabilità della P.a. per violazione delle regole procedimentali e dei principi cui deve uniformare la sua azione 16

Con riferimento al settore degli appalti, anche la Cassazione ha affermato che la responsabilità derivante. da lesione di interessi legittimi del partecipante alla gara è del tutto indipendente da quella precontrattuale ex art. 1337 c.c., in relazione alla quale si è sviluppata in dottrina la teoria della responsabilità da "contatto sociale", ovviamente irrilevante nel procedimento di aggiudicazione e partecipazione alla gara, nel quale relazioni e contatti rilevanti sono solo quelli normativamente tipizzati attraverso regole da comportamento che la P.A. deve osservare 17.

Inoltre, a volte la natura precontrattuale della responsabilità viene richiamata unicamente per giustificare l'applicazione del limite dell'interesse negativo in sede di quantificazione del danno, quando la lesione dell'affidamento non si traduce nella perdita di una concreta chance di conseguire il bene della vita. Si osserva però che nelle fattispecie esaminate la limitazione al solo interesse negativo deriva dal rigoroso accertamento dell'esistenza del danno e del suo rapporto di causalità con il comportamento della P.a., anche senza ricorrere all'inquadramento nella responsabilità precontrattuale, che rischierebbe di irrigidire la responsabilità in quelle ipotesi in cui quel rigoroso accertamento del danno e del nesso di causalità conduca invece a risarcire anche un interesse positivo.

Il parallelismo tra responsabilità precontrattuale e responsabilità della P.a. fa emergere la necessità di ampliare la tutela risarcitoria anche oltre la responsabilità da provvedimento, valorizzando in particolare l'elemento dell'affidamento, ma lo schema della responsabilità precontrattuale appare troppo rigido e stretto per costituire il modello prevalente delle molteplici ipotesi di responsabilità della P.a., in cui spesso si chiede la tutela di un qualcosa di diverso e di più dal mero interesse a non essere coinvolti in trattative infruttuose o più in generale in rapporti giuridici arrecanti danni in violazione degli obblighi di correttezza o di protezione.

Con riguardo alla tesi della responsabilità speciale, si rileva il rischio che, nell'imboccare tale strada, il giudice amministrativo ricostruisca la specialità della responsabilità della P.a. con regole domestiche, prive del carattere delle certezza.

La critica delle diverse tesi ha anticipato l’opzione in favore della responsabilità extracontrattuale, quale modello prevalente della responsabilità della P.a..

Si osserva che l'ambito di applicazione della responsabilità extracontrattuale si è ampliato: alla semplice responsabilità del quisque de populo che casualmente si trova a ledere diritti altrui si sono aggiunte nuove fattispecie, come ad esempio quelle che si collegano alla violazione dei doveri derivanti dal proprio status professionale, in cui è evidente che il danno non è causato da un passante, ma è altrettanto evidente che il collegamento tra i due soggetti (danneggiato e danneggiante) è spesso ricostruibile solo

Opzione in favore della natura extra – contrattuale della responsabilità della P.a.

16 V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 2003, 280. 17 Cass. civ., I, 11 giugno 2003 n. 9366.

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ex post e comunque non fa nascere un vero e proprio rapporto obbligatorio, il cui inadempimento costituisce fonte di responsabilità contrattuale.

La pubblica amministrazione quando nell'adottare un determinato (illegittimo) provvedimento o nel comportarsi in violazione delle regole di correttezza cagiona un danno al cittadino commette un illecito da risarcire quindi secondo gli ordinari schemi dell'illecito aquiliano.

Come si è cercato di dimostrare, non serve l'utilizzo di finzioni contrattuali o l'applicazione analogica della disposizioni codicistiche che regolano la fase delle trattative che precede la stipula di un contratto; è sufficiente che l'interprete verifichi i requisiti costitutivi indefettibili della fattispecie di illecito, che sono: a) il fatto giuridico lesivo imputabile ad un soggetto; b) il danno, inteso come danno “ingiusto”, ossia come lesione di un valore tutelato dall’ordinamento; c) il danno, inteso quale deminutio del patrimonio giuridico di un soggetto; d) il profilo soggettivo di responsabilità, nelle forme del dolo o della colpa; e) il nesso causale tra fatto, doloso o colposo, e danno.

A conforto dell’idoneità della tesi della responsabilità extracontrattuale a costituire il modello prevalente della responsabilità della P.a. anche per le fattispecie in cui viene leso l’affidamento del privato, è sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza comunitaria, che ha sempre tutelato ai sensi dell'art. 288, comma II, del Trattato (responsabilità extracontrattuale) anche il semplice affidamento, come nell'ipotesi del riconoscimento della responsabilità della Commissione per aver abolito, con effetto immediato e senza preavviso, determinati importi compensativi previsti per le imprese del settore agricolo senza l'adozione di misure transitorie e senza che ricorressero ragioni di urgenza. 18.

Anche la Cassazione ha affermato che è di natura extracontrattuale la responsabilità della P.A. per diffusione di informazioni inesatte, attraverso cui viene lesa la posizione di affidamento del soggetto in contatto con la p.a., tenuto conto che l’amministrazione deve ispirare la propria azione alle regole di correttezza, imparzialità e buon andamento, di cui all’art. 97 della Costituzione 19.

Deve, quindi, allo stato, ritenersi che giurisprudenza e dottrina maggioritarie continuano ad individuare nella natura extracontrattuale il modello prevalente della responsabilità della P.a., seppur ammettendo qualificazioni diverse per alcune singole ipotesi.

Va tuttavia fatto presente che un definitivo chiarimento sul punto non è ancora arrivato, tenuto conto che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato non ha finora preso posizione, nonostante la devoluzione di alcune specifiche questioni inerenti proprio la natura della responsabilità della p.a. 20; anche se la prevalente giurisprudenza si è espressa nel senso della responsabilità extracontrattuale 21.

18 R. CARANTA, La responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione, Milano, 1993, 326. 19 Cass. civ., III, 9 febbraio 2004 n. 2424. 20 La questione della natura della responsabilità della pubblica amministrazione (se, in caso di lesione di interessi legittimi, il risarcimento sia da ascrivere ad una fattispecie di responsabilità contrattuale ovvero a quella aquiliana) era stata rimessa alla decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, che aveva evidenziato le conseguenze soprattutto con riferimento al regime di interessi e della rivalutazione monetaria. (Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 8 maggio 2002 n. 267). La questione, tuttavia, non è stata risolta dall’Adunanza Plenaria, che ha dichiarato inammissibile, sul punto, il gravame per avere le parti impugnato solo il capo “dipendente” della sentenza (quello concernente interessi e rivalutazione), e non anche il capo “principale”,

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3. I requisiti dell'illecito: l’elemento oggettivo. Sulla questione della natura della responsabilità della pubblica amministrazione si

sono concentrate le attenzioni di gran parte della dottrina; tuttavia, pari, se non maggiore, importanza rivestono le problematiche dei requisiti dell’illecito commesso nell’esercizio di attività amministrative.

Al riguardo, affermata in astratto la risarcibilità del danno derivante da lesione di interessi legittimi, la Cassazione con la sentenza n. 500/99 ha affrontato anche l’ulteriore questione dei presupposti per il riconoscimento in concreto della tutela risarcitoria, affermando, sotto il profilo dell’elemento oggettivo, che il giudice “a) in primo luogo, dovrà accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) procederà quindi a stabilire se l'accertato danno sia qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l'ordinamento; c) dovrà inoltre accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti criteri generali, se l'evento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva o omissiva) della P.A.

L’illegittimità dell’atto amministrativo, che si assume essere stato causa del danno, è quindi un requisito necessario ma non sufficiente per la fondatezza dell’azione risarcitoria, poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell'attività illegittima (e colpevole) della P.A., l'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell'ordinamento positivo, distinguendo tra interessi legittimi oppositivi e pretesivi.

Per quanto concerne gli interessi legittimi oppositivi, può ravvisarsi danno ingiusto nel sacrificio dell'interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio conseguente all'illegittimo esercizio del potere, tenuto conto che il collegamento con il bene della vita si è già consolidato in capo al privato prima dell’illegittimità commessa dalla P.a.

Circa gli interessi legittimi pretensivi, la cui lesione si configura nel caso di illegittimo diniego del richiesto provvedimento o di ingiustificato ritardo nella sua adozione, sarà invece necessario un giudizio prognostico sulla fondatezza o meno della istanza. La dottrina ha definito interessi a risultato garantito le posizioni, in relazione alle quali, per l’assenza di margini di discrezionalità in capo alla P.a., si può raggiungere certezza del pregiudizio patito per la mancata acquisizione del bene della vita, che, alla stregua della situazione di fatto e di diritto, doveva costituire un risultato certo da raggiungere22.

Tutela risarcitoria degli interessi legittimi oppositivi e degli interessi legittimi pretensivi

In dottrina si è criticata l'eccessiva protezione riservata agli interessi oppositivi nei casi in cui il provvedimento che va ad incidere su di essi è viziato per ragioni attinenti alla forma o al procedimento ma è sostanzialmente corretto e, quindi, non priva ingiustamente il cittadino del bene della vita. Viene anche richiamata l’attenzione sul paradosso dell’eccessiva protezione degli interessi legittimi oppositivi, specie in presenza di vizi di carattere procedimentale e della possibilità per l’amministrazione di

concernente l’obbligo stesso del risarcimento dei danni. (Cons. Stato, Ad. plen., 14 febbraio 2003 n. 2, in Foro It.l. 2005, III; 502, con nota di R. MONTANARO, Aggiudicazione illegittima, mancato utile derivanti da contratti e titolo di responsabilità). 21 Cons. Stato, IV, 6 luglio 2004 n. 5012; 10 agosto 2004 n. 5500; VI, 23 giugno 2006 n. 3981; Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 18 aprile 2006, n. 153; Id, 22 giugno 2006 n. 312. 22 F. FRACCHIA, I, Risarcimento danni da c.d. lesione di interessi legittimi: deve riguardare i soli interessi a “risultato garantito”?, FI., 2000, III, 479.

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sanare il vizio riadottando (legittimamente) il medesimo provvedimento sfavorevole per il privato 23.

In conformità con la dottrina citata si pone quella giurisprudenza, secondo cui nel caso di annullamento di un atto amministrativo incidente su interessi legittimi oppositivi e viziato nella forma o nel procedimento, l’ingiustizia del danno, rilevante ai fini risarcitori, non sussiste allorché sia provato che l’Amministrazione non avrebbe diversamente deciso pure osservando la regola violata 24.

La giurisprudenza ha precisato che sussiste il requisito dell’ingiustizia del danno nel caso di annullamento di un atto espropriativo per violazione della garanzia di avviso di avvio del procedimento, anche se si tratta di una illegittimità che concerne solo un interesse procedimentale, in quanto viene ad essere inficiata la legittimità del provvedimento finale. La pretesa di cui all’art. 7 L. 241/1990 “è per diritto vivente, di portata sostanziale, nel senso che può avere ingresso nel processo e condurre all’accoglimento della domanda” 25.

Tuttavia, tale “iperprotezione” degli interessi legittimi di tipo oppositivo, specie in presenza di mere violazioni formali o procedimentali, è stata in parte attenuata in seguito all’entrata in vigore dell’art. 21-octies della legge n. 241/90, con cui alcuni vizi sono stati privati del carattere invalidante nel caso in cui emerga in giudizio che il contenuto del provvedimento non poteva che essere quello concretamente adottato dall’amministrazione.26

Si può, quindi, affermare che non è esatto ritenere che solo la sussistenza di vizi sostanziali dell’atto legittimerebbe le pretese risarcitorie e non anche la mera violazione delle regole formali o procedimentali, sanabile in sede di riedizione del potere amministrativo.

Tutela risarcitoria e situazioni giuridiche procedimentali

Tuttavia, la dottrina ha evidenziato come, per quanto concerne le situazioni giuridiche procedimentali, il mezzo di tutela più adeguato non sembra essere quello risarcitorio, in quanto la valenza procedimentale del vizio non preclude la tutela risarcitoria, ma non consente di pretermettere la necessaria sussistenza dei requisiti della fattispecie di illecito; forme di tutela sommaria, simili a quelle previste per il ricorso avverso il silenzio o in materia di accesso, sembrano maggiormente utili per consentire già nel corso del procedimento di porre rimedio alla regola violata 27.

La semplice lesione degli interessi legittimi pretensivi non è invece sufficiente a configurare un danno ingiusto perché il privato non è titolare del bene della vita ma aspira ad ottenerlo e non è certo che l’atto amministrativo, sebbene illegittimo, abbia ingiustamente negato l’ampliamento della sfera giuridica dell’istante. Con la sentenza 500/1999, si è affermato che il giudice deve formulare un giudizio prognostico, da condurre in riferimento alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno dell’istanza, onde stabilire se il pretendente fosse titolare non già di una mera aspettativa, di per sé non tutelabile, bensì di una situazione suscettibile di determinare un oggettivo

Interessi legittimi pretesivi, danno e nesso di causalità

23 F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2005, 487 24 Cons. Stato, VI, 12 marzo 2004 n. 1261. 25 Cons. Stato, VI, 18 giugno 2002 n. 3338. 26 Per un completo esame della questione, vedi il cap. 14. 27 M. OCCHIENA, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, 2002, 432.

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affidamento circa la sua conclusione positiva: una situazione, quindi, che sulla base della disciplina applicabile, era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole, risultando perciò giuridicamente protetta.

Si è visto in precedenza come sulla base della tesi della responsabilità da contatto amministrativo qualificato viene affermata la risarcibilità delle lesioni ad interessi legittimi pretesivi, anche a prescindere dall’accertamento della spettanza del bene della vita e come una tale tesi non possa essere condivisa nella parte in cui fa sorgere, quasi in via automatica, una pretesa risarcitoria in capo al privato per la mera violazione di regole procedimentali, prescindendo dalla sorte del provvedimento conclusivo del procedimento e quindi dalla spettanza dell'utilità, che il privato tende a conservare o a conseguire, senza verificare in modo rigoroso la sussistenza del danno ed il nesso di causalità con l’illegittimità commessa.

Appare preferibile quell’orientamento giurisprudenziale che, pur non negando in astratto la risarcibilità di danni anche a prescindere dall’accertamento della spettanza del bene della vita, ha tuttavia evidenziato che per quanto concerne gli interessi legittimi pretensivi quasi sempre la pretesa risarcitoria ha ad oggetto proprio il pregiudizio connesso alla mancata attribuzione del bene finale. In ipotesi siffatte, il giudice non può limitarsi a liquidare un danno per la mera violazione procedimentale, ma è chiamato a formulare un giudizio, laddove possibile, sulla certa o statisticamente probabile spettanza del bene o dell’utilità finale, mentre quando a seguito dell’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo, persistano in capo all’Amministrazione significativi spazi di discrezionalità amministrativa pura, il risarcimento del danno può riconoscersi solo dopo e a condizione che l’Amministrazione, riesercitato il proprio potere (come le compete, per effetto del giudicato), abbia riconosciuto all’interessato il bene della vita; in quest’ultima ipotesi, il danno ristorabile non potrà che ridursi al solo pregiudizio determinato dal ritardo nel conseguimento del bene richiesto 28.

Tuttavia, su questi punti la giurisprudenza non è ancora chiara. Basti prendere ad esempio l’interminabile controversia, oggetto della sentenza n. 500/99, che è poi tornata all’esame della Suprema Corte: in una fattispecie, in cui dopo l’annullamento per difetto di motivazione di una variante al PRG, che non aveva tenuto conto di una convenzione di lottizzazione, il comune aveva (legittimamente) riadottato la variante, esplicitando le ragioni di pubblico interesse che avevano condotto l’amministrazione ad una scelta incompatibile con l’attuazione della convenzione, la Cassazione ha qualificato la posizione lesa dal primo atto come interesse oppositivo ed ha affermato che non è necessaria la prognosi sull’esito favorevole delle aspettative dell’interessato, in quanto il collegamento con il bene della vita si è già consolidato in virtù di un precedente provvedimento (convenzione di lottizzazione), e tanto basta a pretendere la riparazione delle conseguenze patrimoniali sfavorevoli dell’illegittimità dell’azione amministrativa, anche in ipotesi di successivo (legittimo) riesercizio del potere amministrativo sempre in senso sfavorevole al privato 29.

Tali argomentazioni non appaiono condivisibili, in quanto viene data eccessiva protezione risarcitoria in una situazione in cui il danno richiesto dipende dal mancato sfruttamento dell'area quale edificabile, mentre invece tale possibilità edificatoria è stata legittimamente preclusa in sede di (legittimo) riesercizio del potere; l’ingiusta incisione

28 Cons. Stato, VI, 15 aprile 2003 n. 1945. 29 Cass. civ., I, 10 gennaio 2003 n. 157.

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dell’aspirazione del privato all’edificazione viene meno al momento dell’adozione del nuovo piano, legittimo, che conferma le statuizioni del precedente annullato, con la conseguenza che estendere la tutela risarcitoria oltre la perdita dell’utilità per il tempo in cui essa è stata effettivamente sottratta conduce ad una iperprotezione della posizione del privato e rende difficile configurare il nesso di causalità tra fatto e danno 30.

Sotto il profilo del requisito oggettivo dell’illecito, la sussistenza della responsabilità dell’amministrazione non può essere valutata in astratto, costruendo categorie di danni risarcibili o non risarcibili, ma deve essere esaminata in concreto sulla base delle prove introdotte in giudizio dal privato.

E’ onere del privato provare tutti gli elementi dell’illecito e, quindi, l’esistenza del danno e del rapporto di causalità con l’illegittimità commessa dall’amministrazione.

Se il danno richiesto è costituito dalla mancata attribuzione del c.d. bene della vita, la spettanza di tale bene dovrà emergere in giudizio (ad es., diritto all’aggiudicazione di una pubblica gara), altrimenti il risarcimento potrà al limite spettare nei limiti della chance (illegittima esclusione da una gara, non più rinnovabile e di cui non può esservi certezza sull’ipotetico esito).

Il danno richiesto può anche non consistere nella mancata attribuzione del bene della vita, ma anche in questo caso si dovrà dimostrare il danno e il nesso di causalità.

4. L’elemento oggettivo nel danno da ritardo. Sono già state descritte le diverse fattispecie di danno da ritardo e sono stati

affrontati i profili attinenti al riparto di giurisdizione.31

Mentre appare ormai pacifica la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo per ogni ipotesi di danno da ritardo, minori certezze vi sono sui presupposti della responsabilità dell’amministrazioni per i ritardi nella sua azione amministrativa.

Unitamente al profilo della giurisdizione, la questione era stata rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato dalla IV Sezione.32

Rispetto alla prospettazione dell’ordinanza di rimessione, la risposta della Plenaria è stata divergente; si trattava di verificare se il danno da ritardo è risarcibile solo se il privato abbia titolo al rilascio del provvedimento finale, se cioè gli spetti il «bene della vita»; se sia necessario azionare gli ordinari strumenti processuali previsti per reagire all’inerzia della p.a.; o se invece sia sufficiente, ai fini della configurabilità di un danno risarcibile, il mero accertamento dell’illegittimità del silenzio, e non anche della spettanza del bene della vita.

La IV Sezione aveva ritenuto possibile una ricostruzione del danno da ritardo inteso come danno conseguente alla violazione dell’interesse procedimentale al rispetto dei tempi posti dall’ordinamento, mentre la Plenaria opta per la necessità dell’ accertamento della spettanza del bene della vita e della proposizione della diffida nel sistema

30 F. CINTIOLI, Della “sindrome dello sceriffo” e del risarcimento dell'interesse legittimo: luci e ombre della recente giurisprudenza, in Dir & Form. 2003, 894; F. FRACCHIA, Risarcimento del danno causato da attività provvedimentale dell'amministrazione: la Cassazione effettua un'ulteriore (ultima?) puntualizzazione, in Foro it. 2003, I, 78. 31 Vedi il cap. precedente. 32 Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 2005 n. 875.

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previgente l’entrata in vigore delle modifiche introdotte con il d.l. n. 35/05, convertito in legge n. 80/05.33

Secondo la Plenaria, il ritardo da parte della P.a. nella definizione delle istanze del privato non comporta, per ciò solo, l’affermazione della responsabilità per danni. Il sistema di tutela degli interessi pretensivi consente il passaggio a riparazioni per equivalente solo quando l’interesse pretensivo assuma a suo oggetto la tutela di interessi sostanziali e, perciò, la mancata emanazione o il ritardo nella emanazione di un provvedimento vantaggioso per l’interessato (suscettibile di appagare un "bene della vita"); deve pertanto ritenersi che non sia possibile accordare il risarcimento del danno da ritardo della P.A. nel caso in cui i provvedimenti adottati in ritardo risultino di carattere negativo per colui che ha presentato la relativa istanza di rilascio e le statuizioni in essi contenute siano divenute intangibili per la omessa proposizione di una qualunque impugnativa. Inoltre, prima dell’entrata in vigore dell’art. 6 bis del D.L. n. 35/05 convertito nella legge 80/05, era necessaria, ai fini della rituale formazione del silenzio-rifiuto, che la presentazione dell’istanza fosse seguita, dopo la scadenza dei termini procedimentali, dalla notifica di apposito atto di diffida, che nel sistema previgente rappresentava la conditio sine qua non per la costituzione delle inadempienze pubblicistiche.

Cons. Stato., Ad. plen. n. 7/2005: il danno da riardo è risarcibile solo se il bene della vita spettava

La questione della diffida appare ormai superata dalla citata novità normativa, mentre è stata oggetto di critiche da parte della dottrina la tesi, accolta dalla Plenaria, secondo cui se il bene della vita non spetta (cioè, se il provvedimento adottato con ritardo è negativo) non vi sarebbe spazio per il risarcimento del danno da ritardo.

Anche il tempo è un bene della vita e per il privato il non aver saputo nei tempi fissati dalla legge se una sua istanza poteva essere accolta, o meno, può comportare conseguenze negative anche sotto il profilo patrimoniale (ad es., non aver optato per altre soluzioni, in attesa della risposta tardiva della p.a.).

Critiche della dottrina: anche il tempo è un bene della vita

Non appare risolutivo, ai fini del sostegno della tesi accolta dalla Plenaria, richiamare la mancata attuazione del criterio di delega di cui all’art. 17, comma 1, lettera f), della legge n. 59/1997 (introduzione per il semplice ritardo della p.a. di forme di indennizzo automatico e forfetario), in quanto in ogni caso tale indennizzo non farebbe venir meno l’eventuale risarcimento del maggior danno, da provare secondo i criteri ordinari e risarcibile anche se il provvedimento richiesto non spettava al richiedente, qualora questi dimostri di aver subito comunque un pregiudizio.

Probabilmente, si dovrà attendere il consolidarsi della giurisprudenza sul punto e non è escluso che l’emersione di nuovi risvolti della responsabilità per danno da ritardo possa condurre il giudice amministrativo a rivedere il proprio orientamento o il legislatore ad intervenire.

E il legislatore sembra intenzionato ad intervenire, per ribaltare il principio affermato dalla Plenaria, affermando la piena risarcibilità del danno da ritardo e prevedendo forme di indennizzo forfetario e automatico in caso di ritardi, sganciate dall’accertamento del danno (né il risarcimento, né l’indennizzo appaiono configurabili in quei casi in cui al silenzio è attribuito dalla legge un determinato significato, in termini di reiezioni dell’istanza o di accoglimento, come avviene nella maggior parte dei casi in seguito alla generalizzazione dell’istituto del silenzio assenso, di cui all’art. 20 della legge n. 2431/90). 34

Danno da ritardo, indennizzo e ipotesi di riforma

33 Cons. Stato, Ad. Plen., 15 settembre 2005 n. 7.

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5. La colpa della P.a. Altra questione controversa è quella relativa alla colpa della P.a. L’indirizzo

giurisprudenziale consolidato prima della sentenza 500/1999, riteneva la colpa sussistente in re ipsa nella stessa illegittimità processualmente accertata dall’atto amministrativo; la colpa era di per sé già ravvisabile con l’adozione (necessariamente volontaria) del provvedimento illegittimo e con la sua esecuzione, indipendentemente dalla natura del vizio che inficiava il provvedimento 35.

Tesi della colpa della P.a. in re ipsa

L’indirizzo in esame escludeva, inoltre, la possibilità per l’amministrazione di liberarsi del danno dimostrando la scusabilità dell’errore, ad esempio, perché l’atto illegittimo era conforme ad una prassi interpretativa giurisprudenziale poi superata o per l’oggettiva oscurità della legge da interpretare. La configurabilità dell’errore scusabile, se veniva ammessa con riferimento alla persona fisica dell’organo, cui la violazione sia materialmente riferibile, per escluderne la diretta responsabilità ex art. 28 Cost., non veniva, invece, ritenuto ammissibile con riferimento alla pubblica amministrazione che, come è noto, rispondendo in via diretta della sua attività, non può giovarsi dell’errore in ipotesi scusabile, dei propri funzionari 36.

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Tale indirizzo viene superato con la sentenza n. 500/1999, con cui la Cassazione abbandona la tesi della configurazione di una colpa in re ipsa, sussistente nella stessa illegittimità dell'atto processualmente accertata e non conciliabile con la più ampia formula dell’art. 2043 c.c., svincolata dalla lesione di un diritto soggettivo; l'imputazione non potrà quindi avvenire sulla base del mero dato obbiettivo della illegittimità dell'azione amministrativa, ma il giudice dovrà svolgere una più penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell'illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, bensì estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente, ma della P.A. intesa come apparato, che sarà configurabile nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità.

La colpa quale requisito dell’illecito della P.a. nella sentenza n. 500/99

34 Il 22 settembre 2006 n. 16 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge (c.d. ddl Nicolais), recante norme in materia di efficienza delle amministrazioni pubbliche e di riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e per le imprese, che prevede l’introduzione del seguente art. 2 bis nella legge n. 241/90: "Art. 2-bis (Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento). 1. Le pubbliche amministrazioni sono tenute al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto. 2. Indipendentemente dal risarcimento del danno di cui al comma 1, le pubbliche amministrazioni corrispondono ai soggetti istanti, a titolo sanzionatorio del mero ritardo, una somma di denaro in misura fissa ed eventualmente progressiva, nei casi di inosservanza dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi.” Nei commi successivi viene stabilito che con successivo regolamento sono stabiliti la misura ed il termine di corresponsione dell’indennizzo di cui al comma 2 e che le controversie relative all’applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che il diritto al risarcimento del danno di cui al comma 1 si prescrive in cinque anni e che il diritto di cui al comma 2 si prescrive in un anno. 35 Cass. civ., Sez. un., 22 maggio 1984 n. 5361. 36 Sempre, Cass. civ., Sez. un., 22 maggio 1984 n. 5361.

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Il criterio di accertamento della colpa indicato dalla sentenza n.500 del 1999 è stato in parte disatteso dal Consiglio di Stato, che ne ha sottolineato che se da una parte il criterio rimane ad un livello di inevitabile astrazione, dall’altra non tiene conto del fatto che la violazione dei limiti esterni alla discrezionalità comporta l’illegittimità dell’atto per eccesso di potere. Sicché, pur premettendo l’esigenza di un’indagine penetrante sulla colpa dell’apparato, finisce per accontentarsi di una verifica di tipo solo oggettivo. Secondo un orientamento è indispensabile accedere direttamente ad una nozione oggettiva di colpa, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento ed, in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità della violazione commessa dall’amministrazione, anche alla luce dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento. Se una violazione è l’effetto di un errore scusabile dell’autorità, non si potrà configurare il requisito della colpa. Se, invece, la violazione appare grave e se essa matura in un contesto nel quale all’indirizzo dell’amministrazione sono formulati addebiti ragionevoli, specie sul piano della diligenza e della perizia, il requisito della colpa potrà dirsi sussistente 37.

La colpa della P.a. nella successiva giurisprudenza del Consiglio di Stato

Con altra decisione il Consiglio di Stato ha affermato che non può essere accolta la tesi, secondo cui la colpa della P.a. si verificherebbe solo nei casi di illegittimità del provvedimento amministrativo più grave ed evidente, in quanto verrebbe introdotta, indirettamente, una limitazione della responsabilità alla colpa grave, senza adeguata base normativa. In base alla regola generale racchiusa nell’articolo 2697 del codice civile (operante, in questa parte, anche nel processo amministrativo), il danneggiato ha l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento (danno, nesso di causalità, colpa), ma detto onere può essere ragionevolmente adempiuto anche attraverso prove indirette ed adeguate semplificazioni probatorie consentite dall’ordinamento processuale. In particolare, in questo ambito, assume rilievo lo strumento probatorio della presunzione. La accertata illegittimità dell’atto ritenuto lesivo dell’interesse del ricorrente può rappresentare, nella normalità dei casi, l’indice (grave, preciso e concordante) della colpa dell’amministrazione. La mancanza di colpa potrebbe essere affermata, concretamente, solo in ipotesi molto circoscritte, coincidenti con l’errore scusabile dell’amministrazione, derivante da fattori particolari correlati, esemplificativamente, alla formulazione incerta delle norme applicate, alle oscillazioni interpretative della giurisprudenza, alla rilevante complessità del fatto, oppure ai comportamenti di altri soggetti. In tale contesto, non è plausibile ritenere che il danneggiato debba fornire la completa ed esauriente prova negativa dell’assenza di errori incolpevoli dell’amministrazione. Tale onere avrebbe un peso davvero eccessivo, anche considerando che il privato non è tenuto conoscere la struttura organizzativa dell’ente e le carenze operative eventualmente incidenti sull’elemento soggettivo dell’illecito. La decisione fa riferimento alla tesi della responsabilità da contatto, evidenziando che l’adeguata valorizzazione del rapporto procedimentale instaurato tra le parti consente di affermare che l’onere della prova dell’elemento soggettivo dell’illecito va ripartito tra le parti secondo criteri sostanzialmente corrispondenti a quelli codificati dall’articolo 1218 c.c. attraverso una presunzione relativa di colpa

37 Cons. Stato, IV, 14 giugno 2001 n. 3169.

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Presunzioni ed errore scusabile

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derivante dall'illegittimità dell'atto e vincibile dall'amministrazione con la dimostrazione della sussistenza di un errore scusabile 38.

Con riguardo all'applicazione dell'art. 1218 c.c. ed alla configurabilità di una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell'amministrazione in presenza di un atto illegittimo o comunque di una violazione delle regole, va rilevato che in mancanza di una esplicita previsione normativa una presunzione relativa generalizzata non può operare e che possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all'art. 2727 c.c., che però non può ritenersi in via generale ma va desunta dalla singola fattispecie 39.

Utilizzo delle presunzioni semplici

Non si deve inoltre dimenticare che molte delle questioni rilevanti ai fini della scusabilità dell'errore sono questioni di interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche, inerenti la difficoltà interpretativa che ha causato la violazione; in simili casi il profilo probatorio resta in larga parte assorbito dalla questio iuris, che il giudice risolve autonomamente con i propri strumenti di cognizione in base al principio iura novit curia.

L'elemento della violazione grave e manifesta, giustamente valorizzato dalla citata decisione n. 3169/2001 del Consiglio di Stato, costituisce anch'esso una questione di diritto, ma deve essere riferito al contenuto precettivo della norma non osservata e non al carattere grave e manifesto del vizio dell'atto, altrimenti si perverrebbe all’inaccettabile conclusione di ritenere che l’inosservanza della medesima disposizione normativa realizzi o meno una condotta colposa a seconda che l’illegittimità del provvedimento sia o no manifesta.

Spetta al giudice valutare, in relazione ad ogni singola fattispecie, la presunzione relativa di colpa, che spetterà poi all'amministrazione vincere; dovrà essere prestata particolare attenzione al carattere vincolato o discrezionale dell'attività svolta: in assenza di discrezionalità o in presenza di margini ridotti di essa, le presunzioni semplici di colpevolezza saranno più facilmente configurabili, mentre in presenza di ampi poteri discrezionali ed in assenza di specifici elementi presuntivi, sarà necessario uno sforzo probatorio ulteriore, gravante sul danneggiato, che potrà ad esempio allegare la mancata valutazione degli apporti resi nella fase partecipativa del procedimento o che avrebbe potuto rendere se la partecipazione non è stata consentita.

Il Consiglio di Stato ha poi aderito a tali osservazioni, rilevando che le condivisibili esigenze di semplificazione probatoria possono essere parimenti soddisfatte restando all'interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell'illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, utilizzando, per la verifica dell'elemento soggettivo, le presunzioni semplici di cui agli artt.2727 e 2729 c.c. 40.

La colpa della p.a. all’interno del modello della responsabilità extra contrattuale

Anche di recente, è stato ribadito che, fermo restando l’inquadramento della maggior parte di fattispecie di responsabilità della p.a. all’interno della responsabilità extracontrattuale, non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento

38 Cons. Stato, V, 6 agosto 2001 n. 4239. 39 G. LO PRESTI, L’elemento soggettivo del nascente modello di responsabilità provvedimentale della pubblica amministrazione, in TAR, 2002, II, 92; RO. CHIEPPA, Viaggio di andata e ritorno dalle fattispecie di responsabilità della pubblica amministrazione alla natura della responsabilità per i danni arrecati nell’esercizio dell’attività amministrativa, in Dir. proc. amm., 2003, 683. 40 Cons. Stato, IV, 6 luglio 2004 n. 5012; 10 agosto 2004 n. 5500.

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amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio, sotto il profilo dell’elemento soggettivo. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di una espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell'amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all'art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie.41

Il privato danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Spetterà a quel punto all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.

Sempre il Consiglio di Stato ha precisato che alcun elemento contrario alla effettuata ricostruzione della nozione di colpa della p.a. può trarsi dalla giurisprudenza comunitaria.42

Con una recente sentenza la Corte di Giustizia ha sanzionato lo Stato del Portogallo per aver subordinato la condanna al risarcimento dei soggetti lesi in seguito alle violazioni del diritto comunitario che regolano la materia dei pubblici appalti alla allegazione della prova, da parte dei danneggiati, che gli atti illegittimi dello Stato o degli enti di diritto pubblico siano stati commessi colposamente o dolosamente 43.

Tuttavia, secondo il Consiglio di Stato, tale decisione appare riferirsi all’onere della prova in relazione all’elemento soggettivo della responsabilità della p.a. e non alla esigenza di accertare la responsabilità, prescindendo dalla colpa dell’amministrazione. Nell’ordinamento italiano la possibilità per il privato danneggiato di utilizzare presunzioni pone sostanzialmente a carico della p.a. l’onere di dimostrare l’esistenza di un errore scusabile, senza alcuna lesione, quindi, dei principi comunitari.

Colpa della P.a. e giurisprudenza comunitaria

Inoltre, va considerato che la stessa Corte di Giustizia, pur non facendo riferimento alla nozione di colpa della p.a., utilizza, a fini risarcitori, il criterio della manifesta e grave violazione del diritto comunitario, sulla base degli stessi elementi, descritti in precedenza e utilizzati nel nostro ordinamento per la configurabilità dell’errore scusabile 44.

Per completare il quadro in tema di colpa della p.a., va aggiunto che l'amministrazione potrà fornire la prova di un concorso colposo del danneggiato e in alcune ipotesi il famoso contatto tra P.a. e cittadino può anche costituire elemento a favore dell'amministrazione, quando ad esempio è stato il privato a violare doveri di correttezza nel fornire il suo apporto partecipativo al procedimento, celando circostanze rilevanti o producendo dichiarazioni inesatte 45.

Il concorso colposo del danneggiato

41 Cons. Stato, VI, 23 giugno 2006 n. 3981. 42 V., sempre, Cons. Stato, VI, 23 giugno 2006 n. 3981. 43 Corte Giust., 14 ottobre 2004, C-275/03. 44 Corte Giust. CE, 5 marzo 1996, C- 46 e 48/93, Brasserie du Pecheur, in cui, al punto 78, viene riconosciuto che alcuni degli elementi indicati per valutare se vi sia violazione manifesta e grave sono riconducibili alla nozione di colpa nell'ambito degli ordinamenti giuridici nazionali 45 Cons. Stato, VI, 19 luglio 2002 n. 4007, in cui il giudice amministrativo, dopo aver annullato l’esclusione da una gara per l’affidamento di un pubblico appalto per violazione delle norme che

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Non esclude la colpa la circostanza che il giudice di primo grado abbia dato ragione all'amministrazione con decisione ribaltata in appello, in quanto anche il Tar può incorrere in errori manifesti e comunque non appare ragionevole dare rilevanza ad un fatto successivo a quello che ha generato l'illecito; aderendo a tale impostazione, inoltre, la sussistenza della colpa sarebbe ravvisabile nelle sole ipotesi in cui il privato ottenga ragione in entrambi i gradi del giudizio, finendo il giudizio di primo grado ad essere quello decisivo.

Diversa è la fattispecie in cui è stata esclusa la colpa della stazione appaltante che, nelle more del giudizio di appello, aveva dato esecuzione alla sentenza di primo grado di annullamento dell’aggiudicazione di un pubblico appalto (la sentenza non era stata sospesa, ma era stata poi riformata in appello con il riconoscimento della legittimità dell’originaria aggiudicazione in favore dell’impresa che però non aveva svolto il servizio, avendo la amministrazione eseguito la sentenza esecutiva e stipulato il contratto con la ricorrente vittoriosa in primo grado).46.

In tale ipotesi è evidente l’assenza di colpa della stazione appaltante che aveva correttamente individuato il contraente della P.a., ma era stata poi “costretta” ad eseguire una sentenza rivelatasi poi errata.

In questo caso vi è un soggetto (quello sbagliato) che ha svolto il rapporto con la P.a. e altro soggetto, a cui spettava, l’aggiudicazione, che non ha potuto farlo a causa dell’avvenuta esecuzione di una decisione giurisdizionale, poi riformata, senza quindi che si sia verificato alcun errore da parte dell’amministrazione.

Il tema della responsabilità, concorrente od esclusiva, del terzo beneficiario di un illegittimo provvedimento di aggiudicazione –ovvero, in fattispecie concettualmente ancor più complesse della provvisoria efficacia di un provvedimento giurisdizionale favorevole poi annullato nell’ulteriore iter processuale – non pare essere stato del tutto arato dalla giovane giurisprudenza amministrativa (o anche ordinaria) sulla responsabilità conseguente ad atto illegittimo.

Il danno causato dall’esecuzione di una decisione del giudice, poi riformata

E’ stato evidenziato che una possibile risposta può essere data dall’applicazione dell’art. 96 c.p.c.: prescindendo dai pochi casi–limite in cui sia applicabile il I comma di detta norma (che, come è noto, riguarda le sole ipotesi, raramente comprovabili, di “mala fede o colpa grave” della parte), risulta più interessante l’esame della possibilità di applicare il relativo II comma, che prevede che il giudice che accerta l’inesistenza di un diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare , su istanza della parte danneggiata, condanna al risarcimento del danno l’attore che ha agito senza la normale prudenza. Si tratta nella sostanza del principio, secondo cui l’errore del giudice va considerato come errore della parte (bene intendasi: di quella che vi ha dato causa, non certo di quella che ne subisce le conseguenze). Anche quest’opzione, tuttavia, postula l’esistenza di uno specifico elemento soggettivo (consistente nel fatto che la parte beneficiaria del provvedimento giurisdizionale, poi caducato nel proseguo del giudizio, abbia “agito senza la normale prudenza”).

impongono la verifica in contraddittorio dell’offerta ritenuta anormalmente bassa, esclude la responsabilità dell’amministrazione per l’assenza del requisito della colpa sulla base del criterio dell’errore scusabile, valutato anche alla luce del comportamento negligente (scorretto) della parte privata consistente nel non aver fornito un’esaustiva analisi degli elementi dell’offerta come richiesto dal bando di gara, concorrendo quindi a causare l’errore della amministrazione. 46 Cons. Stato, V, 18 ottobre 2002 n. 5789.

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E’ stato quindi suggerito di spostare l’attenzione su fattispecie normative diverse dalla responsabilità civile, al fine di esplorare il ruolo da riconoscersi alle norme in tema di restituzione dell’indebito, o di arricchimento senza causa: ovvero, mutuando l’espressione di una nota dottrina civilistica, “l’arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto” L’indebito sarebbe costituito dall’utile di impresa, che potrebbe così essere in tutto o in parte restituito alla controparte privata dell’aggiudicazione di un appalto a seguito di una decisione giurisdizionale, portata ad esecuzione e solo successivamente riformata, dopo che il rapporto era stato svolto in fatto, nelle more della definizione del giudizio, da altro soggetto sine titulo. 47.

6. Conclusioni. L’analisi di alcune questioni in tema di responsabilità della p.a. ha fatto emergere

l’esistenza di diversi tesi, anche contrapposte, rispetto ad alcune delle quali ancora non si registra un consolidamento degli orientamenti giurisprudenziali.

Al riguardo, non si deve dimenticare che lo svilupparsi di divergenti tesi costituisce un fenomeno fisiologico in un settore, quello della responsabilità della P.a., in cui per decenni il c.d. “dogma” della non risarcibilità delle lesioni causate dalla P.a. alle posizioni di interesse legittimo ha impedito l’emersione di una serie di fattispecie, che solo oggi stano giungendo all’attenzione dei giudici e che fino al 1999 erano restate confinate nel limbo delle mere discussioni teoriche.

Tuttavia, i divergenti orientamenti che si stanno sviluppando su diverse questioni appaiono in alcuni casi ispirati da due prospettive divergenti: - l'una mossa dall'intento di creare "una rete di contenimento"48 della responsabilità della P.a. per il timore che la caduta del dogma possa portare ad imboccare quella che Guicciardi nel convegno del 1963 definiva "una strada con un fondo labile e scivoloso" che "costeggia un precipizio per l'imprevedibile aggravamento della responsabilità della P.a., che ne potrebbe derivare”49; - l'altra prospettiva è invece opposta e tende, in un certo senso, a recuperare il tempo perduto, cercando di ampliare le ipotesi di risarcibilità del danno.

Entrambe le prospettive contengono in sé il rischio di condurre ad interpretazioni errate: aderendo alla prima si va incontro alla creazione di altre categorie di danni in astratto non risarcibili, proprio ora che è caduta la non risarcibilità dei danni derivanti

47 Le suesposte considerazioni sono contenute in Cons. giust. Reg. Sic., 22 giugno 2006 n. 315 e 19 ottobre 2006 n. 587, in cui viene anche affrontato il profilo delle liceità di un clausola fideiussoria, con cui l’amministrazione, in sede di transazione intervenuta con l’a.t.i. aggiudicataria, ha concordato che l’aggiudicataria si impegnasse a fornire congrua garanzia personale, fino a concorrenza di un determinato importo, per il caso che il Comune fosse stato condannato a risarcire i danni al controinteressato, (era altresì prevista la piena responsabilizzazione dell’a.t.i. medesima anche al di là dell’importo garantito dal fideiussore; una sorta di traslazione del rischio, concordata con l’aggiudicatario al fine di dare il via libera ai lavori). Per la dottrina citata, vedi, R. SACCO, L’arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto, Torino 1959. 48 L’espressione è utilizzata da F.D. BUSNELLI, Lesione di interessi legittimi: dal mero sbarramento alla rete di contenimento, in Danno resp., 1997, 269 ed è citata anche da F.G. SCOCA, Risarcibilità e interesse legittimo, in Dir. pubbl. 2000, 16, il quale evidenzia come non vi sia affatto bisogno di una rete di contenimento, ove si ponga mente (non all’ingiustizia, ma all’altro elemento, ossia) al danno. 49 Vedi E. GUICCIARDI, Risarcibilità degli interessi legittimi ? (Tentativo di impostazione del problema… da parte di un suo negatore), in Atti del convegno nazionale sull'ammissibilità del risarcimento del danno patrimoniale derivante da lesione di interesse legittimo, Milano 1965, 217. Peraltro uno degli ostacoli segnalati dal Guicciardi era costituito dal sistema di riparto di giurisdizione, oggi invece mutato.

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dalla lesione degli interessi legittimi (ad es., non risarcibilità in ipotesi di vizi procedimentali o risarcibilità dei soli interessi legittimi a risultato garantito50); seguendo l'altra tesi, si rischia di far pagare tutto insieme alla P.a. quello che non ha pagato per decenni, con il pericolo di introdurre delle formule quasi automatiche di risarcimento, che poi avrebbero l'effetto, opposto rispetto al fine perseguito, di aprire la strada ad una concezione indennitaria della responsabilità della P.a., in decisa antitesi con i principi civilistici, producendo un livellamento verso il basso della quantificazione del risarcimento, anche per fattispecie profondamente diverse tra loro.51

Per questi motivi, soprattutto in questo settore, appare preferibile optare per un metodo induttivo di indagine che parta dalle singole fattispecie di responsabilità della P.a. per poi individuare le categorie giuridiche applicabili. Non si vuole negare l'importanza delle categorie giuridiche, ma utilizzare un metodo di indagine più utile anche in una prospettiva di diritto comparato, oggi sempre più imposta sia dal processo di integrazione europea, sia dall'irrompere anche nel campo del diritto degli effetti di un sistema economico globalizzato. In tale prospettiva, gli studiosi anziché raffrontare gli istituti, preferiscono sempre più comparare i modi attraverso cui i problemi vengono risolti.

La responsabilità della p.a.: l’importanza di un metodo induttivo, che parta dalle singole fattispecie, Tale tipo d indagine ha condotto a valorizzare alcuni punti di riflessione che si

possono trarre dalle tesi della natura contrattuale della responsabilità da contatto amministrativo qualificato o della natura precontrattuale della responsabilità della P.a., ma a ritenere che tuttora il modello della responsabilità extracontrattuale appare essere almeno in via prevalente, il parametro più sicuro, che consente di non irrigidire la tutela nelle diverse fattispecie di responsabilità, probabilmente ancora non tutte giunte all'esame della giurisprudenza.

Tale modello non è incompatibile con la prospettata soluzione al problema della colpa della P.a., che possa coniugare l’esigenza di non utilizzare automatismi (la colpa in re ipsa) e quella di non appesantire l’onere probatorio per il danneggiato (attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici e mediante una obiettiva delimitazione dei casi di errore scusabile della P.a.).

E’ auspicabile che la giurisprudenza riesca in breve tempo a trarre le fila delle varie questioni e delle diverse tesi e a delineare i presupposti per l’azione risarcitoria nei confronti della p.a., in modo coerente con le esigenze di effettività della tutela e con i principi generali dell’azione amministrativa.

Il metodo migliore è quello di verificare, fattispecie per fattispecie, gli elementi di prova introdotti in giudizio e allora forse ci si accorgerà che categorie di danni in astratto non risarcibili non esistono, anche se a volte potrà essere difficile dimostrare

50 Si intendono per interessi a risultato garantito le posizioni, in relazione alle quali, per l’assenza di margini di discrezionalità in capo alla P.a., si può raggiungere certezza del pregiudizio patito per la mancata acquisizione del bene della vita, che, alla stregua della situazione di fatto e di diritto, doveva costituire un risultato certo da raggiungere. Vedi, G. GRECO, Interesse legittimo e risarcimento danni: crollo di un pregiudizio sotto la pressione della normativa europea e dei contributi della dottrina, In Riv. It. dir. pubbl. com., 1999, 1128 e F. FRACCHIA, Risarcimento danni da c.d. lesione di interessi legittimi: deve riguardare i soli interessi a “risultato garantito”?, in Foro it., 2000, III, 479. 51 Sui rischi di contaminazione tra danno e indennizzo, seppur sotto diversi profili, vedi F.D. BUSNELL1, Dopo la sentenza n. 500/SU. La responsabilità civile oltre il «muro» degli interessi legittimi, in Riv. dir. civ., 2000, I, 353.

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l’esistenza di un danno, posto in rapporto di causalità con l’illegittimità commessa dall’amministrazione.

Sulla questione del danno da ritardo, ad esempio, si continuano a fronteggiare due tesi, che sembrano limitarsi a valutare in astratto la risarcibilità: la tesi fatta propria dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato trascura il fatto che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino; tuttavia, ciò non significa che ad ogni ritardo nell’azione amministrativa corrisponda in via automatica un danno, che, invece, dovrà essere dimostrato specie nelle ipotesi in cui non è accertata la spettanza del bene della vita richiesto dal privato nel procedimento concluso in ritardo o non concluso affatto.

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LA RESPONSABILITÀ CIVILE DELLA P.A. Sommario: I. LA RESPONSABILITÀ CIVILE DELLA P.A.: PROFILI GENERALI - II. LA RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE PER COMPORTAMENTI MATERIALI - III. LA RISARCIBILITÀ DEL DANNO DA LESIONE DI INTERESSI LEGITTIMI - IV.1 LA NATURA DELLA RESPONSABILITÀ DELLA P.A – IV.2. RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE – IV.3. RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE – IV.4. RESPONSABILITÀ SPECIALE – IV.5. RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE - V.1 FATTISPECIE DI RESPONSABILITÀ DELLA P.A – V.2. DANNO DA PROVVEDIMENTO E DANNO DA SCORRETTEZZA PROCEDIMENTALE – V.3. DANNO DA RITARDO - VI.1. I REQUISITI DELL'ILLECITO – VI.2. L’ELEMENTO OGGETTIVO – VI.3. LA COLPA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - VII. LA PREGIUDIZIALE AMMINISTRATIVA - VIII. IL RISARCIMENTO DEL DANNO PER EQUIVALENTE - IX. LA REINTEGRAZIONE IN FORMA SPECIFICA - X. LA RESPONSABILITÀ DEL PUBBLICO DIPENDENTE NEI CONFRONTI DEL TERZO - XI. PROFILI RELATIVI AL RIPARTO DI GIURISDIZIONE - XII. PROFILI PROCESSUALI DELL’AZIONE RISARCITORIA. I. LA RESPONSABILITÀ CIVILE DELLA P.A.: PROFILI GENERALI - Per lungo tempo l’attività della pubblica amministrazione ha goduto del privilegio dell’immunità, fondato sul presupposto che lo Stato, depositario del diritto, non può commettere illeciti. Tale immunità riguardava anche l’attività materiale dell’amministrazione, come ad esempio quella di gestione della manutenzione stradale. L’art. 28 della Costituzione ha sancito la responsabilità dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici per gli atti compiuti in violazione di diritti e l’estensione di tale responsabilità allo stesso Stato e agli enti pubblici. E’ opinione prevalente che anche la responsabilità dello Stato e degli enti sia diretta, in quanto gli atti compiuti dagli organi nell’esercizio delle proprie funzioni e quelli compiuti dai dipendenti nell’esercizio delle rispettive incombenze costituiscono atti direttamente imputabili all’amministrazione in virtù del rapporto organico e del principio di preposizione. Nel nostro ordinamento si è, dunque, dapprima radicato il convincimento che l’amministrazione sia soggetta nella vita di relazione alle norme di diritto comune, che le impongono il rispetto del principio di un fondamentale principio di convivenza, racchiuso nell’espressione neminem laedere: qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno (art. 2043 c.c.). Tuttavia, tale principio è stato applicato per molto tempo alla sola attività materiale della pubblica amministrazione, e non anche ai danni causati nell’esercizio dell’attività amministrativa. Ciò ha determinato una irresponsabilità dell’amministrazione per tutta una sfera del suo agire e tale irresponsabilità poco si conciliava con la creazione di un nuovo modello di pubblica amministrazione “di risultati”, ispirato a criteri di economicità, efficienza e produttività e retto, in modo sempre più frequente, dall’applicazione delle regole di diritto comune. Oggi si può finalmente affermare che l’era dell’irresponsabilità della pubblica amministrazione si è conclusa e ciò apre le porte ad una serie di problemi interpretativi, fino a qualche tempo fa inesplorati. II. LA RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE PER COMPORTAMENTI MATERIALI – La pubblica amministrazione ha da tempo allargato il suo campo di azione e ciò ha moltiplicato le situazioni e i comportamenti, idonei a generare responsabilità. Le ipotesi più facilmente classificabili sono quelle connesse a comportamenti meramente materiali dell’amministrazione. L’autista dell’ente pubblico che causa con colpa un incidente stradale, l’insegnante che omette di vigilare sull’alunno che si infortuna, l’omessa manutenzione di beni pubblici che rovinano provocando danni sono tutte fattispecie di responsabilità per attività materiali della pubblica amministrazione, che non pongono particolari problemi interpretativi. Le regole da applicare non cambiano se l’infortunio dell’alunno sia dovuto ad una mancanza di vigilanza da parte di un insegnante di una scuola pubblica o di una palestra privata. Nessun limite è stato, quindi, ravvisato in relazione ai comportamenti materiali della P.a., indiscussa fonte di responsabilità aquiliana.52

52 Cass., III, 29 aprile 1996 n. 3939, in Resp. Civ., 1996, 1183.

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III. LA RISARCIBILITÀ DEL DANNO DA LESIONE DI INTERESSI LEGITTIMI - Fino alla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 500 del 1999, la Pubblica amministrazione non rispondeva in via risarcitoria per i danni causati nell’esercizio (illegittimo) della propria attività amministrativa e beneficiava così di una sorta di immunità o di privilegio, non previsto per altri soggetti del nostro ordinamento e sconosciuto anche nella maggior parte dei sistemi europei. L'ostacolo insormontabile alla risarcibilità dell’interesse legittimo era costituito da una ragione di ordine sostanziale, e cioè dalla tradizionale lettura dell'art. 2043 c.c., che identificava il danno ingiusto con la lesione di un diritto soggettivo, sul rilievo che l'ingiustizia del danno andava intesa nella duplice accezione di danno prodotto non iure e contra ius; non iure, nel senso che il fatto produttivo del danno non doveva essere altrimenti giustificato dall'ordinamento giuridico; contra ius, nel senso che il fatto doveva ledere una situazione soggettiva riconosciuta e garantita dall'ordinamento medesimo nella forma del diritto soggettivo perfetto.53 Tuttavia, la giurisprudenza della Corte suprema, anche prima dell’intervento della sentenza n. 500/1999, pur riaffermando in linea di principio la irrisarcibilità degli interessi legittimi quale necessario corollario della lettura tradizionale dell'art. 2043 c.c., aveva manifestato una tendenza progressivamente estensiva dell'area della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione di alcune figure di interesse legittimo, "mascherando" da diritto soggettivo situazioni che non avevano tale consistenza, come affermato poi nella stessa sentenza n. 500/99. Con riguardo alla tutela degli "interessi legittimi oppositivi", era stata ammessa la risarcibilità del c.d. diritto affievolito, e cioè dell'originaria situazione di diritto soggettivo incisa da un provvedimento illegittimo che fosse stato poi annullato dal giudice amministrativo con effetto ripristinatorio retroattivo.54 Analoghe conclusioni erano state raggiunte nell'ipotesi, che costituisce sviluppo di quella precedente, della c.d. riespansione della quale beneficia anche il diritto soggettivo (non originario ma) nascente da un provvedimento amministrativo, qualora sia stato annullato il successivo provvedimento caducatorio dell'atto fonte della posizione di vantaggio.55

Per gli interessi legittimi pretensivi la risarcibilità venne riconosciuta dalla giurisprudenza limitatamente all’ipotesi di lesione da fatto reato, ritenendo che per i danni prodotti da reato l'ingiustizia è in re ipsa, e non ha quindi bisogno di essere riconnessa alla violazione di un diritto soggettivo56 e dal legislatore in materia di appalti, con l’introduzione dell’art. 13 della l. 19 febbraio 1992 n. 142, che, in recepimento della normativa comunitaria, prevedeva la possibilità di chiedere il risarcimento del danno per chi avesse subito una lesione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori o di forniture o delle relative norme interne di recepimento.57

Con la sentenza n. 500/99, la Cassazione ha scelto la via maestra per superare il proprio precedente orientamento: quella di prendere atto che l’art. 2043 c.c. non costituisce una norma secondaria, ma racchiude una clausola generale primaria espressa nella formula danno ingiusto, riconoscendo che la tradizionale limitazione della tutela risarcitoria alle posizioni di diritto soggettivo è estranea al tenore letterale della norma e ne costituisce una forzatura, essendo invece risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell'ingiustizia, in quanto lesivo di interessi ai quali l'ordinamento attribuisce rilevanza, a prescindere dalla consistenza e dalla qualificazione della posizione soggettiva lesa .58

La decisione della Cassazione si fonda su una rilettura del concetto di danno ingiusto di cui all’art. 2043 c.c., anche se è innegabile, come riconosciuto nella stessa motivazione della sentenza, che la svolta sia stata determinata anche dal mutato quadro normativo, oltre che dagli influssi dell’ordinamento comunitario. Immediatamente prima della sentenza era, infatti, entrato in vigore l’art. 35 del D. Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, con cui era stata realizzata la concentrazione davanti al giudice amministrativo della c.d. giurisdizione piena (di annullamento e di risarcimento) nelle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del detto giudice. Il sistema di riparto di giurisdizione con riferimento alla tutela risarcitoria ha poi subito un definitivo assestamento a seguito dell’entrata in vigore della legge 21 luglio 2000 n. 205, che ha riscritto gli artt. 33, 34 e 35 del D. Lgs. n. 80/1998 (l’art. 33 era stato nel frattempo dichiarato in parte incostituzionale per eccesso di delega dalla sentenza n. 292/2000 della Corte Costituzionale59), attribuendo al giudice amministrativo “nell’ambito della sua giurisdizione” (quindi, sia in sede di giurisdizione esclusiva che di giurisdizione di legittimità) tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno. 53 Cass., sez. un., 23 novembre 1985 n. 5813, in Giust. Civ., 1986, I, 734. 54 Cass., III, 9 giugno 1995 n. 6542, in Giur. it. 1996, I,1, 191. 55 Cass., sez. un., 19 marzo 1997 n. 2436, in Giust. civ., 1997, I, 2785. 56 Cass., I, 11 febbraio 1995 n. 1540, in Giust. civ., 1996, I, 2395. 57 Norma considerata di settore e non di portata generale da Cass., sez. un., 20 aprile 1994 n. 3732, in Foro it. 1994, I, 3050. 58 Cass. , Sez. un., 22 luglio 1999 n. 500. 59 C. Cost. 17 luglio 2000 n. 292.

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IV.1. LA NATURA DELLA RESPONSABILITÀ DELLA P.A. – Caduto il dogma della non risarcibilità dei danni causati alle posizioni di interesse legittimo, si sono aperti una serie di rilevanti problemi interpretativi, rispetto ai quali la sentenza n. 500/99 ha costituito più un punto di partenza che un punto di arrivo. Tra questi, un particolare rilievo ha assunto la questione natura della responsabilità della P.a.: dall’accertamento della natura, contrattuale o extracontrattuale, della responsabilità della P.a. derivano una serie di conseguenze in tema di prescrizione, onere della prova, calcolo di rivalutazione monetaria ed interessi legali, prevedibilità del danno, costituzione in mora IV.2. RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE - La natura contrattuale della responsabilità della P.a. viene sostenuta in applicazione della teoria della responsabilità da contatto amministrativo qualificato, secondo cui l'amministrazione non si trova rispetto al privato, leso nel suo interesse legittimo, nella posizione del "passante" o del “chiunque", tipica della tutela aquiliana, poiché a seguito del contatto che si instaura tra l'amministrazione e il privato nel corso del procedimento amministrativo sorge se non un vero e proprio rapporto obbligatorio, un rapporto di fatto senza obbligo primario di prestazione. L'obbligazione risarcitoria non viene riferita all'utilità finale, cui il privato tende, ma, al contrario, ne prescinde, scaturendo dalla violazione di quei particolari obblighi procedimentali, il cui rispetto è funzionale alla garanzia dell'affidamento del privato sulla legittimità dell'azione amministrativa. Da tale impostazione discendono due ordini di conseguenze: a) l'inquadramento della responsabilità della P.a. per attività provvedimentale all'interno della responsabilità contrattuale, con le connesse implicazioni in tema di prescrizione (decennale) e soprattutto onere della prova e colpa; b) la tutela risarcitoria viene svincolata dal giudizio sulla spettanza del bene della vita o della sua probabilità di conseguirlo, incentrandosi invece sugli obblighi procedimentali, in cui il contatto qualificato si sostanzia. La tesi è stata recepita da parte della giurisprudenza, che ha affermato che la responsabilità della p.a. per ingiusta lesione di interessi legittimi presenta profili sui generis che ne consentono, in taluni casi, l‘accostamento alla responsabilità per inadempimento contrattuale e che il contatto che si stabilisce fra il privato e l’Amministrazione dà vita ad una relazione giuridica di tipo relativo, nel cui ambito, il diritto al risarcimento del danno ingiusto, derivante dall’adozione di provvedimenti illegittimi presenta una fisionomia sui generis, non riducibile al modello aquiliano dell’articolo 2043 del codice civile, in quanto, al contrario, caratterizzata da alcuni tratti della responsabilità precontrattuale e di quella per inadempimento delle obbligazioni.60

IV.3. RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE - Altro indirizzo interpretativo individua la responsabilità precontrattuale quale modello prevalente di responsabilità dell’amministrazione, riprendendo l'idea di un accostamento tra la responsabilità precontrattuale e il dovere dell'amministrazione di comportarsi secondo buona fede nel valutare le pretese del privato. La responsabilità della P.a. viene configurata come responsabilità (precontrattuale) per inadempimento degli obblighi di correttezza. L’azione amministrativa, che è l’esercizio della potestà, e l’azione del privato, che è l’esercizio dell’interesse legittimo, vanno riguardati alla stregua dei comportamenti precontrattuali, che sono governati, oltre che dalle regole giuridiche interne all’azione pubblica (le regole della discrezionalità), anche dalle regole proprie della responsabilità precontrattuale, adattate, però, alla specificità dell’azione pubblica. La giurisprudenza ha quindi iniziato ad applicare lo schema della responsabilità precontrattuale della P.a., anche oltre ai casi tradizionali di trattativa privata, estendendolo a quelle fattispecie in cui viene in rilievo la attività, conseguente all'aggiudicazione dell’appalto (ad es., in caso di revoca della procedura di gara per carenza di fondi 61). Parte della dottrina evidenzia che l’accostamento con la responsabilità precontrattuale può contribuire a far emergere la necessità di assicurare una tutela risarcitoria in alcune fattispecie, in cui il cittadino non è direttamente leso da un provvedimento illegittimo adottato dall'amministrazione, ma dal comportamento della P.a., che aveva dapprima generato, e poi violato, un affidamento, senza però perdere di vista la differenza che intercorre tra la realtà delle trattative che preludono al contratto ed i rapporti che si svolgono nell’istruttoria procedimentale, dove l’interesse non è quello a non essere coinvolti in trattative infruttuose, ma è il più rilevante interesse a conseguire un determinato bene della vita. L’accostamento può essere utile per comprendere che, se è prevista una responsabilità precontrattuale per le tenui regole che ispirano le trattative contrattuali, a maggior ragione è configurabile una responsabilità della P.a. per violazione delle regole procedimentali e dei principi cui deve uniformare la sua azione.

60 Cons. St., V 8 luglio 2002 n. 3796, in Cons. St., 2002, I, 1534; Cons. St., VI 20 gennaio 2003 n. 204, in Cons. St., 2003, I, 68. V., anche, Cons. St., V, 6 agosto 2001 n. 4239, in Foro It., 2002, III, 1 e Cass., I, 10 gennaio 2003 n. 157, in Foro It., 2003, I, 78. 61 Cons. St., IV, 19 marzo 2003 n. 1457, in Cons. St., 2003, I, 670; in senso contrario, Cons. St., V, 18 novembre 2002 n. 6389, in Foro Amm.CdS, 2002, 2909.

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IV.4. RESPONSABILITÀ SPECIALE - È stato anche evidenziato il rischio che le difficoltà di inquadramento della responsabilità della P.a. possano indurre l'interprete nella tentazione di scegliere una strada autonoma, costruendo un tertium genus di responsabilità speciale della P.a. ad immagine e modello delle peculiarità della P.a., concludendo con l’auspicio che il giudice amministrativo non ricostruisca la specialità della responsabilità della P.a. con regole domestiche. In una isolata decisione, anche il Consiglio di Stato ha mostrato di aderire alla tesi di una responsabilità speciale, affermando che nel diritto pubblico e per il caso di lesione arrecata all’interesse legittimo, si è in presenza di una peculiare figura di illecito, qualificato dall’illegittimo esercizio del potere autoritativo - il che preclude che possa essere senz’altro trasposta la summa divisio tra la responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale, storicamente affermatasi nel diritto privato.62

IV.5. RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE - La responsabilità della pubblica amministrazione per attività provvedimentale è stata ricondotta, con la nota sentenza della Corte di Cassazione, n. 500/1999, nel sistema della responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 c.c., clausola generale con la quale si sanziona con un obbligo risarcitorio la violazione del principio del neminem laedere. La tesi della natura extracontrattuale della responsabilità della P.a. è stata ribadita anche da successiva dottrina, che ha evidenziato, con riferimento alla responsabilità contrattuale da contatto, che nell'ambito del procedimento, amministrazione e cittadino vengono spesso in contatto fra loro, ma da questo contatto (eventuale) non sembra nascere un vero e proprio rapporto obbligatorio, il cui inadempimento costituisce fonte di responsabilità contrattuale. Anche la giurisprudenza ha affermato che, assonanze fonetiche a parte, il contatto non è di per sé un contratto: sicché, fino alla conclusione dell’accordo di cui all’art. 1321 c.c., il rapporto intersoggettivo resta regolato dalla clausola generale di cui all’art. 2043 c.c., e non, invece, dal principio di responsabilità contrattuale ex art. 1218.63

Giurisprudenza e dottrina maggioritarie continuano ad individuare nella natura extracontrattuale il modello prevalente della responsabilità della P.a., seppur ammettendo qualificazioni diverse per alcune singole ipotesi. Va tuttavia fatto presente che un definitivo chiarimento sul punto non è ancora arrivato, tenuto conto che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato non ha finora preso posizione, nonostante la devoluzione di alcune specifiche questioni inerenti proprio la natura della responsabilità della p.a. 64; anche se la prevalente giurisprudenza si è espressa nel senso della responsabilità extracontrattuale 65. V.1. FATTISPECIE DI RESPONSABILITÀ DELLA P.A. – La responsabilità della pubblica amministrazione per i danni arrecati nell’esercizio della propria attività amministrativa assuma connotati molto diversi a seconda delle differenti tipologie di fattispecie. V.2. DANNO DA PROVVEDIMENTO E DANNO DA SCORRETTEZZA PROCEDIMENTALE - La tipologia di fattispecie più frequente è quella in cui il danno deriva direttamente dal provvedimento illegittimo: si tratta di una responsabilità da provvedimento, in cui il privato è leso da un provvedimento di carattere negativo, di reiezione di una propria istanza (lesione di interessi legittimi pretesivi) o da un provvedimento positivo destinato ad incidere su una sua posizione già consolidata (interessi legittimi oppositivi). In entrambe le ipotesi il danno è causato direttamente dal provvedimento amministrativo illegittimo, anche se ovviamente l’illegittimità del provvedimento non è presupposto sufficiente ai fini della tutela risarcitoria. In altri casi la responsabilità dell’amministrazione può discendere dal comportamento tenuto dall'amministrazione, anche attraverso l'adozione di atti, che però non costituiscono diretta causa del danno (responsabilità da comportamento o da scorrettezza) All’interno delle responsabilità non derivanti da provvedimento, è emersa la necessità di assicurare una tutela risarcitoria in alcune fattispecie, in cui il cittadino non è direttamente leso da un provvedimento illegittimo adottato dall'amministrazione, ma da un fatto giuridico più ampio e articolato, in cui ciò che rileva è la violazione dell'affidamento generato dalla P.a. con i propri comportamenti o con i propri atti; con il riconoscimento della tutela risarcitoria del c.d. danno da affidamento. Per alcune fattispecie di danno da scorrettezza della p.a., non direttamente collegata ad un provvedimento negativo da impugnare, viene a volte richiamata la natura precontrattuale della responsabilità dell’amministrazione, come in relazione alle fattispecie del danno causato al privato, beneficiario di un provvedimento a lui favorevole (bando che

62 Cons. St., VI, 14 marzo 2005 n. 1047, in Urb. e app., 2005, 1060. 63 Cons. Reg. Sic., 18 aprile 2006, n. 153. 64 Cons. Reg. Sic., 8 maggio 2002 n. 267; Cons. St., ad. plen., 14 febbraio 2003 n. 2, in Foro It.,. 2005, III. 65 Cons. St., IV, 6 luglio 2004 n. 5012; 10 agosto 2004 n. 5500; VI, 23 giugno 2006 n. 3981; Cons. Reg. Sic., 18 aprile 2006, n. 153; id, 22 giugno 2006 n. 312.

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consentiva la partecipazione ad una gara), ma illegittimo ed annullato dall'amministrazione stessa in via di autotutela 66; o nell’ipotesi di revoca di una procedura di gara, dopo l’aggiudicazione, a causa della carenza di fondi. 67

V.3. DANNO DA RITARDO - Altra fattispecie di responsabilità è quella del c.d. danno da ritardo, alla quale sono ricondotte ipotesi diverse fra loro: a) in alcuni casi il ritardo, produttivo del danno, deriva dal fatto che l'amministrazione ha dapprima adottato un provvedimento illegittimo, sfavorevole al privato (ad es., diniego del permesso di costruire), ed ha poi emanato altro provvedimento, legittimo e favorevole, a seguito dell'annullamento in sede giurisdizionale del primo atto; b) in altre ipotesi, pur in assenza di un provvedimento illegittimo, il privato invoca la tutela risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con cui l'amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato appunto con ritardo rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento (es., permesso di costruire rilasciato con notevole ritardo); c) il provvedimento amministrativo, legittimo ma adottato con ritardo, è sfavorevole per il privato, che lamenta il danno per non aver ottenuto il tempestivo esame della propria istanza e per non aver quindi appreso, entro i termini previsti, della non accoglibilità della stessa(es., permesso di costruire negato – legittimamente - ma con ritardo) Le tre fattispecie sono nettamente diverse fra loro: nel primo caso si rientra nella c.d. responsabilità da provvedimento, in quanto il danno è provocato dal primo diniego (illegittimo) e dal conseguente ritardo nel rilascio del provvedimento richiesto; le altre due ipotesi attengono invece a danni (da ritardo procedimentale) non direttamente causati da provvedimenti illegittimi (anzi in entrambi i casi i provvedimenti sono legittimi). Mentre nelle prime due ipotesi non vi sono dubbi sull’astratta risarcibilità dei danni causati dal ritardo nell’azione amministrativa, minori certezze vi sono per la terza ipotesi. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che il ritardo da parte della P.a. può essere fonte del risarcimento solo quando il bene della vita chiesto dal privato spettava ed è stato attribuito con ritardo, escludendo la risarcibilità del mero ritardo.68

E’ stata oggetto di critiche da parte della dottrina la tesi, accolta dalla Plenaria, secondo cui se il bene della vita non spetta (cioè, se il provvedimento adottato con ritardo è negativo) non vi sarebbe spazio per il risarcimento del danno da ritardo. Anche il tempo è un bene della vita e per il privato il non aver saputo nei tempi fissati dalla legge se una sua istanza poteva essere accolta, o meno, può comportare conseguenze negative anche sotto il profilo patrimoniale (ad es., non aver optato per altre soluzioni, in attesa della risposta tardiva della p.a.). Probabilmente, si dovrà attendere il consolidarsi della giurisprudenza sul punto e non è escluso che l’emersione di nuovi risvolti della responsabilità per danno da ritardo possa condurre il giudice amministrativo a rivedere il proprio orientamento o il legislatore ad intervenire. VI.1. I REQUISITI DELL'ILLECITO – Affermata in astratto la risarcibilità del danno derivante da lesione di interessi legittimi, la Cassazione con la sentenza n. 500/99 ha affrontato anche l’ulteriore questione dei presupposti per il riconoscimento in concreto della tutela risarcitoria, affermando, sotto il profilo dell’elemento oggettivo, che il giudice a) in primo luogo, dovrà accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) procederà quindi a stabilire se l'accertato danno sia qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l'ordinamento; c) dovrà inoltre accertare, sotto il profilo causale se l'evento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva o omissiva) della P.a.; d) provvederà, infine, a stabilire se il detto evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa dell’amministrazione. L’illegittimità dell’atto amministrativo, che si assume essere stato causa del danno, è quindi un requisito necessario ma non sufficiente per la fondatezza dell’azione risarcitoria, poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell'attività illegittima (e colpevole) della P.a., l'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo si correla. VI.2. L’ELEMENTO OGGETTIVO - Per quanto concerne gli interessi legittimi oppositivi, può ravvisarsi danno ingiusto nel sacrificio dell'interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio conseguente all'illegittimo esercizio del potere, tenuto conto che il collegamento con il bene della vita si è già consolidato in capo al privato prima dell’illegittimità commessa dalla P.a. Circa gli interessi legittimi pretensivi, la cui lesione si configura nel caso di illegittimo diniego del richiesto provvedimento o di ingiustificato ritardo nella sua adozione, sarà invece necessario un giudizio prognostico sulla fondatezza o meno della istanza. In dottrina si è criticata l'eccessiva protezione riservata agli interessi oppositivi nei casi in cui il provvedimento che va ad incidere su di essi è viziato per ragioni attinenti alla forma o al procedimento ma è sostanzialmente corretto e, quindi,

66 TAR Abruzzo, sez. Pescara, 6 luglio 2001, n. 609. 67 Cons. St., IV, 19 marzo 2003 n. 1457. 68 Cons. St., ad. plen., 15 settembre 2005 n. 7.

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non priva ingiustamente il cittadino del bene della vita. Tuttavia, tale “iperprotezione” degli interessi legittimi di tipo oppositivo, specie in presenza di mere violazioni formali o procedimentali, è stata in parte attenuata in seguito all’entrata in vigore dell’art. 21-octies della legge n. 241/90, con cui alcuni vizi sono stati privati del carattere invalidante nel caso in cui emerga in giudizio che il contenuto del provvedimento non poteva che essere quello concretamente adottato dall’amministrazione. La semplice lesione degli interessi legittimi pretensivi non è invece sufficiente a configurare un danno ingiusto perché il privato non è titolare del bene della vita ma aspira ad ottenerlo e non è certo che l’atto amministrativo, sebbene illegittimo, abbia ingiustamente negato l’ampliamento della sfera giuridica dell’istante. La giurisprudenza prevalente, pur non negando in astratto la risarcibilità di danni anche a prescindere dall’accertamento della spettanza del bene della vita, ha tuttavia evidenziato che per quanto concerne gli interessi legittimi pretensivi quasi sempre la pretesa risarcitoria ha ad oggetto proprio il pregiudizio connesso alla mancata attribuzione del bene finale. In ipotesi siffatte, il giudice non può limitarsi a liquidare un danno per la mera violazione procedimentale, ma è chiamato a formulare un giudizio, laddove possibile, sulla certa o statisticamente probabile spettanza del bene o dell’utilità finale, mentre quando a seguito dell’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo, persistano in capo all’Amministrazione significativi spazi di discrezionalità amministrativa pura, il risarcimento del danno può riconoscersi solo dopo e a condizione che l’Amministrazione, riesercitato il proprio potere (come le compete, per effetto del giudicato), abbia riconosciuto all’interessato il bene della vita; in quest’ultima ipotesi, il danno ristorabile non potrà che ridursi al solo pregiudizio determinato dal ritardo nel conseguimento del bene richiesto 69. E’ onere del privato provare tutti gli elementi dell’illecito e, quindi, l’esistenza del danno e del rapporto di causalità con l’illegittimità commessa dall’amministrazione. Se il danno richiesto è costituito dalla mancata attribuzione del c.d. bene della vita, la spettanza di tale bene dovrà emergere in giudizio (ad es., diritto all’aggiudicazione di una pubblica gara), altrimenti il risarcimento potrà al limite spettare nei limiti della chance (illegittima esclusione da una gara, non più rinnovabile e di cui non può esservi certezza sull’ipotetico esito). Il danno richiesto può anche non consistere nella mancata attribuzione del bene della vita, ma anche in questo caso si dovrà dimostrare il danno e il nesso di causalità. VI.3. LA COLPA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - L’indirizzo giurisprudenziale consolidato prima della sentenza 500/1999, riteneva la colpa sussistente in re ipsa nella stessa illegittimità processualmente accertata dall’atto amministrativo; la colpa era di per sé già ravvisabile con l’adozione (necessariamente volontaria) del provvedimento illegittimo e con la sua esecuzione, indipendentemente dalla natura del vizio che inficiava il provvedimento 70. Tale indirizzo è stato superato con la sentenza n. 500/1999, con cui la Cassazione abbandona la tesi della configurazione di una colpa in re ipsa ed afferma che il giudice deve svolgere una penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell'illegittimità del provvedimento, ma estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente, ma della P.a. intesa come apparato, che sarà configurabile nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità. Il criterio di accertamento della colpa indicato dalla sentenza n. 500 del 1999 è stato in parte disatteso dal Consiglio di Stato, che ha sottolineato che se da una parte il criterio rimane ad un livello di inevitabile astrazione, dall’altra non tiene conto del fatto che la violazione dei limiti esterni alla discrezionalità comporta l’illegittimità dell’atto per eccesso di potere. Secondo un orientamento è indispensabile accedere direttamente ad una nozione oggettiva di colpa, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento ed, in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità della violazione commessa dall’amministrazione, anche alla luce dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento.71. Con altra decisione il Consiglio di Stato ha affermato che non può essere accolta la tesi, secondo cui la colpa della P.a. si verificherebbe solo nei casi di illegittimità del provvedimento amministrativo più grave ed evidente, in quanto verrebbe introdotta, indirettamente, una limitazione della responsabilità alla colpa grave, senza adeguata base normativa. In base alla regola generale racchiusa nell’articolo 2697 c.c., il danneggiato ha l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento (danno, nesso di causalità, colpa), ma detto onere può essere ragionevolmente adempiuto anche attraverso prove indirette ed adeguate semplificazioni probatorie come le presunzioni. La accertata illegittimità dell’atto può rappresentare l’indice (grave, preciso e concordante) della colpa dell’amministrazione. La mancanza di colpa potrebbe essere affermata, concretamente, solo in ipotesi molto

69 Cons. St., VI, 15 aprile 2003 n. 1945. 70 Cass. , sez. un., 22 maggio 1984 n. 5361, in Giust. civ., 1985, I, 1417. 71 Cons. St., IV, 14 giugno 2001 n. 3169.

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circoscritte, coincidenti con l’errore scusabile dell’amministrazione, derivante da fattori particolari correlati, esemplificativamente, alla formulazione incerta delle norme applicate, alle oscillazioni interpretative della giurisprudenza, alla rilevante complessità del fatto, oppure ai comportamenti di altri soggetti72. La decisione fa riferimento alla tesi della responsabilità da contatto, evidenziando che l’adeguata valorizzazione del rapporto procedimentale instaurato tra le parti consente di affermare che l’onere della prova dell’elemento soggettivo dell’illecito va ripartito tra le parti secondo criteri sostanzialmente corrispondenti a quelli codificati dall’articolo 1218 c.c. attraverso una presunzione relativa di colpa derivante dall'illegittimità dell'atto e vincibile dall'amministrazione con la dimostrazione della sussistenza di un errore scusabile. Il Consiglio di Stato ha rilevato che le condivisibili esigenze di semplificazione probatoria possono essere soddisfatte restando all'interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, utilizzando, per la verifica dell'elemento soggettivo, le presunzioni semplici di cui agli artt.2727 e 2729 c.c. 73. Molte delle questioni rilevanti ai fini della scusabilità dell'errore sono questioni di interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche, inerenti la difficoltà interpretativa che ha causato la violazione; in simili casi il profilo probatorio resta in larga parte assorbito dalla questio iuris, che il giudice risolve autonomamente con i propri strumenti di cognizione in base al principio iura novit curia. Al privato non è, quindi, chiesto un particolare sforzo probatorio, sotto il profilo dell’elemento soggettivo: può invocare l’illegittimità del provvedimento quale presunzione (semplice) della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Spetterà a quel punto all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata74

E’ stato anche evidenziato che alcun elemento contrario alla effettuata ricostruzione della nozione di colpa della p.a. può trarsi dalla giurisprudenza comunitaria. Con una recente sentenza la Corte di Giustizia ha sanzionato lo Stato del Portogallo per aver subordinato la condanna al risarcimento dei soggetti lesi in seguito alle violazioni del diritto comunitario che regolano la materia dei pubblici appalti alla allegazione della prova, da parte dei danneggiati, che gli atti illegittimi dello Stato o degli enti di diritto pubblico siano stati commessi colposamente o dolosamente75. Tuttavia, secondo il Consiglio di Stato, tale decisione appare riferirsi all’onere della prova in relazione all’elemento soggettivo della responsabilità della p.a. e non alla esigenza di accertare la responsabilità, prescindendo dalla colpa dell’amministrazione. 76 Va considerato che la stessa Corte di Giustizia, pur non facendo riferimento alla nozione di colpa della p.a., utilizza, a fini risarcitori, il criterio della manifesta e grave violazione del diritto comunitario, sulla base degli stessi elementi, descritti in precedenza e utilizzati nel nostro ordinamento per la configurabilità dell’errore scusabile 77. Per completare il quadro in tema di colpa della p.a., va aggiunto che l'amministrazione potrà fornire la prova di un concorso colposo del danneggiato e in alcune ipotesi il famoso contatto tra P.a. e cittadino può anche costituire elemento a favore dell'amministrazione, quando ad esempio è stato il privato a violare doveri di correttezza nel fornire il suo apporto partecipativo al procedimento, celando circostanze rilevanti o producendo dichiarazioni inesatte 78. VII. LA PREGIUDIZIALE AMMINISTRATIVA - Per “pregiudiziale amministrativa” si intende la necessità di impugnare (ed ottenere l’annullamento) dell’atto amministrativo prima di poter conseguire il risarcimento del danno derivante da quel medesimo atto. Va subito chiarito che il problema della pregiudizialità si pone unicamente in ipotesi di danno derivante dal provvedimento illegittimo, mentre non vi alcuna pregiudizialità dell’azione di annullamento in fattispecie di danni derivanti da comportamento, o comunque non direttamente provocati dagli effetti del provvedimento illegittimo (è evidente che se il danno non deriva da un provvedimento amministrativo, non si pone neanche il problema di dover impugnare tale provvedimento). Prima della sentenza n. 500/1999, la Cassazione ammetteva la tutela risarcitoria del c.d. diritto affievolito, e cioè dell'originaria situazione di diritto soggettivo incisa da un provvedimento illegittimo che fosse stato poi annullato dal

72 Cons. St., V, 6 agosto 2001 n. 4239. 73 Cons. St., IV, 6 luglio 2004 n. 5012; 10 agosto 2004 n. 5500; VI, 9 marzo 2007 n. 1114. 74 Cons. St., VI, 23 giugno 2006 n. 3981. 75 C. Giust. CE, 14 ottobre 2004, C-275/03. 76 Cons. St., VI, 23 giugno 2006 n. 3981. 77 C. Giust. CE, 5 marzo 1996, C- 46 e 48/93 (punto 78). 78 Cons. St., VI, 19 luglio 2002 n. 4007.

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giudice amministrativo con effetto ripristinatorio retroattivo 79. In tali ipotesi era necessario adire prima il giudice amministrativo per ottenere l’annullamento dell’atto, idoneo a far riemergere il diritto soggettivo e poi il giudice ordinario per chiedere il risarcimento del danno. Con la sentenza n. 500/1999, la Cassazione, anche se solo in un obiter dictum, accoglie una visione ispirata all’assoluta autonomia delle due azioni (di annullamento e risarcitoria), ammettendo che il danneggiato possa direttamente rivolgersi al g.o. per ottenere il risarcimento nel termine di prescrizione, anche senza la previa impugnazione dell’atto amministrativo illegittimo. I dubbi sulla pregiudizialità si sono riproposti con tutta la loro complessità quando la tutela risarcitoria dell’interesse legittimo si è spostata sul fronte della giurisdizione amministrativa a seguito della concentrazione delle due azioni presso il medesimo giudice. La giurisprudenza amministrativa si è orientata in favore della tesi della sussistenza della pregiudizialità. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che una volta concentrata presso il giudice amministrativo la tutela impugnatoria dell’atto illegittimo e quella risarcitoria conseguente, non è possibile l’accertamento incidentale da parte del giudice amministrativo della illegittimità dell’atto non impugnato nei termini decadenziali al solo fine di un giudizio risarcitorio e l’azione di risarcimento del danno è ammissibile solo a condizione che sia impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo non è dato di poter disapplicare atti amministrativi non regolamentari 80. La pronuncia richiama una precedente decisione, in cui è stato evidenziato che rispetto alle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, cui il termine breve di impugnazione è funzionale, risulta di difficile compatibilità una fattispecie in cui il privato dopo essere rimasto silente (nel senso di non avere impugnato l’atto) dopo l’emanazione di un provvedimento amministrativo a lui sfavorevole agisca in via giurisdizionale nell’imminenza della scadenza del termine prescrizionale di cinque anni, chiedendo il risarcimento del danno. 81

A favore della tesi della pregiudizialità si è espressa anche la II Sezione della Cassazione, che ha rilevato che il giudice ordinario è titolare del potere di disapplicare il provvedimento amministrativo quando l’oggetto della controversia al suo esame sia costituito dalla pretesa di un diritto soggettivo perfetto e quando la valutazione della legittimità del provvedimento debba avvenire soltanto in via incidentale. L’illegittimità dell’atto, quale elemento costitutivo della fattispecie attributiva del diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 2043 c.c., non può essere accertata in via incidentale e senza efficacia di giudicato; pertanto, ove l’accertamento in via principale sia precluso nel giudizio risarcitorio in quanto l’interessato non sperimenta, o non può sperimentare (a seguito di giudicato, decadenza, transazione, ecc.), i rimedi specifici previsti dalla legge per contestare la conformità a legge della situazione medesima, la domanda risarcitoria deve essere rigettata perché il fatto produttivo del danno non è suscettibile di essere qualificato illecito.82. Nel corso del 2006 tale quadro è, tuttavia, mutato repentinamente per ben due volte. Dapprima, con la sentenza n. 1207/06 le Sezioni Unite della Cassazione, nell’affermare che le controversie sul danno da provvedimento appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo solo in caso di domanda risarcitoria proposta contestualmente all’azione di annullamento (e non in caso di autonomo giudizio dopo il giudicato di annullamento, da proporre al giudice ordinario), hanno escluso che possa essere proposta una azione risarcitoria avente a oggetto il pregiudizio derivante da un atto amministrativo definitivo per difetto di tempestiva impugnazione, essendo precluso al giudice il sindacato in via principale sull’atto o sul provvedimento amministrativo.83

Nel giugno del 2006 sopravviene un nuovo cambio di rotta delle Sezioni Unite, che, con le ordinanze n. 13659 e n. 13660/2006, riconoscono la giurisdizione del giudice amministrativo sul danno da provvedimento, ma accompagnano tale statuizione con il (forse definitivo) abbandono della pregiudiziale.84

Viene affermato che ammettere la necessaria dipendenza del risarcimento dal previo annullamento dell'atto illegittimo e dannoso (tesi definita “tutta amministrativa”), anziché dal solo accertamento della sua illegittimità significherebbe restringere la tutela che spetta al privato di fronte alla pubblica amministrazione ed assoggettare il suo diritto al risarcimento del danno, anziché alla regola generale della prescrizione, ad una Verwirkung amministrativa, tutta italiana. Giurisdizione del giudice amministrativo sui danni da provvedimento, ma fine della pregiudiziale amministrativa; questa è la conclusione della Cassazione, che per rendere effettivo il principio, aggiunge, con un obiter dictum, che se il

79 Cass., III, 9 giugno 1995 n. 6542, in Giur. it. 1996, I,1, 191. 80 Cons. St., ad. plen., 26 marzo 2003 n. 4. 81 Cons. St., VI 18 giugno 2002 n. 3338. 82 Cass., II, 27 marzo 2003 n. 4538. 83 Cass., sez. un., 23 gennaio 2006 n. 1207. 84 Cass., sez. un., 13 giugno 2006 n. 13659 e n. 13660.

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giudice amministrativo rifiuta di esercitare la giurisdizione, non esaminando nel merito la domanda autonoma di risarcimento del danno per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l'annullamento dell'atto e la conseguente rimozione dei suoi effetti, la sua decisione, a norma dell'art. 362, primo comma c.p.c., si presta a cassazione da parte delle sezioni unite quale giudice del riparto della giurisdizione. Il problema della pregiudiziale viene così trasformato in una questione di giurisdizione. Nei primi mesi successivi alla pubblicazione di tali ordinanze vi sono state diverse prese di posizione dei giudici amministrativi di primo grado, che hanno ribadito le ragioni poste a fondamento della pregiudiziale, andando consapevolmente e motivatamente di contrario avviso rispetto alla Cassazione.85 Di recente vi sono state anche due pronunce di segno contrario del giudice di appello. 86

Se dovesse prevalere l’orientamento della Cassazione l’omessa impugnazione del provvedimento amministrativo, fonte del danno, non rappresenterà più una causa di per sé ostativa all’accoglimento dell’azione risarcitoria, ma costituirà comunque un elemento valutabile ai sensi dell’art. 1227 c.c. (sulla base di tale disposizione va, quindi, imputata al creditore quella parte di danno che avrebbe potuto essere evitata usando l’ordinaria diligenza nella difesa del proprio interesse, e tale potrebbe essere considerata la mancata proposizione del rimedio costitutivo). Si può quindi affermare che la questione della c.d. pregiudiziale amministrativa è ancora lontana dal raggiungimento di certezze e dal consolidamento degli orientamento giurisprudenziali. VIII. IL RISARCIMENTO DEL DANNO PER EQUIVALENTE - Elemento essenziale della struttura dell’illecito è il pregiudizio patrimoniale patito dal danneggiato in conseguenza dell’attività antigiuridica posta in essere dal responsabile. Con il risarcimento per equivalente viene garantita non la diretta rimozione della lesione e delle sue conseguenze, ma la compensazione pecuniaria del danno attraverso il riconoscimento del diritto a ricevere una somma corrispondente al valore del bene della vita leso per effetto dell’illecito. Per i danni derivanti dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa, spesso la pronuncia del giudice non è pienamente satisfattiva della pretesa del privato e la tutela risarcitoria non può allora che avvenire per equivalente. Il giudice amministrativo ha a disposizione una peculiare tecnica processuale: può “stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine" (art. 35, comma, 2, D. Lgs. n. 80/98). In caso di mancato accordo, il danneggiato può ricorrere al giudice affinché determini, nelle forme del giudizio di ottemperanza, la somma dovuta a titolo di risarcimento. Si tratta di uno strumento (facoltativo per il giudice) che non è utilizzabile per determinare l'an del risarcimento, ma a cui può farsi ricorso solo nella fase successiva della liquidazione del danno. Spetta comunque al ricorrente provare il danno e la quantificazione è strettamente collegata all’accertamento della pretesa sostanziale dedotta in giudizio. Ad esempio, nel settore degli appalti, la giurisprudenza ha distinto il danno subito da un concorrente, che si sarebbe aggiudicato l’appalto se l’amministrazione avesse operato correttamente, dal danno subito per la perdita della chance di aggiudicarsi la gara (e cioè quando non riesce a provare che l’aggiudicazione dell’appalto spettava a lui in assenza della illegittimità commessa dall’amministrazione). Nel primo caso, si riconosce a titolo di mancato guadagno l’utile economico che sarebbe derivato all’impresa dall’esecuzione dell’appalto, presuntivamente quantificato nel 10% dell’importo a base d’asta, come ribassato dall’offerta presentata87, a volte ulteriormente ridotto al 5 % nel caso in cui l’impresa non dimostra di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze per l’espletamento di altri servizi.88 Quando il ricorrente allega solo la perdita di una chance a sostegno della pretesa risarcitoria, la somma commisurata all’utile d’impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della procedura.89

Nell’ipotesi di responsabilità precontrattuale il danno risarcibile consiste, secondo la costante giurisprudenza, nella diminuzione patrimoniale che è diretta conseguenza del comportamento del soggetto che ha violato l’obbligo della

85 TAR Puglia, Lecce, 4 luglio 2006 n. 3710; TAR Abruzzo, 11 luglio 2006 n. 581; TAR Campania, 3 agosto 2006 n. 7797. V. anche Cons. St., V, 25 luglio 2006 n. 4645; V, 30 agosto 2006 n. 5063 86 Cons. St., IV 8 maggio 2007 n. 2136, secondo cui la tutela risarcitoria costituisce un rimedio di tutela ulteriore per chi abbia tempestivamente e fondatamente impugnato l’atto lesivo e, in senso contrario, Cons. Reg. Sic., 18 maggio 2007 n. 386, che ha aderito alla tesi della Cassazione, richiamando comunque l’art. 1227, comma 2, c.c.. 87 Cons. St. V 8 luglio 2002 n. 3796, in Foro Amm. CdS, 2002, 1718; Cons. St., IV 6 luglio 2004 n. 5012.88 Cons. St. V 24 ottobre 2002 n. 5860, in Dir. & Form, 2003, 65. 89 Cons. St., VI, 8 maggio 2002 n. 2485, in Foro Amm. CdS, 2002, 1290.

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correttezza, definito comunemente “interesse contrattuale negativo”. In tal caso, possono essere riconosciute, a titolo risarcitorio, le spese sopportate per la partecipazione alla gara e la eventuale perdita delle occasioni di lavoro alternative, per la quale è necessaria la dimostrazione dell’entità dell’asserito pregiudizio derivante dalla perdita di altre occasioni.90

IX. LA REINTEGRAZIONE IN FORMA SPECIFICA - L’art. 35, comma 1, del D.Lgs. n. 80/98 e l’art. 7, comma 3, l. TAR prevedono che il giudice amministrativo disponga, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto. Secondo un primo orientamento il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento, con tale strumento, un’azione di adempimento simile a quella prevista nell’ordinamento tedesco, che consente di agire in giudizio per ottenere la condanna dell’amministrazione all’emanazione di un atto amministrativo; il potere di ordinare all’amministrazione un facere sussisterebbe, secondo alcuni, a condizione che si tratti di attività vincolata e non di attività con significativo tasso di discrezionalità. A tale orientamento se ne contrappone un altro, definito civilistico, per il quale la reintegrazione in forma specifica rimane un rimedio risarcitorio (o comunque riparatorio), ossia una forma di reintegrazione dell’interesse del danneggiato mediante una prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto del rapporto obbligatorio; la reintegrazione in forma specifica non va confusa né con l’azione di adempimento (con la quale si chiede la condanna del debitore all’adempimento dell’obbligazione), né con il diverso rimedio dell’esecuzione in forma specifica, quale strumento per l’attuazione coercitiva del diritto e non mezzo di rimozione diretta delle conseguenze pregiudizievoli. La giurisprudenza del Consiglio di Stato si è espressa, in senso maggioritario, in favore della tesi civilistica, affermando che il legislatore ha chiaramente inserito l’inciso “anche attraverso la reintegrazione in forma specifica” all’interno della disposizione che prevede che il giudice amministrativo dispone il risarcimento del danno ingiusto, con la conseguenza che contrasta con il dato letterale ogni interpretazione che pone l’istituto al di fuori di una alternativa risarcitoria. Ricomprendere nell’ambito della reintegrazione in forma specifica anche una sorta di azione di adempimento comporta l’ingiustificata subordinazione ai limiti dell’istituto di una fase che si pone in un momento anteriore rispetto al risarcimento e costituisce una diminuzione di tutela per il privato, in quanto quello che prima costituiva il c.d. effetto conformativo per la P.a. assoggettato al solo limite della sopravvenuta impossibilità, verrebbe invece ingiustificatamente condizionato anche alla verifica di onerosità ai sensi dell’art. 2058, comma 2, c.c.91. Intesa in senso civilistico, la reintegrazione in forma specifica trova applicazione esclusivamente in presenza di interessi legittimi oppositivi. La giurisprudenza ha individuato i limiti della reintegrazione in forma specifica, desunti grazie al parallelo con la disciplina del codice civile: l’art.2058 c.c. che pone come limite la concreta impossibilità di disporre la reintegrazione e l’eccessiva onerosità per il debitore (rectius, per il pubblico interesse per la p.a.).92

X. LA RESPONSABILITÀ DEL PUBBLICO DIPENDENTE NEI CONFRONTI DEL TERZO - L’azione diretta del privato contro il funzionario trova il suo fondamento nell’art. 28 Cost., secondo cui “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi civili, penali ed amministrative degli atti compiuti in violazione dei diritti”. Ammessa la risarcibilità degli interessi legittimi, il termine diritti, di cui all’art. 28 Cost., è stato inteso riferito a qualsiasi situazione giuridicamente protetta vantata dal privato nei confronti della P.a. ed è stato escluso che la responsabilità solidale e diretta dei pubblici dipendenti sia limitata ai soli atti compiuti in violazione di diritti, e non anche in caso di lesione di posizioni di interesse legittimo.93

Con riguardo al giudice davanti a cui può essere proposta l’azione diretta contro il funzionario, vi sono state, quasi contestualmente, due pronunce di segno opposto di Consiglio di Stato e Cassazione. Il Consiglio di Stato ha affermato che spetta alla giurisdizione del giudice amministrativo l’azione risarcitoria diretta proposti nei confronti del funzionario pubblico, in quanto l’art. 22 del t.u. n. 3/1957, attuando l’art. 28 della Costituzione, pur non essendo relativo alla giurisdizione, nel prevedere che l'azione di risarcimento nei confronti dell’impiegato possa essere esercitata congiuntamente con l'azione diretta nei confronti dell'Amministrazione, presuppone che vi sia un unico giudice avente la cognizione di una domanda risarcitoria, che può essere proposta in

90 Cons. St., IV, 19 marzo 2003 n. 1457, in Cons. St., 2003, I, 670. 91 Cons. St., VI, 18 giugno 2002 n. 3338, in Dir. & Form., 2002, 1175; Cons. St., VI, 3 aprile 2003 n. 1716, in Dir. & Form., 2003, 1051. 92 Cons. St., IV 14 giugno 2001 n. 3169, in Dir. & Form., 2001. 93 Cons. St., VI, 23 giugno 2006 n. 3981; in senso contrario, in precedenza, Cons. St., VI, 5 agosto 2005 n. 4153.

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solido nei confronti di diversi soggetti (amministrazione e dipendenti).94 Con la già citata recente ordinanza n. 13659/06 delle Sezioni Unite della Cassazione è stato, invece, affermato che appartiene alla giurisdizione ordinaria la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del funzionario cui è imputata l'adozione di un provvedimento illegittimo, in quanto fondata sulla deduzione di un fatto illecito extracontrattuale e intercorrente tra privati, non ostando a ciò la proposizione della domanda anche nei confronti dell'ente pubblico sotto il profilo della responsabilità solidale dello stesso, attenendo al merito l'effettiva riferibilità all'ente dei comportamenti dei funzionari. Per l’azione di rivalsa da parte della P.a. nei confronti del pubblico dipendente, v. RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA E CONTABILE. XI. PROFILI RELATIVI AL RIPARTO DI GIURISDIZIONE (V., anche, GIUDICE ORDINARIO E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE) – L’attribuzione al giudice amministrativo delle controversie risarcitorie era stata sospettata di incostituzionalità. I dubbi sono stati fugati dalla sentenza n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale, con cui è stato chiarito che il risarcimento del danno non è una nuova “materia” attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione. Ha aggiunto la Corte che l’attribuzione di tale potere non soltanto appare conforme alla piena dignità di giudice riconosciuta dalla Costituzione al Consiglio di Stato, ma anche, e soprattutto, essa affonda le sue radici nella previsione dell’art. 24 Cost., il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati poteri; e certamente il superamento della regola, che imponeva, ottenuta tutela davanti al giudice amministrativo, di adire il giudice ordinario, con i relativi gradi di giudizio, per vedersi riconosciuti i diritti patrimoniali consequenziali e l’eventuale risarcimento del danno costituisce null’altro che attuazione del precetto di cui all’art. 24 Cost.95

Per quanto concerne i danni da provvedimento amministrativo illegittimo, con le ordinanze della Cassazione del giugno 2006 è stata definitivamente riconosciuta la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, sia in caso di domanda risarcitoria proposta unitamente all’azione di annullamento sia in caso di domanda proposta in via autonoma. 96

Ad analoga conclusione la giurisprudenza è giunta per le fattispecie di danno da ritardo, in quanto la mancata emanazione di un provvedimento amministrativo nei tempi prescritti integra un ritardo che assume giuridica rilevanza perché derivante dal mancato tempestivo esercizio del potere, devoluto alla cognizione del giudice amministrativo, si tratti di ritardo nell'emissione di un provvedimento risultato favorevole o di silenzio.97

Anche con riferimento alle ipotesi di responsabilità precontrattuale, che può sussistere nella fase anteriore alla stipula dei contratti della p.a., la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo 98, anche se sul punto ancora non si è espressa la Cassazione. Qualche incertezza sotto il profilo del riparto di giurisdizione resta con riferimento alle fattispecie in materia espropriativa e alle controversie in cui l'azione risarcitoria costituisce reazione alla lesione di diritti incomprimibili, come la salute o l'integrità personale. XII. PROFILI PROCESSUALI DELL’AZIONE RISARCITORIA (V., anche, AZIONI - PROC. AMM.) – La domanda risarcitoria può essere proposta unitamente all’azione di annullamento o in via autonoma; in quest’ultimo caso va presentata al Tar, che ha pronunciato la sentenza di annullamento.99 La domanda risarcitoria può essere proposta anche nel corso del giudizio per l’annullamento dell’atto che ha causato il danno, purché con atto notificato alla controparte, mentre è inammissibile la domanda formulata per la prima volta in appello.100

In caso di domanda autonoma, la prevalente tesi della natura extracontrattuale della responsabilità della P.a. implica la durata quinquennale del termine di prescrizione, che decorre dall’annullamento dell’atto che ha provocato il danno se si aderisce alla tesi della pregiudiziale o dal verificarsi dell’evento dannoso se si opta per l’opposta tesi. Il ricorrente deve necessariamente allegare e dimostrare in giudizio tutti gli elementi costitutivi della sua pretesa risarcitoria e il metodo acquisitivo, che tempera nel processo amministrativo il principio dispositivo nell’acquisizione

94 Cons. St., VI, 23 giugno 2006 n. 3981. 95 Corte Cost 6 luglio 2004 n. 204; in seguito, v. C. Cost., 3 maggio 2006 n. 191. 96 Cass., sez. un., 13 giugno 2006 n. 13659 e n. 13660. 97 Cass., sez. un., 31 marzo 2005, n. 6745; Cons. St., ad. plen. 15 settembre 2005 n. 7; Cass., sez. un., 13 giugno 2006 n. 13659 e n. 13660. 98 Cons. St., ad. plen., 5 settembre 2005 n. 6. 99 Cons. St., ad. plen., 18 ottobre 2004 n. 10. 100 Cons. St., VI, 29 novembre 2002 n. 6575, in Foro Amm. CdS, 2002, 2981

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delle prove, può essere utilizzato solo laddove siano stati allegati tali fatti, ma il privato, per la sua posizione di disparità sostanziale con l’amministrazione, non sia in grado di provarli. L’orientamento tradizionale, ed ancor oggi maggioritario, tende a ritenere inammissibile una domanda risarcitoria proposta in sede di ottemperanza, attesa la necessità di una cognizione piena sull’an della pretesa risarcitoria, possibile solo nell’ambito di un giudizio ordinario articolato sul doppio grado101. Seguendo una posizione intermedia, è stato ritenuto ammissibile un ricorso cumulativo, proposto in primo grado, contenente sia la richiesta di esecuzione del giudicato sia la domanda risarcitoria a condizione che, in applicazione del principio di conservazione e di conversione degli atti processuali, sussistano i presupposti di contenuto e forma previsti per un’ordinaria azione cognitoria, quale quella risarcitoria, fermo restando che il rispetto del principio del doppio grado del giudizio costituisce un limite invalicabile con la conseguenza che deve confermarsi l’inammissibilità di una domanda risarcitoria proposta per la prima volta in sede di giudizio di ottemperanza di una decisione del Consiglio di Stato e quindi in un unico grado di giudizio.102. E’ stato poi chiarito che una domanda di risarcimento dei danni, inammissibile se proposta per la prima volta in appello, è proponibile in sede di ottemperanza solo per i danni da violazione di giudicato ossia per i danni maturatisi dopo l’annullamento, mentre, quanto ai danni già subiti (per perdita di chance) per effetto dell’attività amministrativa oggetto del giudizio di annullamento, non può dubitarsi circa la necessità di un’apposita domanda da spiegarsi nel processo di primo grado. 103

Di recente, si sono registrate da un lato alcune nuove aperture in favore dell’ammissibilità della domanda risarcitoria, proposta in sede di ottemperanza, seppur in fattispecie peculiari in materia espropriativa 104, e dall’altro lato nuove conferme del più tradizionale indirizzo negativo.105

ROBERTO CHIEPPA

101 Cons. St., IV, 1 febbraio 2001 n. 396. 102 Cons. St., VI, 18 giugno 2002 n. 3332. 103 Cons. St., VI, 8 marzo 2004 n. 1080. 104 Cons. St., IV, 30 gennaio 2006 n. 290. 105 Cons. St., V, 27 aprile 2006 n. 2374.

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CONSIGLIO DI STATO – ADUNANZA PLENARIA N. 12/2007

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.12/2007 Reg.Dec.

N. 8 Reg.Ric. ANNO 2007

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, ha pronunciato la

seguente

DECISIONE sul ricorso in appello n. 8/2007 dell’Adunanza Plenaria (n. 1614/2006 della Sez. IV del Consiglio di Stato) proposto dalla Provincia di Mantova, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Paolo Colombo e dall’avv. Alessandro Sperati, elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, Piazza Mazzini, n. 27. CONTRO Gatti Marino, rappresentato e difeso dall’avv. Elia Di Matteo, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Francesco Da Riva Grechi in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 109. NONCHÉ CONTRO Corso Eugenio, Merchiori Anna, Rabitti Marcello, Vanz Gloria e Nico Costruzioni s.r.l. non costituiti in giudizio. PER L'ANNULLAMENTO della sentenza non definitiva del TAR per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia 19 dicembre 2005, n. 1342. Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor Gatti Marino; Vista l’ordinanza della Sezione IV. n. 3288/2007 del 19 giugno 2007 con cui è rimesso all’Adunanza Plenaria il ricorso n. 1614/2006; Visti gli atti tutti della causa; Relatore, alla pubblica udienza del 15 ottobre 2007, il Presidente Giovanni Ruoppolo e uditi l’avv. Paolo Colombo e l’avv. Elia Di Matteo; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

La Sezione quarta, rimettendo, con sentenza 19 giugno 2007 n. 3288/07, all’Adunanza plenaria di decidere sulla questione di giurisdizione proposta dalla Provincia di Mantova con l’atto di appello in epigrafe, ha accertati e chiariti i fatti in maniera puntuale e completa. In questa sede, perciò, ci si può limitare a riferire sugli aspetti ancora rilevanti della vicenda rinviando, per una completa disamina, alla sentenza di remissione. Con provvedimento 30 aprile 1999 n. 119 la Giunta provinciale di Mantova, acquisite le correlate deliberazioni del Comune di Mendole e della Regione Lombardia, approvava il progetto per la esecuzione della circonvallazione di Mendole, ne dichiarava la pubblica

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utilità e fissava il termine di cinque anni, decorrenti dalla data della delibera, per la conclusione dei lavori e della procedura. Con successive deliberazioni 2 giugno 2000 n. 137 e 5 dicembre 2002 n. 423 la stessa Giunta, approvando varianti al progetto esecutivo e rinnovando la dichiarazione di pubblica utilità , confermava lo stesso termine finale in precedenza fissato. Seguivano, intanto, altri atti della procedura relativi alla occupazione d’urgenza (18 ottobre 2000), alla immissione in possesso delle aree (26 ottobre 2001), alla consegna dei lavori ( 26 aprile 2001), alla determinazione delle dovute indennità provvisoria (6 marzo 2001) e definitiva ( 6 dicembre 2002), al frazionamento delle aree interessate alla procedura espropriativa ( 13 settembre 2004), al deposito presso la Cassa DD.PP. delle somme ancora dovute. Il 17 gennaio 2005, con decreto n, 3273/05, si disponeva infine il trasferimento della proprietà delle aree private in conformità delle risultanze del frazionamento. L’intera procedura era incisa, insieme agli atti presupposti, da plurimi ricorsi proposti, in tempi diversi, dai soggetti privati titolari delle aree coinvolte che deducevano motivi di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere nei confronti della Provincia, del Comune e della Regione, dei cui provvedimenti si chiedeva l’annullamento. Il TAR per la Lombardia, Sezione di Brescia, nel contraddittorio ritualmente formatosi, disposta la riunione di tutti i ricorsi e ritenuta la giurisdizione, con sentenza non definitiva 27 dicembre 2005, n. 1342/05: - dichiarava estinti, per rinuncia, i giudizi, avviati con ricorsi 257/99, 697/00, 1284/00, nei confronti dei Signori Ferrardi , Branzini e Cerruti; - dichiarava improcedibili, per sopravenuta carenza di interesse, i ricorsi n. 1544/97, 1548/97, 257/99 e 697/00 e, per quanto riguarda i profili impugnatori, 1284/00 ad eccezione, per questo ricorso, della pretesa risarcitoria già avanzata e dal Signor Gatti e dai Signori Corso e Marchiori, rispettivamente acquirente ed alienante di una delle aree coinvolte; - accoglieva parzialmente il ricorso n. 476/05 annullando il decreto di espropriazione di 17 gennaio 2005 n. 3273/05 e dichiarando la intervenuta, irreversibile trasformazione dei beni occupati; - disponeva la prosecuzione del giudizio per il completamento della consulenza tecnica già disposta ai fini della pronuncia sulla istanza risarcitoria. Proponeva appello, con atto notificato al Signor Gatti, nonché ai Signori Corso e Marchiori, la Provincia di Mantova deducendo alcune questioni pregiudiziali, contestando la ritenuta tardività del decreto di espropriazione e rilevando, per il caso di acclarata decadenza della dichiarazione di pubblica utilità, difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Si costituiva il solo Signor Gatti proponendo ricorso incidentale. Questi e la Provincia illustravano con specifiche memorie le proprie posizioni e concludevano, il primo, in via principale di merito, per la conferma della sentenza di primo grado e per la condanna della Provincia al risarcimento del danno, la seconda, per la declaratoria del difetto di giurisdizione. La Sezione quarta, accertato che l’espropriazione era stata decretata, in data 7 giugno

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2005, dopo la scadenza dei cinque anni decorrenti dalla data della deliberazione della Giunta Provinciale 30 aprile 1999, ha rimesso l’esame della questione di giurisdizione all’Adunanza Plenaria. Le conclusioni delle parti sono state rassegnate con memorie in data 26 e 30 settembre 2007.

Motivi della decisione. I - La Sezione quarta, dubitando della permanente attualità – dopo la pubblicazione della sentenza Corte Cost. 11 maggio 2006, n. 191 e delle correlate pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione - dei principi ripetutamente affermati dalla Adunanza Plenaria ha correttamente rimesso a quest’ultima il rinnovato esame della individuazione del giudice amministrativo quale giudice cui spetta di pronunciarsi in tema di c.d. accessione invertita, allorché la formale espropriazione intervenga dopo la sopravvenuta inefficacia, per decorso del suo termine finale, della dichiarazione di pubblica utilità. Correttamente, si è detto, alla stregua delle esigenze che, positivamente poste nei confronti del giudizio per cassazione (art. 374 cod.proc.civ. come sostituito dall’art. 8 D.Lg.vo 2 febbraio 2006, n. 40), derivano da generali principi di certezza del diritto e di economicità della funzione giurisdizionale che ovviamente coinvolgono il processo innanzi al Consiglio di Stato, nel quale è per altro già prevista la opportunità, qui di nuovo sottolineata, della rimessione in ordine a questioni di diritto che abbiano dato luogo o possano dar luogo a contrasti giurisprudenziali ovvero allorché si renda necessaria la risoluzione di questioni di massima di particolare importanza ( art. 45 co. 2 e 3 T.U. 26 giugno 1924, n. 1054 come sostituiti dall’art. 5 L.21 dicembre 1950, n. 1018 ). II - La rimessione in parola, è necessario premettere ad ulteriore chiarificazione delle proposte questioni pregiudiziali, concerne esclusivamente il ricorso 1284/2000 ed il ricorso 476/2005 e motivi aggiunti con i quali Signori Corso – Marchiori e Cerruti hanno proposto, siccome accertato dal Tribunale regionale amministrativo e ritenuto dalla Sezione quarta, domanda risarcitoria. Gli altri ricorsi inizialmente proposti risultano, infatti, oggetto di dichiarazione di estinzione per rinunzia ovvero di improcedibilità per carenza di interesse, improcedibilità estesa, dal predetto Tribunale, anche ai motivi del ricorso 1284/2000 relativi alla impugnazione per annullamento di alcuni degli atti emessi nel corso del procedimento di espropriazione il cui atto conclusivo (decreto n. 3273/05 della Provincia) è stato espressamente annullato dal Tribunale, con connessa dichiarazione di irreversibile trasformazione dei beni occupati. In tale situazione la Sezione remittente ha ritenuto di superare le deduzioni della Provincia relative alla pretesa non integrità del contraddittorio in primo grado e del Gatti relative alla omessa notifica dell’appello a Regione, Comune, Niero s.r.l. e Signori Rabitti e Vanz. Invero, mentre contro questi ultimi soggetti nessuna domanda risarcitoria è proposta, né si configura alcun loro interesse e mentre Comune e Regione sono stati intimati in primo grado ( il primo si è anche costituito) in relazione agli atti da loro emessi (ric. 1544/97, 1548/97 e 257/99), ed hanno ricevuto notificazione della sentenza appellata, la domanda risarcitoria fu proposta nei soli confronti della Provincia, ente espropriante, e concerne, una volta definiti come s’è ricordato gli altri giudizi, esclusivamente i rapporti tra la stessa Provincia e, ormai, il Signor Gatti ed i suoi danti causa.

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Ne risulta l’infondatezza delle domande di integrazione del contraddittorio ritualmente instaurato e in primo grado e in appello. L’annullamento, poi, dell’atto finale della procedura di espropriazione e la pronuncia di intervenuta accessione invertita, di per sé non impugnata dal Signor Gatti, e per altro satisfattiva della richiesta tutela , rendono prive di rilievo le di lui deduzioni relative ad atti e comportamenti e della Regione e del Comune, ormai irrilevanti a seguito del predetto annullamento, e della Provincia dalle quali mai potrebbe conseguire la restituzione, e su questa non si insiste nelle conclusioni rassegnate il 7 marzo 2006 ed il 30 settembre 2007, delle aree coinvolte dalla costruzione della strada, pressoché terminata ed aperta al traffico (v. note in atti del Responsabile del procedimento in data 25 febbraio 2004 e 19 aprile 2005) già al 25 febbraio 2004 e, comunque, “parecchi mesi prima dello stesso 19 aprile 2005” e, perciò, nel corso dei termini della dichiarazione di pubblica utilità. Dato atto di ciò, deve infine rilevarsi che il Tribunale non si è in alcun modo pronunciato sulla domanda risarcitoria, proposta e perfino quantificata nel corso del relativo grado di giudizio (v. oltre alle istanze notificate il 23 febbraio ed il 29 ottobre 2001 le ammissioni nelle memorie della Provincia del 19 dicembre 2000 e del 11 aprile 2001 nonché l’istanza di sospensiva del giudizio indennitario dalla stessa proposta alla Corte di Appello e la correlata ordinanza e v., ancora, il ricorso 11 aprile 2005 notificato il successivo 12 aprile), sulla quale ha soltanto disposto il completamento dell’istruttoria in corso: sono, pertanto, intempestive le relative deduzioni della Provincia nonché degli appellati e perciò inammissibili in questa sede le loro richieste. III - Si rileva, venendo perciò al punto di diritto in contestazione, che permangono, nella giurisprudenza più recente, significativi contrasti in tema di discriminazione della giurisdizione, contrasti forse avvertiti con maggior disagio di quelli pur vivi nel secolo scorso ora che sussistono condizioni di ulteriore sviluppo sociale ed economico, di correlato aumento della legislazione e delle discipline così civili come amministrative e, perciò, di più forte richiesta di decisioni di merito pronte, facilmente accessibili, coerenti con le esigenze operative e con le aspettative di tutela delle pubbliche amministrazioni, delle imprese e di ciascun componente la comunità nazionale. I recenti, ripetuti richiami della Corte Costituzionale ( v. da ultimo, sent. 12 marzo 2007, n. 77) ai precetti dell’art. 24 Cost. confermano un orientamento perseguito con ancor più determinata convinzione; orientamento che, sottolineando il valore servente delle forme, pur ferme e vincolanti, rispetto alle aspettative sostanziali, merita di essere condiviso e seguito, come pare sia condiviso dallo stesso legislatore ( cfr., di recente, in tema di giurisdizione e di procedure, la L. 21 luglio 2000, n. 205 e, puntualmente in tema di nullità, la L. 7 agosto 1990, n. 191 ) le cui rinnovate dichiarazioni di volontà semplificatrice si traducono tuttavia, in qualche caso, in complicazioni di discipline di non sottile spessore e di non agevole applicazione da parte di una Amministrazione costretta a troppo frequenti mutamenti dei suoi complessi moduli organizzativi ed operativi ed a tal fine, specie in sede locale, non sempre munita di necessari mezzi e di adeguate strutture. In generale, ed omettendo analisi storiche altrove e da altri svolte con puntualità e completezza, la discriminazione è positivamente fissata, nel quadro dei rigidi precetti posti dagli artt.24, 102,103, 111 e 113 Cost., dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, - in vigore dal 1 agosto 2000 e seguita dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15 e dal D.Lg.vo 12 aprile 2006, n. 163 - , che, anche riformulando le disposizioni del D.Lg.vo 31 marzo 1998, n. 80, ha

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sostanzialmente definito il disegno innovatore avviato con l’art. 13 della L. 19 febbraio 1992, n. 142 ed organicamente posto dalla legge di delega 15 marzo 1997, n. 59: Su questa disciplina è ripetutamente intervenuta e, per quanto qui rileva, specialmente con le sentenze 17 luglio 2000, n. 292, 6 luglio 2004, n. 204, 28 luglio 2004, n. 281, 11 maggio 2006, n. 191, 12 marzo 2007, n. 77 e 27 aprile 2007, n. 140, la Corte Costituzionale. Punti fondamentali dell’assetto normativo che ne è derivato e che, salvo le integrazioni e le precisazioni appresso indicate, vige attualmente sono: 1) resta fermo, e vincola lo stesso legislatore, che criterio generale di discriminazione è quello fondato sulla natura della situazione giuridica di cui si chiede tutela, nel senso che giudice dei diritti soggettivi è il giudice ordinario e giudice degli interessi legittimi è il giudice amministrativo; 2) resta fermo che è nella, per così dire, ragionevole discrezionalità del legislatore attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in particolari materie (e non in blocchi indiscriminati di materie) specialmente caratterizzate dalla compresenza o dalla difficile qualificazione di diritti soggettivi ed interessi legittimi, anche la tutela di diritti soggettivi; 3) il giudice amministrativo conosce, nell’ambito della sua giurisdizione, sia essa di sola legittimità ovvero, pur con differente dizione, esclusiva, “ anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali conseguenziali “; 4) il giudice ordinario, cui non spetta mai giurisdizione sugli interessi legittimi, non ha il potere di annullare i provvedimenti amministrativi nè quello di risarcire il danno conseguente all’annullamento degli stessi da parte del giudice amministrativo, e tuttavia, vertendosi in tema di lesione dei diritti soggettivi non ricompresi nella cennata giurisdizione esclusiva, può disapplicare gli atti dell’amministrazione e provvedere al risarcimento dell’eventuale danno. IV - Con riferimento al nuovo assetto così sommariamente descritto si sono riproposti alla giurisprudenza spinosi problemi interpretativi già vivi nel quadro della precedente disciplina ed ulteriori questioni sostanziali e procedurali ha posto l’ampliamento della giurisdizione esclusiva e dei poteri del giudice amministrativo. Deve ricordarsi, al primo proposito, il permanere dalle difficoltà di discriminazione poste dalla dicotomia diritto soggettivo – interesse legittimo nell’ambito di una legislazione che dalla considerazione della loro natura il più delle volte prescinde preferendo enucleare dalle situazioni soggettive e disciplinare puntualmente, con riferimento alla attività amministrativa, tal volta spezzoni qualificabili come facoltà, più spesso aspetti analitici solo mediatamente riferibili ad individuabili situazioni di diritto o di interesse. Si tratta, nell’uno e nell’altro caso, di situazioni mai direttamente definite dalla legge e di derivazione dottrinale e giurisprudenziale spesso collegate ad esigenze di preconcetti ed immobili schemi sistematici piuttosto che ad ordinamenti e norme i quali supporrebbero, nel loro continuo aggiornarsi, il continuo aggiornamento di un “ sistema “ che, dismessa la pretesa di imporsi alla legge, da questa ricevesse la sua necessaria legittimazione. Il dibattito, in proposito, è continuo e basti segnalare, di recente, la distinzione proposta dalla Corte di Cassazione (Sez. un. 1 agosto 2006, n. 17461 ) che rivendica la giurisdizione del giudice ordinario in ogni caso quando si sia in presenza di “ posizioni soggettive a nucleo rigido “ (es. in tema di salute e di ambiente ) che, a differenza di

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quelle “ a nucleo variabile “, sarebbero assolutamente incomprimibili. Siffatta tesi, espressamente contraddetta dalla Corte Costituzionale (sent. 27 aprile 2007, n. 140 ), reca in se il corollario della inesistenza del provvedimento amministrativo che, pur emesso in applicazione di legge, siffatti incomprimibili diritti in concreto incidesse. Corollario che sembra meritare attenti approfondimenti nel punto in cui pare prescindere e dalle attribuzioni esclusive della Corte Costituzionale in tema di verifica della costituzionalità delle leggi e dalle attribuzioni del giudice amministrativo in tema di provvedimenti che conformemente a legge incidono su situazioni soggettive degradandole, come si è soliti ripetere, ad interesse legittimo. Riconosciuta a quest’ultimo giudice, com’è doveroso per chiunque, “ piena dignità di giudice “ e tenuto conto della compiuta effettività della sua tutela, organizzata positivamente come efficace e sollecita, non si vede la ragione perché le regole di discriminazione della giurisdizione debbano essere, a fronte dei diritti c.d. “ a nucleo rigido “, di categoria, cioè, suscettibile di estensione ben oltre i casi esemplificati, né si comprende la sottesa, asserita pretesa di una minore incisività della giurisdizione amministrativa. Di tale opinione non è, per altro, lo stesso legislatore che, in maniera espressa ed univoca, ipotizza, con l’art. 21 co. 8 della L. 1034/71, come integrato dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, provvedimenti cautelari del giudice amministrativo anche in tema di “interessi essenziali della persona quali il diritto alla salute, alla integrità dell’ambiente, ovvero ad altri beni di primario rilievo costituzionale”. E’ ben vero che allo stato si riscontra positivamente in relazione a talune situazioni soggettive del genere di quelle indicate e di altre ancora una ordinaria e prevalente giurisdizione del giudice civile che in nessun modo si contesta; epperò, mentre non può escludersi che in astratto ed in concreto si profilino situazioni di interesse legittimo ovvero di attribuzione di giurisdizione esclusiva, è seriamente controvertibile una tesi che, muovendo dalla categoria dei diritti soggettivi incomprimibili e varcando la soglia della sola descrittività, sancisca aprioristicamente limiti assoluti e non costituzionalmente posti alla giurisdizione amministrativa. Ai fini della concreta verificazione di questa è necessario poi ribadire che configurano situazioni soggettive di interesse legittimo non solo quelle che come tali originariamente nascono in capo al loro titolare sibbene anche quelle che pur qualificandosi genericamente ed in astratto di diritto soggettivo siano, in presenza di una norma che ciò consenta e di un procedimento ovvero di un provvedimento in tal senso indirizzato, successivamente apprezzabili in concreto come di interesse legittimo. Certo è necessario che procedimento e provvedimento siano svolti e decisi da un’autorità a ciò competente, senza che concorrano violazioni di legge, senza che intervengano sviamenti e note carenze. Questi, tuttavia, sono puntualmente i vizi rimessi allo scrutinio della giurisdizione amministrativa, individuabile anche in base al fondamentale criterio, appresso approfondito, della riconducibilità della lesione sofferta all’esercizio del potere autoritativo in astratto conferito all’autorità. Il criterio innovativo come innovativa è stata la citata legislazione, è per altro frutto anche del consapevole contributo di tutte le riflessioni che, in più di un secolo di elevato e fertile impegno, dottrina e giurisprudenza hanno arrecato: dalla distinzione delle norme di azione dalle norme di relazione, dalle dottrine del diritto condizionato ed affievolito fino alla stessa rilevata notazione dei c.d. diritti a “nucleo rigido “ non v’è nulla di totalmente superato ovvero di superabile con improvvisazione e in ogni

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riflessione si riscontra un elemento di validità che è di ausilio per sciogliere nodi che legislazione e pronunce costituzionali tendono oggi a rendere meno aggrovigliati nel contestuale riconoscimento della unitarietà, quoad effectum, della giurisdizione, attribuita sì a giudici diversi, ma di uguale dignità, muniti di analoghi poteri ugualmente compiuti ai fini della completezza delle tutele di merito loro commesse, ugualmente intesi ad attuare i precetti degli artt. 24 e 111 Cost. (cfr. Cort. Cost., 12 marzo 2007, n. 77). Questi aspetti unitari, che valgono ad attenuare, almeno nella concretezza delle vicende giudiziarie, il rilievo di talune estreme questioni di giurisdizione, non consentono, tuttavia, di inferirne il corollario, come avanti si vedrà in tema di “pregiudiziale amministrativa”, della necessità, formale e sostanziale, della uguaglianza della tutela. V - Si sono posti, al secondo proposito, con riferimento, cioè, al nuovo assetto come sopra descritto, il problema della estensione della giurisdizione esclusiva, sia con riferimento a materie ritenute di solo diritto soggettivo sia con riferimento a precisazioni del legislatore ordinario dell’ambito di cognizione concreta del giudice amministrativo ed il problema, inoltre, della connessione tra la domanda di annullamento e la domanda risarcitoria. Su questi ed altri problemi, approfonditi in dottrina, è ripetutamente intervenuta, con puntuali pronunce, la Corte Costituzionale che, con le sentenze innanzi citate ha precisato: a) i confini della giurisdizione esclusiva relativa alla materia dei pubblici servizi e della giurisdizione esclusiva relativa alla materia urbanistica ed edilizia e delle espropriazioni; b) la natura del potere del giudice amministrativo di provvedere sulle domande risarcitorie e sugli altri diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di annullamento. Così in materia di pubblici servizi, dalla quale sono state espunte controversie ritenute di diritto soggettivo e, perciò, di pertinenza della giurisdizione ordinaria, come in materia di urbanistica ed edilizia nonché delle espropriazioni, la Corte Costituzionale, confermata la nodale relazione tra l’esercizio di poteri pubblici autoritativi e la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ha segnato il limite di quest’ultima. Ha cioè dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 33 co. 1 D.Lg.vo 31 marzo 1990, n. 80, come sostituito dall’art. 7 lett. b. della L. 21 luglio 2000, n. 205, dell’art. 34 co. 1 del medesimo decreto, nonché dell’art. 53, co.1, del D.Lg.vo 8 giugno 2001, n. 325 ( v. D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 53 ) nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva le controversie relative a “ i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediamente, all’esercizio di un pubblico potere “ (così Cort. cost. 11 maggio 2006, n. 191 con riferimento alla giurisdizione esclusiva in tema di espropriazione per pubblica utilità e, in precedenza, Cort. cost. 6 luglio 2004, n. 204). Puntualizzato, da una parte, che l’aggettivo “ mediatamente “ si riferisce, come sopra ricordato, ai casi in cui l’esercizio del potere si realizza nelle consentite forme negoziali, e , d’altra parte, che sussiste, nelle motivazioni delle due sentenze, ancora riprese da quelle successive, un espresso legame sì che esse, integrandosi costituiscono un unico, coerente disegno nei limiti del quale la Corte ammette la legittimità costituzionale delle norme scrutinate, deve subito fissarsi un primo punto. I “comportamenti”, cioè, che esulano dalla giurisdizione amministrativa esclusiva non

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sono tutti i comportamenti, ma solo quelli che, tenuto conto dei riferimenti formali e fattuali di ogni concreta fattispecie, non risultano riconducibili all’esercizio di un pubblico potere. Altrimenti detto, quando può affermarsi che nella specie sia rilevabile un oggettivo, e non meramente intenzionale, svolgersi di un’attività amministrativa costituente esercizio di un potere astrattamente riconosciuto alla pubblica amministrazione o ai soggetti ad essa equiparati, sussiste ogni elemento sufficiente ad affermare la giurisdizione amministrativa. Caratterizzante, perciò, non è la legittimità dell’esercizio del potere, che, se fosse richiesta, finirebbe per privare di causa la tutela appunto prevista per i casi di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, né lo è il maggiore o minore spessore della illegittimità ovvero della situazione giuridica tutelata. Caratterizzante è , invece, la mera emersione di un agire causalmente riferibile ad una funzione che per legge appartenga all’amministrazione agente e che per legge questa sia autorizzata a svolgere e che, in concreto, risulti svolta. Se così è, l’in sé dell’esercizio del potere deve rilevarsi, prioritariamente, in materia comportamentale, non tanto dalle intenzioni e dalla generiche dichiarazioni del soggetto pubblico agente quanto dalle oggettive vicende procedimentali che, mentre nella grande maggioranza dei casi precedono ed accompagnano il fenomeno comportamentale, testimoniano esse, oggettivamente, della rilevanza e della finalità e della consistenza del comportamento consentendo di individuarne la genesi e di distinguerlo dai casi di semplice generica presupposta esistenza del pubblico interesse. La illegittimità di questo o quel momento procedimentale , cioè di quella serie formale strumentalmente rivolta a realizzare l’interesse pubblico e sintomatica dell’agire autoritativo consentito dalla legge , può sì far concludere per la illegittimità e, nei congrui casi, per la illiceità del comportamento con effetti anche analoghi o uguali a quelli propri della accertata carenza del potere, ma tale conclusione spetta al giudice cui, con garanzie ed effettività di certo non inferiori a quelle apprestate dal giudizio ordinario, compete alla stregua dell’ordinamento: al “giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica “. E a questo “giudice naturale “ compete, in diretta applicazione dei principi di effettività e di concentrazione della tutela nonché delle norme poste dal legislatore ordinario, di conoscere non solo delle domande intese all’annullamento dell’attività autoritativa e, comunque, impugnatorie ma “di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”; risarcimento che, nell’ambito della giurisdizione esclusiva, è “disposto” con procedure anche innovative (v. art. 7 e 8 L. n. 205 del 2000). In proposito la Corte Costituzionale, chiarita la irrilevanza della natura giuridica intrinseca alla pretesa risarcitoria, se di per sé di diritto soggettivo o meno, ha escluso la configurabilità della giurisdizione ordinaria “per ciò solo che la domanda abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno” ed ha dichiarato costituzionalmente legittimo il nuovo sistema di riparto che riconosce esclusivamente al giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela, e quindi anche il potere di risarcire, sia per equivalente sia in forma specifica, il danno sofferto per l’illegittimo esercizio della funzione.

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Ciò in quanto il potere di risarcire il danno ingiusto non costituisce una nuova materia attribuita alla cognizione del giudice amministrativo ma uno “strumento di tutela ulteriore “ rispetto a quello demolitorio, strumento che, in armonia con l’art. 24 Cost. ne completa i poteri “non soltanto per effetto della esigenza di concentrare davanti ad un unico giudice l’intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica, ma anche perché quel giudice è idoneo ad offrire piena tutela” oltre che agli interessi legittimi “ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa “ ( Cort. cost. 27 aprile 2007, n. 140). L’illegittimità dell’esercizio del potere, nel senso sopra precisato, comporta, dunque, sempre nel caso di lesione di interessi e, nell’ambito della giurisdizione esclusiva, anche nel caso di lesioni di diritti soggettivi, di qualsiasi spessore, la configurabilità della sola giurisdizione amministrativa così nel caso che la domanda risarcitoria venga proposta congiuntamente a quella demolitoria come nel caso che venga proposta autonomamente, derivandosi anche in tal caso la risarcibilità del danno dalla ipotizzata illegittimità dell’attività amministrativa. La Corte di Cassazione, pur convenendo su tali conclusioni generali (v. già Cass. 23 gennaio 2006, n. 1207), sottolinea ancora , non senza rimarchevoli oscillazioni, perplessità di non lieve momento. Adducendo ora la perdurante vigenza della L. 20 marzo 1865, all. E, artt. 2 e 4, e non solo dei suoi generali principi così come costituzionalmente recepiti, ora, con non felice espressione, una asserita difficoltà del giudice amministrativo a penetrare le regole civilistiche sul risarcimento del danno ingiusto, ora la individuabilità di diritti in assoluto riservati alla tutela ordinaria, la indicata Corte: 1) limita i casi in cui si è in presenza di “un concreto esercizio del potere“ ai casi in cui l’esercizio stesso sia riconoscibile come tale perché a sua volta deliberato nei modi e in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o provvedimento e non come mera via di fatto ( Sez. un. 13 giugno 2006, n. 13659) “in consonanza con le norme che lo regolano “ (Sez. un. 15 giugno 2006, n. 13911; Cass. 7 febbraio 2007, n. 2691); 2) costruisce una categoria di diritti incomprimibili in maniera assoluta e perciò sempre da comprendere nell’ambito della giurisdizione ordinaria; 3) asserisce che la giurisdizione amministrativa è rifiutata ove, in presenza di autonoma domanda risarcitoria, il giudice non provvede all’esame di merito per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l’annullamento dell’atto e la conseguente rimozione dei suoi effetti. In tali circostanze avverte la Corte, il rifiuto si espone a cassazione ex art. 362, co. 1, cod.proc.civ. (Sez.un. 13 giugno 2006, n. 13659 e n. 13660; 5 gennaio 2007, n. 13; 19 gennaio 2007, n. 1139). Si tratta, come ognuno vede, di perplessità gravi nella misura in cui sostanzialmente evocano, per via di una definizione resa fortemente restrittiva dal suo carattere analitico, la dicotomia sussistenza del potere – esercizio del potere nei termini, anch’essi ambigui , precedenti il nuovo assetto di riparto della giurisdizione; nella parte in cui confliggono con le univoche dichiarazioni della Corte Costituzionale 27 aprile 2007, n. 140 in tema di c.d. diritti incomprimibili e 12 marzo2007, n. 77 in tema di limiti, ex art. 362 e 386 cod.proc.civ., inerenti il controllo dei confini esterni della giurisdizione; nella parte in cui, varcando tali limiti, assoggetta a nuove forme di sindacato le sentenze del giudice amministrativo.

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Al primo proposito si rileva che, proprio con riferimento alla materia delle espropriazioni, la Corte di Cassazione, nel suo indirizzo più radicale (v. Sez. un. 7 febbraio 2007, n. 2688, 2689, 2691; 13 febbraio 2007, n. 3048; 19 febbraio 2007, n. 3723; 12 aprile 2007, n. 9323) che sembra attenuato da altro pur recentemente confermato indirizzo (Sez. un. 20 dicembre 2006, n. 27190 e 27192), configura la giurisdizione ordinaria non solo, com’è pacifico, nei casi in cui l’amministrazione agisce, fuori di ogni schema procedimentale, in via di fatto, ma anche nei casi in cui la dichiarazione di pubblica utilità risulti “radicalmente nulla “ per omessa indicazione dei termini per l’espropriazione o per scadenza degli stessi, ovvero per imprecisioni nella indicazione delle aree. In tali casi, ed inoltre nei casi di decreto di espropriazione emesso fuori termine, rilevandosi anche violazione dell’art. 42 Cost., si sarebbe, secondo la Corte, in presenza di vizi di spessore maggiore di quelli che, in altri casi, inducendo il giudice amministrativo all’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità o del decreto di espropriazione, legittimerebbero, sia pure per sole esigenze di concentrazione, la giurisdizione amministrativa (v. Sez. un. 2 luglio 2007, n. 14594). Ora la perplessità che tale indirizzo suscita non attiene soltanto alla identificazione di una categoria di speciali vizi che non sembra trovare conforto positivo e che anzi contrasta con le disposizioni analiticamente introdotte con l’art. 14 della L. 11 febbraio 2005, n. 15, ma nella sostituzione del criterio della riferibilità dell’esercizio del potere all’agire autoritativo, riferibilità che come sopra si è visto chiama in causa l’intero procedimento, con il criterio del sindacato concreto della legittimità del provvedimento della cui applicazione si tratta, che non si vede come possa tal volta competere al giudice ordinario e tal altra al giudice amministrativo. In materia di espropriazione, poi, si prescinde del tutto – non solo dal nuovo regime della nullità introdotto, ad integrazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, dall’art. 14 della L. 11 febbraio 2005, n. 15 – ma anche dall’entrata in vigore, il 30 giugno 2003, del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, il cui art. 43 sembra, come si preciserà più avanti, avere apportato sul punto definitivi chiarimenti. Dei diritti c.d. incomprimibili s’è detto. VII - Quanto, infine, al problema della c.d. pregiudizialità amministrativa, istituto risalente nel tempo ed utilizzato di recente in tema di appalti (v. art. 13 L. 19 febbraio 1992, n. 142 e, per qualche profilo generale, Corte cost. 8 maggio 1998, n. 165), esso è estremamente complesso (v.Ad. plen. 26 marzo 2003, n. 4) e qui non pertinente se non per la sua connessione, già richiamata dalla Corte di Cassazione, con la questione della giurisdizione. Basti, perciò, enunciarne taluni profili problematici, relativi: - il primo, alla struttura stessa della tutela del giudice amministrativo che, come si è visto è, specialmente articolata sia in sede di giurisdizione di legittimità sia in sede di giurisdizione esclusiva, nel senso che il provvedimento amministrativo lesivo di un interesse sostanziale (e non, perciò, il mero comportamento) può essere aggredito e in via impugnatoria, per la sua demolizione, e “conseguenzialmente” in via risarcitoria, per i suoi effetti lesivi, ponendosi, nell’ uno e nell’altro caso, la questione della sua legittimità. Il carattere “conseguenziale” ed “ulteriore” della tutela risarcitoria, espressamente ed inequivocamente posto, in armonia con gli artt. 103 e 113 co. 3 Cost., dall’art. 35. co. 1 e

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4 del D.Lg.vo 31 marzo 1988, n. 80 e confermato dal successivo co. 5 che comunque abroga “ogni disposizione che prevede la devoluzione al giudice ordinario della controversie sul risarcimento del danno” ancora una volta visto come “conseguente all’annullamento di atti amministrativi”, sembra invero incontestabile. Ed è confermato dalla ritenuta riferibilità della pronuncia di condanna all’insieme dei poteri strumentali attribuiti al giudice per rimediare compiutamente alla lesione della situazione soggettiva concettualmente, prima ancora che positivamente, unica e ciò sia che l’esercizio dei poteri del giudice sia chiesto contestualmente sia che, giudizialmente accertatasi la illegittimità, sia richiesto, per vero con condivisa interpretazione estensiva non del tutto allineata, tuttavia, con le convenienze della “contestualità”, l’esercizio di ulteriori poteri prima non sollecitati. Non c’è traccia, nella pronunce della Corte Costituzionale di alcun sospetto di illegittimità costituzionale di siffatto disegno ed, anzi, sembra agevole inferirne il contrario. L’istituto, per altro, autorevolmente confermato da motivate pronunce della stessa Corte di Cassazione (v. 10 gennaio 2003, n. 157; 27 marzo 2003, n. 4538; 23 gennaio 2006, n. 1207), ha, oltre a radici storiche e letterali di univoco rilievo, ragioni del pari univoche. Deve considerarsi, in proposito, che diritto ed interesse, benché molto spesso partecipi di una assimilabile pretesa ad un c.d. bene della vita, sono situazioni soggettive fortemente differenziate e tali ritenute già a livello costituzionale. Il primo, per dirla nei noti, riassuntivi termini, è assistito da una tutela tendenzialmente piena e diretta e, nei suoi confronti, è sempre circoscritta la eventualità di condizionamenti esterni, anche se imputabili ad una amministrazione pubblica e, perciò, ad interessi generali. Il secondo origina da un compromesso, chiaramente solidaristico, tra le esigenze collettive di cui è portatrice, ex art. 97 e 98 Cost.., la amministrazione stessa e la pretesa, di colui che dalla loro legittima soddisfazione è coinvolto, di veder preservati quei suoi beni giuridici che preesistono all’attività pubblica ovvero che nel corso di questa si profilino. Ne deriva un coinvolgimento costante dell’interesse del singolo nell’interesse della collettività che si esprime nell’attività, non libera, ma doverosa e funzionalizzata dell’amministrazione e questo legame genetico spiega non solo la previsione di una giurisdizione a ciò specificamente deputata ma, insieme, le differenze, che rimangono marcate, che possono individuarsi e in tema di discipline processuali e in tema di connotati della tutela. I commendevoli contributi acquisiti, in sede dottrinale e giurisprudenziale, in tema “giudizio sul rapporto“, non sembrano condivisibili ove approdino al disconoscimento della natura principalmente impugnatoria dell’azione innanzi al giudice amministrativo, cui spetta non solo di tutelare l’interesse privato ma di considerare e valutare gli interessi collettivi che con esso si confrontano e, non solo di annullare, bensì di “conformare” l’azione amministrativa affinché si realizzi un soddisfacente e legittimo equilibrio tra l’uno e gli altri interessi. Queste essenziali circostanze, mentre si riflettono sui diversi caratteri del giudizio

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amministrativo rispetto a quello civile, nel quale si contrappongono pretese ascrivibili ad analoghe fonti e di regola sottratte ad interferenze esterne da parte dell’autorità pubblica, sembrano spiegare e giustificare e la priorità dell’azione impugnatoria, nel cui ambito soltanto è possibile e doveroso esercitare compiutamente l’anzidetto vaglio di legittimità nonché misurare spessore e valenza così della dedotta situazione soggettiva come della denunciata lesione, e la posta “conseguenzialità “ rispetto ad essa, dell’azione risarcitoria. Non si trascuri che il risarcimento del danno, oltre che “conseguenziale” è previsto, nell’ambito della processualmente qualificante giurisdizione di legittimità, anche come “eventuale” con un attributo, cioè, che mentre è di regola oggetto di ingiustificata pretermissione, riassume e sottopone alla consapevolezza del giudice i travagli che le relative norme hanno inteso risolvere e che, in dottrina, hanno persino indotto a configurare come “speciale” la figura in discorso. Si ricorderà che la stessa Corte costituzionale aveva avuto modo, nel sottolineare l’urgenza di “prudenti” soluzioni normative, di ipotizzare “scelte tra misure risarcitorie, indennitarie, reintegrative in forma specifica e ripristinatorie” nonché la “delimitazione delle utilità economiche suscettibili di ristoro patrimoniale nei confronti della pubblica amministrazione” (v.ord.8 maggio 1998, n, 165 e sent. 25 marzo 1980, n. 35) nella considerazione della inesistenza della copertura di rilievo costituzionale della pretesa “regola generale di integralità della riparazione ed equivalenza al danno cagionato” (Cort. Cost. 2 novembre 1996, n. 369), con evidenti rilessi anche di natura processuale. E’ su queste premesse che, rimasta inattuata la articolata delega di cui all’art. 20 co. 5, lett. h, della legge 15 marzo 1997, n. 59, il legislatore è, infine, pervenuto a stabilire, con formula che privilegia le ritenute esigenze di concentrazione dei giudizi, il criterio della conseguenzialità - evidentemente inteso a confermare la priorità del processo impugnatorio e in vista della prevalenza dell’interesse collettivo al pronto e risolutivo sindacato dell’agire pubblico e in vista della convenienza, per la collettività, dell’esercizio del sindacato stesso secondo criteri e modalità che, essendo positivamente propri del giudizio di annullamento, da esso non consentono di prescindere - ed il criterio della “eventualità “ del risarcimento del danno arrecato all’interesse legittimo, criterio rafforzato dalla diversa prescrizione in tema di giurisdizione esclusiva e che, perciò, non solo esclude automatismi ma impone i predetti apprezzamenti specifici, possibili soltanto allorché sia in causa, siccome suo oggetto principale e diretto, il provvedimento, con le sue ragioni ed i suoi effetti. E’ su queste premesse, perciò, che dev’essere apprezzato il vulnus che si ritiene connesso alla c.d. pregiudiziale amministrativa che, in effetti, da un lato corrisponde ad avvertite esigenze di controllo, convenientemente sollecitate dalle azioni impugnatorie, della legittimità e della trasparenza dell’azione autoritativa e, d’altra parte, consente il compiuto rilievo degli interessi collettivi e generali coinvolti, rilievo certamente monco e claudicante anche con riferimento alla giurisdizione esclusiva, pur sempre relativa anche ad interessi legittimi e a diritti “degradati”, nell’ambito di un processo di solo tipo risarcitorio, nel quale, per altro, gli interessi economici coinvolti appaiono non più rilevanti degli interessi spesso anche di libertà che si fanno valere, senza che la relativa decadenza sia motivo di censura, nel processo di annullamento. Lo stesso soggetto leso sembra avere convenienza, a fronte dei non gravissimi disagi correlati alla previsione di decadenza, agevolmente superabili con il doveroso uso della diligenza media e certamente più ridotti rispetto a quelli che la legislazione consente o

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impone in altre anche se diverse materie, a sperimentare preventivamente l’azione di annullamento, nella cui procedura e nella cui finalità strumentale, gli è consentito rilevare vizi ed approfondirne lo spessore con risultati ben utili ai fini dell’accertamento compiuto dell’an e del quantum della richiesta riparazione. Ragioni sostanziali, dunque, non meno che formali, sembrano assistere le conclusioni già raggiunte dall’Adunanza plenaria; - il secondo, alla c.d. presunzione di legittimità, che, mentre involge radicati poteri della pubblica amministrazione e positivi caratteri dei suoi provvedimenti, come la efficacia e la esecutorietà, emergenti da una legislazione costante nel tempo, si tramuta da relativa in assoluta allorché, nel termine di decadenza, - certamente eluso in ipotesi di vanificazione della pregiudiziale - siasi omessa impugnazione ovvero finchè, in presenza di discrezionale apprezzamento, non sia intervenuto annullamento d’ufficio (v. L. 11 febbraio 2005, n. 15 ); - il terzo, alla articolazione della tutela sopra ricordata che, in entrambi i suoi casi, concerne la stessa illegittimità del provvedimento strumentalmente invocata, “principaliter”, e ai fini del buon esito della domanda impugnatoria e ai fini del buon esito della domanda risarcitoria con la conseguenza che, costituisca il “danno ingiusto” fatto o, come sembra preferibile, fattispecie, esso non può essere configurato a fronte di una illegittimità del provvedimento che, per l’assolutezza della cennata presunzione, è, de jure, irreclamabile; - il quarto, alla incidenza della lamentata “decadenza” che attiene, a ben vedere, all’azione impugnatoria invece che all’azione risarcitoria, impedita, piuttosto che dalla decadenza, dalla non configurabilità, in presenza di un provvedimento inoppugnabile così come in presenza di un provvedimento inutilmente impugnato, di una sua condizione che la contraddizione legittimità-illeceità rende essenziale, la formale inesistenza, cioè, della ingiustizia del danno che è nucleo essenziale, anche se non sufficiente, della illiceità; - il quinto, alla concreta equivalenza del giudicato che, rilevando immediatamente la inesistenza della appena ricordata condizione, dichiari la improponibilità della domanda col giudicato che, pronunciandosi, come si pretende, nel merito dichiari infondata – e questa volta con pronuncia inequivocabilmente sottratta a verifica ex art. 362 cod.proc.civ. - la domanda per difetto della denunziata illegittimità; - il sesto, al reclamato potere regolatore della Corte di Cassazione ( Sez. un, 19 gennaio 2007, n. 1139; 4 gennaio 2007, n. 13 ) che, secondo il correlato avvertimento della Corte Costituzionale (sent. 12 marzo 2007, n. 77) , “con la sua pronuncia può soltanto, a norma dell’art. 111, comma ottavo, Cost., vincolare il Consiglio di Stato e la Corte di Conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma certamente non può vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione “. Ad analogo principio, prosegue la Corte Costituzionale “si ispira l’art. 386 cod. proc. civ. applicabile anche ai ricorsi proposti a norma dell’ art. 362, comma primo cod. proc. civ., disponendo che “la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda”; - il settimo, ma non ultimo, relativo alla correlata verifica degli eventuali limiti dell’indirizzo della Corte di Cassazione secondo cui la inoppugnabilità dell’atto amministrativo, siccome relativa agli interessi legittimi, non impedirebbe in nessun caso al giudice ordinario di disapplicarlo (v. Cass. 9 maggio 2006, n. 10628 e Cass. 26 maggio 2006, n. 12646). VIII - Quanto si è fin qui considerato consente di confermare l’attualità degli indirizzi già assunti dall’Adunanza plenaria con riferimento alla questione da decidere, in merito alla

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quale la giurisdizione amministrativa è affermata anche dalle Sezioni unite (v., da ultimo, 2 luglio 2007, n. 14954). Già con pronuncia 30 agosto 2005, n. 4 l’Adunanza plenaria ha posto il principio secondo cui deve configurarsi la giurisdizione amministrativa in ordine a “liti che abbiano ad oggetto diritti soggettivi quando la lesione di questi ultimi tragga origine, sul piano eziologico, da fattori causali riconducibili all’esplicazione del pubblico potere, pur se in un momento nel quale quest’ultimo risulta ormai mutilato nella sua forma autoritativa per la sopraggiunta inefficacia disposta dalla legge per la mancata conclusione del procedimento” e ciò anche se il risarcimento è autonomamente richiesto, nei limiti temporali della prescrizione quinquennale (v. Ad. pl. 9 febbraio 2006, n. 2), di seguito all’intervenuto annullamento del provvedimento degradatorio, anche in via di autotutela. Nello stesso senso si è poi pronunciata Ad. plen. 16 novembre 2005, n. 9, che, anche richiamando analoghi orientamenti delle Sezioni Unite ( ord. 22 novembre 2004, n. 21944 e sent. 31 marzo 2005, n.6745), ha ritenuto compresa nella giurisdizione amministrativa quelle “condotte che si connotano quale attuazione di potestà amministrative manifestatesi attraverso provvedimenti autoritativi che hanno spiegato, secundum legem, i loro effetti pur se successivamente rimossi, in via retroattiva, da pronunce di annullamento”. Più di recente Ad. plen. 30 luglio 2007, n. 9 che, in fattispecie per più versi analoga, conclude che “nella materia dei procedimenti di esproprio sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si faccia questione - naturalmente anche ai fini complementari della tutela risarcitoria - di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti, anche se il procedimento all’interno del quale sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo atto traslativo ovvero sia caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati illegittimi”. Infine Ad. plen. 30 luglio 2007, n. 10, ha statuito che pur nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità spetta al giudice amministrativo conoscere, ai fini risarcitori, dei danni conseguiti ad un provvedimento amministrativo annullato per intervenuta scadenza del suo termine di efficacia (nella specie: requisizione) anche se i danni stessi si sono verificati dopo la stessa scadenza. Ne deriva, conclusivamente, che la domanda per cui è causa è stata correttamente compresa, dal giudice di primo grado, nella giurisdizione del giudice amministrativo in quanto intesa a rimediare, insieme in via impugnatoria e risarcitoria, ad una lesione che risulta conseguente ad una serie procedimentale certamente svolta, dalla Provincia di Modena, nella sua veste di Autorità nell’esercizio, sia pure illegittimo, del potere ad essa spettante. Assumono particolare rilievo, ai fini della riconducibilità della lesione all’esercizio del potere pubblico, i provvedimenti di variazione e di integrazione della pianificazione urbanistica, i reiterati provvedimenti di dichiarazione di pubblica utilità, i conseguenziali provvedimenti di occupazione e di determinazione e deposito delle indennità nonché lo stesso provvedimento di trasferimento della proprietà che, benché adottato dopo la scadenza del termine fissato dalla dichiarazione di pubblica utilità e perciò illegittimo e perciò annullato, da una parte non inficia la dispiegata efficacia degli atti posti in essere precedentemente – atti giunti a configurare la irreversibile destinazione del bene all’uso

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pubblico - e, d’altra parte, non vulnera la ritenuta riconducibilità procedimentale dell’attività amministrativa all’esercizio di un pubblico potere autoritativo. IX - Si deve, infine, sottolineare – e la circostanza sembra avere chiari riflessi nella intera materia delle espropriazioni per pubblica utilità - che, è intanto entrato in vigore, con decorrenza 30 giugno 2003, il T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, (v. in merito all’art. 57, Ad. plen. 29 aprile 2005, n. 2 e Sez.un. 30 maggio 2005, n. 11336 e 2 luglio 2007, n. 14954) che, nel suo art. 43 detta una innovativa disciplina in tema di fattispecie già inquadrate negli schemi, contrastati anche dalla Corte di Strasburgo, della c.d. accessione invertita, derivi essa da occupazione acquisitiva o usurpativa. In presenza di utilizzazione di un bene immobile per scopi di interesse pubblico - prescrive la norma - che sia modificato “in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo di pubblica utilità “ l’autorità cui risale l’utilizzazione “anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio” può disporre che l’immobile stesso “vada acquisito al suo patrimonio indisponibile” con provvedimento discrezionale che, verso determinazione e preventivo pagamento della misura del risarcimento del danno, comporta il trasferimento del diritto di proprietà. La norma, che rimette alla valutazione discrezionale dell’amministrazione di negare la restituzione del bene e che attribuisce al giudice amministrativo di sindacare, nell’ambito della giurisdizione attribuitagli ai sensi del successivo art.53, le ragioni del diniego - secondo alcuni con competenza non solo esclusiva ma estesa al merito - sembra rilevare, per quanto qui interessa, sotto due aspetti. Da una parte ed in generale essa conferma, infatti, quanto si è venuto esponendo in tema di positiva priorità del criterio di discriminazione fondato sulla “riconducibilità” dell’esercizio del potere all’autorità per altro estendendo la possibilità di accertarlo anche per via del solo accertamento della qualifica di “autorità” del soggetto agente e delle strumentalità del suo agire ai fini della realizzazione degli “scopi di interesse pubblico” la cui cura è ad essa commessa. D’altra e più specifica parte la norma importa, ed i suoi compiuti effetti debbono essere ovviamente verificati nel nuovo quadro definito dall’intero decreto, una profonda revisione degli istituti dell’accessione invertita così come introdotti e sviluppati dalla giurisprudenza. La fattispecie regolata resta per più di un verso analoga nei suoi tratti generali posto: - che non è sufficiente il mero impossessamento del bene immobile altrui ma è necessario che lo stesso immobile sia anche “modificato” ed “utilizzato per scopi di interesse pubblico”, che, cioè, si sia in presenza e di un’attività materiale e di una sua obiettiva strumentalità; - che permane l’esigenza della qualificazione del soggetto pubblico agente, che, dovendo configurarsi come “autorità” deve agire, alla stregua di una interpretazione costituzionalmente orientata, nel riconoscibile esercizio dei suoi poteri autoritativi. L’istituto è per altro innovato sia, come già rilevato, quanto ai modi di emersione di questo esercizio rispetto ai quali appare fortemente recessiva la rilevanza dei momenti procedurali della dichiarazione di pubblica utilità e del decreto di espropriazione e sintomatica, perciò,la sola astratta previsione del potere; sia quanto all’estensione dell’ambito della discrezionalità amministrativa; sia quanto al meccanismo del

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AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

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trasferimento della proprietà del bene immobile, del quale l’autorità può rifiutare la restituzione nel solo ambito delle cennate garanzie giuridiche ed economiche, la cui esigenza è stata specialmente sottolineata dalla Corte di Strasburgo; sia con riferimento alla tutela giudiziaria, interamente attribuita, ora, con la sola eccezione delle “vie di fatto” materiali, al giudice amministrativo, ben al di là, perciò, dei limiti precedentemente affermati. Si realizza per tale maniera, nella materia delle espropriazioni (eccezion fatta per le questioni indennitarie) quella estesa concentrazione della giurisdizione che è tra gli obiettivi prioritari della recente legislazione e che, coerente con la acquisita pienezza dei poteri del giudice amministrativo, consente ponderate riflessioni anche nelle altre materie che tuttora esprimono elementi di incertezza sul tema per più versi centrale degli esposti criteri di discriminazione. X - Ne deriva che, ritenuta e dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, l’appello deve essere respinto con assorbimento del ricorso incidentale. Le spese del grado di giudizio, tenuto conto della complessità delle questioni esaminate e del relativo esito, possono compensarsi. Deve ordinarsi la rimessione degli atti di causa al Tribunale regionale amministrativo per la Lombardia, sezione di Brescia, per la definizione del giudizio

P. Q. M.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ritenuta e dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, respinge l’appello con assorbimento del ricorso incidentale. Compensa le spese del giudizio di appello. Ordina la rimessione della causa al Tribunale regionale amministrativo per la Lombardia , sezione di Brescia, per la definizione del giudizio. Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, riunito in Adunanza plenaria nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2007 con l’intervento dei signori Magistrati: Mario Egidio Schinaia - Presidente del Consiglio di Stato Paolo Salvatore - Presidente di Sezione Giovanni Ruoppolo - Presidente di Sezione Est. Raffaele Carboni - Consigliere Costantino Salvatore - Consigliere Luigi Maruotti - Consigliere Carmine Volpe - Consigliere Chiarenza Millemaggi Cogliani - Consigliere Pier Luigi Lodi - Consigliere Giuseppe Romeo - Consigliere Luciano Barra Caracciolo - Consigliere Cesare Lamberti - Consigliere Aldo Fera - Consigliere Presidente Estensore Segretario DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 22/10/2007 . (Art. 55, L.27/4/1982, n.186) Il Dirigente

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