Azzarà Politica progetto piano

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    Stefano G. Azzar

    Politica, progetto, pianoLivio Sichirollo e Giancarlo De Carloa Urbino 1963/1990

    prefazione di Stefano Pivato

    afnit elettive

    Copyright 2009 by

    a nit elettive vicolo Stelluto, 3 - 60121 Ancona www.a nita-elettive.ite-mail: [email protected]. e Fax 071 2800514Cell. 333 7778153

    Tutti i diritti riservatiISBN 978-88-7326-......

    In copertina: .....

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    Prefazionedi Stefano Pivato

    Da tempo Urbino non era stata pi oggetto di uno studio cos attentoed appassionato. La riessione di Stefano G. Azzar il risultato di unaricerca ampia ed accurata, di una ricognizione precisa e concreta. Certamente non tutte le sue osservazioni appariranno al lettore condivisibili: i

    destino di ogni lavoro condotto sul lo della passione civile e che, soprattutto sulla Urbino di oggi, appare percorso da un pessimismo di fondo.Il tessuto urbano della citt ducale ha subito una radicale trasfor-

    mazione, leconomia, la vita sociale sono cambiate in modo sostanzialePerno la personalit storica dellurbinate mutata. Tutto ci, tuttavia, le etto, con luci e ombre, di un indubbio processo di modernizza-zione, che ha evitato alla citt di ricadere nella ricorrente tentazione diseparatezza e di isolamento, in un ripiegamento nostalgico, inconclu-dente e recriminatorio.

    Il saggio di Azzar approfondisce con spirito critico tutte le con-troverse vicende urbanistiche del territorio urbinate e assume comeasse della sua ricerca lo scarto tra la positiva concretezza dei due Pianregolatori generali della citt, elaborati da De Carlo, e le di colt e leincertezze della loro attuazione. Occorre per precisare che non sem-pre la realizzazione parziale dei progetti previsti dipende da una scarsconsapevolezza e da un facile pragmatismo del personale politico-amministrativo. Il percorso accidentato del primo strumento urbanisticoproposto da De Carlo lo sta a dimostrare.

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    Il primo PRG (1958\1964) apre una stagione politico-culturalestraordinaria per la citt. Il Piano si inserisce, come un contributo im-portante, nell ampio dibattito che si apre in Italia sul futuro dei centristorici (per la prima volta la cultura urbanistica del paese si pone ilproblema di conservarli e di farli continuare a vivere). Nello stessotempo grazie al progetto di De Carlo pu prendere forma una cam-pagna nazionale, che vede la partecipazione dei maggiori intellettualiitaliani, per la difesa e la salvezza di Urbino, la cui cinta muraria era pericolante e crollata in alcuni punti. Risultato concreto di tale allarmesar la presentazione e approvazione di una Legge speciale per Urbino(maggio 1965-70) che prevedeva provvedimenti per la tutela del carat-tere artistico e storico della citt e per le opere di risanamento igienicoe di interesse turistico (stessa legge per Venezia, Siena ed Assisi). Questa vasta iniziativa, unitamente alla campagna per la Valle dei Templi di Agrigento, porter alla cosiddetta Legge-Ponte del 1967, che imponeva la delimitazione dei centri storici, lobbligo per i comuni di dotarsi del

    PRG e dei piani particolareggiati per i centri storici.Ci sembra che Azzar condivida pienamente il progetto del pri-mo Piano. Per la verit occorre dire che esso esprimeva la comunevisione che i cittadini avevano della loro citt. In un primo tempo fusostenuto da un consenso unanime. Le prese di posizione favorevolidi Carlo Bo, di numerosi docenti, di importanti letterati inuironopositivamente sullaccoglienza delle soluzioni urbanistiche. Poi, via via, le critiche divennero sempre pi insistenti e puntuali. Lo stessoarchitetto, inne, con una gesto di denitiva rottura, pose terminealla collaborazione con lAmministrazione comunale. Si pu dire, ora,che forse dal PRG ci si attendeva molto di pi di quello che realisti-camente poteva dare. Lattivismo di De Carlo, linteresse nazionalesuscitato, il coinvolgimento emotivo della popolazione (assembleecon centinaia di cittadini) avevano aperto la comunit ad una attesa di ripresa economica, di rinascimento sociale e civile. Venuto meno ilgenuino entusiasmo iniziale ci si accorse che molte scelte operate da De Carlo erano frutto di analisi non adeguate, che non avevano coltole dinamiche profonde delle trasformazioni che stavano avvenendo

    nella realt urbinate. Col senno di poi si pu a ermare che si trattava di errori di valutazione: il giudizio liquidatorio sulleconomia agricola; la sottovalutazione della vitalit delle frazioni e dei borghi rurali; lsducia nella capacit espansiva dei distretti industriali. Non ultimola insistita limitazione degli insediamenti residenziali.

    Il Piano puntava tutto sullo sviluppo dellUniversit, del turismoe dellattivit culturale. Ci si avvide ben presto che la gestione del Piano riapriva vecchi conitti tra ceti urbani e ceti rurali e faceva saltarei precari equilibri politici e sociali faticosamente costruiti nel dopo-guerra. Come ricorda la stampa locale, in una a ollatissima conferen-za dellon. Luigi Berlinguer il progetto di De Carlo venne sottopostoad una critica radicale e senza appello. Non certo una forzatura ricordare che emerse, sin da allora, il dubbio che la debolezza dellosviluppo complessivo futuro della citt e del suo territorio sarebberodipesi non tanto dallincerta e contraddittoria attuazione del Piano,quanto dalla sua realizzazione. Anni dopo scriveva , con accento auto-

    critico, lo stesso Livio Sichirollo, cui si deve in gran parte la losoispiratrice del Piano: Loperazione piano non fu facile. Mi domandooggi (ma alcuni, lo riconosco, se lo chiedevano gi alla ne degli annCinquanta) se quelle scelte furono giuste.

    Il rapporto del Comune con De Carlo si ristabil alla ne deglianni Ottanta, quando come doveroso riconoscimento della sua signi-cativa attivit di architetto gli fu conferita la cittadinanza onoraria.Negli stessi anni gli fu a dato lincarico di redigere il nuovo PRGdella citt (1989-1994). Azzar coglie bene le di erenze tra gli anneroici ed entusiasmanti del primo piano e quelli del secondo. DeCarlo, ora, ha un tono minore, riservato, prudente, non chiede piil confronto, il colloquio diretto e franco con le a ollate e rumoroseassemblee cittadine. Lo scarto tra il suo iniziale progetto (1958-64) ela realt su cui ora deve intervenire genera in lui un senso di fatalite di rassegnazione. In questa fase sembra che De Carlo con il nuovostrumento urbanistico sia pi disponibile a prestare attenzione allerichieste di maggiore concretezza, alle domande tese a denire un pipragmatico rapporto fra lo sviluppo edilizio e le istanze di tutela del

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    patrimonio storico ed ambientale. In sostanza, lidea base da cui nasceil progetto PRG quella di contenere la crescita, avviata negli anni60, della citt a ridosso del centro storico con aree vincolate a verdee con un Parco tecnologico e scientico connesso con i parchi territo-riali. In questa prospettiva di revisione di precedenti convinzioni sonoindividuate con pi larghezza le aree di insediamento residenziale,con maggiore precisione e determinazione le zone di espansione della piccola e media industria. Viene riconsiderata la potenzialit dellagri-coltura attraverso la valorizzazione dei nuclei rurali e la creazione deiParchi territoriali.

    Un punto centrale del piano riguarda lo stato dellUniversit e ilsuo ruolo allinterno del centro urbano. una riessione complessa e a volte contraddittoria che mira ad un e ettivo ridimensionamen-to dellAteneo per puntare su di un suo sviluppo qualitativo. Allora leperplessit, lo scetticismo nei confronti di questa ipotesi furono moltopronunciate. Ai pi risult priva di coerenza, e velleitaria rispetto alla

    situazione di fatto. Oggi ogni discorso pi complicato e di cile, esicuramente, con urgenza, andr ripreso ed approfondito in altra sede.

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    1. Lidea di pianicazione e la sua crisi

    Progetti vecchi e nuovi

    Primavera del 2007: la Giunta comunale di Urbino annuncia con enfasialla stampa e alla cittadinanza che sono ormai pronti i progetti esecutivi peuna serie di importanti opere pubbliche. Si tratta del parcheggio di Porta

    Santa Lucia modicatosi per ragioni di sostenibilit nanziaria nelle ripetute revisioni del progetto sino a diventare un piccolo centro commerciale di due altri insediamenti ibridi, in parte commerciali e in parte di servizi, drealizzare nellarea del Consorzio e presso lex Fornace Volponi (entrambi i sono collocati poco al di sotto delle mura storiche). Sono interventi che, prevedibilmente, modicheranno in profondit una parte della citt e delle suedinamiche di funzionamento socioeconomiche, con lobiettivo dichiarato drivitalizzare uneconomia cittadina complessivamente stagnante e di o rirnuovi servizi ai cittadini. Due opere di importanza strategica, dunque, che laGiunta presenta come lavvio di un ambizioso rilancio complessivo della citma le cui conseguenze pratiche sono in realt di cilmente prevedibili.

    Che impatto avr sul gi asttico commercio che si svolge entro lemura, ad esempio, la costruzione alle porte della citt di un complessodi negozi per una supercie pari a circa la met di quella attualmentedestinata al commercio, con laggiunta di circa 4.000 metri quadrati1?

    1 Cipollini, 2007.

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    compatibile questo insediamento con lidea di organizzare e valorizzare uncentro commerciale naturale qualitativamente orientato? Perch progetta-re un parcheggio per risolvere i problemi di tra co attorno alle mura perpoi trasformarlo in un centro commerciale che inevitabilmente generer tra co aggiuntivo? Finanziare gran parte degli ingenti costi di questope-ra (circa 22 milioni di euro sar il costo complessivo) con i proventi deiparcheggi a pagamento, inoltre, non signica dover incentivare i ussi ditra co e sperare che a Urbino arrivino ancora pi macchine, rinunciandoper sempre a pensare un modello di mobilit diverso e meno invasivo?Che dire poi della dismissione a privati di unarea pubblica collocata inuna posizione strategica di grande valore come quella del Consorzio per la realizzazione di esercizi anche commerciali? Non era il caso di pensare inquella zona ad un intervento diverso che consentisse di ridisegnare le fun-zioni amministrative della citt, decentrando ad esempio una serie di u cipubblici e liberando parte del centro storico per altre funzioni? E come siinserir, inne, il progetto di ristrutturazione in chiave commerciale del-

    lex Fornace Volponi, con annesso parcheggio scoperto, in un paesaggiotra i pi delicati e fragili del nostro Paese?Sono solo alcuni e forse nemmeno i pi inquietanti dei mol-

    ti interrogativi che potrebbero essere sollevati a proposito di questi e dialtri progetti in corso dopera a Urbino. Di questi interrogativi non cper traccia n sui giornali locali, n, soprattutto, nelle discussioni chein Giunta e in Consiglio Comunale hanno accompagnato il tormenta-to iter burocratico di questi onerosi programmi edilizi. In realt, nessunvero dibattito pubblico ha coinvolto la cittadinanza, che assiste indolenteagli eventi, ormai completamente disabituata ad essere coinvolta nellescelte di gestione del territorio. E nemmeno gli amministratori sembrano

    sorati da questi dubbi, che respingono invece con fastidio e irritazionenonostante nessuno studio di rilievo scientico garantisca ladeguatezza ele probabilit di successo di interventi cos massicci. Sono opere program-mate gi da molti decenni, viene detto, gi ripetutamente annunciate insin troppe campagne elettorali. Che i tempi siano cambiati e il modellodi sviluppo cementocentrico sia stato abbondantemente superato in mol-te citt storiche del Centro Italia comparabili con Urbino, questione

    che nemmeno si pone. Che lo scheletro della bretella, unopera inutilee costosissima presentata a suo tempo come la soluzione dei problemidi tra co della citt, sia ancora l ad ammonire gli amministratori, unfatto che viene ignorato. I progetti sono stati a ssi entro i termini di leggepresso lu cio tecnico poco prima dellarrivo del caldo di luglio e amennellautunno 2008, un anno dopo, si parte con i lavori.

    Facciamo adesso un piccolo salto indietro nel tempo. Negli anniSessanta del Novecento come per tutto il decennio successivo, la cittdi Urbino aveva saputo discutere in maniera intensa e appassionata dei problemi strutturali che ne stavano aggravando il declino e avevasaputo guardare in faccia le proprie in partenza tuttaltro che rosee prospettive di sviluppo. stata una riessione di grande respiroche ha segnato un momento particolarmente alto nella vita politica eamministrativa della citt, perch Urbino ha saputo interrogarsi nonsoltanto sulle piccole disfunzioni legate allordinaria amministrazionedelle cose ma sul ruolo che un luogo come questo con le peculiarit

    che derivano dalla storia di cui questa citt erede avrebbe potutosvolgere in unepoca di grandi trasformazioni e modernizzazioni, uti-lizzando linnovazione e il cambiamento per uscire denitivamentedalla propria crisi. Ed stata una riessione, inoltre, che non ha im-pegnato soltanto i suoi uomini politici e i suoi amministratori, comese si trattasse semplicemente di adempiere ad unordinaria proceduraburocratica, ma che ha saputo coinvolgere i suoi intellettuali, le as-sociazioni che ne costellavano il tessuto sociale e persino lintera cittadinanza in un dibattito collettivo e partecipato di grande spessorecivile. La politica, con ci, aveva saputo realizzare pienamente se stessa nella sua dimensione di visione strategica e aveva saputo incarnars

    in unazione progettuale di lungo periodo che aveva la prospettiva elaspirazione delluniversalit. Essa svolgeva cos unopera di reale drezione ed egemonia culturale, sollecitando una crescita generale dellconsapevolezza civile e politica di quella societ di cui si prendevacura e realizzando nella pratica quella cosa complicata e di di ciledenizione che ci ostiniamo a chiamare democrazia.

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    Politica o amministrazione?

    Come dimostrano non soltanto le opere citate allinizio ma la generalefrenesia edilizia che ha animato tutte le ultime amministrazioni urbinati,non si pu dire che nei decenni a noi pi vicini la vita politica cittadina abbia saputo mantenersi allaltezza di quel dibattito e di quella riessione.Bisogna ammettere, piuttosto, che per tutta una serie di ragioni che cerche-remo di ricostruire in parte interne ed in parte esterne alla citt, in partesoggettive ed in parte oggettive la tensione morale e civile di quella stagio-ne ormai lontana andata progressivamente deperendo e che gran parte diquella capacit di visione strategica stata perduta. Quale profonda perver-sione culturale, quale idea di spazio pubblico e di citt avrebbe consentito,altrimenti, anche solo di pensare ad un quartiere come la Piantata, collocato in tutta la sua oscenit di pastiche postmodernista non nella periferia semindustriale di una normale citt ma sulle colline a ridosso di Urbino?

    Non si tratta certamente di un fenomeno che riguardi soltanto la nostra citt. Come appare ormai evidente, la crisi della ragione politica novecentesca e delle istituzioni in cui questa aveva saputo oggettivarsi nelsecondo dopoguerra il problema generale e drammatico di unintera epoca. Ad Urbino come in tutto il Paese ma non troppo diversa la situazione persino in molte tra le regioni pi avanzate dellEuropa oc-cidentale, si potrebbe dire le dinamiche reali di sviluppo della societ contemporanea hanno fatto s che ogni sforzo di sintesi progettuale fossegradualmente rovesciato dalle esigenze dellamministrazione dellesistentee ci che un tempo veniva inteso e promosso come una politica civilmen-te responsabile mutasse volto.

    Amministrazione signica svolgimento tecnicamente asettico di pro-

    cedure standardizzate e neutrali, nella loro obiettivit, oppure dovrebbeessere qualcosa che ha a che fare con le capacit progettuali degli uomini?Progettualit sintesi, superamento in avanti delle contraddizioni nella dimensione di quelluniversale che tende al bene reso pubblico, al bene

    reso comune. la sintesi, cio, che interviene in quella gigantesca e complessa collisione tra gli interessi organizzati dei grandi gruppi che costituscono lintrico di ogni societ moderna, cercando di portare tra di essi unacomposizione che non sia rassegnato rispecchiamento dei rapporti di forzreali, mera adesione al dato di natura. Certo, a nch sia realmente tale,luniversale come insegnava Hegel non pu pretendere di annientareogni particolarit ma deve saperla assumere e realizzarsi proprio attraversciascuna di esse; deve sciogliersi cio dalla propria iniziale astrattezza e funiversaleconcreto. Ma quando in questo continuo scontro di interessiogni equilibrio viene alterato dal prevalere sistematico di quella parte chgi di per s dominante, inevitabile che ogni progettualit deperiscaQuando la legge del pi forte ad aver risoltoa priori le contraddizioninella dimensione del particolare e quando questa dimensione si impos-sessata anche delloggettivit di quelle istituzioni che le facevano da frenrendendole un proprio strumento di controllo e dominio sulle risorse ma-teriali e intellettuali di una comunit, nulla allora impedisce lo scatena-mento degli interessi parziali e degli egoismi sociali. Ogni progettualitnon pu che cedere di fronte alla strapotenza di quella spontaneit chevuole solo essere sciolta da ogni vincolo e non ammette altra legge se noquella della propria forza e capacit di a ermarsi da s.

    Per usare un linguaggio pi concretamente politico, si pu dire chenel corso del Novecento stata la spinta delle classi subalterne in ascesa, lloro strutturale solidariet con la costruzione di una democrazia realmen-te moderna e integrale, che infrangesse le rigide gerarchie di ceto dellvecchia Italia, ad aver avuto bisogno di programmazione, di politica intesa come sintesi e piano di portata universale. Quando, per diverse ragioniquesta spinta cessata e le classi dominanti si sono e cacemente ristrut-

    turate ria ermando la propria egemonia, queste hanno piegato la politicaa mero servizio dei loro interessi spontanei e dunque ad amministrazionin apparenza tecnocratica e neutrale di ci che va semplicemente da s.

    Esiste ancora quella cosa che siamo abituati a intendere come democra-zia moderna, oppure questa stata semplicemente una breve parentesi dellstoria degli uomini, un modello politico e sociale storicamente determinatoche ha occupato la scena pubblica dalla ne della Seconda guerra mondial2 Cfr. Harvey, 1993, p. 15 e sgg.

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    alla ne del XX secolo ma che era destinato, come ogni fenomeno storico, a tramontare? un interrogativo troppo grande per i limiti dellintervento chequi ci proponiamo ma anche di questo, a guardar bene, che ci stiamo oc-cupando. Non stiamo a rontando dunque una mera questione locale, chepossa risolversi chiamando sbrigativamente in causa la maggiore o minorequalit soggettiva delle diverse generazioni di politici ed amministratori che sisono susseguiti nella nostra citt. Urbino vive nel mondo moderno e risentedi conseguenza, anche nella sfera della politica, di quella tendenza di fondoche il tratto pi marcato della nostra epoca. Parlando di Urbino e delle li-nee direttrici che hanno segnato il prolo della sua vita pi recente, parliamoperci anche di tante altre citt, intendiamo sollevare una questione politica di portata generale. E per il problema di partenza rimane intatto perch con questa citt che oggi dobbiamo confrontarci e perch proprio per quella caduta di visione strategica per quella crisi e consunzione del quadro poli-tico e della stessa nozione di democrazia questa oggi una citt cheso re .

    Urbino e la sua universit: il pericolo della monocoltura

    Tutto in questa citt storia e cultura. Pur volendo sistematicamenteevitare ogni retorica e in particolar modo lautocompiacimento di quella retorica localistica e antiquaria che sempre stata propria delle tendenzepi conservatrici non possibile cominciare un ragionamento su Urbinosenza ribadire, una volta di pi, che vivere ed arrivare tra queste mura equesti palazzi signica vivere ed arrivare in un pezzo di storia e di storia del-larte italiana e mondiale. E tuttavia la consolazione nisce qua. Nonostantetutto il passato che grava su di noi, nonostante ogni mattone e ogni arco

    individui qui una pluralit diluoghi con una propria densit qualitativa,nonostante lincrostazione di mondi storici e vitali che occhieggia da ognivicolo, Urbino rischia oggi di diventare una realt articiale, uno spaziogeometrico senza attriti e senza qualit. Basta percorrerne le strade durantele festivit, ad esempio, quando luniversit chiusa e gli studenti hannoormai abbandonato il centro storico, per abbracciare il vuoto che la so oca e cogliere con un solo sguardo latmosfera spettrale che si sta impossessando

    di essa. Urbino sta diventando oggi unnon luogodeprivato di anima e diidentit e i suoi monumenti appaiono soltanto come le pietre mute di unoscenario in cui si svolge una nzione ciclica e rituale. questo il problemcruciale che minaccia oggi, se non lesistenza, il senso stesso della nostra ct, la sua ragion dessere. Ed un problema che, una volta di pi, rimanda quel nodo sempre irrisolto costituito dal rapporto tra la citt e il suo princi-pale centro produttivo di ricchezza e di idee , la sua secolare universit.

    Fin troppo numerose sono le citt universitarie in Italia. Soprattuttonegli ultimi ventanni, la riforma che ha avviato il processo di autonomizzazione degli atenei ha consentito una moltiplicazione molto spessoincontrollata, abnorme e ingiusticata delle sedi universitarie e dei distaccamenti. Ma gi prima della riforma il numero delle universit collocatein centri urbani di modeste dimensioni come Pisa o Venezia, Lucca oSiena , e dunque realt in qualche modo comparabili con la nostra, era notevole. Per il rilievo particolare che le universit hanno nella vita di queste piccole citt, anzi, si pu dire che la denizione di citt universitariaabbia un senso soltanto per loro. E per, mentre in tutte queste altre realt luniversit era ed rimasta soltantouna delle varie funzioni che la citt accoglie, una funzione che ingrana con le molteplici attivit che in essa ssvolgono, facendo insieme a queste sistema, ad Urbino la situazione si presenta molto diversamente. Tutto qui ruota attorno alluniversit. Lintera vita della citt gravita attorno alle istituzioni accademiche e la quasi totalitdel lavoro sociale complessivo che essa eroga coinvolta in qualche mode a diversi livelli nel funzionamento delluniversit. Di fatto Urbino la sua universit. Essa non pi minimamente pensabile senza questa e lasua vita ne risulta condizionata, nel bene come nel male, in ogni suo aspet-to. Se certamente, come stato detto in passato, era necessario che Urbi-

    no trovasse una sua vocazione specializzata a partire da un gruppo dfunzioni dominanti, dobbiamo constatare che il modo in cui ci statoattuato ha fatto s che si perdesse gradualmente proprio ci che si andavacercando e cio un equilibrio tra le normali funzioni di tutte le citt3.

    3 Benevolo, 1966, p. 231.

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    Non un problema nuovo, ovviamente. Sin dallimmediato dopo-guerra, questo stato il punto di snodo intorno al quale si delineatoil destino della citt e anche il dibattito urbinate degli anni Sessanta,come vedremo, ne fa il proprio centro vitale. E per esso si presenta oggi in una maniera diversa ed inquietante rispetto al passato perchluniversit divenuta, da risorsa che era, anche un possibile e attualefattore di crisi. Luniversit unorganizzazione sociale complessa e perquesto deve essere una parte essenziale del territorio urbanizzato cuiappartiene4, considerava Giancarlo De Carlo nel 1964. Pertanto, irapporti tra Universit e Citt debbono essere di stretta integrazionee non deve esistere segregazione degli studenti rispetto alla citt comenon deve esistere segregazione dei cittadini rispetto allUniversit. Alcontrario, la trasmissione di energia culturale deve riettersi sullener-gia urbana e viceversa, in modo che le due parti realmente appartenga-no a un tutto. A partire da un certo periodo, lo sviluppo esponenzialedelluniversit, in relazione ad un concomitante andamento demogra-co e produttivo della citt che ha avuto numeri molto diversi, ha perassunto un ritmo talmente spropositato da mettere a repentaglio ogniequilibrio. Urbino ha vissuto una crescita perversamente diseguale e inquesta perversione rischia oggi di naufragare e perdere se stessa.

    Lesplosione delluniversit di massa ha attratto un usso crescente distudenti che stato indirizzato verso una permanenza residenziale con-centrata prevalentemente nel centro storico. Liniziale convivenza deglistudenti con gli abitanti del centro fenomeno positivo, normale e carat-teristico di tutte le citt universitarie si gradualmente trasformata, conci, in qualcosa di molto diverso. Il processo di inurbamento della popo-lazione delle frazioni, che per via della crisi strutturale dellagricoltura si

    andava trasferendo dopo la guerra nei paesi limitro ma anche nel centrostorico, ripopolandolo parzialmente, si ad un tratto completamente in-terrotto. In concomitanza con il sorgere delle nuove zone di espansione,anche coloro che gi risiedevano nel centro e che da tempo integravano il

    loro reddito ospitando gli studenti nelle proprie stesse case hanno comin-ciato ad abbandonare la citt per trasferirsi fuori dalle mura, riservandole loro abitazioni alluso a ttuario. Per accumulazione, la citt si ad uncerto momento svuotata pressoch interamente dei propri abitanti perlasciare spazio agli studenti, il cui usso presto dilagato no ad inondarogni casa e ogni stanza, ogni sottoscala e ogni bugigattolo.

    La possibilit stessa di trovare un equilibrio e un qualche tipo di com-patibilit si a questo punto gravemente compromessa. La citt stata volontariamente lasciata in mano agli studenti e ha scelto di perdere se stessaChe cosa pu mai rimanere di una citt i cui abitanti si deportano da s,che svuotano le proprie case per riempirle di estranei e che con esse intrattengono un rapporto soltanto al momento di riscuotere la tto e imbian-care le pareti? Rimangono, appunto, le case e i palazzi; che a scorno di tuttla storia che ne trasuda e della loro nobilt artistica sono di per s cose inerti, cose che non bastano a rendere viva una citt. Ecco, nonostante tutta la vita che a volte sembra tracimare da essa, Urbino assomiglia sempre pi una citt morta perch questa vita si svolge quasi soltanto al livello di unciclo di consumo che si ripete eternamente identico a se stesso e che, unavolta esauritosi, non lascia alcuna traccia di s. il contenitore vuoto in cusi incrociano e si danno il posto innite vite intercambiabili che entrano edescono dalle medesime case, riempiono le aule universitarie, sciamano dun locale commerciale allaltro, ma che rimangono inevitabilmente estranee al luogo in cui transitano. Esse non possono n vogliono interagire conla citt e questo non soltanto perch prima o poi la lasceranno ma perch,al di l del suo fantasma di pietra, questa citt ormai non c pi.

    Urbino rischia oggi di essere non gi una citt e nemmeno come pre-tenziosamente si vorrebbe una citt-campus, bens un enorme albergo

    a tema con vista sul Palazzo ducale, una sorta di curiosa depndance della riviera collocata in un luogo simbolico del Rinascimento italiano. Un ra -nato hotel postmoderno dalle facciate in mattoncini che anno dopo annoaccoglie il susseguirsi indi erente di sempre nuove generazioni di ospititempo determinato. Questi usufruiscono dei servizi della ditta, studiano,dormono e consumano ma, soprattutto, liberano la camera dopo aver pa-gato il conto, per far posto a un numero indenito di altri uguali a loro.4 De Carlo, 1964, p. 165.

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    2. Urbino, la citt-campuse i suoi problemi di modernizzazione

    Una citt piena di contraddizioni

    Migliaia di giovani arrivano ogni anno ad Urbino, attratti dalluni-versit residenziale. Giovani che hanno unet compresa grossomodotra i 18 e i 28 anni e che arrivano prevalentemente dalle Marche e dalle

    regioni del Sud Italia. Giovani che spesso provengono da piccole realtdi paese e che sono, nella maggior parte dei casi, alla loro prima esperienza possibile di vita adulta e indipendente. Sostanzialmente fuori dalcontrollo genitoriale come di ogni altra forma di autorit, essi prendo-no in mano la propria vita, incontrano un mondo diverso dal proprioe imparano piano piano a gestirsi bene o male da s. Essi si mescolanoe interagiscono, si amano e fanno amicizia, studiano, confrontano leproprie esperienze e si arricchiscono reciprocamente. un laboratoriosociologico unico e senza pari, Urbino, nel quale sarebbe possibile studiare le tendenze e gli orientamenti della realt giovanile in un ambien-te pressoch puro. Ma un laboratorio appunto una realt articiale ed lesatto opposto di una citt, la quale, invece, vive e pulsa della crescitdi relazioni che sedimentano e diventano storia.

    Nel corso degli anni, questa situazione articiale ha condensato unnumero crescente di contraddizioni. Oggi esse sono divenute talmentelaceranti da essere giunte molto vicine al limite della rottura. Tra la popolazione studentesca e gli urbinati si creato un rapporto dai trattiperversi. Tra le due comunit non esiste praticamente comunicazione.

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    O meglio, non esiste comunicazione che non sia fondata quasi esclu-sivamente su un rapporto di servizio, utilit ed interesse. Gli urbinatiche hanno lasciato le case del centro per trasferirsi nella zona nuova,oppure in campagna, quando attraversano le mura sembrano muoversisperduti, come allingresso in una citt che non pi la loro e che nonriconoscono. Una citt ben presidiata da altri che, per il loro esser dipassaggio, saranno sempre e comunque percepiti come degli estranei.Degli alieni che si sono impossessati di una realt che un tempo aveva un legittimo proprietario e che quotidianamente la sporcano e la con-sumano, nelluso reiterato e poco accorto di chi non ha un legame diintimit e familiarit con le cose e con i luoghi. Nei confronti di questiinvasori, molti urbinati hanno maturato un sentimento di astio e disordo rancore, come di qualcuno che si sente ingiustamente espropriatodi una cosa che gli appartiene da generazioni. unavversione che la vicinanza e la frequentazione non attenuano ma che si presenta ancorpi inacidita negli atteggiamenti di quei pochi abitanti che nel centroancora risiedono e che devono quotidianamente fare i conti con le dif-colt di una convivenza coatta. Il rumore degli schiamazzi la sera, lestrade laterali imbrattate, il lastricato della piazza coperto di riutiImpossibile sostenere il confronto con un nemico spropositatamentepi numeroso e la cui energia vitale giovanile incontenibile.

    Ma sbagliano questi urbinati a credere di essere i soli a provare di-sagio. Se essi si sentono espropriati, bisogna allora chiarire che si sonoespropriati da s e che questo sacricio ben remunerato, perch garan-tisce a molti di loro una cospicua rendita ssa al riparo delle tasse e unenorme mercato dal quale drenare risorse. Gli studenti, infatti, si sento-no dal canto loro le vittime di un sistema organizzato di dissanguamen-

    to sistematico. Dal momento in cui mettono piede in citt, imparanoin fretta che le principali relazioni con questo luogo saranno di natura freddamente economica. Le tasse delluniversit, anzitutto, i cui sca-glioni riproducono la perversione del sistema scale italiano premiandogli evasori. I problemi dellalloggio, poi: bisogna trovare una stanza oalmeno un posto letto e fare i conti con un mercato degli a tti che so-prattutto sino ad alcuni anni fa aveva raggiunto prezzi vertiginosi e del

    tutto ingiusticati. Senza tener conto del fatto che, spesso, le condizioniigienico-sanitarie e di abitabilit degli immobili del centro storico sonofortemente carenti. Il costo della vita, inne, elevato anche per i generdi prima necessit come il pane mentre persino gli esercizi commercialdella stessa catena praticano entro le mura prezzi pi alti di quanto nonfacciano appena poco al di fuori.

    Isolamento, oligopolio ed economia in nero

    La particolare condizione di isolamento di Urbino, caratterizzata da strutturali di colt di collegamento che frenano la mobilit e i trasporti,peggiora ulteriormente la situazione. Gi nel lontano 1966, una relazionedellamministrazione comunale denunciava: Si pi volte ripetuto chei fattori che hanno determinato [l]arresto economico del territorio delComune di Urbino sono in massima parte da ricercarsi nei collegamentie nella viabilit5. Lo stesso isolamento che un tempo bloccava lo svilup-po, ai giorni nostri favorisce oggettivamente la formazione, nel settoredei servizi della pi varia natura, di veri e propri oligopoli privati se nonaddirittura di monopoli. Esiste ad Urbino un vasto, potente e ramicatosistema oligopolistico che grava sulla citt come una cappa di piombo. Icentro storico, ad esempio, presidiato in pratica da un solo negozio didistribuzione alimentare, oltretutto di dimensioni tuttaltro che grandi.Inevitabilmente, esso determina i prezzi delle merci secondo logiche chhanno un riscontro soltanto parziale nella legge della domanda e dellofferta. Gli altri negozi di generi alimentari presenti, infatti, sono ancorapi piccoli e non sono in grado di condurre una concorrenza generalizza

    ta e comparabile, potendo avvalersi di uno erta molto ristretta. Alcuni dessi si sono di conseguenza specializzati su uno erta qualitativamente superiore, puntando su un mercato diverso e su fasce di reddito pi elevateIl tradizionale mercato del sabato mattina, ovviamente, pu soltanto in

    5 Comune di Urbino, 1966, p. 250.

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    senso limitato costituire unalternativa. Non a rontiamo qui il problema dei servizi commerciali di altro tipo, quali ad esempio i negozi di abbi-gliamento. Essi non si occupano infatti di generi che in questo contestopossano denirsi di prima necessit, dato che per via dei prezzi elevati la maggioranza della popolazione studentesca preferisce rifornirsi pre-ventivamente nelle localit di provenienza.

    Parliamo invece del circuito di esercizi pubblici costituito da bar, pube ristoranti. Per una serie di dinamiche che illustreremo pi sotto, i servizidi ristoro e intrattenimento hanno assunto un ruolo centrale nel sistema cittadino e non si capisce Urbino e il tipo di vita che in questa citt oggi sisvolge senza tener conto di questo settore. Al riparo delle mura cittadine,che li salvaguardano da ogni rischio di ingresso di nuovi soggetti competi-tori, questi esercizi hanno realizzato una sorta di tacito accordo di cartellocon il quale si spartiscono il mercato evitando ogni accenno di concor-renza. Si tratta di un accordo oggettivo e non necessariamente esplicito,perch il numero dei locali ridotto rispetto allampiezza del mercato ealla domanda e ettiva e dunque ogni possibilit di concorrenza sul pianoeconomico in realt resa molto di cile gi a monte. In locali pubblicicome i bar e i ristoranti ci ha conseguenze ovvie: prezzi mediamente altie molto simili tra un locale e laltro; qualit del servizio e del prodottomediamente bassa, con scarsa innovazione dello erta. Particolarmentegrave la situazione dei pub, che servono il mercato pi ricco e cio quel-lo notturno. Nella situazione oligopolistica che abbiamo descritto, gli in-troiti sono assicurati in misura su ciente per tutti e non c dunque alcunincentivo al miglioramento del servizio e alla di erenziazione dello erta.Ci sono pochi casi isolati in cui una precisa scelta di gestione o condi-zionamenti esterni dovuti alla posizione e alle dimensioni dellesercizio

    hanno determinato una specializzazione su un segmento di mercato pidenito. Tutti gli altri locali hanno fatto una scelta generalista e o rono a tutti le stesse cose e agli stessi alti prezzi. Al di l del fattore strettamen-te economico, questa povert culturale degli operatori, questa mancan-za di reale spirito di iniziativa imprenditoriale a sconcertare.

    E poi la questione degli a tti. Tocchiamo con ci il problema fondamentale, a questo livello di analisi, della vita cittadina. Anche in

    questo caso, la limitatezza dello erta di fronte alle dimensioni note-voli della domanda, soprattutto negli anni precedenti, ha pregiudicatoa priori il gioco economico e ha inquinato il mercato. Trattandosi diinformazioni sensibili e di di cile reperibilit, non stato possibile almomento ottenere dagli u ci pubblici territoriali dati oggettivi circa la distribuzione della propriet immobiliare destinata ad uso a ttuario ela sua relativa concentrazione6. Si pu presumere, tuttavia, che esistanoalcune grandi realt proprietarie di un numero considerevole di unit abitative e che a queste si a anchi, per, una propriet individuale o fa-miliare piuttosto di usa, che opera con una, due o al massimo tre unit abitative. Ci fa della rendita a ttuaria una risorsa generalizzata alla quale larghe fasce della cittadinanza attingono, sebbene, ovviamente, lamaggioranza ne sia esclusa. Anche in assenza di un cartello vero e pro-prio, si determinato per un oligopolio di fatto che soprattutto negliultimi anni ha spinto i prezzi degli a tti vertiginosamente verso lalto.E un oligopolio, del resto, senzaltro tangibilmente presente nel casodelle agenzie immobiliari, alle quali in gran parte a data la gestioneparticolareggiata del mercato. Ci sono, ovviamente, di erenze dovutealle dimensioni, allubicazione e alle caratteristiche degli appartamente delle stanze ma comunque si pu dire che attualmente i prezzi si aggi-rino in media tra i 220 e i 380 euro al mese per una stanza singola e tra i 180 e i 240 per un posto letto in doppia 7.

    Ribadiamo che si tratta qui di un problema fondamentale. Ma ci vero non soltanto per gli studenti, che come abbiamo detto sostengonolonere di spese nel pi dei casi ingiusticate, specie di fronte alle condizioni di certe unit abitative. vero soprattutto per la citt, che sottoil peso degli a tti rischia di crollare. La rendita a ttuaria ha raggiunto

    un livello spropositato nel contesto delleconomia cittadina, un livello

    6 stato possibile, invece, e ettuare unanalisi delle tipologie catastali i cui risultatmostrano vistose anomalie e sono perci molto interessanti. Rinvio per questo pro-blema alla ricerca della dott.ssa Valentina Bernacchioni riportata in appendice.7 Mingarelli, 2008.

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    che divenuto patologico. Essa o re certamente grandi opportunit diguadagno a fronte di un impegno minimo. Entro limiti siologici, senzaltro una risorsa positiva. Ma quando questi limiti sono superati,essa rimane procua soltanto nel breve periodo e nellottica degli inte-ressi particolari. Sul lungo periodo e in una prospettiva generale degliinteressi della citt, invece, diventa inevitabilmente nefasta. In primoluogo, la rendita induce le famiglie residenti ad abbandonare le abita-zioni di propriet, privando la citt dei suoi abitanti e troncandone ognicontinuit di vita. La sua natura speculativa e sregolata, indotta dallecondizioni oligopolistiche, impedisce il ricambio con nuovi cittadiniperch nessuna famiglia normale pu sostenere il prezzo di un interoappartamento. Soprattutto, per, la rendita a ttuaria che prospe-ra ovviamente in una situazione di ampia e impunita illegalit scale disincentiva lo sviluppo di ogni altra attivit e nisce per rendere leenergie economiche cittadine statiche e parassitarie. Di conseguenza, lintera vita della citt che so re perch dove non c dinamismo nel-leconomia, non c universit che tenga: la stessa circolazione delle ideelangue e la vita culturale resa inerte, impoverendo le relazioni sociali.

    La rendita a ttuaria mette dunque a rischio la tenuta complessiva del sistema e quella minoranza di cittadini che ne gode tiene sotto scaccoquella maggioranza che ne ottiene soltanto svantaggi. Una volont poli-tica seria e responsabile, consapevole delle dinamiche di lungo periodo eintenzionata ad operare in una prospettiva universale, avrebbe perci ildovere di intervenire su di essa e di riportarla entro limiti compatibili.

    Trasformazioni nella composizione sociale studentesca

    C un altro aspetto che necessario mettere in luce e che , in par-te, una conseguenza dei fenomeni che abbiamo descritto. Si assistitonegli ultimi anni a ci che appare come una trasformazione tendenzia-le nella composizione sociale della popolazione studentesca. Anche inquesto caso, mancano ancora dati di riferimento oggettivi. Sembra perdi poter dire che le caratteristiche negative del sistema economico citta-

    dino abbiano nito per ripercuotersi sullutenza, condizionando in ma-niera molecolare e altrettanto negativamente i caratteri dei ussi deglistudenti attratti dalla citt. Certamente esiste un pi generale problema di trasformazione della societ italiana e, al suo interno, delle identit edelle culture giovanili. E per lalto costo della vita ha inevitabilmenteoperato a Urbino nella direzione di una selezione verso lalto delle caratteristiche sociali degli studenti. Tra tasse universitarie, a tti, trasporti egeneri di prima necessit, laurearsi a Urbino costa mediamente 25.581euro (circa 5.116 euro allanno per cinque anni)8. Certamente anche a Roma o Bologna il costo della vita caro. E per in questi casi le uni-versit presentano uno erta formativa pi ampia e qualicante mentreil pi esteso contesto cittadino o re una pluralit di alternative nella ricerca degli alloggi, nei consumi e nella fruizione dei servizi.

    Non tutte le famiglie, dunque, possono permettersi di mandarei propri gli ad Urbino ma soltanto quelle che possono a rontare unnotevole investimento. Non un caso che negli ultimi anni sia progres-sivamente calata la percentuale di studenti proveniente da fuori regioneChi sceglie di venire, evidentemente, pu permettersi di pagare gli a t-ti che lo erta impone e pu sostenere il costo della vita di questa cittCostoro non hanno problemi insormontabili ad a rontare queste spesee sebbeneobtorto collo niscono sistematicamente per accettarlesenza e ettuare quasi mai quella pressione contrattuale che potrebbeportare ad un ridimensionamento degli eccessi. Di conseguenza, il si-stema non viene mai messo in discussione. In presenza di una partequalicata della domanda che asseconda passivamente i prezzi delloligopolio, anche quella parte che sarebbe anche disposta a contestarli sitrova costretta a cedere. Il mercato, infatti, ancora abbastanza vasto

    di fronte allo erta da far s che siano sempre i prezzi a rimanere ssi a crescere, mentre la domanda recalcitrante pu essere facilmente so-stituita con una pi accondiscendente. La pressione individuale, chepure presente, ine cace e si manifesta soltanto nella forma sterile

    8 Mingarelli, 2008.

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    di un lamento generalizzato ma impotente. Ogni possibilit di pres-sione organizzata, invece, continuamente spezzata a monte dalla pre-senza di queste fratture di reddito e di opportunit. Progressivamente,dunque, la composizione sociale della domanda tende a spostarsi versolalto mentre gli studenti delle classi meno abbienti, soprattutto quellimeridionali, niscono per scegliere le universit pi vicine a casa. Basta constatare il ritmo e il livello di consumo ludico-voluttuario di moltistudenti, soprattutto nelle ore notturne, per capire come queste osser-vazioni, sebbene parziali, non siano lontane dal vero.

    Esiste dunque un preliminare e grave problema di discriminazionesociale e di selezione di classe, si potrebbe dire. E per le cose non nisco-no qua. Questa deformazione, infatti, incide negativamente sulla qualit della presenza studentesca e sulle forme di espressione ed interazione dicui essa capace. Lo studente che non ha eccessive di colt a pagare letasse universitarie e che circondato da studenti nelle sue stesse condizio-ni, di cilmente si batter per una loro modulazione per fasce di redditoreali, semplicemente perch non percepisce dove stia il problema. Egli,dunque, con molta probabilit non entrer mai in conitto con le istitu-zioni, spingendole a migliorarsi, n incontrer mai studenti che hanno lestesse esigenze per discutere e confrontarsi con loro e non intraprender un processo di maturazione nei confronti delle questioni pubbliche. Chinon ha grandi problemi a pagare certi a tti, analogamente, con di -colt si impegner in un conitto per la loro riduzione, con le necessit di organizzazione e coordinamento che ci comporta. Ecco allora chela selezione verso lalto, paradossalmente, non migliora la composizionesociale studentesca ma la dequalica. Essa attutisce ogni contraddizionee previene ogni forma di conitto organizzato ma in tal modo riduce an-

    che ogni possibilit di crescita. Alla ne, essa impoverisce paurosamenteanche la qualit dei processi di socializzazione e di espressione soggettiva.Le dinamiche di socializzazione niscono, infatti, per essere orientate pre-valentemente verso il consumo.

    questo quanto intendevamo parlando della centralit dei servizi diristoro e intrattenimento. Al di fuori dalle ore di lezione e di studio, cosa fanno, concretamente, gli studenti ad Urbino? Per gran parte di essi, non

    c dinamica di socializzazione che non passi attraverso il consumo. Socilizzare signica, il pi delle volte, transitare da un luogo del consumo adun altro ed esibire il consumo stesso no alleccesso. Nei grandi numeriogni altra forma di socializzazione ostacolata dalla mancanza di alternative da parte del sistema dei servizi ed ovviamente disincentivata per consolidarsi di meccanismi imitativi e di riconoscimento sociale. Nullapu essere pi lontano da noi di unintenzione moralistica: lo spettacolodel gioved sera urbinate, che attrae ormai i giovani persino dalla rivierromagnola, sarebbe segno di prorompente vitalit se si a ancasse ad altrmanifestazioni di energia e ad altri entusiasmi. Essendo per paurosa-mente ne a se stesso ed eternamente identico a se stesso, esso nisce perisolversi in un rituale di alienazione collettiva nel quale labuso alcolicole risse notturne sono solo gli ultimi e i meno gravi dei problemi. Possiamo allora integrare la nostra metafora. Oltre che ad un albergo, Urbinoassomiglia oggi sempre pi ad un Paese dei balocchi, un enorme villaggivacanze che rimane aperto per dieci mesi lanno. UnKindergartenovat-tato e sordo agli stimoli che sorgono dai problemi reali, un posto fuoridal mondo, nel quale prolungare dolcemente le lusinghe delladolescenznch il reddito familiare lo consente.

    Si capisce, dunque, che la citt nel suo insieme so ra. Lelevata capacit di consumo di molti studenti non un alibi per lasciare chetutto rimanga com, perch nellostatus quoi cittadini sono i primiad essere a disagio e a protestare. In ogni caso, no a che punto e perquanti anni ancora un simile sistema pu reggere senza scompensi inqueste condizioni? La cosa pi facile, per molti, far nta di nulla,continuare a macerarsi e covare rancore, n quando arriva il momen-to di esplodere e di reclamare ad alta voce la repressione a difesa del

    lordine e del silenzio, della pulizia e del decoro della citt. Sbagliatsul piano politico, questa inutile Vandea securitaria per del tuttoimprobabile e illusoria. Le disfunzioni di cui ci si lamenta sono il pro-dotto inevitabile del funzionamento della citt ed impossibile gode-re dei vantaggi che certe dinamiche consentono senza doverne pagarein qualche modo il prezzo in termini di vivibilit. N pi saggiopraticarla verso quelle minoranze di studenti che per stile di vita sono

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    pi visibili e meno interessanti, dato che cercano di sottrarsi allesosocircuito u ciale del consumo praticando forme alternative.

    La verit che a rontare questo problema cruciale estrema-mente di cile per la citt, perch ci la obbligherebbe non soltantoa cambiare, partendo dalle proprie basi economiche, ma ancor prima a guardarsi allo specchio e riettere sulle proprie linee di sviluppo, inuno sforzo di autocoscienza al quale da tempo essa non pi abituata.E per questo sforzo va fatto, perch per a rontare i problemi dobbia-mo anzitutto riconoscerli e comprenderne la genesi.

    3. Il piano degli anni Sessanta

    Siamo cos ricondotti al punto di partenza del nostro discorsosu Urbino. A quel grande dibattito pubblico al culmine del qualeuna volont politica capace di visione strategica ha saputo delineare ilprogetto di sviluppo di questa citt. Questo progetto stato il gran-de piano regolatore generale degli anni Sessanta, che con il sostegnopolitico del sindaco Egidio Mascioli9 e la spinta intellettuale di LivioSichirollo, losofo gi di grande fama e allepoca assessore allurbanstica, veniva elaborato dallarchitetto Giancarlo De Carlo e dai suoicollaboratori. Riettendo su quelle scelte, e su quelle che le hannosuccessivamente integrate, scopriremo ci che un tempo ha salvatoUrbino ma anche ci che oggi non basta pi a garantirle un futuro.

    Una citt sullorlo del baratro

    La genesi di quel fermento di idee che approder alla realizzazionedel piano il motore delle future vicende della nostra Citt10 da rintracciare nelluniversit. Al momento della presentazione del piano eragionando sul suo signicato e sui suoi obiettivi, Livio Sichirollo lecui riessioni ci faranno qui da guida illustra con grande chiarezza i

    9 V. Mascioli, 1992, Id., 1998, Id., 2003 e soprattutto Id., 1984, p. 45-51 e 53-66.10 Mascioli, 1963, p. 13.

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    ruolo propulsivo che luniversit ha svolto sin dallinizio di fronte ad una citt ancora priva di consapevolezza. La sua funzione decisiva nel far sche quel borgo abbandonato e addormentato che era in quegli anniUrbino si avviasse a diventare una realt politica, una citt 11. Unica tra le universit libere ad essere sopravvissuta in Italia, luniversit di Ur-bino costretta, per continuare ad esistere, ad una drammatica presa

    di coscienza e a fare i conti con una situazione oggettiva fortementecritica. Per assicurarsi un futuro secondo un progetto autonomo, nelcontesto di quegli anni luniversit non poteva che puntare sulla sua libert, ripensandola per radicalmente e facendone da bandiera della tradizione e anche dei privilegi di un certo clientelismo locale una reale forza attiva di modernizzazione. Furono messi in moto gli enticivici, provinciali, centrali, si provoc lintervento di istituti bancari,dunque, ma soprattutto si impose allAmministrazione comunaleuna ben determinata politica culturale e amministrativa. Luniversit Sichirollo lo riconosce sino in fondo era in quel momento la prin-cipale e forse unica forza viva della citt e seppe assumersi pienamentecon Carlo Bo una responsabilit di indirizzo culturale ma anche di di-rezione reale. Essa gioc cos un ruolo chiave, a ermando in maniera permanente la sua centralit nel contesto cittadino.

    Una realt nuova era in via di formazione, dunque, e per lazio-ne di rinnovamento delluniversit si collocava su un piano ancora pre-valentemente culturale e sarebbe rimasta in antitesi con le componentireali della situazione di fatto, non si sarebbe cio mai realizzata comeuna rinascita complessiva della citt che si ripercuotesse anche sul pianoeconomico e sociale, se non fosse stata portata allesterno, oggettivata,imposta alla Citt. Se non fosse stata cio universalizzata dalla volon-

    t politica dei partiti, in primo luogo del Partito comunista che reggeva insieme ai socialisti lamministrazione di Urbino. Che non fosse a attofacile immaginare un progetto di sviluppo realistico lo dimostrano ledi cilissime condizioni della citt in quegli anni:

    Su una supercie di 22.000 ha circa viveva nel 1959 una popolazione dioltre 21.000 abitanti, oggi scesa a circa 15.000. Le solite cause: depressione economica, ricerca di nuove fonti di lavoro allestero o nel nord italiano, abbandonodei fondi agricoli (ed emigrazione dei contadini verso le terre di pianura). Lapopolazione mostra decisi segni di invecchiamento: dal 1911 al 1961 il gruppooltre i sessantanni passato dal 1,87 % al 12,90 %. Lemigrazione sottrae ognanno circa 1.300 unit Nei centri pi attivi, e soprattutto nel capoluogo, sitrasferiscono gli elementi pi vecchi, meno attivi e intraprendenti. Ancora: lapopolazione attiva solo il 43 % nel territorio, 33 % nel capoluogo, 51 % nellefrazioni. Nel capoluogo esistono pi funzioni: 36 % industria e artigianato,19 % commercio e trasporti, 40 % amministrazione; fuori dal capoluogo loc-cupazione pi importante resta lagricoltura. Essa costituisce ancora la strutturbase del territorio, ma si trova in condizioni di autentica arretratezza sociale edeconomica: non specializzata, con prevalenza netta di colture a frumento in unasituazione morfologica collinare, o re un reddito familiare medio di pocosuperiore alle 50.000 lire annue per ettaro coltivato Non si pu parlare di verae propria industria, ma di attivit artigiano-familiari, riesso impallidito della situazione costiera: legno, mobili Si ristretta, invece, larea del commercio12.

    Una situazione molto precaria, dunque, che linchiesta prepara-toria del piano e ettuata dal progettista De Carlo non si vergognava di svelare senza edulcorazioni, con lucidit e realismo13. In questa in-dagine si confermava la secolare decadenza di una citt che in e ettiper Sichirollo, anche nei momenti pi luminosi della sua storia era stata caratterizzata da una costitutiva e inaggirabile separatezza.

    Persino la breve stagione federiciana, nel contesto del grande movi-mento del Rinascimento italiano, aveva costituito unestraneazione14,sebbene felice, e cio unalienazione totale, autoreferenziale e chiusase stessa, sintetizzata nellastrazione di un palazzo che emanava unimagine di morte e non divenne giammai una citt , essendo privo di ri-

    11 Sichirollo, 1961, pp. 12-3.

    12 Sichirollo, 1967-69, pp. 29-30.13 Cfr. De Carlo, 1966, p. 9 sgg.14 Sichirollo, 1961, pp. 8-10.

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    ferimenti solidi in una vera classe dirigente, in una borghesia ricca, con-sapevole e capace di determinare una situazione dinamica. Una par-ticolarit chiusa, perci, senza svolgimento dialettico, e quindi inadatta a rappresentare e tramandare, come invece avevano saputo fare altre citt italiane ed europee, unautentica forma di vita spirituale. Non parliamopoi dei periodi successivi, quando lincapacit di assumere sensostorico

    di questa realt sostanzialmente orientale declina in una vicenda grigia,amara, di decadenza economica e ideologica, dando vita ad una lunga involuzione storica15. Per lungo tempo, la citt in mano a poche fami-glie, asserragliate nel centro storico, dedite alle consuete professioni libera-li16. Questi ceti dominanti sono anche proprietari terrieri assolutamentedisinteressati, incuranti del patrimonio agricolo. La loro unica cura in-tellettuale la retorica della tradizione umanistica, formale, unestenuata rivendicazione dei valori puri della citt (ducale e borghese), che servesoltanto a poterne lamentare ed esaltare insieme lisolamento. Lisola-mento della citt, mai combattuto e anzi gelosamente serbato, infatti la condizione di questa retorica ideologica: la citt ha un solo valore, ilPalazzo Ducale, e il suo simbolo sono i torricini; la citt isolata, non possibile fare nulla, se non difendere quellunico valore.

    Quando, dopo la Liberazione, questo ceto parassitario verr nal-mente deposto, nemmeno la nuova Repubblica aiuter Urbino: perignoranza, incuria o calcolo politico siamo rimasti tagliati fuori anche daivari piani nazionali di bonica e di industrializzazione del dopoguerra17.Nulla perci sembrava poter arrestare una decadenza economica socialee politica18che era progressiva e continua, se persino il processo di mo-dernizzazione del Paese, con il ra orzamento delle grandi arterie viariee la formazione dei grandi sistemi produttivi industriali aveva nito per

    determinare nella nostra realt profonde cadute negative. Oltretutto,questa situazione di crisi si rietteva ormai in maniera tangibile nello sta-

    to di abbandono della citt, le cui stesse strutture architettoniche a par-tire dalle mura cadevano letteralmente a pezzi giorno dopo giorno19.

    O si cambia o si muore: la scelta strategica del piano

    Insomma, la sda per la nuova classe dirigente urbinate consisteva nel compito arduo di rompere una vita civica chiusa e senza comunicazione e di sfuggire con ci al fardello di uneconomia agricola altrettanchiusa20. Si trattava, per essa, di dare un senso alla propria responsabilitpolitica e dunque di scegliere tra il calcolo, la suggestione o linteresse quotidiani (politici o amministrativi) e una specie di pianicazioneIn un contesto sociologico di cile per quella forza politica (un contestonel quale non cerano operai n masse spontaneamente consapevoli e glstessi contadini, in maggioranza mezzadri, erano dominati dalla tendenza degli interessi particolari), il Partito comunista seppe sottrarsi alltentazioni del calcolo politico-elettorale che suggeriva di assecondarle spinte particolaristiche. Pur con molte carenze e nellassenza di strumenti legislativi adeguati, seppe sconggere una destra, la DemocraziCristiana, nienticata dalladerire alla situazione e seppe essere con cvera avanguardia politico-intellettuale. Sfuggendo alla lusinga per cui cche , va per questo conservato, seppe promuovere una coscienzaoggettiva , totale, universale e imporre una trasformazione o addirittura la distruzione del fatto stesso, dando alla citt un nuovo corso e realizzando lunico progetto che, nelle condizioni date, poteva assomigliare aduna politica di tipo socialista. Una scelta di portata strategica, in anti-cipo rispetto a molte dinamiche politiche nazionali, di cui il piano fu la

    concretizzazione. Esso traduce al livello della scienza le scelte politichculturali compiute da una Amministrazione comunale e d inizio a unanuova dialettica dagli esiti imprevedibili.

    15 De Carlo, 1966, p. 15.16 Sichirollo, 1967-69, pp. 40-1.17 Sichirollo, 1961, p. 12.18 De Carlo, 1966, p. 15.

    19 Cfr. AA.VV., 1964a e AA.VV., 1963-67.20 Sichirollo, 1961, pp. 11-8.

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    Lurgenza del momento comportava necessariamente lindividuazio-ne di un settore di sviluppo, una scelta radicale, decisiva, senza mezzi ter-mini: citt o campagna, agricoltura o scuola-artigianato. Nelle condizionidate, per, questa scelta era politicamente obbligata: era di fatto la scelta tra una politica e la demagogia. Il piano si proponeva di salvare la citt (con particolare attenzione alla crisi del centro storico) avviando un pro-

    cesso di modernizzazione che stimolasse le sue forze reali, attivasse nuovedinamiche economiche e risolvesse la sua secolare separatezza, mettendola nalmente in comunicazione con il mondo. In questo senso, era inevitabi-le sollecitare una trasformazione strutturale della citt e il superamento delsuo modello statico di sottosviluppo fondato sulleconomia contadina.

    Tra citt e campagna era operante una frattura netta: popolata inprevalenza da coloni, mezzadri e piccoli proprietari, la campagna nonsa nulla della citt21 e reciprocamente lamministrazione si era disinte-ressata di essa. Allo stato attuale, constatava con amarezza Sichirollo,non possibile contare sulla rinascita o su una nuova organizzazionedellagricoltura22. La miseria delle campagne, la cui economia dimera sussistenza, aveva messo in luce De Carlo, radicata e irrepa-rabile23. Si pu pensare certamente ad una ristrutturazione e a una programmazione comprensoriale dellagricoltura ma sempre nella con-sapevolezza del superamento denitivo della sua centralit e dellinevi-tabile e naturale restrizione del suo spazio.

    I contadini, annotava ancora De Carlo, hanno scoperto quantola fatica del loro lavoro sia sproporzionata a quel che ne ricavano e nonpossono pi tollerare la miseria dei redditi, la segregazione e il controllosociale, la limitazione di scelte, il vuoto culturale, i servizi insu cien-ti, le abitazioni malsane, che caratterizzano la vita in campagna24. Essi

    abbandonano perci le campagne e, non trovando alternative di lavoro,

    sono costretti a emigrare. Di conseguenza, non neppure possibile contare sulla ripopolazione delle frazioni25, i cui abitanti lasciano i campiper trasferirsi verso la pianura, dedicandosi a nuove attivit. Tranne cheper quelle realt in cui gi sorta una diversicazione economica, comCannavaccio, Trazanni, Schieti, Gadana, concludeva Sichirollo, le altre frazioni debbono essere molto realisticamente abbandonate al loro

    destino. La loro struttura economica era inattuale e insu ciente26

    equindi la gran parte di esse, ribadiva De Carlo, erano perdute27. Soloa partire da questo ridimensionamento e dal concomitante sviluppo dinuove dinamiche capaci di proiettarsi anche al di fuori delle mura urbanesarebbe stato possibile cominciare a porre il problema dellunit dellcitt e del territorio28e anche della coscienza nelle popolazioni di questa unit, ricongiungendo citt e campagna.

    Non erano, ovviamente, problemi soltanto locali. Era piuttosto una dinamica di trasformazione che da tempo ormai aveva investito lItaliaintera, inserendola con grave ritardo in quel processo generale di innovazione delle strutture economiche che in altri Paesi aveva gi messo capalla costituzione della societ a uente e della produzione di massa con-temporanea. Dalla ne della Seconda guerra mondiale, come noto, ilprocesso di industrializzazione del Paese e in generale di edicazione uneconomia di erenziata e complessa, propria di una societ avanzataaveva ormai tagliato i ponti con il retaggio dellItalia rurale e patriarcale chiuso con un intero mondo storico. Mentre per in altre realt questoprocesso aveva potuto contare sulla presenza di forze economico-sociareali, attive ed alternative, nella nostra citt mancavano completamentele condizioni di uno sviluppo industriale minimamente realistico. A cau-sa soprattutto del livello di infrastrutturazione viaria29, il processo di

    21 Sichirollo, 1967-69, p. 42.22 Ivi, p. 36.23 De Carlo, 1966, p. 15. Cfr. Mascioli, 1967, pp. 180-1.24 De Carlo, 1966, p. 20.

    25 Sichirollo, 1967-69, p. 36. Cfr. De Carlo, 1966, p. 109.26 De Carlo, 1963, p. 79.27 De Carlo, 1966, p. 115.28 Sichirollo, 1967-69, p. 42.29 De Carlo, 1966, pp. 20-1.

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    industrializzazione non aveva neppure sorato il territorio di Urbinoe tutta lattrezzatura industriale era in quegli anni costituita da una fornace e due piccole fabbriche e da una diecina di imprese semiarti-giane. La possibilit di uno sviluppo alternativo andava dunque pensata e pianicata secondo un modello peculiare che facesse leva sulle speci-cit locali e queste specicit erano chiare sin dallinizio. Le sole forze

    vive sulle quali il territorio e soprattutto il capoluogo possono contare30

    ,constatava Sichirollo, sono il turismo, la scuola e la cultura.Insomma, Urbino citt indubbiamente terziaria, ma anche

    questa terziariet si presenta in maniera anomala perch non legata alle attivit di servizio alle imprese ma ha una sua dimensione specica:turismo e scuola intesa come scuola di alta cultura e principalmen-te come universit sembrano essere le sue vocazioni fondamentali.In particolare, lUniversit resta il polmone della citt sino al puntoche, in e etti, il problema universitario riassume tutti gli altri quandovenga impostato in modo globale. Di questa specica situazione og-gettiva il piano doveva tener conto e doveva necessariamente proporsi la valorizzazione, rovesciando ci che di fatto costituiva una carenza e unproblema in unoccasione di modernizzazione e facendo di questa vo-cazione settoriale il fondamento per innescare un processo di sviluppogenerale. Esso, di conseguenza, fa dellUniversit il motore principaledella conservazione attiva del centro storico ed elemento di cerniera fra il nucleo storico e la citt nuova, ed inne delleconomia del territorio.Il risanamento del centro si orientava perci risolutamente in vista diuna citt residenziale di studi e di ricerca.

    La qualit dellambiente urbinate genera un forte potenziale dicultura che determina condizioni particolarmente favorevoli alle attivit universitarie e turistiche31, annotava De Carlo. Se le riserve di energia culturale venissero interamente liberate e utilizzate, concludeva, pro-prio queste attivit potrebbero ricostruire la base della struttura econo-

    mica del territorio. Eccoci al passaggio decisivo, dunque. Constatatala grave situazione di fatto, questo piano, che non voleva essere merarazionalizzazione ma un piano di prospettiva e persino di negazine della situazione esistente32, valutava le possibilit reali e sceglieva unpreciso modello di sviluppo. Non c dubbio, allora: proprio a questa altezza si sono poste le linee direttrici di quello che sarebbe stato lo

    svolgimento successivo della vita cittadina. con quellatto politico chsi decideva di ancorare la vita della citt a quella dellunica realt che smostrava in grado di fungere da centro propulsore, luniversit. Natocome atto ideale, intellettuale, di una lite di potere33, il piano divennelinizio della nostra storia, inserendosi nella dinamica delle forzereali operanti allinterno della collettivit. Da allora, esso ha continuato aguidare lorganizzazione e larticolazione della vita sociale di Urbino e sue scelte si sono rivelate e sono tuttora decisive.

    30 Sichirollo, 1967-69, pp. 30-1.31 De Carlo, 1966, p. 22.

    32 Sichirollo, 1967-69, p. 40.33 Ivi, p. 26.

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    4. La dialettica del piano: successo e rovesciamento

    I meriti del piano

    Cosa dobbiamo dire, arrivati a questo punto? proprio in quelpiano che va ricercata la genesi dellattuale situazione di crisi ed proprio in quella volont e capacit politica di programmare in pro-spettiva strategica che a partire dallidenticazione della vita dellacitt con quella delluniversit va rintracciata la responsabilit e lacolpa del nostro disagio? Dobbiamo rovesciaretout court lammira-zione e lelogio iniziale in unimpietosa resa dei conti che conduca adunimputazione e ad una sentenza?

    Non questo il problema. Il piano lo a ermiamo ancora una volta fu unoperazione di avanguardia. Unoperazione di elevatissima portata intellettuale e grande valore scientico34 ma di altrettanto grandecapacit politica. Esso faceva i conti con una situazione estremamenteprecaria che era ben diversa da quella attuale, perch era una situazionedi sottosviluppo e di totale assenza di energie economiche ma anche

    civili. Nellalternativa tra il vecchio e il nuovo, esso si orient verso questultimo e lo fece giustamente, suscitando un larghissimo consenso,ricevendo riconoscimenti prestigiosi e diventando un esempio anche

    34 Benevolo, 1966, p. 228.

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    per altre citt 35. Nel contesto dellItalia degli anni Sessanta, il pianorappresentava un fatto unico36 e la capacit dellamministrazione disalvaguardare il patrimonio artistico-culturale di Urbino immettendolonello sviluppo dei processi economici e sociali del nostro tempo fu eva giudicata esemplare. Attraverso una scelta di modernizzazione chefu corretta e necessaria, esso ha letteralmentesalvatoUrbino. In questo

    senso, esso non fall a atto. Al contrario, proprio perch il piano ha avuto successo che si sono potuti determinare, a nostro avviso, i proble-mi attuali. A quelli del sottosviluppo si sono sostituiti infatti problemidi un genere completamente diverso. Problemi legati non tanto allosviluppo in quanto tale ma alle sue modalit speciche e, in certi casi,persino ad uneccessodi sviluppo non controllato e ormai superuo, in-servibile e in via di deperimento. Problemi, in altre parole, di modernit o persino se questa parola avesse un senso di postmodernit.

    Anche in questo caso, non un discorso che riguardi soltanto Ur-bino. Ogni fase storica ha le sue specicit e i suoi problemi. LItalia del XXI secolo non lItalia degli anni Sessanta e di conseguenza le istanzeche la volont politica deve saper accogliere e le soluzioni che deve saperprogettare sono nuove e diverse. Certamente, chi volesse proporre oggimodelli di sviluppo analoghi a quelli di quegli anni dimostrerebbe diessere arrivato fuori tempo massimo. E per di cile immaginare chein quelle precise circostanze storiche si potesse progettare ma soprattut-to praticare su scala di massa un indirizzo diverso.

    Al di l dei ragionamenti fumosi sulla decrescita, ci poniamo giu-stamente il problema, oggi, dei limiti dello sviluppo e dunque della necessit di immaginare e realizzare uno sviluppo di tipo nuovo. Unosviluppo che sia orientato non pi quantitativamente ma qualitativa-mente, nel senso cio della sostenibilit e compatibilit con tutta una serie di fattori, umani, sociali e ambientali, che in passato sono stati

    sacricati alle esigenze di accumulazione. Oggi, per, noi giudichiamocon il senno di poi e soprattutto giudichiamo a partire proprio da quella ricchezza, da quel benessere e da quelle opportunit che esattamentequel tipo di sviluppo, prevalentemente quantitativo, con un chiaro sal-to dialettico ci ha saputo assicurare. Ricchezza, benessere e opportunitalle quali nessuno di noi, del resto, si proporrebbe mai di rinunciare

    in senso assoluto. Sostanzialmente risolti ci che allora erano i bisognprimari della nostra societ, ci troviamo oggi di fronte a bisogni di tiponuovo, che sono legati non pi allarretratezza e alla sussistenza ma allqualit della vita. Bisogni che avvertiamo ormai come ugualmente pri-mari e per in una maniera molto diversa da prima.

    Nuovo benessere, nuovi bisogni, nuovi problemi

    Si assiste oggi per prendere ad esempio un fenomeno molto impor-tante per il nostro territorio ad un rilancio del settore agricolo. Nei de-cenni alle nostre spalle, le sorti dellagricoltura sembravano per segnatenessun futuro pareva prospettarsi per unattivit morente che veniva pressoch unanimemente considerata sinonimo di miseria e sottosviluppo.Intervenendo nel dibattito consiliare del dicembre 1963, un consigliereprecisava: cercare di potenziare lagricoltura in Urbino un concetto chesprime un regresso. In Urbino lagricoltura non potr mai rappresen-tare altro che un regresso. Bisogna percorrere le campagne vedere lcondizioni in cui vivono i contadini, i piccoli proprietari della campagnaurbinate, per dire che se lagricoltura scomparisse dalla faccia di Urbinosarebbe un fenomeno di civilt37. Nessuno pu negare che fosse cos,per le masse contadine dellItalia rurale e che dunque il settore primariodovesse inevitabilmente subire una trasformazione e un restringimentosostanziale. Come nessuno pu negare, poi, che le esigenze di costruziondella societ di massa imponessero la necessit, nello stesso lavoro agric

    35 Cfr. AA.VV., 1964b, Mascioli, 1963, n. 2, pp. 14-5; Union Internationale des Architectes, 1967; Sichirollo, 1967c, p. 190.36 Trinci, 1967, pp. 216-7. 37 AA.VV., 1963, p. 48.

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    lo, di un processo di industrializzazione, di economie di scala, di appli-cazione della scienza e della tecnologia. Questa prospettiva, commentava allepoca De Carlo, sebbene considerata disastrosa dalla maggior partedelle forze politiche38, costituiva in realt la sola ragionevole possibilit di salvezza di quel settore, perch la scelta si poneva ormai esclusiva-mente tra la ristrutturazione e la distruzione dellagricoltura. In realt,

    le trasformazioni che dovranno avvenire nellintero territorio comunalesono della stessa specie di quelle che dovranno avvenire nellintera nazio-ne39 e saranno tali da modicare sostanzialmente la struttura dei fondiagricoli, conducendo a una situazione, che sia assai pi prossima allin-dustria di quanto non sia attualmente, con la conseguente diminuzionedella popolazione agricola.

    Improvvisamente, questo settore ha cominciato a risollevarsi e a riconquistare la sua importanza, e per lo ha fatto entro certi limiti, a partire da un contesto totalmente diverso e su basi totalmente nuoverispetto al passato. Lattuale esplosione del fenomeno dellagricoltura diqualit praticata secondo standard biologici certicati, impensabile sol-tanto pochi anni addietro, un fatto di enorme rilevanza. Essa o re oggigrandi opportunit a quei territori in grado di cogliere questa tendenza edi attrezzarsi per utilizzarla adeguatamente. Opportunit di crescita della ricchezza ma anche di valorizzazione del territorio complessivo, a partiredalla creazione di sistemi comprensoriali integrati che inventino sinergietra produzione, turismo e cultura. C nalmente la possibilit oggi ein modo particolare in un territorio come quello di Urbino di imma-ginare un modello di sviluppo nuovo e libero dal cemento, che ponga al suo centro il rispetto dellambiente e la cura della qualit della vita. Eper, qui non abbiamo per nulla a che fare n con una sorta di ritornoalla terra e di ricongiungimento con il passato rurale, n con la presa dat-to di un errore commesso in passato in nome delmolochindustrialista.Esattamente al contrario di ogni nostalgia antimoderna, ci troviamo di

    fronte a una totale reinvenzione del settore agricolo su nuove basi, chesolo larricchimento complessivo della societ ha consentito e che, oltretutto, per garantire standard di qualit non pu prescindere da un ap-proccio scientico e da una strumentazione tecnologicamente avanzataNon a caso, esso attualmente ancora un fenomeno di nicchia e portatoavanti da pochi operatori, sebbene la sua progressiva estensione consent

    di individuarlo come un settore strategico la cui crescita va politicamentguidata no a farle assumere dimensioni di massa.Questo esempio ci serve come indicazione di un atteggiamento pi

    generale che deve investire tutti i problemi di cui ci occupiamo e deveguidarci nel mettere in relazione la nostra analisi del piano con quelleconsiderazioni critiche dei suoi esiti che abbiamo sviluppato allinizio. piano ha senza dubbio alcuno risollevato Urbino, sottraendola al destinodi decadenza nel quale stava lentamente scivolando. Uneconomia arretratissima e dissestata senza possibilit di incentivazione, un ambiente sociale altrettanto sottosviluppato, avvilito da secoli di disinteresse, soprusdiscriminazioni40, diventa nel corso di pochi decenni la realt ricca e svi-luppata che sta oggi sotto i nostri occhi e pu denitivamente rientrarenel mondo moderno41. Al tempo stesso, per, dobbiamo ammettere cheproprio a quelle scelte, allelaborazione e soprattutto alla successiva concreta applicazione di quel modello di sviluppo delineato dal piano sonosaldamente legati anche gran parte degli attuali gravi problemi che la cittpresenta e che abbiamo sin dallinizio messo in luce.

    La dialettica dagli esiti imprevedibili che esso si proponeva di inne-scare ha inequivocabilmente funzionato. Proprio in quanto comportava una presa di posizione netta, una scelta rischiosa e totalizzante in favoredelluniversit, per, esso ha nito per mettere capo ad una nuova si-tuazione esistente che presenta un nuovo genere di pericoli e di punticritici. Ci che ha fatto la fortuna della citt, trasformandola radical-

    38 De Carlo, 1966, p. 20.39 De Carlo, 1963, p. 78.

    40 Sichirollo, 1967-69, p. 49.41 De Carlo, 1966, p. 112.

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    mente e ridandole vita, la ha anche decapitata. Lha fatta divenire, cio,una funzione subordinata nellambito di un meccanismo che ha nalit proprie e autonome, lha fatta fagocitare da un organismo divenuto benpresto troppo pi grande di lei. In particolare, come abbiamo visto, ilmodo in cui stata risolta la questione del centro storico e del rapportotra citt e vita universitaria e studentesca si rovesciato in una fonte di

    problematicit e quel ruolo di intervento sociale42

    che luniversit chiamata a svolgere nella societ contemporanea si rivelato nei fattiun possibile fattore di desocializzazione.

    Questioni di equilibrio

    Paradossalmente, proprio questo aspetto era stato la principalepreoccupazione di chi quel piano aveva contribuito a pensare e pro-muovere. Sin dallinizio, limpostazione del rapporto tra citt e uni-versit-popolazione studentesca era stata ideata proprio in funzionedel recupero e della rivitalizzazione del centro storico come cuore pul-sante della citt. La massima cura era stata dedicata sia ad unanalisidelle sue criticit, sia alla prevenzione di tutti i fattori di rischio chepotessero comprometterne le sorti.

    Qual era la situazione del centro in quegli anni? Esso era in preda ad una crisi di corruzione e sfaldamento43. Gli esigui ussi di popo-lazione che riusciva ad attrarre dalle campagne non erano su cienti a drenare unemorragia costante, dovuta allinvecchiamento della popo-lazione, allemigrazione e soprattutto alla scelta spontanea degli abitantidi trasferirsi al di fuori delle mura, data la situazione di degrado delleabitazioni e la precaria vivibilit complessiva (ricordiamo che il sindacoMascioli, ancora nel 1964, dichiarava che se potremo disporre perlacqua nei mesi di agosto e settembre di questanno, avremo gi fatto

    un notevole passo innanzi44!). lo stesso De Carlo a puntualizzare ilproblema: si assiste allinsediamento nel centro storico di gruppi sociali alla loro prima esperienza urbana45 e cio gli anziani trasferitisidalle campagne ma spesso anche gli studenti, mentre per nello stessotempo, i gruppi sociali preesistenti, che non tollerano il deterioramentodel vecchio centro, cercano nelle zone di espansione pi alti livelli di

    abitabilit. Si tratta di tendenze concomitanti che sono egualmentepericolose, perch porterebbero, al limite alla formazione di duecitt, nel rapporto tra le quali il centro storico diventerebbe inevitabil-mente unappendice necrotizzata, una riserva di antiche forme senzacontenuto. Il trasferimento spontaneo dei residenti del centro nellabi-tato sorto disordinatamente ai margini della citt, commentava ancora Sichirollo, rischiava di dare una propria autonomia alla zona di espan-sione nord, di staccarla denitivamente dalla matrice del centro storico e di privare questo, quindi, di quelle funzioni che costituiscono laragione della sua sopravvivenza46, con il suo conseguente decadimen-to, sfaldamento e svuotamento e, comunque, limpoverimento dellasua popolazione pi qualicata. Si trattava di un pericolo immane47,secondo De Carlo, che bisognava evitare a tutti i costi.

    Come si vede, il problema di un possibile squilibrio tra i gruppidi popolazione il problema con cui oggi noi dobbiamo fare i conti risultava chiaro gi allora: tecnici, politici ed intellettuali ne eranopienamente consapevoli e il piano era pensato in primo luogo come la risoluzione preventiva di tale problema. proprio per fare di Urbinouna citt viva e reale e non una realt immaginaria o uno scenario vuotoche era stato pensato quel modello di sviluppo. Il piano non era a attoideato come pianoestetico48 e cio meramente in funzione della sal-

    42 De Carlo, 1964, p. 164.43 Sichirollo, 1967-69, p. 35.

    44 Mascioli, 1964, p. 110.45 De Carlo, 1966, pp. 107-8.46 Sichirollo, 1967-69, pp. 34-5.47 De Carlo, 1963, p. 101.48 Sichirollo, 1967-69, p. 50.

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    vaguardia passiva del centro storico e del paesaggio intesi come valoripuri, formali, assoluti ma era esattamente il contrario, era un pianodi prospettiva. Certamente i suoi promotori erano consapevoli della necessit di rispettare lassetto strutturale della citt ma riutavano sindallinizio di delineare un piano di risanamento puramente conserva-tivo49 o persino igienico-sanitario. Era stata fatta una scelta precisa,

    invece, a partire dalla convinzione che i centri storici si tutelano sulfronte della difesa attiva. Nel rispetto dei suoi valori storico-artistici,bisognava intervenire sulla struttura della citt per permetterle di acco-gliere quelle trasformazioni economiche e sociali che si vericherebberose le forze nuove pi attive che attualmente si manifestano allo statopotenziale, potessero divenire attuali. Operare attivamente attraversolapplicazione di una programmata politica di intervento, per far s cheda quel patrimonio cos carico di passato, ma ormai inerte e del tuttoincapace di rigenerarsi da s, potesse nascere una nuova realt.

    Immettere funzioni moderne50, e non semplicemente restaurare,era lunica possibilit di garantire la conservazione e unattiva evolu-zione di una citt minacciata dal crollo. Bisognava rendere attuali for-ze latenti e provocare quindi trasformazioni. La citt e il territorio,sosteneva ripetutamente Sichirollo, devono poter accogliere lo svilup-po di quelle forze e trasformazioni in una struttura modicata, o meglioin via di continua modicazione, in modo tale che una interazione sia sempre possibile, che si generi, sotto controllo, una reazione a catena51.Qui si misurava la portata strategica e la grandezza intellettuale di quel-la scelta. Come puntualizzava De Carlo, bisognava superare una dop-pia prospettiva contraddittoria52. Quella prospettiva che induceva o a tutelare rigorosamente i valori storici e ambientali e lasciar disperderele sole forze umane che potrebbero avere la volont e limpeto per creare

    le condizioni di un uso universale di quei valori, oppure a tratteneread ogni costo quelle forze e lasciar corrompere i tessuti urbani e il paesaggio perdendo la sola grande risorsa su cui possibile fondare unaripresa per il futuro. Proprio per salvare il centro sfuggendo a questafalsa alternativa era necessario allora un intervento attivo di ristruttu-razione onde far riemergere strutture e forme tanto appropriate da assi-

    curare vecchie e nuove funzioni ma anche la continuit tra gli assettpreesistenti e i nuovi, tra le vecchie strutture e le nuove53. In tal modo,luniversit avrebbe potuto funzionare non come un meccanismo au-tonomo ed estraneo al contesto ma come chiave di volta di una citt vera e cio di un sistema complessivo, articolato e integrato, di gruppie operativit sociali. Come abbiamo gi citato prima, essa sarebbe statla cerniera54 tra la vita del centro risorta e arricchita di mille nuovefunzioni , la zona nuova e lintero territorio.

    Un esito non scontato

    Eccoci al punto cruciale, dunque. Soltanto perch il piano ha funzionato e ha consentito sia la salvaguardia strutturale del centrostorico, sia una trasformazione della citt, sia un suo complessivo ar-ricchimento, in altre parole, siamo oggi nelle condizioni di guardare aesso in maniera anche critica e di tentare di andare al di l di esso.

    Chi lo aveva preparato, del resto, era sin dallinizio consapevoledel destino che si prepara per le idee, nel momento in cui esse si ca-lano nella realt e si misurano con le sue contraddizioni. Il percorsodella sua attuazione, diceva De Carlo nel 1966, non potr esserecos lineare come pu esserlo oggi il lo della sua descrizione. Glavvenimenti che accadranno in futuro, gli stessi e etti provocati daiprimi movimenti del Piano, introdurranno nella realt modicazio-

    49 Ivi, p. 38.50 Sichirollo, 1967c, p. 187.51 Sichirollo, 1967-69, p. 50.52 De Carlo, 1966, p. 13.

    53 Sichirollo, 1967-69, p. 38.54 Ivi, p. 31.

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    ni tanto sensibili da riaprire il problema delle interpretazioni, degliobiettivi e dei mezzi55. Nel momento in cui veniva messo in atto,esso era dunque in se stesso, hegelianamente, un problema56 e nongi un risultato che potesse essere considerato ormai acquisito. Isuoi fautori erano consapevoli che con quelle scelte si sarebbe inne-scata una dialettica di cui non possiamo prevedere levoluzione57 e

    il cui esito non era per nulla inscritto nelle sue premesse. Cos comeerano consapevoli che il piano avrebbe potuto benissimo, alla ne,non essere a atto realizzato. Oppure, che nellinevitabile incon-tro-scontro tra la vocazione universalistica del progetto e le istanzenon sempre illeggittime delle situazioni particolari avrebbe potutosubire tutta una serie di limitazioni e condizionamenti esterni cosmassicci da renderlo parziale e disorganico, dimidiarlo o deformarnein maniera sostanziale il decorso rispetto alle previsioni, pregiudican-done gli esiti o conducendo ad esiti del tutto diversi da quelli previstio auspicati. Oppure ancora, soprattutto, che ad esso sarebbe potutomancare il sostegno di quella volont e capacit di direzione politica che rimaneva la ragione e il motore, sempre, delle scelte urbanisticheed economiche58 e che, alla ne dei conti, era stata concepita come la componente decisiva di questa ambiziosa operazione.

    5. Un piano senza pi volont politica

    Una realt separata: trasporti, turismo, attivit produttive

    E in e etti tutto ci accadde. Sin dallinizio, lapplicazione delpiano dovette fare i conti con numerosi ostacoli e di colt 59. Con leristrette competenze dellambito comunale, insu cienti a risolvere iproblemi che esso sollevava, e i relativi conitti con altre istituzioni.Con le diverse scelte strategiche di altri enti pubblici cointeressati.Con una strumentazione legislativa arretrata e carente, incapace distimolare i progetti di pianicazione. Con la mancanza di fondi. Conun sostanziale decit di supporto da parte del livello governativo na-zionale, che persino dopo la stagione del Centrosinistra guardava so-spettosamente ad ogni politica di controllo territoriale60.

    Uno dei suoi obiettivi strategici, per entrare nel merito, consisteva nelrompere la separatezza strutturale della citt attraverso un collegamentoagevole sia con il territorio che con le grandi direttrici delle comunicazionnazionali. Tra le condizioni principali per la sua e cacia, pertanto, fon-

    damentale era il potenziamento viario e la costruzione di tutta una retedi infrastrutture di collegamento con i centri circostanti, la costa, le cittdarte sullasse da Venezia a Perugia, le autostrade nazionali. Tutto ci ave

    55 De Carlo, 1966, p. 121.56 AA.VV., 1963, p. 66 (sono parole di Livio Sichirollo).57 Sichirollo, 1961, p. 17.58 Sichirollo, 1967-69, p. 26.

    59 Cfr. Mascioli, 1967.60 De Carlo, 1966, p. 7. V. anche Sichirollo, 1967c, p. 191.

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    va per i suoi fautori uninuenza decisiva61 e bisogna ricordare come ilComune avesse presentato dettagliate e organiche proposte in merito62. IlPiano intende esaltare, annotava Sichirollo, la vocazione della posizionedi Urbino tra Rimini e Roma, cio tra il sistema Strada Romea-Autostrada Bologna-Ancona da una parte e Autostrada del sole dallaltra, alla quale sar presto possibile e facile allacciarsi mediante la costruenda Autostrada dei

    due mari (Fano-Grosseto), con casello, e raccordo, a pochi chilometri da Urbino63. Era questa, tra laltro, la condizione per costruire lasse automo-bilistico tangenziale di Lavagine e i servizi annessi, un elemento che avrebbedato un diverso orientamento alla citt e avrebbe rivitalizzato un quartieretuttora declinante64. Prescindendo dal problema della ferrovia, tagliata in-ne come un ramo secco, sappiamo che della Fano-Grosseto, che costituisceil nodo principale di questo progetto addirittura il fulcro centrale65 ,si sono a tuttoggi perse le tracce. Sappiamo, per, che nel frattempo si voluto a rontare comunque il problema viario con la progettazione della cosiddetta bretella e che lo si fatto in maniera del tutto sbagliata, parzialee insu ciente, quando erano ormai passati moltissimi anni, il contesto era completamente cambiato e le esigenze della citt erano del tutto diverse.Ricordiamo, poi, che se certamente il piano assegnava alluniversit una funzione centrale nel contesto cittadino, questa centralit non era a atto pensata come ne a se stessa ma come innesco di un processo dimoltiplicazione delle funzioni sociali e lavorative. Accanto alluniversit,esso individuava come settore strategico il turismo, mentre si proponeva di promuovere lartigianato e anche, dove possibile, la sua trasformazionein microindustria66. Entrambi questi obiettivi sono venuti a mancare.

    Attualmente, constatava in quegli anni Sichirollo, ad Urbino il tu-rismo soprattutto di passagg